UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO...

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE e NATURALI TESI DI LAUREA IN FISICA Limite alla metallicita' di stelle di popolazione III dalla nucleosintesi primordiale ANNO ACCADEMICO 2002/2003 Candidato: Relatori: Fabio Iocco Prof. G.Miele matricola: 060/612 Dott. G.Mangano Correlatore: Dott. P.Santorelli

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”

FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE e NATURALI

TESI DI LAUREA IN FISICA

Limite alla metallicita' di stelle di popolazione III dalla nucleosintesi primordiale

ANNO ACCADEMICO 2002/2003

Candidato: Relatori: Fabio Iocco Prof. G.Miele matricola: 060/612

Dott. G.Mangano

Correlatore:

Dott. P.Santorelli

IndiceIndice 1

Ringraziamenti 3

Introduzione 5

1 Elementi di Cosmologia e Nucleosintesi Primordiale 91.1 Il modello cosmologico standard 101.1.1 Grandezze Cosmologiche 131.2 Teoria cinetica nell’universo primordiale 161.2.1 Formulazione relativistica 181.2.2 Grandezze macroscopiche ed equilibrio termodinamico 201.3 ’’Freeze out’’ e nucleosintesi primordiale 281.3.1 Nucleosintesi primordiale 291.4 Equazioni della Nucleosintesi Primordiale 311.4.1 Equazioni per leXi 341.5 Considerazioni sulla BBN 36

2 Elementi di fisica stellare 392.1 Introduzione all’evoluzione stellare 392.2 Formazione di una stella 422.3 Equazioni della struttura stellare 462.4 Equazioni di stato 482.4.1 Gas perfetto 502.4.2 Gas degenere 522.5 Processi energetici 552.6 Fenomenologia delle popolazioni I e II 602.7 Stelle di popolazione III 642.7.1 Formazione delle stelle di popolazione III 652.7.2 Fenomenologia della popolazione III 662.8 L’epoca stellare pregalattica 71

3 Elementi di Astrofisica Nucleare 753.1 Proprietà dei nuclei 753.2 Calcoli analitici di sezioni d’urto 833.2.1 Reazioni non risonanti indotte da neutroni 833.2.2 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche 853.2.3 Risonanze 883.3 Applicazioni del Principio del Bilancio Dettagliato 91

4 I metalli nella nucleosintesi primordiale 954.1 Analisi della rete esistente 964.1.1 Analisi dei canali di sintesi 984.1.2 Considerazioni sulla rete 1084.1.3 Aggiornamento dei tassi di reazione 1104.2 Aggiornamento della rete 113

4.2.1 Le nuove reazioni 1164.2.2 Nuovi nuclidi 1174.2.3 Risultati del nuovo codice 1184.3 Incertezze sulle Xi 120

Conclusioni 125

A Osservazioni delle abbondanze primordiali di 2H, 4He e 7Li 127

B Le nuove reazioni nel codice di BBN 131

Bibliografia 137

2

Ringraziamenti

Questa tesi ha rappresentato per me la prima occasione di una reale collaborazione di lavoro, regalandomi

la piacevole sensazione di avere fatto qualcosa con altri, divertendomi; il merito di ciò va a tutti coloro con

i quali ho interagito in quest’anno per le più svariate ragioni, e ringraziare tutto il gruppo di Astroparticelle

di Napoli non è ancora sufficiente. In particolare tutta la mia gratitudine va ai miei relatori, Giampiero

Mangano e Rino Miele, per avermi guidato in questa avventura facendomi partecipe della loro esperienza

e soprattutto sentire ’’a casa come uno di casa’’1; senza l’aiuto di Ofelia ’’Goldfinger’’ Pisanti questo

lavoro si sarebbe d’altronde arenato come una povera balenottera, e la ringrazio dunque di tutto cuore

per la sua sollecitudine nei confronti dei cetacei in difficoltà. La grande gentilezza e disponibilità del

mio correlatore, Pietro Santorelli, mi hanno consentito di migliorare le leggibilità di questo lavoro senza

alterarne la forma, e l’attenzione che egli ha rivolto a questa tesi mi ha inoltre gratificato della fatica

spesa nello scriverla. Il supporto di Lucio Gialanella e Gianluca Imbriani è stato essenziale per riuscire

a focalizzare alcuni punti salienti durante la prima parte di questo lavoro; vorrei inoltre ringraziare con

particolare affetto Filippo Terrasi per avermi seguito e suggerito in scelte difficili, ed avermi illustrato i

fondamenti dell’ ’’Astrofisica Nucleare’’, necessario strumento di questo lavoro. Un grazie speciale va

anche ai miei compagni di ventura Pat, che ha percorso alcuni tortuosi sentieri prima di me lasciando

comodi segni sugli alberi, ed Alessandro, con il quale -ben più del lavoro- ho condiviso Gigi La Trottola

e Bruno Vespa in orari in cui avrei ben preferito dormire (grazie Crescenzo!). Senza la cara Ilenia ed i

suoi consigli (e le sue figure) la scelta del lavoro di tesi sarebbe forse stata ben diversa, e la strada verso

le stelle ad alto redshift forse più difficile: grazie, o mia pioniera. Fuor d’accademia, il primo e più

affettuoso grazie è diretto a tutti i miei familiari per avermi sopportato e supportato durante quest’anno

(questi anni?), anche nei momenti più critici; ad Osvaldo e Sebastiano va tutto il mio affetto per essere

stati compagni presenti nei momenti difficili, validi camminatori nelle passeggiate ’’di decompressione’’

e soprattutto estremi opposti dello spettro delle razionalità, fornendomi così la scelta di opinioni differenti

e sempre in contrasto. Sebbene un ricordo lontano nel tempo, le conoscenze e la passione del prof. Bruno

De Renzis sono tuttora vive nella mia memoria e hanno contribuito alle scelte di cui sono più soddisfatto,

1 Citazione dal discorso di ringraziamento del Presidente del Consiglio italiano in visita di stato negli USA, luglio 2003.

lasciando nel mio cuore gratitudine e voglia di conoscere.

Mi è impossibile ringraziare in questa sede tutti coloro che nei lunghi, faticosi e divertenti anni di

università mi sono stati vicini, ognuno di loro sa però quanto il loro affetto contribuisca a rendermi

sereno e felice: non mi sarebbe stato possibile portare avanti nessun compito e nessuna giornata senza il

calore che mi hanno regalato costantemente.

Diceva Giacomo Leopardi che l’unico modo per non mostrare i limiti della propria conoscenza è di

non superarli, in questo lavoro credo di avere infranto tale valido precetto innumerevoli volte: ringrazio

preventivamente2 tutti i (numerosi) lettori che se ne accorgeranno per avere fatto finta di nulla, ed avere

voltato aggraziatamente pagina.

Grazie Virginia per avere sopportato le mie assenze (o peggio ancora le mie presenze) in questo lungo

periodo, e per essere stata esperta editrice di questo lavoro.

A Michelangelo, maestro ed amico, che tanto mi ha insegnato da non potersi dire, e che ora non è più.

2 Alle volte è bello indulgere alle mode del tempo.

4

Introduzione

Mi piaceva l’Università. Ci dava i soldi, ci dava gli strumentie non dovevamo produrre niente! Ho lavorato nel settore privato:pretendono risultati! Voi non siete mai stati fuori dell’università, nonsapete cosa c’è là fuori!

(Dan Akroyd in ’’Ghostbusters’’, 1984)

La cosmologia sta oggi attraversando quella che viene definita una ’’era di precisione’’: nuove ed

affidabili misure del parametro di Hubble, delle anisotropie nella radiazione cosmica di microonde e

delle abbondanze primordiali degli elementi più leggeri permettono di valutare i parametri cosmologici

con grande precisione, ed inoltre di controllare la consistenza interna dei modelli cosmologici attraverso

conferme sperimentali di diversa natura. La crescente precisione nel delineare gli scenari cosmologici si

unisce al grande interesse della comunità scientifica per quelle epoche, dette ’’Dark Ages’’, che sono situ-

ate nella cronistoria dell’universo fra la ricombinazione del plasma primordiale e la sua reionizzazione. In

tali epoche pregalattiche avviene la prima formazione di strutture ed una peculiare generazione di stelle,

detta popolazione III (popIII), nasce (e muore); tale generazione stellare fu introdotta sostanzialmente

per spiegare alcuni problemi che sorsero al termine degli anni ’70 relativamente ai modelli di evoluzione

galattica: la discrepanza fra la metallicità osservata nelle stelle più antiche, espressa in frazione di massa

Z, (Z ∼ 10−4 ÷ 10−5) e quella prevista dalla nucleosintesi primordiale (Z ∼ 10−10 ÷ 10−12), dal

cui plasma residuo tali stelle si erano originate -secondo il modello allora vigente- era impossibile da

spiegare. La soluzione fu proposta con l’introduzione di una più antica generazione di stelle che avreb-

bero elaborato al loro interno gli elementi residui della nucleosintesi primordiale (BBN) espellendo nello

spazio esterno (IGM) i prodotti della nucleosintesi stellare, arricchendo così l’IGM di elementi più pe-

santi. Tale suggestiva ipotesi trova recentemente, in studi teorici estremamente dettagliati, solide basi

e si propone per future previsioni quantitative: recenti lavori hanno avuto come oggetto lo studio dei

processi caratteristici dell’evoluzione stellare in un ambiente povero di metalli, come è appunto il plasma

residuo della BBN. In particolare, studi sulla formazione stellare in ambienti poveri di metalli mostrano

come la funzione di massa iniziale (IMF) di tali stelle sia una bimodale centrata intorno a ∼ 1M¯ e

∼ 100M¯, rispettivamente; altri lavori dedicati allo studio dei fenomeni evolutivi hanno evidenziato

come la sequenza principale di popIII di massa intermedia, 3M¯ ≤ M ≤ 9M¯, sia fortemente in-

fluenzata dall’assenza degli elementi attivi nel ciclo CNO. Esiste infatti un’abbondanza critica per tali

elementi, ZCNO ∼ 10−12, al di sopra dela quale i processi relativi al ciclo CNO avvengono in maniera

’’usuale’’; al contrario, se l’abbondanza di tali nuclidi nel plasma è inferiore a tale soglia i processi della

sequenza principale risultano fortemente alterati, inlfuenzando la nucleosintesi e la composizione chim-

ica della stella. Ricordando come i materiali risultanti dall’evoluzione delle popIII partecipino alla suc-

cessiva nascita della popolazione II -prima generazione stellare galattica- e quindi all’intera evoluzione

chimica della galassia, si comprende la necessità di fornire stime affidabili delle abbondanze primordiali

(ricordiamo che le stelle di popolazione III si formano dal plasma residuo della BBN) degli elementi attivi

nel ciclo CNO. Le attuali previsioni teoriche forniscono stime molto basse di tali abbondanze, ciononos-

tante potrebbero essere affette da grandi errori, mai valutati finora in letteratura: come accennato vi è

a tutt’oggi una grande precisione nella stima dei parametri cosmologici e nelle abbondanze primordiali

degli elementi leggeri, questa però non si riflette in altrettanta accuratezza nelle previsioni sulle abbon-

danze degli elementi pesanti per i motivi che ora illustriamo. A causa della non linearità ed estrema

complessità del sistema di equazioni che descrivono la BBN è necessario adottare codici informatici che

forniscano soluzioni numeriche del problema: la natura di questi oggetti impone una scelta nel numero

di reazioni e nuclidi che possono esservi inseriti; per quanto riguarda la ’’rete ridotta’’ dei nuclidi leggeri

(A ≤ 7) i processi più importanti sono stati identificati ed è presente in letteratura un grande numero di

lavori a tale riguardo. ’’A posteriori’’ la bontà di tali studi è confermata anche dall’osservazione delle

abbondanze primordiali di tali elementi, che ad una prima analisi confermano le previsioni; per quanto

riguarda gli elementi più pesanti (7 ≤ A ≤ 16) nessuno studio è presente per giustificare o studiare la

rete presente nel codice dalla sua versione originale fino ad oggi. Tale disinteresse è giustificato dalla non

rilevanza e non rivelabilità di tali elementi, almeno fino agli ultimi anni; l’interesse che essi rivestono

per l’evoluzione delle stelle di popolazione III rende attuale e sensato uno sforzo per comprendere quale

sia l’effettiva abbondanza primordiale di questi elementi: tale ricerca necessita di una analisi completa

della rete di nuclidi e reazioni e di una comprensione dei processi che portano alla sintesi degli elementi

in esame. E’ questo l’oggetto del presente lavoro di tesi: una analisi sistematica dei fenomeni di sin-

tesi degli isotopi del carbonio, azoto ed ossigeno in ambiente primordiale, così come descritti nella rete

di reazioni e nuclidi del codice di nucleosintesi primordiale; unitamente a questo una revisione dei tassi

delle reazioni più rilevanti nei fenomeni descritti e, ove si rendesse necessario, l’aggiunta di reazioni (o

nuclidi) trascurati erroneamente nella versione della rete attualmente in uso. Per l’analisi delle reazioni

nucleari si è reso necessario un’approfondimento della fisica nucleare e dei processi forti, elettromag-

netici e deboli che le mediano, oltre ad un’approfondimento dei problemi legati alla modellizzazione

6

di tali processi ed alla misura sperimentale delle loro sezioni d’urto: una breve trattazione di questi el-

ementi di ’’Astrofisica Nucleare’’ è fornita nel terzo capitolo. Sebbene il problema relativo alla fisica

delle stelle di popolazione III sia l’elemento che motiva (in questo lavoro) un’approfondimento della

nucleosintesi primordiale e delle sue basi teoriche, ci è sembrato opportuno rispettare la ’’cronologia del-

l’universo’’ presentando nel primo capitolo gli elementi di relatività generale e teoria cinetica dei fluidi

che descrivono la BBN, e nel secondo gli elementi di astrofisica necessari per comprendere l’evoluzione

stellare: una ’’rassegna’’ comparativa delle caratteristiche di stelle di popolazione II e III è fornita al

termine di tale sezione. Nel quarto capitolo sono infine illustrati i risultati della ricerca effettuata.

Durante questo lavoro si farà uso del termine ’’metalli’’ alla maniera astrofisica: questo sarà usato

per indicare tutti i nuclidi il cui numero di atomico sia maggiore di due, vale a dire tutti gli elementi

fuorché gli isotopi dell’idrogeno e dell’elio; lo stesso termine sarà inoltre impropriamente utilizzato in

rare occasioni (come ad esempio nel titolo della tesi o in quello del quarto capitolo, dove una parafrasi

avrebbe costituito una pecca ancora maggiore) per indicare gli elementi con numero atomico maggiore

di tre. Speriamo che questo abuso ci sarà perdonato. Inoltre, ove non esplicitamente notato altrimenti, si

useranno unità naturali: = c = kB = 1.

7

Capitolo 1

Elementi di Cosmologia e Nucleosintesi

Primordiale

Our universe itself keeps on expanding and expanding,In all of the directions it can whiz;As fast as it can go, at the speed of light, you know,Twelve million miles a minute and that’s the fastest speed there is.So remember, when you’re feeling very small and insecure,How amazingly unlikely is your birth;And pray that there’s intelligent life somewhere out in space,’Cause there’s bugger all down here on Earth!(Monty Python, ’’The meaning of life’’, 1983)

La relatività generale (GR) è uno dei grandi successi della fisica del ’900: considerata inizialmente

teoria speculativa sulla natura della gravità e dello spazio-tempo, la GR è riuscita a fornire una serie di

previsioni teoriche su fenomeni dalle scale più disparate (dalla precessione dell’orbita di Mercurio alla sp-

iegazione del redshift cosmologico) che hanno trovato clamorose conferme sperimentali. L’applicazione

della relatività generale a speculazioni, prima d’allora senza basi scientifiche, sulla natura e la dinamica

dell’universo su larga scala ha fornito un quadro quantomai suggestivo di un cosmo in continua espan-

sione ed in continuo raffreddamento; il modello cosmologico che fornisce tale immagine è verificato da

numerose prove di carattere sperimentale di diversa natura. Il comportamento descritto dal modello è co-

munemente interpretato come la conseguenza di un’esplosione avvenuta ad un ’’istante zero’’, in cui tutta

la materia era condensata in un universo ’’infinitamente caldo’’, ’’infinitamente denso’’ ed ’’infinitamente

piccolo’’; si usa indicare tale esplosione con il nome suggestivo di ’’Big-Bang’’ (BB). Sfortunatamente, la

stessa teoria che ci fornisce l’immagine di un cosmo che si evolve attraverso una espansione raffreddata

cessa di essere valida a tempi dell’ordine di 10−43 secondi (tempo di Planck) dopo tale presunta esplo-

sione; per quanto breve, l’epoca (detta di Planck, o ’’Era della Gravitazione Quantistica’’) che ha posto in

questo intervallo temporale non è quindi descritta dalla GR e non ha dunque senso parlare di Big-Bang.

9

Sebbene riluttanti useremo comunque questo termine per riferirci all’origine della scala temporale uti-

lizzata. All’interno del quadro appena descritto, pochi secondi dopo il BB le condizioni ’’ambientali’’

del plasma che costituisce il materiale primordiale sono tali perché protoni e neutroni, formatisi nelle in-

terazioni avvenute precedentemente, si uniscano formando elementi sempre più pesanti. Questi ultimi

interagiscono fra di loro, sintetizzando nuovi elementi, fino a quando il raffreddamento del plasma non

inibisca l’efficacia di tali processi; il fenomeno descritto è abitualmente conosciuto sotto il nome di ’’Nu-

cleosintesi Primordiale’’ o ’’Big Bang Nucleosynthesis’’ (BBN). Non è oggetto di questo lavoro di tesi

una trattazione della relatività generale, pertanto solo gli elementi necessari ad illustrare i pilastri del ra-

gionamento scientifico di interesse per l’argomento in esame saranno introdotti: nei primi paragrafi sono

riassunti gli elementi fondamentali dei modelli cosmologici, includendo una trattazione della teoria ci-

netica dei fluidi in un universo in espansione. Quest’ultima è fondamentale per descrivere in maniera

appropriata la BBN; ciò è fatto nei paragrafi seguenti, dove è data una descrizione dei fenomeni che in-

tervengono durante la BBN e sono fornite esplicitamente le equazioni che la governano. Per maggiori

dettagli o per una esauriente trattazione dei problemi esposti si rimanda a testi classici quali [1] , [2] , [3]

, fra gli altri.

1.1 Il modello cosmologico standard

Il modello cosmologico standard (SCM) si basa su tre assunti fondamentali:

1 ) La validità della Relatività Generale nel descrivere l’universo su larga scala;

2 ) Il ’’Principio Cosmologico’’: l’universo è spazialmente omogeneo ed isotropo su larga scala

(settori di universo con diametro di ∼ 1000Mpc);3 ) La possibilità di descrivere le varie specie di energia e materia che popolano il cosmo

attraverso la teoria cinetica dei fluidi di particelle.

’’A posteriori’’, la validità di tale modello è giustificata dai ’’tre pilastri osservativi’’, conferma di

almeno parte delle previsioni teoriche del modello:

1 ) La legge di recessione delle galassie di Hubble;

2 ) La radiazione cosmica di fondo (CMB), con uno spettro di corpo nero a T ∼ 2.73K che

rispecchia le anisotropie previste dal modello a meno di una parte su 105;

10

3 ) Le abbondanze primordiali di elementi leggeri.

Le equazioni della relatività generale sono le equazioni di Einstein:

Gµν(gαβ) = 8πGTµν(gαβ) . (1.1)

Per potere applicare queste equazioni su larga scala, al fine di ricavarne informazioni sull’evoluzione del-

l’universo, c’è bisogno di formalizzare gli assunti dello SCM ed imporli come condizioni sulle equazioni

di Einstein. Dalle ipotesi di omogeneità ed isotropia derivano una grande quantità di risultati, in parti-

colare, ai fini della trattazione svolta in questo lavoro, sono messi in evidenza quelli ottenuti per la met-

rica gµν e per il tensore energia-impulso Tµν . La metrica che soddisfa le condizioni di omogeneità ed

isotropia, oltre all’invarianza in forma, è la metrica di Friedmann-Robertson-Walker (FRW), in cui l’ele-

mento di distanza invariante ds2 tra due eventi dello spazio-tempo si scrive, in termini delle coordinate

comoventi (t, r, θ,ϕ):

ds2 = gµνdxµdxν = dt2 − a2(t)

·dr2

1− kr2 + r2(dθ2 + sin2 θdϕ)

¸, (1.2)

con k curvatura delle sottovarietà spaziali 3-D convenzionalmente riscalata (r→ |k|1/2r e a→ |k|−1/2a)per permettere i soli tre valori+1, 0,−1, corrispondenti rispettivamente ad universi con sezione spaziale

ellittica, euclidea o iperbolica; a(t) è detto ’’fattore di scala cosmico’’ ed è la sola variabile dinamica

indipendente nei modelli che derivano dalla metrica descritta. Tali modelli prendono il nome di modelli

di Friedmann-Lemaitre-Robertson-Walker (FLRW). Per un generico campo tensoriale doppio simmetrico

Aµν , le condizioni di omogeneità ed isotropia impongono la forma3:

Aµν = α(τ)gµν + β(τ)uµuν . (1.3)

Questo caratterizza il tensore energia-impulso totale che vale, facendo uso del terzo assunto, per un fluido

perfetto:

Tµν = −Pgµν + (P + ρ)uµuν , (1.4)

con ρ e P interpretabili come ’’densità di energia’’ e ’’pressione’’ totali, rispettivamente. Sostituendo la

(1.2) nelle (1.1), e utilizzando le proprietà della (1.4) si ottengono due sole equazioni indipendenti, che

3 Ricordiamo la definizione uα ≡ ∂xα∂x0

.

11

corrispondono nell’ordine alle componenti spazio-spazio e tempo-tempo delle equazioni di Einstein:

aa+ 2a2 + 2k = 4πG(ρ+ 3P )a , (1.5)

3a = −4πG(ρ+ 3P ) . (1.6)

Associando a queste ultime due l’equazione di conservazione del tensore energia-impulso, ∇µTµν = 0(anche nota come identità di Bianchi), si ottiene la:

d£(ρ+ P ) a3

¤dt

= Pa3 , prima equazione di Friedmann, (1.7)

ed elaborando insieme la (1.5) e (1.6) si ottiene:

µa

a

¶2=8πG

3ρ− k

a2, seconda equazione di Friedmann. (1.8)

Per potere utilizzare in maniera effettiva le ultime due equazioni, nelle incognite a, P , ρ, c’è bisogno di

una terza relazione, usualmente di tipo fenomenologico: l’equazione di stato del fluido, P = P (ρ). E’

più agevole porre la (1.7) nella forma:

d(ρa3)

da= −3Pa2, (1.9)

che rimane una pura scrittura formale fino a quando non sia assegnata l’equazione di stato; scritta in

questo modo, la (1.7) permette di studiare l’evoluzione di ρ (e quindi attraverso l’equazione di stato

anche di P ) in funzione del fattore di scala. Molto spesso si assume che l’equazione di stato sussista

nella forma:

P

ρ= w = γ − 1 = cost. ; (1.10)

con γ detto fattore adiabatico; i due casi estremi che abitualmente si prendono in esame sono quello di

particelle relativistiche e non relativistiche, usualmente detti, in cosmologia, ’’radiazione’’ e ’’materia’’.

Riportiamo quindi l’equazione di stato e la relazione fra il fattore di scala ed il tempo per questi due casi:

i ) Particelle relativistiche, o ’’Radiation Dominated Universe’’ (RD)

La (1.10) è caratterizzata da P = ρ/3; cioè γ = 4/3

ρ ∝ a−4 ;

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in presenza di sola radiazione e trascurando la curvatura, il fattore di scala evolve secondo la

legge:

a(t) ∝ t1/2 . (1.11)

ii ) Particelle non relativistiche, o ’’Matter Dominated Universe’’ (MD)

In questo caso la (1.10) è caratterizzata da P/T ∼ T/m ¿ 1, ovvero γ ∼ 1+, e quindi

P ∼ 0+; da ciò deriva per ρ l’equazione

ρ ∝ a−3 ; (1.12)

in presenza di sola materia e trascurando la curvatura, il fattore di scala evolve secondo la

legge:

a(t) ∝ t2/3 . (1.13)

Il quadro che si deduce dalle relazioni ricavate finora è quello di un cosmo il cui fattore di scala aumenta

con il passare del tempo, ovvero in continua espansione; è ragionevole ipotizzare (sebbene ci manchi lo

strumento formale per tale affermazione: la relazione temperatura-tempo, che verrà fornita nel seguito)

che la condizione di particelle relativistiche, per le quali sussiste la (1.11), si siano verificate ad istanti

più vicini al Big-Bang, mentre la (1.13) sia valida ad istanti successivi (ed in queste approssimazioni,

valida a tutt’oggi).

1.1.1 Grandezze Cosmologiche

La teoria della Relatività Generale permette di legare variabili o costanti di tipo cosmologico ad una

serie di grandezze direttamente osservabili. L’introduzione di queste ultime appare particolarmente in-

teressante, in funzione del fatto che la loro misurabilità è estremamente più semplice rispetto a quelle

di altre osservabili di tipo ’’diretto’’, come ad esempio i valori delle ρi delle varie specie. Il ’’redshift

cosmologico’’, la distanza e i parametri cosmologici H0 e q04 sono un campione di questa famiglia di

’’comodi parametri’’.

i ) Redshift cosmologico

4 Qui e nel seguito il pedice 0 indica la grandezza valutata a tutt’oggi, ovvero al tempo cosmologico attuale.

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In generale, quando una sorgente emette un fotone di lunghezza d’onda λ (misurata nel sistema

di riferimento della sorgente) tale particella sarà vista avere lunghezze d’onda differenti, λ0,

da differenti osservatori. Una grandezza che permette di stimare tale variazione è il ’’redshift’’

z:

z =λ0 − λλ

. (1.14)

E’ possibile mostrare (si veda ad esempio [1] ) che in un universo di FLRW, a causa del-

l’evoluzione del fattore di scala a(t), un fotone emesso con lunghezza d’onda λ al tempo t,

verrà osservato in un tempo successivo t0 con una lunghezza d’onda λ0 data da:

λ0 = λ(t)a0a(t)

. (1.15)

Di conseguenza, se il redshift è dovuto alla sola recessione cosmologica, in base alla (1.15) la

(1.14) si scrive

1 + z =a0a(t)

. (1.16)

ii ) Parametri cosmologiciH0 e q0.

Sviluppando in serie a(t) intorno al valore attuale è possibile ottenere

a(t) ' a0·1 +

a0a0(t− t0) + a0

2a0(t− t0)2

¸; (1.17)

usualmente si introducono le grandezze

H(t) ≡ a(t)

a(t), (1.18)

q(t) ≡ − aaa2

; (1.19)

detti rispettivamente ’’parametro di Hubble’’ e ’’parametro di decelerazione’’. In termini di

queste due grandezze la (1.17) si scrive

a(t) ' a0·1 +H0(t− t0)− 1

2H20q0(t− t0)2

¸. (1.20)

iii ) Distanza

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La definizione di distanza propria in cosmologia è:

dpr(t) ≡Z t0

t

dt0

a(t0)= a(t)

Z r

0

dr0√1− kr02 ; (1.21)

in tale definizione, che fa uso della metrica FRW, r rappresenta la coordinata radiale comovente

della sorgente osservata, che ha emesso al tempo t < t0; per ulteriori dettagli su tale definizione

e sui problemi dell’interpretazione teorica dell’oggetto di misura di distanza in ambito cosmo-

logico si veda ad esempio [1] e [2] . Tale definizione deve essere comunque legata a quelle

che sono le usuali definizioni di distanza in astronomia, in genere legate alla luminosità, ap-

parente o intrinseca, dell’oggetto osservato. Rispettivamente, indichiamo queste ultime due

grandezze con L e l e ricordiamo le loro definizioni:

L ≡ potenza totale integrata su tutte le frequenze e su tutto l’angolo solido

l ≡ energia raccolta dall’osservatore per unità di tempo e di superficie.

La distanza di luminosità, dL, abitualmente utilizzata in cosmologia è:

dL ≡rL

4πl; (1.22)

quest’ultima è legata alle magnitudini relativam ed assolutaM (grandezze in uso in astrono-

mia) di un oggetto celeste tramite la relazione

m−M = 5 log10 dL − 5 , (1.23)

quando dL sia espresso in pc. E’ possibile, attraverso la (1.21), mostrare:

dL = (1 + z)

Z z

0

dz0

H(z0), (1.24)

che, per z ¿ 1, è approssimabile come:

dL(z) ∼ 1

H0

·z +

1

z(1− q0) z2

¸. (1.25)

Tramite la (1.23) è possibile allora stabilire una relazione m vs z, in cui H0 e q0 appaiono come

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parametri di proporzionalità ai differenti ordini di sviluppo. La grande utilità di tale relazione (nota

come ’’diagramma di Hubble’’) è quella di collegare due grandezze osservabili (in maniera relativamente

semplice, inoltre) quali la magnitudine relativa ed il redshift. ’’Fittando’’ i punti sperimentali ottenuti

nel piano m − z con funzioni appropriate è possibile ottenere i valori dei parametri cosmologici. In

particolare il valore oggi accreditato perH0, usualmente espresso in funzione di h0 definito da:

H = h 100Km s−1Mpc−1 ,

è: 720± 80 Km s−1Mpc−1. La misura di q0 risulta di più difficile attuazione, dipendendo dall’osser-

vazione di oggetti a redshift più elevato; a tutt’oggi comunque ci sono elementi (quali ad esempio i recenti

studi sulle supernovae ad alto redshift) che lasciano supporre che il suo valore sia minore di zero (uni-

verso in espansione accelerata), contrariamente a quanto creduto in passato. Un’altra grandezza in uso

in cosmologia è la densità critica ρc definita come la densità di un universo spazialmente piatto (k = 0);

attraverso la (1.8) si ha dunque:

ρc(t) ≡3H(t)2

8πG. (1.26)

In questo modo il termine di curvatura k/a2 risulta positivo, nullo o negativo a seconda che ρ > ρc,

ρ = ρc, ρ < ρc, rispettivamente. Assumendo che l’energia dell’universo possa essere attribuita a diverse

specie i separatamente, si definisce:

Ωi ≡ ρiρc=8πG

3H2ρi . (1.27)

La geometria dello spazio tempo può essere allora studiata, quando più specie i siano considerate, attra-

verso la variabile Ω ≡PiΩi.

Quanto detto finora ci permette di studiare l’evoluzione dell’universo a grandi linee, senza entrare nel

dettaglio della descrizione del plasma; l’introduzione della teoria cinetica dei fluidi, stante il terzo assunto

del SCM, ci permetterà di individuare ulteriori proprietà dell’universo in espansione e di caratterizzare

in maniera formale i momenti più interessanti dell’evoluzione cosmologica.

1.2 Teoria cinetica nell’universo primordiale

La teoria cinetica classica (non quantistica) descrive una o più specie di gas diluiti, costituiti da N parti-

celle in un volume V; gli effetti quantistici sono da considerarsi trascurabili quando la lunghezza d’onda

16

di De Broglie associata ad una particella di massam:

λ =2π√2kBTm

, (1.28)

sia molto minore della distanza caratteristica d fra le stesse particelle5: poiché d ∝ n−1/3, con n densità

della specie, la condizione di approssimazione classica λ¿ d si scrive

n¿ (2mT )3/2

(2π)3. (1.29)

Assumiamo per ora che per le specie di interesse tale relazione sia soddisfatta. La grandezza di inter-

esse nella teoria che stiamo per presentare è la funzione di distribuzione della specie i-esima, fi(~r, ~p, t),

definita in modo tale che fi(~r, ~p, t)d~rd~p sia il numero di particelle della specie i-esima che, al tempo t,

giacciono in un elemento di volume d~r attorno a ~r ed in uno di volume d~p intorno a ~p nello spazio degli

impulsi. Secondo questa definizione, seNi è il numero totale di particelle della specie in questione, vale

la seguente condizione (di normalizzazione):Zfi(~r, ~p, t)d~rd~p = Ni

e, se la funzione di distribuzione spaziale è uniforme nel volume V:Zfi(~r, ~p, t)d~p =

NiV= ni .

Per semplicità nel seguito, a meno che non sia esplicitamente notato, considereremo un sistema ad una

sola specie, omettendo così il pedice i nella f . Per definizione, una f costante nel tempo (o la cui vari-

azione sia molto lenta rispetto ai tempi caratteristici dei processi di interesse) è una distribuzione di

equilibrio: in questo caso ha senso introdurre grandezze di tipo termodinamico per descrivere il sistema.

La f (1) ≡ f/N , normalizzata ad 1, può essere usata come distribuzione di probabilità per determinare

le variabili termodinamiche ’’mediando’’ sull’intero spazio degli impulsi le grandezze dinamiche cor-

rispondenti. Lo scopo della teoria cinetica è comunque quello, noto che sia il tipo di interazione fra le

particelle, di determinare la funzione di distribuzione, anche quando questa non sia di equilibrio. Per un

processo del tipo

1 + 2↔ 10 + 20 ,

5 Per dettagli riguardo a tale proposito vedi anche il paragrafo 2.4.

17

cioè un processo a due corpi in ingresso e due corpi in uscita, considerato per semplicità rispetto ai

possibili processi a molti corpi, l’equazione che stiamo cercando è:µ∂

∂t+~p1m·∇r + ~F ext1 ·∇p1

¶f(1)1 =

=

Zd~p2(2π)3

d~p01(2π)3

d~p02(2π)3

(2π)4δ(4)(pfin − pin)|Tfi|2× (1.30)

×hf(1)0

1 f(1)0

2 (1± f (1)1 )(1± f (1)2 )− f (1)1 f(1)2 (1± f (1)01 )(1± f (1)02 )

i,

con il segno + che si applica nel caso in cui le particelle siano bosoni ed il segno - qualora siano fermi-

oni. Questa relazione è nota come ’’equazione di Boltzmann’’ o ’’del trasporto’’: essendo un’equazione

integro-differenziale, non lineare, alle derivate parziali per la distribuzione f , è facile comprendere come

una sua soluzione analitica sia possibile solo in pochi casi, e ricorrendo ad approssimazioni; usualmente

essa viene studiata in maniera numerica. Il risultato ottenuto può essere esteso a

i ) fluidi multispecie,

ii ) termini di interazione di tipo differente,

iii ) una formulazione relativisticamente invariante;

è a questo ultimo caso che siamo particolarmente interessati, per potere applicare la teoria cinetica ad

un universo in espansione secondo le previsioni dei modelli FLRW.

1.2.1 Formulazione relativistica

L’equazione di Boltzmann può essere vista come una relazione operatoriale

L [f ] = C [f ] (1.31)

con L l’operatore differenziale di Liouville e C l’operatore integrale collisionale; da quanto detto nel

paragrafo precedente, in caso non relativistico l’operatore di Liouville è:

Lclass =∂

∂t+~p

m·∇r + ~F ext ·∇p . (1.32)

Generalizzando questa relazione al caso relativistico si ha (per dettagli in tale trattazione si veda ad

18

esempio [4] ):

LGR = pµ ∂

∂xµ− pαpβΓµαβ

∂pµ+ fµ

∂pµ, (1.33)

dove Γµαβ sono i coefficienti di connessione affine. In assenza di forze esterne, la (1.33) si scrive

LGR = pµ ∂

∂xµ− pαpβΓµαβ

∂pµ, (1.34)

inoltre le ipotesi dei modelli di FLRW riducono la f ad una funzione di due sole variabili, come ad

esempio x0 e |~p|, o equivalentemente x0 e p0(≡ E). Scrivendo la (1.34) in termini di queste ultime

coordinate e del fattore di scala a si ottiene:

LGR = E∂

∂t− aa|~p|2 ∂

∂E. (1.35)

Risulta utile, per l’uso che si farà dell’equazione di Boltzmann e per una più chiara visualizzazione del

problema, esprimere il membro sinistro della (1.31) in termini della variabile macroscopica nχ, densità

numerica della specie χ, definita dalla seguente relazione di normalizzazione:

nχ(t) = gχ

Zd~p

(2π)3fχ(E, t) , (1.36)

dove con gχ si è indicata la molteplicità di spin della particella in esame. Assumendo che la specie χ

interagisca solo attraverso la reazione

χ+ a+ ...+ g ↔ i+ j + ...+ z , (1.37)

usando la (1.36) nella (1.31) si può scrivere la seguente equazione:

dnχdt

+ 3nχH(t) = gχ

Zd~p

(2π)3EχC [fχ] = (1.38)

= −ZdΠχdΠa...dΠgdΠidΠj...dΠz(2π)

4δ(4)(pχ + pa + ...+ pg − pi − pj − ...− pz)×

× £|M |2tot→fχfa...fg(1± fi)(1± fj)...(1± fz)− |M |2tot←fifj...fz(1± fχ)(1± fa)...(1± fg)¤ ;

dove si è usato (e verrà usato anche in seguito):

•) dΠh ≡ d3~ph(2π)32Eh

,

19

•) |M |2tot→ ≡P |M |2 , somma dei moduli quadri degli elementi di matrice che governano il

processo (1.37) nella direzione → (di distruzione di χ) su tutti i gradi di libertà interni delle

specie entranti ed uscenti.

•) |M |2tot← , analogo alla precedente definizione, però nella direzione← della (1.37).

Come detto anche precedentemente, i segni + e - si riferiscono rispettivamente a bosoni e fermioni; nel

limite classico (1±fh) tende a 1. E’ bene ricordare che, valendo la ’’microreversibilità’’ (o T-invarianza)

sia per le reazioni elettromagnetiche che per quelle forti (ed in prima approssimazione anche per quelle

deboli), si può scrivere:

|M |2tot→ = |M |2tot← ≡ |M |2tot ;

tale relazione va sotto il nome di ’’Principio del bilancio dettagliato’’ e come vedremo sarà di grande

utilità nel seguito.

1.2.2 Grandezze macroscopiche ed equilibrio termodinamico

Come anticipato nel paragrafo precedente è possibile, tramite la f , definire una serie di grandezze macro-

scopiche. Introduciamo ora brevemente quelle che sono di maggiore interesse per i nostri scopi:

i ) nµ, densità di corrente di particelle

nµ(x, p) ≡ gZfpµ

p0d3~p

(2π)3(1.39)

A causa dell’isotropia, nel sistema comovente la sola componente non nulla è:

n0(t) ≡ gZfd3~p

(2π)3, (1.40)

ovvero la densità numerica di particelle, coerentemente con la definizione (1.36). Utilizzando

l’operatore di derivata covariante∇µ si può mostrare (ad esempio in [5] ) che:

∇µnµ = 1

a3d

dt(a3n) . (1.41)

Da quest’ultima si può ricavare la condizione di conservazione del numero di particelle:

na3 = cost. . (1.42)

20

ii ) Tµν , tensore energia impulso

Tµν ≡ gZfpµpν

p0d3~p

(2π)3(1.43)

E’ possibile attraverso quest’ultima relazione ricavare l’espressione della densità di energia ρ:

T 00 ≡ gZfp0

d3~p

(2π)3= ρ ; (1.44)

tenendo conto dell’isotropia spaziale si può ricavare anche l’espressione della pressione P :

T ab ≡ gZf|~p|2p0

d3~p

(2π)3= gabP = −δabP . (1.45)

iii ) sµ , densità di corrente di entropia

sµ ≡ −gZ[f log f ∓ (1± f) log(1± f)] p

µ

p0d3~p

(2π)3(1.46)

con i segni superiori ed inferiori riferiti rispettivamente a bosoni e fermioni. Nel limite in

cui gli effetti di degenerazione siano rascurabili, come già osservato precedentemente (1± f)è approssimabile a 1 e quindi, sviluppando al primo ordine la definizione appena fornita, si

ottiene la familiare forma del funzionale classico:

sµ ≡ −gZ[f log f − f ] p

µ

p0d3~p

(2π)3. (1.47)

Per l’isotropia spaziale l’unica componente non nulla è:

s0 ≡ s = −gZ[f log f − f ] d

3~p

(2π)3, (1.48)

che verrà semplicemente chiamata densità di entropia. Utilizzando quest’ultima nell’equazione

di Boltzmann si ottiene:

∇µsµ ∝ −ZC|f | log f d3~p

(2π)3. (1.49)

Le precedenti espressioni si possono interpretare secondo l’usuale significato termodinamico solo

quando il sistema sia all’equilibrio; come vedremo, tale concetto è non banale nell’ambito della teoria

che stiamo descrivendo. Formalmente la funzione di distribuzione feq è detta di equilibrio termodinamico

21

se:

L [feq] = 0 ; (1.50)

attraverso la (1.31) l’ultima relazione implica l’annullarsi del termine collisionale. Ricordando la forma

di tale termine -per semplicità nel caso di una interazione a due corpi quale la (1.37)- ci aspettiamo che

perché tale relazione sia soddisfatta valga:

feq(p1)feq(p2) = feq(p01)feq(p

02) , (1.51)

o, equivalentemente:

log (feq(p1)) + log (feq(p2)) = log¡feq(p

01)¢+ log

¡feq(p

02)¢

. (1.52)

Usando la conservazione del quandrimpulso,∇µTµν = 0, si nota che la (1.52) è soddisfatta da:

log (feq(p, x)) = α(x)− βµ(x)pµ , (1.53)

con α(x) campo scalare e βµ(x) campo quadrivettoriale di tipo tempo. Come già detto nel precedente

paragrafo, a causa dell’omogeneità e dell’isotropia dei modelli di FLRW tali campi possono essere fun-

zione solo del tempo t(≡ x0) e solo la componente µ = 0 di βµ è non nulla. In analogia con la nota

forma della distribuzione di Boltzmann possiamo identificare α con il rapporto tra il potenziale chim-

ico e la temperatura, α(t) = µ(t)/T (t), e β0 ≡ β con l’inverso della temperatura, β(t) = T−1(t).

Sostituendo la (1.53) nella (1.50), usando per L la forma (1.35), si ottiene la condizione:

αE − βE2 + β aa|~p|2 = 0 ; (1.54)

ricordando le definizioni appena date per β, β(t) = T−1(t), ricaviamo che β 6= 0 e la (1.54) si può

scrivere nella forma:

α

β= E − β

β

a

a

|~p|2E

. (1.55)

Si può mostrare che, con le definizioni date per α e β, la condizione di equilibrio per la funzione di

distribuzione equivale ad una condizione di stazionarietà per la metrica; quest’ultima condizione, salvo

casi particolari, non è soddisfatta: l’universo primordiale non si è mai trovato in condizioni di equilibrio

termodinamico propriamente detto. I casi in cui la (1.55) può essere soddisfatta sono i due estremi

22

possibili per la composizione del plasma cosmico:

1 ) Plasma composto da sole specie per cui E ' |~p|, om = 0 (particelle relativistiche).

In questo caso la (1.55) si riduce a

α

Eβ= 1− β

β

a

a, (1.56)

che ammette la soluzione:

α = 0→ α = cost.

β

β=a

a→ β ∝ a

da cui risulta T ∝ a−1, e poiché p ' E ∝ a−1, allora βE =costante. Secondo la (1.53) la feqha la forma

feq(E, t) ∝ exp [α− βE] = exp·µ(t)

T (t)− E

T (t)

¸, (1.57)

che in questo caso, essendo come appena mostrato µ(t) = µ0 e a0T0 = a(t)T (t), diventa:

feq(E, t) ∝ exp·µµ0T0− E

T0

¶a(t)

a0

¸; (1.58)

che può essere letta -attraverso la (1.16)- come una distribuzione di Boltzmann in cui la tem-

peratura sia ’’redshiftata’’, per effetto dell’espansione cosmologica, di un fattore (1 + z).

2 ) Plasma composto da sole specie per cui E ' m+ |~p|22m (particelle non relativistiche)

In questo caso la (1.55) si riduce a:

α

β' m+ |~p|

2

2m− ββ

a

a

|~p|2m

, (1.59)

che ammette la soluzione:

α−mβ = 0→ α−mβ = cost.

β

β=1

2

a

a→ β ∝ a2 ;

da queste ultime relazioni si ricava che T ∝ a−2. Allora la (1.57) assume la forma (ricordando

23

che E ≡ p0):

feq(E, t) ∝ exp·α− βm− β |~p|

2

2m

¸= cost× exp

"− |~p|22mT0

µa(t)

a0

¶2#; (1.60)

che può essere vista come un distribuzione di Boltzmann, con la temperatura questa volta

’’redshiftata’’ di un fattore (1 + z)2.

In base a quanto notato precedentemente, un universo di FLRW non ammette equilibrio termodinam-

ico; tuttavia, per potere avere almeno un quadro dell’evoluzione del plasma che lo costituisce, possiamo

assumere che in un intervallo temporale abbastanza remoto l’universo sia stato caratterizzato da una se-

rie di differenti equilibri termodinamici del plasma di particelle relativistiche che lo componevano6, con

una temperatura che è quindi diminuita con una legge del tipo T (t) ∝ a−1(t). Ricordando la forma della

funzione di distribuzione di equilibrio per la specie i-esima:

fi(p) =1

exp³Ei−µiTi

´± 1

, (1.61)

con i segni − e + che valgono rispettivamente per specie bosoniche e fermioniche, possiamo adesso

scrivere le formule per le seguenti grandezze termodinamiche di interesse:

ni = gi

Zd3~pi(2π)3

fi(p) =gi2π2

T 3D±1,1(xi, yi) , (1.62)

ρi = gi

Zd3~pi(2π)3

Eifi(p) =gi2π2

T 4D±2,1(xi, yi) , (1.63)

Pi = gi

Zd3|~pi|2(2π)3

|~p|23Ei

fi(p) =gi6π2

T 4D±0,3(xi, yi) , (1.64)

hEii = ρini

; (1.65)

dove si è usata la funzioneD±a,b(x, y) definita come:

D±a,b(x, y) ≡Z ∞

x

va¡v2 − x2¢b/2

exp (v − y)± 1dv , (1.66)

6 Tale assunzione è giustificata dalla dipendenza dei tassi di reazioni dalla temperatura, ed in particolare dalla loro ????

24

e

xi ≡ miTi

, yi ≡ µiTi

.

In generale queste funzioni non sono calcolabili in forma analitica: delle espressioni semplici si possono

ottenere in vari casi limite interessanti per la teoria; essi verranno illustrati qui di seguito senza peraltro

riportare nel dettaglio i conti necessari, per eventuali approfondimenti sul modo di arrivare ai risultati

presentati si rimanda a [4] .

1 ) Specie non relativistiche (Ti ¿ mi).

Si assume exp(v − y) À 1, condizione che, posta nella (1.66) permette di stimare, al primo

ordine in x−1 = Timi

:

ni ' giµmiTi2π

¶3/2exp

µ−mi − µi

Ti

¶·1 +

15

8

T

mi

¸, (1.67)

ρi ' niµmi +

3

2Ti

¶,

Pi ' niTi ¿ ρi ,

n ≡ ni+ − ni− ' giµmiTi2π

¶3/2exp

µ−miTi

¶·1 +

15

8

T

mi

¸sinh

³miT

´;

dove con T si è indicata la temperatura della componente fotonica e con n la differenza fra

particelle (ni+) ed antiparticelle (ni−) della stessa specie7, grandezza di forte interesse in cos-

mologia .

2 ) Specie relativistiche (Ti Àmi).

In questo caso, risultando xÀ 1, si ha:

D±a,b(x, y) ≡Z ∞

x

va+b

exp (v − y)± 1dv ;

in tale approssimazione le funzioni dipendono non più da a o da b, ma dalla loro somma. Di

7 Particelle ed antiparticelle possono annichilare in bosoni neutri (ad esempio in una annichilazione con produzionedi fotoni); il numro di tali bosoni non è conservato e quindi il loro potenziale chimico è nullo. Ricordando che lacondizione di equilibrio termodinamico impone che la somma dei potenziali chimici delle specie entranti sia ugualealla somma di quelli delle specie uscenti si ha µi+ = µi−, condizione necessaria per ottenere l’ultima fra le ultimerelazioni.

25

conseguenza si ha:

Pi =ρi3

. (1.68a)

Si considerano usualmente i due sottocasi interessanti di particelle non degeneri o debolmente

degeneri:

i ) caso non degenere (Ti À µi):

ni ' giκn ζ(3)π2T 3i , (κn =

3

4(F), 1(B) ), (1.69)

ρi ' giκρπ2

30T 4i , (κρ =

7

8(F), 1(B) );

ricordando che ζ(3) ' 1.2021.ii ) caso debolmente degenere (µi < 0, |µi| < Ti):

ni ' giπ2T 3i exp

µµiTi

¶, (1.70)

ρi '3giπ2T 4i exp

µµiTi

¶,

n ≡ ni+ − ni− ' 2giπ2T 3i sinh

³µiT

´.

Si può dimostrare (ad esempio in [5] ) che in tutti i casi descritti, se la specie i-esima è all’equilibrio,

vale:

si =ρi + Pi − µini

Ti. (1.71)

Utitlizzando tutte le grandezze introdotte, la densità di energia totale si scrive:

ρ = T 4Xk

µTkT

¶4 gk2π2

D±2,1(xk, yk) (1.72)

e la pressione totale:

P = T 4Xk

µTkT

¶4 gk6π2

D±0,3(xk, yk) , (1.73)

con le somme che corrono su tutte le specie k (in equilibrio termodinamico alla temperatura Tk).

26

In un universo in cui siano presenti specie relativistiche e non, è facile osservare come i fattori espo-

nenziali del tipo exp (−m/T ) sopprimano i contributi dovuti alle specie non relativistiche e consentano

l’approssimazione:

ρ ' π2

30g∗T 4 ' 3P , (1.74)

con la funzione g∗(T ) definita come:

g∗ =XB

gi

µTiT

¶4XF

7

8gi

µTiT

¶4, (1.75)

con le somme che corrono sui soli gradi di libertà relativistici. In questa approssimazione è allora possi-

bile dare una stima della densità di entropia totale:

s ' 2π2

45g∗sT 3 , (1.76)

avendo usato la funzione

g∗s =XB

gi

µTiT

¶3XF

7

8gi

µTiT

¶3; (1.77)

concidente con la (1.75) solo nel caso in cui tutte le specie siano all’equilibrio termico tra di loro; dalla

conservazione dell’entropia otteniamo infine:

a(T )Tg1/3∗s (T ) ' cost. ⇐⇒ 3

da

a= 3

dT

T− dg∗sg∗s

. (1.78)

Attraverso queste stime è possibile, come mostreremo in breve, stabilire una relazione tra il tempo e la

temperatura: è possibile cioè conoscere il tempo trascorso dal Big-Bang quando l’universo sia ad una

determinata temperatura; questo risulterà di rilevante importanza quando vorremo effettuare una stima

dei tempi scala della vita dell’universo, i cui eventi ’’salienti’’ avvengono a temperature caratteristiche.

Ricordiamo la definizione H(t) ≡ a(t)/a(t), da questa si ha:

t− ti =Z a(t)

a(ti)

1

H(a)

da

a; (1.79)

inoltre, nell’approssimazione della (1.74) possiamo scrivere la seconda equazione di Friedmann nella

forma:

H(T ) 'r8πG

3

π2

30g∗T 4 . (1.80)

27

Usando le ultime tre equazioni (1.78, 1.79, 1.80) si ricava (ponendo ti = 0 per ai = 0):

t = −r

45

4Gπ3

Zg−1/2∗

µ1 +

1

3

T

g∗sdg∗sdT

¶dT

T 3; (1.81)

quando la g∗ e la g∗s sono approssimativamente costanti, ovvero lontano da transizioni di fase o da

temperature prossime alla massa delle particelle, la (1.81) si semplifica fornendo una preziosa relazione:

t ∝ T−2 , (1.82)

con il tempo espresso in secondi e la temperatura in MeV.

1.3 ’’Freeze out’’ e nucleosintesi primordiale

Quanto detto nel precedente paragrafo è valido in caso di equilibrio termodinamico, come ampiamente

discusso. E’ quindi opportuno chiarire il concetto di equilibrio termodinamico di cui si è fatto uso:

quando consideriamo una sola specie l’equilibrio termodinamico è identificato con l’equilibrio termico

fra le particelle: se i processi avvengono con un tasso sufficientemente elevato le particelle hanno in

media la stessa velocità ed il fluido un’unica temperatura. Più complesso è il caso in cui il plasma sia

costituito da più specie: in questo caso l’equilibrio cinetico non è più sufficiente per garantire l’equilibrio

termodinamico: bisogna imporre anche l’equilibrio chimico. Ciò significa che i processi che convertono

le particelle di specie diversa l’una nell’altra devono essere all’equilibrio e, come brevemente accennato

in precedenza, ciò si può esprimere attraverso la condizione:

Xi

µi = 0 , (1.83)

dove tutti i potenziali chimici della specie i-esima devono essere presi col giusto segno. Sebbene la

teoria cinetica dell’equilibrio sia estremamente elegante e permetta di comprendere molto riguardo alla

dinamica del plasma di un universo in espansione, i fenomeni più interessanti della storia cosmica sono

caratterizzati dall’abbandono dell’equilibrio termodinamico; in particolare è facile convincersi, in base

alla (1.67), che se qualunque specie fosse rimasta in equilibrio termodinamico fino ad oggi la sua ab-

bondanza sarebbe pressocché trascurabile. La fuoriuscita dall’equilibrio termodinamico di una specie è

quindi necessaria perché essa sia osservabile a tutt’oggi; in maniera euristica possiamo immaginare la

fuoriuscita dalla condizione di equilibrio come un ’’congelamento’’ dei processi di interazione fra specie

28

diverse, un disaccoppiamento delle reazioni chimiche e dinamiche. Tale disaccoppiamento va usual-

mente sotto il nome di ’’freeze out’’. Nelle fasi di fuoriuscita dall’equilibrio termodinamico di una specie

dal resto del plasma, quello che viene sicuramente meno è l’equilibrio chimico, mentre quello cinetico

può essere conservato oppure no. Un criterio che è abitualmente usato per definire la condizione di

freeze out di una specie in un universo in espansione è il seguente: consideriamo una specie interagente

con il plasma attraverso processi che avvengono con un rate8 Γ (tale grandezza fornisce una stima della

’’velocità’’ del processo di interazione), nel contempo l’universo sta espandendosi con un tasso H; è

ragionevole pensare che se il tasso di interazione delle particelle è superiore al tasso di espansione del-

l’universo, Γ ≥ H, le reazioni siano efficaci e consentano alle differenti specie di ’’dialogare’’ e rimanere

in equilibrio, posto che lo fossero precedentemente (o di tendere all’equilibrio, se tale condizione non

era verificata precedentemente). Se il tasso di interazione è minore del tasso di espansione dell’universo,

Γ ≤ H, le particelle si allontanano le une dalle altre più velocemente di quanto riescano ad interagire fra

di loro: le reazioni diventano inefficaci. Per un processo caratterizzato da un rate Γ è quindi possibile

definire la temperatura di disaccoppiamento TD attraverso la:

Γ(TD) = H(TD) . (1.84)

Tramite quest’ultima relazione è possibile allora stimare la temperatura (e quindi il tempo cosmologico)

a cui differenti specie si sono disaccoppiate dal plasma, tracciando una storia ’’termica’’ dell’universo.

1.3.1 Nucleosintesi primordiale

Come già detto precedentemente la Nucleosintesi Primordiale è il fenomeno di sintesi di nuclei pesanti

dai protoni e neutroni rimasti dopo il disaccoppiamento delle interazioni deboli. Descriveremo ora tale

fenomeno in maniera dettagliata facendo uso della teoria cinetica in un universo in espansione studiata

nel paragrafo precedente. Quando la temperatura del plasma, costituito da e+/e−, γ, νx/νx e tracce di

barioni, è dell’ordine di 10 MeV l’equilibrio cinetico è mantenuto dalle reazioni di scattering elastico

ed anelastico dovute alle interazioni elettromagnetiche e deboli. In questo caso la densità numerica dei

nuclidi è fornita dalla (1.67)9:

ni ' giµmiTi2π

¶3/2exp

µ−mi − µi

Ti

¶; (1.85)

8 Numero di eventi per unità di tempo.9 Trascurando le correzioni al primo ordine in xi, le quali hanno effetti inferiori allo 0.1%: di gran lunga al di sotto dell’errore

indotto nei risultati dalle incertezze sperimentali sui rates di reazione.

29

usualmente in ambito di BBN si usa introdurre le grandezze adimensionali:

Xi ≡ ninB

, (1.86)

η ≡ nBnγ

; (1.87)

con nB ≡PiAini, numero totale di barioni per unità di volume comovente, ed η che esprime il rap-

porto numerico fra barioni e fotoni. Alle temperature in esame le reazioni elettromagnetiche e forti fra

nuclidi sono abbastanza attive da riuscire a mantenere l’equilibrio chimico fra i barioni, in base alla

caratterizzazione formulata precdentemente (1.83) vale allora:

µi = Ziµp + (Ai − Zi)µn ; (1.88)

dove i pedici p e n indicano rispettivamente grandezze riferite ai protoni ed ai neutroni. In tali condizioni

le abbondanze dei differenti elementi sono dettate dalle condizioni di equilibrio fra le specie ed in base

alle precedenti relazioni (1.85, 1.86, 1.87, 1.88) si ricava:

Xi =

Ãζ(3)

r8

π

!Ai−1giA

3/2i

2

µT

mi

¶ 3

2(Ai−1)

ηAi−1XZip X

Ai−Zin eBi/T , (1.89)

dove si è introdotta l’energia di legame Bi del nuclide i-esimo attraverso la relazione:

Bi = Zimp + (Ai − Zi)mn −mnucli , (1.90)

avendo indicato con mnucli la massa dell’i-esimo nuclide ed usando per i pedici la stessa convenzione

della (1.88). In termini diQ−valore10 Bi si può leggere come il Q-val della reazione di formazione del

nuclide i-esimo a partire da neutroni e protoni. E’ interessante osservare come nella (1.89) non sia solo

il fattore esponenziale in Bi a dominare la produzione di una specie, ma anche il termine ’’entropico’’

ηAi−1 che favorisce specie più leggere, essendo η ¿ 1. Nel contempo, neutroni e protoni sono tenuti

all’equilibrio chimico attraverso le reazioni deboli:

n+ νe ↔ e− + p ,

10 Vedi per la definizione di questa grandezza il paragrafo sui processi energetici nelle stelle, o la sezione sull’astrofisica nucleare.

30

n+ e+ ↔ νe + p ,

n↔ νe + e− + p .

Ricordando che particelle ed antiparticelle hanno potenziali chimici opposti, ovvero che vale la relazione

µn + µνe = µe− + µp

possiamo, attraverso la (1.85), stimare il rapporto fra le abbondanze di neutroni e protoni:µXnXp

¶eq

= e−Qn/T eµe−µνe

T , (1.91)

con Qn = mn −mp. In casi standard, durante la BBN gli elettroni possono essere considerati in prima

approsimazione non degeneri, ovvero: eµeT ∼ 1; condizione molto importante per la BBN standard è che

la non degenerazione valga anche per i neutrini11, sotto tali ipotesi la (1.91) diventa:µXnXp

¶eq

= e−Qn/T . (1.92)

Il freeze out delle reazioni deboli avviene ad una temperatura di T ∼ 1MeV , diventando le reazioni

deboli troppo poco efficaci nell’ ’’intercambiare’’ fra di loro protoni e neutroni; l’ultima relazione fornita

garantisce allora che al freeze out il numero di protoni e neutroni sia paragonabile, (Xn/Xp) ∼ 1/7,

è infatti molto semplice verificare, in base alla (1.92), come ad un’abbassamento della temperatura di

freeze out corrisponda una minore l’abbondanza di neutroni: il freeze out ’’salva’’ la presenza della specie

neutronica all’interno del plasma. Inoltre, come già fatto notare, le condizioni di equilibrio favoriscono

la formazione di specie con alta energia di legame e bassa massa atomica: in questa fase di equilibrio,

che precede la nucleosintesi primordiale e ne prepara le ’’condizioni iniziali’’, la componente barionica

del plasma è sostanzialmente costituita da neutroni, protoni e nuclei di deuterio.

1.4 Equazioni della Nucleosintesi Primordiale

Dalla trattazione effettuata fino ad ora emerge chiaramente che le variabili di interesse per lo studio della

11 In caso contrario si ha la codiddetta ’’degenerate BBN’’; per approfondimenti su tale argomento, che non rientra negli intenti diquesto lavoro di tesi, si veda ad esmpio (??).

31

nucleosintesi primordiale sono:

a, T, Tν , µe, ni, nνx

con l’indice i che corre su tutti i nuclidi e l’indice x che corre sulle differenti specie dei neutrini (l’uso dei

potenziali chimici è equivalente a quello della densità numerica). E’ bene notare che il disaccoppiamento

dei neutrini avviene in epoca precedente alla nucleosintesi, non essendo in questo lavoro interessati ad

aspetti particolari della loro evoluzione né a dettagli sulle caratteristiche del fondo di neutrini disaccop-

piati assumeremo l’approssimazione di ’’disaccoppiamento istantaneo’’: la temperatura dei neutriniTν(t)

viene considerata uguale alla temperatura fotonica fino a quando quest’ultima non raggiunga il valore

di disaccoppiamento TD ∼ 2.3MeV ; dopo tale istante il valore della temperatura viene posto uguale al

suo valore ’’asintotico’’. Le informazioni sulla densità di specie neutriniche12 è racchiusa nel parametro

Neff , definito da:

Neff = 3.04 + 3

·30

7

³µνπ

´2+15

7

³µνπ

´4¸(1.93)

attraverso la relazione

ρν =

µ7

8

¶µ4

11

¶4/3ργNeff ; (1.94)

è chiaro che in caso di standard BBN la (1.93) porga la forma Neff = 3.04, dove il termine ∆N ≡Neff − 3 = 0.04 parametrizza gli effetti causati dall’approssimazione di un decoupling istantaneo, non

corrispondente alla realtà fisica del fenomeno. Dopo quanto detto le incognite rimaste sono:

a, T, ne, Xi, nB ,

cerchiamo quindi di comprendere quali siano le equazioni da usare per porre formalmente il problema

della BBN. L’equazione per a è la seconda equazione di Friedmann:

1

a

da

dt=

r8πG

3ρtot . (1.95)

L’equazione di conservazione del numero barionico detta le condizioni di evoluzione per nB:

1

dnB

nBdt= −31

a

da

dt; (1.96)

12 Usualmente in BBN si considera il contributo di tre specie ’’massless’’ di neutrino, sebbene ultimamente la crescente precisioneconsenta la speranza di riuscire a trarre informazioni su altri possibili gradi di libertà, paramettrizzati in una variazione suNeff .

32

mentre la relazione per il potenziale chimico degli elettroni si ottiene dalla condizione di neutralità elet-

trica:

ne− − ne+ = np , (1.97)

essendo infatti:

np =Xi

Zini = nBXi

ZiXi , (1.98)

con l’indice i che corre su tutti i nuclidi. Vale inoltre:

ne− − ne+ = T 3L(meT,µeT) , (1.99)

dove si è usata la funzione:

L(u, v) ≡ 1

π2

Z ∞

uxdx

px2 − u2

µ1

ex−v + 1− 1

ex+v + 1

¶; (1.100)

Di conseguenza avremo, dalle (1.97, 1.98, 1.99):

nBXi

ZiXi = T 3L(meT,µeT) . (1.101)

Dalla prima equazione di Friedmann (1.7) si ricava la relazione fra temperatura e tempo:

dT

dt= −31

a

da

st(ρem + Pem)

µdρemdT

¶, (1.102)

dove abbiamo indicato con il pedice em tutte e sole le specie accoppiate (ovvero ancora interagenti)

con il plasma elettromagnetico (i.e. i neutrini non sono comprese fra queste a temperature inferiori a

2.8MeV ); le funzioni della temperatura ρem e Pem sono quindi la somma delle relazioni dovute alle

singole specie:

•) ρν e PνValgono le relazioni (1.94, 1.68a), ricordando che dopo il freeze out questa specie non è più

legata al plasma elettromagnetico.

•) ργ e PγSpecie relativistica per eccellenza, valgono le relazioni del caso non degenere (1.69), per pre-

visioni sufficientemente accurate è necessario tenere conto di effetti di temperatura finita, si

33

veda [6] .

•) ρe e PeSebbene durante la BBN il potenziale chimico degli elettroni sia molto piccolo, esso è tuttavia

non nullo e bisogna quindi utilizzare le relazioni termodinamiche non semplificate (1.63, 1.64).

Anche in questo caso è necessario fare ricorso alle correzioni dovute agli effetti di temperatura

finita.

•) ρB e PBIn questo caso si applicano le relazioni per specie non relativistiche (1.67).

1.4.1 Equazioni per le Xi

Le equazioni che descrivono il comportamento delle abbondanze delle specie barioniche non relativis-

tiche, non disaccoppiate dal plasma ma neanche all’equilibrio, sono fornite dalla formulazione relativis-

tica delle equazioni di Boltzmann (1.38). Per semplicità incominciamo con lo scrivere l’equazione per

una specie i che interagisca con le altre attraverso una sola reazione a due corpi in ingresso e due in

uscita:

i+ j ↔ k + l ; (1.103)

in base alla (1.38) possiamo scrivere:

dnadt

+ 3naH = −ZdΠT (2π)

4δ(4)(pi + pj − pk − pl)|M |2tot(fifj − fkfl) , (1.104)

con dΠT ≡Qi dΠi , e dΠi definito al paragrafo 1.2.1. E’ ora possibile sostituire la variabile na con la

grandezza Xa in base alla definizione precedentemente fornita, usando la (1.96) possiamo allora ricon-

durre la (1.104) alla forma:

nBdXadt

= −ZdΠT (2π)

4δ(4)(pi + pj − pk − pl)|M |2tot(fifj − fkfl) ; (1.105)

è interessante notare come la dipendenza daH, ovvero il termine ’’cosmologico’’che lega la densità nu-

merica della specie i-esima all’espansione dell’universo è contenuta nella definizione diXa. Attraverso

l’uso delle grandezze pfinT e pinT , rispettivamente il quadrimpulso totale finale ed iniziale, e del rate Γ:

hσviij→kl ≡Γij→kl

nB≡ 1

ninj

ZdΠT (2π)

4δ(4)(pfinT − pinT )|M |2tot(fifj − fkfl) , (1.106)

34

possiamo mettere adesso in una forma più familiare il secondo membro della (1.105):

dXidt

= ΓklXkXl − ΓijXiXj . (1.107)

E’ ora possibile generalizzare l’equazione ottenuta al caso di una specie interagente attraverso più reazioni

a cui contribuiscano un generico numero Nin di particelle in ingresso ed un numero Nout in uscita, la

(1.106) diventa quindi:

hσvii1...iNin→k1...kNout≡Γi1...iNin→kj1 ...kjNout

nNin−1B

≡ (1.108)

≡ 1

niin ...niNin

ZdΠT (2π)

4δ(4)(pfinT − pinT )|M |2totNinYi=1

fi .

Se nella reazione in esame una specie a compare più volte, ovvero Na particelle delle stessa specie a

interagiscono in ingresso fra le altre nella stessa reazione, la (1.107) va modificata nella seguente maniera:

dXadt

=Xia

Na

Γki1...kNout→a...iNinXNki1

ki1

Nki1 !...XNkNin

kNin

NkNin !− Γa...iNin→ki1 ...kNout

XNaa

Na!...XNNin

iNin

NiNin !

;

(1.109)

dove la sommatoria è estesa a tutte le reazioni in cui è coinvolta almeno un nuclide della specie a e si è

considerata la possibilità di molteplicità delle altre specie. Quest’ ultima equazione è ststa scritta some

estrema generalizzazione della (1.104); vedremo nel seguito come, sebbene tale forma sia utile per una

generica specie interessata da più processi a molti corpi, durante la BBN siano pochi i processi a più di

due corpi (in ingresso e in uscita) ad avere qualche rilevanza. In particolare, come giustificheremo in

dettaglio nel capitolo 4, in questo lavoro sono stati presi in considerazione solo processi a due corpi; un

altro caso rilevante per quanto è nel nostro interesse è quello di reazioni a due corpi in ingresso e in uscita

in cui una della particelle sia un fotone:

i+ j ↔ k + γ . (1.110)

In tal caso la (1.104) si scrive:

dXidt

= ΓkγXkXγ − ΓijXiXj , (1.111)

35

dove:

ΓkγnBnγ

≡ hσvikγ ≡1

nknγ

ZdΠT (2π)

4δ(4)(pfinT − pinT )|M |2totfkfγ , (1.112)

e

ΓijnB

≡ hσviij ≡1

ninj

ZdΠT (2π)

4δ(4)(pfinT − pinT )|M |2totfifj (1 + fγ) . (1.113)

Sebbene le formule fornite per i rates possano apparire particolarmenmte complesse e la determinazione

teorica possa presentare notevoli problemi (per ogni processo bisogna calcolare l’elemento di matrice cor-

rispondente in base alle conoscenze teoriche sulla natura del fenomeno), è possibile scrivere le grandezze

introdotte in termini della sezione d’urto σ dei processi. Come vedremo nel seguito molte delle sezioni

d’urto d’interesse per la nucleosintesi primordiale sono note sperimentalmente con una buona precisione

(molte altre no, e questo rappresenta uno dei problemi del lavoro che mostreremo) in quanto una branca

importante dell’astrofisica, l’ ’’Astrofisica Nucleare’’ è dedita allo studio ed all’analisi delle sezioni d’urto

di processi di interesse astrofisico13. Per un processo a due corpi del tipo (1.103) il rate si può allora scri-

vere, in funzione della sezione d’urto del processo σij , come:

hσviij→kl ≡1

ninj

Zgid~pi(2π)3

gjd~pj(2π)3

σijvijfifj , (1.114)

e

σijvij =(2π)4

4EiEj

ZdΠfinδ

(4)(pfinT − pinT )|M |2totYfin

gi (1± fi) ; (1.115)

dove con |M |2tot si è indicato l’elemento di matrice |M |2tot mediato su tutti gli stati:

|M |2tot ≡|M |2totQ

i gi.

1.5 Considerazioni sulla BBN

Il complesso sistema di equazioni appena descritto, nella variabili (a, T, Tν , µe, ni, nνx), è in grado, in

via teorica, di fornire le abbondanze degli elementi primordiali al freeze out delle reazioni nucleari, noti

che siano i tassi di reazione ed il parametro η. Sfortunatamente, come è immediato verificare, il comp-

lesso sistema non ammette soluzione analitica e il solo approccio possibile è quello numerico, a tutt’oggi

13 Vedremo in seguito che la misura di tali sezioni d’urto alle energie rilevanti per la nucleosintesi primordiale e per la fisica stellarepresenta notevoli difficoltà di tipo sperimentale.

36

sono infatti in uso programmi (’’codici di BBN’’) che permettono di trovarne una soluzione. Il primo

problema che sorge quando si tenti di risolvere numericamente il sistema di equazioni è di ordine fenom-

enologico: in linea di principio il numero di nuclidi e quello delle reazioni che li legano gli uni agli

altri è estremamente vasto, ed inserire tutte le possibili specie e tutti i processi in un programma è im-

possibile. Osservando le formule (1.109) che determinano la dinamica delle Xi è comunque immediato

notare come i maggiori contributi all’abbondanza di un nuclide siano forniti da quei processi con tassi

più elevati ed occorrenti fra i nuclidi più abbondanti. Come conseguenza del fatto che all’inizio della

BBN le specie più abbondanti siano protoni e neutroni, è chiaro comprendere come, in prima approssi-

mazione, solo i nuclidi più leggeri siano da considerarsi; inoltre, essendo Xi < 1 per tutte le specie in

esame, maggiore è il numero di particelle che prendono parte ad un processo, minore sarà il contributo di

quest’ultimo al secondo membro della (1.109). I codici di BBN oggi in uso hanno una struttura che com-

prende 88 reazioni e 26 nuclidi, il più pesante dei quali è l’ 16O; in particolare, la ’’rete’’ di reazioni che

lega fra di loro gli elementi con Z < 3 inclusa nei codici è estremamente accurata: le previsioni teoriche

sono, in prima approssimazione, in accordo con le misure delle abbondanze primordiali di tali elementi.

La precisione dei codici di BBN, almeno relativamente a nuclidi quali H, 2H, 4He e 7Li, è anzi tale

che, attraverso un’analisi delle discrepanze fra teoria14 e misure al variare di η, è possibile stimare il

valore di quest’ultimo parametro con un errore inferiore al 15%15. Per quanto riguarda elementi più pe-

santi, come ad esempio il 12C, le abbondanze perviste dalla teoria sono così basse che nessuna conferma

di tipo sperimentale è disponibile (almeno a tutt’oggi) per avallare la correttezza delle approssimazioni

fatte. E’ oggetto di questo lavoro di tesi una revisione critica della rete di reazioni che lega fra loro i

nucidi con A > 7; in particolare saranno rivisti tutti i ’’canali’’ in grado di produrre o distruggere (an-

che in maniera non diretta) elementi con Z = 6, 7, 8, le cui abbondanze primordiali, come vedremo nel

prossimo capitolo, sono di estremo interesse per lo studio di una peculiare generazione stellare.

14 Le previsioni teoriche sono affette da incertezze che nascono dalla propagazione di quele sui rates di reazione: per una trattazionedettagliata si veda il capitolo (??).

15 In realtà è possibile giungere a tale precisione attraverso analisi incrociate con analoghi studi sulla CMB, si veda ad esempio(Cuoco et al.)

37

Capitolo 2

Elementi di fisica stellare

E’ scopo di questo capitolo illustrare i processi evolutivi di stelle dalle caratteristiche molto peculiari: le

stelle di popolazione III (popIII) sono oggetti formatisi dal gas di elementi prodotti dalla nucleosintesi

primordiale (ricombinato) in epoca anteriore alla formazione delle galassie. La particolare composizione

chimica di tale gas (quasi completa assenza di metalli) ha grande influenza sui processi caratterizzanti la

vita di una stella e di conseguenza l’evoluzione della popolazione III sarà molto peculiare, se comparata

a quella di stelle di generazione successiva -popolazione II e I- ben nota in letteratura. In particolare,

recenti lavori hanno mostrato che l’assenza di quegli elementi che fungono da catalizzatori del ciclo

CNO16 ha notevoli conseguenze sulla fase di combustione dell’idrogeno: le dinamiche tipiche degli

stati interni alla stella (moti convettivi, ’’dredge up’s’’ e combustione in ’’shell’’ esterne al ’’core’’) ne

risultano grandemente influenzate. Quanto descritto ha effetti sull’evoluzione chimica della stella e,

attraverso la sua successiva evoluzione e l’espulsione di materiale nello spazio esterno, sulla seguente

evoluzione chimica della galassia. Nel primo paragrafo sono illustrate a grosse linee le due ’’strade’’

principali possibili per l’evoluzione stellare; nei paragrafi seguenti sono riassunti gli strumenti formali

richiesti per illustrare in maniera corretta alcuni concetti astrofisici necessari a comprendere i modelli

di evoluzione stellare. Negli ultimi due paragrafi sono infine illustrati più nel dettaglio i risultati dei

modelli di evoluzione per stelle di popolazione II e III, con l’intento di mettere a confronto le differenze

sostanziali nelle loro diverse fasi evolutive. Per approfondimenti sul tema dell’evoluzione stellare e sui

formalismi adottati in questo capitolo si rimanda a [7] , [8] .

2.1 Introduzione all’evoluzione stellare

La descrizione fenomenologica effettuata in questo paragrafo non è esaustiva di tutti i possibili casi di

evoluzione stellare noti in letteratura: vuole soltanto essere un sommario delle due ’’strade’’ principali

16 Tale catena di reazioni è -insieme con il pp- una delle due possibili per la combustione dell’idrogeno; per maggiori dettagli siveda il capitolo sui processi energetici nelle stelle.

39

possibili per l’evoluzione di oggetti stellari. Una trattazione più accurata, sebbene focalizzata sugli ele-

menti più rilevanti ai fini del lavoro svolto per questa tesi di laurea, è presentata nei paragrafi seguenti,

alla luce delle equazioni del modello stellare descritte nei paragrafi 2.2, 2.3, 2.4.

Nella sua formulazione più semplice una stella può essere descritta come una sfera di gas in cui la

forza gravitazionale sia controbilanciata dalla forza di superficie ad ogni distanza dal centro. In oggetti

non esotici la pressione può essere generata da due fenomeni: se il gas che costituisce la stella è in

condizioni tali da potersi trascurare effetti di degenerazione delle particelle del plasma stellare è la loro

agitazione termica a costituire la sorgente maggiore di forza di superficie, in questo caso l’energia nec-

essaria per riscaldare il gas è prodotta attraverso reazioni di fusione nucleare; se invece le condizioni del

gas sono tali da non potersi trascurare gli effetti di degenerazione delle particelle la forza gravitazionale è

bilanciata dalla pressione di degenerazione degli elettroni (è possibile mostrare che gli elettroni degener-

ano prima delle altre specie presenti nel gas). Una stella si forma dal collasso gravitazionale, spontaneo o

indotto, di una nube di gas; durante il collasso l’energia gravitazionale delle particelle viene in parte con-

vertita in energia cinetica ed in parte irradiata verso l’esterno: fin quando la nube è ancora abbastanza

rarefatta, infatti, essa risulta trasparente alla radiazione e la contrazione avviene in maniera isoterma;

quando la densità della nube diventa abbastanza elevata (processo che tipicamente incomincia nelle zone

più interne della nube) la radiazione viene catturata dal gas che in questo modo viene prima ionizzato e

successivamente, una volta che l’energia cinetica degli ioni sia tale da vincere le forze coulombiane re-

pulsive, innesca processi di fusione nucleare. La zona più interna della stella, il ’’nocciolo’’ intorno al

centro, in cui avvengono usualmente le reazioni di fusione che forniscono energia alla struttura, è detto

’’core’’ stellare. Gli atomi di idrogeno sono estremamente abbondanti nella composizione iniziale della

stella (in genere ∼ 75% in massa) e la temperatura necessaria ad innescare il ciclo di fusione protone-

protone (T ∼ 106K) è la più bassa fra le temperature di fusione di tutti gli altri elementi; questo

comporta che la fusione dell’idrogeno sia il primo ciclo di reazioni ad innescarsi ed a dominare la pro-

duzione di energia della stella. Quando l’idrogeno necessario a sostenere il ciclo di fusione in maniera

adeguata alle necessità energetiche della struttura si esaurisce, l’equilibrio idrostatico viene meno e la

stella ricomincia il collasso gravitazionale. Durante il collasso l’energia gravitazionale viene trasfor-

mata interamente in energia cinetica del plasma stellare (la struttura è già da tempo otticamente opaca)

e quando la temperatura raggiunge valori opportuni (T ∼ 108K) si innesca la fusione dell’elio. Il col-

lasso gravitazionale si arresta e l’equilibrio idrostatico viene ripristinato, con il ciclo di fusione dell’elio

a dominare la produzione di energia stellare. Quando l’elio si esaurisce il collasso gravitazionale della

struttura comincia nuovamente, innalzando la temperatura fino quella della fusione del 12C, l’energia

40

Fig.1. Una schematizzazione delle fasi di evoluzione stellare nel piano t− T .

prodotta arresta la contrazione e l’equilibrio idrostatico è nuovamente ristabilito. Questo processo di

combustione di un elemento, esaurimento del combustibile, contrazione gravitazionale ed innesco delle

reazioni di fusione dell’elemento più pesante procede fino all’innesco del ciclo di fusione del 56Fe. Le

reazioni che lo costituiscono sono infatti endoenergetiche, ovvero c’è bisogno che energia venga fornita

dall’ambiente esterno perché esse avvengano; questo fa sì che quando la temperatura di fusione del ferro

è raggiunta il core incominci a perdere energia nelle reazioni di fusione piuttosto che acquistarne. Ciò

comporta una ulteriore contrazione della struttura con un conseguente aumento della temperatura: l’effi-

cienza delle reazioni aumenta e si innesca così un fenomeno reazionato positivamente che porta il core ad

una contrazione rapidissima (∼ 10−1s). In tali condizioni si verifica anche la cattura di elettroni da parte

di ioni o protoni liberi, fenomeno che contribuisce alla repentina caduta di pressione. La contrazione

avviene fin quando la materia (ricombinata) non raggiunga densità nucleari, non più suscettibile di ulte-

riori contrazioni: a questo punto la materia esterna al ’’nocciolo duro’’, che è ancora in fase di collasso

verso il centro, colpisce il nucleo stellare ’’rimbalzando’’ verso l’esterno. L’impatto fra la materia es-

terna che sta continuando il collasso e quella che ha appena rimbalzato sul ’’nocciolo’’ provoca un’onda

shock che causa l’esplosione dell’intera struttura. Questo fenomeno è noto come ’’esplosione di super-

nova’’ ed ha caratteristiche molto peculiari: l’energia rilasciata da tale esplosione (ESNe ∼ 1053 erg)

è quasi indipendente dalla massa della stella e dalla sua composizione iniziale ed è espulsa dalla strut-

tura prevalentemente attraverso i neutrini (Eν ∼ 99%ESNe). Per stelle con massa inferiore a ∼ 3M¯,

invece, l’evoluzione stellare è sostanzialmente differente: a causa della piccola massa stellare, durante

la fase di contrazione successiva all’esaurimento dell’idrogeno combustibile nel core, si raggiungono

41

elevate densità ben prima di innescare la combustione dell’elio. In tali condizioni il gas di elettroni de-

genera e temperatura e densità diventano due grandezze indipendenti: la struttura stellare viene sorretta

dalla pressione di degenerazione elettronica mentre si innesca la combustione dell’elio. Tale processo

provoca un’innalzamento della temperatura a causa dell’energia prodotta, senza che ad esso corrisponda

una variazione di pressione, e innesca una reazione positiva aumentando l’efficienza delle reazioni; l’e-

lio viene bruciato in tempi molto brevi in tutto il core. Tale fenomeno va sotto il nome di ’’helium flash’’;

una volta che esso è terminato la struttura non può contrarsi ulteriormente, in quanto la pressione è det-

tata dalle condizioni di degenerazione degli elettroni, e l’evoluzione stellare termina di fatto con questo

stadio. Oggetti come quelli descritti sono noti come ’’nane bianche’’.

Un fenomeno particolarmente importante, che avviene con modalità differenti in stelle di masse di-

verse, è quello del cosiddetto ’’vento stellare’’; con questo nome si intende l’emissione di materia dalla

superficie della stella, che ha come conseguenza una diminuzione della massa iniziale di quest’ultima

ed un arricchimento di materiale stellare dello spazio esterno. Il vento stellare può avere caratteristiche

completamente differenti a secondo dell’oggetto in esame, influisce quindi in maniera molto diversa

sulla loro evoluzione; un esempio è quello del Sole, per cui i modelli mostrano che durante tutta la sua

vita la massa portata via dal vento non supererà un millesimo della sua massa totale (si veda ad esempio

[9] ); esistono peraltro modelli di stelle più massive (e con velocità di rotazione molto elevate) per cui

tale valore è dell’ordine della stessa massa dell’astro. Il fenomeno appena descritto è comunque partico-

larmente rilevante per i processi di evoluzione chimica dell’universo: è infatti un meccanismo efficiente

per ’’iniettare’’ il materiale prodotto all’interno della stella nello spazio esterno. In quest’ottica risulta al-

trettanto fondamentale il ’’dredge up’’: un abbassamento della zona convettiva esterna fino a profondità

dove avvengono fenomeni di fusione nucleare; in questo modo il materiale prodotto durante la nucle-

osintesi viene portato sulla superficie, modificando così la composizione chimica del materiale che sarà

’’soffiato via’’ dal vento stellare.

2.2 Formazione di una stella

La prima fase di una stella è la sua formazione per collasso gravitazionale della nube iniziale di gas; per

caratterizzare tale processo è necessario prendere in esame una nube di un gas ideale di forma sferica,

massa M , densità costante ρ, raggio R e temperatura costante T . Tale nube è immersa in un mezzo es-

terno di pressioneP ∗ e la superficie che la delimita è caratterizzata dall’equazioneP (R) =P ∗ ; l’energia

interna della nube, formata per l’appunto da un gas ideale ed isoterma, èEi = cvMT , dove cv è il calore

42

specifico a volume costante, mentre l’energia gravitazionale della massa di gas è Ω = −GM2/R. Uti-

lizzando il teorema del viriale per una sfera è possibile descrivere l’evolvere della pressione in funzione

della distanza dal centro della nube r :

P (r) =cvM(r)T

2πr3− GM(r)

2

4πr4, (2.1)

alla superficie esterna tale equazione diventa

P (R) =cvMT

2πR3− GM

2

4πR4. (2.2)

Fissati i parametri T e M della nube e ricordando che per un gas perfetto cv = 3kBNA/2µ (dove µ

è il peso molecolare medio del gas,NA il numero di Avogadro e kB la costante di Boltzmann) possiamo

adesso studiare il comportamento della pressione di superficie della nube al variare del suo raggio esterno

R : l’equazione (2.2) ha un massimo per

RJ =4MGµ

9kBNAT, (2.3)

(inoltre P (R)→−∞ per R → 0 e P (R)→ 0 per R → +∞) studiandone il segno si nota inoltre che

perR < RJ la pressione della nube è una funzione crescente del raggio mentre perR >RJ la pressione

della nube diminuisce all’aumentare del raggio. Questo ha degli effetti notevoli sul comportamento

della nube stessa: se il raggio esterno R della nube è minore di RJ dopo una lieve compressione della

nube la pressione di superficie sarà P < P ∗ e la forza di pressione esterna spingerà vieppiù la nube verso

l’interno e quindi al collasso gravitazionale: la nube è instabile. Se invece il raggio della nube è maggiore

del raggio critico, dopo una lieve compressione della nube la pressione di superficie sarà P > P ∗ e la

forza di pressione interna tenderà a riportare la superficie esterna alla posizione iniziale innescando un

ciclo di oscillazioni: la nube è stabile.

Cerchiamo adesso di ricavare delle condizioni che leghino l’instabilità di una nube di raggio fissato

R alla sua massa. Per una nube sferica e di densità costante quale quella in esame vale la relazione

M(r) = 43πr

3ρ , che esprime la quantità di massa contenuta all’interno di una sfera di raggio r interna

alla nube; ipotizziamo adesso che la nube in esame abbia raggio uguale al raggio critico, allora la relazione

precedente diventa

M =4

3πR3Jρ ; (2.4)

43

sostituendo questa relazione nell’equazione (2.3) per il raggio critico avremo

R2J =27

16π

kBNAT

Gµρ(2.5)

ovvero il raggio critico di una nube di densità ρ e temperatura T . Convertendo il ragionamento fatto

su un oggetto di massa fissata per trovarne il raggio critico, possiamo adesso trovare la massa critica

corrispondente ad un oggetto di raggio fissato usando la relazione (2.4):

MJ =27

16

µ3

πµ

¶1/2µkBNAG

¶3/2T 3/2ρ−1/2 . (2.6)

Una volta che il raggio, la densità e la composizione chimica siano fissati la massa di Jeans indica un

limite inferiore in massa per il collasso spontaneo; come è possibile vedere chiaramente dall’equazione

(2.6) tale massa dipende dalla temperatura della nube stessa:

MJ ∝ T 3/2 . (2.7)

La massa di Jeans di una stessa nube di gas è più elevata quando la nube è a temperature più alte di

quanto non sia a temperature inferiori: questo implica che il semplice processo di raffreddamento di

una nube di gas, riducendo la massa di Jeans da valori elevati a valori inferiori a quelli della massa

della nube stessa, può innescare la contrazione ’’spontanea’’ della nube. Il raffreddamento di una nube

di gas avviene usualmente attraverso l’eccitazione collisionale delle molecole che la costituiscono e la

successiva emissione radiativa dell’energia di eccitazione, che sfugge dalla nube otticamente sottile.

Per un sistema come quello appena descritto il teorema del viriale si può scrivere nella forma:

2Ek +Ω =1

2

∂2I

∂t2, (2.8)

dove Ek è l’energia interna della nube, I il suo momento di inerzia e Ω l’energia gravitazionale definita

predentemente. Stimiamo adesso la durata caratteristica di un generico processo che abbia luogo in una

struttura come quella in esame; effettuando il rapporto fra l’energia tipica del processo e la luminosità

della struttura si ha una stima del tempo necessario alla nube (o protostella) per ’’smaltire’’ l’energia

generata:

τ i =EiL

. (2.9)

44

Il tempo caratteristico di processi gravitazionali, detto tempo di Kelvin-Helmholtz, è quindi descritto

dall’espressione:

τKH =Ω

L. (2.10)

Supponendo la luminosità dell’oggetto costante e valutando questa espressione per una stella come il

sole: L¯ = 3.85×1033erg s−1, R¯ = 6.95×1010cm,M¯ = 1.99×1033g, possiamo stimare il tempo

di Kelvin-Helmholtz come τKH ' 1.6× 107yr .

Per strutture statiche o in lenta contrazione il secondo membro della (2.8) è nullo e questa diventa

quindi:

2Ek +Ω = 0 . (2.11)

Differenziando quest’ultima relazione si può vedere che

dEk = −dΩ2

, (2.12)

ovvero che la metà dell’energia gravitazionale acquisita nella contrazione è trasformata in energia in-

terna mentre l’altra metà supplisce alle perdite dovute all’irraggiamento dalla superficie della nube. Du-

rante tale fase di contrazione la densità della nube aumenta inducendo così la ionizzazione del gas; tale

processo aumenta l’opacità della nube e porta ad un incremento della densità e della temperatura. Queste

condizioni innescano all’interno della struttura forti moti convettivi che ’’mischiano’’ i componenti della

nube e fanno in modo che la composizione chimica risulti dovunque omogenea. Utilizzando il teorema

del viriale nella forma (2.11) e ipotizzando che il gas della nube sia in condizioni di gas perfetto è possi-

bile stabilire la seguente relazione:

T ∝M2/3ρ1/3 , (2.13)

questo permette di vedere formalmente come, per una struttura di massa assegnata, la temperatura sia

dipendente dal volume in maniera inversamente proporzionale. Ciò implica che, contraendosi, la nube

(e successivamente la stella) necessariamente innalza la propria temperatura. Quando la nube arresta la

propria contrazione stabilendo l’equilibrio idrostatico si può dire che la stella si sia formata e la dinamica

dell’oggetto è quindi descritta dalle equazioni del modello stellare standard.

45

2.3 Equazioni della struttura stellare

Una volta che la stella si sia formata è necessario sviluppare un modello che descriva le sue proprietà e

che sia suscettibile di una trattazione dinamica al fine di potere descrivere l’evoluzione della stella. In

quello che viene chiamato modello stellare standard la stella è assunta essere il più semplice possibile:

una sfera in equilibrio idrostatico, chimicamente omogenea, in cui l’energia prodotta nel core è diffusa

all’interno della stella in maniera radiativa eccetto che in una zona detta convettiva (dove la conduzione

del calore avviene per l’appunto per convezione) e di struttura interna particolarmente semplice tale che

non vi siano forze interne rilevanti (i.e. assenza di campi magnetici particolarmente intensi).

Le equazioni che caratterizzano una stella di massa, raggio e composizione chimica iniziale assegnati

sono la conservazione della massa, la conservazione dell’energia, la conservazione del momento. Per

una stella sferica di densità costante ρ la quantità di materia contenuta nella sfera di raggio r è espressa

da m(r) = 43πr

3ρ , questo significa che si può esprimere la conservazione della massa attraverso l’e-

quazione differenziale

∂r

∂m=

1

4πr2ρ. (2.14)

Derivando il momento rispetto al tempo otteniamo l’equazione di Eulero:

ρDv

Dt= ρ

·∂v

∂t+ (v ·∇)v

¸= F −∇P ; (2.15)

doveF è la forza agente sull’unità di volume eP la pressione superficiale esercitata dal gas. In assenza di

flusso di massa, condizione che nel caso in esame è dettata dall’equilibrio idrostatico, la (2.15) diventa:

F −∇P = 0 ; (2.16)

ed essendo l’unica forza esterna agente sull’elemento di volume la forza gravitazionale:

F = −ρGmr2

, (2.17)

si ha che, in condizioni di simmetria sferica, la (2.16) diventa:

∂P

∂r= −ρGm

r2. (2.18)

46

Ricordando adesso la (2.14) si può finalmente scrivere l’equazione che descrive l’equilibrio idrostatico

della stella:

∂P

∂m= − Gm

4πr4. (2.19)

Se adesso definiamo ε(r) come il coefficiente di energia prodotta nell’unità di massa per unità di

tempo allora la quantità L(r) di energia prodotta all’interno di una sfera di raggio r nell’unità di tempo

è espressa da:

L(r) =

Z r

0²(r

0)ρ(r

0)4πr

02dr0, (2.20)

di conseguenza ∂L∂r = ²(r)ρ(r)4πr

2 e quindi:

∂L

∂m= ² . (2.21)

Dalla proporzionalità fra L(r) ed il flusso di energia F (r), L(r) = 4πr2F (r), e dall’equazione di Ed-

dington (1917) che mette in relazione il flusso ed il gradiente di temperatura:µ∂T

∂r

¶rad

= − 3κρ

4acT 3F (r) (2.22)

è possibile ricavare l’equazione del trasporto radiativo dell’energia:µ∂T

∂m

¶rad

= − 3κ

64acπ2r4T 3L(r) (2.23)

dove a = 7.6×10−15erg cm−3K−4, la costante di radiazione e c la velocità della luce; κ è invece detta

’’opacità’’ ed è legata al libero cammino medio nel fotone nel gas costituente la stella. L’equazione (2.23)

è valida quando il trasporto dell’energia avviene in maniera radiativa all’interno della stella, quando

invece il gradiente di temperatura è particolarmente elevato, cioè la temperatura varia in maniera molto

rapida, quello che accade è che se una bolla di gas (definita come un insieme adiabatico, ovvero una

regione del plasma stellare definibile da un’unica temperatura) si sposta dalla posizioneR alla posizione

R +∆R trovandovi un ambente più freddo di quello iniziale continuerà a muoversi verso l’esterno; la

bolla prosegue nel suo moto fino a quando non si rompe liberando nell’ambiente esterno la quantità di

calore trasportata, tale fenomeno è detto moto convettivo. In quest’ultimo caso si dice che il trasporto di

47

energia avviene in maniera convettiva ed il gradiente di temperatura è descritto dall’equazione:µ∂T

∂m

¶ad

=Gr3ρ(r)T

π3. (2.24)

La condizione perché il trasporto di energia avvenga in maniera convettiva piuttosto che in maniera

radiativa è espressa da: µ∂T

∂m

¶rad

<

µ∂T

∂m

¶ad

(2.25)

noto come criterio di Schwartzschild.

Il set di equazioni differenziali ricavate fino ad ora non è sufficiente a descrivere il comportamento

di una stella se ad esso non è affiancata una relazione che leghi fra di loro le grandezze P , ρ e T , detta

equazione di stato; inoltre un’ ultima relazione, che descriva il processo di formazione dell’energia in

funzione delle variabili appena menzionate, è necessaria per completare il modello.

2.4 Equazioni di stato

La stella è costituita da un plasma di elettroni e ioni in equilibrio termico, di densità rispettivamente nee ni. In tale condizione il processo di interazione coulombiana è da considerarsi largamente dominante

sulle altre forze di interazione; è allora possibile considerare libere le particelle quando l’energia cinet-

ica sia maggiore dell’energia di interazione coulombiana. I processi di interazione possono essere di

tipo ione-elettrone, elettrone-elettrone e ione-ione, essendo quest’ultima la più rilevante fra le tre. Con-

siderando per semplicità una sola specie ionica è possibile scrivere la seguente espressione per descrivere

la condizione di particelle libere all’interno della stella:

kBT À (Ze)2

di(2.26)

dove Z è il numero atomico dello ione, e la carica dell’elettrone e di la distanza media fra gli ioni. Tale

distanza media può facilmente essere stimata in base a considerazioni sulla densità ρ della stella:

ρ = niµiH, (2.27)

dove µi è il peso molecolare medio degli ioni edH la massa dell’idrogeno. Essendo ni ∼ 1/d3i , si ottiene

48

facilmente

di ∼µµiH

ρ

¶1/3. (2.28)

E’ dunque possibile ricavare la condizione di particella libera come limite sulla densità stellare e risulta:

ρ¿ µiH(kBT )3

(Ze)6(2.29)

nel corso dell’evoluzione stellare tale condizione è generalmente soddisfatta: durante la fase di combus-

tione dell’idrogeno (Z = 1; T ∼ 107 K) tale condizione diventa ρ¿ 4× 107g cm−3 mentre durante

la fase di combustione dell’elio (Z = 2; T ∼ 108K) deve essere ρ ¿ 6 × 109g cm−3; tali valori

sono infatti ampiamente superiori di quelli che si riscontrano all’interno della stella durante tali fasi e le

particelle costituenti il plasma possono quindi essere considerate libere. La condizione di particella lib-

era viene meno usualmente durante la fase di combustione del carbonio (Z = 6; T ∼ 109 K) quando

ρ¿ 8×108g cm−3 ; sarà dunque necessario introdurre nelle equazioni di stato termini correttivi dovuti

all’interazione coulombiana. Le condizioni di temperatura e pressione all’interno di una stella possono

variare di diversi ordini di grandezza a seconda della distanza dal centro ed inoltre in maniera ancora più

radicale da stella a stella; è necessario dunque prendere in analisi anche casi che si discostino da quello

più ’’fortunato’’ delle particelle libere. Se l’energia coulombiana Ec è dello stesso ordine dell’energia

cinetica, Ec/kBT ∼ 1, si ha uno stato semisolido, se invece Ec supera nettamente l’energia cinetica si

formano delle strutture cristalline. Quando il plasma è in condizioni di gas è necessario considerare anche

condizioni in cui vi sia degenerazione quantistica, fenomeno che può essere trascurato soltanto quando

la lunghezza d’onda associata alla particella, λ = h/p, è molto minore della distanza media fra le parti-

celle di, λ ¿ di. Per potere esprimere tale condizione come un limite sulla densità ricordiamo che per

il principio di equipartizione dell’energia risulta miv2i = mev2e e di conseguenza pi = (mi

me)1/2pe. Tale

relazione permette di visualizzare che, essendomi Àme, la lunghezza d’onda associata agli elettroni è

più grande di quella associata agli ioni, λe À λi; di conseguenza gli elettroni risentono di effetti quan-

tistici a densità meno elevate di quelle a cui gli ioni assumono analogo comportamento. Per un elettrone

di impulso p ed energia cinetica kBT vale:

kBT =p2

2me; (2.30)

49

la lunghezza d’onda associata è quindi:

λe =h

(2kBTme)1/2. (2.31)

Per gli elettroni la condizione di non degenerazione si scrive λe ¿ de dove de è la distanza media fra gli

elettroni e, usando la (2.28), può essere scritta come:

de ∼µµeH

ρ

¶1/3; (2.32)

la condizione di non degenerazione degli elettroni diventa quindi, in termini di densità:

ρ¿ µeH

h3(2mekBT )

3/2 . (2.33)

2.4.1 Gas perfetto

Quando entrambe le condizioni (2.29, 2.33) sono rispettate allora il plasma è descritto dall’equazione di

stato del gas perfetto. Quando il gas è completamente ionizzato il plasma è costituito da una miscela di

elettroni e ioni liberi, tale condizione non è però sempre soddisfatta: all’interno della struttura stellare

si raggiungono condizioni tali da permettere la completa ionizzazione del plasma mentre in strati più

esterni (e freddi, T ∼ 103 ÷ 104 K) la ionizzazione è solo parziale. Come vedremo questo influisce

grandemente sull’opacità della stella.

In condizioni di gas perfetto l’equazione di stato del plasma è:

P = nkBT , (2.34)

dove n, la densità numerica media di particelle, è n = ne + ni , avendo indicato con ni la densità di

tutte le specie ioniche presenti nel plasma. Definiamo adesso l’abbondanza relativa in massa della specie

j-esima di ioni come

Xj =mjnjρ

, (2.35)

che ci permette di scrivere la densità numerica nj in maniera più agevole:

nj =Xjµj

ρ

H(2.36)

50

e notiamo che in base alla definizione di densità (2.35)

Xj

Xj = 1 . (2.37)

Nella maggior parte delle stelle giovani o in presequenza il plasma è costituito sostanzialmente da idrogeno

ed elio, rispettivamente circa il 75% e 25% in massa, con tracce di altri elementi che vanno genericamente

sotto il nome di metalli; per questo motivo definiamo per comodità:

X = XH

Y = XHe

Z = 1−X − Y

le abbondanze in massa di idrogeno, elio e metalli, rispettivamente. Dall’ipotesi di materia completa-

mente ionizzata emerge che per ogni ione idrogeno ci sarà un elettrone, per ogni ione elio due elettroni e

per ogni altro elemento tanti elettroni quanti sono i protoni del nucleo: di conseguenza possiamo scrivere

ne =ρ

H

ÃX +

1

2Y +

Xi

ZiXiAi

!(2.38)

dove Ai è il numero di massa, Zi il numero atomico eXi la frazione in massa della specie i-esima (con

l’indice i che corre su tutte le specie presenti nella stella tranne idrogeno ed elio). E’ ora possibile valutare

la densità numerica totale del plasma

n =ρ

H

"2X +

3

4Y +

Xi

(Zi + 1)XiAi

#; (2.39)

poiché elementi più pesanti del 12C sono praticamente assenti dalla composizione stellare e per elementi

più leggeri del carbonio il rapporto Zi/Ai ∼ 1/2mentreXi/Ai ∼ 0 si può semplificare l’ultima espres-

sione con

n ∼ ρ

H

·2X +

3

4Y +

Z

2

¸. (2.40)

Ricordando ancora l’equazione di stato (2.34):

P = (ne + ni)kBT (2.41)

51

4

log T( K)

relativistico

8

7

6

6

83 -4 -2 0 2 4 6

degenere

3 )ρ (g/cmlog

nonrelativistico

nondegenere

o

Fig.2. Le regioni per le differenti fasi del plasma stellare nel piano logρ− log T .

possiamo finalmente scrivere

P =ρ

H

·2X +

3

4Y +

Z

2

¸kBT . (2.42)

2.4.2 Gas degenere

Se è invece verificata la sola condizione (2.29) il gas di elettroni è in condizioni di degenerazione, può

cioè essere studiato come un gas di Fermi: gli elettroni si ripartiscono nei differenti stati quantistici in

maniera tale da minimizzare l’energia totale del gas, ovvero occupano tutti gli stati con impulsi compresi

fra zero ed un valore massimo detto momento di Fermi, p = pF . L’elemento di volume nello spazio degli

impulsi di un elettrone è descritto da:

dV =4πp2dp

h3, (2.43)

dove p è il momento dell’elettrone e h la costante di Planck. Essendo gli elettroni particelle a spin 1/2,

la loro funzione di distribuzione è la funzione di Fermi-Dirac:

F (E) =1

1 + exp [(E − µ)/kBT ] ; (2.44)

52

la densità effettiva di elettroni nello spazio dei momenti è allora:

f(p) =8πp2

h31

1 + exp [(E − µ)/kBT ] ; (2.45)

dove un fattore due è stato aggiuto per tenere conto della degenerazione di spin. In particolare, per

temperature molto basse la (2.44) si approssima con le seguenti relazioni:

f(p) =8πp2

h3, p ≤ pF (2.46)

f(p) = 0, p > pF ,

con µ = pF per T = 0. In tali condizioni si può allora ricavare il numero di elettroni presenti nel volume

V dello spazio degli impulsi:

ne =8π

h3

Z pF

0p2dp =

3h3p3F ; (2.47)

questa relazione può essere utile anche letta in maniera inversa: conoscendo il numero di elettroni presenti

nel plasma e sapendo che quest’ultimo è in condizioni di degenerazione, si può ricavare il valore del

momento di Fermi. In particolare, per densità particolarmente elevate (ρ & 107g/cm3), gli elettroni

assumono velocità relativistiche. Per potere utilizzare in maniera effettiva l’equazione (2.47) bisogna

conoscere la relazione che lega il momento p, la velocità v, e l’energia Etot degli elettroni. Per potere

calcolare la pressione di degenerazione elettronica bisogna conoscere il numero di elettroni che nell’unità

di tempo, attraverso la superficie dσ di direzione ~n, entrano nell’angolo solido dΩs di direzione ~p/p;

definendo la pressione è data allora dalla quantità f(p)2v(p) cos2 θdΩpdp/4π, dove θ è l’angolo tra la

direzione della velocità e l’asse ortogonale a dσ. La pressione totale degli elettroni nella direzione ~n

si ottiene integrando tale espressione su tutte le direzioni di una semisfera e su tutti i valori assoluti p,

ottenendo nel caso di bassa temperatura:

Pe,d =8π

h3

Z 1

0cos2 θ d cos θ

Z ∞

0f(p)v(p)p3dp =

8πc

3h3

Z pF

0p3v(p)dp . (2.48)

Ricordiamo che in condizioni relativistiche valgono le relazioni:

p =mevp

1− (v/c)2 , (2.49)

53

Etot =mec

2p1− (v/c)2 ; (2.50)

dove me è la massa dell’elettrone. L’energia cinetica degli elettroni è E = Etot − mec2 . Attraverso

semplici sebbene non immediate manipolazioni dell’integrale (2.48) si ottiene:

Pe,d =1

20

µ3

π

¶2/3 h2men5/3e ,vF ¿mec, caso non relativistico (2.51)

Pe,d =

µ3

π

¶1/3 hc8n4/3e , vF Àmec , caso relativistico. (2.52)

E’ fondamentale notare come in condizioni di degenerazione, in virtù delle equazioni (2.51, 2.52), la

pressione sia una grandezza indipendente dalla temperatura.

Per temperature più basse il gas di elettroni è parzialmente degenere e la distribuzione di Fermi-Dirac

non è approssimabile all’unità, di conseguenza la densità nello spazio degli impulsi è descritta dalla

(2.45): le grandezze già descritte sono quindi calcolate nuovamente e si ottiene:

ne =8π

h3

Z pF

0

p2dp

1 + exp [(E − µ)/kBT ] , (2.53)

Pe,d =8π

h3

Z 1

0cos2 θ d cos θ

Z ∞

0v(p)p3

dp

1 + exp [(E − µ)/kBT ] . (2.54)

La pressione totale del plasma stellare è la somma dei contributi della pressione del gas di ioni, del gas

di elettroni e della pressione di radiazione dei fotoni:

Ptot = Pi + Pe + Prad . (2.55)

I fotoni, essendo particelle a spin intero, obbediscono alla statistica di Bose-Einstein; poiché l’energia di

un fotone di frequenza ν è E = hν, la pressione di radiazione e la densità del gas di fotoni si scrivono

Prad =1

3

Z ∞

0hν n(ν)dν =

1

3ρ , (2.56)

dove n(ν) è la densità di fotoni con frequenza compresa tra ν e ν + dν e si scrive:

n(ν) =8πν2

c31

exp [hν/kBT ]− 1 . (2.57)

54

Sostituendo l’equazione (2.57) nella (2.56) otteniamo

Prad =a

3T 4 , (2.58)

con

a =8π

15

k4Bh3c3

. (2.59)

Utilizzando adesso le equazioni (2.41, 2.58, 2.54) nella (2.55) si ottiene:

P =kBHρT

µ1

µi

¶+8π

3h3

Z ∞

0v(p)p3

dp

1 + exp [(E − µ)/kBT ] +a

3T 4 . (2.60)

2.5 Processi energetici

I processi che contribuiscono al bilancio energetico della stella possono essere riassunti in quattro tipolo-

gie fondamentali:

i) produzione di energia gravitazionale,

ii) perdita di energia per produzione di neutrini,

iii) produzione di energia per fusione nucleare,

iv) perdita di energia per irradiamento nello spazio esterno.

Il coefficiente di produzione di energia per unità di massa e per unità di tempo introdotto precedente-

mente, ², è quindi scrivibile come la somma di quattro differenti contributi: ² = ²g + ²ν + ²n + ²γ .

²g) L’energia gravitazionale è definita come il calore assorbito o prodotto dalla materia in trasfor-

mazioni termodinamiche che sono indotte da effetti gravitazionali. Richiamando il primo principio della

termodinamica

TdS = dU − pdµ1

ρ

¶(2.61)

possiamo scrivere, in base alla definizione fornita, il coefficiente ²g attraverso:

− ²gdt = dQ = TdS , (2.62)

55

ovvero

− ²gdt = T·µ∂S

∂P

¶T

dP +

µ∂S

∂T

¶P

dT

¸; (2.63)

tali derivate acquisiscono un senso definito solo alla luce dell’equazione di stato utilizzata caso per caso.

²ν) I neutrini, non interagendo con la materia che forma il plasma stellare, possono soltanto sottrarre

energia alla struttura stellare. La sezione d’urto per processi di diffusione di neutrini con energia Eν può

essere stimata come:

σν ∼ G2FE2ν

doveGF = 1.17× 10−5GeV−2 è la costante di Fermi. Per neutrini con energia dell’ordine di ∼ 1MeV

la sezione d’urto sarà

σν ∼ 10−20barn ,

più piccola di un fattore 10−18 rispetto ad un tipico processo di interazione radiazione-materia. Detta n

la densità in numero di particelle nel plasma, il libero cammino medio lν dei neutrini nella materia può

allora essere stimato attraverso

lν =1

nσν; (2.64)

usando per la densità del plasma stellare la relazione ρ = nµH ed assumendo il peso molecolare µ ∼ 1si ottiene:

lν =µH

ρσν∼ 2× 1020cm

ρ. (2.65)

Per densità ρ ∼ 10g cm−3 il libero cammino medio del neutrino è lν ∼ 10parsec mentre per densità

ρ ∼ 106g cm−3 si ha lν ∼ 3000R¯. Queste stime permettono di capire come in condizione stellari non

esotiche i neutrini non interagiscano con la materia stellare ma invece ’’scappino’’ senza alcun contatto

con il plasma, sottraendo in tal modo la loro energia cinetica al bilancio della stella. I neutrini sono

tipicamente prodotti nelle reazioni nucleari che sostengono la produzione di energia, questo implica che

le caratteristiche energetiche ed il flusso di tali particelle dipende fortemente dalle caratteristiche della

produzione di energia nucleare.

²n) In base alla ben nota equivalenza relativistica fra massa ed energia, in reazioni nucleari in cui nuovi

nuclei si formino a partire da diversi reagenti, la differenza in massa fra i prodotti ed i reagenti si trasforma

in energia; per semplicità nel seguito saranno illustrati processi a due corpi (oltre che più semplici da

illustrare costituiscono la maggior parte delle reazioni nucleari che avvengono nel core stellare). Per una

56

Fig.3. La produzione di energia dei cicli pp e CNO in funzione della temperatura. Per T > 1.8 108K la produzione di enrgiaè dominata dal CNO.

reazione del tipo

M1 +M2 →M3 +M4 (2.66)

doveMi rappresenta la massa della specie i-esima, la grandezza

Q = (M1 +M2 −M3 −M4)c2 (2.67)

è detta Q-valore della reazione; se Q > 0 allora la reazione è detta esoenergetica e fornirà energia al

plasma stellare, se Q < 0 la reazione è detta endoenergetica e per avvenire dovrà sottrarre energia al

plasma circostante. La sintesi di elementi più leggeri del 56Fe avviene tramite reazioni di tipo esoener-

getico mentre il contrario accade per la sintesi di elementi con numero atomico più elevato; come già

descritto, queste proprietà dei nuclei caratterizzano nettamente l’evoluzione stellare. Notevole rilevanza

assume nell’evoluzione di stelle di ogni massa la fase di combustione dell’idrogeno in elio: i processi pos-

sibili per tale fenomeno sono il ciclo protone-protone (detto ciclo pp) ed il ciclo carbonio-azoto-ossigeno

(detto ciclo CNO); l’effetto di ognuna di queste due catene di reazioni è di bruciare quattro protoni in

un nucleo di 4He, con la produzione di due neutrini elettronici, due positroni e ∼ 27MeV di energia. La

57

differenza sostanziale fra i due cicli consiste, oltre che nei catalizzatori delle reazioni, nella diversa effi-

cienza al variare della temperatura T : la produzione di energia del ciclo pp ha una dipendenza da T molto

morbida mentre la produzione di energia del CNO dipende fortemente dalla temperatura. Come è pos-

sibile vedere in figura 3 esiste una temperatura di crossover, TCNO ∼ 1.8 108K, al di sopra della quale

la produzione di energia è dominata dal ciclo CNO. Se, durante la fase di combustione dell’idrogeno,

T > TCNO, la sintesi dell’elio segue tale catena di reazioni, l’evoluzione della stella è allora caratteriz-

zata in maniera effettiva dai processi ad essa legati. Se i catalizzatori delle reazioni di questo ciclo sono

assenti, esse non potranno avere luogo; si vedrà nel seguito come questa peculiare condizione possa in-

fluenzare la fisica della stella. Di seguito sono illustrate le reazioni nucleari che costituiscono i cicli pp

e CNO.

ppI

p+ p → 2H + e+ + νe2H + p → 3He+ γ

3He+3 He → 4He+ p+ p

ppII

3He+4 He → 7Be+ γ

7Be+ e− → 7Li+ νe + γ7Li+ p → 4He+ 4He

ppIII

7Be+ p → 8B + γ8B → 8Be+ e+ + νe8Be → 4He+ 4He

CNO

12C + p → 13N + γ13N → 13C + e+ + νe13C + p → 14N + γ15O → 15N + e+ + νe

15N + p → 16O16O → 12C + 4He

Una stima del coefficiente di produzione dell’energia si può effettuare schematizzando la reazione

(2.66) come una interazione fra una particella proiettile (1) e una particella bersaglio (2); adesso indichi-

amo con n1 ed n2 le densità, rispettivamente, delle particelle 1 e 2 e con v la loro velocità relativa. La

probabilità che una reazione avvenga è direttamente proporzionale alla probabilità che le due particelle

hanno di ’’scontrarsi’’, ovvero al prodotto fra il flusso di particelle proiettile e l’area efficace occupata

dalla particella bersaglio. Quest’ultima grandezza è proporzionale alla sezione d’urto σ = σ(v) del

processo; definendo l’area efficace vista dal proiettile Aeff = σ(v)n2 ed il flusso di proiettili J1 = vn1possiamo ora scrivere il ’’rate specifico’’ della reazione (numero di eventi per unità di tempo e di volume)

58

come

r12 = n1n2vσ(v) . (2.68)

Poiché per i nuclei nel plasma stellare la distribuzione sui possibili valori di velocità è descritta dalla

funzione di Maxwell-Boltzmann:

ϕ(v) = 4πv2µ

M

2πkBT

¶3/2exp

·−Mv

2

2kBT

¸, (2.69)

con

M =M1M2

M1 +M2

la massa ridotta del problema, il rate va calcolato mediando sui possibili valori di velocità e quindi:

hσvi =Z ∞

0ϕ(v)vσ(v)dv . (2.70)

Se la reazione avviene fra particelle identiche la relazione (2.70) va moltiplicata per un fattore un mezzo.

Introducendo il rate della reazione inversa della (2.66), r34, il coefficiente di energia nucleare della

reazione si scrive

² = ²12 + ²34 = (r12 − r34)Qρ

. (2.71)

L’effetto delle reazioni nucleari è, oltra a quella di produrre energia, quella di sintetizzare nuovi elementi a

partire dai reagenti, di conseguenza è possibile scrivere delle equazioni che descrivano l’evoluzione del-

l’abbondanza di un elemento in funzione del tasso di reazione. Considerando per semplicità solo eventi

del tipo (2.66), per un generico nuclide ’’i’’ l’equazione che descrive l’evoluzione della sua abbondanza

è:

dnidt

=Xm

rmab −Xr

rrij ; (2.72)

con l’indicem che corre su tutte le possibili reazioni che hanno fra i prodotti l’elemento i e l’indice r che

corre su tutti le reazioni in cui i è uno dei reagenti17. Per una trattazione più accurata della produzione

di energia attraverso reazioni nucleari si rimanda al capitolo 3, dedicato all’astrofisica nucleare.

²γ) Semplici calcoli (che non riportiamo) permettono di stimare l’energia persa dalla stella per irra-

diamento come molto inferiore a quella persa a causa della ’’fuga’’ dei neutrini, quantomeno durante la

17 E’ inteso che le reazioni inverse di quelle in cui i è prodotto figurano nella seconda sommatoria e viceversa.

59

sequenza principale; un esempio simile in differenti fasi della stella è già stato illustrato: durante l’es-

plosione di Supernova l’energia persa per emissione di neutrini è cento volte superiore a quella rilasciata

nello spazio esterno sotto forma di radiazione elettromagnetica.

2.6 Fenomenologia delle popolazioni I e II

La caratterizzazione dell’evoluzione stellare dipende sostanzialmente da due parametri: la massa e la

composizione chimica. Nella descrizione seguente la composizione chimica considerata è molto simile

a quella solare, che è tipica delle stelle di popolazione I, e i differenti cammini evolutivi saranno mostrati

al variare della massa. E’ inteso che i limiti mostrati non sono precisi, sebbene risultino comunque

rappresentativi del comportamento di una stella la cui composizione chimica possa essere considerata

simile a quella presa in esame o a quella di stelle di popolazione II. L’evoluzione di oggetti in cui la

componente di metalli sia significativamente più bassa di quella solare verrà descritto nel paragrafo

dedicato alle stelle di popolazione III.

M ≤ 0.1M¯)

In queste condizioni è impossibile per la nube raggiungere temperature tali da innescare la fu-

sione dell’idrogeno; la contrazione della nube è arrestata dalla presssione di degenerazione

degli elettroni. La struttura continua a raffreddarsi diminuendo di conseguenza la propria lu-

minosità: tali oggetti sono chiamati ’’nane brune’’. Giove può essere considerato un esempio

di oggetti di questo tipo.

0.1M¯ ≤M ≤ 0.5M¯)

Tali oggetti riescono ad innescare la combustione dell’idrogeno, che viene dominata dal ciclo

pp, ma non quella dell’elio. Dopo l’esaurimento dell’idrogeno la stella si raffredda e la struttura

viene sorretta dalla pressione di degenerazione degli elettroni: si forma così una nana bianca.

0.5M¯ ≤M ≤ 3M¯)

Tali stelle attraversano la fase di combustione dell’idrogeno, che avviene tramite il ciclo pp,

ed in seguito alla contrazione successiva all’esaurimento dell’idrogeno riescono anche ad in-

nescare la fusione dell’elio. Tale fenomeno avviene però in ambiente degenere: l’equazione

di stato non è quella dei gas perfetti e temperatura e pressione sono due grandezze indipen-

denti. Poiché la pressione fornita è sufficiente a rendere stabile il core non avviene contrazione

60

né dilatazione: l’energia emessa nelle reazioni di fusione incrementano la temperatura ed in

tal modo l’efficienza delle reazioni di combustione dell’elio aumenta. Si innesca un processo

reazionato positivamente in cui l’elio viene bruciato velocemente in tutto il core (’’helium

flash’’) aumentando inoltre la temperatura della stella: durante tale fase l’energia emessa nella

combustione dell’elio è comparabile alla luminosità di una supernova ma è riassorbita dagli

strati esterni al core. Nel contempo a causa della alta densità e temperatura raggiunte nel core

sono prodotti termoneutrini che sfuggono dalla struttura raffreddandola; in conseguenza di

questo fenomeno la temperatura raggiunge un massimo all’interno della stella, diminuendo

sia verso il centro che verso l’esterno: la combustione avviene adesso in una shell esterna al

core. L’energia prodotta dalla combustione dell’elio contribuisce solo in piccola parte alla lu-

minosità della stella, che è dominata dall’energia prodotta dalla shell di idrogeno più esterna,

mentre il rimanente induce un’aumento di temperatura nelle zone limitrofe e nella stessa shell:

l’efficienza della nucleosintesi cresce generando un fenomeno reazionato positivamente. La

luminositá è maggiore di quella dovuta alla combustione dell’idrogeno e l’energia è adesso

prodotta dalla fusione di elio in carbonio; in questa fase la stella è fortemente espansa e la tem-

peratura si abbassa notevolmente, pertanto il nome con cui è usualmente indicato tale oggetto

è ’’gigante rossa’’. Durante questa fase lo strato esterno di idrogeno che circonda il core di elio

è fortemente convettivo: la convezione raggiunge strati sempre più interni della stella fino

ad interessare la zona precedentemente occupata dal core di idrogeno. In tal modo gli ele-

menti prodotti durante il ciclo pp vengono portati verso la superficie della stella, arricchendo

così gli strati più esterni di metalli e modificandone sostanzialmente la composizione chim-

ica, tale fenomeno è noto come ’’primo dredge up’’. Esiste un limite alla massa di un oggetto

la cui pressione gravitazionale può essere controbolanciata dalla pressione di degenerazione

elettronica, tale valore è detto massa di Chandrasekhar e vale MCH ∼ 1.4M¯; pertanto, se

la massa del core stellare, Mc, supera tale valore, la struttura collassa verso il centro, trovan-

dosi così nelle condizioni fisiche che portano ad una esplosione di tipo Supernova. Se invece

Mc < MCH la stella si raffredda progressivamente terminando la propria vita come una nana

bianca.

3M¯ ≤M ≤ 9M¯)

In stelle di tale massa il processo dominante la combustione dell’idrogeno è il cicloCNO. L’e-

saurimento dell’idrogeno (ovvero della sua combustione) nel core porta, come già detto, alla

61

Fase T(106K) t(anni)gravitazionale 1-10 107

H → 4He 10-30 109

gravitazionale 30-100 1064He→ 12C (core non degenere) 100-300 1064He→ 12C (flash dell’elio) 500 105

Tab.1.Un prospetto delle temperature del core stellare durante varie fasi dell’evoluzione, insieme con la loro durata.

sua contrazione. Intanto, in strati vicini ma esterni al core, dove è ancora presente idrogeno,

si innesca la fusione di questo elemento. La contrazione del core continua fino a quando le

condizioni per la combustione dell’elio non siano soddisfatte. Tale fenomeno avviene questa

volta in ambiente non degenere e genera una grande quantità di energia ad elevate tempera-

ture, condizioni che, come già notato, inducono la convezione; tali stelle sono quindi dotate

di un core di elio convettivo. Al progressivo esaurimento dell’elio nel core segue una dimin-

uzione della convezione in tale zona; al termine di tale processo la combustione viene in-

nescata in strati esterni al core stesso, come prima era avvenuto con la fusione dell’idrogeno,

oramai quasi esaurita anche nella ’’shell’’. Contemporaneamente al processo di esaurimento

dell’elio combustibile, negli strati più esterni della stella si innescano moti convettivi, che rag-

giungono livelli più interni all’aumentare della massa: per M ≥ 4M¯ la convezione penetra

fino a zone occupate dal primo core di idrogeno (secondo dredge up). In tale modo la su-

perficie della stella è arricchita degli elementi prodotti durante la nucleosintesi dell’elio e la

sua composizione originaria notevolmente modificata. L’espansione degli strati esterni della

stella e l’accensione della shell di idrogeno ha portato la stella nella fase di gigante rossa. Al-

l’esaurimento della combustione di elio all’interno del core segue, secondo un meccanismo

già descritto, la contrazione di quest’ultimo; le condizioni di temperatura e pressione sono tali

da indurre la degenerazione del plasma di elettroni e la combustione del carbonio avviene,

analogamente al caso dell’elio in stelle di massa 0.5 ≤M/M¯ ≤ 3, con un flash. All’esauri-

mento di tale fenomeno segue il raffreddamento della stella, che diventa così una nana bianca.

Qualora il core (formato sostanzialmente da carbonio ed ossigeno, dopo avere esaurito l’e-

lio) abbia sviluppato una massa superiore alla massa di Chandrasekhar,Mc ≥MCH , la stella

termina la propria vita con una esplosione di tipo Nova.

9M¯ ≤M ≤ 40M¯)

In oggetti così massivi la combustione dell’elio avviene come appena descritto nella sezione

62

precedente, la differenza sostanziale è che la combustione del carbonio avviene in condizioni

non degeneri e il ciclo di esaurimento del combustibile, contrazione del core ed innesco delle

reazioni di combustione degli elementi più pesanti prosegue in condizioni di non degener-

azione fino alla fase di combustione del 56Fe. Come già descritto nel paragrafo (1.1) tali

reazioni sono endoenergetiche e questo induce un processo reazionato positivamente che porta

la stella all’esplosione; un evento di questo tipo è stato osservato nel 1987 con l’esplosione

della Supernova 1987A nella Nube di Magellano.

40M¯ ≤M)

Oggetti cosí massivi raggiungono in condizioni non degeneri la fase di combustione dell’os-

sigeno; il core raggiunge una temperatura di∼ 109K con densitá dell’ordine di∼ 105g cm−3.In queste condizioni l’energia media per fotone é dell’ordine sufficiente per la creazione di cop-

pie elettrone-positrone (E ∼ 1MeV ); tale fenomeno avviene in maniera massiccia, facendo

cosí diminuire l’energia a disposizione per il riscaldamento del plasma. La pressione crolla ed

il core collassa violentemente verso il centro; in tali condizioni l’ossigeno viene bruciato in

maniera esplosiva portando il core alla fotodisintegrazione18. Questi oggetti hanno il nome di

’’Pair Instability Supernovae’’ (PISNe).

Un fenomeno importante nell’evoluzione stellare sono i cosiddetti ’’thermal pulses’’: essi avvengono

in stelle sufficientemente evolute con sorgenti di energia in shell esterne al core. In particolare, per stelle

di massa intermedia con due shell che forniscono energia (una più interna di combustione dell’elio ed

una più esterna di combustione dell’idrogeno), si producono lievi instabilità gravitazionali all’interno

della shell di elio; la temperatura aumenta sensibilmente inducendo un incremento dell’efficienza delle

reazioni nucleari (’’thermal runaway’’). L’energia prodotta contribuisce solo in piccola parte alla lumi-

nosità della stella, che è dominata dall’energia prodotta dalla shell di idrogeno più esterna, mentre il

rimanente induce un’aumento di temperatura all’interno della stessa shell; l’efficienza delle reazioni

cresce e la temperatura del plasma sale: la shell e gli strati superiori si espandono. Tale fenomeno rag-

giunge anche la shell di combustione dell’idrogeno che si raffredda diminuendo la produzione di energia.

Il processo descritto incomincia in maniera lenta e la reazione positiva lo porta ad un veloce incremento

fino ad un massimo nella produzione di energia nella shell di elio (che corrisponde ad un minimo nella

18 Tale fenomeno consiste nell’assorbimento da parte dei nuclei di fotoni di energia dell’ordine del MeV; ciò inducedecadimento α, con il rilascio di grandi quantità di energia.

63

luminosità stellare); a questo punto tutta la zona interessata dal fenomeno incomincia a contrarsi per ri-

tornare, in tempi dell’ordine di ∼ 103 anni, alle condizioni iniziali. Durante queste oscillazioni si crea

una piccola zona convettiva di breve durata fra le due shell, che mescola gli elementi presenti nelle tre

regioni (le due shell e la zona intermedia); questa zona viene raggiunta in seguito anche dalla convezione

esterna, che in questo modo la arricchisce dell’idrogeno presente in superficie portando verso l’esterno

il materiale presente nella regione (terzo dredge up).

2.7 Stelle di popolazione III

La popolazione III (popIII) è una generazione pregalattica di stelle la cui esistenza, e gli effetti che questa

ha avuto sull’evoluzione chimica dell’universo, è stata proposta come possibile spiegazione per alcuni

problemi astrofisici sorti negli anni ’70. Il modello di evoluzione chimica dell’universo allora in auge

prevedeva che le più antiche stelle di formazione galattica, popolazione II, fossero costituite dai ma-

teriali prodotti durante la nucleosintesi primordiale; tali elementi costituivano infatti i componenti del

materiale galattico, da cui tali stelle si formano. Secondo tale modello la discrepanza fra le abbondanze

di metalli prodotti nella nucleosintesi primordiale, Z ∼ 10−12 − 10−10, e quelle misurate sulla super-

ficie delle popII più povere di tali elementi, Z ∼ 10−4 − 10−3, era inspiegabile. Altri problemi erano

la notevole deficienza di stelle povere di metalli (metal-poor) nelle vicinanze del Sole relativamente

alle previsione dei modelli di evoluzione chimica e la impossibilità di spiegare, in base al modello al-

lora corrente, le contaminazioni del materiale intergalattico (IGM), come risultava da osservazioni delle

righe di assorbimento della ’’Ly-α Forest’’ nella luce da quasar. La spiegazione più accreditata per la

soluzione di queste discrepanze è stata l’introduzione di una nuova generazione di stelle antecedenti la

formazione delle galassie; tali oggetti, formatisi effettivamente dal materiale di produzione primordiale,

hanno elaborato al loro interno gli elementi più pesanti; questi ultimi sono poi stati espulsi dalla stella

in fase evolutiva, attraverso vento stellare, oppure al termine di essa attraverso esplosione di tipo Nova.

L’idea delle popIII è sostanzialmente l’aggiunta di un anello alla catena dell’evoluzione chimica dell’u-

niverso; l’ultimo decennio ha visto un prospero fiorire di studi sui contributi di tale generazione stellare

alla storia dell’universo: le esplosioni di popIII particolarmente massive sono candidate come possibili

motori di reionizzazione dell’universo [10] , [11] , l’elio prodotto durante la nucleosintesi stellare e poi

espulso nello spazio esterno potrebbe avere contaminato l’abbondanza primordiale di elio [12] , i relitti

stellari sopravvissuti all’esplosione di tipo Nova potrebbero essere evoluti successivamente in buchi neri

massivi [13] . Per potere accertare la validità di tale idea in maniera quantitativa sono necessari modelli

64

dettagliati per oggetti peculiari come quelli in esame. Come visto nei paragrafi precedenti le variabili

fondamentali dei modelli stellari sono la massa e la composizione chimica della nube iniziale; ciò im-

plica che per studiare nel dettaglio l’evoluzione delle popIII c’è bisogno di conoscere la composizione

chimica dell’universo all’epoca della formazione di tali oggetti e la loro massa caratteristica. La fisica

dei processi di formazione della stella e della sua evoluzione non variano fra stelle popII e popIII, ciò

che cambia completamente è la quantità di metalli presenti nel materiale da cui le differenti generazioni

di stelle si originano: elementi più pesanti del 7Li sono quasi completamente assenti fra i prodotti della

nucleosintesi primordiale (l’abbondanza in massa del 12C, fra i più abbondanti dopo il litio, è a tutt’oggi

stimata ∼ 10−15 rispetto all’idrogeno). Recenti lavori ([14] , [15] , [16] , [17] ) hanno mostrato come

l’assenza di tali elementi condizioni notevolmente sia l’evoluzione stellare che il processo di formazione.

2.7.1 Formazione delle stelle di popolazione III

Come anticipato, il processo di formazione delle popIII è analogo a quello delle altre generazioni stellari,

ciò che cambia è solo la composizione chimica della nube iniziale: la quasi completa assenza dei metalli

rende la nube composta sostanzialmente da molecole di idrogeno,H2, e da molecole di idrogeno deuter-

ate, HD; lavori recenti mostrano che quando la metallicità è inferiore a Zc ' 10−5 il raffreddamento

dovuto agli elementi più pesanti è trascurabile ripetto a quella indotta da fenomeni relativi all’idrogeno

ed all’elio. La differenza con la formazione di stelle popII o popI è quindi nell’assenza di molecole e

aggregati di elementi più pesanti: recenti simulazioni numeriche del fenomeno hanno mostrato che la

formazione stellare in tale ambiente comporta la creazione di due ’’famiglie’’ di stelle con masse grande-

mente differenti. La funzione iniziale di massa (IMF) delle popIII risulta essere una curva bimodale con

il primo picco centrato intorno a valori equivalenti a poche masse solari (M ∼ 3M¯) ed il secondo

indicante valori di massa molto elevati (M ∼ 10 − 100M¯). Più nel dettaglio, gli studi usati come

riferimento ([14] , [18] ) modellizzano la nube ’’madre’’ come filamenti cilindrici di gas caratterizzati da

massa, densità iniziale n0, temperatura e raggio iniziale, oltre che dalle differenti abbondanze iniziali dei

singoli elementi e dal parametro f che rappresenta il rapporto fra forza gravitazionale e forza di pres-

sione. Le specie considerate sono: e−, H, H+, H−, H2, H+2 , He, He+, He++, D, D+, D−, HD, HD+; i

processi termici presi in esame sono i seguenti:

i) raffreddamento di H tramite ricombinazione radiativa, ionizzazione collisionale ed ecci-

tazione collisionale,

65

ii)’’line cooling’’ dell’ H2,

iii) raffreddamento di H2 attraverso dissociazione collisionale,

iv) riscaldamento tramite formazione di H2,

v) ’’line cooling’’ dell’ HD.

Dalle simulazioni risulta che i processi radiativi relativi alle molecole di H2 dominano il raffredda-

mento della nube a temperature superiori ai ∼ 100 K mentre al di sotto di tale soglia sono i processi

delle molecole di HD a caratterizzare l’evoluzione termica del filamento; le differenti densità delle

due specie nella nube influiscono allora fortemente sull’evoluzione termica della stessa e dunque sulla

massa di Jeans caratteristica all’interno di tale oggetto in virtù della (2.7). I risultati ottenuti mostrano

che l’evoluzione termica del filamento, a parità di temperatura iniziale, dipende fortemente dalla densità

iniziale n0 della nube, che presenta un valore critico n0c ∼ 105cm−3.

n0 ≤ n0c) A sua volta questo caso mostra una fenomenologia a soglia rispetto ad una abbon-

danza critica di H2, n0H2' 10−3, al di sopra della quale il raffreddamento dovuto all’ HD

domina rispetto ai processi legati all’ H2; in questo caso la nube si frammenta in masse del-

l’ordine di ∼ 10M¯. Se invece nH2≤ n0H2

il raffreddamento è legato ai processi relativi all’

H2 e la massa di frammentazione è ∼ 102M¯.

n0 ≥ n0c) In questo caso il raffreddamento dovuto sia all’ HD che all’ H2 è saturato; la

frammentazione avviene quando la nube diventa opaca nelle linee di H2, ad una densità n ∼1012−13cm−3. La massa di frammentazione è in questo caso ∼ 1M¯.

Di conseguenza, come anticipato nella sezione precedente, la IMF delle popIII è una curva bimodale,

il cui secondo picco è dell’ordine di 10− 100M¯, a seconda della densità originaria di H219.

2.7.2 Fenomenologia della popolazione III

M ≤ 3M¯)

Come già visto nel paragrafo dedicato all’evoluzione di stelle più ricche di metalli, la pro-

duzione di energia nel core di tali oggetti è dominato dal ciclo pp. Nella composizione delle

popIII gli elementi necessari all’accensione ed al funzionamento di tale ciclo di reazioni nu-

cleari sono presenti, di conseguenza ad una prima grossolana analisi l’evoluzione delle popIII

19 Tali risultati, proprio perché fra i primi studi di natura quantitativa su tali fenomeni, basati su assunti ’’standard’’, sono da leggersi’’cum grano salis’’: effetti non ancora investigati di rotazione della nube, campi magnetici primordiali, etc..., potrebbero influiresensibilmente sui processi descritti.

66

Fig.4. Tracce evolutive di stelle popIII di piccola massa: la linea punteggiata rappresenta l’evoluzione di una stella con Z=10−18,la linea con tratteggio breve e quella solida rappresentano stelle con Z=0, rispettivamente i modelli permettono la diffusione dielementi attraverso strati differenti oppure no. Per confronto diretto, la traccia con tratteggio lungo mostra l’evoluzione di unapopII con Z=0.02.

di tale massa non è profondamente differente da analoghe popII. Il fenomeno che caratterizza

l’evoluzione delle stelle popIII rispetto alle popII è un flash nella regione di combustione del-

l’idrogeno durante la fase di passaggio allo stato di gigante rossa. Dai modelli studiati in

[15] si osserva che il core si contrae durante la fase di esaurimento dell’idrogeno, con un con-

seguente aumento della densità e della temperatura. L’energia prodotta durante questo flash

viene assorbita dagli strati più esterni: la luminosità rimane pressocché costante mentre la tem-

peratura aumenta. All’esaurimento del flash di idrogeno la struttura si raffredda e seguita poi

lungo la normale fase di gigante rossa. In figura 4 il fenomeno descritto è mostrato nel pi-

ano T − L. L’aumento di temperatura porta ad un incremento dell’efficienza della reazione

principale di combustione dell’elio, 3α→ 12C, e quindi ad una maggiore abbondanza di car-

bonio nel core; l’efficienza del ciclo CNO aumenta e l’energia prodotta induce un ’’thermal

runaway’’. Modelli di evoluzione stellare differenti per le quantità iniziali di metalli mostrano

comportamenti diversi della stella durante questa fase:

67

i) nei modelli di evoluzione mostrati in [15] l’abbondanza iniziale di metalli è considerata

nulla, questo comporta che anche durante il flash del CNO la produzione di energia sia dom-

inata dal ciclo pp, che come evidenziato in paragrafi precedenti ha una dipendenza molto de-

bole dalla temperatura. In conseguenza di ció la temperatura e la densità del core aumentano

notevolmente ed innescano un fenomeno di thermal runaway come pocanzi descritto.

ii) i modelli di evoluzione descritti in [19] , utilizzando come abbondanze iniziali dei metalli

Z ∼ 10−10, predicono che l’energia prodotta durante il flash del ciclo CNO sia superiore a

quella prodotta dal ciclo pp. Questo ha come conseguenza una minore contrazione del core e

quindi una densità ed una temperatura più moderate di quelle previste dal modello precedente,

sotto tali condizioni il ’’thermal runaway’’ non viene attivato.

L’abbondanza dei metalli ha quindi un valore critico Z ∼ 10−10 relativamente alla caratteriz-

zazione di questa fase evolutiva delle popIII; i differenti modelli sono in sostanziale accordo

per quanto riguarda le fasi finali dell’evoluzione: la stella attraversa la fase di gigante rossa

senza thermal runaways, terminando la propria ’’vita’’ con un flash dell’elio ed il successivo

raffreddamento verso lo stato di nana bianca.

3M¯ ≤M ≤ 9M¯)

Per questi oggetti la carenza di metalli comporta notevoli differenze nella loro evoluzione,

rispetto a stelle di massa simile e generazione successiva. Come visto nella sezione omologa

del paragrafo precedente (2.6), stelle di popolazione I e II, di massa intermedia, attraversano

una fase di combustione dell’idrogeno in cui le reazioni dominanti sono quelle del cicloCNO;

il core diventa convettivo e, a causa della forte dipendenza della produzione di energia dalla

temperatura, la temperatura delle zone più interne della stella risulta moderata. Nelle popIII,

invece, a causa dell’assenza dei catalizzatori del ciclo CNO, l’unica via possibile per la com-

bustione dell’idrogeno è il ciclo pp; questo comporta che, per produrre l’energia necessaria

ad arrestare (o quantomeno a rallentare il collasso gravitazionale), la temperatura interna au-

menta notevolmente e la zona di combustione si estende. Queste condizioni hanno come con-

seguenza che la convezione nel core sia limitata a zone molto prossime al centro, addirittura

scomparendo quando la frazione in massa dell’idrogeno sia inferiore al 50%, X ≤ 0.5, e che

una porzione molto estesa della stella (circa l’ 80% in massa) sia arricchita dai prodotti della

combustione dell’idrogeno (sostanzialmente 4He). Inoltre, poiché l’energia prodotta dal ciclo

pp non riesce a rallentare efficacemente la contrazione gravitazionale, temperatura e densità

68

centrali crescono continuamente fino all’accensione della reazione 3α → 12C. Quando la

quantità di carbonio prodotta da questa reazione raggiunge un determinato valore di soglia,

X12C ∼ 10−10, il ciclo CNO incomincia a contribuire in maniera efficiente alla produzione

di energia; la luminosità locale aumenta allora notevolmente ed innesca moti convettivi all’in-

terno del core. Al termine della combustione dell’idrogeno la temperatura centrale della stella

è così elevata (T ∼ 108K) che la combustione dell’elio avviene immediatamente, senza che

all’esaurimento dell’idrogeno segua una contrazione del core; in queste condizioni il primo

dredge up non avviene e così la superficie iniziale della stella, durante la fase di combustione

dell’elio, rimane quella iniziale. Nel contempo, analogamente a quanto succede con le stelle

di popolazione I e II, una shell di combustione dell’idrogeno si forma fuori del core; a causa

dell’elevata temperatura la reazione 3α → 12C fornisce localmente carbonio che permette la

combustione anche attraverso il cicloCNO. All’esaurimento dell’elio nel core la combustione

di questo elemento si sposta, come visto anche per stelle popI e II, in una shell esterna; sempre

in analogia con le popI e II, l’energia generata da questa combustione induce una espansione

ed un raffreddamento degli strati più esterni: si innescano moti convettivi che penetrano fino

alle zone occupate precedentemente dalla combustione dell’idrogeno ed arricchiscono la su-

perficie dei materiali prodotti. Come conseguenza della fase di sintesi dell’elio attraverso il

ciclo pp, la stella è molto ricca di questo elemento e quindi, dopo il dredge up, gli strati più es-

terni ne saranno fortemente arricchiti; anche il carbonio, prodotto dalla 3α→ 12C è portato in

superficie. In questa fase l’idrogeno e l’elio sono bruciati in shell separate; di particolare in-

teresse per la successiva evoluzione è la frazione in massa dei catalizzatori20 del ciclo CNO,

XCNO, presenti nelle zone più interne: è stato mostrato in [?] che esiste un limite inferiore

per tale grandezza, XCNO ∼ 10−7, al di sopra del quale la combustione dell’idrogeno nella

shell avviene completamente attraverso ilCNO. Le condizioni per la produzione di tali quan-

tità dei catalizzatori si verificano in stelle con massaM ≥ 6M¯, in seguito a quanto descritto

in questi oggetti la shell di idrogeno è dominata dal ciclo CNO: questa condizione è analoga

a quella di stelle pop I e II e l’evoluzione successiva segue le stesse fasi descritte nella sezione

analoga a questa. E’ bene ricordare che sebbene le successive fasi evolutive siano sostanzial-

mente analoghe a quelle di pop I e II, ovvero che la differenza nella composizione chimica non

ricopra più un ruolo rilevante nei processi fisici legati all’evoluzione, tale differenza esiste co-

20 In questo contesto l’uso del termine ’’catalizzatore’’ viene usato in maniera impropria, in quanto gli atomi di car-bonio, azoto ed ossigeno prendono effettivamente parte alle reazioni nucleari.

69

munque ed è invece rilevante per le caratteristiche del materiale espulso dalla superficie. Se

la massa della stella è invece più piccola, M < 6M¯, XCNO < 10−7e la combustione di

idrogeno nella shell è dominata dal pp, la produzione di energia attraverso il CNO è così re-

golata dalla produzione locale di carbonio. Analogamente a quanto accade in stelle più ricche

di metalli, in questa fase hanno luogo i thermal pulses, sebbene la loro ampiezza sia molto lim-

itata è comunque abbastanza per innescare moti convettivi all’interno della shell di idrogeno;

in particolare tale zona convettiva si estende sempre più in profondità con il proseguire dei

pulses. Dopo alcuni episodi la convezione si estende fino a lambire gli strati arricchiti di car-

bonio dalla convezione nella shell di elio, l’iniezione di carbonio nella shell di idrogeno induce

un flash del ciclo CNO e l’energia così prodotta contribuisce ad una espansione delle zone

esterne. In seguito i moti convettivi presenti negli strati più esterni della stella penetrano fino

alla shell di idrogeno, portando così in superficie gli elementi più pesanti prodotti nella sin-

tesi di elio e carbonio; in particolare dopo altri pulses un vero e proprio dredge up ha luogo.

Dopo tale episodio la stella segue un cammino evolutivo analogo a quello di oggetti più ric-

chi di metalli e le fasi finali sono analoghe a quelle descritte nella sezione relativa a oggetti di

popolazione I e II e massa simile.

40M¯ ≤M)

L’evoluzione di questi oggetti è analoga a quelle di stelle di generazione successiva, terminano

quindi la loro vita con una esplosione di tipo Nova indotta dalla produzione di coppie.

Negli ultimi due paragrafi si è inteso effettuare una descrizione delle principali caratteristiche del-

l’evoluzione stellare; in particolare sono state messe a confronto le fasi evolutive di modelli stellari di

popolazione II con quelli di popolazione III. Questo è stato fatto con lo scopo di mostrare la rilevanza

della presenza degli elementi che fungono da catalizzatori del ciclo CNO nei processi fisici che carat-

terizzano l’evoluzione stellare. Le differenze più rilevanti fra popII e popIII si evidenziano in modelli

con masse intermedie (3M¯ ≤ M ≤ 9M¯) per cui anche la fase di combustione dell’idrogeno risulta

fortemente ’’alterata’’ dalla impossibilità di innescare le reazioni del CNO. Qualora l’abbondanza pri-

mordiale degli elementi in esame risultasse essere al di sopra della soglia necessaria per l’ignizione di tale

ciclo di reazioni, l’evoluzione di stelle di popolazione III risulterebbe molto simile a quelle di popolazione

II. Pertanto, una maggiore accuratezza ed affidabilità nelle previsione teoriche delle abbondanze primor-

diali di carbonio, azoto ed ossigeno è auspicabile per potere, nei limiti oggi consentiti dalle conoscenze in

70

merito, comprendere con chiarezza quali siano state le caratteristiche evolutive della generazione stellare

pregalattica.

2.8 L’epoca stellare pregalattica

Il recente lavoro [20] ha tracciato una storia dell’universo pregalattico, 15 . z . 30, raccogliendo

le conoscenze più recenti su tali epoche ed investigando con particolare attenzione gli effetti di stelle

popIII particolarmente massive (VMS) sull’IGM. Riassumiamo il contenuto di tale lavoro al fine di

fornire una panoramica che chiarisca l’estrema importanza dei processi legati a stelle di popolazione III

nell’evoluzione chimica dell’universo pregalattico.

Per motivi legati alle velocità delle dinamiche evolutive di oggetti stellari le VMS sono stati i primi

oggetti a formarsi dal materiale residuo della BBN, a redshift dell’ordine z & 30; le osservazioni di

cluster globulari nell’alone galattico, con metallicità dell’ordine di Z ' 10−4, implicano inoltre che

le condizioni dell’universo debbano avere permesso la formazione di stelle con masse dell’ordine di

∼ 1M¯ prima di 109 anni dalla sua formazione. Le ultime conoscenze sulle stelle di popolazione III e

sulle dinamiche di formazione stellare in ambienti a bassa metallicità permettono di capire come la IMF

si sia modificata nel tempo, tracciando così una storia della formazione stellare. Le VMS si formano

a redshift dell’ordine di z & 30 e terminano la loro vita in un tempo molto breve, tSNe ∼ 106anni,

esplodendo come Supernovae21 ed espellendo così nell’IGM i metalli prodotti nel loro interno; per

conoscere l’effetto totale della contaminazione dello spazio esterno a causa dei metalli c’è bisogno di

cononscere il tasso di formazione delle VMS. Senza entrare nei dettagli, per i quali si rimanda a [20] ed

alle referenze in esso contenute, si assume un tasso di formazione a ’’single burst’’, ovvero un unico pe-

riodo in cui il processo di formazione di tali stelle sia stato efficace; questo tipo di aproccio è dovuto ad

un fenomeno estremamente peculiare relativo all’emissione UV delle VMS: esse producono una grande

quantità di fotoni con energie di poco al di sotto della soglia di ionizzazione dell’idrogeno; questi distrug-

gono le molecole di H2, inibendo così la formazione di ulteriori oggetti massivi, che avviene attraverso

i fenomeni relativi all’H2 già descritti. Si riesce, attraverso una stima dei fotoni prodotti dalle VMS e

del numero di fotoni per molecole di H2 necessari per inibire i processi di raffreddamento, a porre un

limite sul periodo di formazione delle VMS, che risulta essere z . 30. Questa stima qualitativa mostra

come l’episodio di formazione di stelle di popIII estremamente massive secondo i processi legati all’

H2 sia stato estremamente limitato nel tempo; a redshift più bassi il raffreddamento delle nubi di ma-

21 Questo a meno che la massa stellare sia & 260M¯, caso incui la stella collassa in un buco nero massivo, senza emissione dimateriale al termine della propria vita.

71

teria può allora procedere solo attraverso i fenomeni di formazione di righe dell’atomo di idrogeno. Ci

si aspetta inoltre che la formazione attraverso processi legati all’idrogeno molecolare proceda in zone

schermate dai fotoni UV emessi dalle VMS; le stelle prodotte da entrambi i meccanismi a z . 30 hanno

una IMF molto simile a quella delle prime popIII, sebbene in questa epoca il tasso di formazione sia es-

tremamente più basso. L’arricchimento dell’IGM di metalli prodotti da Supernovae muta il panorama

della formazione stellare, in particolare, quando la metallicità raggiunge valori dell’ordine di Z ∼ 10−5,i processi di formazione sono dominati dal raffreddamento dovuto agli elementi più pesanti e la IMF

sarà centrata intorno a valori dell’ordine di ∼ 1M¯. E’ possibile mostrare che tale variazione nella IMF

avviene a z ∼ 20. Il quadro finora descritto suggerisce che le stelle formatesi in tempi molto antichi

siano sostanzialmente di due tipi: oggetti estremamente massivi, generatisi dal materiale residuo della

BBN a z ∼ 30 (popIII), che terminano la loro evoluzione con esplosioni di tipo Nova, e stelle di massa

dell’ordine di ∼ 1M¯, formatesi a z . 20 da materiale contaminato dai metalli prodotti nella gener-

azione precedente, Z ∼ 10−5 (popII). L’esistenza di una generazione intermedia di stelle, formatesi dal

gas non ancora arricchito del materale espulso dalle VMS, è suggerita da meccanismi di formazione

stellare indotti da shock meccanici: lo shock delle esplosioni di Nova può avere indotto, all’interno di

nubi abbastanza massive da sopravvivere a fenomeni così energetici, il collasso di parte di esse innes-

cando così la formazione di stelle di generazione intermedia (pop II.5). La massa caratteristica di tali

oggetti è di ∼ 10M¯ e la loro formazione avviene a 20 . z . 30 in ambienti ancora poveri di met-

alli, sebbene sia necessario tenere conto di un fattore di ’’mixing’’ fra il materiale espulso dalle popIII

e quello investito dall’onda di shock. Il tipo di contributo che tali popolazioni stellari forniscono al-

l’IGM è determinato dalle loro caratteristiche evolutive: come già descritto nel paragrafo 2.7.2 le VMS

esplodono come PISNe, espellendo nello spazio esterno i materiali prodotti al loro interno, le stelle di

popolazione II.5, a causa della vicinanza della loro massa caratteristica al limite di formazione di Su-

pernovae ordinarie, evolvono parte come normali SN, e parte secondo le dinamiche illustrate per stelle

di masse intermedie. Il contributo che tale tipologia di stelle ha fornito all’IGM è stato oggetto di re-

centi e dettagliati studi (ad esempio il [16] ); ci si aspetta inoltre che le meno massive (M . 0.8M¯) fra

le popII.5, ovvero quegli oggetti con vite più lunghe (∼ 1010 anni) siano ancora osservabili negli aloni

galattici: le caratteristiche di un numero significativo di stelle estremamente metal-poor recentemente

osservate nell’alone della nostra galassia è oggetto di attente analisi per comprendere se effettivamente

tali oggetti siano ascrivibili alla pop II.5, fornendo così una prima conferma sperimentale del complesso

scenario appena illustrato.

Dopo quanto descritto appare evidente come la crescente accuratezza delle previsioni teoriche riguardanti

72

le epoche stellari pregalattiche e le recenti osservazioni di oggetti che possano dare conferme sperimen-

tali impongano una estrema precisione nella descrizione di quelle che sono state le condizioni iniziali

(e che hanno costituito per lungo tempo le condizioni al contorno) di tali ambienti. La determinazione

della metallicità del materiale residuo della BBN, e in particolare le abbondanze primordiali di quegli

elementi che partecipano al ciclo CNO, può dunque avere un ruolo importante nella descrizione di tali

epoche anche (e soprattutto) attraverso l’influenza che esercita nelle dinamiche di evoluzione stellare, le

quali partecipano all’evoluzione dell’ IGM22.

22 In un recente lavoro (Salvaterra e Ferrara) viene presa in esame anche l’ipotesi che l’elio prodotto durante la nucleosintesidelle popIII possa avere mascherato l’abbondanza primordiale di tale elemento. Tale ipotesi è in accordo con la discrepanza fraprevisioni teoriche e osservazioni sperimentali; si rimanda ai lavori originali per dettagli quantitativi, rispettivamente (Salvaterrae Ferrara, Cuoco et al.).

73

Capitolo 3

Elementi di Astrofisica Nucleare

Durante questo lavoro di tesi è stato necessario analizzare i rates di molte reazioni nucleari alle temper-

ature di interesse per la nucleosintesi primordiale, riassumiamo quindi in questo capitolo alcune delle

conoscenze fondamentali per la trattazione delle sezioni d’urto e dei tassi di reazione; nel primo para-

grafo sono inoltre descritti alcuni concetti basilari della fisica nucleare, insieme con alcune proprietà

generali dei nuclei di cui si farà uso nei paragrafi successivi. Per maggiori dettagli sulla trattazione delle

sezioni d’urto o sui modelli per descriverle si riamanda al [21] , testo fondamentale di questa disciplina.

3.1 Proprietà dei nuclei

I nuclei sono aggregati di protoni e neutroni (chiamati generalmente ’’nucleoni’’) legati fra di loro da

una interazione detta ’’forza (nucleare) forte’’; le proprietà di questa interazione, investigate nella prima

metà del secolo passato (uno dei periodi storici più eccitanti per la fisica moderna), ha permesso una

sua descrizione fenomenologica estremamente accurata. In linea di principio il nucleo andrebbe studiato

analizzando l’interazione degli A nucleoni che lo compongono, legati fortemente fra di loro; è evidente

come il grande numero di elementi presenti al suo interno e (di conseguenza) il numero di possibili inter-

azioni renda una trattazione teorica del problema verosimilmente proibitiva. Alcune peculiari proprietà

del nucleo stesso rendono possibile adottare un modello che descriva le proprietà collettive dell’insieme

di particelle che lo compongono: nel modello ’’a shell’’ ogni nucleone si muove all’interno di un poten-

ziale i cui autostati possono essere interpretati come ’’orbitali nucleari’’; naturalmente l’analogia con

gli orbitali atomici cessa quando si vada a considerare che il potenziale atomico, in cui gli elettroni si

muovono, ha una sorgente esterna agli stessi elettroni, mentre nel caso nucleare sono gli stessi nucleoni

a generare il campo in cui si muovono. Ancora più difficile risulterebbe una descrizione delle interazioni

fra più nuclei, è però possibile, considerando ognuno di questi ultimi come oggetti elementari dotati di

massa, spin e parità ben definita, descritti da una funzione d’onda a molti corpi, ottenere una buona

75

descrizione di tale interazione. Quest’ultima ha usualmente una grossa componente di scattering elas-

tico, mentre la parte rimanente del flusso è indirizzata in altri canali, fra cui la reazione; l’interazione

viene rappresentata attraverso un potenziale efficace e complesso, in una descrizione nota come ’’mod-

ello ottico’’. A causa delle grandi difficoltà teoriche nel gestire modelli nucleari statici e dinamici (che

aumentano con il numero di nucleoni presenti nel nucleo) appena descritte, l’indagine sperimentale è di

fondamentale importanza per lo studio dei processi nucleari; tale situazione è complicata dal fatto che il

range di energie in cui avvengono i fenomeni nucleari di interesse astrofisico è ben al di sotto delMeV .

Le grandi difficoltà sperimentali legate all’investigazione di tale particolare intervallo di energia ha dato

luogo alla nascita di una intera branca della fisica nucleare, l’ ’’Astrofisica Nucleare’’, i cui sforzi sono

indirizzati alla comprensione dei fenomeni nucleari di interesse astrofisico.

I nuclei, considerati come oggetti elementari, sono caratterizzati dalle seguenti grandezze: carica

(Z), massa (mnuc), energia di legame (Bnuc), momento angolare (J), parità (π), momento di quadrupolo

elettrico (Qel)23, momento di dipolo magnetico (µm); riassumiamo brevemente nel seguito alcune delle

loro proprietà più importanti insieme con le notazioni che saranno utilizzate nel seguito:

i ) La carica elettrica (in unità di carica positroniche) è uguale al numero di protoni nel nucleo,

ovvero al numero atomico Z. Analogamente, essendo A il numero atomico di massa, ovvero

il numero di nucleoni che costituiscono il nucleo, il numero di neutroni -N- è univocamente

determinato noti che siano A e Z: N = A − Z. Di conseguenza, l’usuale notazione AZXN ,

conX simbolo chimico dell’elemento, è ridondante; ricordando inoltre che il simbolo chimico

di un elemento è legato univocamente al numero atomico dell’elemento (i.e. Be ↔ Z = 4,

He ↔ Z = 2, etc...) la notazione nucleare diventa, nella sua forma minimale: AX. Nel

seguito si adotteranno una serie di convenzioni della fisica nucleare che riportiamo: nei casi

particolari in cui A = 1, Z = 1 e A = 0, Z = 0 si useranno i simboli p ed n, rispettivamente;

per concisione la notazione illustrata sarà spesso sostituita dai simboli d↔ 2H, t↔ 3H, τ ↔3He, α ↔ 4He. Inoltre per le reazioni si adotterà molto spesso la notazione usata in fisica

nucleare: una reazione del tipo

AX + BY ↔ A0X 0 + B0

Y 0

sarà indicata con AX(BY , A0X 0)B0

Y 0 .

23 Il momento di dipolo si annulla perché le interazioni dominanti fra i nucleoni, forte ed elettromagnetica, sono invarianti perparità. I momenti di ordine superiore sono soppressi di diversi ordini di grandezza, sebbene siano presi in considerazione inalcune modellizazioni estremamente accurate.

76

ii ) La massa nucleare viene determinata indirettamente a partire dalle masse atomichemat in

virtù della relazione:

mat = mnuc +Zme −Be(Z) , (3.1)

dove me è la massa dell’elettrone e Be l’energia di legame degli elettroni. Ricordando che

me ∼ 0.53MeV e che utilizzando il modello di Thomas-Fermi si trova Be ∼ 15.7 Z7/3eV ,

gli ultimi due termini del secondo membro sono di fatto trascurabili, almeno nell’approssi-

mazione adottata in questo lavoro. In generale non è però la massa atomica ad essere tabulata,

bensì i ’’Mass Excess’’ ∆at ≡ mat −Amu, con mu = unità di massa atomica = 112m

12Cat =

931.50MeV . Nelle approssimazioni fatte ed in funzione di questa grandezza possiamo allora

ricavare la relazione che sarà utilizzata durante tutto questo lavoro:

mnuc = Amu +∆at . (3.2)

I valori delle ∆at utilizzati sono tratti da [22] .

iii ) L’energia di legame (1.90) è definita come

Bnuc = Zmp +Nmn −mnuc , (3.3)

ed il fatto che sia positiva è indice del fatto che i nuclei siano energeticamente più stabili

dell’insieme dei nucleoni che lo compongono. L’energia di legame è una funzione crescente

di A fino ad A = 56 (ovvero fino al ferro) per poi diventare una funzione decrescente del

numero di massa atomica, tale comportamento è una diretta conseguenza delle caretteristiche

della forza nucleare, e implica, come già descritto nel capitolo 2, che il Q-valore di reazioni di

fusione sia negativo per elementi più pesanti del ferro.

iv ) Per nuclei di forma approssimabile a quella sferica, quali sono quelli di tutti gli elementi

tranne ’’lantanidi’’ o ’’attinidi’’, il raggio R è una funzione del numero di massa atomica de-

scrivibile con buona approssimazione dalla formula empirica

R = R0A1/3 , (3.4)

con R0 ∼ 1.3fm.

Unitamente a queste grandezze caratteristiche dei nuclei, ne esistono altre di rilevante importanza

77

quando non si considerino più i nuclei isolati, ma si incomincino a prendere in esame processi a più

corpi: sebbene già introdotti, è quindi opportuno ricordare le definizioni di ’’Q-valore’’, ’’rate specifico’’

e ’’potenza specifica’’:

i ) Il Q-valore di una reazione nucleare ad n corpi in ingresso ed l corpi in uscita è così definito:

Q =nXi=1

mi −lX

k=1

mk . (3.5)

ii ) Il rate specifico di reazione, ovvero la probabilità che una data reazione avvenga per unità

di tempo e di volume, risponde alla definizione:

ri1...in = ni1 ...nin hσvii1...in ; (3.6)

per i decadimenti, in base a questa relazione, si ha r = ni hσvi, con hσvi indipendente da

T ma pari all’inverso dell vita media τ i, hσvi = 1/τ i. Fanno eccezione, fra i processi di

nostro interesse, i decadimenti di cattura elettronica e le reazioni di fotodistruzione, per cui

vale 1/τ = ne hσvi e 1/τ = nγ hσvi, rispettivamente.

iii ) La potenza specifica, già introdotta nel paragrafo sui processi energetici nelle stelle, es-

prime l’energia liberata per unità di tempo e di volume dalla reazione in esame:

² = Qr . (3.7)

Come già messo in evidenza nei paragrafi dedicati alla nucleosintesi primordiale e ai processi ener-

getici nelle stelle, per determinare il rate di una determinata reazione nucleare è necessario conoscerne

la sezione d’urto su un range abbastanza vasto di energie; quest’ultima rappresenta, come è ben noto,

una sorta di ’’area’’ efficace di interazione, mostriamo brevemente ed in maniera semiqualitativa quali

siano alcune delle caratteristiche di tale grandezza. Da un punto di vista puramente geometrico, l’area

occupata da due nuclei sferici vicini è pari alla somma delle aree occupate dai singoli nuclei, e quindi,

secondo la (3.4):

σ ∼ π ¡R21 +R22¢ = πR20 ³A2/31 +A2/32

´. (3.8)

Tale grandezza varia, per A ∈ [2, 238] da ∼ 2 × 10−29cm2 a ∼ 5× 10−28cm2. L’introduzione del

barn, 1b = 10−24cm2, grandezza di misura in uso in ambito di fisica nucleare e subnucleare, permette di

78

gestire tali grandezze con una terminologia più scorrevole. Naturalmente i nuclei non interagiscono sem-

plicemente accostandosi gli uni agli altri ma differenti fenomeni contribuiscono a far sì che la dipendenza

della sezione d’urto dall’energia sia non banale, anzi spesso estremamente complicata, fra i quali:

i ) Effetti quantistici

A causa delle loro dimensioni i nuclei sono oggetti quantistici, di conseguenza l’analogo quan-

tistico dell’area efficace (3.8) è:

σ ∝ λ2 , (3.9)

con λ lunghezza d’onda caratteristica del sistema dei due nucleoni; essendo p1,2 = λh si ha

λ = h/µ1,2vrel, con vrel velocità relativa dei due nucleoni e µ1,2 massa ridotta del sistema.

Valutando allora quest’ultima relazione in funzione dell’energia nel sistema del centro di massa

ECM , si ha:

λ =hp

2µ1,2ECM, (3.10)

in virtù della quale la (3.9) si può scrivere come:

σ ∝ 1

µ1,2ECM. (3.11)

ii ) Effetti di schermo elettromagnetico

In maniera euristica ci si attende che una reazione nucleare avvenga quando uno dei due nu-

clei penetri all’interno dell’altro; se l’interazione avviene fra particelle cariche la sezione d’urto

sarà allora proporzionale, oltre che all’inverso dell’energia, ad un termine di ’’tunneling’’ at-

traverso la barriera coulombiana, per cui:

σ ∝ 1

Eexp

h−pEG/E

i, (3.12)

dove EG è detta ’’energia di Gamow’’ ed è definita come EG ≡ ¡πµ1,2Z1Z2e

2/h¢2con e

carica dell’elettrone.

iii ) Mediazione di interazioni diverse

Le reazioni avvengono perché sono mediate da forze esterne quali la forza nucleare, la forza

elettromagnetica e quella debole: le differenti costanti di accoppiamento di tali interazioni

caratterizzano allora in maniera peculiare l’ordine di grandezza della sezione d’urto. Come

79

reazione σ(b) interazione15N(p,α) 12C 0.5 nucleare forteτ(α, γ) 7Be 10−6 elettromagneticap(p, e+ν)d 10−20 debole

Tab.2.Rolfs, pag.139

è possibile vedere in tabella, dove i valori mostrati sono tutti relativi a Elab24= 2.0MeV ,

l’ordine di grandezza della reazione dipende fortemente dal tipo di interazione che la media.

E’ opportuno accennare ancora una volta alle grandi difficoltà di ordine sia teorico che sperimentale

che occorrono nella determinazione della σ(E): in primo luogo tutte le sezioni d’urto nucleari tendono ad

annullarsi per energie molto basse; questo implica che la loro misura per energie inferiori al MeV risulti

di estrema difficoltà, tale comportamenteo rappresenta un problema in misura ancora maggiore in quanto

proprio tale intervallo di energie, come già accennato, è quello di interesse per l’astrofisica. E’ necessario

allora fare ricorso a modelli teorici per potere fornire una corretta stima delle sezioni d’urto ad energie

molto basse, d’altro canto è quasi impossibile effettuare stime delle σ(E) facendo ricorso a soli principi

primi ed è comunque necessario l’uso di grandezze ottenute sperimentalmente25. La determinazione

sperimentale della sezione d’urto è complicata anche dalle condizioni sperimentali, ovvero da effetti

indesiderati causati dalle necessità di indagine (ad esempio l’effetto di ’’screening’’ atomico che affligge

il dato puramente nucleare); inoltre le condizioni astrofisiche in cui le reazioni avvengono sono a volte

non accessibili alle attuali capacità sperimentali.

E’ opportuno riassumere brevemente le principali idee teoriche che sono alla base dello studio delle

sezioni d’urto nucleari di interesse astrofisico: in linea di principio i meccanismi che contribuiscono alla

σ sono di diversa natura ed agiscono contemporaneamente nel processo di reazione. A seconda del tipo

di reazione, delle energie relative dei canali di ingresso e uscita e delle energie a cui si studia la sezione

d’urto è però in genere uno solo dei meccanismi a dominare il comportamento del fenomeno, mentre

il contributo degli altri risulta soppresso. I meccanismi principali in cui si usa suddividere il processo

sono di due tipi: ’’Nucleo Composto’’ (CN) e ’’Reazione Diretta’’ (DI), a cui usualmente si aggiunge un

termine di interferenza. Possiamo allora schematizzare quanto detto scrivendo la sezione d’urto come la

somma dei contributi apportati dai differenti meccanismi:

σ(E) = σ(E)CN + σ(E)DI + σ(E)int . (3.13)

24 Energia del proiettile nel sistema di riferimento del laboratorio25 Ad esempio la vita media del neutrone τn

80

Fenomenologicamente si usa distinguere il comportamento della sigma in funzione dell’energia: quando

la sezione d’urto varia lentamente si dice che è ’’non risonante’’ mentre quando in piccoli intervalli di

energie si hanno grosse variazioni si dice che la sezione è ’’risonante’’. Inoltre le risonanze si suddividono

in ’’isolate’’ e ’’fitte’’, a seconda che la larghezza Γ (in energia) della zona risonante sia trascurabile o

comparabile con la larghezza dei livelli energetici del nucleo composto, rispettivamente. A loro volta le

risonanze isolate si possono classificare in ’’strette’’, ’’larghe’’ (con ovvio significato dei termini) e ’’di

sottosoglia’’: quest’ultimo tipo occorre quando il nucleo composto ha un livello di eccitazione ad una

energia Eh (affetta da una incertezza ∆E di tipo quantistico), inferiore però al Q-valore della reazione,

Eh < Q; se l’incertezza è comparabile con il ’’gap’’ G = (Q − Eh), ovvero a meno che non sia

(Q − Eh)/∆E ¿ 1, la coda della risonanza può fornire comunque un contributo alla sezione d’urto.

Sebbene le risonanze siano di grande importanza nello studio dell’astrofisica nucleare, per le reazioni

che analizzeremo nel seguito assumeremo un andamento non risonante (per motivi che giustificheremo

opportunamente) nei livelli energetici di nostro interesse.

Reazioni di Nucleo Composto

In questo tipo di reazione il proiettile penetra all’interno del nucleo bersaglio, formando un nuovo

nucleo (CN); l’energia di eccitazione viene distribuita ai vari nucleoni e in un secondo momento tale

nucleo eccitato decade nello stato finale delle particelle uscenti. I tempi caratteristici di tali reazioni

sono abbastanza lunghi, dell’ordine di ∼ 10−20 ÷ 10−16 s, in quanto in questo meccanismo vengono

eccitati parecchi gradi di libertà dei singoli nucleoni. In seguito a quanto detto, il fenomeno è descritto

da due hamiltoniane, quella di formazione del nucleo, Hform, e quella di decadimento, Hdec, e per la

sezione d’urto vale la relazione di proporzionalità:

σ ∝ | hfin|Hdec|CNi |2| hCN |Hform|ini |2 . (3.14)

Naturalmente, le reazioni di questo tipo possono avvenire solamente se è possibile formare, date le pro-

prietà delle particelle in ingresso, un CN che possa decadere nello stato finale richiesto; le condizioni

necessarie sono riassunte in queste ’’regole di selezione’’:

1 ) Detto QCN il Q-valore della formazione del nucleo composto, l’energia iniziale Ein delle

particelle entranti è legata all’energia Er degli stati del CN dalla seguente relazione:

Ein = Er −QCN ; (3.15)

81

la reazione di CN ha sezioni d’urto significative (dominate da termini risonanti) solo per valori

di energia negli intorni di Er.

2 ) Detti ~j1 e ~j2 gli spin delle particelle in ingresso, con ~l il loro momento angolare orbitale e

con ~J il momento angolare totale del CN, deve valere:

~j1 +~j2 +~l = ~J , (3.16)

che è la abituale regola di somma dei momenti angolari.

3 ) La conservazione della parità nelle interazioni forti ed elettromagnetiche impone che sia

osservata questa uguaglianza:

(−1)l π (j1)π (j2) = π (J) , (3.17)

dove con π (j) si è intesa la parità della particella il cui spin è j.

Poiché legato ai livelli (discreti) di eccitazione del nucleo composto, questo meccanismo è respons-

abile delle risonanze strette della sezione d’urto; le ’’code’’ di tali risonanze vengono spesso comunque

inserite nella parte non risonante della sezione d’urto, insieme con la componente di DI. Nel limite di

basse energie le risonanze sono separabili ed isolate e per modellizzarle si usa la forma di Breit-Wigner;

ad energie più elevate non è possibile isolare le singole risonanze e si usa un modello di Hauser-Feshbach

per le previsioni teoriche; per dettagli su tali modelli si veda ad esempio [21] .

Reazioni Dirette

Un processo in cui la transizione dalla fase iniziale a quella finale avvenga in maniera diretta, rendendo

così possibile descrivere il processo con un’unica hamiltoniana,Htrans, viene detta reazione diretta; per

la sezione d’urto si ha dunque la legge di proporzionalità:

σ ∝ | hfin|Htrans|ini |2 . (3.18)

In questo modello si assume che il proiettile attraversi il bersaglio eccitando solo pochi gradi di libertà

del nucleo, con tempi caratteristici dell’ordine di ∼ 10−22 ÷ 10−21s; sebbene generalmente i contributi

di DI siano soppressi rispetto a quelli di CN, a basse energie (E ≤ 0.1MeV , cioè proprio quelle di in-

teresse per i nostri scopi) il termine di reazione diretta costituisce il meccanismo dominante la reazione.

Processi come lo scambio di carica, il trasferimento (’’stripping’’), il ’’pick-up’’ e la cattura radiativa hanno

un contributo rilevante di DI; quest’ultima in particolare illustra in maniera abbastanza caratteristica la

82

fenomenologia di DI: il proiettile incide sul nucleo bersaglio comportandosi come un’onda piana dis-

torta dal potenziale di quest’ultimo; nel portare il sistema nello stato stazionario finale emette un fotone,

analogamente al processo di bremsstrahlung atomico. I processi di DI forniscono i principali contributi

alla parte non risonante della sezione d’urto, in quanto possono avvenire ad una qualsiasi energia del proi-

ettile e la σ ha una dipendenza molto morbida dall’energia. I due approcci che abitualmente si seguono

per studiare le reazioni dirette sono di tipo ’’microscopico’’ o ’’di potenziale’’. Nelle teorie del primo

tipo (come il ’’Resonating Group Method’’, RGM) per ottenere le funzioni d’onda dei nuclei e la forma

della loro interazioni si usano modelli a molti nucleoni, che descrivono il processo con complicati poten-

ziali non-locali. Tale tipo di approccio richiede una enorme capacità di calcolo ed incorre nel difetto di

non possedere una caratterizzazione che consenta di passare sistematicamente da una reazione all’altra;

spesso inoltre questo tipo di teorie sono insoddisfacenti nelle previsioni accurate di grandezze di inter-

esse astrofisico tanto da necessitare di ’’rinormalizzazioni’’ facendo uso dei dati sperimentali disponibili.

L’approccio sulla base di modelli di potenziale è più diffuso, essendo più maneggevole pur se richiedendo

comunque l’ausilio a dati sperimentali per valutare i parametri lasciati liberi dal modello. In questo tipo

di teorie si descrive la dinamica dei processi nucleari attraverso l’equazione di Schrödinger facendo uso

di opportuni potenziali locali (detti ’’ottici’’), la cui forma si ottiene da considerazioni di tipo fenom-

enologico sull’interazione nucleone-nucleone; l’applicazione di questo approccio a reazioni di cattura o

di scattering elastico fornisce ottimi risultati. Per maggiori approfondimenti sui differenti approcci alla

modellizzazione delle reazioni dirette si veda ad esempio [21] .

3.2 Calcoli analitici di sezioni d’urto

3.2.1 Reazioni non risonanti indotte da neutroni

Le reazioni indotte da neutroni sono caratterizzate dall’assenza di una barriera coulombiana fra il nucleo

bersaglio ed il proiettile. Nell’approssimazione di urto in onda s (tanto meglio verificata quanto più bassa

è l’energia e quanto più lontani da risonanze) si trova che σ ∝ v−1; di conseguenza si ha che σv 'cost .

In maniera più generale si definisce la funzione

R(E) ≡ σv(E) (3.19)

che (lontano da risonanze) ha un andamento molto dolce in funzione dell’energia è può quindi essere

83

bene approssimata con uno sviluppo polinomiale di gradom in E1/2 (conm spesso pari a 2 o a 3):

R(E) =mXn=0

R(n)(0)

n!En/2 , (3.20)

dove con R(n)(0) si è indicata la derivata n-sima rispetto ad E1/2 valutata in E = 0; poiché la sezione

d’urto si scrive, in virtù della (3.19):

σ(E) =R(E)

v(E)=

2E

R(E)

c(3.21)

possiamo esprimere il rate hσvi:

hσvi =r4

π

Z ∞

0dy√yR(yT )e−y , (3.22)

con y ≡ E/T . Adottando per R(E) la forma polinomiale (3.20) si ottiene:

hσvi (T ) =mXn=0

cnTn/2 , (3.23)

con

cn =R(n)(0)

n!Γ(3/2)Γ

µn+ 3

2

¶. (3.24)

Talora R(E) è approssimabile in maniera più opportuna attraverso la somma del termine polinomiale

con un termine esponenziale decrescente del tipo:

R2(E) = R2(0)e−aE (3.25)

che contribuisce al rate con un termine:

hσvi2 =R2(0)

(1 + aT )3/2. (3.26)

Come già anticipato, per energie abbastanza basse (∼ 10keV )R(E) è una funzione estremamente dolce

della temperatura, approssimabile ad una costante; in particolare, in molte raccolte di dati sperimen-

tali sulle reazioni di cattura neutronica26 sono tabulati i valori della grandezza (delle dimensioni di una

26 Ovvero le reazioni del tipoX(n, γ)Y , conX e Y isotopi dello stesso elemento

84

sezione d’urto):

hσikT ≡hσvivT

, (3.27)

con

vT ≡s2kT

µ,

dove µ è la massa ridotta del sistema neutrone e proiettile. Tali dati sono forniti per una energiaET (nota

come ’’energia di cattura termica’’) che è abitualmente ET = kT = 30keV .

3.2.2 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche

Ricordiamo che per le reazioni indotte da particelle cariche la relazione (3.12):

σ ∝ 1

Eexp

h−pEG/E

iesprime la proporzionalità della sezione d’urto da un fattore ’’quantistico’’ e da uno di ’’tunneling’’; tale

fattore di proporzonalità, noto in ambito di astrofisica nucleare come ’’fattore S’’ o ’’fattore astrofisico’’

è indicato come S(E), rendendo possibile scrivere la (3.12) come:

σ(E) =S(E)

Eexp

h−pEG/E

i. (3.28)

Il fattore astrofisico esprime in qualche modo la ’’vera’’ dipendenza nucleare della sezione d’urto, una

volta che ci si sia sbarazzati della dipendenza dai termini prima menzionati; in questa ottica lo studio

del fattore S permette di analizzare più facilmente i differenti meccanismi nucleari che intervengono

nella reazione. Inoltre la sezione d’urto è spesso una funzione che va rapidamente a zero all’annularsi

dell’energia: l’introduzione del fattore astrofisico, definito dalla (3.28) come:

S(E) ≡ E × σ(E)× exphpEG/E

i, (3.29)

permette di estrapolare i dati in termini di quest’ultima grandezza, la cui dipendenza dall’energia (lontano

da risonanze) è molto dolce; l’accuratezza risultante sarà di conseguenza molto maggiore. Il rate hσvipuò allora scriversi:

hσvi =r8

πµT−1/2

Z ∞

0dyS(yT )e−φ(y,yG) ≡

r8

πµT−1/2I , (3.30)

85

dove si è definito y ≡ E/T , yG ≡ EG/T , φ(y, yG) ≡ y+q

yGy . La φ ha un minimo in y0 = (yG/4)1/3,

che comporta che e−φ sia piccata intorno a φ0; è posssibile stimare la larghezza totale a mezza altezza δ

di tale picco (detto ’’di Gamow’’, e per il momento assunto di forma gaussiana) approssimando φ con il

suo sviluppo in serie intorno a y0, troncando la serie al secondo ordine:

φ(y) ' φ(y0) + φ00(y0)2

(y − y0)2 = 3y0 + 3

4y0(y − y0)2 ; (3.31)

uguagliando a³y−y0

δ/2

´2, ovvero per una gausssiana di larghezza a mezza altezza δ, si ottiene δ = 4√

3y1/20 .

In tale approssimazione, considerando S(yT ) ' S(y0T ) ≡ S0 per y che varia intorno a y0 di ∼ δ, si

ottiene:

I(y0) 'Z ∞

0dye−φ(y,yG) ' S0e−3y0

Z ∞

−∞dy exp

"−µy − y0δ/2

¶2#= (3.32)

=

r4π

3y0S0e

−3y0 .

Possiamo adessso fornire la forma di hσvi come funzione della temperatura T e dell’energia di Gamow:

hσvi (T ) =s

32

41/33

E1/3G

µT−2/3S0 exp

"− 3

41/3

µEGT

¶1/3#. (3.33)

Tale stima del rate sussiste naturalmente solo quando si ponga il caso di un picco di Gamow approssima-

bile come una gaussiana (ovvero di una φ che sia approssimabile con uno sviluppo al secondo ordine)

e di un fattore astrofisico circa costante all’interno del picco di Gamow. Vediamo brevemente come è

possibile correggere il calcolo di hσvi nel caso in cui tali approssimazioni non siano più sostenibili.

1 ) Asimmetria del picco di Gamow

Nell’ipotesi di S costante, possiamo definire la grandezza

I ≡ S0e−3y0

r4π

3y0F (y0) , (3.34)

dove F (y0) è una funzione che descrive la forma del picco di Gamow e si può valutare svilup-

pando termine a termine gli integrali risultanti dalla correzione all’approssimazione gaussiana

di φ, sviluppata in serie di potenze di (y − y0). Poiché nei casi di nostro intreresse y0 À 1 è

86

giustificato sviluppare tale correzione in serie di 1/y0, ne otteniamo:

F (y0) = 1 +f1y0+f2y0+ ... = 1 +

5

36y0+

35

2592y20+ ... (3.35)

2 ) Variazione di S(E)

Sebbene il fattore astrofisico possa spesso essere considerato costante all’interno del picco di

Gamow, rimane il fatto che y0 (e di conseguenza la posizione del picco stesso ed anche la sua

ampiezza) è una funzione della temperatura; in conseguenza di ciò si è soliti sviluppare S(E)

in funzione di E intorno ad E = E0:

S(E) =mXn=0

S(n)(E0)

n!En , (3.36)

oppure, in funzione delle variabili in uso in questa trattazione:

S(yT ) =mXn=0

snynTn ; (3.37)

con i parametri sn ≡ S(n)(E0)n! previsti dalla teoria o, come accade molto più spesso, fittati dai

dati sperimentali. Qualora siano note solo misure all’interno del picco di Gamow è comunque

possibile effettuare una buona stima del fattore astrofisico; il problema sorge quando si voglia

stimare il rate su un grande intervallo di temperature: in questo caso è necessario raccogliere

misure su un intervallo di energie molto elevato.

Dalla (3.37) si ricava per I la forma:

I ≡Z ∞

0dyS(yT )e−φ(y,yG) '

Z ∞

0dy

mXn=0

snynTne−φ(y,yG) ≡

mXn=0

InsnTn ; (3.38)

il problema è quindi ricondotto allo studio dei singoli integrali:

In ≡Z ∞

0yne−φ(y,yG)dy . (3.39)

Si ottiene allora, per un generico fattore astrofisico sviluppabile in forma polinomiale, arrestando lo

87

sviluppo al secondo ordine, e limitandosi alle correzioni in 1/y0 per F (y0):

hσvi =r8

π

cõT

r4πE0(T )

3TSeffe

− 3E0T , (3.40)

dove

Seff (E0(T )) =

·s0

µ1 +

5T

36E0

¶+ s1E0

µ1 +

35T

36E0

¶+ s2E

20

µ1 +

89T

36E0

¶¸. (3.41)

In tale approssimazione, effettuando tutti i conti necessari, ed sesplicitando la forma di E0 in funzione

di T , si ottiene per il rate la forma:

hσvi (T ) = AT−2/3 exp³−BT−1/3

´Ã1 +

5Xn=1

αnTn/3

!, (3.42)

con A e B usualmente determinati in maniera sperimentale. Talora la sola forma polinomiale può non

essere sufficiente ad approssimare con sufficiente accuratezza il fattore astrofisico e sorge spesso la ne-

cessità di aggiungere un termine di tipo esponenziale decrescente del tipo

S2(E) = S2(0) exp (−aE) , (3.43)

per cui si ottiene:

I2(0) =S2(0)

T

Z ∞

0dE exp

"−E

µa+

1

T

¶−rEGE

#; (3.44)

Definendo Ta ≡ T/ (1 + aT ), possiamo ottenere per il rate il contributo fornito dalla parte esponenziale

del fattore S:

hσvi2 (T ) = A2T−3/2(Ta)5/6 exph−B2T−1/3a

i. (3.45)

3.2.3 Risonanze

Sebbene in questo lavoro non siano trattate in maniera diretta sezioni d’urto risonanti, per completezza

illustriamo i procedimenti eseguiti per calcolare il rate di reazioni in cui si presenti tale fenomeno; in

particolare in alcune delle reazioni il cui rate è stato aggiornato con i dati provenienti da [23] gli autori

hanno seguito una trattazione analoga a quella descritta qui brevemente. Per una risonanza isolata la

forma della sezione d’urto è approssimata da una forma alla Breit-Wigner, dove la relazione fra lunghezza

88

d’onda λ ed energia è contenuta nella (3.10):

σBW (E) = π

µλ

¶2ω

Γi(E)Γf (E)

(E −Er)2 + Γ2(E)/4; (3.46)

Γi e Γf sono rispettivamente l’ampiezza parziale dei canali di ingresso e di uscita della reazione, Γ ed

Er l’ampiezza totale e l’energia di risonanza del nucleo composto ed ω è un fattore statistico:

ω ≡ (1 + δ12) (2J + 1)

(2I1 + 1) (2I2 + 1), (3.47)

con I1, I2 e J lo spin delle particelle in ingresso e della risonanza, rispettivamente, ed il simbolo di

Kronecker a tener conto del fatto che i nuclei in ingresso possano essere della stessa specie. Ottenuto

l’andamento funzionale della σBW in funzione dell’energia il rate corrispondente si può scrivere con la

formula:

hσvi =r8

πµT−3/2

Z ∞

0σBW (E)Ee

−E/TdE ; (3.48)

Poiché la forma funzionale della (3.46) è spesso non elementare tale integrazione non si può eseguire

in maniera banale, si può però ottenere una forma analitica relativamente semplice in alcuni casi parti-

colari che illustreremo brevemente. Per maggiori dettagli sul calcolo del rate e la trattazione di tali casi

particolari si veda ad esempio [21] .

i ) Risonanze strette

Come anticipato, la condizione di risonanza stretta può essere assunta richiedendo che la

larghezza non sia comparabile con l’energia di risonanza, Γ ¿ Er; in tale caso l’integrale

della (3.48) si può eseguire in forma analitica considerando il fattore Ee−E/T circa costante

nella regione della risonanza:

hσvi 'r8

πµT−3/2Ere−Er/T

Z ∞

0σBW (E)Ere

−Er/TdE ; (3.49)

qualora anche λ e le ampiezze Γi possano essere considerate circa costanti nella regione di

interesse si ha:

hσvi 'µ2π

µT

¶3/2(ωγ)r e

−Er/T , (3.50)

dove (ωγ) ≡ ωΓiΓiΓ è detto forza della risonanza.

ii ) Risonanze larghe

89

Questa condizione è riassumibile formalmente comeΓ . Er, in queto caso le approssimazioni

fatte nel caso di risonanza stretta non possono essere utilizzate e bisogna prendere in esame

l’andamento del fattore astrofisico efficace Seff , ottenendo ad esempio per il rate:

hσvi = expµ− C0T 1/3

¶ Pml=0 alT

l/3

[E0(T )−Er] + (Γ/2)2. (3.51)

I vari parametri sono determinati tramite fitting dei dati sperimentali e l’energia del picco di

Gamow, E0(T ), è definita da:

E0(T ) = Ty0 = T2/3 (EG/4)

1/3 . (3.52)

iii ) Risonanze di sottosoglia

Il tipo di contributo che questo tipo di risonanze possono fornire alla sezione d’urto non riso-

nante è già stato descritto precedentemente; per la loro peculiare natura, questo tipo di riso-

nanza può avere effetti (talora anche abbastanza rilevanti) sull’andamento della sezione d’urto

a basse energie, rivestendo così una grande importanza nelle applicazioni alla BBN o agli am-

biti stellari. La dipendenza del fattore astrofisico dall’energia è del tipo:

S(E) ' S(Er)

(E −Er)2 + (Γ/2)2. (3.53)

Considerando che per questo tipo di reazione Er < 0 e tipicamente l’ampiezza Γ è molto

piccola, si può approssimare S(E) ∼ E−2, che risulta nella seguente formula per il rate:

hσvi = AT−2 expµ− B

T 1/3

¶Ã1 +

5Xn=1

αnTn/3

!. (3.54)

Altro fenomeno relativo al regime di risonanza occorre quando la densità di livelli nucleari del nu-

cleo composto sia particolarmente elevata; in tali condizioni avviene spesso che la spaziatura fra i livelli

eccitati sia dello stesso ordine delle ampiezze delle risonanze: si parla allora di risonanze fitte. Sper-

imentalmente ciò che si osserva è un fondo continuo relativamente elevato: in questo frangente si usa

il modello teorico di Hauser-Feshbach27 che prevede una dipendenza della sezione d’urto dall’energia

simile alla Breit-Wigner, con delle correzioni alla fluttuazione d’ampiezza che tengono conto della corre-

27 Non è scopo di questo lavoro una trattazione del modello, si rimanda pertanto alla bibliografia in merito (si veda Angulo et al.)riassumendo solo i risultati ultimi del modello di HF

90

lazione fra i differenti canali di formazione e decadimento del CN. Per una reazione del tipoXχ(a, b)Y υ,

con χ e υ che rappresentano i set di numeri quantici di X e Y rispettivamente, la forma della sezione

d’urto è:

σχυ =π

2µE

(1 + δχυ)¡2JX(χ) + 1

¢(2Ja + 1)

Xi

¡2JY (υ) + 1

¢Ttot

Tχ (i, a)Tυ (i, b)Wχυ (i, a, b) ; (3.55)

dove i termini T sono coefficienti di trasmissione medi ed il termineW tiene conto delle correlazioni fra

i differenti canali. La grandezza misurata dagli esperimenti è naturalmente la somma di tutti i canali sui

differenti stati quantici del nucleo residuo:

σ0υ , (3.56)

spesso tale sommatoria, qualora difettino conoscenze dettagliate sulla densità degli stati quantici del

nucleo composto, si trasforma in un integrale sulla densità di livelli nucleari. Per il rate, [23] assume la

forma:

hσvi = ATB exp (−C/T ) , (3.57a)

adottato quando esistano dati per il regime di ’’continuo multirisonante’’ prima descritto.

3.3 Applicazioni del Principio del Bilancio Dettagliato

In questo lavoro, per ragioni che vedremo in seguito, è stato necessario stimare i tassi di reazioni del

tipo a(b, c)d28 quando sperimentalmente erano noti i soli dati relativi alla sezione d’urto della reazione

inversa d(c, b)a. Per potere effettuare una stima del rate della reazione nella direzione cercata è stato

necessario fare ricorso al Principio del Bilancio Dettagliato, enunciato nel paragrafo 1.2.1 . Richiamiamo

brevemente le formule cui si fa riferimento per sviluppare il ragionamento poi applicato ai casi di interesse

per questo lavoro:

σabvab =(2π)4

4EaEb

ZdΠfinδ

(4)(pfinT − pinT )|M |2totYfin

gi (1± fi) , (3.58)

28 In realtà il principio del bilancio dettagliato vale anche su reazioni a molti corpi, ci riduciamo allo studio di casi a soli due corpiperché sono gli unici analizzati durante questo lavoro

91

e l’equazione per il rate:

hσviab→cd ≡1

nanb

Zgad~pa(2π)3

gbd~pb(2π)3

σabvabfafb , (3.59)

con riferimento della notazione al capitolo 1. I casi incontrati sono due: il primo è quello in cui tutte e

quattro le particelle sono nuclidi, il secondo caso è quello più peculiare (ma comunque molto comune)

in cui uno dei prodotti della reazione diretta sia un fotone (ovvero la reazione inversa sia una reazione di

’’fotodissociazione’’).

1 ) a+ b↔ c+ d

Poiché la sezione d’urto dipende solo da variabili relative, è possibile scrivere la (3.58) nel

sistema di riferimento del centro di massa:

(σv)ab =µ3/2cd

16MaMbMcMd

pTf

(2π)2gagbW , (3.60)

e analogamente per la reazione inversa:

(σv)cd =µ3/2ab

16MaMbMcMd

√Ti

(2π)2gcgdW , (3.61)

conTf e Ti energia cinetica relativa nel centro di massa dei sistemi a+b e c+d rispettivamente,

legate dalla relazione Tf = Q + Ti, con Q che indica il Q-valore della reazione. In virtù

del principio del bilancio dettagliato le incognite W nelle ultime due equazioni sono uguali.

Pertanto otteniamo la seguente relazione:

(σv)cd(σv)ab

=

µµabµcd

¶3/2 gagbgcgd

sTiTf

(3.62)

che diventa estremamente preziosa riscritta nella forma:

σcdσab

=µabµcd

gagbgcgd

TiTf

. (3.63)

Utilizzando la definizione di rate (3.59) e utilizzando l’ultima equazione si può giungere al

risultato finale:

hσvicdhσviab

=

µµabµcd

¶3/2 gagbgcgd

e−Q/T . (3.64)

92

2 ) a+ b↔ c+ γ

Poiché consideriamo un plasma in condizioni sempre non relativistiche, è sempre verificato

Eγ À Tc, da cui ne consegue che la:

hσvicγ =1

ncnγ

ZdΠT (2π)

4δ(4)(pfinT − pinT )|M |2totfcfγ (3.65)

si scrive, nel formalismo qui adottato:

hσvicγ =1

2ζ(3)

Z ∞

Qcγ

dEγE2γT 3σcγ(Eγ)

1

eEγ/T − 1 . (3.66)

Poiché tipicamente Qcγ ≥ 1MeV e Eγ ≥ Qcγ , ed essendo interessati (in ambito di BBN) ad

energie dell’ordine del keV , si può approssimare

exp (Eγ/T )− 1 ' exp (Eγ/T ) , (3.67)

da cui:

hσvicγ =1

2ζ(3)

Z ∞

Qcγ

dEγE2γT 3σcγ(Eγ)e

−Eγ/T . (3.68)

In questa approssimazione possiamo scrivere l’analoga della (3.63) per questo tipo di reazione:

σcγσab

= µabgagbgc

TiE2γ

, (3.69)

ottenendo per il rate:

nγ hσvicγhσviab

=

µTµab2π

¶3/2 gagbgce−Q/T . (3.70)

93

Capitolo 4

I metalli nella nucleosintesi primordiale

Risolvi !(L. Da Ponte, ’’Don Giovanni’’, atto II, 1787)

Nel secondo capitolo abbiamo illustrato quale sia l’importanza dell’abbondanza primordiale degli el-

ementi che fungono da catalizzatori del ciclo CNO nell’evoluzione delle stelle di popolazione III e di

conseguenza, attraverso i contributi di queste ultime all’IGM, alla successiva evoluzione galattica. Nel

primo capitolo sono state mostrate le equazioni che governano la nucleosintesi primordiale: la non lin-

earità e la non immediata integrabilità delle relazioni che descrivono tale fase dell’universo rendono

impossibile la soluzione del problema in maniera analitica, come accennato precedentemente è quindi

necessario fare ricorso a metodi numerici per ottenere una soluzione al problema delle abbondanze pri-

mordiali. L’approccio numerico, ed in particolare l’uso di codici di tipo informatico, costringono ad una

scelta nelle reazioni e nei nuclidi da inserire nella ’’rete’’ presente nel codice, inducendo una sorgente

di errore nella stima delle abbondanze primordiali. L’unico modo di minimizzare l’incertezza dovuta a

tale sorgente è sincerarsi, al meglio delle possibilità, che i processi trascurati siano ininfluenti ai fini dei

risultati ultimi, o che il loro contributo modifichi le abbondanze finali al di sotto dell’errore indotto da

altre sorgenti (i.e. che il contributo di reazioni mancanti sia stimabile inferiore all’incertezza indotta dal-

l’errore sulla stima dei rates di reazione). Sebbene differenti codici di nucleosintesi primordiale siano a

tutt’oggi in uso, la struttura fondamentale della rete di reazioni è la stessa in ognuno di questi e ricalca

quella presente nel codice originale di Wagoner-Kawano [24] ,[25] le maggiori differenze riguardano

solamente i metodi utilizzati per l’integrazione delle equazioni o dettagli relativi all’interfaccia con l’u-

tente: questo significa che la ’’fisica’’ descritta in tutti i codici di BBN è la stessa ed è possibile riferirsi

all’insieme di processi senza ambiguità. Come anticipato, la parte di rete che lega fra di loro i nuclidi più

leggeri del 7Li è ben conosciuta in letteratura: molti lavori (ad esempio [26] ) mostrano come le reazioni

incluse nel codice dominino largamente i processi di sintesi e distruzione degli elementi in esame e che

95

i processi non inclusi nel codice siano trascurabili29; questi stessi lavori identificano, fra quelle già pre-

senti nella rete esistente, le reazioni principali per la sintesi di ognuno degli elementi fornendo così -come

vedremo nel seguito- un potente strumento per la stima delle incertezze sulle abbondanze finali. Storica-

mente le abbondanze primordiali di metalli non hanno suscitato grande interesse ai fini dello studio degli

scenari cosmologici: troppo basse per potere essere osservate (e così fornire conferme sulla teoria) e di

nessuna importanza (almeno nelle teorie dei passati decenni) ai fini degli effetti macroscopici su oggetti

poi osservabili, nessuno studio è presente in letteratura per giustificare la scelta dei processi inseriti nella

rete o per analizzarla sistematicamente. Questo lavoro si propone come il primo tentativo di effettuare

un’analisi di questo tipo e di fornire informazioni dettagliate sulle abbondanze primordiali di carbonio,

azoto ed ossigeno, il cui ruolo determinante ai fini dell’evoluzione di stelle popIII è stato compreso solo

recentemente.

4.1 Analisi della rete esistente

L’analisi di una rete di reazioni avviene per un motivo relativamente semplice: identificando i processi

che influiscono maggiormente, anche in maniera non diretta, sulla sintesi di un elemento è possibile dedi-

care gli sforzi sperimentali (o di modellizzazione teorica) solo a quel numero (più ristretto) di reazioni

che hanno un ruolo rilevante; la conoscenza accurata della loro sezione d’urto permette una stima sem-

pre più fine delle incertezze sui rates e di conseguenza (si veda il paragrafo dedicato alla propagazione

degli errori) sulle abbondanze degli elementi. Questa è la strada che abbiamo seguito, almeno in orig-

ine, per ottenere dei risultati in analogia con lavori relativi alla rete di reazioni che connette gli elementi

più leggeri del 7Li (d’ora in poi si useranno convenzionalmente le dizioni ’’rete ristretta’’ ed ’’elementi

leggeri’’, rispettivamente, riferendosi inoltre agli elementi più pesanti del 7Li come agli ’’elementi pesan-

ti’’). Il primo problema che si pone è dovuto alla non linearità del sistema di equazioni che descrivono

la BBN: non è banale ottenere informazioni sul contributo di una reazione alla sintesi di un elemento

variandone semplicemente il tasso di un fattore determinato ed osservando la risposta dell’abbondanza

finale; è possibile, in linea di principio, utilizzare un approccio di questo tipo in maniera sistematica: si

varia il tasso di ognuna delle reazioni della rete di un fattore predefinito, si osserva il comportamento

delle abbondanze di ognuno degli elementi e si cerca di inferire il comportamento del sistema dalle infor-

mazioni ottenute. Tale metodo ha evidenti svantaggi: in primo luogo non è lecito, ’’a priori’’, aspettarsi un

29 La crescente precisione nella misura delle sezioni d’urto ha portato l’accuratezza nelle previsioni delle abbondanze primordialiall’ordine del per cento: questo ha recentemente obbligato all’inclusione nel codice di alcuni nuovi processi relativi agli elementileggeri i cui effetti non possono essere trascurati a tale livello di precisione (ref: Cuoco et al.).

96

comportamento che sia poi possibile interpretare in maniera generale, ovvero non è banale attendersi un

comportamento che permetta di capire nel dettaglio gli ’’interscambi’’ fra i vari elementi; in secondo lu-

ogo questo approccio permette una valutazione dei risultati solo sulle abbondanze finali, ovvero al freeze

out della nucleosintesi30. Come già descritto la BBN è un fenomeno dinamico e questo implica che una

comprensione effettiva del fenomeno richieda una conoscenza della dinamica dei processi che prendono

parte in essa, un approccio di questo tipo rappresenta sicuramente un modo più completo di avvicinarsi

al problema e di studiarne dettagliatamente tutte le caratteristiche. C’è quindi bisogno di un metodo

che consenta tale approccio: un suggerimento viene dall’equazione (1.106) che determina l’evoluzione

delle singole specie di nuclidi; la riportiamo nella sua forma semplificata (onde ottenere una più chiara

visualizzazione del problema):

dXidt

=Xs

ΓklXkXl −Xd

ΓijXiXj , (4.1)

per un insieme di reazioni a due corpi del tipo

i+ j ↔ k + l , (4.2)

con i simboli j, k ed l che indicano genericamente gli altri nuclidi che prendono parte alla reazione;

gli indici s e d corrono rispettivamente su tutte le reazioni che contribuiscono a creare o distruggere

l’elemento i31. I singoli elementi delle sommatorie al secondo membro della (4.1) sono chiaramente i

contributi delle singole reazioni alla variazione nell’abbondanza dell’elemento i, inoltre tali termini sono

funzione della temperatura (ovvero del tempo, in virtù della relazione t − T ); studiando tali elementi e

valutando il peso rispettivo di ognuno di essi rispetto agli altri è quindi possibile comprendere il contrib-

uto di ogni singola reazione alla sintesi32 di un generico nuclide al variare del tempo, ottenendo quindi

proprio quelle informazioni sulla dinamica del sistema che cercavamo. Tecnicamente è stato possibile

visualizzare queste grandezze grazie all’attivazione di una nuova opzione di output nel codice di BBN in

uso nel gruppo di Astroparticelle di Napoli: tale modifica consente di salvare le abbondanze di ciascun

elemento come funzioni del tempo, e quindi, conoscendo i tassi di reazione Γ, valutare i singoli termini

30 Sorge anche il poblema, analizzato nel seguito, che alcuni elementi hanno abbondanza nulla al termine della BBN: durante ilperiodo di nostro interesse vengono infatti sintetizzati e poi interamente ’’mutati’’ in altri nuclidi. Il loro ruolo è talora rilevantema risulta inesplorabile dal metodo finora descritto.

31 Vale naturalmente l’osservazione già fatta al capitolo 2: le inverse delle reazioni che compaiono nella prima sommatoria con-tribuiscono alla seconda e viceversa.

32 D’ora in poi, se non esplicitamente notato differentemente, utilizzeremo il termine ’’sintesi’’ per indicare sia i processi dicreazione che di distruzione di un elemento.

97

n 1H 2H 3H 3He 4He 6Li 7Li 8Li 7Be 9Be 8B 10B11B 12B 11C 12C 13C 14C 12N 13N 14N 15N 14O 15O 16O

Tab.3.Elenco dei nuclidi inclusi nell’attuale rete di reazioni in uso nel codice di BBN.

al secondo membro della (4.1). Il metodo seguito per ’’tracciare’’ i canali più importanti per la sintesi

degli elementi del ciclo CNO è stato il seguente: partendo dal più abbondante,12C , fra gli undici iso-

topi di interesse inseriti nel codice (e mostrati in tabella 3), abbiamo evidenziato con il metodo appena

descritto le reazioni principali di sintesi e disgregazione, identificando fra gli altri nuclidi quelli ad esso

collegati tramite i canali menzionati. Procedendo nello stesso modo per ognuno degli elementi così iden-

tificati è stato possibile ricostruire, all’interno della rete esistente, i ’’nodi’’ e le ’’maglie’’ principali che

connettono gli isotopi del carbonio, azoto ed ossigeno agli elementi leggeri; tale ’’mappatura’’ della rete

ha consentito interessanti osservazioni sulla dinamica dei processi nucleari all’interno di un ambiente

peculiare come quello in esame, come illustreremo nelle prossime sezioni.

4.1.1 Analisi dei canali di sintesi

Presentiamo in questa sezione l’analisi dettagliata della sintesi di isotopi del carbonio, azoto e ossigeno,

effettuata, secondo i metodi appena descritti, partendo dall’analisi dei principali canali di sintesi del12C e proseguendo ’’a ritroso’’ lungo i canali di maggiore importanza. Tutti i dati riportati sono stati

ottenuti attraverso il codice di BBN in uso al gruppo di Astroparticelle di Napoli, utilizzando i seguenti

valori per le grandezze fondamentali: τn = 885.70s, Neffν = 3.040, ωbh2 = 0.0260. Gran parte

dell’analisi è stata comunque effettuata anche con dati relativi a ωbh2 = 0.0224, valore oggi stimato più

probabile, evidenziando le stesse dinamiche dei processi di sintesi; abbiamo preferito presentare grafici e

risultati realtivi ad un valore più elevato di ωbh2 in quanto le abbondanze di elementi pesanti aumentano

sensibilmente al crescere di questa grandezza, e di conseguenza gli effetti delle differenti reazioni sono

visibili in maniera più marcata.

Sintesi del 12C

In figura 4-1 è mostrata l’evoluzione dell’abbondanza del 12C durante la BBN: come è immediato

verificare la sintesi avviene sostanzialmente in un periodo molto limitato (per comodità useremo nel se-

guito riferirci ad intervalli temporali durante la BBN in termini di intervalli di temperatura) che va da

100keV a 30keV ; tale comportamento è peculiare della sintesi di quasi tutti gli elementi pesanti, per cui

l’alta temperatura rappresenta una condizione ottimale. Analizzando i grafici che mostrano i contributi

delle differenti reazioni all’evoluzione dell’abbondanza del 12C è immediato verificare come effettiva-

98

12C

0,00E+00

1,00E-16

2,00E-16

3,00E-16

4,00E-16

5,00E-16

6,00E-16

7,00E-16

6,88E-02 2,43E-02 1,98E-02 1,96E-02 1,94E-02 1,92E-02 1,90E-02 1,88E-02

T(MeV)

X(12C)

Fig.1. L’abbondanza del 12C durante la nucleosintesi primordiale: è evidente come il nuclide venga sintetizzato in un breveintervallo di tempo ad alte temperature.

mente la sintesi di questo nuclide avvenga nell’intervallo temporale già menzionato, mostriamo quindi

grafici più dettagliati relativi a tale intervallo di temperature. Da tali elementi appare chiaramente che le

reazioni dominanti la sintesi del 12C sono la 11B(p, γ)12C, la 11B(d, n)12C e la 15N(p,α)12C, mentre

le principali reazioni di disgregazione sono la 12C(p, γ)13N e la 12C(n, γ)13C. I grafici mostrati hanno

però lo svantaggio di non fornirci informazioni quantitative sull’impatto delle reazioni evidenziate sul-

l’abbondanza finale del 12C: ricordiamo ancora una volta che ciò che osserviamo sono i contributi al

secondo membro della (4.1), ovvero alla derivata della grandezza di nostro interesse; da essi si riesce

pertanto ad evincere solamente il peso di una reazione rispetto alle altre ma non il contributo assoluto

all’abbondanza. Per ottenere tale informazione abbiamo effettuato diverse simulazioni variando i tassi

delle reazioni di sintesi in maniera sistematica: per ciascuna reazione in esame abbiamo effettuato due

corse del programma alterando il tasso del 20% (aumentandolo e diminuendolo di tale quantità) las-

ciando il valore di tutti gli altri tassi invariato; i risultati ottenuti, raccolti in tabella 4, rappresentano

inoltre una conferma ’’a posteriori’’ della validità del metodo adottato per studiare la dinamica del sis-

tema.Dai dati riportati emerge l’estrema importanza del 11B nella sintesi del 12C, il quale a sua volta

contribuisce sensibilmente alla sintesi del 13N . Osservando il grafico relativo ai processi di sintesi del12C si nota come la reazione 3α ↔ 12C sia altamente soppressa rispetto alle altre: questo rappresenta

una grossa differenza rispetto alla sintesi del 12C in ambienti stellari che, come abbiamo illustrato nel

99

creazione 12C

1E-25

1E-24

1E-23

1E-22

1E-21

1E-20

1E-19

1E-18

1E-17

1E-16

9,19E-02 8,24E-02 7,48E-02 6,85E-02 6,32E-02 5,85E-02 4,97E-02 3,15E-02T(MeV)

12B--->

12N--->

11B(p,g)12C

12B(p,n)12C

9Be(a,n)12C

11B(d,n)12C

(3 a,g)12C

15O(n,a)12C

15N(p,a)12C

13C(g,n)12C

13N(g,p)12C

16O(g,a)12C

Fig.2. I contributi delle differenti reazioni ala sintesi del 12C durante il flash di produizione: le reazioni dominati sono la catturaprotonica e lo stripping del deuterio sul 11B.

100

Reazione ∆12C(%) AX,∆AX(%)11B(p, γ)12C ∼ 20 11B, ∼ 111B(d, n)12C ∼ 10 11C, ∼ 115N(p,α)12C . 0.1 15N, ∼ 3012C(p, γ)13N ∼ 5 14N, ∼ 212C(n, γ)13C < 0.1 16O, ∼ 2

Tab.4.Prospetto dell’effetto delle singole reazioni sull’abbondanza finale del 12C e degli altri nuclidi interessati nella reazione.

secondo capitolo, avviene sostanzialmente attraverso questa sola reazione. Tale effetto è da attribuirsi

alla densità estremamente bassa del plasma durante la BBN, che sopprime la maggior parte dei processi

in cui intervengano più di due corpi.

Sintesi del 11B

Il comportamento di tale elemento è estremamente peculiare, come è possibile vedere in figura 3

viene infatti sintetizzato e distrutto completamente in un intervallo di tempo molto breve, sostanzialmente

coincidente con quello in cui viene creato il 12C (il quale è infatti sintetizzato da reazioni con il 11B,

come abbiamo appena mostrato), successivamente viene poi nuovamente prodotto e l’abbondanza finale

è frutto di questa seconda fase. Un’analisi dei grafici di sintesi permette osservazioni estremamente

interessanti: nella prima fase la reazione che domina la produzione del 11B è la 7Li(α, γ)11B, questa

entra in competizione con la principale reazione di disgregazione, la 11B(p, 2α) 4He, e le reazioni di

produzione del 12C che inducono la completa distruzione di tutto il 11B prodotto; nella seconda fase,

a T ≤ 20keV , la sintesi avviene invece sostanzialmente attraverso il decadimento β del 11C. QuestoReazione ∆11B(%) AX,∆AX(%)

7Li(α, γ)11B < 0.1 12C, ∼ 2011B(p, 2α) 4He ∼ 13 12C, ∼ 15

11C ↔ e+ + ν +11 B ∼ 40 11C, ∼ 99

comportamento è una conferma di quanto asserito nel primo paragrafo di questo capitolo riguardo ai

differenti metodi applicabili allo studio del sistema in esame: come si può osservare nella tabella relativa

la variazione della 7Li(α, γ)11B induce una grosso cambiamento nell’abbondanza finale di 12C, mentre

l’effetto sul 11B è pressocché trascurabile, proprio in quanto l’abbondanza residua di quest’ultimo è

frutto del decadimento β del 11C, la cui variazione ha infatti effetti marcati proprio sul nuclide in esame.

Dedurre la dinamica del sistema dalle sole informazioni riportate in tabella

sarebbe stato pressocché impossibile, così come comprendere il motivo per cui la 7Li(α, γ)11B non

ha effetti apparenti sull’abbondanza finale del 11B mentre ne ha su quella del 12C.

101

11B

-5,00E-17

5,00E-17

1,50E-16

2,50E-16

3,50E-16

4,50E-16

5,50E-16

6,88E-02 2,43E-02 1,98E-02 1,96E-02 1,94E-02 1,92E-02 1,90E-02 1,88E-02

T(MeV)

X(11C)

Fig.3. L’abbondanza del 11B durante tutta la BBN: appare evidente come esso venga sintetizzato ed interamente distrutto adalte temperature, per poi essere nuovamente prodotto.

Sintesi del 11C

Come è possibile riscontrare dai grafici questo nuclide viene prodotto sostanzialmente attraverso

la reazione di cattura radiativa di una particella α: la 7Be(α, γ)11C domina infatti completamente il

processo di sintesi del 11C; quest’ultimo viene invece disgregato sostanzialmente attraverso due di-

verse reazioni in tempi differenti: durante il ’’flash’’ degli elementi pesanti è la 11C(n, 2α) 4He a dom-

inare il processo di disgregazione del 11C, con la conseguenza che parte del materiale prodotto attraverso

la lunga catena di sintesi viene ricondotto agli elementi leggeri, così come avviene per il 11B; durante

la seconda fase della BBN il decadimento β+ ha un ruolo dominante nella disgregazione del nuclide in

esame, ’’convertendo’’ in 11B gran parte del 11C presente.Reazione ∆11C(%) AX,∆AX(%)

7Be(α, γ)11C ∼ 20 12C, ∼ 3011C(n, 2α) 4He ∼ 1 11B, ∼ 3

11C ↔ e+ + ν +11 B ∼ 99 11B, ∼ 40

A tale livello di analisi appare evidente come il 12C sia prodotto attraverso canali di sintesi legati

sostanzialmente a pochi elementi: creato direttamente da reazioni legate al 11B, quest’ultimo è stretta-

mente correlato al 7Li ed al 11C, a sua volta legato al 7Be; indubbiamente le reazioni che dominano i

processi relativi alla produzione di 12C sono quelle illustrate, ciononostante si evince chiaramente come

102

creazione 11B

1,00E-25

1,00E-24

1,00E-23

1,00E-22

1,00E-21

1,00E-20

1,00E-19

1,00E-18

1,00E-17

1,00E-16

1,00E-15

1,00E-14

1,00E-13

1,00E-12

6,88E-02 2,43E-02 1,98E-02 1,96E-02 1,94E-02 1,92E-02 1,90E-02 1,88E-02

T(MeV)

11C-->

10B(n,g)11B

12B(g,n)11B

11C(n,p)11B

12C(g,p)11B

7Li(a,g)11B

8Li(a,n)11B

10B(d,p)11B

12C(n,d)11B

(3 a,p)11B

14C(p,a)11B

14N(n,a)11B

Fig.4. Il contributo delle differenti reazioni alla sintesi del 11B.

distruzione 11B

1,00E-25

1,00E-24

1,00E-23

1,00E-22

1,00E-21

1,00E-20

1,00E-19

1,00E-18

1,00E-17

1,00E-16

1,00E-15

1,00E-14

1,00E-13

1,00E-12

9,19E-02 8,24E-02 7,48E-02 6,85E-02 6,32E-02 5,85E-02 4,97E-02 3,15E-02

T(MeV)

11B(n,g)12B

11B(p,3 a)

11B(a,p)14C

11B(a,n)14N

11B(d,n)12C

11B(p,g)12C

11B(g,n)10B

11B(p,n)11C

11B(g,a)7Li

11B(n,a)8Li

11B(p,d)10B

Fig.5. Il contributo delle principa.li reazioni di distruzione del 11B durante il flash.

103

creazione 11C

1,00E-25

1,00E-24

1,00E-23

1,00E-22

1,00E-21

1,00E-20

1,00E-19

1,00E-18

1,00E-17

1,00E-16

1,00E-15

9,19E-02 8,24E-02 7,48E-02 6,85E-02 6,32E-02 5,85E-02 4,97E-02 3,15E-02

T(Mev)

7Be(a,g)11C

8B(a,p)11C

10B(p,g)11C

11B(p,n)11C

12N(g,p)11C

(3 a,n)11C

14N(p,a)11C

Fig.6. Il contributo delle differenti reazioni alla sintesi di 11C durante il flash: è evidente il comportamento dominante della7Be(α, γ)11C.

distruzione 11C

1,00E-25

1,00E-24

1,00E-23

1,00E-22

1,00E-21

1,00E-20

1,00E-19

1,00E-18

1,00E-17

1,00E-16

6,88E-02 2,43E-02 1,98E-02 1,96E-02 1,94E-02 1,92E-02 1,90E-02 1,88E-02

T(Mev)

11C-->

11C(n,p)11B

11C(p,g)12N

11C(n, 3 a)

11C(a,p)14N

11C(g,a)7Be

11C(p,a)8B

11C(g,p)10B

Fig.7. Il contributo delle differenti reazioni alla distruzione del 11C: come è evidente questo fenomeno è dominato dalla11C(n, 2α) 4He durante il flash, successivamente la reazione più efficace è il decadimento β.

104

le dinamiche della sintesi siano legate ad elementi di massa intermedia, come ad esempio il berillio ed

il boro. Abbiamo pertanto ritenuto opportuno affettuare un’analisi completa della rete relativa a tali

elementi, mettendo in luce l’interazione di ognuno degli elementi presenti nel codice con i ’’canali prin-

cipali’’.

Sintesi del 8Li

Tale elemento è prodotto interamente dalla cattura radiativa di un neutrone da parte del 7Li, e la sua

disgregazione avviene attraverso pochi canali in stretta competizione: alle temperature elevate del flashReazione ∆8Li(%) AX,∆AX(%)

7Li(n, γ)8Li ∼ 20 12C, ∼ 0.28Li(p, nα)4He ∼ 0.2 12C, ∼ 0.3

8Li↔ e− + ν + 2 4He ∼ 25 12C, < 0.01

degli elementi pesanti l’inversa della 7Li(n, γ)8Li, ovvero la reazione di fotodisgregazione del 8Li, è

sufficientemente attiva da contribuire, con la 8Li(p, nα)4He ed il decadimento β−, alla disgregazione

del nuclide in esame.

Sintesi del 8B

Tale elemento incomincia ad essere sintetizzato in maniera significativa -con l’unico contributo della7Be(p, γ)8B- al termine del flash, non apportando in questo modo alcun contributo sostanziale alla sin-

Reazione ∆8B(%) AX,∆AX(%)7Be(p, γ)8B ∼ 20 11C, ∼ 1

8B ↔ e+ + ν + 2 4He ∼ 25 / /

tesi di elementi più pesanti. L’estrema deficienza di tale nuclide contribuisce inoltre a rendere trascurabile

il suo contributo alla sintesi di ogni altro elemento.

Sintesi del 9Be

Tale nuclide è sintetizzato quasi completamente attraverso la 12B(p,α)9Be durante il flash degli

elementi pesanti, in questo intervallo le condizioni sono tali perché la reazione di fotodisgregazione

inversa della 4He(nα, γ)9Be sia sufficientemente attiva da dominare il processo di disgregazione delReazione AX,∆AX(%)

12B(p,α)9Be 11C, ∼ 14He(nα, γ)9Be 11C, ∼ 1

Tab.5.Effetti delle principali reazioni di sintesi del 9Be.

9Be. E’ inoltre osservabile come il 9Be venga prodotto e poi completamente distrutto, in conseguenza

105

di ciò il contributo delle differenti reazioni non può essere valutato sull’abbondanza finale, che rimane

nulla in tutti i casi.

Sintesi del 10B

Dalla ridottissima abbondanza durante tutta la BBN, questo elemento viene sintetizzato durante il

flash alle alte temperature, sostanzialmente attraverso il contributo della 6Li(α, γ)10B; la disgregazioneReazione AX,∆AX(%)

6Li(α, γ)10B 11C, ∼ 110B(n,α)7Li 11C, ∼ 1

Tab.6.Effetti delle principali reazioni di sintesi del 10B.

avviene principalmente attraverso la 10B(n,α)7Li. Valgono inoltre le stesse considerazioni fatte per il9Be al riguardo della sua abbondanza finale.

Sintesi del 12B

Viene sintetizzato ed immediatamente distrutto in un flash a ∼ 70keV , l’abbondanza massima che

raggiunge è comunque molto bassa (∼ 10−20), tanto da non influenzare il comportamento di altri nuclidi

in maniera apprezzabile; l’effetto della 12B(p,α)9Be sul è stato mostato nella sezione relativa al 9Be.

Valgono le stesse considerazioni relative al 9Be ed al 10B.

Sintesi del 12N

L’abbondanza di tale elemento rimane nulla per tutta la durata della BBN; ponendo a zero i tassi di tutte

le reazioni che lo coinvolgono si ottengono variazioni inferiori a 10−3 su alcuni fra i nuclidi più pesanti,

tale effetto sembra però imputabile a fluttuazioni numeriche piuttosto che ad un reale cambiamento nella

fisica della nucleosintesi. Non riusciamo a comprendere perché sia stato incluso nei codici originali.

Probabilmente abbassando la soglia dello zero nei codici (nel codice in uso lo zero corrisponde a 10−25)

si potrebbe riuscire ad osservare qualche effetto, anche se rimaniamo convinti che possa essere del tutto

marginale.

Sintesi del 13C

Anche questo nuclide è prodotto durante il flash degli elementi pesanti ttraverso la 13N(n, p)13C,

la disgregazione –che avviene sempre durante il flash- è dovuta al concorso della 13C(p, γ)14N e della13C(n, γ)14C. Dopo il flash il decadimento β+ dell’ 13N è attivo ma contribuisce in maniera trascurabile

alla sintesi di nuovo 13C.

106

Reazione ∆13C(%) AX,∆AX(%)13N(n, p)13C ∼ 0.4 12C, ∼ 0.313C(p, γ)14N ∼ 6 14N, ∼ 1013C(n, γ)14C < 0.1 14C, ∼ 5

Sintesi del 14C

E’ sintetizzato durante il flash attraverso la reazione di scambio di carica 14N(n, p)14C e la cattura

neutronica 13C(n, γ)14C; la disgregazione avviene nello stesso intervallo di temperature attraverso la

cattura protonica 14C(p, γ)15N e 14C(p, n)14N , inversa della 14N(n, p)14C.E’ importante notare comeReazione ∆14C(%) AX,∆AX(%)

14N(n, p)14C ∼ 5 14N, ∼ 113C(n, γ)14C ∼ 5 11C, ∼ 114C(p, γ)15N ∼ 6 15N, < 0.1

la sintesi di tutti gli elementi con A ≥ 13 non rechi alcuna variazione sostanziale nella abbondanze di

elementi più leggeri: questo significa che tali elementi sono legati solo da processi che li ’’interscam-

biano’’ fra di loro, senza interessare nuclidi al di fuori di tale insieme; questa osservazione risulta utile

quando si ricordi che siamo interessati all’abbondanza totale di tutti gli elementi che prendono parte al

ciclo CNO, e non ai loro singoli contributi al plasma residuo della BBN.

Sintesi del 13N

Viene prodotto e distrutto in un flash a ∼ 50keV attravreso la 12C(p, γ)13N e la 13N(n, p)13C.LaReazione AX,∆AX(%)12C(p, γ)13N 14N, ∼ 213N(n, p)13C 13C, < 0.4

Tab.7.Effetti delle principali reazioni di sintesi del 13N

sua abbondanza finale è nulla e valgono le stesse osservazioni relative al 9Be.

Sintesi del 14N

Tale elemento viene sintetizzato interamente durante il flash degli elementi pesanti con il maggiore

contributo della 13C(p, γ)14N ,il contributo della disgregazione di questo nuclide alla sintesi di altri èReazione ∆14N(%) AX,∆AX(%)

13C(p, γ)14N ∼ 10 13C, ∼ 614N(n, p)14C ∼ 1 14C, ∼ 514N(p, γ)15O ∼ 1 15N, ∼ 3

quasi completamente trascurabile, eccezion fatta per il 14C.

107

Sintesi del 15N

Dall’abbondanza estremamente ridotta, viene sintetizzato completamente durante il flash con il con-

tributo dominante della 14C(p, γ)15N e del decadimento β+ del 15O, il contributo maggiore alla suaReazione ∆15N(%) AX,∆AX(%)

14C(p, γ)15N < 0.1 14C, ∼ 615N(p,α)12C ∼ 30 12C, . 0.1

15O↔ e+ + ν +15 N 99% //

disgregazione è dato dalla 15N(p,α)12C che è però quasi irrilevante ai fini della produzione di 12C.

Sintesi del 14O

Tale elemento viene completamente sintetizzato e disgregato in un flash a∼ 50keV , a cui contribuis-

cono di fatto solo la cattura protonica 13N(p, γ)14O ed il decadimento β+ del 14O. Non rimane alcuna

traccia di questo nuclide al termine della BBN.

Sintesi del 15O

Questo elemento viene sintetizzato e poi completamente disgregato durante il flash degli elementi pe-

santi: l’unica reazione che contribuisce alla sintesi è la cattura radiativa del protone su 14N , 14N(p, γ)15O;

la disgregazione avviene invece attraverso la 15O(n, p)15N ed il decadimento β+ in 15N .

Sintesi del 16O

Sintetizzato completamente in un flash ad alte temperature, tutte le informazioni relative a questo el-

emento sono alterate dal fatto che è l’ultimo dei nuclidi inclusi nel codice, di conseguenza non sono

presenti reazioni che lo disgreghino verso elementi più pesanti. Ad ogni modo è ragionevole sup-

porre che qualora fossero inserite reazioni che lo colleghino a nuclidi più leggeri, come ad esempio la16O(p,α)13N , queste risulterebbero soppresse a causa della bassissima densità del 16O; pur non essendo

possibile stimare la sua abbondanza in maniera corretta, è comunque verosimile che questa imprecisione

non affligga pesantemente la stima delle abbondanze finali di altri nuclidi.

4.1.2 Considerazioni sulla rete

Alla luce della dettagliata analisi dei canali di sintesi appena illustrata stimiamo opportuno riassumerne

i risultati, fornendo una descrizione più maneggevole dei fenomeni osservati e soffermandoci sul tipo di

connessione che lega gli isotopi del carbonio, dell’azoto e dell’ossigeno alla rete degli elementi leggeri,

già ben conosciuta in letteratura.

108

Appare evidente come il canale di sintesi principale del 12C in ambiente stellare, la 3α ↔ 12C,

risulti soppresso da effetti di bassa densità, così come tutti i processi che coinvolgano più di due corpi in

ingresso; la produzione di 12C avviene allora attraverso un canale ’’alternativo’’33: la catena

7Li(α, γ)11B(p, γ)12C

rappresenta, insieme con la

7Li(α, γ)11B(d, n)12C ,

il principale ’’snodo’’ per la sintesi del 12C a partire dagli elementi più leggeri. Altra reazione che in-

fluenza in maniera non diretta l’abbondanza finale di 12C è la 7Be(α, γ)11C: essendo la principale

responsabile della sintesi diretta di 11C influenza la produzione di 11B attraverso decadimento β nell’ul-

tima fase del flash degli elementi pesanti, periodo in cui la 11B(d, n)12C e la 11B(p, γ)12C sono ancora

fortemente attive34. Altrettanto rilevanti degli effetti di sintesi sono quelli di disgregazione: grande im-

portanza rivestono ad esempio la 11B(p, 2α) 4He e la 11C(n, 2α) 4He, che distruggono elementi chiave

nella sintesi dei nuclidi di nostro interesse a ’’vantaggio’’ degli elementi leggeri. Differentemente, la12C(p, γ)13N ha effetti limitati sull’abbondanza finale di 12C, rispondendo inoltre alla caratteristica

di mutare il carbonio in altri elementi attivi nel CNO 35; in conseguenza di questo l’effetto della dis-

gregazione diretta del 12C è trascurabile in relazione ai nostri propositi. Il panorama finora illustrato

mostra la grande importanza del 11B e del 11C, insieme con il 7Li ed il 7Be, nella catena di reazioni re-

sponsabili della sintesi degli elementi di nostro interesse; appare altresì evidente che i canali di reazione

sono completamente differenti da quelli che dominano la produzione degli stessi elementi in ambiente

stellare: la soppressione della 3α ↔ 12C, che permetteva un ’’salto’’ diretto fra gli elementi leggeri

e quelli del CNO, conferisce agli elementi di massa intermedia -quali appunto gli isotopi del litio, del

berillio e del boro- una maggiore importanza nella catena nucleosintetica. La rete attuale potrebbe non ri-

flettere appieno tale comportamento fisico in virtù della deficienza di reazioni che connettono tali nuclidi

fra di loro ed agli elementi più pesanti. Mostreremo infatti come parecchie reazioni siano state trascurate

nella rete originale del codice di Kawano senza che, a tutt’oggi, sia stata pubblicata una motivazione o

uno studio critico sull’effetto della loro assenza; studieremo il loro effetto sulle abbondanze finali degli

33 In senso stretto tale canale non è assolutamente, nell’ambito di BBN, alternativo: è l’unico possibile. Ci si perdoni l’uso deltermine in relazione all’ambito stellare.

34 Tali canali di reazione erano stati identificati come dominanti la produzione di carbonio in stelle povere di metalli a bassetemperature, si vedano ad esempio gli articoli sulle stelle popIII di piccola massa e referenze ivi contenute.

35 Così come tutte le altre reazioni di disgregazione degli elementi in esame, ad eccezione di quelle appena evidenziate.

109

E (MeV) ωγ (eV)0.255±0.0020 0.0088380.518±0.0013 0.30730.607±0.0013 1.7251.590±0.012 17.001.667±0.012 1.5001.782±0.032 2.5001.936±0.032 0.4000

Tab.8.Energia e forza delle risonanze della 7Li(α, γ)11B.

elementi attivi nel ciclo CNO e chiariremo come tali processi siano tutt’altro che rilevanti nella sintesi

dei nuclidi in esame.

4.1.3 Aggiornamento dei tassi di reazione

In conseguenza dell’estrema imporanza di alcune reazioni ai fini della sintesi dei nuclidi in esame, è

necessario cercare di aggiornare i tassi di reazione con dati che siano affidabili al meglio delle conoscenze

odierne. A questo fine abbiamo cercato dati sperimentali o stime teoriche quanto più recenti possibile, e

con la migliore stima delle incertezze; di grande aiuto ci è stata la recente ’’compilation’’ di dati relativi

alle sezioni d’urto di interesse astrofisico [23] , unitamente con la raccolta di dati su su reazioni di cattura

neutronica radiativa [30] . Sfortunatamente non abbiamo trovato dati più aggiornati di quelli già inseriti

nel codice per alcune reazioni rilevanti come la 11B(p, 2α) 4He e la 11C(n, 2α) 4He. Speriamo che il

nostro studio possa essere di stimolo per nuove campagne di misure di tali reazioni, finora trascurate a

causa della scarsa rilevanza in ambiti di nucleosintesi stellare.

7Li+α↔ γ+11B

Per questa reazione abbiamo adottato il tasso consigliato da [23] , che calcola la funzione analitica

del rate con un’affidabilità stimata al 17% partendo da dati sperimentali di diversi autori. Tale reazione

presenta un comportamento peculiare, con ben sette risonanze ad energie inferiori ai 2 MeV, riportate

in tabella 8 insieme con le rispettive forze di risonanza. La principale differenza con il rate adottato

nel codice (realtivo ai dati di [31] ) è dovuta alla differente misura della risonanza a 1.590 MeV, la cui

ampiezza era stata sottostimata nel lavoro meno recente. Inoltre la migliore stima dell’energia nella

risonanza a 0.255 MeV influenza sensibilmente la stima del rate anche a temperature elevate.

7Be+α↔ γ+11C

Tale reazione presenta due risonanze ad energia inferiore al MeV; sfortunatamente i dati sperimentali in

110

E (MeV) ωγ (eV)0.560 0.311±0.0410.877 3.80±0.57

Tab.9.Energia e forza delle risonanze della 7Be(α, γ)11C.

possesso della comunità riguardano solamente la sezione d’urto risonante, limitandosi ad energie intorno

a 0.53 MeV per quanto riguarda il comportamente non risonante.

12C+α↔ γ+16O

Pochi nuovi dati sulla sezione d’urto di tale reazione sono a disposizione: considerando la scarsa

rilevanza che questa reazione ha in ambito di nucleosintesi primordiale e la effervescente attività speri-

mentale a tutt’oggi esistente intorno alla misura della sua sezione d’urto, abbiamo stimato non opportuno

modificare il tasso esistente, lasciando l’aggiornamento alla luce di più precise misure future.

7Be+ p↔ γ+8B

Tale reazione presenta una risonanza a E = 633 ± 10keV , per la quale è adottata una forza ωγ =

0.011 ± 0.002eV ; le principali differenze con il rate adottato precedentemente nel codice sono nella

nuova misura della reazione 7Li(d, p)8Li, rispetto alla quale è normalizzata ed ad una nuova e più precisa

estrapolazione del fattore astrofisico a basse energie.

11B+ p↔ γ+12C

Raccogliendo i dati sulle sezioni d’urto di differenti esperimenti (per i dettagli si veda [23] ) è possi-

bile coprire tutto l’intervallo d’energie necessario per integrare in maniera corretta il rate anche a basse

temperature. E’ presente una risonanza isolata a E = 149keV con una forza ωγ = 0.0393± 0.0056eV ;

i valori del rate in uso sono sensibilmente più bassi di quelli adottati precedentemente nel codice a causa

dell’adozione, nella vecchia estrapolazione, di un set di dati rivelatosi in seguito affetto da errore di tipo

sistematico.

13C+ p↔ γ+14N

Questa reazione presenta ben sedici risonanze per energie inferiori a 3 MeV la più importante delle

quali, ai fini del calcolo del rate a basse energie, è a E = 0.511MeV con una forza ωγ = 8.8± 1.1eV ;

i valori del nuovo rate sono leggermente più alti di quello adottato in origine, in particolar modo per

energie superiori a ∼ 0.4MeV , molto probabilmente per l’inclusione delle risonanze alle energie più

alte precedentemente trascurate.

111

9Be+ p↔ α+6Li

Il rate aggiornato è in buon accordo con quello precedentemente in uso nel codice, con piccole dis-

crepanze ad alte temperature. In differenti range di energia dati provenienti da diversi esperimenti sono

stati usati: per E < 0.63MeV è usato lo stesso insieme di dati presenti per il calcolo del rate in [31]

, insieme con i dati provenienti da un nuovo esperimento, con il quale sono in ottimo accordo. Per

0.7 < E < 0.9MeV sono stati invece utilizzati dati relativi ad un esperimento che ha misurato la sola

sezione d’urto parziale. Ad energie più alte sono stati usati gli stessi dati presenti in [31] .

10B+ p↔ α+7Be

Questa reazione presenta una risonanza a E = 9 ± 2keV , precedentemente non inclusa nei calcoli

del rate; questa rappresenta la maggiore fonte della differenza fra i valori del vecchio e del nuovo rate,

insieme con il rigetto, nei nuovi calcoli, di un set di dati in forte disaccordo con gli altri adoperati alle

basse energie.

15N+ p↔ α+12C

Al di sotto di E = 0.8MeV il fattore astrofisico è dominato dal contributo della risonanza a E =

313.9keV , la cui forza è ωγ = 6.7 ± 0.7keV , mostrando effetti di interferenza con un’altra risonanza

a E = 963keV (ωγ = 23 ± 6keV ). A energie ancora inferiori il fattore S è stato fittato ottenendo il

valore S0 = 65 ± 4keV , analogo a quello utilizzato da [31] ; per temperature superiori si è utilizzato,

per il rate, un modello di Hauser-Feshback. Le maggiori differenze con il tasso esistente nel codice sono

dovute a nuove misurazione delle forze delle risonanze, unitamente all’adozione -nel tasso più recente-

di modelli di HF che portano a valori sensibilmente più elevati del rate.

11C+α↔ p+14N

I dati per l’inversa di questa reazioni sono ottenuti da cinque differenti esperimenti, e la maggiore

differenza con il rate adottato precedentemente è il rigetto (nella nuova versione) dei dati di un sesto

esperimento, affetto da errore sistematico.

13N+ n↔ p+13C

Ottenuta tramite il principio del bilancio dettagliati dall’inversa, presente in [23] ; per quest’ultima il

rate è leggermente inferiore di quello presente nel codice per temperature inferiori a∼ 100keV , a causa

della maggiore accuratezza nell’integrazione (numerica) del rate. Per temperature superiori il nuovo

112

rate è invece sensibilmente maggiore del precedente, a causa delle correzioni di termalizzazione adottate

nell’ultima stima.

15O+ n↔ p+15N

Ottenuta dall’inversa presente in [23] , per quest’ultima sono presenti cinque set di dati di cui uno

differisce di un fattore due dagli altri a basse energie. Nel calcolo del nuovo rate questo ultimo insieme

di dati è stato rinormalizzato, risultando in una diminuzione del fattore astrofisico a basse energie.

10B+ n↔ α+7Li

Sono presenti in [23] dati molto accurati per la reazione inversa, il cui fattore astrofisico è conosciuto

con buona precisione dall’energia di soglia fino a E = 5.22MeV , per energie superiori a tale valore

esistono solo dati relativi alla sezione d’urto differenziale che sono stati convertiti in sezioni d’urto totale

sotto ipotesi di isotropia, stimando una imprecisione del 100% su tale grandezza.

13C+α↔ n+16O

Per calcolare il rate di questa reazione sono stati usati cinque set di dati sperimentali, che coprono

l’intervallo di energie da E = 0.28MeV a E = 4.47MeV ; il fattore astrofisico è stato estrapolato a

basse energie fitttando i dati con la coda di una risonanza sottosoglia (E = −302keV ).

12C+ n↔ γ+13C

Per questa reazione di cattura neutronica radiativa, come per le seguenti, sono stati adottati i dati del

[30] ; questi differiscono di alcuni ordini di grandezza da quelli precedentemente adottati nel codice.

Ciononostante il comportamento non rilevante di queste reazioni nella sintesi degli elementi di nostro

interesse conferisce importanza molto relativa a tale cambiamento.

13C+ n↔ γ+14C

Valgono le stesse considerazioni effettuate per la reazione precedente.

14N+ n↔ γ+15N

Valgono le stesse considerazioni effettuate per la reazione precedente.

4.2 Aggiornamento della rete

Come già discusso, la sintesi degli elementi attivi nel ciclo CNO avviene in BBN attraverso canali che

113

1H 2H 3H 3He 4He0.75 1.9×10−5 6.2×10−8 7.81×0−6 6.2×10−2

Tab.10.Le abbondanze di isotopi di idrogeno ed elio nella standard BBN. Tali valori sono ottenuti per Neffν = 3.040,

ωbh2 = 0.0260.

comportano l’azione intermedia di nuclidi con Z = 3, 4, 5, mentre in ambito di nucleosintesi stellare

avviene un ’’salto’’ fra gli elementi leggeri (idrogeno ed elio) e quelli in esame a causa della forte azione

della 3α↔ 12C. Abbiamo inoltre notato come, una volta che gli elementi di nostro interesse siano stati

creati, non esista alcun processo di grande rilevanza che li riconverta in elementi leggeri, eccezion fatta

per la 11B(p, 2α) 4He e la 11C(n, 2α) 4He. Questo significa che per stimare in maniera accurata l’ab-

bondanza totale di elementi con Z = 6, 7, 8 si necessita di una rete di reazioni e nuclidi estremamante

accurata nella descrizione della sintesi degli elementi di carica intermedia, quali appunto il litio, il beril-

lio ed il boro. Come accennato in precedenza la rete esistente nel codice non ha, almeno in maniera

formale, una giustificazione ai canali e nuclidi adottati ed appare pertanto abbastanza bizzarra l’esclu-

sione di alcuni fenomeni, almeno ad una prima analisi. Entrando nello specifico, è facile rendersi conto

di come la maggior parte dei processi inclusi nella rete siano sostanzialmente catture protoniche, neu-

troniche ed alfa, scambi di carica coinvolgenti protoni e neutroni ed alcune reazioni di ’’stripping ’’ (e

’’pickup’’) dell’ 4He; spiccano per la loro quasi completa assenza i processi di interazione fra gli isotopi

dell’idrogeno e dell’elio e gli elementi con Z = 3, 4, 5. Ci siamo spiegati tale deficienza sulla base di

due considerazioni: data la forma della (4.1) gli elementi con densità più elevate hanno nella sintesi di

altri elementi un ruolo più rilevante -a parità di processo fisico- dei nuclidi meno abbondanti; osservando

le abbondanze finali di deuterio, trizio ed 3He in confronto a quelle di protoni, neutroni ed 4He si com-

prende come,non conoscendo le dinamiche del sistema, si possa attribuire in prima analisi un ruolo meno

efficace a processi che includano tali nuclidi. La seconda considerazione riguarda invece l’effetto che

il ruolo dello schermo elettromagnetico ha nei processi di fusione nucleare: la dipendenza della sezione

d’urto da un fattore di tunneling (4.3) suggerisce che i tassi di reazioni fra elementi con carica più elevata

siano notevolmente inferiori a quelli di processi analoghi, ma che avvengono fra nuclidi di carica più

bassa. Stimiamo che tali considerazioni, unitamente ad una bassa attenzione (anche questa giustifica-

bile, all’epoca della forma originale della rete) per le abbondanze di elementi più pesanti del 7Li, abbiano

guidato la scrittura originale del codice in uso. Tali osservazioni sono sicuramente corrette ed in linea

di massima rappresentano una valida orientazione per la costruzione delle maglie principali, tuttavia al-

cuni fenomeni osservati durante questo lavoro sono da tenere in viva considerazione: i rapporti fra le

abbondanze delle specie con A = 1, 2, 3 e Z = 1, 2 non sono gli stessi al termine della BBN e durante

114

Isotopi di idrogeno ed elio

1,00E-07

1,00E-06

1,00E-05

1,00E-04

1,00E-03

1,00E-02

1,00E-01

1,00E+00

9,19E-028,24E-027,48E-026,85E-026,32E-025,85E-024,97E-023,15E-02T(MeV)

N P

H2 H3

He3 He4

Fig.8. L’abbondanza degli elementi leggeri durante il flash ad alte temperature.

il flash degli elementi pesanti, periodo in cui hanno un ruolo effettivo nella produzione dei nuclidi a cui

siamo interessati. Ad esempio, come è immediato verificare dalla figura 8, le abbondanze di deuterio

e neutroni diventano paragonabili durante la fase centrale del flash, mentre al termine di questo le ab-

bondanze di deuterio, trizio ed 3He diventano tutte superiori a quelle dei neutroni; in quest’ottica appare

irragionevole, secondo considerazioni basate solo su effetti di densità, trascurare reazioni in cui inter-

agisce l’ 2H ed inserire quelle di cattura neutronica. Per quanto riguarda invece gli effetti di tunneling

ricordiamo ancora una volta la dipendenza della sezione d’urto dai termini di repulsione elettrostatica:

σ ∝ 1

Eexp

h−pEG/E

i, (4.3)

con

EG ≡Ãπµ1,2Z1Z2e

2

h

!2; (4.4)

da queste relazioni si evince chiaramente come il fattore di tunneling dipenda solamente dal prodotto delle

cariche dei reagenti e dalla massa ridotta del sistema: sulla base di sole considerazioni relative al fattore

di schermo elettromagnetico non si riesce a giustificare allora (ad esempio) l’esclusione della reazione10B(3He, p)12C (µ ∼ 2300MeV , Z10BZ3He = 10) se confrontata con l’inclusione della 12C(α, γ)16O

(µ ∼ 2700MeV , Z12CZ4He = 12). Naturalmente, oltre a considerazioni di questo tipo, sono necessarie

115

stime reali delle sezioni d’urto le quali, oltre alla semplice dipendenza dal fattore di tunneling, racchi-

udono termini legati alla fisica specifica del processo, informazione che, come abbiamo illustrato nel

terzo capitolo, è racchiusa nel fattore astrofisico. Appare invece giustificata, sulla base delle stesse con-

siderazioni, l’esclusione di reazioni che coinvolgano nel canale di ingresso più elementi con A > 6: gli

effetti di soppressione per bassa densità sono già notevoli nel caso di una interazione 6Li(6Li, ∗)∗, dive-

nendo sempre più marcati con l’aumentare della massa dei nuclidi, a cui si aggiunge inoltre l’aumento

del fattore di screening elettromagnetico; tale considerazione vale anche per le reazioni a tre corpi in

ingresso, che abbiamo visto contribuire in maniera quasi trascurabile nella sintesi degli elementi pesanti.

Queste considerazioni portano alla conlcusione che sia necessario stimare l’apporto delle reazioni

trascurate per potere almeno, in caso estremo, giustificarne l’assenza con osservazioni sulle abbondanze

finali degli elementi. Come già illustrato il sistema è non lineare: non è possibile, ’’a priori’’, trascurare

una reazione rispetto ad un’altra solo perché il suo rate è basso per tutta la durata della BBN; il suo

effetto non è stimabile in questi termini perché non valutabile è l’effetto globale dell’interazione di tutte le

reazioni fra di loro. Di fatto l’unico metodo possibile (o almeno l’unico che siamo riusciti ad immaginare)

per valutare l’impatto di una serie di nuove reazioni sulle abbondanze finali dei nuclidi è di inserire tali

reazioni nel codice ed osservarne i risultati; in conseguenza di ciò abbiamo inserito nel codice più di

cento reazioni a due corpi, risultanti dall’interazione dei nuclidi in esame con gli isotopi dell’idrogeno e

dell’elio.

4.2.1 Le nuove reazioni

In questa sezione forniamo un prospetto delle reazioni con cui abbiamo aggiornato il codice di nucleosin-

tesi primordiale; come anticipato abbiamo deciso di inserire tutte quei processi che avvengono fra ele-

menti con A > 7 ed isotopi dell’idrogeno e dell’elio, ciò indipendentemente dalla natura della reazione:

sono stati inclusi processi di scambio di carica, stripping-pickup e cattura radiativa. Per gran parte delle

reazioni che abbiamo esaminato la sezione d’urto non è mai stata investigata sperimentalmente né es-

istono (o non siamo stati in grado di trovare) stime teoriche: in questi casi abbiamo fatto ricorso a modelli

che permettono di stimare almeno l’ordine di grandezza della sezione d’urto. E’ evidente da ciò che i

risultati che si otterranno dalla nuova rete non potranno essere considerati precisi, essendo l’incertezza

sulla stima dei tassi di reazione notevole; lo scopo dell’aggiornamento della rete non è infatti quello di

fornire una stima precisa dell’abbondanza degli elementi in esame, o almeno non lo è a questo stadio

del lavoro. Il fine di questa revisione è di mostrare l’affidabilità della ’’struttura’’ della rete stessa, o di

delineare nuovi canali fondamentali; in quest’ottica anche una stima non precisa dei tassi di reazione è

116

accettabile: come abbiamo visto nella sezione 4.1.1, la variazione dei tassi di reazioni non dominanti

nei processi di sintesi non induce cambiamenti sensibili nelle abbondanze finali degli elementi. In con-

seguenza di questo sarà possibile, variando sistematicamente tutti i tassi di reazione di un fattore definito,

stimare quali siano fra le nuove inserite le reazioni effettivamente efficaci nella sintesi degli elementi di

nostro interesse. Per un dettagliato elenco delle reazioni incluse per la prima volta nel codice rimandi-

amo all’appendice B dove esse sono raccolte per nuclide, insieme con le reazioni già presenti nel codice.

Come si può notare le reazioni che includono il 12N non sono state, per il momento, incluse nel nuovo

codice: ciò è conseguenza delle osservazioni presentate al riguardo di questo nuclide, che sembra non

prendere alcuna parte alla nucleosintesi e di cui si tratterà nella sezione successiva, dedicata alla possi-

bilità di includere nuovi nuclidi. La precisione sistematica in base alla quale tutte le possibili reazioni in

cui intervengono gli isotopi di idrogeno ed elio sono state inserite è probabilmente eccessiva: ad esem-

pio reazioni di scambio di carica del tipo (τ , t) saranno trascurabili rispetto allo scambio di carica (p, n);

l’interazione fondamentale che media la reazione (e quindi determina il fattore astrofisico) è la stessa nei

due casi ma il fattore di schermo elettromagnetico e gli effetti di densità sopprimono la reazione in cui

intervengono gli isotopi più pesanti. Ciononostante ci è parso più appropriato, in un ambito di totale re-

visione sistematica, includere tutti i possibili processi, lasciando ad oggettive osservazioni ’’a posteriori’’

il compito di giustificarne l’esclusione.

4.2.2 Nuovi nuclidi

Fino ad ora si è trattata la rete di reazioni e nuclidi presente nel codice discutendo la possibilità di aggiun-

gere nuove reazioni a quelle già esistenti, ed includendo di fatto solo quelle che aprivano nuovi canali di

connessione fra i nuclidi già inseriti all’interno nel codice. E’ evidente che di fronte ad una revisione crit-

ica dell’intera struttura fisica dei fenomeni di nucleosintesi si debba prendere in considerazione l’ipotesi

che i nuclidi inseriti nella rete possano difettare di alcuni elementi potenzialmente rilevanti; viceversa

la rete potrebbe contenere nuclidi il cui effetto è trascurabile36. E’ questo il caso del 12N : come già

notato nella sezione 4.1.1 l’abbondanza di questo elemento è nulla per tutta la durata della BBN; chiara-

mente in conseguenza di ciò non contribuisce alla sintesi di altri nuclidi: ’’spegnendo’’ tutte le reazioni

in cui è coinvolto il 12N non si verifica alcun cambiamento nelle abbondanze finali degli altri elementi,

se non variazioni inferiori a 10−3 su alcuni degli elementi più pesanti, probabilmente dovute ad effetti

di calcolo numerico. Un criterio per giudicare ’’a priori’’ l’eventuale influenza di un nuclide all’interno

36 In quest’ultima ipotesi non vi è alcun effetto sulle abbondanze finali dei nuclidi, il codice risulta però appesantito inutilmente,aumentando così le possibilità di problemi durante le operazioni di calcolo.

117

del complesso processo di sintesi finora illustrato deve essere necessariamente guidato dalla vita media

dello stesso nuclide, almeno in un primo approccio. Come descritto la BBN è un fenomeno che avviene

nell’arco di poche ore, caratterizzata da processi (ad esempio il flash degli elementi pesanti) con tempo

caratteristico dell’ordine di 101÷ 103 s; perché un nuclide incida efficacemente sulla sintesi di altri ele-

menti, una volta che sia stato creato da altre reazioni nucleari, è necessario che la sua abbondanza rimanga

non trascurabile per tempi dell’ordine di quelli appena illustrati. Quanto detto porta alla conclusione che

le specie di qualche rilevanza in BBN dovrebbero avere un tempo di dimezzamento minimo dell’ordine

del secondo: in effetti tutti i nuclidi inclusi finora nel codice rispondono a questa caratteristica ad ec-

cezione del 12N e 12B, con un tempo di dimezzamento di 11.00ms e 20.20ms, rispettivamente. Altre

indicazioni utili vengono dalla natura delle forze attraverso cui il nuclide interagisce con altre specie37,

l’abbondanza di queste ultime e la loro rilevanza nei processi di sintesi; sfortunatamente, però, una va-

lutazione ’’a priori’’ di tutte queste informazioni presenta gli stessi problemi relativi alla valutazione

dell’effetto di nuove reazioni: non è possibile trarre conclusioni sulla dinamica di un sistema non lin-

eare come quello in esame. Il criterio che adottiamo per suggerire i nuovi nuclidi da inserire nel codice

è quindi basato sostanzialmente sull’osservazione della vita media38: fra gli elementi con 7 ≤ A ≤ 16,gli unici non inseriti nel codice aventi un tempo di dimezzamento superiore al secondo sono il 10Be ed

il 10C, per cui t 1

2= 1.6× 106 anni e t 1

2= 19.25s, rispettivamente. I principali modi di decadimento di

questi due nuclidi sono rispettivamente il β+ e la cattura di un elettrone orbitale (EC), che portano en-

trambi gli elementi nel 10B, che è stabile; entrambi poi potrebbero essere ’’collegati’’ a nuclidi rilevanti in

BBN tramite diverse tipologie di reazioni: ad esempio la catena 7Li(α, p)10Be(p, γ)11B, potrebbe cos-

tituire un canale efficace mediato da una reazione forte e da una cattura protonica radiativa, le quali sono

entrambi, come abbiamo visto in precedenza, abbastanza attive durante il flash degli elementi pesanti.

4.2.3 Risultati del nuovo codice

I risultati ottenuti con il nuovo codice di nucleosintesi mostrano alcuni rilevanti cambiamenti nelle ab-

bondanze finali degli isotopi di nostro interesse: i valori delle nuove abbondanze, comparati con quelli

ottenuti dal vecchio codice, sono riportati nelle tabelle 11 e 12. Come si può agevolmente osservare i

principali cambiamenti sono nel rapporto fra gli isotopi del carbonio e nell’innalzamento delle abbon-

danze di 16O ed 14N ; queste ultime, trascurabili in precedenza, sono ora comparabili con quelle degli

elementi più abbondanti fra quelli di nostro interesse. E’ comunque evidente che la variazione del 16O e

37 Ricordiamo che la natura dell’interazione caratterizza fortemente l’ordine di grandezza della sezione d’urto, e di conseguenzail rate.

38 Ricordiamo la relazione intercorrente fra tempo di dimezzamento t 12

e vita media τ = t 12/ ln 2.

118

14C abundance

1,00E-19

1,00E-18

1,00E-17

1,00E-16

1,00E-15

1,00E-14

1,00E-13

9,95E+00 4,04E-01 7,02E-02 4,28E-02 1,97E-02 1,89E-02 1,82E-02

T(MeV)

Log(14 C)

oldcode

newcode

Fig.9. L’abbondanza di 14C durante la BBN, così come risulta dalla vecchia (linea in basso) e dalla nuova rete di reazioni.

del 15N contribuisca in maniera trascurabile all’aumento totale degli elementi attivi nel CNO : tale vari-

azione è sostanzialmente dovuta all’innalzamento di 14N e 13C ai livelli del 12C (che rimane fra i più

abbondanti). Ciò che contribuisce maggiormente alla variazione dell’abbondanza totale dei nuclidi attivi

nel CNO sono però le variazioni nei più abbondanti fra questi, come ad esempio il 12C ed il 13C. Tali

risultati, sebbene molto incoraggianti, sono da considerarsi non definitivi e soprattutto, come già fatto

notare, non vanno intesi come una stima quantitativa precisa; l’assenza nel codice dei nuclidi indicati al

paragrafo precedente e soprattutto le stime utilizzate per i rate suggeriscono di interpretare questi risul-

tati solo come un’indicazione generale sugli ordini di grandezza allo stato attuale della rete, non come

una stima affidabile delle abbondanza primordiale degli elementi attivi nel CNO.Ulteriore conferma di

questo fatto è l’impossibilità, allo stato attuale del lavoro, di fornire una stima dell’incertezza da cui tali

risultati sono affetti, proprio in virtù della non quantificabilità del grado di affidamento che si può porre

sui tassi di reazione. In figura 9 è mostrata infine l’evoluzione dell’abbondanza del 14C così come risultaCNO

8.84×10−162.30×10−14

Tab.11.L’abbondanza totale degli elementi attivi nel ciclo CNO, nel vecchio (valore in alto) e nel nuovo codice.

119

11C 12C 13C 14C 14N 15N 16O4.69×10−20 6.99×10−16 1.27×10−16 1.18×10−17 4.63×10−17 1.63×10−20 1.22×10−204.84×10−20 2.69×10−15 7.51×10−15 4.76×10−15 8.05×10−15 2.55×10−18 9.27×10−18

Tab.12.L’abbondanza degli elementi attivi nel ciclo CNO, nel vecchio (valore in alto) e nel nuovo codice.

dopo l’aggiunta delle nuove reazioni: la differenza di quasi quattro ordini di grandezza rispetto alla vec-

chia stima è un risultato evidentemente promettente; le riserve appena espresse valgono naturalmente

anche in questo caso ma la grande variazione ottenuta suggerisce che in tale cambiamento abbia parte

molta ’’fisica’’ delle interazioni, che deve necessariamente essere descritta all’interno del codice quando

si vogliano stime precise dei nuclidi esaminati.

4.3 Incertezze sulle Xi

Come anticipato nel primo capitolo, uno dei problemi legati alle previsioni odierne di BBN è la stima

delle incertezze relative alle abbondanze degli elementi primordiali: gli ’’errori’’ relativi alla molteplicità

di dati sperimentali e stime teoriche che vengono usate come ’’input’’ nei codici di BBN (che si riducono

di fatto alle incertezze di tipo sperimentale o teorico sui tassi di reazione) si propagano risultando in errori

sui dati di ’’output’’, vale a dire sulle previsioni delle abbondanze degli elementi primordiali. E’ imme-

diato verificare che la non linearità delle equazioni che costituiscono il sistema della BBN pone grossi

problemi alla propagazione di tali incertezze e di conseguenza alla stima finale dell’affidabilità delle pre-

visioni teoriche: è infatti impossibile usare il comodo metodo della propagazione lineare degli errori; per

quasi due decenni -si veda ad esempio [26] - lo strumento utilizzato per risolvere tale empasse è stato il

’’Metodo Monte Carlo’’ (MC). In tale approccio una routine genera per ognuna delle reazioni presenti nel

codice un numero n -assegnato arbitrariamente, ma comunque abbastanza elevato da consentire un’anal-

isi statistica- di tassi di reazione, tali grandezze (che ricordiamo essere funzioni della temperatura) sono

create in maniera tale da costituire un’insieme statistico con valore centrale uguale al valore medio sper-

imentale e larghezza uguale all’errore sperimentale; le opzioni di tale routine permettono inoltre di im-

porre alla distribuzione la forma desiderata, in maniera da rispecchiare la distribuzione sperimentale dei

dati (è possibile ad esempio fare in modo che gli n tassi generati formino una distribuzione piatta, gaus-

siana o poissoniana intorno al valore medio). I tassi di reazione generati vengono allora usati in maniera

stocastica all’interno del codice che sarà fatto funzionare n volte, in ognuna delle quali il tasso di ogni

reazione sarà scelto in maniera casuale dal proprio insieme di afferenza; al termine di tale processo si

hanno n risultati per ogni output, ciascuno distribuito intorno ad un valore medio secondo una funzione

120

di distribuzione statistica . L’idea alla base di tale metodo di analisi è di effettuare una simulazione del

processo fisico, facendo comportare in maniera ’’reale’’ ogni variabile, assegnandole cioè quel compor-

tamento statistico tipicamente associati ad un fenomeno. Sebbene tale metodo abbia l’innegabile pregio

di fornire ottimi risultati, tanto migliori quanto più è elevato n39, la capacità di calcolo richiesta per tale

approccio è notevole: bisogna infatti fare operare n volte il codice -che già richiede grosse capacità di

calcolo- ed inoltre bisogna effettuare una analisi statistica dei dati alla fine del processo. E’ stato recen-

temente proposto in [32] un nuovo metodo, alternativo al Monte Carlo, che permette -sotto l’ipotesi di

incertezze piccole- di ottenere risultati analoghi a quelli del MC risparmiando le grandi capacità di cal-

colo (e tempo) necessarie per tale metodo. In tale approccio si schematizzano le abbondanze Xi come

funzionali (dipendenti anche dalla temperatura di freeze out TF ) del set di tassi di reazioni Rk(T ),Xi = Xi (Rk). Ad una piccola variazione δRk di un tasso di reazione:

Rk → Rk + δRk , (4.5)

corrisponde una variazione δXi in ognuna della abbondanze:

Xi → Xi + δXi ≡ X 0i ; (4.6)

se le variazioni sono effettivamente piccole, δRk/Rk ∼ δXi/Xi ¿ 1, si può sviluppare X 0i in serie

intorno al valore centraleXi, ottenendo:

X 0i = Xi +

¯∂Xi∂Rk

¯RK

δRk , (4.7)

da cui, per la definizione (4.6):

δXi =

¯∂Xi∂Rk

¯RK

δRk . (4.8)

E’ possibile scrivere la (4.8) in termini della derivata logaritmica λik ≡ ∂ lnXi

∂ lnRk, ricordando che:

∂Xi∂Rk

=XiRk

∂ lnXi∂ lnRk

, (4.9)

39 Tale numero deve essere, come già notato, abbastanza elevato da consentire una approssimazione statistica del fenomeno: usual-mente in ambito di BBN i valori di sono dell’ordine di 103.

121

ottenendo quindi:

δXi =

¯XiRk

∂ lnXi∂ lnRk

¯RK

δRk = Xi

¯∂ lnXi∂ lnRk

¯RK

δRkRk

; (4.10)

quando siano in più di un solo tasso di reazione a variare si può ampliare la (4.10) nella forma:

δXi = XiXk

|λik|RK

δRkRk

. (4.11)

Generalizzando quest’ultima relazione si può ottenere la matrice di covarianza σij :

σ2ij = XiXjXk

|λikλjk|RK

µδRkRk

¶2, (4.12)

nel cui formalismo δXi si scrive naturalmente σi ≡qσ2ii = δXi; questa forma assume pieno significato

quando si vada a considerare che all’atto pratico le ’’variazioni’’ nei tassi non sono altro che le incertezze

sperimentali e di conseguenza gli elementi della matrice di covarianza sono la propagazione dell’errore

e rappresentano a tutti gli effetti le incertezze sulle abbondanze. L’unico ’’passaggio’’ ancora mancante

per potere calcolare le grandezze definite nella (4.12) è un modo per valutare le λik, che possono essere

valutate numericamente (si veda [32] ) attraverso la formula:

λik = [Xi (Rk + δRk)−Xi (Rk − δRk)] Rk2δRk

1

Xi; (4.13)

nel lavoro cui si fa riferimento per la trattazione finora riportata le λik sono utilizzate per descrivere

la ’’fisica’’ del codice di BBN: si fa uso di queste grandezze per comprendere l’importanza nel codice

delle singole reazioni valutandone l’impatto sulle abbondanze di ogni elemento. Ricordiamo allora che

le λik sono funzioni esplicite della grandezza Rk/δRk(T ) e delleXi, che sono a loro volta dei funzion-

ali dipendenti dal set di tassi di reazione Rk(T ) e dalla temperatura di freeze out TF ; ne consegue che

se si vuole studiarle come grandezze definite ad una certa temperatura TF la grandezza Rk/δRk deve

essere una funzione costante della temperatura e che, soprattutto, la grandezza δRk deve essere univo-

camente definita per ogni reazione; non sono possibili cioè errori asimmettrici sui rates. Queste ultime

limitazioni costituiscono i limiti maggiori di tale metodo, che ha invece il vantaggio di essere estrema-

mente ’’economico’’ dal punto di vista del calcolo numerico: per valutare tutte le λik c’è solo bisogno

di calcolare tutte le Xi (Rk + δRk) e le Xi (Rk − δRk), ovvero fare funzionare il codice tre volte per

ogni reazione. Tenendo conto del fatto che la rete di reazioni che collega fra di loro i nuclidi leggeri,

122

i soli per cui ha senso effettuare una stima delle incertezze propagando gli errori sui rates, è di ∼ 20

reazioni, si ha rispetto al MC un risparmio di calcolo pari ad un ordine di grandezza; tale risultato è ot-

timo se si considera che gli errori calcolati con questo metodo sono in più che buon accordo con quelli

ottenuti attraverso un metodo Monte Carlo (tale prova è fornita in [32] ). Il contributo originale apportato

a questo metodo nasce dalla considerazione che, qualora non si sia interessati alle λik come grandezze a

sé stanti40, inserendo la (4.13) nella (4.12) si elimina la dipendenza esplicita da Rk/δRk, ottenendo:

σ2ij =1

4

Xk

[Xi (Rk + δRk)−Xi (Rk − δRk)]× [Xj (Rk + δRk)−Xj (Rk − δRk)] ; (4.14)

la matrice di covarianza così generalizzata non risente più delle limitazioni imposte precedentemente:

può essere applicata in caso di errori asimmetrici e di rapporto Rk/δRk funzione della temperatura.

In questo modo il metodo mantiene i vantaggi relativi alla (relativamente) leggera capacità di calcolo

richiesta eliminando i maggiori svantaggi del metodo presentato in [32] ; resta inteso che tale metodo è

comunque applicabile solo in casi in cuiRk/δRk À 1, che è comunque quasi sempre verificato nel caso

delle reazioni afferenti alla ’’rete ridotta’’ che lega fra di loro i nuclidi più leggeri.

40 Ad esempio quando non si voglia studiare la dinamica del sistema attraverso queste funzioni ma solo ottenere le incertezzefinali.

123

Conclusioni

si...PUO’...FARE!!(Gene Wilder, in ’’Frankestein Junior’’, 1975)

Al fine di fornire una risposta precisa sull’abbondanza primordiale degli isotopi del carbonio, del-

l’azoto e dell’ossigeno, elementi di estrema importanza nell’evoluzione di stelle di popolazione III e di

conseguenza della successiva evoluzione chimica della galassia, durante questo lavoro di tesi si è effet-

tuata un’analisi completa e sistematica della rete di reazioni e nuclidi che lega gli elementi attivi nel ciclo

CNO agli isotopi dell’idrogeno e dell’elio nei codici di nucleosintesi primordiale. I risultati hanno ev-

idenziato la dipendenza di tali fenomeni di sintesi da nuclidi di massa intermedia (isotopi del litio, del

berillio e del boro) identificando le reazioni dominanti in tali processi; si è inoltre aggiornato il tasso

di tutte quelle reazioni per cui sono stati trovati nuovi dati. L’analisi ha evidenziato l’assenza di quasi

tutti le reazioni, di natura elettromagnetica e forte, in cui metalli interagiscano con gli isotopi più pesanti

dell’idrogeno (deuterio e trizio) e con l’ 3He; tale mancanza sembra avere effetti marcati sulla sintesi

di alcuni fra gli isotopi più pesanti del carbonio, dell’azoto e dell’ossigeno. Si è infatti aggiornata la

rete includendo più di cento reazioni fra gli elementi con Z > 7 e gli isotopi dell’idrogeno e dell’e-

lio, precedentemente trascurate: i risultati preliminari ottenuti mostrano un’innalzamento di venticinque

volte dell’abbondanza degli elementi del CNO. Tali esiti non sono da considerarsi definitivi: le stime

utilizzate per valutare le sezioni d’urto sono suscettibili di grandi miglioramenti e potrebbero in futuro

modificare il risultato ottenuto; ciononostante i processi inseriti mostrano chiaramente come non sia pos-

sibile trascurare tale tipologia di reazioni quando si tenti un’accurata stima delle abbondanze primordiali

di carbonio, azoto ed ossigeno. Gli immediati sviluppi del lavoro prevedono un’accurata analisi della

rete di reazioni da noi aggiornata, identificando fra le tante inserite le reazioni effettivamente dominanti

i processi di sintesi; questo consentirà di ’’sfrondare’’ la rete delle reazioni non necessarie, alleggerendo

così le necessità di calcolo. Abbiamo inoltre evidenziato la possibilità di inserire nuovi nuclidi nella

rete del codice, i cui effetti sulla sintesi dei catalizzatori del CNO potrebbero essere non trascurabili.

Allo stato attuale del lavoro l’abbondanza totale degli elementi in esame, al termine della BBN, pare

essere comunque inferiore alla soglia necessaria all’attivazione del ciclo CNO in stelle popIII di massa

125

intermedia, sebbene valgano naturalmente le riserve cui si è già accennato. Durante il lavoro di tesi si

è inoltre approfondito il problema della determinazione delle incertezze finali sulle abbondanze dovute

alla propagazione degli errori sui tassi di reazione e sulle altre grandezze usate come ’’input’’ nel codice:

si è fornita la generalizzazione di un metodo, alternativo alle simulazioni Monte Carlo, che permette

di trattare errori asimmetrici dipendenti dalla temperatura; tale risultato, discusso nella tesi, è stato già

presentato nel preprint [33] .

126

Appendice A

Osservazioni delle abbondanze primordiali di

2H, 4He e 7Li

Forniamo in questa appendice una rassegna dello stato odierno dell’osservazione delle abbondanze pri-

mordiali degli elementi leggeri, ’’pilastro’’ sperimentale del modello cosmologico standard e problema di

grande interesse in astrofisica, per le ragioni che vedremo. Come è facile immaginare una osservazione

diretta delle abbondanze primordiali di qualsiasi elemento è pressocché infattibile: tutti gli ambienti as-

trofisici sottoponibili ad analisi sperimentali sono stati interessati da fenomeni di varia natura durante

l’evoluzione dell’universo e non è quindi possibile, a rigore, considerarli primordiali. E’ allora neces-

sario, per estrarre le informazioni sulle abbondanze primordiali da quelle osservate, disporre di validi

modelli astrofisici che descrivano i processi in atto negli ambienti di interesse.

2H

Il deuterio, nucleo stabile dall’energia di legame fra le più basse, è estrememente facile da distruggere

in processi di fusione termonucleare, di conseguenza è verosimile che la sua abbondanza primordiale sia

stata solamente abbassata dai fenomeni che abbiano interessato le zone dove viene misurata. Le osser-

vazioni rappresentano così un limite inferiore all’abbondanza primordiale di questo elemento; queste

sono state effettuate sostanzialmente in due tipi di ambienti: nel mezzo interstellare locale (ISM) ed in

vari oggetti del sistema solare. Nel primo caso si è ottenuta un’abbondanzaX2H = (1.5± 0.2)× 10−5mentre nel secondo X2H = (2.6± 1.5) × 10−5, che rappresenta un valore ’’pre-solare’’; negli ultimi

anni si sta tuttavia sempre più affermando l’uso di un metodo in linea di principio molto più affidabile

per stimare le abbondanze primordiali del deuterio: l’osservazione dello spettro delle righe Lyman-α

da parte di nubi di idrogeno neutro poste fra noi e un quasar (oggetti ad alto redshift, e quindi molto

antichi) consente di osservare ’’più indietro nel tempo’’, e quindi a stadi meno avanzati dell’evoluzione

D

-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4

Q2206-199

Q1009-2956

HS0105-1619

Q0347-3819

Q0347-3819

Q1243+3047

PKS1937-1009

Fig.1. Le discrepanze fra le osservazioni e le stime teoriche del deuterio primordiale, normalizzate alla somma in quadratura diicertezze teoriche e sperimentali, i valori differenti sono relativi a misurazioni su quasar differenti; per dettagli si veda (Cuocoet al.).

chimica. Sfortunatamente, nonostante il numero di quasar conosciuti sia abbastanza vasto molti di essi

non presentano le caratteristiche appropriate per consentire tali osservazioni, di conseguenza il numero

di osservazioni non è tale da consentire un0analisi statistica41; in figura 1 è presentata una rassegna delle

discrepanze fra le misure relative a sette differenti quasar e la recente previsione teorica42 [33] che porge

Xth2H =

¡2.56+0.35−0.24

¢ × 10−5: è interessante notare come i valori osservati si dispongano intorno alla

previsione teorica con una forma che è ragionevolmente riconducibile ad una distribuzione statistica.

4He

Dall’abbondanza in massa (Yp) di ∼ 25%, quest’elemento è stato considerato per primo come evi-

denza della nucleosintesi primordiale; poiché questo nuclide è il principale prodotto della nucleosintesi

stellare ci si aspetta che la sua abbondanza sia maggiore quanto più i sistemi in cui la si osserva siano

stati interessati da processi di evoluzione chimica. Per questo motivo si misura in genere in regioni HII

di idrogeno ionizzato presenti in ambienti a metallicità molto bassa43, come le ’’Blue Compact Galax-

ies’’ (BCG); la stima dell’abbondanza primordiale si ottiene misurando l’intensità delle righe di ricom-

binazione HeII→HeI, e ricorrendo poi a modelli di evoluzione chimica per l’estrapolazione a metal-

41 Posto che tale analisi abbia senso: le differenti misure sono relative a sistemi fisici differenti, affetti da possibilità di errorisistematici (sperimentali o dovuti al modello utilizzato per le estrapolazioni).

42 La stima delle incertezze di tale valore sono state effettuate con il metodo sviluppato durante questo lavoro di tesi e e descrittonel quarto capitolo.

43 La metallicità è considerata una buona stima del grado di ’’anzianità chimica’’ di un sistema, dal momento che gli elementi piùpesanti del sono prodotti in maniera solamente da fenomeni di natura astrofisica.

128

4He

-5 -4 -3 -2 -1 0

high 4He

low 4He

conservative

Fig.2. Le discrepanze fra le osservazioni e le stime teoriche dell’elio primordiale, normalizzate come nel caso precedente. Lamedia fra i due valori osservativi non ha un pieno senso fisico, come già illustrato provengono infatti da esperimenti differentisenza possibilità di calibrazione degli errori sistematici; per dettagli si veda (Cuoco et al.).

licità zero. In questo caso gli errori sistematici possono avere effetti anche del per cento rispetto alle

stesse grandezze, rendendo così più difficile una accurata valutazione dei parametri cosmologici dall’ab-

bondanza primordiale dell’elio. E’ interessante notare, nel grafico in figura 2, che entrambe le misure

più recenti sono maggiori della stima teorica: questo è sintomo di errori sistematici nella valutazione

delle abbondanze a metallicità zero, probabilmente dovuti al modello astrofisico utilizzato (si veda ad

esempio [34] ). L’idea proposta recentemente in [12] che l’IGM possa essere stato ’’inquinato’’ dal-

l’elio prodotto dalla popolazione III in epoche pregalattiche è sicuramente compatibile con l’evidenza

sperimentale: tenendo conto di questo effetto nei modelli astrofisici la discrepanza dovrebbe diminuire.

Sfortunatamente, sebbene posta recentemente su più solide basi, la teoria delle popIII ancora non perme-

tte previsioni quantitative affidabili e bisognerà attendere nuovi lavori per verificare questa suggestiva

ipotesi.

7Li

Tale nuclide è rapidamente distrutto in ambienti stellari attraverso la reazione 7Li(p,α)4He, attiva

già a T ∼ 2.5 × 106K, mentre è prodotto, in ambienti interstellari, attraverso reazioni di spallazione

da raggi cosmici -ad esempio attraverso le reazioni 4He(α, p)7Li o 4He(α, n)7Be →7 Li, attive già a

metallicità zero. Ciò implica che osservare del 7Li ’’sopravvissuto’’ all’evoluzione chimica è estrema-

mente complesso; gli ambienti ottimali per la conservazione di tale elemento sono le zone esterne delle

atmosfere stellari non interessate da convezione. Per potere osservare del litio primordiale è allora neces-

129

7Li

-4 -3 -2 -1 0

Bonifacio & Molaro

'97

Ryan, Norris & Beers

'99

Bonifacio et al 2002

Bonifacio et al 2002

NGC6397

Fig.3. Le discrepanze fra le osservazioni e le stime teoriche del litio primordiale, normalizzate come nel caso precedente. Perdettagli si veda (Cuoco et al.).

sario cercare stelle molto antiche in cui la convezione negli strati esterni sia trascurabile: nel 1982 Spite e

Spite ([35] , [36] ) presentarono il risultato di ua campagna di osservazioni su stelle dell’alone galattico44

mostrando che l’abbondanza di questo nuclide sembrava essere indipendente dalla metallicità delle stelle

(’’Spite Plateau’’) in cui veniva misurata; ciò sembrerebbe in prima analisi confermare che il 7Li osser-

vato sia effettivamente di natura primordiale. In realtà il problema si complica notevolmente quando si

considera che l’abbondanza osservata deve essere ’’filtrata’’ dal solito processo di estrapolazione attra-

verso modelli di evoluzione chimica e che la stessa osservazione della grandezza ha grandi sorgenti di

incertezza sperimentale: la sola ’’traccia’’ sperimentalmente osservabile è il doppietto risonante di riga

-asimmetrico e non risolto- del LiI a 670.8nm, essendo il presente nella sua forma una volta ionizzata

al 99.7% si comprende l’estrema difficoltà nella determinazione della sua abbondanza primordiale. Il

grafico in figura 3 mostra chiaramente come errori di natura sistematica affliggano le osservazioni, in

conseguenza di ciò la determinazione dei parametri cosmologici dai dati relativi a questo nuclide presenta

ancora grandi incertezze; grande speranza è riposta nelle osservazioni future con una nuova generazione

di spettrografi a media risoluzione, unitamente allo sviluppo di migliori modelli astrofisici per l’estrap-

olazione dei dati a metallicità zero.

44 Questi oggetti sono fra i meno interessati dall’evoluzione chimica galattica.

130

Appendice B

Le nuove reazioni nel codice di BBN

Alleghiamo in questa sezione un prospetto delle reazioni aggiunte nel codice, separandole per nuclidi e

tipologia: la forma in cui è scritta ogni reazione è quella esoenergetica (e coincide con la forma in cui

sono inserite nel codice) e la tabella in cui è inserita è quella relativa al nuclide più massivo disgregato

in tale forma. Per la maggior parte delle reazioni le sezioni d’urto sono sconosciute sperimentalmente:

questo ci ha obbligati all’adozione di modelli descritti nell’appendice D della [37] ; d’altronde anche

le sezioni d’urto per cui si sono trovati dati sperimentali sono state investigate in intervalli energetici

di non grande interesse per la nucleosintesi primordiale costringendoci in alcuni casi ad utilizzare le

informazioni sui dati sperimentali solo in maniera indicativa. Questo conferma come il nostro studio

possa essere considerato, sotto alcuni aspetti, di natura qualitativa, fornendo stime non precise delle

grandezze analizzate.reazione Q-val (MeV)

8Li(τ , γ)11B 27.28Li(p, γ)9Be 16.98Li(τ ,α)7Li 18.58Li(τ , d)9Be 11.48Li(τ , n)10B 17.68Li(d, n)9Be 14.78Li(d, t)7Li 4.2

Tab.13.8Li

reazione Q-val8B(t, γ)11C 27.28B(t, p)10B 18.58B(t,α)7Be 19.78B(n, τ)6Li 2.08B(d, τ)7Be 5.48B(α, p)11C 7.4

Tab.14.8B

reazione Q-val (MeV)9Be(d, γ)11B 15.89Be(t, γ)12B 12.99Be(τ , γ)12C 26.39Be(t, n)11B 9.59Be(τ , n)11C 7.69Be(τ , d)12B 1.19Be(τ ,α)8Li 2.99Be(p,α)6Li 2.1

Tab.15.9Be

reazione Q-val (MeV)10B(d, γ)12C 25.110B(t, γ)13C 23.910B(τ , γ)13N 21.610B(α, γ)14N 11.610B(d, n)11C 6.510B(t, n)12C 18.910B(t, p)12B 6.310B(t, d)11B 5.210B(t,α)9Be 13.210B(τ , p)12C 19.710B(τ , n)12N 1.610B(τ , d)11C 3.210B(α, d)12C 1.3

Tab.16.10B

reazione Q-val (MeV)11B(d, γ)13C 18.711B(t, γ)14C 20.611B(τ , γ)14N 20.711B(α, γ)15N 11.011B(τ , n)13N 10.111B(τ , p)13C 13.111B(τ , d)12C 10.411B(t, n)13C 12.511B(d, p)12B 1.111B(d,α)9Be 8.011B(τ ,α)10B 9.1

Tab.17.11B

reazione Q-val (MeV)12B(p, γ)13C 17.512B(d, γ)14C 23.512B(τ , γ)15N 28.212B(τ , t)12C 13.312B(τ , n)14N 17.412B(τ , p)14C 12.012B(τ ,α)11B 17.212B(τ , d)13C 12.012B(d, n)13C 15.312B(d, t)11B 2.912B(t, n)14C 17.2

Tab.18.12B

reazione Q-val (MeV)11C(n, γ)12C 18.711C(d, γ)13N 18.411C(t, γ)14N 22.711C(τ , γ)14O 17.611C(α, γ)15O 10.211C(t, τ)11B 2.011C(t, n)13N 12.211C(t, p)13C 15.211C(t, d)12C 12.511C(t,α)10B 11.1

Tab.19.11C

133

reazione Q-val (MeV)12C(d, γ)14N 10.212C(t, γ)15N 14.812C(τ , γ)15O 12.012C(d, p)13C 2.712C(t, n)14N 4.012C(t, p)14C 4.612C(t,α)11B 3.912C(τ , p)14N 4.812C(τ ,α)11C 1.9

Tab.20.12C

reazione Q-val (MeV)13C(d, γ)15N 16.213C(τ , γ)16O 22.813C(d, n)14N 5.313C(d, p)14C 5.913C(d,α)11B 5.213C(t, n)15N 9.913C(t, d)14C 1.913C(t,α)12B 2.313C(τ , n)15O 7.113C(τ , p)15N 10.713C(τ , d)14N 2.013C(τ ,α)12C 15.6

Tab.21.13C

reazione Q-val (MeV)14C(d, n)15N 8.014C(d,α)12B 0.414C(τ , t)14N 0.114C(τ , n)16O 14.614C(τ , d)15N 4.714C(τ ,α)13C 12.4

Tab.22.14C

134

reazione Q-val (MeV)13N(n, γ)14N 10.513N(d, γ)15O 15.613N(t, γ)16O 25.013N(t, τ)13C 2.213N(t, n)15O 9.413N(t, p)15N 12.913N(t,α)12C 17.913N(d, n)14O 2.413N(d, p)14N 8.313N(d, τ)12C 3.513N(d,α)11C 5.413N(n, d)12C 0.313N(τ , p)15O 10.1

Tab.23.13N

reazione Q-val (MeV)14N(d, γ)16O 20.714N(d, n)15O 5.014N(d, p)15N 8.614N(d,α)12C 13.614N(t, n)16O 14.514N(t, d)15N 4.614N(t,α)13C 12.314N(τ , p)16O 15.214N(τ , d)15O 1.814N(τ ,α)13N 10.0

Tab.24.14N

reazione Q-val (MeV)15N(d, n)16O 9.915N(d,α)13C 7.715N(t,α)14C 9.615N(τ , d)16O 6.615N(τ ,α)14N 9.8

Tab.25.15N

135

reazione Q-val (MeV)14O(n, γ)15O 13.214O(n, p)14N 5.914O(n, τ)12C 1.114O(n,α)11C 3.014O(t, p)16O 20.414O(t, d)15O 7.014O(t, τ)14N 5.214O(t,α)13N 15.214O(d, p)15O 11.014O(d, τ)13N 0.9

Tab.26.14O

reazione Q-val (MeV)15O(n,α)12C 8.515O(d, p)16O 13.415O(d,α)13N 8.215O(t, d)16O 9.415O(t, τ)15N 2.815O(t,α)14N 12.515O(τ ,α)14O 7.4

Tab.27.15O

reazione Q-val (MeV)16O(d,α)14N 3.116O(t,α)15N 7.716O(τ ,α)15O 4.9

Tab.28.16O

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Bibliografia

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