Sconfinare numero 16 - Dicembre 2008

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COPIA GRATUITA Numero 16 - Dicembre 2008 Scripta Manent www.sconfinare.net Viaggio in Italia Direttrice: Annalisa Turel I due re I motivi della crisi politica thailandese redazione@sconfinare.net Cinema Musica Italia Università Cultura Glocale L’editoriale Internazionale Davide Ambrosio dalla Thailandia Intervista al prof. Abenante sugli attentati in India. In attesa di Pinna Lezioni di diplomazia da Collot La Macelleria Messicana di Quercioli La degenerazione dello scena- rio politico thailandese, portato ai massimi termini con l’occupazio- ne, durata una settimana, dei due aeroporti principali di Bangkok non rappresenta altro che uno dei simboli di una lunghissima lotta per il potere. La “crisi” thailandese ha un background lungo, lunghissimo, in verità, che poggia sulla decisione anglo-francese di lasciare il Paese come zona cuscinetto tra l’India Britannica e l’Indocina francese. Allo stesso modo, la sopravvivenza della dinastia Chakri si legò all’ap- poggio statunitense, che la consi- derava baluardo contro l’avanzata del comunismo nel sud-est asiati- co. Il fatto di non aver provato il trauma rappresentato dallo “smi- nuimento” dell’imperatore Hiro- hito, in fine della seconda guerra mondiale (nonostante l’esplicito appoggio siamese ai giapponesi) o dall’abbattimento della dinastia Konbaung nella confinante Birma- nia, hanno prodotto una situazione di mantenimento di strutture tradi- zionali buddhiste e di una mentali- tà sostanzialmente conservatrice in un paese fortemente caratterizzato dallo sviluppo economico e dalla globalizzazione. Le contraddizioni che si possono notare in Thailan- dia sono gravi e il “Paese del sor- riso” (termine sicuramente conia- to da persone che si fermano alle apparenze) potrebbe vivere nei prossimi anni situazioni molto più spiacevoli della crisi aeroportuale. Dopo un flashback, mi permetto di dare una occhiata al futuro. Cosa succederà quando il Re Bhumibol Adulyadej, 81 enne il 5 dicembre e con qual- che acciacco, dovrà abbandonare il trono, dopo oltre 60 anni di regno? Previsioni sono ben accette. La mia è quella che le cose potranno solo peggio- rare. Torniamo al presente. Thak- sin Shinawatra. Di origine cinese, ricco imprenditore nel campo della telefonia e delle televisioni, entra in politica nel 1994 (analogie…). Nel 1998 fonda il partito Thai Rak Thai ( i thailandesi amano i thai- landesi… vabbè… da italiano non ha senso fare ironia sui nomi dei partiti politici altrui…) e nel 2001 vince in maniera nettissima quella che osservatori stranieri dichiara- rono l’elezione politica in Thai- landia con meno voti di scambio e corruzione della storia del Pae- se (rivincerà in maniera eclatante nel 2005). La piattaforma politica è populista, incentrata su fondi di sviluppo sostenibile per i più po- veri, assistenza sanitaria gratuita alle classi disagiate, moratoria sui debiti dei contadini. Thaksin non agisce male, in realtà. Le promes- se sono mantenute in un quadro economico dilaniato dalla crisi asiatica. Gli investi- menti e il turismo vengono attratti, il de- bito esterno ridotto, le riserve di valuta ricostituite. Se si potessero tralasciare le fondate accuse di corruzione (ma corruzione è vita quotidiana, qui anche più che da noi), la guerra alla droga, che ha causato abusi, torture e 2500 morti e la recrudescenza della ribellio- ne di tre provincie a prevalenza musulmana al confine malese, si potrebbe persino dire che Thaksin abbia fatto bene. Forse troppo. Il Re è uno. Due sono troppi. Colpo di Stato del settembre 2006. Shi- nawatra è interdetto dalla politica. Il TRT si ricostituisce mutatis mu- tandis come People’s Power Par- ty, guidato dalla longa manus di Shinawatra. E vince nuovamente nel dicembre 2007. troppo inetto il governo instaurato sotto l’egida dei militari. Per spiegare, in due parole, senza indugiare sulla strut- tura sociale thailandese, bisogna considerare che la stratificazione sociale è fissa e immutabile, non a livello di casta, ma non troppo di- verso. Le classi povere sono state con Shinawatra, quelle di ceto me- dio ed agiate contro di lui. Il che si traduce, peraltro, in una distinzio- ne geografica, con Bangkok contro di lui e il resto del Paese a lui fa- vorevole. Il nuovo Primo Ministro è Samak Sundaravej. La piattafor- ma politica è identica a quella di Shinawatra. Di nuovo il responso democratico non è accettato e le forze che prima si erano mobilite contro Thaksin si ribellano contro quello che si reputa il suo portavo- ce. Primo blocco degli aeroporti. Gli scali di Phuket, Krabi e Hat Yai sono bloccati per 2 giorni, ad agosto. E primi scontri. Continua a pagina 2 Lucatello sulla crisi del nord-est Carzedda e l’Indipendentismo Sardo Faleschini sul decreto anticrisi La Carlot e i governi rosa del mondo Marchesano e i casinò Scarciglia in Lombardia Assid vista da Di Battista Plazzotta e il Workshop a Gorizia Yata e Politica estera americana della Pajer L’università e i computer della Vismara Birra e cinema con Gallio Toè in Fuga da Twilight Nessuna Verità di Gallio Jazz sounds a Gorizia I polli degli anni ‘80 della De Domenico Toè ci scrive di Musica Battiston Uomo al Buio La Cuccato sull’eleganza del Riccio Il primo racconto breve di Ripani Da Ros con Il Bottone di Puškin La Favaretto in un Norvegian Wood In attesa Le contraddizioni che si possono notare in Thailandia sono gravi Cari instancabili lettori, più passa il tempo per me in que- sto Polo, più mi sembra di capirlo: una bottiglia di vetro con dentro una nave, bambini adulti che da questi ultimi vogliono prendere da subito la strafottenza, il prestigio, la meschinità, ma molte volte la maturità, la voglia di fare, il ragio- namento etico e responsabile. Mi sembra di capire un po’ il mondo, se proporzionato ad una scala più vasta. Allora questo giornale di- venta sempre più quello che nel mondo è la cultura: è uno spazio libero, innanzitutto. Ciò che il co- munismo ancora cerca attraverso l’abolizione della proprietà priva- ta, probabilmente le parole ed il pensiero l’hanno già ottenuto. Ep- pure mi compiaccio di come la co- munità studentesca del nostro Polo sia interessante ed interessata, no- nostante il virus molto presente di quello che io chiamo “attendismo” (tutto mi deve essere servito davan- ti, altrimenti mi lamento: “perché a Gorizia non c’è proprio nulla…”). Mi stupisco sempre di più che tutta la barca in fin dei conti naviga, e naviga più che bene, grazie a noi studenti, naviga grazie al giornale, grazie alle Associazioni; naviga Continua a pagina 5 Cosa vi aspettate per il prossimo anno? Non pensate in piccolo, non pensate alle prime settimane, non disperatevi già ora per i prossimi esami. Pensate alle notizie che leg- gerete, che ascolterete. Cosa real- mente vorreste vedere nel mondo? E invece cosa è più probabile che accada? Non temete, non rivelerò qui tutte le trame del 2009, quelli sono ar- ticoli ancora da scrivere. Piuttosto tenterei di vedere cosa potrebbe accadere il prossimo anno, visti i principali eventi degli ultimi mesi del 2008. L’Europa, lo scenario internazio- nale a noi più vicino, è stata scossa pesantemente dagli scandali, ricor- derete Société Générale, e dall’ul- tima crisi finanziaria. Questa non è piombata dal cielo improvvisa- mente, ma mostra le prime e più superficiali radici nell’estate 2007 con la crisi dei mutui subprime. Risultato: crescita economica vi- cina allo zero per la maggior par- te dei paesi europei, o comunque previsioni di crescita aggiornate in negativo. Nel processo integra- tivo europeo invece pesa il parere negativo del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, e nel Con- siglio Europeo dell’11 dicembre “sarebbe utile che il consiglio di giovedì stabilisse una road map – per il 2009 – per l’approvazione del Trattato da parte dell’Irlanda” scrive La Stampa citando il mini- stro Frattini, “dicembre sarà, sotto certi aspetti, un punto di non ritor- no per il futuro dell’Unione euro- pea”. Dall’altra parte dell’oceano in- vece gli Stati Uniti piangono e festeggiano allo stesso tempo. La crisi che è arrivata poi anche nei nostri mercati azionari è scoppiata proprio qui. Allo stesso tempo il Presidente Eletto, Mr. Obama, è il motivo di tanta speranza per il 2009. Oltre ad essere un simbolo vivente, in quanto primo presiden- te afro-americano, la sua ammi- nistrazione è chiamata a risolvere i numerosi problemi che gli Stati Uniti stanno affrontando. La crisi finanziaria ha trascinato nell’area negativa tutta l’economia e Wa- shington è costretta a rispondere con aiuti di stato da miliardi di dollari, per sostenere, contraria- mente a ogni principio economico, imprese e aziende imprudenti o semplicemente sorprese dalla crisi dei consumi. Anche questo continua a pagina 2

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COPIA GRATUITANumero 16 - Dicembre 2008

Scripta Manent

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Viaggio in Italia

Direttrice: Annalisa Turel

I due reI motivi della crisi politica thailandese

[email protected]

Cinema

Musica

Italia

Università

Cultura Glocale

L’editoriale

InternazionaleDavide Ambrosio dalla Thailandia

Intervista al prof. Abenante sugli attentati in India.

In attesa di PinnaLezioni di diplomazia da Collot

La Macelleria Messicana di Quercioli

La degenerazione dello scena-rio politico thailandese, portato ai massimi termini con l’occupazio-ne, durata una settimana, dei due aeroporti principali di Bangkok non rappresenta altro che uno dei simboli di una lunghissima lotta per il potere.La “crisi” thailandese ha un background lungo, lunghissimo, in verità, che poggia sulla decisione anglo-francese di lasciare il Paese come zona cuscinetto tra l’India Britannica e l’Indocina francese. Allo stesso modo, la sopravvivenza della dinastia Chakri si legò all’ap-poggio statunitense, che la consi-derava baluardo contro l’avanzata del comunismo nel sud-est asiati-co. Il fatto di non aver provato il trauma rappresentato dallo “smi-nuimento” dell’imperatore Hiro-hito, in fine della seconda guerra mondiale (nonostante l’esplicito appoggio siamese ai giapponesi) o dall’abbattimento della dinastia Konbaung nella confinante Birma-nia, hanno prodotto una situazione di mantenimento di strutture tradi-zionali buddhiste e di una mentali-tà sostanzialmente conservatrice in un paese fortemente caratterizzato dallo sviluppo economico e dalla globalizzazione. Le contraddizioni che si possono notare in Thailan-dia sono gravi e il “Paese del sor-riso” (termine sicuramente conia-to da persone che si fermano alle apparenze) potrebbe vivere nei prossimi anni situazioni molto più spiacevoli della crisi aeroportuale. Dopo un flashback, mi permetto di dare una occhiata al futuro. Cosa succederà quando il Re Bhumibol Adulyadej, 81 enne il 5 dicembre e con qual-che acciacco, dovrà abbandonare il trono, dopo oltre 60 anni di regno? Previsioni sono ben accette. La mia è quella che le cose potranno solo peggio-rare. Torniamo al presente. Thak-sin Shinawatra. Di origine cinese, ricco imprenditore nel campo della telefonia e delle televisioni, entra in politica nel 1994 (analogie…). Nel 1998 fonda il partito Thai Rak Thai ( i thailandesi amano i thai-landesi… vabbè… da italiano non ha senso fare ironia sui nomi dei partiti politici altrui…) e nel 2001 vince in maniera nettissima quella che osservatori stranieri dichiara-rono l’elezione politica in Thai-

landia con meno voti di scambio e corruzione della storia del Pae-se (rivincerà in maniera eclatante nel 2005). La piattaforma politica è populista, incentrata su fondi di sviluppo sostenibile per i più po-veri, assistenza sanitaria gratuita alle classi disagiate, moratoria sui debiti dei contadini. Thaksin non agisce male, in realtà. Le promes-

se sono mantenute in un quadro economico dilaniato dalla crisi asiatica. Gli investi-menti e il turismo vengono attratti, il de-

bito esterno ridotto, le riserve di valuta ricostituite. Se si potessero tralasciare le fondate accuse di corruzione (ma corruzione è vita quotidiana, qui anche più che da noi), la guerra alla droga, che ha causato abusi, torture e 2500 morti e la recrudescenza della ribellio-ne di tre provincie a prevalenza musulmana al confine malese, si potrebbe persino dire che Thaksin abbia fatto bene. Forse troppo. Il Re è uno. Due sono troppi. Colpo di Stato del settembre 2006. Shi-nawatra è interdetto dalla politica.

Il TRT si ricostituisce mutatis mu-tandis come People’s Power Par-ty, guidato dalla longa manus di Shinawatra. E vince nuovamente nel dicembre 2007. troppo inetto il governo instaurato sotto l’egida dei militari. Per spiegare, in due parole, senza indugiare sulla strut-tura sociale thailandese, bisogna considerare che la stratificazione sociale è fissa e immutabile, non a livello di casta, ma non troppo di-verso. Le classi povere sono state con Shinawatra, quelle di ceto me-dio ed agiate contro di lui. Il che si traduce, peraltro, in una distinzio-ne geografica, con Bangkok contro di lui e il resto del Paese a lui fa-vorevole. Il nuovo Primo Ministro è Samak Sundaravej. La piattafor-ma politica è identica a quella di Shinawatra. Di nuovo il responso democratico non è accettato e le forze che prima si erano mobilite contro Thaksin si ribellano contro quello che si reputa il suo portavo-ce. Primo blocco degli aeroporti. Gli scali di Phuket, Krabi e Hat Yai sono bloccati per 2 giorni, ad agosto. E primi scontri. Continua a pagina 2

Lucatello sulla crisi del nord-estCarzedda e l’Indipendentismo Sardo

Faleschini sul decreto anticrisiLa Carlot e i governi rosa del mondo

Marchesano e i casinò

Scarciglia in Lombardia

Assid vista da Di BattistaPlazzotta e il Workshop a Gorizia

Yata e Politica estera americana della PajerL’università e i computer della Vismara

Birra e cinema con GallioToè in Fuga da TwilightNessuna Verità di Gallio

Jazz sounds a GoriziaI polli degli anni ‘80 della De Domenico

Toè ci scrive di Musica

Battiston Uomo al BuioLa Cuccato sull’eleganza del Riccio

Il primo racconto breve di RipaniDa Ros con Il Bottone di Puškin

La Favaretto in un Norvegian Wood

In attesa

Le contraddizioni che si possono notare

in Thailandia sono gravi

Cari instancabili lettori,più passa il tempo per me in que-sto Polo, più mi sembra di capirlo: una bottiglia di vetro con dentro una nave, bambini adulti che da questi ultimi vogliono prendere da subito la strafottenza, il prestigio, la meschinità, ma molte volte la maturità, la voglia di fare, il ragio-namento etico e responsabile. Mi sembra di capire un po’ il mondo, se proporzionato ad una scala più vasta. Allora questo giornale di-venta sempre più quello che nel mondo è la cultura: è uno spazio libero, innanzitutto. Ciò che il co-munismo ancora cerca attraverso l’abolizione della proprietà priva-ta, probabilmente le parole ed il pensiero l’hanno già ottenuto. Ep-pure mi compiaccio di come la co-munità studentesca del nostro Polo sia interessante ed interessata, no-nostante il virus molto presente di quello che io chiamo “attendismo” (tutto mi deve essere servito davan-ti, altrimenti mi lamento: “perché a Gorizia non c’è proprio nulla…”). Mi stupisco sempre di più che tutta la barca in fin dei conti naviga, e naviga più che bene, grazie a noi studenti, naviga grazie al giornale, grazie alle Associazioni; naviga

Continua a pagina 5

Cosa vi aspettate per il prossimo anno? Non pensate in piccolo, non pensate alle prime settimane, non disperatevi già ora per i prossimi esami. Pensate alle notizie che leg-gerete, che ascolterete. Cosa real-mente vorreste vedere nel mondo? E invece cosa è più probabile che accada? Non temete, non rivelerò qui tutte le trame del 2009, quelli sono ar-ticoli ancora da scrivere. Piuttosto tenterei di vedere cosa potrebbe accadere il prossimo anno, visti i principali eventi degli ultimi mesi del 2008. L’Europa, lo scenario internazio-nale a noi più vicino, è stata scossa pesantemente dagli scandali, ricor-derete Société Générale, e dall’ul-tima crisi finanziaria. Questa non è piombata dal cielo improvvisa-mente, ma mostra le prime e più superficiali radici nell’estate 2007 con la crisi dei mutui subprime. Risultato: crescita economica vi-cina allo zero per la maggior par-te dei paesi europei, o comunque previsioni di crescita aggiornate in negativo. Nel processo integra-tivo europeo invece pesa il parere negativo del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, e nel Con-siglio Europeo dell’11 dicembre “sarebbe utile che il consiglio di giovedì stabilisse una road map – per il 2009 – per l’approvazione del Trattato da parte dell’Irlanda” scrive La Stampa citando il mini-stro Frattini, “dicembre sarà, sotto certi aspetti, un punto di non ritor-no per il futuro dell’Unione euro-pea”.Dall’altra parte dell’oceano in-vece gli Stati Uniti piangono e festeggiano allo stesso tempo. La crisi che è arrivata poi anche nei nostri mercati azionari è scoppiata proprio qui. Allo stesso tempo il Presidente Eletto, Mr. Obama, è il motivo di tanta speranza per il 2009. Oltre ad essere un simbolo vivente, in quanto primo presiden-te afro-americano, la sua ammi-nistrazione è chiamata a risolvere i numerosi problemi che gli Stati Uniti stanno affrontando. La crisi finanziaria ha trascinato nell’area negativa tutta l’economia e Wa-shington è costretta a rispondere con aiuti di stato da miliardi di dollari, per sostenere, contraria-mente a ogni principio economico, imprese e aziende imprudenti o semplicemente sorprese dalla crisi dei consumi.

Anche questo continua a pagina 2

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26 novembre migliaia di manifestanti occu-pano gli aeroporti di Suwarnabhumi e Don Muang. Gli aeroporti resteranno bloccati sino al 3 dicembre. Un suicidio. Distrutta la maggiore industria del Paese, il turismo. Fuga degli investitori. Riduzione stimata della crescita del PIL del 2% in maniera ot-timistica. Perdita di 500.000 posti di lavoro nel settore turistico come minimo. Credibi-lità internazionale distrutta. Il PAD ha vinto una partita non ancora finita. Somchai, in un’altra pronuncia della Corte Costituziona-le è stato costretto alle dimissioni per brogli elettorali presunti. Il partito sciolto. Si è già ricostituito con un altro nome. La partita continua. Thaksin potrebbe tornare nel Pa-ese a Natale. Il re ha ottantun anni e la sua salute è discussa. Il monsone durerà lunghi anni in questo Paese.

Davide [email protected]

Davide Ambrosio è studente SID in stage presso l’Ambasciata Italiana a Bangkok.

Sconfinare Dicembre 20082Mondo

CONTINUA DALLA PRIMA

I due ReI motivi della crisi politica thailandeseLa soluzione la risolve la Corte Costitu-

zionale, il 9 settembre, affer-mando che Samak non è più compatibile con la carica di Primo Ministro in quanto ha accettato un compenso per una apparizione in una tra-smissione culinaria in tele-visione. Faccio i miei com-plimenti alla solerzia della Corte Suprema, evitando accuratamente di dire che la parte verso cui pendono è piuttosto evidente. Il PPP ha ancora la maggioranza, e sale al governo Somchai Wongsawat. Lo si presenta come uomo di dialogo. E si-curamente si presenta più pacato nei toni del suo predecessore. Ma è il genero di Thaksin. Forse non proprio la scelta migliore in una situazione di crisi. Il gruppo attorno a cui si raggruppano le istanze dei gruppi conser-vatori e anti-thaksiniani si chiama People’s Alliance for Democracy, guidato da un altro magnate delle telecomunicazioni (tanto per cambiare), Sondhi Limthongkul. La situa-zione era divenuta grave già in agosto, con

l’occupazione del Parlamento da parte del PAD, protrattasi sino a pochi giorni or sono. La piattaforma politica del PAD rimane però confusa. Segna-ta dall’essere fortemente filo monarchico e nazionalista, il PAD ha richiesto le dimis-sioni di Samak, prima, e di Somchai, poi, mentre il pia-no propositivo è stato senza dubbio carente. Certamente preoccupante è invece lo sta-

tement di Somchai secondo cui “la democrazia rappresentativa non è adatta alla Thailandia”. Le tensioni si sono rafforzate a seguito della creazione di milizie pro- e anti- governative. Gli scontri più gravi ri-salgono al 7 ottobre, quando la polizia ha tentato di evacuare il Parlamento causando due morti e 300 feriti.Ai funerali di una del-le vittime degli scontri è presente la regina, Sirikit, per molti un avvallo tacito alle po-litiche del PAD. PAD che decide di alzare i toni. E l’azione è spettacolare: tra il 25 e il

Si sa, il mondo cambia velocemente. Così velocemente che spesso si fa fatica a ri-manere al passo con le novità. Novità che troviamo in tutti i campi, dalla tecnologia all’economia, per non parlare della medi-cina. Fino ad oggi, però, la diplomazia si è mostrata un lido felice, al riparo da questo vortice. Certo, le situazioni cambiano, si passa da una guerra ad una cooperazione, e così via; ma le regole scritte e, soprattutto, non scritte, sono rimaste sempre quelle, ras-sicuranti e nobili. Ma tutto è cambiato con l’avvento di quel Genio politico assoluto che è Silvio Berlusconi. Egli ha portato qualco-sa di assimilabile ad uno tsunami non solo in Italia, ma anche nel mondo delle relazioni internazionali. Dato che però il genio è per sua natura ineffabile e incomprensibile, non riusciamo ancora a capire con precisione le nuove regole di comportamento introdotte dal nostro Primo Ministro. Consapevole di questo problema, che attanaglia soprattutto noi, studenti di Scienze Internazionali e Di-plomatiche, ho deciso di raccogliere alcune regole che potessero dare vita ad un piccolo Vademecum. Esso è necessario per rimanere al passo coi tempi, per permetterci di capire come comportarci nelle sedi più prestigio-se in cui, forse, ci potremo trovare a tenere alto il nome della Nazione. E’ chiaramente un elenco riduttivo; forse è un po’ eccessivo definire ‘lezioni’, ma speriamo che vi possa comunque essere di aiuto.1- Ricordati sempre che la gente ama esse-re rassicurata in quello in cui crede e che si aspetta di vedere. Per questa ragione, quando riceverai visite di capi di Stato o importanti personalità estere, fai di tutto per mostrare loro che tutti i luoghi comuni triti e ritriti sul tuo Paese sono veri. Ad esempio, canta TU STESSO vecchie e romantiche canzoni napoletane, presenta loro i gioca-tori della TUA squadra di calcio originari del loro stesso Paese, e portali nella TUA villa in Sardegna (sole, mare e fantasia). Potresti inoltre organizzare una cena a base di spaghetti e mozzarella di bufala, magari

invitando anche i più prestigiosi capimafia, pregandoli, naturalmente, di parlare esclusi-vamente in siciliano durante tutta la cena.2- L’italiano ha la fama del ‘latin lover’. Tieni fede a questa tradizione. Questo pun-to può essere considerato un corollario di quello precedente, ma vista la sua importan-za, è meglio esplicitarlo. Qualora ti trovassi ad avere a che fare, ad un vertice, con con-troparti di sesso femminile, comportati in modo quanto più ‘galante’ possibile, facen-do alla lei di turno dei complimenti. Conti-nua ad insistere se i tuoi apprezzamenti non smuovono la controparte, che non si corra il rischio che qualche giornalista estero dica che gli Italiani non sanno apprezzare il fa-scino femminile. L’ideale sarebbe, poi, che ti vantassi con la stampa delle tue innegabili doti da seduttore.3- Non c’è niente di meglio che creare un po’ di sano cameratismo per sviluppare un clima di lavoro sereno e proficuo. Basta che tu abbia alcune semplici attenzioni, che usi un po’ del tuo ingegno per capire quando è necessario intervenire. Ad esempio, se du-rante una discussione importante, su una guerra, una crisi finanziaria o altri argo-menti, si crea una situazione di particolare tensione e nervosismo, puoi rasserenare gli animi dei tuoi colleghi raccontando una di-vertentissima barzelletta. Oppure, e sarebbe ancora meglio, durante una foto con tutti i leader partecipanti ad un vertice potresti fare il simpatico gesto delle corna a chi si trova davanti a te. Ma basta anche che tu, al-zandoti, batta con i polpastrelli sulla testa di chi ti è seduto a fianco per avere un effetto soddisfacente.4- L’opinione pubblica è, per sua natura, diffidente nei confronti dei leader senza senso dell’umorismo. Consapevole di ciò, dimostra in ogni occasione possibile la tua verve e la tua simpatia, farcendo di battute acute ed intelligentissime ogni tuo discorso o commento. In particolare, sottolinea i di-fetti o le particolarità fisiche dei tuoi colle-ghi ai vertici; questo adempie ad una duplice

funzione: da un lato, dimostra la tua grande capacità di caricaturista, molto apprezzata dall’opinione pubblica; dall’altro, crea quel senso di familiarità molto importante per la buona riuscita del vertice (come già detto al punto 3). Un altro modo per mostrare il tuo umorismo può consistere nel fare simpatici scherzi ai tuoi colleghi stranieri; ad esem-pio, nascondersi dietro un palo della luce e sbucare improvvisamente al loro passag-gio, meglio se accompagnando il tutto con un significativo e ben modulato ‘cucù!’. In ogni caso, naturalmente, prima di fare tutto ciò assicurati che ci siano delle telecame-re presenti: sarebbe un vero peccato che si perdessero le tue perle. Se per un caso ma-laugurato qualcuno non dovesse capire una tua battuta, mostrati deciso: accusalo di non avere il minimo senso dell’umorismo. Scu-sarsi significherebbe cedere alla stupidità imperante oggigiorno.Questo è quanto. Sono poche regole, ma molto impegnative; in ogni caso, sono un insostituibile guida da seguire passo passo verso una soddisfacente carriera diplomati-ca all’ultima moda. Buona fortuna!

Giovanni [email protected]

Piccole lezioni di diplomazia nell’era berlusconiana

periodico regolarmente registrato presso il Tri-bunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di

registrazione 4/06.Editore e Propietario

Assid“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.

RedazioneAndrea Bonetti, Marco Brandolin, Attilio Di Battista, Fabio Raffin, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Giovan-ni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Valeria Carlot, Francesco Scatigna, Mar-gherita Gianessi, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Nicola Comelli, Gabriella De Domenico, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi, Antoni-no Ferrara, Athena Tomasini, Diego Pinna, Michela Francescutto, Francesco Gallio, Alessandro Battiston, Massimiliano Andre-etta, Nicola Battistella, Dimitri Brandolin, Isabella Ius, Davide Lessi, Andrea Lucchet-ta, Margherita Vismara, Francesco Marche-sano, Mattia Mazza, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Federica Salvo, Bojan Starec, Rodolfo Toè, Francesco Plaz-zotta, Giovanni Armenio, Giulia Riedo.

Si ringraziano per la collaborazione:Davide Ambrosio, Emiliano Quercioli, Mat-teo Carzedda, prof. Vittorio Porcasi, prof. Diego Abenante

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Sconfinare

Samak Sundaravej

Nello scenario più instabile di sempre, il Medio Oriente, sono ancora molti i conten-ziosi e le crisi in corso. La guerra in Afgha-nistan è ancora lontana da una conclusio-ne e nonostante gli sforzi della Coalizione Internazionale le milizie talebane hanno conquistato il controllo di numerose aree. Nell’altra guerra ancora in corso, in Iraq, il governo inglese ha annunciato il ritiro delle sue truppe dall’area nel marzo 2009, mentre le truppe americane dovranno atten-dere almeno il 2010. Tra i due paesi, l’Iran è tornato al centro dell’attenzione mondia-le con il suo programma nucleare civile e nel 2008 l’amministrazione Bush sembrava veramente vicina a dichiarare guerra an-che alla Repubblica Islamica. Nonostante i tentativi di discredito degli Stati Uniti e di Israele, Teheran continua ad operare sotto il controllo dell’AIEA, rimanendo dichiarata-mente in ambito civile. Più a est, i recenti at-tacchi terroristici in India hanno trascinato il Pakistan in una nuova profonda crisi. Si sta diffondendo l’idea che la guerra al terrori-smo in Afghanistan e gli sforzi americani in Iraq richiedano la caccia alle organizzazioni terroristiche presenti e operative nel terri-torio pakistano. Ritornando ad affacciarci nel Mediterraneo, rimane ancora molto tesa la situazione in Palestina e nella Striscia di Gaza, e la questione dei Curdi in Turchia, mentre appare probabile che nel 2009 si concluderà il contenzioso tra Atene e Anka-ra per Cipro.“But 2009 will bring disappointment. It will become evident that it will take more than a new American president to breathe new life into multilateral diplomacy and internatio-nal institutions.” Gideon Rachman: chief foreign-affairs columnist, Financial Times.

Diego [email protected]

In attesaANCHE QUESTO CONTINUA DALLA PRIMA

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SconfinareDicembre 2008 3Mondo

Intervista al professor Diego Abenante, do-cente di storia e istituzioni dei Paesi Afro-asiatici. E’ possibile scaricare l’audio completo dell’intervista sul sito www.sconfinare.net.1- Professor Abenante, quale pensa saranno le modifiche agli assetti politici indiani in seguito a questi attentati? Pen-sa che ne risulterà avvantaggiato il parti-to nazionalista indù, il Bjp? E quali sono le basi del fondamentalismo indù?E’ difficile fare previsioni, di ogni tipo; bi-sogna essere cauti. Dobbiamo vedere cosa succederà nei prossimi giorni. Però è vero che gli attentati hanno già messo in diffi-coltà la coalizione guidata dal partito del Congresso; infatti si è già visto che il Bjp, il principale partito di opposizione, prima ancora che fosse appurata l’identità degli attentatori, ha criticato aspramente l’ineffi-cienza delle politiche di sicurezza del Con-gresso. E’ possibile che questo possa ave-re delle ripercussioni sul piano elettorale. Però, bisogna considerare una cosa: è vero che la coalizione nazionale è l’obiettivo del-

le critiche, ma non dobbiamo dimenticare che l’India è una federazione, quindi spesso la responsabilità cade in egual misura anche sui governi locali. Ovviamente, adesso il governo del Maharashtra è nel mezzo di una bufera… In secondo luogo, da un certo pun-to di vista la coalizione è ‘fortunata’, perché le elezioni nazionali saranno nel 2009; quin-di, da qui ad allora c’è tempo per recuperare un po’ di consenso. Già ora ci sono segnali da questo punto di vista: il governo ha gesti-to abbastanza bene le fasi dell’emergenza, ed ha anche arrestato un attentatore, da cui pare stia ricevendo molte informazioni. Per quanto riguarda la seconda domanda, essa ci porta lontano; il Bjp non è che l’ultima forma che ha assunto la corrente politico-religiosa del nazionalismo indù. Essa pren-de le sue mosse già nel XIX secolo, da certi movimenti di riforma dell’induismo che si rifanno ad una base cristiana, razionalista e critica delle superstizioni. L’interpreta-zione politica di queste teorie si avrà nel ‘900, quando i nascenti movimenti politici collegheranno questo induismo riformato alla nazione: essere indiani vorrà dire essere indù. Avremo quindi vari partiti nazionali-sti, dei quali il Bjp è l’ultimo. Questo nazio-nalismo si distingue dagli altri nazionalismi “classici”, perché è una qualità che si può

acquisire: tutti possono diventare indiani, se accettano la religione e la cultura indù. Il concetto principale, insomma, è quello di ‘indianità’. Infatti, il Bjp ha una politica for-temente antimusulmana, e non riconosce i musulmani – e nemmeno le altre comunità religiose - come veri indiani.2- Quanto è fondato il timore di una seria battuta d’arresto nel processo di pace India- Pakistan?Anche qui è difficile fare precisioni. Si vedrà abbastanza presto se la situazione è seria op-pure no, perché la politica nel subcontinente segue schemi piuttosto consueti. Secondo me, in ogni caso, nessuno dei due governi ha interesse ad interrompere il dialogo. Il go-verno indiano ha anzi un interesse opposto, sostenere il governo civile pakistano, che è ancora debole, essendosi insediato da pochi mesi; un conflitto ora lo destabilizzerebbe, e lo porterebbe a delle derive preoccupanti, con un nuovo governo militare o, nel peg-giore scenario, anche se piuttosto improba-bile, uno sviluppo islamista. Da un confron-to militare India- Pakistan prendono sempre

forza i gruppi nazio-nalisti. E’ vero però che il governo deve rassicurare l’opinione pubblica; queste trac-ce che riconducono al Pakistan devono es-sere analizzate, anche assicurandosi un forte appoggio da parte del Pakistan nella lotta al terrorismo, altrimenti si rischia di favorire il Bjp. Da parte paki-stana, il governo ha ben altri problemi: è un governo civile giovane, che sta cer-cando di agganciare rapporti con l’esercito e le altre forze al po-tere precedentemente. Per questo io tendo ad

escludere un coinvolgimento diretto del Pa-kistan. 3- Cosa significava la presenza dei tecnici israeliani, al servizio del governo indiano, colpiti dai terroristi?Francamente, credo che questo punto debba essere verificato. Può essere benissimo che si trattasse di tecnici israeliani. La vicinanza tra India ed Israele non è una novità; quel-lo che mi colpisce non è tanto la presenza di quei tecnici, quanto la volontà dei terro-risti di colpire principalmente gli israeliani. Questo mi rafforza nella convinzione che questi attentati avessero una matrice ester-na al subcontinente, perchè in India non c’è una tradizione di violenza politica diretta specificatamente verso gli ebrei. La matri-ce degli attentati è sicuramente situata al di fuori, almeno nella regia; gli esecutori sono sicuramente locali, anche perché degli Arabi avrebbero destato attenzione. Il tipo di vio-lenza si ricollega anch’esso ad una matrice esterna all’India, di tipo islamista; è probabi-le che ci sia un coinvolgimento di Al Qaeda. Per la storia del subcontinente sono nuovi questi attacchi indiscriminati ad alberghi e luoghi civili; normalmente la violenza re-ligiosa e politica nel subcontinente colpiva leader politici, non nel mucchio, oppure, più recentemente, soprattutto in Pakistan, luoghi

di culto, lì in maniera indiscriminata, ma era sempre una violenza tradizionale.4- Considera quest’attacco come l’ultimo e il più eclatante di una lunga serie, con gli stessi obiettivi di sempre, o come il primo di una nuova generazione con nuove finalità e nuove modalità?Purtroppo, adesso propendo più per la se-conda ipotesi: questo attentato dimostra che il terrorismo si è insediato nel subcontinen-te; la zona tra Afghanistan e Bangladesh è diventata una zona critica per il terrorismo, soprattutto islamista. Sarebbe interessante approfondire i motivi per cui questo è av-venuto, e ci sono sicuramente delle respon-sabilità del’Occidente, ma anche ragioni legate alla storia dell’area. Si sta imponen-do questo modello globalizzato di violenza terroristica, che è diversa da quella tradizio-nale. Non voglio parlar bene della violenza tradizionale, nel senso che colpire luoghi di culto in maniera indiscriminata è bestiale, ma era un tipo di violenza più legato alla re-ligione. Poi si è passati gradualmente ad una violenza più allargata, ma sempre artigiana-le; ora, totalmente nuovi al subcontinente sono questi attentati, come quello del Marri-ott ad Islamabad, che secondo me è dovuto alla stessa mano di quello di Mumbai. Se-condo me, purtroppo, dobbiamo aspettarci un nuovo stile della violenza nell’Asia me-ridionale.Per certi aspetti, si potrebbe dire, con Ahmed Rashid, che con questi attentati l’India sia entrata, simbolicamente, nella modernità?E’ brutto a dirsi; si può anche non essere del tutto d’accordo, nel senso che l’India è entrata da un pezzo nella modernità; però, dal punto di vista della violenza, forse sì, nel senso che da una violenza ‘tradizionale’ che

Mumbai: il nuovo terrorismo globalesi nutre di obiettivi specifici e di un linguag-gio simbolico con valenza locale si è passati ad una violenza globalizzata. Non va dimen-ticata poi un’altra dimensione: questo atten-tato mette in forse i rapporti tra la comunità musulmana indiana e le istituzioni. La co-munità musulmana in India è solitamente molto svantaggiata, soffre di condizioni di vita di notevole difficoltà; il fatto che in più venga vista dal resto della popolazione come filo-terrorista mette in difficoltà la coesione della democrazia indiana. Bisogna trovare dei modi per rassicurare la stessa comunità musulmana indiana, non dimenticando che molte vittime sono musulmane.5- Mumbai è la Porta e la capitale finanziaria dell’India. Quanto ha contato questa simbologia nella scelta degli atten-tatori?Questo è un aspetto molto interessante, che è stato colpevolmente trascurato nelle analisi dei media. Bombay ha un significato simbo-lico molto forte, perché è aperto storicamen-te a molte influenze; anche prima dell’arrivo dei britannici era un luogo di scambi e di interazioni culturali; era uno dei luoghi del-la tolleranza. Da questo punto di vista, non mi stupirei se il luogo fosse stato scelto dai terroristi anche per colpire il simbolo della tolleranza. Inoltre, c’è un’altra cosa da dire, a cui forse nessuno ha fatto caso: pare che la nave che portava i terroristi abbia fatto sca-lo a Port Bandar, nel Gujarat. Port Bandar è la città natale di Ghandi. Che essi abbiano fatto scalo proprio lì può avere una valenza casuale, ma si tratta comunque di una triste coincidenza.

Giovanni Collot e Francesco [email protected]

[email protected]

Ogni giorno giungono notizie di sparatorie ed efferati fatti di sangue, la cifra degli omi-cidi ha raggiunto la spaventosa cifra di 4000 nell’ultimo anno. Queste sono le spaventose cifre dell’ondata di violenza scatenata dai narcotrafficanti in Messico. Il ritrovamento di nove teste mozzate alla periferia di Tijua-na, regno incontrastato dei criminali, e solo uno degli ultimi efferati atti delle sempre più sanguinarie bande criminali. Lo scon-tro ormai non guarda in faccia più nessuno, coinvolgendo oltre ai membri delle forze dell’ordine anche civili, donne e bambini, che sempre più spesso vengono trovati mor-ti dopo aver subito torture e mutilazioni. Ed è proprio questa la piega più spaventosa che sta prendendo la guerra tra narcos e governo, sempre più spesso i corpi vengono ritrovati con sopra i segni di brutali torture, pestaggi ed orrende mutilazioni come la decapitazio-ne, praticata sempre più spesso per uccidere gli agenti di polizia. L’ultimo gradino per-corso in questa discesa all’inferno è la diffu-sione su internet dei filmati delle uccisioni, con sottofondo musicale inneggiante ai vari “cartelli” della droga prendendo a model-lo i video del conflitto iracheno. Il sempre maggior grado di instabilità in Messico sta costringendo ad intervenire anche i paesi che sono il terminale del traffico di cocaina, gli Usa in primis, ma anche l’Italia. Un’ope-razione condotta dai Carabinieri del Ros ha portato all’arresto di 200 persone lo scorso

17 settembre ed ha svelato la sempre mag-gior connessione tra ‘Ndrangheta calabrese, cartelli messicani e produttori di cocaina colombiani. L’indagine, che ha coinvolto anche FBI e DEA, ha svelato proprio i traf-fici che intercorrono lungo l’asse Colombia-Messico-Usa-Italia, con il coinvolgimen-to di Farc e paramilitari colombiani nella produzione di droga, i famigerati Los Zetas messicani incaricati dello stoccaggio della cocaina ed infine l’invio dagli Usa verso i mercati italiani ed europei. L’operazione ha portato all’arresto di numerosi latitanti, sia italiani che messicani, ed ha consentito il sequestro di 16 tonnellate di cocaina e di 57 milioni di dollari oltre ad evidenziare la sempre maggior importanza del Messico nel traffico di droga. Anche gli Stati Uniti han-no deciso di intervenire sempre più massic-ciamente nella lotta alle bande messicane, che hanno iniziato a compiere regolamenti di conti anche al di là del confine ed in cui esportano quantità enormi di cocaina e ri-ciclano il denaro. L’avvio dell’operazione “Merida”, uno stanziamento di 400 milioni di dollari di aiuti, iniziata con una cerimo-nia a Città del Messico è un segnale della volontà americana di intervenire sempre più massicciamente nella lotta ai narcotraffican-ti messicani.

Emiliano [email protected]

Macelleria messicana Messico, sull’orlo della guerra civile

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Sconfinare Dicembre 20084Politica Nazionale

È necessario danneggiare l’ambiente per ristabilire la fiducia?

Luci e ombre del decreto anticrisi

In mezzo al Mediterraneo sorge, fiero ed or-goglioso, quello scoglio chiamato Sardegna. È evidente la somiglianza tra questa terra e i suoi colori, i suoi sapori, i suoi profumi, i suoi abitanti e la loro lingua. La storia della Sardegna,purtroppo poco nota, è complessa ed affascinante, si mischia con la cultura pa-gana, quella cattolica, le tradizioni della vita agropastorale. In tanti, forse troppi, sono passati per questa terra, con gli abiti dei conquistatori. Dalla dominazione romana alla monarchia sabauda, senza dimenticare la Corona spagnola, eserciti potenti, orga-nizzati ed armati si sono alternati nei secoli, contribuendo senza dubbio a creare l’unici-tà della cultura sarda ma reprimendo con la forza ogni tentativo dissenziente. Nel corso dei secoli, l’orgoglio dei sardi si è espresso con l’indipendentismo, forme di lotta più o meno violente contro l’oppressore straniero. Ogni secolo ha avuto i suoi “eroi indipen-dentisti”: Amsicora che combatté contro i romani nella prima guerra punica, Bernardi-no Puliga, il punitore dei mori nel 1581, o il giudice Angioy capo del movimento antifeu-dale sono solo tre esempi. Il movimento non si è mai fermato, anzi, nell’ultimo mezzo se-colo è sembrato rifiorire più che mai, eccita-to da simili esperienze in giro per il mondo nonché dalle possibilità attuali di diffondere idee e notizie ampiamente e con facilità. Le principali motivazioni della lotta indipen-dentista attuale si rifanno al retaggio storico e culturale sardo, notevolmente diverso da quello del resto d’Italia, ma mai valorizzato o almeno protetto adeguatamente da autori-tà centrali (“La caratteristica specifica della oppressione vissuta dal nostro popolo sta nella negazione della esistenza del diritto alla “diversità” che presuppone l’essere Sardi nello stato italiano” – Statuto del par-tito indipendentista Sardigna Natzione Indi-pendentzia), come al tempo della Riforma Manzoni, con l’imposizione di una lingua e di una cultura estranee all’isola. Al giorno d’oggi, inoltre, per taluni la cultura locale è diventata un fenomeno di colore folkloristi-co, per divertire i turisti piuttosto che per ri-petere rituali ancestrali che si perdono nella notte della civiltà: ad esempio, le maschere tradizionali del carnevale della Barbagia, i Mamuthones, vestiti con un abito di pelle di pecora e lana grezza e un’armatura di cir-ca 20 kg di campanacci, è “costretta” dalle Pro Loco a sfilare per la gioia dei turisti a ferragosto, snaturandosi dal suo significato reale (il carnevale sardo, che va dalla festa

Il 28 Novembre è stato varato il decreto leg-ge n. 185/2008, meglio noto come “decreto anticrisi”, che ha acceso una vivace discus-sione all'interno del Parlamento. Le misure adottate muovono circa 80 miliardi di € nel corso dei prossimi 2-3 anni, con l'obiettivo immediato di ristabilire la fiducia, come ha detto il ministro Tremonti.Il ddl è composto di 36 articoli, divisi in 5 titoli, e le misure più importanti sono quel-le a sostegno delle famiglie più bisognose – bonus da 200€ a 1000€, compensazione per l'acquisto di gas naturale – e in genera-le a tutti i cittadini (ammortizzatori socia-li dotati di 1,2 mld circa di € in più per il triennio 2009-2011), oltre ad altre misure di varia natura (tra cui sostegno alle Ferrovie, misura per contrastare la fuga di cervelli e di sostegno ai precari). Il punto su cui però il dibattito è stato più intenso è la pesante riduzione delle risorse disponibili per gli sgravi fiscali a sostegno dell'efficienza energetica, che in pratica per-mettono a chi vuole migliorare l'efficienza energetica della propria abitazione di pagare solamente il 45% del costo degli interventi necessari. Con la modifica introdotta all'ar-ticolo 29, infatti, il limite di spesa per questi interventi è “pari a 82,7 milioni di euro per l'anno 2009, a 185,9 milioni di euro per l'an-no 2010, e 314,8 milioni di euro per l'anno 2011” (art. 29 comma 7). Per rendere l'idea di quanto sia ridicolmente bassa questa ci-fra, basti sapere che nel solo 2007 ci sono state richieste di sgravi fiscali per 825 mi-lioni di €.Inoltre, il procedimento per accedere a questi già scarsi fondi si è complicato, prevedendo l'invio di una “apposita istanza per consen-tire il monitoraggio della spesa e la verifica del rispetto dei limiti di spesa complessivi” di cui sopra: vale la regola del “silenzio dis-senso”, cioè, se non si riceve entro 30 giorni la risposta dall'Agenzia delle Entrate, il con-tributo si intende non concesso.Inizialmente il ddl rendeva questa norma addirittura retroattiva a partire dal 31 dicem-bre 2007 (riferito alle opere in corso a quel-la data): in pratica tutti coloro che avevano ottenuto degli sgravi fiscali da quella data in poi non ne avrebbero più beneficiato. Tut-tavia, il 3 Dicembre '08 il governo ha fatto marcia indietro eliminando la retroattività, quindi chi ha già ottenuto gli sgravi fiscali nel corso del 2008 dovrebbe stare tranquillo (il condizionale è d'obbligo!).Evidentemente il disaccordo è forte anche all'interno della maggioranza, se Tremonti ha subito ventilato l'ipotesi di porre la fi-ducia sul decreto. E per restare nell'ambito regionale, la Lega Nord del Friuli Venezia-Giulia ha duramente condannato questi ta-gli. La motivazione ufficiale di questi tagli sa-

rebbe evitare che i crediti d'imposta ven-gano “usati come dei bancomat”, cioè per finanziare spese per le quali non c'è la co-pertura necessaria da parte dei privati. Pro-posito ovviamente condivisibile, che però non può certo giustificare le dimensioni di questo taglio che di fatto blocca la diffusio-ne degli interventi di risparmio energetico e dà anche un durissimo colpo alla giovane e attiva industria delle energie rinnovabili, una delle poche in buona salute anche in questo periodo di crisi.Nel frattempo, in Europa e negli USA, si è ormai affermata una strategia di uscita dalla crisi economica che non solo non danneggi l'ambiente, ma anzi faccia dell'industria del-le energie rinnovabili e del risparmio energe-tico due pilastri fondamentali per rilanciare l'economia. Su questo tema, che giustamen-te ha inserito fra le priorità del suo mandato, Obama è atteso al varco (il primo è la firma all'accordo di Kyoto). In Europa, invece, già da tempo ci sono paesi che investono nelle energie rinnovabili e che ne stanno traendo i benefici. Tanto per evitare di essere accusato di faziosità politica, faccio notare che è stato proprio il conservatore Sarkozy a difendere a spada tratta il pacchetto europeo contro il cambiamento climatico. Ma si deve andare al di là dei benefici pu-ramente economici ricavabili sul medio e lungo periodo dallo sviluppo delle energie rinnovabili. Non si tratta solamente di freddi calcoli economici, non è una questione né di destra né di sinistra: la difesa dell'ambien-te è una questione che tocca tutti, indistin-tamente, non perché tutti debbano amarla, ma semplicemente perché le conseguenze peseranno sulle spalle di tutti noi. Anzi, non peseranno sulle spalle di chi ora ha 60 o 70 anni e sta al governo o all'opposizione, ma soprattutto su quelle di noi giovani.Vorrei abbandonarmi a un elogio lirico sull'amore per la Natura, ma so che non avrebbe molta presa (e non ne sarei capa-ce!). Quindi preferisco tenere una linea “leggermente” più brusca: non possiamo permetterci di attendere troppo, è già tardi per evitare danni ma non è troppo tardi per evitare il peggio. Questa crisi è l'occasione di staccarci da un modello di sviluppo di-storto che considera i danni ambientali una variabile quasi irrilevante: spero che si com-prenda la mostruosità di questo errore senza doverlo provarlo sulla nostra pelle e senza che il nostro futuro venga compromesso. Abbiamo il diritto di non pagare le colpe al-trui: rendiamocene conto e cominciamo noi stessi a cambiare le cose.

Federico [email protected]

Happ’olatu kin sos astoresSpunti di indipendentismo sardo e l’Italia

di sant’Antonio al mercoledì delle ceneri, coincideva con l’unico periodo dell’anno in cui i pastori stavano in pae-se, e le maschere grottesche e bestiali servivano ad esor-cizzare una trasformazione dell’uomo in bestia durante i lunghi periodi d’isolamento in alpeggio). Ma il peggior affronto per gli indipenden-tisti sardi si chiama “servitù militare”. Ampi terreni strap-pati ai contadini per creare poligoni di tiro in cui testare proiettili convenzionali e non (cercate l’episodio di Prato-bello), esercitazioni militari internazionali, basi america-ne (fino al 2006 il 60% del-

le servitù americane in Italia si trovavano nell’isola, con missili, basi e sottomarini nucleari, tratti di mare enormi chiusi al tran-sito). I principali partiti indipendentisti al giorno d’oggi sono il Partito Sardo d’Azio-ne (PSd’Az), fondato da Emilio Lussu, pro-gressista e federalista, Sardigna Natzione Indipendentzia (SNI), da inquadrare nella grande sinistra europea, e Indipendentzia Repubrica de Sardigna (IRS), nato di recen-te da una costola di SNI e su posizioni più aperte e meno radicali; accanto vi troviamo numerosi movimenti ideologici, tra cui il più famoso è a Manca pro s’Indipendentzia (aMpI – a Sinistra per l’Indipendenza), mo-vimento indipendentista comunista; i gruppi più violenti (Organizzazione Indipenden-tista Rivoluzionaria e Nuclei Proletari per il Comunismo) agiscono ormai raramente e nell’ombra, e spesso la legge colpisce per-sone ad essi estranee solo perché professano con coraggio idee che potrebbero risultare scomode (nel 2006, 44 indagati, 54 perqui-sizioni e 11 arrestati, rilasciati dopo 6 mesi perché le prove non si sono rivelate suffi-cienti), e accusando l’aMpI di fare loro da scudo. Il sentimento di dominazione esterna è vivo anche nel settore turistico: le enormi cifre di denaro che circolano in Sardegna sono divise tra vari imprenditori (Moratti, Rovelli, l’Aga Khan, Briatore, Berlusco-ni…) che concedono ai locali di fare da la-vapiatti. In conclusione ricordo la sentenza della Corte Costituzionale 365/2007, che ha dichiarato l’incostituzionalità del termine “sovranità” nello Statuto regionale (“Statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo”), senza censurare “popolo sardo”, espressio-ne usata già dal 1948 e unica negli statuti regionali italiani; in merito alla sentenza, l’aMpI ha ribadito che “La Sardigna è una Nazione senza Stato in quanto ha un territo-rio ben determinato, definito e riconoscibile dal fatto di essere un’isola; in quanto ha sto-ricamente sviluppato una sua propria eco-nomia autoctona fondata su una struttura di tipo agro-pastorale; in quanto abitata da un popolo inteso come comunità etnica stabile che ha avuto la capacità storica di elaborare una propria lingua, una propria cultura, co-dici di auto-regolamentazione della propria società”.

Matteo [email protected]

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Sconfinare2008 Dicembre 5Politica Nazionale

Il denaro non produce denaro. Questa la pri-ma lezione da trarre. E tra le ricette di eterna rifondazione di questo capitalismo malato, proposte proprio dai vecchi campioni del li-berismo più sfrenato, che ora si esibiscono in piroette no global; e questa crisi che sem-bra caduta sulle nostre teste come una di-sgrazia, un imprevedibile disastro naturale, senza colpevoli o cause nominabili, come sta l’economia reale? I governi di mezza Europa adottano pacchetti anti crisi, e in Italia a versare le lacrime più amare è pro-prio l’orizzonte produttivo di questo paese, la locomotiva del nord est, l’invincibile mo-dello delle piccole – medie imprese, il tessu-to di un’economia vincente. La locomotiva sferraglia oramai verso un binario morto, e il “popolo delle partite IVA” alza ineso-rabilmente bandiera bianca. Nessun setto-re merceologico può dirsi al riparo. Dalla recessione economica alla depressione il passo è breve, e i dati snocciolati da sinda-cati e gruppi confindustriali veneti sono da brivido: non siamo ancora alla depressione economica, ma poco ci manca: una ricerca prodotta da Veneto Lavoro analizza l’allar-mante situazione della regione, sicuramente faro del “modello nord – est”, e snocciola dati da brivido: la crescita dell’economia regionale porta due segni negativi, le pre-visioni sono pessime con una dinamica del pil veneto pari a - 0,1 % nel 2008 ( - 0.2 % per l’Italia) e pari a - 0,2 % nel 2009 (- 0,4 % per l’Italia). Se queste previsioni venis-sero confermate, sarebbe la prima volta che il Veneto conosce un biennio di contrazione del prodotto. Forte riduzione delle assun-

Far EastCome il casinò finanziario

blocca la locomotiva del nord est

zioni con una caduta ben superiore al 10 %, e ringraziamo gli immigrati: senza questi avremmo un welfare in crisi, un decrescita demografica inarrestabile, interi settori pro-duttivi (turismo, edilizia, meccanico) che non resisterebbero un minuto di più. Ma ben più allarmanti sono le scelte delle aziende in tema di disoccupazione e il crescente ricor-so agli ammortizzatori sociali: nei primi 8 mesi del 2008 l’incremento, sul corrispon-dente periodo dell’anno precedente, è stato del 50 % per quanto riguarda le ore di cas-sa integrazione ordinaria (che solitamente scatta per crisi temporanee) e del 42 % per quanto riguarda le ore di cassa integrazione straordinaria (prevista per ristrutturazioni strutturali e gravi crisi aziendali). E se i nu-meri percentuali non convincono, le crona-che dai luoghi di lavoro fanno rabbrividire: Aprilia, Osram, Electrolux, le chimiche di Porto Marghera… le aziende annunciano piani – shock di taglio netto (in alcuni casi dimezzamento) dei posti di lavoro, veri e propri bollettini di guerra. È una “tigre di carta” che non sa più a che aggrapparsi, che tra proclami per un non meglio precisato federalismo chiede a gran voce l’innegabile aiuto dopo aver sgobbato e tirato avanti la carretta italiana. L’aiuto di stato, sepolto dai guru del mercato negli anni ’80 – ’90, e che ora diventa un dovere, l’unica strada percor-ribile e dovuta per restare a galla. Sperem ben.

Matteo Lucatellowww.matteolucatello.it

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Qualcuno mi spieghi perché, secondo la leg-ge dei grandi numeri, le potenzialità umane dovrebbero essere equamente ripartite tra donne e uomini mentre il riscontro pratico di questa affascinante teoria è un mondo che premia l’attributo come potenza.Il vertice istituzionale di un paese, che po-tremmo (e dovremmo) usare come esempio di impiego meritocratico, non rispecchia minimamente le previsioni della scienza: dei 199 paesi di cui si compone la pangea politica delle Nazioni Unite, solo 15 hanno allungato le redini del potere a candidate donna. Possibile che l’universo femminile sprofondi in lacune tanto scabrose di inet-titudine governativa? (Attenzione, chiunque abbia sentito la sonora eco di un “si” nella testa è pregato di non sottoporre il proprio muscolo cerebrale ad ulteriori sforzi ginni-ci, l’effetto potrebbe essere letale). Attual-mente, i suddetti incarichi istituzionali si dividono in 8 Presidenze (Argentina, Cile, Finlandia, India, Irlanda, Liberia, Filippine e San Marino) e 7 Primi Ministri (Germa-nia, Haiti, Moldavia, Mozambico, Antille olandesi, Ucraina e Isole Aland). Gli unici due paesi che non hanno mai ceduto alla tentazione di concedere una partecipazione governativa alla propria fetta di popolazio-ne femminile sono il Principato di Monaco e l’Arabia Saudita. Ha corso il medesimo rischio (ma si è salvato in extremis) il Vati-cano, che annovera tra i propri collaboratori di governo un’Assistente Vice-Ministro in gonnella. Dal canto suo, l’attuale governo italiano ha posizionato sulla scacchiera mi-nisteriale quattro regine: Meloni alle politi-

che giovanili, Prestigiacomo all’ambiente, Gelmini all’istruzione e Carfagna alle pari opportunità (il climax è volutamente discen-dente). Quello che resta da chiarire è se e, di conseguenza, chi prepara loro gli itinerari tra le altre pedine ed, eventualmente, cosa succederà a queste fragili figure regali nel momento in cui, per inevitabile decorso naturale, il re andrà in scacco. Nella clas-sifica delle World’s powerful women, re-datta annualmente dalla testata Forbes per individuare le 100 donne più influenti del globo, l’unica italiana ad essere citata è Ma-rina Berlusconi con un 34° posto. Ancora

più degradante, però, è il 52° posto (a pari merito con la Cina) nella classifica mondia-le per la rappresentanza femminile in Parla-mento, che vede primeggiare il Rwanda con una percentuale del 56,30% di donne alla Camera e del 34,60% al Senato. Le percen-tuali dell’Italia, che tra le due nazioni molti presumono essere la più progredita demo-cratica e civilizzata, sono del 21,30% per la Camera e del 18,00% per il Senato (per chi volesse approfondire, segnalo il sito www.ipu.org/wmn-e/arc/classif311008.htm).Dunque, riassumendo: noi ci consideriamo la linea d’assalto nella lotta per il raggiun-gimento delle pari opportunità (e la Carfa-gna è la nostra bandiera), loro sono quelli che eleggono anche le donne. Non fa una piega. Soprattutto se pensiamo che l’arma più concreta che il genio italiano ha impu-gnato ultimamente per risolvere il problema della scarsa partecipazione femminile ai giochi istituzionali è la proposta di render-ne la rappresentanza obbligatoria per legge. L’idea non è neppure innovativa, ci aveva già pensato il fascismo, che nel 1938 voleva riservare ai suoi “angeli del focolare” il 10% degli impieghi nella pubblica amministra-zione. C’è forse altra proposta che, più delle quote rosa, chiarifica il ruolo marginale e sottomesso riservato alle embrionali velleità elettorali della donna italiana? La scelta stes-sa del colore attribuito a queste fantomati-che quote è emblematico: nella proposta del 2006 si chiede che almeno un terzo dei de-putati sia di sesso differente rispetto a quello dei rimanenti due terzi ma non si fa alcun riferimento al sesso che si vuole tutelare,

perché allora il rosa?Con buona pace delle gio-vani e non che nutrono an-cora qualche speranza, sarà il caso di dire che, per l’Ita-lia, la teoria del tetto di cristallo è ancora legge; la grande casa del lavoro apre ogni sua stan-za all’operosità

femminile ma gli oneri e gli onori, assiepa-ti dietro la brillante trasparenza di un tetto di invalicabile cristallo, rimangono ancora inaccessibili. In altri paesi la teoria miete ugualmente le sue vittime ma, come il più sano dei bacilli influenzali, è riuscita a pla-smarsi per evitare gli attacchi delle nuove e più agguerrite generazioni: il tetto diventa impalpabile aria tersa ma, superandolo, le donne potranno occuparsi soltanto di pro-blemi particolarmente pruriginosi; questa volta puliranno le grondaie, insomma.

Valeria [email protected]

La monotonia delle gravidanze istituzionali

Mamma Patria non ce la fa più, 9 volte su 10 nascono maschi

L’editorialeCONTINUA DALLA PRIMA

anche senza il prestigioso riconoscimento di chi questa barca la manovra, mangiando caviale e dimenticandosi di pagare i mozzi. Non i capitani, o gli ammiragli. I mozzi.Tra pochi mesi scenderò giù dalla nave con-tento, e non mi dispiacerò di aver perso que-sta Università. Mi dispiacerò di aver perso questo quadro variopinto di persone. Allora brindiamo, che il tintinnio dei bic-chieri si senta forte, su fino al quinto piano e in torretta. Brindiamo alle conquiste che abbiamo ottenuto e che otterremo il giorno

che ci installeremo nella nuova Aula As-sociazioni, dove tutti finalmente potranno con-vivere. Se l’esperienza universitaria tralascia la mutuale conoscenza, se tralascia lo scambio di idee, se tralascia l’esistenza di uno spazio comune in cui condividere, beh… avremo perso un po’ dei nostri venti anni. E il giornale non ci sta.Felice Natale a tutti e buone vacanze,

Edoardo [email protected]

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La diplomazia del vinoGlocaleL’attuale fase di recessione coinvolge anche il mediterraneo nel suo complesso e in que-sto senso occorre dare atto che il presidente francese Sarkozy ha saputo cogliere lo spiri-to delle reciproche debolezze a fronte della concorrenza internazionale proponendo la costituzione dell’Unione Per il Mediterra-neo, facendo giustizia del fallimento tutto europeo del Processo di Barcellona. Pro-babilmente l’intuizione del Presidente fran-cese scaturisce anche dalla considerazione fatta nel 2006 dal Presidente della Tunisia Zine El Abidine Ben Alì - è nota la recipro-ca stima - che il 30% della Sua popolazione per ragioni anche finanziarie non rinuncerebbe a comprare cinese anche se l’of-ferta di prodotti europei o tunisi-ni dovesse a pa-rità di standard e qualità scendere di prezzo ( cosa peraltro impossi-bile stante l’esi-stenza del delta sui costi rappre-sentato dalla previdenza e assistenza dovu-ta ai lavoratori, dalla necessità di provvedere al rispetto del-la qualità e dell’ambiente e dei relativi stan-dards, dalla ur-genza dei prov-vedimenti a favore dei ceti più deboli della popolazione che impongono di destinare una parte importante del gettito fiscale-fi-nanziario alla solidarietà ). Ampio coraggio ha poi dimostrato il Capo del Governo spa-gnolo ospitando a Barcellona la sede della nuova UPM, assumendosi così il compito di garantire la sicurezza della delegazione israeliana che peraltro per la prima volta lavorerà di concerto con i rappresentanti della Palestina nella nuova segreteria per-manente e con la Lega Araba che unitaria-mente siederà al tavolo della concertazione. L’insistenza tedesca a prendere parte alla costruzione di un percorso mediterraneo ci dice molto, poi, della lungimiranza di quella cancelleria: Infatti la cura riposta nel reindirizzare la iniziale proposta francese , concentrata solo sui paesi rivieraschi del mediterraneo riporta indietro l’orologio del-la storia in maniera finalmente non violenta. Il tema non è come sembra fermo alla pos-sibilità di accedere a forme energetiche tra-dizionali (gas e petrolio), sappiamo che gli eredi della lega anseatica , oggi tutti mem-bri del così detto “Northern Arch”, sono tra i soggetti che più stanno investendo nelle energie alternative (dalle eoliche alle solari, alle bioenergie) e che sono gli autori del c.d. motore all’idrogeno, anche al fine di dare piena attuazione al protocollo di Kyoto. Il tema è ancora quello dei grandi imperatori e dei grandi califfi, quello che aveva spinto Caligola (tutt’altro che pazzo!) a chiedere la

mano della figlia dell’imperatore persiano, riproposto poi da Carlo Magno negli stessi termini ma verso Irene di Costantinopoli, e, quindi vissuto nelle varie crociate tutte tese non alla liberazione dei luoghi santi, piut-tosto alla formazione di quel mercato unico dove i prodotti del settore primario - freschi, freddi, secchi e trasformati - del secondario, del terziario e del quaternario potessero li-beramente circolare, sia pure in dimensione eurocentrica, come parzialmente avvenuto durante l’impero romano di Adriano degno

antenato - via Aristotele e Platone - dell’umanesimo panarabo del nono, deci-mo e undicesimo secolo di cui alle opere dei sommi Omar Kayyam, Al-Tawhi-di e Abu Nawas, fra gli altri. Ben sapeva Adriano, rifondatore di Cartagine, che la forza di Roma era il diritto che rendeva tutti i cittadini uguali dinnanzi alla legge e che la roma-nizzazione della provincia dell’Africa era principiata subito dopo la conquista e portata avanti con forza da Caio Mario al fine di assi-curare gli approvvigiona-menti alimentari e non di Roma. L’arte musiva con materiale lapideo, scom-parsa a Roma è certo an-cora florida e ben coltivata in Tunisia. Ma assicurare la fedeltà a Roma era fun-zione dell’attrazione ver-

so una comune civiltà della “dignitas” che la stessa esercitava sulle varie genti, dive-nute latine e poi cittadine e tali rimaste per almeno sette secoli. La proposta Sarkozy di (ri)creare l’arco latino non contrapposto ma complementare a quello nordico, ripercorre con l’intervento tedesco quel ventennio di

pace e libero mercato che ebbe luogo fra il 1230 e il 1250 epoca nella quale il mediter-raneo visse di libero commercio e di libero accesso ai luoghi santi in “enjoyment and conviviality” (Ali ibn Muhammad Abu Hy-yan Al Tawhidi). Ben sapendo i Governanti dell’area quanta ricchezza gli scambi reci-proci possano portare anche in termini di gettito fiscal-finanziario, anche attraverso la pratica del turismo religioso. Il punto di vista dei regnanti dell’epoca era fondato sull’os-servazione della realtà: i prodotti e i beni realizzati nelle singole regioni spesso non avevano le quantità necessarie a soddisfare il mercato domestico e il costo unitario di produzione era troppo elevato; fare sistema produttivo nell’arco di una filiera mediter-ranea invece consentiva di realizzare quelle economie scala e di settore che rendevano le varie parti interdipendenti e autosufficienti rispetto alle potenze orientali, mentre i Ca-valieri del Tempio e quelli Teutonici, svol-gevano una funzione di finanziamento anche della ricerca scientifica e tecnologica, oltre quella ospedaliera e se del caso militare: Cina e Asia Centrale prime fra tutte, come la paura di Tamerlano/Timur e dei magiari qualche secolo dopo avrebbe dimostrato. Intanto, le scuole di pensiero arabo-islami-che si sviluppavano e non vi era ramo della scienza che non convivesse nell’anima dei vari pensatori e poeti. E’ con l’avvento dei turchi (bestie selvatiche, secondo Al Tawhi-di) che l’umanesimo della Umma araba en-tra in crisi e alla convivialità subentra la tol-leranza e non sempre e “l’uomo diventa un problema per l’uomo” (leggi le proiezioni di Al Tawhidi), mentre in Europa si accendono le guerre contadine e i roghi degli eretici. La francese e aristotelica “gioia di vivere” permea di sé l’umanesimo pan arabo e get-ta le basi del libero commercio che porterà poi anche al rinascimento europeo. Oggi che la Tunisia riceve ogni anno almeno 10 milioni di turisti anche religiosi, pensiamo agli ebrei che salgono a Djerba per visita-

re la Sinagoga più antica del mondo dopo il Tempio distrutto da Tito e ai cristiani che cercano le radici di Cipriano e di Tertullia-no, ha ripreso a impiantare viti e a produr-re quei vini di antica suprema qualità. In questi termini, il viaggiatore cerca e trova amore nei giardini profumati di fragranza di gelsomino e di pepe rosa in un angolo di deserto, mentre si contano i denari tratti per la cammella venduta. Le antiche fragranze del vino incottato con foglie di amarena che fanno da controcanto al fragolino vietato e al piccolit scomparso. Un pò di magia capa-ce di fare sistema e di competere con gli aci-di vini che vengono da lontano. (Oggi Cina, ieri Cile, California, Sud Africa, Australia). Come Abu Nawas evitò la perdita della testa d’ordine del Califfo Harun al Rashid, dopo essere stato esposto ai giochi delle ragazze dell’Harem, con i vestiti imposti dal Califfo, che non aveva bevuto e non aveva passato una notte in gioia con amore etero o omo che fosse. Quando il Visir gli chiede quale reato avesse commesso Abu Nawas risponde di avere indossato le vesti donate dal Califfo e di avere clauneggiato per l’harem tornando carico di gioielli, [...] il Califfo, ridendo, lo libera riempendolo vieppiù d’oro. La diplo-mazia non è solo conferenze, ma quella fine attività informale che consente, anche col vino di cogliere la giusta mediazione atta a risolvere i conflitti, come peraltro chichibio nella grande questione della gru conferma, un paio di secoli dopo. E dopo le fatiche il “diwan” (luogo delle udienze califfali) può diventare lo spazio per un concerto d’amo-re. Certo se la secchia rapita fosse stata piena di vino si sarebbe donato un pieno sorriso alle belle Signore emiliane che ben felici avevano tenuto prigioniero un bel fine poeta e trovatore come Re Enzo di Sardegna a Bologna. I vini tunisini oggi sono il frutto di comuni investimenti francesi e siciliani, che spo-sando l’ubertoso territorio tunisino e le sue maestranze hanno dato vita a quei vini fra cui il Sirah che potrebbe essere stato servito al tavolo del G20, se gli americani dispo-nessero almeno un pò del mestiere di vivere mediterraneo.

Vincenzo Porcasi

Il Fragolino

Auguri a tutti voi dalla Redazione di Sconfinare!

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il loro colore è il verde, già. Poi, non so se questa sia una fortuna, eh. Che non ci sia Trenitalia, intendo. Non so nemmeno come sia potuto accadere, fatto sta che ci sono sta-zioni solo per la Nord, la gente dice prendia-mo le Nord – e cos’altro potrebbe fare, dato che è l’unico modo per spostarsi col treno? – e per andare a Como, in riva al lago, si deve prendere la Nord. E scusatemi se non vi sembra strano. Qui è tutto diverso. Ma a parte le ferrovie. E’ diversa anche la mes-sa – ricordi di quando ancora ci andavo, a messa. E’ il rito ambrosiano, perciò anche di Milano, ma qui, chissà perché, fa più effetto, perché la campagna cittadina dei dintorni fa tanto Don Abbondio, e pazienza se, alla fine, non era proprio qui il paesello di Renzo e Lucia, ma era più verso Lecco. Vabbè, non credo cambi di molto l’ambiente. La messa, per quel che ricordo, è strana perché è tutto uguale, o quasi; ma lo scambio della pace avviene all’inizio della cerimonia, invece che verso la fine. Un po’ come il luogo in generale, dove sembra tutto uguale, e anche un po’ noiosetto, ma in realtà poi quei due-tre elementi fuori posto scombinano le abi-tudini dei forestieri. La gente, poi. Un po’ di signori milanesi vecchio stampo, che tra-

scorrono la pensione in quella che fu cam-pagna, chissà quanto tempo fa, ed ora è tutto un susseguirsi di paesi –intervallati, ripeto, da rotonde. Quante rotonde! Ma non solo vecchi milanesi. Tanti ragazzi, con l’accento un po’ cerchiato, se così si può dire –è molto difficile descrivere un dialetto, non ci avete mai provato? E a casa, quando tornano, han-no le nonne che parlano in un altro modo. Sì, in un altro modo, che spesso è il calabre-se. Ho visto meno calabresi in Calabria, in effetti. Qui ci sono interi paesi composti da calabresi e limitrofi. Eppure, è la patria del-la Lega Nord. Bah, misteri d’Italia. Eppu-re vorrei capirlo. Qui le strisce sono verdi. Davvero, sono verdi. Un verde sgargiante tra l’altro, quando non è consunto, che col-pisce l’occhio e accende il paesaggio. Non potrei mai guidare qui, andrei fuori strada ad ogni striscia pedonale. E i cartelli. I car-telli con i nomi dei luoghi, sono spettacolari. E’ vero, non è una prerogativa lùmbard, ma qui l’arte della ricerca delle radici popolar-dialettali raggiunge livelli inavvicinabili da alcun altro luogo. C’è un paese…Dico sul serio, eh. C’è un paese che, fondato da poco, non ha un nome in dialetto. E ce lo hanno messo lo stesso. ‘A metà tra berghèm

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Il casinò mi ripugna(ma non ci sono mai entrato)*

Io non so esattamente quanto spazio occupi la provincia di Varese, o come la chiamano in quelle zone, il Varesotto. Non so nemme-no se i luoghi che frequento da vent’anni siano o meno lì, piuttosto che sotto Monza o Milano o Como o che altro. Il fatto è questo: troppi paesi, lì. Ma andiamo con ordine. E’ un posto strano, dove tutto, o quasi, è ugua-le. Dove tutto, o quasi, è iper-concentrato. Credo sia l’ideale, per un vignettista. Campi e campi e campi, intervallati da rotonde e paesi con le stesse case, rotonde e paesi con le stesse case. Io mi perderei, sempre. E poi, i centri commerciali. Tanti centri commer-ciali. L’ideale, disegnare tutto questo dal sedile posteriore di un auto. E sullo sfondo, le montagne. Sì, perché la provincia di Va-rese, il Varesotto, o i dintorni di Saronno, o qualunque sia la definizione per quella terra tra Varese, Como e Monza – con Milano a venti minuti di treno – segna anche la fine della Pianura Padana. E dove la Pianura Pa-dana finisce, inizia la Lega. Varese, la patria della Lega Nord! Sì, questo posto è proprio strano. E anche quello che sto dicendo, in fondo, pare mancare di un filo logico; ma tranquilli, è tutto voluto: una narrazione che si rispetti si adegua a ciò che racconta. E questo posto, sì, è proprio strano. I treni, per esempio. I treni! Qui non c’è Trenitalia, nossignori. Qui ci sono le ferrovie Nord –

PREMESSA - Non sono mai entrato in un casinò. Leggete dunque questo articolo come il delirio di un moralista supponente e pieno di pregiudizi.ANTEFATTO – non sono mai entrato, dice-vo, ma qualche piccolo episodio mi ha fatto vivere un poco quell’atmosfera. Per esempio, del sabato sera passato nel noiosissimo Bingo di Ferrara, ricordo la puzza di fumo, i volti sudaticci, il silenzio opprimente, la voce metallica che sciorina i numeri estratti, le mani nere di denaro degli addetti alla riscossione delle giocate. Un mesetto fa, invece, in macchina lungo la statale tra Rovigo e Ferrara ho trova-to un cartello pubblicitario dei casinò di Nova Gorica; prima ho pensato di essere allucinato&perseguitato dalla cara Gorizia anche se mi trovavo duecento chilometri più a sud; poi ho sorriso, pensando a un ferrare-se che attraversa Po, Piave, e Tagliamento per fare una puntata sull’Isonzo. Dopo un anno al confine ne ho sentite molte di descrizioni (tavoli pieni di cibo, carte ver-di rosse blu, buoni omaggio, tecniche di gio-co); le immagini prese da qualche film qua e là penso che completino bene il quadro. Nel Paese dei Balocchi, insomma, ci sono entra-to anch’io. E non mi è piaciuto molto.DOSTOEVSKIJ E PIRANDELLO – Non è comunque facile criticare chi lo frequenta, dopo aver letto le parole pensate dal gioca-tore di Dostoevskij in un momento di crisi: «È proprio inutile farsi la morale. Niente ci può essere di più assurdo della morale! Oh, gli uomini soddisfatti di se stessi, con quale orgoglioso compiacimento sono pronti, quei chiacchieroni, a pronunciare la loro senten-za! Se sapessero fino a che punto io stesso capisco tutto quanto c’è di ripugnante nella mia attuale situazione, non muoverebbero certo la lingua per darmi insegnamenti. E poi, che cosa possono dirmi di nuovo, che io già non sappia?». Sia chiaro, quindi: non voglio biasimare nessuno. Del resto anche il Mattia Pascal pirandel-

liano, poco prima di rimanere ipnotizzato dalla roulette, commiserava i «disgraziati che stanno lì a studiare il cosiddetto equi-librio delle probabilità per estrarre la logica dal caso». E anche io resterei forse vittima del fascino di un albero di monete così at-traente. Prima, rimarrei colpito dal rito dei fedeli che seminano mucchietti di talenti sul tappeto verde; ascoltano in silenzio le invo-cazioni melodiche dei croupier fino al “rien ne va plus”; sospirano e pregano la ruota che gira di fare giustizia; bestemmiano con un filo di voce o salgono al cielo con la loro accresciuta ricchezza. Poi, dopo le mie pri-me due o tre puntate vincenti, mi sentirei

baciato dalla fortuna e sicuramente capace di architettare la strategia vincente, capace di «estrarre la logica dal caso» per battere il banco. Qualunque sia il numerino scelto dal caso, insomma, quel moltiplicatore di banconote è capace di sorprendere e di emo-zionare: e proprio quel che voglio evitare è emozionarmi per delle palline che girano e macinano denaro, o rimanere colpito dagli occhi sbarrati che roteano con loro.QUELLO CHE MI DISTURBA – è che il casinò gioca con un desiderio assolutamen-te legittimo e naturale: migliorare la propria posizione. E come se non bastasse si pro-pone come un mezzo di guadagno riserva-

to a gente-con-le-palle. I codardi se ne stiano alla larga. Ancora “Il giocato-re”: «E’ possibile che io non capisca che sono un uomo perduto? Ma per-ché non potrei risorgere? Sì! Basta essere almeno una volta nella vita cauto e paziente! Basta, alme-no una volta nella vita, dimostrare carattere e, in un’ora, posso cambiare il mio destino! L’essenziale è il carattere». Carattere o delega al fato? All’am-bizione si sostituisce il più disarmante fatalismo. Anche se sicuramente voi non ci siete entrati con questo spirito, ma solo per passarci una sera, alla sua idea di fondo, il Dominio del Caso, avete creduto appieno almeno per un attimo. E perso-

nalmente credo che in tempo di crisi il “la-sciar fare” sia la peggior soluzione. Questo discorso è puro moralismo. Ma il parcheg-gio sempre pieno delle case da gioco e la febbre con cui l’Italia intera ha aspettato l’uscita del 6 al lotto mi fanno pensare che la misura sia stata un pochino superata. (Sul fatto che l’industria del gioco sia la terza in Italia per fatturato, dopo Eni e Fiat, parle-remo magari più avanti. Intanto lasciamoci martellare dalla pubblicità di Lottomatica sugli schermi di Trenitalia). LA MIA UTO-PIA - Nella mia Città di Utopia i casinò do-vrebbero comunque restare. È un piacere sentirmi raccontare da chi c’è stato di pseu-do milionari che puntano pezzi da mille e li vedono sparire sotto il loro naso: la roulette diventa in questo caso un ottimo mezzo di redistribuzione della ricchezza. Trasferisce i soldi dalle tasche di Briatore a quelle del Capo Casinò, che a sua volta premia con uno stipendio i fedelissimi croupiers e le loro famiglie. Crea indotto per il territorio. Chi invece fa fatica ad arrivare a fine mese, potrebbe giocare la sua Social Card solo in un antichissimo giuoco che toglie il rischio e assicura il divertimento. È un sistema che non consente grandi vincite, dove i sorrisi non sono d’avorio, dove birra omaggio e abbuffate a nove euro potete scordarvele. La povera semplicità dei premi non vi farà sognare d’essere geni della statistica. Il ban-co non è vellutato di verde, è la tavola della vostra cucina o della sagra di paese. Il Tombolone non ha mai rovinato nessuno, la vigilia di Natale e l’ultimo dell’anno sa-ranno ottime occasioni per provarlo. Non scordate i fagioli per coprire i numeri, ride-teci su; ma non lasciatevi prendere la mano.

Francesco [email protected]

*Dieci buoni da 4€ spendibili in tutti i casinò del-la zona valgono un articolo riparatore.

Glocale

LOMBARDIATappa nella

provincia di Varese

e milèn’, hanno scritto. Davvero. Ci sono stato, lì –sono andato in pizzeria, una sera. E quindi. La Lega ormai è parte della storia del luogo, e in effetti non saprei immaginar-mi Lazzate (provincia brianzola, eh) senza il suo bel cartello ‘Lazzàa’, né Cogliate senza il suo ‘San Dalmazi’, e nessuno che sappia spiegarmene il perché. Ma la vita scorre pla-cida, placida davvero, e allora perché andare a disturbare gli abitanti? La mattina prendo-no l’auto e vanno in tante diverse direzioni quanti sono gli innumerevoli paesini dove la sorte li ha spediti a lavorare, e superano, senza farci quasi caso, quei cartelli in mar-roncino, che per alcuni rappresentano, ca-spita, l’orgoglio della tradizione. Ma questi alcuni, perlomeno, una cosa l’hanno azzec-cata: a parte il grigio delle strade e il rosso dei tetti delle case tutte uguali, qui è davvero tutto un po’ verde, sotto sotto.

Francesco [email protected]

Viaggio

in Italia

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Sconfinare Dicembre 20088Università

Sull’onda, o forse al di fuori dell’On-da della protesta, a prescindere dal per-sonale credo politico, dal colore delle bandiere e dalle più o meno intense ab-bronzature di chi la politica la fa o la do-vrebbe fare, insomma nel contesto più o

meno tormentato ed acceso di queste ulti-me settimane, anche a Gorizia, si respira aria di “yes, we can!”. Aria di incontro, aria di “pericolo: studente informato!”Lunedì, 26 novembre, presso il bar Ae-nigma, luogo ormai votato a questo gene-re di iniziative, si è tenuto un workshop, completamente organizzato e gestito da nostri compagni e colleghi universitari, con varie collaborazioni di docenti di en-trambi i Poli Goriziani di Trieste e Udine.Tra i temi trattati: confronto Italia-Estero sul sistema universitario e le prospettive post-laurea, storia delle riforme dell’istru-zione e dell’università in Italia dall’Unità ad oggi, infine, come la stampa ha reagito alla

protesta, un’analisi di testate e di articoli giornalistici di tre quotidiani a tiratura nazionale: l’Unità, Libero e Il Corriere.Non vogliamo soffermar-ci sulla trattazione degli ar-gomenti, per quello sarà disponibile tra breve un resoconto redatto dalle orga-nizzatrici, ma piuttosto presen-tiamo qualche considerazione e piccole ed umili critiche.

Data la numerosa partecipazione, circa una cinquantina di persone, forse il già citato bar non è il luogo più opportuno e appropriato per questo genere di incontri, dati gli spazi purtroppo modesti. Bisogne-rebbe entrare in un’ottica di idee che pre-veda lo sfruttamento di ambienti come il Punto Giovani, che benché sia più lontano dal centro e meno frequentato, possiede più ampi spazi ed è più adatto a tale scopo.Secondo, le tre tematiche affrontate, pur nel loro carattere assai coinvolgente ed interessante, è sembrato che non avessero un forte e chiaro filo logico che le tenes-sero assieme. Più nello specifico, i primi due gruppi, storia e confronto Italia-Estero, erano perfettamente inerenti ed in sinto-nia all’interno dei lavori, mentre il gruppo mass media, nonostante il suo carattere attrattivo, si slegava e in un certo senso, faceva più che altro da cornice ai lavori.

Un’ultima nota, invece, deve essere fatta sul confronto finale e conclusivo dell’in-tera serata, dove, tra gli stessi partecipanti e senza bisogno di mediazione si poteva scorgere il desiderio e l’emergere di un ac-ceso e vivo dibattito, anche molto sentito, da chi, soprattutto, come studente Erasmus, le diversità istituzionali e metodologiche di insegnamento le ha vissute sulla propria pelle, andando quindi a dare un contribu-to assai più palpabile e vero dei numero-si grafici, numeri e cifre che ci sono stati forniti, molto interessanti, ma purtroppo freddi e lontani, almeno a noi, nella for-ma e nello stile. Quindi era necessario un incontro tra i singoli gruppi di lavoro e in una seconda serata uno spazio completa-mente dedicato al confronto e al dibattito, così da non essere soffocato sul nascere.La nostra semplice critica deve, però, te-nere conto anche del lavoro, della passio-ne e dell’impegno di chi il workshop l’ha pensato, proposto e vissuto più degli altri.Un grazie e una sincera lode, quindi, a chi, in vari modi, ci fa capire che Gorizia non è così lontana da Roma come sembra, che questo confine è un’occasione e non un muro, che la piazza da sola non serve, ma va coadiuvata da un lavoro che prevede informazione e formazione, dentro e fuori gli ambienti istituzionalmente finalizzati all’apprendimento, per sfatare vecchi e or-mai anacronistici miti, credenze e supposi-

zioni. Che gli studenti non sono delle mere forme kantiane da riempire di nozioni pre-confezionate, non sono dei vasi vuoti in cui far confluire un sapere sterile, ma essi stessi sono i primi ad insegnare e a dare qualcosa, prima ai professori, poi a colleghi e a indi-vidui in genere, perché il sapere e la cresci-ta personale non sono mai a senso unico, ma si articolano e sviluppano in multifor-mi e differenti forme. Una società che si confronta, che considera importante ed essenziale il proprio patrimonio di giovani e anziani può progredire e migliorare, una società che si preoccupa solo di benessere e di crescita economica, di debito pubblico e di imprese, che attua politiche finalizzate solo a individui nella fascia dei 30-50 anni, è una società già morta, che non ha com-preso, apprezzato e capito gli sforzi, i sacri-fici e le conquiste di più di due millenni di storia Italiana o meglio italica ed Europea. Ampliamo gli orizzonti, non preoccupiamo-ci solo della nostra piccola Italia, guardiamo all’Europa, all’Europa politicamente unita, il futuro è lì, nel campanilismo c’è la morte.Ben vengano quindi questi incontri, que-ste proposte e questa vitalità! Sono il pri-mo passo per un cambiamento ed una prospettiva, forse non più facile e felice, ma sicuramente più cosciente e vissuta.

Francesco [email protected]

Pericolo: studente informato!A Gorizia qualcosa si muove…

diti, imitati e meno “econo-mically-correct”, ma anche perché proprio inglese era quel John Maynard Keynes che elaborò la Teoria genera-le che dovrà tirarci dai guai. Ed ecco allora che la rivi-sta si lancia in un elogio di Eton: la public school che formò il grande economista. E proprio nel titolo leggo che il vero segreto del mo-dello Eton è il mantenimento dei contatti tra gli studenti ed i laureati, non solo nella convizione che interagendo tra loro i migliori cervelli si accrescano a vicenda, ma anche affinchè ogni laureato, conoscendo il talento dei suoi colleghi più giovani, li chia-mi al suo fianco nei posti che contano. Questa, sottolinea il giornalista, è la versione bri-tish della raccomandazione.

Sta rinascendo in questi gior-ni tra le mura di via Alviano il progetto dell’ASSID (l’Associazione degli Studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche). Nata nel 1993 l’associazione si era un po’ persa nel corso degli anni. Il suo obiettivo primario era quello di unire tutti gli studen-

ti del SID (senza alcuna distinzione ideo-logica o di alcun tipo) e di creare per loro nuove e maggiori opportunità didattiche e professionali anche attraverso la pubbliciz-zazione del corso di laurea. Ecco dunque che quest’anno, tra le altre attività, l’AS-SID si farà promotrice delle “task forces per il SID”: ogni studente potrà scegliere di tornare nella propria città di origine e pubblicizzare presso la propria scuola su-periore il nostro corso di laurea, ottenen-do per questo un parziale rimborso spese.Ma l’ASSID vuole innanzitutto tornare ad essere il network tra studenti e laurea-ti che era nei suoi anni migliori, per que-sto si sta muovendo già da ora in vista dell’Alumni Day 2009: la giornata di fe-steggiamento dei venti anni del SID in oc-casione della quale gli ex-studenti tornano ad incontrare i loro colleghi più giovani. Come molti sapranno il nostro corso di lau-rea fu fondato all’alba della caduta del muro di Berlino, nell’ormai lontano 1989. Tradi-zionalmente l’ASSID ha preso parte all’or-ganizzazione dei passati Alumni Day, per quest’anno si parla di un’intera giornata in giugno: in mattinata presentazione del cor-so e della sua storia, nel corso della giorna-ta divisione in gruppi e presentazione delle opportunità di lavoro e serata di gala finale. Tutto però è ancora in fieri…ogni aiuto è ben accetto: la riuscita di un tale evento è legata soprattutto alla nostra capacità organizza-

Apprendo da Intelligence in Lifestyle che dalla crisi economico-finanziaria interna-zionale uscirà ancora vittorioso il british: se british è infatti la radice del moderno capitalismo, british è anche la soluzione ai suoi problemi…e non solo perché il piano Brown di risposta alla crisi è tra i più ar-

Il SID come Eton? Ci pensa l’ASSID!In cantiere l’Alumni Day 2009…

tiva (oltre che ai fondi a disposizione…).A vent’anni dalla caduta del muro i Balca-ni bussano alla porta dell’Unione Europea. Mentre Gorizia ha la possibilità di tornare ad essere al centro della Mittleuropa, l’Ita-lia non può essere spettatrice di un proces-so che si svolge alle sue porte. Questa sfida passa tutta per la Diplomazia e dunque an-che per il SID: da qui dovranno uscire i lau-reati che dovranno negoziare ad ogni livello, dal comunale all’europeo fino al mondiale. È accaduto nel passato, ma deve accadere ancor più nel futuro anche attraverso una sinergia tra studenti, Polo ed una comuni-tà locale che raramente ha collaborato con lungimiranza con il corso di laurea e spesso si è fermata a interessi di breve periodo.

Se è vero come apprendo che la qualità di un’università come Eton dipende dalla cooperazione e collaborazione dei cer-velli che hanno frequentato e frequentano questa università, e se è vero come pen-so che ciò vale per qualunque istituzione accademica, allora il ruolo che l’ASSID, ed in essa tutti gli studenti del SID, vuo-le svolgere è certamente di vitale impor-tanza. L’Alumni Day 2009 può essere solo l’inizio…le iscrizioni sono aperte…

Attilio Di [email protected]

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SconfinareDicembre 2008 9Università

L’università è pubblica, offerta ad un prez-zo stracciato. Tutti possono permettersela con qualche piccolo accorgimento: ridurre le statistiche di lettura (gentilmente forni-te dalle case editrici) grazie all’usato o a tonnellate di fotocopie, sessioni di caccia all’offerta nei supermercati, una dieta equi-libratamente priva di carne, pesce e vegetali e, infine, l’abile “riciclaggio” di qualche te-sina o lavoro già fatto – dove sia possibile, naturalmente.Ma avete mai provato a fare a meno del computer? Del comodo portatile che svolge il suo degno lavoro di radio, TV, quaderno e telefono, comodamente assiso sulla vostra scrivania?Innanzitutto, vi toccherebbe affrontare lo sguardo contrariato dei prof al ricevere da una manina incerta due fogli a quadretti – miserelli – scritti a mano. Il prestigio di un font impersonale (anche se leggibile) e di un’impaginazione a cui il vostro intelligen-te marchingegno ha pensato per voi, non ha pari. Per non parlare poi delle presentazioni: quei dieci minuti da elettricista tra cavi, prese, proiettori, pulsanti e rotelline sono uno dei momenti d’orgoglio della vita universita-ria! Che fareste, impacciati, sempre con le medesime pagine manuscritte tra le mani, cercando di leggervi di straforo qualche pa-

rola illuminante, con gli occhi e le orecchie di tutti puntati su di voi (almeno nei primi imbarazzanti minuti) e non sullo schermo colorato, senza la possibilità di scappare a premere il magico bottone-cambia-slide? Davvero un bell’esercizio di self control!In verità, l’università italiana incoraggia ancora la cultura del papiro, tant’è vero che molti professori non v’è maniera di con-tattarli se non di persona, essendo la posta elettronica un mero suppellettile. Il materia-le dei corsi fornito agli studenti via internet, poi, è quasi un mito a cui non siamo abitua-ti a far fronte. A volte ci perdiamo dietro a tanta innovazione e non riusciamo a tenere il passo. Insomma, per la scuola, questioni di forma a parte, se ne potrebbe far anche a meno.È però nella vita privata che lo straordina-rio armenicolo imperversa e regna sovrano. Alla mattina l’oroscopo per i più supersti-ziosi, l’orario delle lezioni per gli scrupo-losi; impostato sulla funzione “scarica di tutto” lo si può poi abbandonare per qual-che ora, per approfittare, al ritorno, del ricco bottino nel frattempo conquistato. Musica, film sono una banale ovvietà. Viene poi il momento della lettura dei giornali, della mail e dei siti di rito. Ma il vero pericolo ri-siede nella libera divagazione per l’universo di YouTube, di Messenger, Facebook e chat

varie. I contatti coi vecchi amici vanno ben salvaguardati, no?! E fu sera e fu mattina...secondo giorno!Driiiin! Sveglia...è tardi...ach! Devo correre in università o non farò mai in tempo a co-piare e stampare il lavoro di inglese. Pedala, suda, conquista la postazione, batti a ritmo folle sulla tastiera, vinci sul tempo i concor-renti nella corsa alla stampante e...tuuuu...stampante rotta! Sconsolata riprendo i miei fogli, controllo la posta e consegno le solite pagine sparse alla prof. È bene farsi un’elen-co delle cose da fare a computer o potrebbe risultare fastidioso dover tornare apposta in facoltà per una piccola dimenticanza. Non è così facile, purtroppo mantenere i contat-ti con tutti vivendo in un’altra città e potendo consultare solo sporadicamen-te il web. Si evitano le comode relazioni basate su qualche parola via chat e ci si costringe a scrivere lunghe mail o addirit-tura lettere, anche se più raramente. Non vi preoccupate, dopo

qualche anno vi capiranno! Una volta conclusa la routine informatica, grazie ad una connessione dai ritmi prei-storici (che di certo scoraggia le piacevo-li scampagnate a tempo perso sul web), il pomeriggio è libero. Libero? Terribilmente vuoto! Mi toccherà farmi un giro, magari andare di persona a salutare Tizio o Caio e addentrarmi nel profondo della città, dei suoi dintorni e tra i suoi abitanti, giusto per perder un po’ di tempo fino a sera. Forse ci scappa addirittura un’oretta di sport...vero.

Margherita [email protected]

Vivere l’università (senza computer)

Politica estera americanaQuali prospettive per l'era post-Bush?

Il 26 novembre si è svolta presso la sede dell'Università di Trieste in Via Alviano la conferenza dal titolo “Gli impatti delle elezioni presidenziali sulla politica estera americana: premesse, sviluppi, prospet-tive”, durante la quale sono intervenuti il giornalista Demetrio Volcic, il professore AntonGiulio De' Robertis e il responsabile per i Public Affairs del Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano John Hillmeyer. L'incontro è stato organizzato dall'asso-ciazione YATA (Youth Atlantic Treaty As-sociation) Gorizia in collaborazione con il Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano e il Corso di Laurea in Scienze Int.li e Diplomatiche e ha visto una partecipa-zione molto attiva degli studenti del polo goriziano, che hanno riempito l'aula ma-gna come pochi eventi sono riusciti a fare. La scelta di tre personaggi di calibro al-quanto elevato, ma esperti di ambiti dif-ferenti, ha fatto sì che la tavola rotonda sia riuscita a toccare molte delle sfaccet-tature delle relazioni esterne degli States, dalla composizione del nuovo esecutivo, alle relazioni tra Stati Uniti e Russia, dalle aspettative sulla risoluzione dell'interven-to in Iraq, al possibile ritorno della politica estera americana verso il multilateralismo. E' stato infatti su questa falsariga che il Hillmeyer ha svolto il suo intervento: un perfetto esempio di diplomazia, in cui ha esposto le linee principali del nuovo ese-cutivo, le aspettative degli americani stes-si e del resto del mondo. Premettendo che le aspettative che si sono create attorno a questo nuovo presidente sono fin troppo alte, Hillmeyer ha affermato che, almeno nel primo periodo, l'interesse del nuovo esecutivo sarà focalizzato sulla politica in-terna, in particolare sulle misure da attuare per contrastare la crisi economica che solo nel novembre scorso ha portato al licenzia-

mento di più di mezzo milione di persone. La priorità di Obama è quindi giustamente quella di salvaguardare il proprio Paese, cer-cando di consolidare gli Stati Uniti, che ora come mai hanno bisogno di un capo che sia in grado di guidarli verso un nuovo inizio. Il responsabile per i Public Affairs ha co-munque rincuorato la platea, assicurando che nel medio pe-riodo Obama si de-dicherà con profon-do coinvolgimento alla politica estera, assicurando mag-gior impegno in Afghanistan e e un lento ma costante ritiro delle truppe e delle strutture sta-tunitensi dall'Iraq. Analizzando le possibili candi-dature dei diversi membri dell'ese-cutivo, tra cui Hil-lary Clinton come Segretario di Stato, successivamente confermata dal neo-eletto presidente, Hillmeyer si è mostrato fiducioso verso un maggiore interesse del suo paese verso la questione mediorientale anche se i ri-sultati si vedranno solo nel lungo periodo. Nota dolente è stata purtroppo quella riguar-dante l'impegno americano in Africa: pare infatti che nell'agenda di Obama il continen-te da cui la sua stessa famiglia proviene non

trovi grande spazio, e sia subordinato ad altri temi che per il neo presidente sono prioritari. Dei rapporti tra Stati Uniti e Federazione Russa si è occupato il giornalista emerito Demetrio Volcic, goriziano e storico inviato a Mosca del TG1, il quale con una lezione magistrale è riuscito sia a spiegare le rela-zioni tra le due grandi potenze, sia a fare un

quadro della Russia contemporanea e pas-sata che solo un esper-to del suo calibro era in grado di fare. Nel suo intervento Volcic ha innanzitutto toc-cato il delicato tema della crisi finanziaria, che ha investito anche la Federazione Russa, la quale in pochissimi mesi si è vista costret-ta a ridimensionare le proprie azioni e le proprie aspettative. Si è quindi parlato di una diplomazia più mor-bida da parte di Med-vedev e Putin, volta a mantenere un profilo basso in seno alle or-

ganizzazioni internazionali. Questo avrà forse risvolti importanti sia verso i propri vi-cini, che molto spesso sono considerati dalla Russia come questioni quasi domestiche, sia verso l'Unione Europea e gli Stati Uniti. E proprio verso questi ultimi l'atteggiamento molto probabilmente cambierà, visto che con l'elezione di Obama sarà sempre più difficile

sfruttare il comune denominatore dell'antia-mericanismo, carta che molto spesso la Fe-derazione ha usato negli ultimi tempi con-tro le azioni della amministrazione Bush jr. Infine il professor De' Robertis, docente eme-rito di Storia dei Trattati presso l'Università di Bari, ha analizzato lo spinoso argomento del multilateralismo nelle relazioni tra Stati Uniti e resto del mondo. Egli ha infatti nota-to un cambiamento epocale nella linea delle relazioni esterne degli Stati Uniti proposta da Obama durante la sua campagna eletto-rale: dopo 8 anni di amministrazione Bush jr. estremamente neoconservatrice e tenden-zialmente unilaterale, si evince dai discorsi elettorali del neo presidente un impegno a considerare maggiormente i propri alleati e il valore dei fora internazionali. Ciò pare si espleterà attraverso il rifiuto dell'uso unilate-rale della forza, tranne in caso di attacco sul suolo statunitense; la fine dell'occupazione dell'Iraq, per estendere il proprio impegno a tutta l'area; l'impegno a considerare mag-giormente le proposte provenienti dagli altri Paesi riguardo alla riforma, ormai ritenuta unanimemente necessaria, della struttura e del funzionamento delle Nazioni Unite.Questo incontro, si spera il primo di una lunga serie, ha visto come veri protagonisti gli studenti del Cdl in Scienze Int.li e Diplo-matiche, che oltre a partecipare numerosis-simi all'evento, si sono distinti per la quanti-tà e soprattutto per la qualità delle domande poste ai relatori, le quali hanno permesso un dibattito molto vivo e certamente di alto va-lore culturale.

Leonetta [email protected]

Page 10: Sconfinare numero 16 - Dicembre 2008

il film era meritevole, di giallo se valeva appe-na il prezzo del biglietto, di rosso se mette vo-glia di prendere il bigliettaio per il cravattino chiedendo indietro i soldi. Ovviamente la fase successiva è il tele voto: accedendo alla pagi-na internet si può votare la foto che più piace facendo vincere al primo classificato per ogni film biglietti gratuiti per il cinema (quelli che il bigliettaio si è rifiutato di rimborsare...). E la becks troupe che a fine concorso avrà più

successo potrà passare cin-que giorni a Roma al fe-stival del cinema, tutto ri-gorosamente a spese della multinazionale dell'alcol. Ovviamente la redazione di sconfinare non si poteva lasciar perdere un'occa-sione tanto demenziale e allettante: "Mariute" e "Il Franz" sono la coppia che rappresenta il Friuli Vene-zia Giulia (perché quando si va al cinema a Trieste è sempre bene specificare an-che "Venezia Giulia") e per otto mesi saranno al servi-

zio della rubrica cinema di Sconfinare per deliziare i let-

tori del nostro giornale con recensioni... tutt'al-tro che senza parole! Questo mese comincia-mo con Nessuna Verità, l'ultimo film di Ridley Scott con Russel Crowe e Leonardo di Caprio - che da quando si è dedicato a questi generi un po' impegnati ha cominciato a piacerci. Quindi ricordate di guardarvi attorno quan-do andate al cinema, in cerca di due repor-ter con maglietta e berrettino nero che fo-tografano e distribuiscono volantini. E se volete sapere di più sulla troupe del Friuli (Venezia Giulia!) e sperate di sapere i re-troscena del festival del cinema di Roma non dimenticate di visitare il sito e di vota-re, ovviamente per "Mariute" e "Il Franz"! Francesco Gallio

[email protected]

Sconfinare Dicembre 200810Cinema

Ecco la storia di come la redazione Sconfinare è arrivata a rappresentare la regione Friuli Ve-nezia Giulia nel Becks prize, e andrà - per otto mesi - al cinema a spese della notoria marca di birra. Avete presente quei fastidiosissimi link pubblicitari che compaiono quando inviate le mail, quando fate una ricerca biografica sulla vita di Sarah Palin, quando cercate disperata-mente l'ultima edizione on line di Studio Aper-to, quando volete vendere la vostra bici da uni-versitario su e bay o quando cadete nel vortice dei quiz di facebook? Avete sempre ignorato tali link, cliccando il pulsante "chiudi"? Ebbe-ne la redazione sconfinare questa volta non ha saputo resistere alla tentazione di bruciare neuroni di fronte allo schermo e si è lasciata sedurre dalle invitanti curve di ... una bottiglia di birra. L'avventura è cominciata così, un po' per gioco e un po' per noia, compilando formulari, inviando foto tes-sere veramente inguardabi-li, inventato qualche piccolo dettaglio che rende più attra-ente l'application e... inaspettatamente è arriva-ta una telefonata da Milano. Ci avevano scelti. Ma cosa è il Becks prize? Come ogni gran-de marca che si rispetti anche la Becks, pos-seduta dal colosso IMBEV, investe ingenti risorse in grandi operazioni di marketing. Quest'anno il connubio è malto e cinema. Il concorso prevede venti coppie - le becks troupe - (una per ciascuna regione italiana) che andranno due volte al mese al cinema e, armati macchina fotografica, faranno una recensione senza parole della pel-licole. L'idea è catturare le espressioni degli spettatori all'uscita dalla sala e di esprimere tramite i loro volti un gradimento del film ap-pena visto. Tra i vari scatti, ogni troupe sceglie i cinque migliori e li carica sul sito www.beck-sprize.becks.it incorniciando le foto di verde se

Nessuna verità - Body of Lies

Il racconto che segue è reale. Riguarda mia so-rella, che ha contratto come tante (tanti? Non so, forse le preferenze di genere non esistono; occhio, si potrebbe esser tacciati di sessismo) il virus di Twilight. Preciso: sto parlando del libro della Mayer (non l’ho letto e non intendo farlo, quindi m’astengo da giudizi di valore. Non lo conosco, punto. Però so ch’è piaciu-to a parecchia gente, tant’è che insegnanti di licei classici – che teoricamente di letteratura ne sanno a pacchi – l’hanno consigliato ai loro alunni).Il libro è piaciuto tanto (leggasi: ha venduto tanto) che se n’è fatto un film, come tragicamente capita in questi casi. E dico “tragicamente” perché a me, nel mio picco-lo, è accaduto lo stesso anni fa, quando lessi “Il Signore Degli Anelli” molto prima che ne facessero una versione cinematografica. E sa-pete qual è il trauma? Che se t’innamori d’un libro, immaginandolo per bene come vuoi tu, e poi ne guardi la “versione Hollywood”, se si è sfortunati come il sottoscritto (e la di lui so-rella) dopo, quando ti capita di rileggerlo, non sei più capace di ricreare il mondo che avevi incontrato la prima volta. E’ finita, Frodo è Elijah Wood. Argh. La mente è pigra. E’ più facile vedere che immaginare. Consapevole dei suoi limiti, mia sorella ha deciso che per non guastare l’immagine dell’aitante, affasci-nante, romantico, […] impossibile protagoni-sta che s’era creata avrebbe scrupolosamente evitato le occasioni di vedere le immagini del film. La capisco. Non che m’interessi parti-colarmente questo Edward (si chiama così) però l’amore per un libro che sentiamo nostro e che vogliamo proteggere, questo sì che lo condivido. E mia sorella non ha chiesto tanto al mondo. Solo ha domandato per una volta, per favore, di essere lasciata in pace. E qui en-tro nel cuore della vicenda, il fatto che mi ha portato a scrivere un articolo che può sembra-re ridicolo ma in fondo non lo è. Perché è un esempio, nel suo piccolo, di come la società alla fine riesca ad imporsi. Volente o nolen-te, non cambia nulla: alla fine vedrai quello che vogliono farti vedere. Mia sorella, per un mese, ha vissuto da funambola riuscendo per

un po’ in un’impresa che ha dell’incredibile. Tanto per non sbagliare, ha preso tutta una serie d’accorgimenti: 1. Niente trailer al cine-ma (logicamente) 2. Niente giornali (hanno la pubblicità) 3. Schivare i muri dove di solito s’appendono le locandine 4. Evitare i luoghi pubblici, le stazioni ferroviarie (le maggiori hanno gli schermi televisivi, come a Mestre), le librerie, le fiancate degli autobus … già che c’era, passeggiando si levava gli occhiali 5. Spegnere la tivù durante la pubblicità 6. Ri-durre al minimo indispensabile internet. Una fuga dal mondo. Ci vuole una disciplina fer-rea anche in un piccolo paesino (ad un certo punto se n’è andata a Londra, lì sì che è stato un trauma). E già così le cose parrebbero dif-ficili. Pensate un po’ come deve essere se tutti quelli che ti circondano diventano nemici. Se sanno che qualcosa ti dà fastidio, non faranno che parlartene (e nel caso concreto ti diranno il nome dell’attore). Le sue coinquiline hanno persino appeso un volantino in appartamen-to, che stronze. E qualcosa in questa piccola vicenda è mostruoso, se ci riflettete. Quello che fa pensare, a me che sono un tizio pie-no di paranoie, è il perverso meccanismo che porta la società intera (e qui, in particolare, le compagne di corso, le amiche, le conoscenti) ad accanirsi verso gli atteggiamenti difformi, a schernirli, a non comprenderli o a minimiz-zarli; e – infine – ad essere degli iniettori dello standard, di ciò a cui ci si deve conformare. So che rischio la retorica, ma è sorprenden-te quanto bene funzioni. Ed è solo un film, messa così fa ridere. Ah. Comunque c’è un lieto fine, se volete. L’ho visto io per primo, l’Edward “vero”. Le ho detto che non aveva niente da temere e l’ho portata davanti alla ve-trina d’una libreria, mosso a pietà dal suo tita-nico sforzo. Era un po’ titubante, ma alla fine s’è voltata. Per fortuna, ha detto ridendo, è un bambinetto, praticamente un Emo, questo qui è talmente deludente da essere innocuo. Però non andrà a vedere il film. Penso che – alme-no in questo – nessuno potrà costringerla.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

Fuga da Twilight

Regia: Ridley Scott.Cast: Leonardo di Caprio, Russell Crowe, Mark Strong, Golshiften Faranani, Oscar Isaac. Drammatico, durata 128 min.

Dopo “I diamante di Sangue” Leonardo di Caprio torna alla ribalta, questa volta non in Africa ma nel Medio Oriente, vesten-do i panni di Roger Ferris, agente CIA in-

caricato di raccogliere informazioni per l’agenzia. Capo generale dei servizi se-greti è Hoffman – un convincente Russell Crowe – che interpreta la parte del padre di famiglia americano tutto casa e lavoro. In maniera forse un po’ caricaturale, Hoff-man passa la giornata al telefonino e svolge tutte le attività del buon padre di famiglia – come accompagnare i bambini a scuola – mentre pacatamente ordina ai suoi uomini di sacrificare vittime in nome della libertà e della sicurezza del mondo. Terzo, geniale, personaggio centrale nella storia è il capo dei servizi segreti girordani, Hani Salama, elegantissimo, sicuro di sé, signorile e sem-pre impeccabilmente vestito. Tratto dal ro-manzo del columnist del Washington Post David Ignatius e sceneggiato da William Monahan, “Nessuna verità” nelle mani di Ridley Scott diviene un gioco di prospetti-ve e punti di vista. Sullo sfondo degli atten-tati terroristici in Europa, e della guerra di intelligence nel Medio Oriente, Ferris (Di Caprio) è il punto di vista interno, Hoffman è quello esterno e globale e Hani è li sguar-do sia esterno che interno ma concentrato sul locale. Ferris, che parla correntemente l’arabo, ha una capacità innata di districarsi sul territorio e raccogliere informazioni e

rischia la vita in ogni volta che è impegnato in un’operazione. Perennemente escoriato, rincorso da cani e proiettili, Ferris vive sulla sua pelle gli sforzi per portare allo scoper-to il pericoloso terrorista Al-SAleem, e tra i vari personaggi sembra essere l’unico a possedere scrupoli morali e capacità affetti-ve. Hoffman è invece l’opulento e tracotante capo dell’agenzia americana e gestisce tutta la guerra in mediaticamente tramite cellulare e satellite. L’occhio vigile del “grande fra-tello” è sempre presente e gli schermi della sala di controllo trasformano in spettacolo la tragicità umana delle vicende di Ferris, che ad un certo punto del film si trova ad-dirittura cosparso di pezzi di ossa di un suo amico dilaniato da una esplosione. Hoffman, forte della distanza e della sua missione di paladino della giustizia non possiede la stes-sa rotondità emotiva di Ferris e gestisce le operazioni come una grande partita in cui è necessario sacrificare le pedine per dare scacco all’avversario. Hani, il capo dell’in-telligence Giordana è invece un boss com-pletamente diverso, molto più preoccupato a mantenere il potere nel proprio feudo che a salvaguardare un qualche ordine o controllo globale. Pur essendo il vertice di un corpo di spionaggio – e disponendo quindi di una

visione d’“insieme” o dall’alto – Hani è pur sempre un giordano e la sua prospettiva si colloca a metà tra l’uomo della ribalta – Fer-ris – e il grande burattinaio – Hoffman. An-che le procedure operative dei servizi segre-ti rispecchiano questa diversa impostazione prospettica: mentre gli americani gestiscono tutto via telematica tramite cellulare e scher-mo, i giordani si affidano agli informatori e agli infiltrati e alla fine la loro strategia di dimostrerà vincente. La pellicola non perde quindi l’occasione di sottolineare che la tec-nologia, per quanto innovativa ed avanzata dà solo l’illusione del controllo e non può che soccombere alla conoscenza del terri-torio al vecchio passaparola. Nessuna ve-rità è quindi una spy-story di menzogne e tradimenti incrociati, sapientemente costru-ita tramite il contrasto di prospettive, e in-trecciata a una pallida vicenda di amore tra Ferris e una dottoressa giordana. Un saggio di relativismo etico e morale, che non cede alle facili tentazioni di buonismo americano o alla retorica semplificata del bene contro il male. Un cast di buon livello, una foto-grafia piacevole senza abuso di effetti spe-ciali e una trama coinvolgente ne fanno una pellicola decisamente gradevole. Voto della redazione: otto e mezzo.

Francesco [email protected]

Birra e Cinema

Pubblichiamo quest’immagine per par condicio...

Page 11: Sconfinare numero 16 - Dicembre 2008

Sconfinare2008 Dicembre 11MusicaUn’artista jazz di calibro internazionale è ap-

prodata a Gorizia, e voglio segnalarvi l’even-to. Anche se addentrarmi nel mondo del jazz, devo ammetterlo, mi costa un po’ di fatica. La cantante afro americana Dee Dee Bridge-water si è esibita al Teatro Verdi di Gorizia lo scorso 19 novembre accompagnata da un trio di musicisti internazionale: al pianofor-te il portoricano Edsel Gomez, al contrab-basso l’americano Ira Coleman, alla batte-ria e percussioni l’argentino Minino Garay. Era previsto un programma di jazz classico, ma l’entrée impone subito una rettifica delle aspettative: Dee Dee esordisce con un tribu-to alla musica brasiliana cantando “Deixa”. Sin da subito fa capire che ha tutta l’inten-zione di provocare il pubblico goriziano: con voce ricercatamente sensuale, tra luci soffuse e tende rosse, ripropone un’atmosfe-ra molto intima e luccicante, quasi da jazz club, lasciandoci dimenticare per un attimo che siamo pur sempre a Gorizia. Dee Dee propone quindi due classici della musica la-tina, Obsesión, del portoricano Pedro Flores, e Besame Mucho, quest’ultima in una ver-sione molto ammaliante e molto lenta, forse anche un po’ troppo lenta nell’arrangiamen-to musicale di Gomez. Dopo aver lasciato a bocca asciutta gli uomini in sala, Dee Dee rompe l’incantesimo che lei stessa ha creato lamentandosi della scelta del reggiseno, e, tra le risa del pubblico, passa ad altro reper-torio. È la volta delle canzoni del suo penul-timo album, J’ai deux amours, dedicato alla canzone d’autore francese. Quasi irricono-scibile ma bellissima la versione di La mer

di Charles Trénet, arricchita da una lunga parentesi strumentale con ritmi africani: un omaggio a Miriam Makeba, cantante jazz di colore, come Dee Dee, e da poco venuta a mancare. Conclude infine con tre canzoni dal suo ultimo album, Red Earth, che è il ri-sultato musicale di un lungo periodo passa-to in Mali con artisti locali alla ricerca delle origini africane. Perché il sangue di Dee Dee è un bel miscuglio: contiene origini indiane Chickasaw e Cherokee, poi irlandesi, tede-sche e persino cinesi, tra quelle rintracciabili. L’ultima canzone, Compared to what, è una denuncia delle tragiche somiglianze tra la guerra in Iraq e quella in Vietnam. Con que-

sto pezzo il pianista può final-mente dar prova del suo vir-tuosismo, e Dee Dee Bridgewa-ter appro-fitta per rallegrarsi della vitto-ria di Ba-rack Oba-ma urlando

al pubblico “Yes, we can!”. Si fa poi richia-mare dagli applausi per concedere come bis, finalmente, un classico del jazz, My favorite things, reinterpretato con sapiente ironia. Dee Dee Bridgewater inizia la sua carriera debuttando nel 1970 a New York con l’or-chestra jazz di Thad Jones e Mel Lewis e collaborando con artisti quali Sonny Rollins, Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, Max Ro-ach e Roland Kirk. Nel 1975 riceve il Tony Award come miglior attrice protagonista cantando nel musical The Wiz. Negli anni ’80 si trasferisce in Francia dove si afferma per le sue reinterpretazioni del repertorio di Billy Holiday. Qui matura il suo amore per la Francia e per Parigi che darà luce, parecchi anni dopo, all’album Mes deux amours. Le sue versioni dei classici della musica d’au-tore francese le valgono anche lo status di membro del “Haut Conseil de la Francopho-nie”. Dee Dee è inoltre ambasciatrice onora-ria della FAO (Food and Agriculture Organi-zation) e durante il suo soggiorno in Mali ha lavorato con le musiciste meno privilegiate. Dee Dee Bridgewater dimostra così di essere un’artista a tutto campo e di essere capace, so-prattutto, di sapersi rinnovare, cosa non sem-pre facile da trovare nel mondo della musica.

Margherita [email protected]

Jazz sounds a Gorizia La musica di Dee Dee Bridgewater e del suo quartetto

Piacere, mi presento: sono una ventenne che una volta, ahimè, rientrava nel target di Mtv Italia ma oggi forse si sente un po’ troppo vecchia per Amici e TRL; sono un perfetto prodotto di Tmc2 Videomusic e Viva Re-teA, sono stata nutrita ed allevata per esse-re il succulento bocconcino di musica pop inscatolata a breve scadenza. Ignoro cosa sia una chiave di do e raramente mi accorgo delle stonature (ancora oggi porto i segni del trauma di quando “l’amico esperto” disse che Jovanotti aveva una pessima voce a detta di chiunque). Conclusa la doverosa presen-tazione possiamo finirla di parlare di me e passiamo per lo meno ad una prima persona plurale: Noi, i polletti 10+ della macelleria musicale, Noi con le ali tarpate per vivere nelle gabbiette delle rotazioni musicali, Noi siamo molti, almeno metà degli anni ‘80 ci hanno visti nascere, ma siamo ancora stuz-zichevoli come una volta? Voi, membri del pollame come me, vi sentite ancora un piatto pieno di attenzioni pubblicitarie o siamo fi-niti nella merce al 50% ormai vicini alla sca-denza? So che Noi siamo numerosi, lo vedo al Karaoke del giovedì sera quando qualche buon vecchio pezzo anni ’90 fa sempre ca-polino, e so che siamo stati fedeli quando nel post-infanzia Loro ci hanno covati -anche se non siamo stati appassionati sicuramente tolleravamo senza allergie le loro banalità cantate su ritmi noiosamente uguali- e so che siamo stati ubbidienti quando iniezioni di vitamine Britney e 883 scorrevano lungo le nostre vene, e ora? E ora, almeno da un paio d’anni, sentiamo per la prima volta mu-sica che persino il nostro senso critico assue-fatto ad ormoni pop percepisce come “brut-

ta”, c’è qualcosa che non va… Quale strana nuova sensazione risale le nostre piumette invecchiate, siamo costretti a rigettare fuori ritornelli talmente scemi persino per polletti imboccati come Noi con ciò che era con-siderato “il peggio”, cosa sta succedendo? Ci stanno forse punendo? Forse le fantomatiche major, Loro, hanno scoperto che più o meno tutti nell’età della quasi-maturità siamo stati infettati dal fratello grande o dal papà da quell’ aviaria “musica impegnata” covandone ancora oggi il virus? Ma infondo non era un così grosso tradimento da meritare tale condanna, perché producono note per Noi inascoltabili? Cosa veramente ci ha escluso da una bella fetta del ricco mercato commerciale?Allora nella piccola gabbietta d’allevamento cerco di risalire nei ricordi del mio imbarazzante passato musicale per capire cosa è successo, che male ho fatto, e sovviene l’illuminazione…Forse Loro ci vogliono castigare perchè l’unico disco che possediamo è il nostro disco rigido con Gb di musica più o meno legalmente scaricata? L’ultimo disco origi-nale che ricordo, in effetti, risale ai tempi di quand’ero appena uscita dall’ovetto, e ora che sono un pollo grande e grasso cosa posso offrire a Loro? Facendomi due conti in tasca, oltre a qualche concerto, non credo di aver dato grosse soddisfazioni finanziarie ai miei educatori poppettari, mi giungono voci statistiche di come lo stipendio medio di un laureato si aggiri sui mille euro, in-somma una cifra del genere non se la fila nessuno, Loro non cercano neanche più di attaccarla, di persuadermi a comprare,

sono una pietanza ormai fredda, povera me!Noi, brandelli di pollo rimasti orfani non possiamo competere con i nuovi arrivati: i tredicenni, carne fresca e redditizia che stuzzica molto di più l’appetito e i porta-fogli. La nostra bistecchina ammollita dal tempo sarà forse buona per quelle collane di Mediashopping (in 96 dischi tutta la musica anni 60-70-80-90) niente a che vedere con dischi originali, cartelle, diari, spille, bor-sette, e gadget-vari-che-paga-papà che fan-no tanto rizzare le piume ai novellini polli…Allora sconsolata cerco qualche confer-ma della mia teoria nel web: Marco Carta vincitore di Amici ha vinto un disco d’oro e un disco di platino, un suo singolo ha ven-duto più di 70.000 copie; i Sonohra hanno vinto un disco d’oro e un disco di platino e l’album d’esordio ha contato 75.000 co-pie vendute; i Finley hanno ricevuto ben tre dischi di platino, e poi i Dari, i Lost, per non toccare poi il capitolo TokioHotel - una chilometrica pagina di Wikipedia è dedicata esclusivamente ai loro dischi vin-ti di varie leghe metalliche- così provo un senso di stordimento e mi ritrovo a tirarmi il collo da sola in un vano tentativo di poll-omicidio, “tanto chi mi si compra più…”.Quindi è ufficiale, se la tv ancora ci stordisce di mangime a basso prezzo la musica ci sta trascurando, siamo in fase di disintossicazio-ne pollame over 20 escluso dalla fetta di torta che guadagna, non resta che goderci gli effet-ti benefici sul nostro organismo ammuffen-do sullo scaffale dei fuori target in scadenza.

Gabriella De [email protected]

Gallina vecchia fa ancora buon brodo?Storia di polli nati negli ’80 oggi rigettati fuori dallo scaffale musicale

Perché forse non è stato abbastanza e ti ri-trovi alle tre del mattino per cosa, per della stupida musica, scrivi per lo stesso motivo per cui suoneresti ed in fondo è sempre il tentativo di riempire quel vuoto con un po’ di calore nel silenzio che poi tornerà; e ti piace la musica, la musica è tutta la tua vita e per questo scrivi di lei, come quando da bambino non avevo un lettore di dischi ed in casa lei era straniera; l’unica melodia veniva da cartoni animati, non Mozart non De An-dré non i Beatles o chissà che altro messag-gero, ma i Puffi e Lady Oscar, ecco cos’era per me la musica, e le ninnananne di mia madre, non sapevo ancora fosse De Grego-ri; ed è per questo, è per quel momento giu-sto appena prima dell’assolo di Stairway to Heaven in cui sfiori Dio perché Dio è un re maggiore, come hai fatto a non accorgerte-ne prima?, e tutto per un istante è perfetto;è perché lei la musica ti ha toccato ed una stessa canzone può riempire la tua stanza per giorni; è perché sono anni che piangi ma lei per molto è stata l’amore; è perché la musica è una scienza meravigliosamente inesatta e forse non avrà molti pregi ma almeno non ha mai fatto male a nessuno;è per tutte quelle serate finite male, per gli amplificatori da smontare alle due, tre del mattino, col freddo e morti di sonno ma felici, e tutto per cosa, solo per la musica, senza il becco d’un quattrino; e magari non c’era molta gente ma tante volte anche se non c’è nessuno si suona solo per un paio di tacchi rossi appena intravisti; per il sorso di Jäger che ti aspetta a casa prima di dormire e già è tanto;è perché la musica è d’assenza o per essere un po’ più vicini, solo un po’ più vicini; la musica è stata quella notte d’estate in una spiaggia del sud della Francia, io e un olandese di trent’anni più vecchio almeno, con due chitarre e non riuscivamo a parlarci per nulla, ma suonavamo le stesse canzoni di Hendrix; ecco cos’è la musica ed è per questo che se ne scrive; è per chi è disposto a fare una nottata di macchina per otto minuti d’un brano soltanto e chi ti finisce a suon di gin tonic; è per tutto ciò che ricorda e promette; per ciò che riporta;e l’amicizia; è stata una canzone che ti ha fatto prendere la decisione giusta, che ti ha fatto dimenticare quelle sbagliate; era sempre una canzone quella che qualcuno ti ha insegnato e che tu hai cantato sapendo di doverglielo perché era il tuo posto, il posto che a te dalla nascita spettava tra tutti, ed allora la musica è stata la giustizia ed il vero saluto, l’ultimo; perché la musica è tutta una strada un popolo una storia e tu con essi; ed in fondo ogni musica esiste già, da qualche parte è già scritta ed il musicista non fa che coglierla;è per questo che scrivi di musica, per dare la tua buonanotte a qualcuno o qualcosa, per mantenerlo in vita, per dare un senso al tempo costringendolo in battute e così, alla fine, essere libero – e lei non ha nient’altro da offrire;perché cosa ti piace di più nella musica? Tanto per cominciare, tutto.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

Scrivere dimusica

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Sconfinare Dicembre 200812Scripta Manent Il racconto breve di Tommaso

Se una notte d’inverno un viaggiatore...Uomo nel buio - Paul AusterTitolo originale:Man in the darkRomanzo, Stati Uniti, 2008,152 pp., EinaudiAugust Brill, noto critico letterario, è co-stretto a letto a seguito di un incidente stra-dale. Non riesce ad addormentarsi e allora lui, che per tutta la sua vita ha letto storie di altri, decide di passare il tempo crean-dosele. Dal 21/03 al 04/04 Auster sarà il protagonista della XV edizione di Dedica festival, a Pordenone.Il nuovo romanzo di Paul Auster, Uomo nel buio, è così convincente nell' evocare lo stato di insonnia che, almeno che non siate asausti, partecipereste molto volen-tieri alla colazione della penultima pagina: "uova strapazzate, bacon, pane fritto, frit-telle, non ci si fa mancare niente"!Arrivato a questo punto, il lettore è soprav-vissuto non solo ad una normale notte di insonnia, ma anche ad una notte dell' ani-ma, nera come la pece.Nel 2007, il settantaduenne August Brill giace sul suo letto nel Vermont, a casa di sua figlia. La loro è una casa di anime pro-fondamente ferite: Brill ha perso la moglie e si è frantumato una gamba in un inciden-te stradale; sua figlia Miriam è sui 50 ed è divorziata; sua nipote Katya ha 23 anni ed ha da poco subito una perdita. Tutti loro cercano di dormire da soli.Per non pensare al suo dolore personale o a quello della sua famiglia, Brill si rac-conta la storia di un mondo parallelo nel quale l' America non è in guerra contro il terrorismo, ma contro se stessa. In questa America parallela, in cui le Twin Towers sono ancora al loro posto e non esiste alcu-na guerra in Iraq, c'è stata una secessione dalla federazione da parte di 16 stati demo-cratici a seguito della illegittima elezione di Bush nel 2000. New York è stata bom-bardata, 80 mila individui sono morti, e nel Paese infuria la guerra civile.In questo mondo parallelo il protagonista è

Owen Brick, un giovane prestigiatore che si trova per caso nella condizione di essere stato trasportato contro la sua volontà da un' America all' altra. Si sveglia all' inter-no di una fossa nel terreno e tutto intorno a lui sente spari e urla di gente terrificata. Per la prima volta ha veramente paura di morire. Auster utilizza tecniche post-mo-derne per riflettere sulla pazza logica degli incubi. A Brick viene ordinato di trovare e uccidere Brill per far finire la guerra che è cominciata e sta continuando solo perchè un vecchio, scontento della sua vita, la sta immaginando.Ma è Auster, ora sessantu-nenne, non Brill, il bastardo che fa esistere gli orrori della guerra. I tentativi di Brill di distrarsi hanno poco successo. Continua a pensare a sua moglie deceduta, ai dolori della figlia e della nipote. Guarda film con Katya che, prima della morte del suo ragaz-zo, studiava cinematografia.Poco prima dell' alba Katya, che non ri-esce a prendere sonno, entra nella stanza del nonno. Comunemente insonni, parlano francamente delle rispettive vite. Possono parlare di tutto, aprirsi completamente a vi-cenda. Ma ciò di cui non parlano - non pos-sono parlarne!- è il video della decapitazio-ne di Titus, il ragazzo di Katya, assassinato in Iraq per mano di un manipolo di "terro-risti". I tre inquilini l' hanno guardato quel video e lo continueranno a vedere, perchè lo devono alla vittima di quell' insensata violenza, per accompagnarlo in quel buio spietato che l'ha inghiottita.Sarebbe un romanzo molto più irritante se, leggendolo, non si continuasse a sentire il dolore che male si nasconde dietro alla scherzosità dei toni. I personaggi di Auster sanno che la solidarietà e la compagnia sono ciò che più desideriamo in momenti di dolore e di insonnia. Un romanzo da leg-gere e meditare.

Alessandro [email protected]

"Madame Michel ha l'eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti". Ecco come Renée Michel viene descritta da Palma Josse. Sono queste le due protagoniste del romanzo “L’eleganza del Riccio”, seconda opera (la prima è “Estasi culinarie”) di Barbery Mu-riel: Renée è la portinaia del palazzo al nu-mero 7 di Rue de Grenelle, Pamela invece è la figlia dodicenne di una ricca famiglia che vi abita. Due mondi apparentemente diver-si e distanti, senza punti di incontro. Ma in realtà entrambe, anche se in modo diverso, nascondono la propria natura per sottrarsi a una realtà che ritengono vacua, è come se non volessero essere contaminate da ciò che le circonda. Renèè ricalca esteriormente e volutamente lo stereotipo della portinaia sciatta e ignorante, mentre internamente è un’entusiasta studiosa, amante dell’arte e della cultura giapponese. Paloma limita le proprie capacità sia a scuola che in famiglia, disprezza il mondo intorno a sè, e non aven-

do ancora trovato una cosa per cui valga la pena vivere, ha programmato il suicidio per il giorno del suo compleanno. Queste due anime sole vengono smascherate e poi fatte incontrare da un terzo personaggio, Mon-sieur Kakiro Ozu (omonimo del regista giapponese), che entrerà nelle loro vite no-nostante un tentativo di resistenza iniziale. Fino ad un finale improvviso e, almeno per me, non scontato. Il libro non risulta quasi mai banale ed è di per sé molto scorrevole, grazie al racconto in prima persona che si alterna tra i punti di vista delle due protago-niste Oltre a quello (già però strausato) che essere e apparire non sono la stessa cosa, molti sono inoltre gli spunti di riflessione che spesso emergono anche grazie a frasi lunghe e ad effetto. Una delle mie preferite la seguente, pronunciata da Renée: “Dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire oppu-re nelle piccole che, senza nessuna pretesa, sanno incastonare nell'attimo una gemma di infinito?”. Buona lettura!

Lisa [email protected]

L’eleganza del riccio Muriel Barbery

Cari lettori, quanto segue non è un arti-colo, ma il primo episodio di una storia a puntate che - se, con il vostro gradimento, sosterrete - avrei intenzione di pubblicare d’ora in avanti in questa rubrica. Essendo questo una progetto in itinere, attendo con trepidazione vostri commenti, suggerimenti e spunti per proseguire il mio lavoro. Buona lettura!

Episodio 1 – Il risveglioPaolo non sapeva bene come avesse fatto a trovarsi lì. La sua mente era annebbiata. Non vedeva bene. Sebbene i suoi occhi fos-sero aperti, era come se ci fosse un muro di nebbia. Tentò di alzarsi, ma non ci riu-scì. Dov’era? Perché non riusciva a vede-re? Pian piano, la nebbia nei suoi occhi si diradò. Era pieno giorno. Una luce intensa per un attimo gli ferì gli occhi. Proveniva da un’ampia vetrata, inondando la stanza. Era una luce dorata, ma tenue, non sicuramente potente come quella di una calda giornata estiva. Si accorse di essere seduto per terra, con la schiena appoggiata verso il muro.Cercò di alzarsi, ma solo con fatica vi riuscì,

sostenendosi alla parete bianca. Sentiva in sé un dolore soffuso... Accennò un passo, ma delle fitte laceranti lo bloccarono a metà, facendolo ritornare malamente appoggiato. Tutti i muscoli gli facevano un gran male: come se lo avessero bastonato. Per il mo-mento, camminare sarebbe stato troppo fati-coso. Iniziò ad osservare intorno a sé. C’era da un lato, sulla sinistra, una lunga vetrata, oltre la quale si vedeva un ampio terrazzo, raggiungibile tramite una porta-finestra sul fondo della stanza. Varie piante lo decora-vano con i colori delle loro foglie, anche se molte di queste erano ormai a terra. Dall’al-tro lato, dietro un angolo, poteva intravve-dere un elegante tavolo da pranzo in vetro con delle sedie di metallo e un sofà bianco, una lampada su un tavolino. Che strano...quel luogo gli era familiare... perché? Pro-vava un’inquietante sensazione: anche se non aveva piena visuale su quel lato della stanza, sentiva, però, che qualcosa non era come doveva essere.Una brezza fredda lo fece rabbrividire: la porta finestra era aperta. Il dolore lo aveva abbandonato un poco... forse sarebbe riu-scito a camminare. Lentamente, si avviò verso l’ingresso della terrazza.Concentrò le sue energie nel muoversi, fino a raggiungere l’altro lato della stanza. Af-faticato, si appoggiò al vetro, con il viso rivolto verso il centro della stanza. Quello era il soggiorno di casa sua! Ma, cosa era successo? I cuscini del divano erano in completo disordine: uno da un lato, strappato e svuotato del suo contenuto – che si trovava tutt’intorno – mentre l’altro era dall’altro lato della stanza. La lampada, in-vece, si trovava ancora dove doveva essere, ma era tutta incrinata:che fosse stata raccol-ta da terra? Si mise una mano alla tempia. Gli stava venendo un terribile mal di testa; un’incessante serie di pulsazioni alla tempia che non gli permettevano di riflettere. For-se, se avesse chiuso la finestra, sarebbe stato meglio. Chiuse la porta finestra. Quando, però, tolse la mano dalla maniglia, scoprì con orribile sorpresa che era macchiata di sangue. La vista del sangue peggiorò im-mediatamente il suo mal di testa: la stan-za iniziò ad oscillare. Si ritrovò di nuovo per terra, colto dal panico: che diavolo era successo in casa sua?! Chiuse gli occhi per cercare di riprendersi, respirando a fondo mentre provava a fare quiete nella sua men-te sconvolta. Continuò così finché il mal di testa non gli diede tregua. Quando aprì nuo-vamente gli occhi non avrebbe mai saputo dire quanto tempo fosse passato all’incirca - se non fosse stato per il fatto che la luce era cambiata molto rispetto a quando li aveva chiusi. Doveva essere l’ora del tramonto.Sentiva in bocca il sapore del sangue. Si portò una mano al volto e ben presto capì che era perché la sua tempia sanguinava. Aveva ricevuto forse un colpo in testa? Si accorse di una porta leggermente socchiusa, che prima non aveva notato. Questa volta si rialzò con più facilità e, ansioso per ciò che avrebbe potuto trovarvi al di là, pose la mano tremante sulla maniglia...la scena che vide spazzò via in una sola folata di vento tutta la nebbia che aveva gravato sulla sua mente: Bianca distesa sul letto, morta.

Tommaso [email protected]

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Sconfinare2008 Dicembre 13Scripta Manent

Il bottone di Puškin è una moderna ver-sione de “I dolori del giovane Werther”. Di inventato però non c’è niente. Aleksandr Sergeevic Puškin perse la vita in duello e non suicidandosi, è vero. Ma il suo duello era catartico: vincerlo avrebbe sig-nificato per lui rinascere, mettere fine agli odiosi pettegolezzi che giravano sul conto della bellissima moglie, Natal’ja, e sul suo presunto amante, Georges D’Anthes. Perd-erlo avrebbe significato morire, lasciarsi alle spalle i debiti contratti con gli strozzi-ni, l’aristocrazia russa che non riusciva proprio a comprenderlo, l’impossibilità di andarsene da quella Russia che riusciva ad amare tanto e ad odiare altrettanto, la cen-sura che lo Zar apponeva personalmente sulle sue opere e, appunto, sui suoi movi-menti.Morì il 29/01/1837, lasciando anche quat-tro figli, oltre alla moglie (ai quali però lo Zar garantirà dei cospicui vitalizi), i pochi veri amici e migliaia di ammiratori che il giorno del suo funerale si riversarono per strada manifestando il loro disprezzo per il francese che si era sporcato le mani col sangue del “sole di Russia” e addirittura per i medici che non erano stati in grado di curare “l’uomo più intelligente di Russia”, come lo definì lo Zar Nicola I dopo un col-loquio privato col poeta stesso.Un uomo la cui intelligenza fu plagiata da un odio viscerale per D’Anthes e per ciò che ai suoi occhi rappresentava: ignoranza, grettezza, spacconeria, frivolezza, i tratti caratteristici degli esponenti dei salotti e delle sale da ballo di San Pietroburgo. La sua sfida a duello era rivolta a D’Anthes, ma era rivolta anche e soprattutto a ciò che D’Anthes rappresentava: l’establishment nobiliare russo. La testimonianza indiretta

ci arriva dal fatto che la maggior parte di questo establishment tifava per D’Anthes, ma la prova più inconfutabile consiste nell’amore del poeta per la moglie: Puškin infatti non smise un attimo di amare pro-fondamente e intensamente sua moglie, della cui fedeltà non dubitò mai, nemmeno per un istante, a riprova del fatto che clas-sificò come semplici calunnie le accuse di infedeltà a lei rivolte. Quando un suo amico che lo assisteva al capez-zale gli consigliò di urlare per placare il dolore, lui rispose che urlando avreb-be turbato Natal’ja. Puškin la sapeva innocente; l’unica colpa che sentiva di attribuirle era quella di aver ceduto alla sua frivolezza, as-secondando gli sguardi e le parole di D’Anthes. Se fosse vissuto ab-bastanza per leg-gere il libro che Vi-tale ha scritto sulla sua morte (divertente paradosso), avrebbe trovato conferma della fedeltà della sua Taša nelle parole del suo assassino, il quale, interrogato in proposito molti anni dopo da un amico, rispose che Natal’ja fu l’unica donna che amò, ma an-che l’unica che non gli si concedette mai (e noi ce ne rallegriamo, scellerato france-sucolo).Rimane incredibile il personaggio Puškin: un uomo che della sua vita fece, come By-

ron, un’opera d’arte. La sua morte ricorda molto quella del Lenskij da lui inventato anni prima e inserito nell’Evgenij On-ieghin: poeta che sfida il donnaiolo Evgenij per l’amore e l’onore di Olga. Gli esempi della sua artistica premonizione riguardo la sua morte si sprecherebbero, ma mi è sempre piaciuto molto il duello tra Silvio

e il Conte ne “Il colpo di pistola”: Silvio vuole intensamente uccidere il Conte, ma questi lo os-serva mangiando ciliegie mentre si trova sotto tiro: esattamente come fece Puškin anni prima con un suo caro amico (poi morto Decabrista dopo la rivoluzione del 12/1825) che lo sfidò a duello.L’autrice di questo giallo storico epis-tolare è Serena Vi-tale, insegnante di lingua e letteratura russa all’Università

Cattolica di Milano, già curatrice e tradut-trice di molte opere di Puškin. Vitale, per riuscire a fornirci una così dettagliata ed esaustiva analisi di fatti e leggende che pre-cedettero e seguirono la morte di Puškin, ha compiuto anni di ricerche tra archivi privati di famiglie aristocratiche, negli archivi dei ministeri degli esteri di molti paesi europei, nelle biblioteche, spulciando migliaia di pagine in lettere, dispacci dip-lomatici, carte giudiziarie, studi di storici e

annalisti, racconti e confessioni postume in francese, russo, tedesco e italiano. Non si può non rimanere ammirati di fronte a tan-ta caparbietà, tanta solerzia nello svolgere una ricerca su una vicenda che in Russia è considerata tutt’altro che chiusa. La prosa di Vitale è complessa, paratat-tica fino all’eccesso, ma adeguata all’arduo scopo che si prefigge: mettere cioè ordine alla documentazione che riguarda il duello Puškin-D’Anthes. La difficoltà nella comp-rensione della vicenda è legata infatti anche all’estrema disomogeneità dei contenuti delle fonti a cui l’autrice fa riferimento, ma è una difficoltà molto limitata dalla chiar-ezza con cui Vitale pone domande e offre risposte, il tutto seguendo criteri storiogra-fici ineccepibili: le fonti sono documentate, le conclusioni a cui giunge l’autrice sono precedute da un “ipotizziamo” e comunque mai prese come dogmi e per definitiva-mente vere, tutti i ragionamenti condotti sono motivati e risultano quindi più che plausibili in termini logici: ciò che rende il libro una vera e propria indagine scien-tifica. Per chi ama la letteratura russa: Tolstoj, Gogol’, Lermontov, Turgenev... questo li-bro è per voi. i personaggi evocati diretta-mente dalle lettere impolverate consultate dalla Vitale sono quelli in mezzo a cui que-gli stessi artisti sono vissuti, gli stessi che hanno odiato, amato, deriso, a causa dei quali si sono sentiti frustrati. Così come Aleksandr Sergeevic Puškin, primo tra i poeti di Russia.

Edoardo Da [email protected]

Il Bottone di Puškin – Serena Vitale

Norwegian Wood. Tokyo BluesMurakami Haruki

“I once had a girl or should I say she once had me…” No, non cantare quella canzo-ne lei ne potrebbe soffrire. Cantala solo se ti donerà uno yen.Come anime sole passeggiano Watanabe e Naoko. Conoscono assieme una capi-tale disincantata. Non parlano del loro Kizuki. Non parlano. Camminano. Vagano. Lei ad un tratto spa-risce. Ancora il suo fermaglio a forma di farfalla continua a raccoglierle i capelli, scoprendo il suo viso così puro. Ma lontano dalla città. Naoko ora tenta di fare i conti con la propria fol-lia mentre la natura fiorisce il suo corpo di una bellezza ineguagliabile. Watanabe le fa visita. Le sta vicino. Sicuro di poter-la guarire. Ascolta ancora a Kind of Blue. Forte, vicino alla sua fragilità.E poi c’è lei, Midori. Un pò eccentrica, un pò infantile. Vitale. Disinibita. Trasci-natrice. Vive in un mondo immaginario

per scappare anch’essa da una realtà av-versa. Watanabe la segue, le sta vicino.Watanabe al centro, come il giovane Holden dickensiano. Attratto dalla pecu-liarietà di entrambe. Diviso tra le due ra-gazze. Nella costante paura di commette-re errori, analizza criticamente sé stesso

rimanendo ligio alla propria etica. Recide ogni rapporto con la realtà rifiutando l’ipo-crisia del quotidiano.In una Tokyo di fine anni Sessanta, manife-stazioni studentesche

fanno da sfondo come eventi ammutoliti alla storia del giovane Watanabe Toru. Una capitale sorda al grido dell’intima sofferenza in cui il dolore si presenta nel-le sue forme più varie. Nel suo romanzo più introspettivo Murakami Haruki sten-de silenziosamente il velo della malinco-nia. Nessuna piega. L’autore dona voce ad una sensibilità inespressa.Una colonna sonora che accompagna lo

scorrere seducente delle pagine. I Beat-les a cantare per i protagonisti. Questo è il blues di Tokyo, note di nostalgia e tri-stezza. L’esperienza della morte permea la lettura. “La morte non era più qual-cosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere”. Il legame indissolubile tra vita e morte deciderà per il giovane protagoni-sta mentre quello che rimane al lettore è la compresione del tutto e del nulla. E i ricordi di un passato irrecuperabile.

“..and when I awoke I was alone this bird had flown/ so I lit a fire isn’t it good, Nor-wegian wood”. Murakami HarukiNorwegian Wood. Tokyo BluesEinaudi Tascabilipp 379

Nicoletta [email protected]

La morte volontaria di Kizuki. Il difficile passag-gio all’età adulta. Capire

Tokyo.

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Stile Libero Biennale di Venezia Architettura 2008Fa freddo a Venezia a no-

vembre. Se in più ci metti il vento si gela. Se poi ci aggiungi i padiglioni, delle varie nazioni espositive, con le porte aperte l’ esperienza è da polo nord. Eravamo anche vestiti poco il giorno della chiusura della Biennale architettura 2008. Ma, nonostante i piedi congelati e il naso rosso, abbiamo co-munque apprezzato le esposizioni. Sembra non sia piaciuta a molti del mestiere questa Architecture Beyond Building; noi invece ci siamo divertiti! Secondo Aaron Betsky, il curatore di quest’ edizione, l’ architettura non va identificata nell’ atto del costruire ma “l’architettura è un modo di rappresentare, dare forma e forse anche offrire alternative critiche all’ambiente umano”.E la Bienna-le di Venezia si offre come palcoscenico di una disciplina che non si vuole più presen-tare nei suoi tradizionali termini di scienza, ma si è auto-eletta arte: oltrepassata la sua dimensione funzionale, adesso comprende in sé una valenza espressiva ed eloquente. L’edificio è ora un medium il cui monito manifesta concezioni e bisogni della società che lo genera. L’architettura deve imparare ad utilizzare il territorio con saggezza. Deve dare al cittadino i mezzi per poter relazio-narsi con il mondo in cui vive, deve farlo sentire a proprio agio e connetterlo in un tessuto economico, sociale e fisico. E’ for-se necessario costruire tutto il costruibile o possiamo fare a meno di qualcosa? Sarebbe forse meglio vivere in uno spazio decelera-to, dove gli orpelli e l’ architettura utopica sono eliminati, dove ci si possa sentire più a casa. Il continuo movimento di beni, per-sone e informazioni probabilmente ci toglie il terreno da sotto i piedi: c’è bisogno di un ritorno alla stabilità. E la stabilità si ha in scenari di vita in comune, dove gruppi di persone partecipano collettivamente alla so-luzione dei problemi non solo globali, ma anche dei nostri piccoli microcosmi. Dopo molti anni, in cui l’architettura ha propo-sto idee utopiche, finalmente gli addetti ai lavori cercano di proporre soluzioni ai pro-blemi contingenti, e sperimentando nella realtà trovano soluzioni concrete. I padi-glioni danese e americano, che più abbiamo apprezzato, rientrano in questa categoria. Danimarca. Ecotopedia - walk the talk af-frontava il tema della sostenibilità e del ruo-lo centrale rivestito dalle città in materia di sfida al mutamento climatico globale. Se la maggiorparte dell’ inquinamento da CO2 proviene dalle città, è da queste che occorre partire per la creazione di soluzioni soste-nibili. Erano presenti progetti partecipanti al progetto UN Global Compact, Patto di responsabilità sociale globale, istituito dall’ ONU per formare una comunità umana glo-bale. Era presente anche Sustainable Cities, un progetto del Danish Architecture Centre: un database globale attraverso il quale vi-sionare tutti i migliori progetti ecososteni-bili realizzati in tutto il mondo. L’iniziativa Better Place è invece finalizzata all’ indivi-duazione di nuovi sistemi di trasporto che riducano drasticamente le emissioni di CO2. cop15.dk - sustainablecities.dk - unglobal-compact.comUSA. Into the Open: Positioning Practice racconta di come gli architetti rivendicano un proprio ruolo nel plasmare la comunità e l’ ambiente costruito, mettendo in primo piano la loro relazione con la comparteci-

pazione dei cittadini. Come rispondono le opere architettoniche alle condizioni socia-li? Occorre mettere in discussione “i modi tradizionali di concepire l’architettura, dai mutamenti nei dati demografici socio-cul-turali ai cambiamenti dei confini geopoli-tici, dal divario nello sviluppo economico all’esplosione della migrazione e dell’urba-nizzazione, per sostenere allo stesso tempo una concezione allargata della pratica e del-la responsabilità architettonica”. theparcfoundation.org - slought.orgPer il padiglione polacco invece l’approccio al tema è differente: la concezione di archi-tettura legata all’ edificazione è sorpassata con slancio sicuro, eccentrico e assoluta-mente innovativo. Tanto da valergli il Le-one d’Oro per la migliore Partecipazione nazionale. POLONIA. Hotel Polonia. The Afterlife of Buildings ospita una sequenza di fotogra-fie digitali ritoccate dall’immaginazione di Nicolas Grospierre e Kobas Laksa , che ac-compagnano lo spettatore in città apparen-temente comuni in cui si scorgono elementi estranei, siano essi possibili o fantastici. La nuova idea che sottende al costruire impli-ca anche un impegno intellettuale , perché ora nulla è scontato. Questo sforzo razio-nale corrisponde poi ad un compito concre-to, che gli architetti polacchi suggeriscono inscenando immagini shockanti, percepite come una minaccia. Così se non poniamo la dovuta attenzione allo stile di vita che con-duciamo, e che pretendiamo di adottare ad oltranza, assume tratti sempre più realistici la prospettiva di abitare in aree urbane ri-gurgitanti avanzi; allo stesso modo possia-mo prevedere di condividere le nostre strade con i draghi – la coincidenza tra i mammiferi del Medioevo e la sovrabbondanza di rifiu-ti è intuibile. No? Certo saltellando da una nazione all’altra è legittimo fare un’umile auto-valutazione e chiedersi se noi, comuni cittadini assolutamente non esperti di archi-tettura, possiamo aver realmente fruito della mostra. La risposta è affermativa: il nostro entusiasmo non pareggiava quello dei colle-ghi aspiranti architetti, chiaramente distin-guibili tra i molti visitatori, ma parecchie delle opere presentate si sono rivelate com-prensibili, interessanti e pure utili, anche agli occhi dei “non addetti ai lavori”. Voto positivo quindi all’ Undicesima Mostra In-ternazionale di Architettura.

Alessandro Battiston,Cinzia Della Giacoma

[email protected]

Sconfinare Dicembre 200814

Lui si definisce “cittadino di serie zeta, un diver-so che crede alla diversità come l’accesso al ge-nio”. Dall’opi-nione pubblica è definito satanista, ribelle, folle, as-sassino anche se la giustizia non è riuscito finora ad incastrarlo. Sto parlando di Marco Dimitri, colui che nel 1982 ha fonda-to l’associazione culturale “Bam-bini di Satana” e che ha la sua base principale a Bolo-gna. Non si tratta di una setta… è semplicemente un gruppo che il dia-volo stesso ha ge-nerato: ciascuno infatti, a detta di Dimitri, è il male quando prende consapevolezza di sé stesso. L’essere umano è al centro di tutto: delle arti, della musica e della scienza, è fondamental-mente l’antagonista illuminista della chiu-sura medievale. Difatti, all’interno dell’as-sociazione, si cerca sempre di evitare ogni superstizione e rituali “tipici” del Satanismo classico, considerato alla stregua di qualsia-si altra religione. E’ la Chiesa, in particolare quella cattolica, che fa terrorismo psicolo-gico tra le genti, prefigurando un’eventuale possessione in caso di “mancato adempi-mento” dei precetti direttamente impartiti da Gesù Cristo; potenzialmente ogni uomo conterrebbe in sé Satana, che non è necessa-riamente male. Il male, come afferma Dimi-tri in un’intervista, infatti, è commesso dalle istituzioni e lo si riscontra nella negazione dei diritti, nella discriminazione ideologica: è “negare l’accesso alla partecipazione”. Da certe sue affermazioni in effetti “l’angelo ribelle” sembra peccare di “eccesso di de-

Bambini di Satana e il suo creatore, Marco Dimitri

Una forma alternativa di satanismo

mocrazia”, sostenendo la libertà di stampa, di pensiero e in particolare di espressione: nessun gruppo dovrebbe esser messo a ta-cere, tantomeno i “Bambini di Satana”, che, a giudicare dal loro blog, sembrano essere molto… normali. C’è anche della cronaca al suo interno, dalla cui lettura non trapela alcunché: né l’orientamento politico, tan-tomeno quello “religioso”. Cronaca, punto. Quasi ad affermare a tutti i costi l’assoluta normalità del gruppo. Anche l’iniziazione avviene “legalmente” e “semplicemente”: si tratta di un’iscrizione, che può essere fatta anche online, e che non è vincolante a vita. Si può uscire dal gruppo in qualsiasi mo-mento e senza conseguenze “fatali”… quel-lo che invece accade nelle più diffuse sette sataniche. Tuttavia, come ho detto poc’anzi, i problemi con la legge ci sono stati: accu-sati di pedofilia, possesso di hashish, messe nere e via discorrendo… Marco Dimitri è stato persino in carcere, anche se per poco tempo e, a detta sua, ingiustamente. Si è sentito perseguitato dalla società e dalla po-litica solo perché ha sempre fatto dell’infor-mazione “corretta”. Talvolta si reputa anche un paladino della legge, denunciando mali e fratture italiane, e autoproclamandosi “paz-zo di sé stesso” e “vincente” nella sua poe-sia “Impeto”. Un po’ megalomane, un po’ “superuomo”, Dimitri spesso è ospite nei più importati salotti televisivi e non, e su di lui ci sono fior fior di articoli ed interviste. Il gruppo fondamentalmente ha conosciuto un notevole successo grazie alla sua personali-tà, carismatica e ammaliante.

Federica [email protected]

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BOHINJSKA ŽELEZNICADograditev železnice leta 1906 je bil zaključek dolgoletnega proce-sa, ki je obnovil prometno mrežo, ki je povezovala Gorico z ostalimi deli cesarstva. Proces se je začel nekaj let prej, ko so prišli v Gori-co C.V.Czoering, funkcionar, ki je imel nalogo preveriti vse možnosti, ki bi omogočale razvoj tega dela »Kustenlanda« in družina nemškega izvora Ritter. Slednja je izbrala Go-rico za sedež svojih dejavnosti. Izbi-ra je imela izredni pomen za Gorico, saj so Ritterjevi pritiskali na cesar-sko oblast, da bi Južna železnica, ki bi povezovala Dunaj s Trstom in ki jo je finansirala družina Rothscild, pelja- la mimo Gorice. Razlogza to zahtevo je bila potreba pove-zav za dostavo izdelkov in trgo-vanje s Trstom ter drugimi centri Avstro-Ogrskege. Do tega je prišlo

leta 1860. Zgraditev železnice pa je povzročila določene urbanistične spremembe. Železnico je bilo tre-ba povezati z estnim središčem in tako je nastala cesta, ki danes ni nič drugega kot znameniti »Corso Ita-lia« oz. Najpomembnejša ulica, ki pelje skozi mesto. Južna železnica ni zadostvovala novim potrebam po sodobnejših povezavah za trgovanje. Železnica sama je pospešila trgovan-je ne samo družine Ritter, temveč cele vrste manjših in večjih trgov-cev in družb (obrtniki in proizvajalci vina) ki so se tako preselili v Gori-co in tu uspešno obratovali. Lokal-ne oblasti so razumele, da le nova železnica, ki bi peljala do Koroške, to je najvažnejšega trgovskega cen-tra za goriške trgovce in obrtnike, bi lahko bila kos povečanemu prometu. Ta železnica je današnja tako zvana

»Bohinjska železnica«, ki je prišla v Gorico šele leta 1906. Razlogi, da je bila zgrajena komaj na začetku 20. stoletja so bili tehnični problemi vezani na nedostopnost ozemlja, ki pa obenem nudi potniku lep razgled celotnega ozemlja. Železnica je bila pomemba avstrijskim oblastem ne samo zaradi ekonomskih razlogov temveč tudi vojaških,saj je dovolje-vala hiterpremik vojaških enot do meje z Ita-lijo. Ta poteza pa se je pozneja po-kazala za strateško zelo šibko točko, saj je postala med prvo svetovno vojno lahko dosegljiva tarča za ob-streljevanje. Leta 1906 pa je prihod železnice predstavljal za Gorico do-nos novihmoči in dohodkov z dograditvijo no-vih ulic in zgradb v neposredni bližini železniške postaje. Trgovci so tako

bili čim bližji postaji, kar je pozitiv-no vplivalo na trgovanje s Koroško. V čudni igri vsode je Gorica dosegla svoj višek le osem let pred vojno, po kateri so tu nastale nove meje, ki so odrezale Gorico od njenega zaledja in nenadoma vse te železniške pove-zave so bile neuporabne in zamanj. Vseeno do druge svetovne vojne so lokalni trgovci uporabljali del železnice za trgovanje z ozemljem ob Soči. Tudi to ni trajalo dolgo. Po drugi svetovni vojni pa je prišlo do novih sprememb, ki so onemogočile še to poslednje trgovanje in celo odrezale železnico od mesta za katerega je bila le-ta zgrajena.

Giangiacomo Della ChiesaPrevedel Samuele Zeriali

December 2008 IISconfinare

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Fojbe: nova imena, nove resniceBREZPLNCA ŠTEVILKA December 2008 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

1048 imen sestavlja seznam goriških deportirancev, ki ga je novogoriški župan Mirko Brulc izročil 12. de-cembra 2005 goriškemu županu Vit-toriju Brancatiju v imenu ministra za zunanje zadeve Dimitrija Rupla. Tri mesece pozneje, na začetku mar-ca, je te podatke dobila tudi goriška prefektura in so sedaj vsem dostop-ni. Seznam vsebuje imena vojakov, k a r a b i n j e r j e v, f i n a n č n i k o v , b a n č n i h f u n k c i o n a r j e v, p r o f e s o r j e v , učiteljev in mnogih drugih, ki so jih maja 1945 aretirale partizanske čete IX. korpusa, pod vodstvom poveljni-ka Bora, in odpeljale v Jugoslavijo od koder se niso več vrnili domov. Ni lahko izračunati točnega števila oseb,ki so bile deportirane, prav tako ni znano število tistih , ki jih je OZNA, varnostnoobveščevalna služba, usmrtila v taboriščih oz. fojbah. Povod tega, poleg želje po maščevanju zaradi hudega trpljen-ja, ki so ga povrzočili fašisti, je bil načrt komunističnih enot po nekaki nacrtovani poboji sovražnika. Parti-zani niso aretirali in deportirali samo fašistov, vojakov in tistih, ki so bili fašizmu naklonjeni, temveč tudi vse tiste Italijane in Slovence, ki bi lahko predstavljali zapreko pri ustanovitvi močne jugoslovanske države in pri aneksiji Furlanije-Julijske krajine. Seznam naj bi torej pripomogel, da bi tisti, dalj časa ignorirani in skriti tragični dogodki, bili razčiščeni in pravično obravnavani. Dokumenta-

cija, ki jo je zbrala in sestavila slo-venska zgodovinarka Nataša Ne-mec, vsebuje različne informacije o deportirancih: kraj in datum rojstva, poklic ali vojaški čin oz .datum in kraj aretacije;poleg tega dokazuje tudi, «da so bile aretacije opravljene glede na sezname, ki so bili pripra-

vljeni že leta 1944.» Primankuje pa najvažnejši podatek za potomce umr-lih, to je kraj smrti. Kraj, ki bi nudil možnost za zadnji pozdrav p r e m i n u l e m u očetu, bratu, možu, prija-telju. Seznam v glavnem ne prinaša novih i n f o r m a c i j : sorodniki in razni italijanski ter slovenski z g o d o v i n a r j i zatrjujejo, da je večina teh imen že znanih, medtem ko so nekatera napačno napisana ali nepo-polna. Zgodovinarka Nemec pravi, da je seznam, ki ga je sestavila še nepopoln; dodati bo treba še mnogo novih podatkov, saj so nekateri arhi-vi še nedostopni in najpomembnejši dokumenti bi lahko še bili v Beo-gradu.Nekateri so kritični tudi do

načina posredovanja podatkov, ki je vnel polemike. Polemike, ki so se-veda bile tudi predvidevane glede na obdobje v katerem je bil seznam objavljen, to je predvolilno obdobje. V Italiji bodo 9. in 10. aprila poteka-le politične volitve, medtem ko bodo proti koncu leta v Sloveniji admini-

strativne. Novogoriški župan meni, da bo to lahko oddalilo tisti del volil-cev, ki so še vezani na mit partizanst-va in zato podčrtuje, da je pobudnik izročitve seznama sam ministerDimitrij Rupel. Po drugi strani je mnenja, da izraža objava seznama v tem obdobju, voljo do strumenta-lizacije le-tega «v olitične namene». Župan Vittorio Brancati pa zatrjuje, da je izrecno prosil goriškega neou-staljenega prefekta Roberta Di Lo-renza (ki je dobil seznam po uradni izročitvi županu), naj se ž njim po-svetuje predno bi poslal seznam v objavo. To tega pa ni prišlo in Bran-cati se je tako obrnil do Brulca s prošnjo naj se začeti stiki in dialog

ne prekinejo. Dejstvo, da je seznam v rokah refekta,ki predstavlja vlado na lokalni rav-ni, ima tudi pozitivno plat: to, da je dokument prešel v roke slovenske in italijanske vlade bi lahko pome-nilo prvi korak k gradnji skupne obojestransko priznane zgodovnine. Glede tega, pa so se vnele še nove polemike in kritike. Zgodovinar Branko Marušič, svetovalec SAZU-ja, podčrtuje, da bi moral seznam biti izročen italijanskemu ministru za zunanje zadeve po običajnih di-plomatskih poteh. Način pa, ki je bil izbran za izročitev dokumenta, je delno izbrisal simbolični pomen, ki bi ga to dejanje lahko imelo. Istega mnenja je tudi italijanski zgodovi-nar Roberto Spazzali, avtor različnih del o fojbah, ki se sprašuje «kakšen je pomen obdržati to dokumentacijo samo v ožjem lokalnem krogu» in zatrjuje, da bi lahko azčistili zadevo le skupnipregledi in študije dokumentacije s strani profesionalnih zgodovinarjev.Zadeva je potekala tako(glede na natančnost zgodovinskih raziskav in na način predaje dokumenta), da je bil njen glavni povod le «zado-voljitev Italijanov». Ne glede na neizogibnost polemik v zvezi s tako občutljivim vprašanjem, vse to lahko predstavlja korak naprej pri grajenju dobrih odnosov, dialoga in sprave. Seznam ne more izbrisati gorja, ki so ga potrpele družine deportirancev, a nedvomno predstavla pomemben ko-rak RepublikeSlovenije ob vstopu v Evropo. «To je pomemben dogodek» je razložil goriški župan «to je znak, da se v tem malem mestu rušijo zidovi in pregra-de. Ne da se odstraniti nobene evrop-ske meje, predno se odstranijo meje, ki še živijo v spominih ljudi.»Athena Tomasini, Antonino FerraraPrevedel Samuele Zeriali