MADRETERRA NUMERO 36 - DICEMBRE 2012

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MADRETERRA NUMERO 36 - DICEMBRE 2012

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MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA

Anno III - N. 36 - DICEMBRE 2012

PALMI & DINTORNI

OMAGGIO

Ciao Madre Teresa...

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di Paolo Ventrice

L’EDITORIALE

Una piccola premessa è doverosa per po-ter avere chiari i concetti che ora an-

drò ad esprimere. Parlerò in prima persona, ma il parlare in prima persona non tragga in inganno i lettori. La mia “prima persona” comprende tutti coloro che hanno agito al mio fianco in questi tre anni e mezzo, Save-rio, Giuseppe, Walter, Pasquale, Cettina, Sal-vatore, Achille, Rocco, Dario, Enzo, Bruno, il nostro Direttore Francesco Massara, chi ha contribuito inizialmente, chi non c’è più, chi è arrivato da poco ecc. (in verità sono tanti, ma proprio tanti e tutte persone che non si scalderanno se non saranno citate, perché non vivono di protagonismo, ma sono stati, e sono essenzialmente, leali e laboriosi com-pagni di viaggio). La mia “prima persona” comprende anche gli articolisti, tutti, nes-suno escluso. Parlo in prima persona, quin-di, per nome e conto di un’unica famiglia: MADRETERRA.

Eccoci qua, dicembre 2012! Tre anni di MA-DRETERRA (tre anni e mezzo di lavoro) e ora, ahimè, dobbiamo dire STOP!

Si, stop! Perché? Stop per questo motivo… Stop per quel motivo…

No! La verità è: Stop per “Economia frit-ta”! Stop per “Crisi socio-economica”!

Ognuno ci metta il suo pensiero e dica la sua, ma io ho una certezza: “PALMI DI UNA GRAN COSA GODE E DI CUI NON SI AVRA’ MAI CRISI, E’ LA SUA CULTURA, LA SUA IDENTI-TA’ DI CITTA’ CULTURALE, IL SUO ESSERE NUCLEO CENTRALE DI STORIA, SAGGEZZA, FOLKLORE, ARTE, LEGGENDE.”

Per questo motivo sento la necessità di dire ad alta voce che questo giornale, fatto dai palmesi e dove chiunque, nei limiti della decenza, ha potuto esprimersi o dare consi-derazione, ad un evento, ad un personaggio, ad un pensiero, sia storico che attuale, è fi-glio di Palmi.

Un idea mi attanaglia da sempre, un pen-siero che emula un sogno: il sogno di vedere questo giornale in seno alla struttura che più determina il livello culturale di questa cit-tà: la “Casa della Cultura Leonìda Repaci”, non per meri motivi di raffinata egoisticità, ma perchè ritengo che il lago più pescoso, in Palmi, sia proprio essa, fonte inesauribile di storia e custode di miracoli culturali. Il posto giusto da dove scagliare la “pietra” della cul-tura e della nostra storia passata.

Proprio l’elemento culturale che oggi se-gna il passaggio indelebile di Leonìda Repa-ci, dovrebbe essere la culla di MADRETERRA, anche a dispetto di chi sosterrebbe il contra-rio e con, ovviamente, le dovute, debite, di-stanze dal pretendere che MADRETERRA sia

una forma culturale, neanche lontanamente, paragonabile a quelle che la casa-museo cu-stodisce. Il suo ruolo dovrebbe essere solo quello di divulgare il prezioso, inestimabile tesoro della storia di Palmi.

MADRETERRA era diventato un simbolo di questa città, qualcosa a cui non si poteva o voleva rinunciare, un’abitudine forse, una necessità addirittura e non perché lo sosten-go io, ma per via delle innumerevoli frasi di apprezzamento che ogni giorno ci giungono all’orecchio, per via delle centinaia, miglia-ia di mail, lettere, segnalazioni e richieste che negli anni abbiamo ricevuto da grandi e piccini.

Basta solo aprire un po’ di più gli occhi e cercare di osservare con un raggio visivo più ampio, forse scorgeremmo anche migliaia di palmesi fuori dalle “mura” della nostra città, assetati e pronti a nutrire l’insoddisfazione di vivere lontano con qualsiasi cosa abbia un sapore legato a questa terra. MADRETERRA era ed è frutto sapiente di Palmi, certamen-te orfano di tante madri (idee) e vuoto di tanti figli (pagine); avrebbe dovuto e potuto, forse, adattarsi meglio al territorio, affronta-re uomini, storie, argomenti diversi ed inte-grabili alle linee guida che si è sempre data, ma il lavoro di tutti noi e l’impegno quoti-diano, vi assicuro, sono stati sempre fonte di espressione, in assoluto, del miglior prodotto che in quel momento poteva venir fuori.

Oggi, nello scrivere questo editoriale, mi sforzo di assumere un distacco glaciale da questo “pezzo di carta” che chiamiamo gior-nale; non potrei, altrimenti, esprimere con-cetti obiettivi e non infettati da virus amo-revoli nei confronti di un qualcosa creato tre anni fa e curato con amore e passione fino ad oggi.

Gli sforzi fatti fino a qui, non bastano più. Purtroppo viviamo un momento di crisi eco-nomica che inficia la nostra società e non apre spiragli che possano cambiare, con tem-pistiche brevi, le cose. MADRETERRA, come tutti, soffre la crisi, ha un costo importante che fino ad oggi, in parte, è stato sostenuto da pochi inserzionisti pubblicitari. Questo è un meccanismo che, oggi, non funziona più; è un’equazione logica “Non si fa pubblicità perché manca il consumatore”. E’ impossibi-le stuzzicare l’appetito di chi non può man-giare, se non può, non può! Ecco, quindi la scelta, sofferta, di dare uno stop al giornale.

Ovviamente è uno stop a tempo indetermi-nato, rimane sempre la speranza di poter ri-cominciare, quanto prima, a secernere storia e cultura, a sottolineare momenti di gioia, ad esaltare la natura e lo spirito di Palmi.

Nell’attesa voglio, però, esprimere la mia più grande gratitudine a tutti coloro che han-no contribuito a fare di MADRETERRA quello che oggi è; un simbolo.

Per far ciò mi piace sottolineare qualche

aspetto e qualche aneddoto di questi tre anni e mezzo trascorsi assieme.

Quello che ritengo più importante di tut-ti è il fatto che nei primi mesi di uscita del giornale i punti di distribuzione (pochi, allo-ra, per la verità) non riuscivano a smaltire le copie con costanza e velocità. Piano piano, però, già dopo i primi 4-5 numeri, questo problema cominciò a trasformarsi esatta-mente nel problema opposto. Oggi, le copie di MADRETERRA, nonostante i punti di distri-buzione siano cresciuti, numericamente, in maniera importante e nonostante la tiratura sia rimasta sempre uguale, permangono nei punti di distribuzione solo 2-3 giorni al mas-simo. Questo è un successo incredibile come lo è anche quello della raccolta di tutti i nu-meri, quasi come una collezione, perfetta-mente adagiata nelle librerie di centinaia di palmesi, oppure la spasmodica richiesta che perviene da chi vive fuori, sia direttamente in redazione, sia tramite amici e parenti che vivono in città.

Anche la collaborazione di illustri nomi, palmesi e non, diventa una fonte di orgoglio immensa per noi, piccoli passionari dell’arte giornalistica, e fonte di orgoglio anche per la città, da sempre oggetto di scritti e pensieri, per via della sua immensa forma culturale.

Non voglio soffermarmi ancora sulle testi-monianze esterne e non voglio neanche es-sere un facilone, sottolineando solo ciò che è stato espressamente considerato positivo. E’ giusto anche ricordare che - fortunatamente pochissime volte - MADRETERRA ha anche su-bito denigrazioni gratuite e vigliacche emu-lazioni (anonime), critiche costruttive, ma anche distruttive, figlie di pensieri dell’im-possibile e fonti di fomenti da “Bastian con-trario”, attacchi diretti e indiretti, persino, nei suoi tre anni, di un tentativo di “scalata” (qualcuno, non molti mesi fa, ha cercato di poter entrare in possesso e direttamente ge-stire il giornale al fine di appropriarsi di un mercato di lettori vasto e importante).

Tutte storie tenute celate e gestite dai “so-liti noti” della Redazione che mai hanno avu-to nessun tipo di tentennamento nell’affron-tare qualsiasi anarchica contrapposizione.

Ritengo sia necessario, ora, poter espri-mere un mio piccolo pensiero che egoistica-mente voglio lasciare, prima di concludere quest’ultimo editoriale (per ora, spero) con qualche nome da ringraziare.

A dicembre 2009, nella preparazione del numero Zero di MADRETERRA, ho voluto ri-cordare un nome a cui non sono mai stato legato da frequentazione, ma che, comun-que, ho sempre ritenuto pedina fondamenta-le nell’ideale costruzione di questo giornale. Non c’è più questa persona e non c’era nean-che quando nacque MADRETERRA. Io, oggi, voglio ancora avere l’onore di ricordarlo; con una pagina su di lui aprimmo questa espe-

MADRETERRA

ULTIMO ATTO(Per ora)

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REGISTRAZIONE AL TRIB. DI PALMI Nr. 1 / 2010

Anno III - Numero 36 - Dicembre 2012 Direttore respons.: Francesco MassaraCoordinatore: Paolo VentriceCollaboratori di REDAZIONE di questo numero.

Saverio Petitto Walter CricrìCettina Angì Salvatore De FranciaNella Cannata Giuseppe Cricrì

Editore: Associazione Culturale MadreterrraSede Palmi-Via ss.18 km 485.30P.I. 02604200804

PALMI & DINTORNI

Cod. Fisc. 91016680802Mobile-Paolo Ventrice 335 6996255e-mail: [email protected]

Progetto Grafico: Saverio Petitto-Walter Cricrì-Paolo VentriceImpaginazione grafica: Paolo Ventrice Progetto e cura sito web:S. De Francia-D. Galletta Stampa: GLF sas -Via Timpone Schifariello Zona P.I.P. II Traversa-87012 Castrovillari (Cs)

rienza e con un suo ricordo ho intenzione di congelarla oggi. Ritengo superfluo disegnare aggettivi, basta solo il nome: Mario Bagalà.

Eccoci qua. E’ giunta l’ora dei saluti, la cosa più difficile.

Intanto, il grazie più grande è quello che rivolgo a tutti lettori, quelli sulla carta e quelli su internet; grazie di averci apprezza-to, grazie di averci spinto così lontano. Agli articolisti che hanno messo a disposizione gratuita la loro penna per un giornale sco-nosciuto, dire grazie non mi basta. La verità è che non ho parole per esprimere un senso di gratitudine che va ben al di la della gra-titudine stessa, e quindi non posso far altro che dirvi “Grazie, anche se grazie è poco”. Grazie al Direttore Francesco Massara, per-sona squisita e disponibilissima che ha dato un supporto fondamentale alla nascita ed al proseguo di MADRETERRA; ci ha messo la sua professionalità.

Alla redazione, infine, intesa come famiglia custode di un tesoro.

Non sarebbe giusto non ringraziare, uno

per uno, tutte le persone che la compongo-no e lavorano o hanno lavorato per essa, ma nell’arco di tre anni e mezzo, sono state tan-te le persone che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito e sarebbe facile per me dimenticare qualche nome. Ritengo giusto, però, dire grazie a coloro che fino alla fine sono stati vicini al giornale: grazie a CET-TINA ANGì (forse colei che ha fatto il lavoro più duro ed importante), a SAVERIO PETITTO (consigliere, amico, risorsa insostituibile), a GIUSEPPE CRICRì (ricercatore insaziabile di storia e cultura palmese), a PASQUALE FRI-SINA (grande e saggio consigliere), a WALTER CRICRì (voce ed energia pura), a ROCCO CA-DILE (infaticabile persona; cuore e voglia im-mense), a DARIO GALLETTA (per il suo sup-porto fondamentale nella la diffusione via Internet), a SALVATORE DE FRANCIA (senza parole per la sua correttezza e i suoi con-sigli), a ENZO AUDDINO (per la sua sempre costruttiva critica su “tutto”).

A voi tutti, lettori, articolisti, redazione, voglio dire: “SIGNORI SONO ONORATO!”.

Questo editoriale segna la fine di un’epo-ca, ma concludo dicendo che “la speranza è sempre l’ultima a morire e che ciò che non è morto vive ancora”.

MADRETERRA, non so quando e non so come, si risveglierà dal letargo in cui ades-so si pone ed io sarò lietissimo di rioccupare quel ruolo che ho ricoperto fino ad oggi, ma perchè ciò avvenga c’è bisogno di contribu-ti importanti, non basta più la passione per la penna e per Palmi, serve dell’altro. Serve ciò che un’economia difficile, come quella di oggi, riesce a dare col contagocce, serve ciò che una società in cui stanno, radicalmente, cambiando le priorità, stenta a dare.

Lo sforzo economico affrontato fin’ora è stato onere ed onore di pochi “folli”; doma-ni, quando un domani verrà, ci saranno altri “folli” a ridare linfa a questo giornale che non è un semplie giornale ma è: “U giornali i Parmi!!!”.

Così è nato, così sarà per sempre!

Buon natale e Felice 2013 a tutti.

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MERAVIGLIOSAMENTE PALMI

Foto - Serena Rizzitano

Foto - Alessio Marincola

Foto - Graziella Lazzoppina

Foto - Stefania Mannino

Foto - Silvia Mauro

Foto - Giusy Arena

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5Continua ad inviare le tue foto all’indirizzo

[email protected] NON FINISCE MAI DI STUPIRCI.

LASCIAMOCI STUPIRE ANCORA!

Foto - Antony Rizzitano

Foto - Giancarlo Pugliese

Foto - M. Stella Cavallaro

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In data 17 Ottobre 2012, si è svolta a Milano l’11° RGP 2012 (Re-ference Grand Prix) durante la quale sono stati premiati i lavori

più significativi realizzati nel corso dell’anno 2012 in tutto il mondo.Alla serata hanno partecipato, oltre al management della Mapei Ita-

lia, anche quello delle consociate di tutto il mondo che avevano delle referenze andate in finale. Infatti, tra le migliaia di lavori eseguiti nel mondo di tutte le linee, solo due lavori per ogni linea sono stati va-lutati e portati alla serata finale. Durante lo svolgimento della serata si sono dunque premiati tutte le referenze sia quelle che hanno vinto il primo premio che quelle che si sono aggiudicate comunque l’onore di andare in finale, tra cui per l’appunto il lavoro del Campo di Basket del Parco Parpagliolo che ha avuto l’onore di andare in finale con referenze come l’Olympic Stadium of London, vincitore del primo premio, quale migliore referenza nel mondo.

Ai finalisti della serata è stata rilasciata targa ricordo.

AnChe IL CAMPeTTO dI bASkeT dI PARCO PARPAGLIOLO AL

“ReFeRenCe GRAnd PRIx” dI MILAnO

In alto, la targa ricordo - al centro, il campetto nel giorno dell’inaugu-razione del Parco - In basso, Giuseppe Magazzù, coordinatore dei la-vori di Parco Parpagliolo e il dott. Felice Ciraolo responsabile Mapei.

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...Per una Città d’aMare

Disegno grafico stampato a tiratura limitata - 200 copie autografa-te dal Maestro Achille Cofano-, in distribuzione presso i soci PROME-TEUS, che serviranno a raccogliere i fondi necessari per il completa-mento dell’opera.

E’ iniziata veramente molto bene, con la grande generosità di don Mimmo Carrozza, la raccolta fondi, per la realiz-

zazione del “Monumento al pescatore”, che ha superato ogni previsione, considerato il particolare momento di crisi econo-mica che attanaglia le famiglie. Ad essere sincero, all’inizio di questa ennesima avventura, proposta dalla nostra associazione, ero seriamente preoccupato, sulla scelta del periodo di avvio della raccolta fondi, capitata in un momento economico poco felice, anche se, non esternavo agli amici dell’associazione que-sta mia perplessità, proprio per non spegnere il grande entu-siasmo che anima ogni loro azione. La crisi, la moltitudine di richieste di donazioni fatte da più parti, l’ubicazione dell’opera e l’avvicinarsi del Natale, con una successione di pagamenti erariali, mi creavano atroci dubbi sulla riuscita dell’iniziativa; considerato anche l’investimento finanziario necessario e l’ imponenza dell’ opera, che fanno del monumento, una delle più rilevanti opere bronzee mai realizzate nel nostro paese. Ma, ancora una volta, Il grande cuore della nostra gente, orgogliosa delle proprie radici e fiduciosa delle nostre azioni, mi ha tolto ogni preoccupazione, con una partecipazione e una generosità che fanno presagire un grande successo finale dell’iniziativa, consentendo così, la realizzazione del progetto, proposto dal talentuoso artista Achille Cofano. L’auspicio è, che questo bell’i-nizio possa proseguire e “contagiare” tantissimi altri donatori, al fine di sostenere la nostra opera di riqualificazione urbana, volta a rendere la nostra PALMI ancora più bella.

CON GRATITUDINE

Saverio Petitto Presidente Associazione Prometeus

InIzIata col “botto” la raccolta fondI per la

realIzzazIone del “MonuMento al pescatore”

ARCURI LELLOASSOC. “MARE AMICO”ASSOC. “PESCATORI DELLA TONNARA”ASSOC. DI QUARTIERE “PIETRENERE”AUDDINO ENZOAUGIMERI GUIDOBAGALA’ GIUSYBARBARO CARMELABARBERA CARMELABARONE ARCH.GIOVANNIBENFATTO ANNAMARIA & ERNESTOBOVI CRISTOFOROBRACCO GIUSEPPEBRUZZESE MATTIACALABRO’ GIUSEPPE & GIANLUCACALOGERO ALBERTOCAMERA ANTONIOCAMERA FRANCESCOCARATOZZOLO DOMENICOCARATOZZOLO FRANCESCO JUN.CARONE DOMENICOCARROZZA MIMMOCELI ANNACENTRO DI FORMAZIONE “D.ALIGHIERI”CHI.NE.TER ASSOCIAZIONECHOTEAU PASCALECIPRI LUIGICOFANO ACHILLECOMANDO VIGILI URBANI-STAFFCOSTA CONCETTA MARIACOSTANTINO GIOVANNICOSTANTINO SALVATORECRICRI’ GIUSEPPECRICRI’ WALTERD’AGOSTINO FRANCESCOD’AGOSTINO MARIA CONCETTADAVI’ GIUSEPPEDE FRANCIA ATTILIODE FRANCIA SALVATORE

DI CERTO MIMMADOMINICI PEPPINOEUGENIO SEMINARAFEBBO GIUSEPPEFONTANA PASQUALEFORTUGNO GAETANOFRANCONERI PASQUALEFRISINA PASQUALEGAGLIOTI FRANCOGALLETTA PASQUALE JUN.GARGANO ERNESTOGENTILE FRANCESCOGIORDANO FRANCOGRASSO DAVIDEGULLI’ ZINAIL GRANATORE DI ZAGARI SASINFANTINO ENZOIPPOLITO ARMINO PINOISOLA CARMELOISOLA SILVIAISTITUTO DANTE ALIGHIERILIONS CLUB PALMILONGO ANTONINA ANNALUPPINO FRANCAMADRETERRA ASSOCIAZIONEMAGAZZU’ ANTONINOMAGAZZU’ GIUSEPPEMALGERI ANTONIOMANAGO’ VINCENZOMIGLIARDI EMILIAMILITANO GIUSEPPENASTRI CARMINENIZZARI DOMENICOORLANDO TONINOPACE NATALEPALERMO DOMENICAPARDEO FRANCOPARDEO GAETANO

PARISI NINOPARRELLO CARMELAPATTI ANTONELLAPELLEGRINO DANIELE & SIMONAPETITTO ANTONIOPETITTO SAVERIOPIETRENERE COMITATO PIPINO DANIELAPIPINO ROBERTOPUGLIESE ALESSANDROPUGLIESE CARMELOPUGLIESE LAURAPUGLIESE SIMONARA.DI.SRLROMANO’ KETTYSAFFIOTI CATERINASAFFIOTI GIUSEPPESANTORO MARIA TERESASCARCELLA VINCENZOSCERRA FARMACIASCHIPILLITI CELESTESCHIPILLITI VALENTINASERRANO’ FRANCESCO SIMONETTA VINCENZOSOLANO DOMENICOSOLLEVANTE SNCSOPHIA SRLSPRIZZI NINI’SURACE CARMELOSURIANO MARIATRENTINELLA CATERINATRENTINELLA FRANCESCOVENTRICE ALBERTOVENTRICE LOREDANAVENTRICE PAOLOVENTRICE PASQUALEZINNATO EMANUELAZIRINO PASQUALE

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COLLEZIONE 2013

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COLLEZIONE 2013

Per InFO e APPUnTAMenTI - 0966 21529

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di Walter Cricrì

A CittAnovA, AspirAnti Chef e pAstiCCeri in erbA, insieme All’AltA CuCinA, per stupire Con piAtti e dolCi, All’insegnA dei prodotti del territorio.

Premio “Ristorazione Professionale”, dove l’arte e la cucina si coniugano per stupire e superare le frontiere del gusto; l’appuntamento si è svolto lunedì 26 novembre scorso, evento ormai di primo piano nel panorama nazionale della cucina da concorso. Inoltre 150 aspiranti chef e 70 pasticceri in erba si sono sfidati, per la conquista del V Trofeo Costa Viola.

UnA GIRAndOLA dI GUSTI In COMPeTIzIOne TRA I FORneLLI

Campo di sfida il Park Hotel “Uliveto Principessa” di Cittanova, per conquistare i trofei messi in palio. La giostra dei “giochi”

prevedeva, oltre alla competizione di cucina, anche effetti artistici: piatti da gustare pure con gli occhi e sculture ricavate da vegetali, formaggi, pane, pasticceria e …

Sfide gastronomiche a 360 gradi con l’elaborazione di piatti che, per essere ammessi al giudizio, dovevano avere originalità ma anche adeguati valori nutrizionali.

La carrellata delle attività è partita con la Gara di Ristorazione Professionale: competizione estemporanea di “cucina calda”, che ha affascinato, nella sua seconda edizione, un numeroso e interessato pubblico, come spettatori in un’arena di fumi e profumi, vapori e odori.

Ventidue i concorrenti che si sono succeduti, dandosi battaglia alla presenza dei giudici di gara: lo chef Antonio Chirico e il prof. Giusep-pe Strangi.

Erano 45 i minuti per cucinare e stupire. I minuti a disposizione per vincere la gara di Cucina Calda dal vivo. La straordinaria abilità dei cuochi, anche conterranei, è riuscita a esaltare il lato artistico della cucina, caratterizzata da grande varietà di stili e tradizioni.

Come ormai da consuetudine, la Rassegna dei professionisti è stata affiancata dal parallelo Trofeo “Costa Viola”; concorso a squadre, unico in tutta Italia, e riservato alle Scuole Alberghiere, giunto ormai alla sua quinta edizione. Conforme ai regolamenti dei professionisti, tutte le squadre degli studenti, accudite dai relativi docenti, hanno realizzato un menù completo, dall’antipasto al dolce.

Gli allievi degli Istituti Alberghieri si sono dati battaglia, davanti fornelli, per elaborare i piatti da alta cucina, utilizzando prodotti del territorio; primo fra tutti il bergamotto.

Piatti freddi e gelatinati che dovevano impressionare per la ricerca-tezza dei colori. La fantasia dei giovani cuochi in gara è andata oltre al puro e semplice gusto. “Queste gare servono per meglio esaltare ed arricchire, con nuove proposte, tutta la cucina calabrese tradizio-nale e d’avanguardia, mettendo in vetrina anche la ristorazione del nostro territorio”- sottolinea patron Sgrò.

Lavoro duro per la giuria..! Che ha assegnato punteggi anche in base al vino che veniva proposto per l’abbinamento con la pietanza e, nel caso di qualche piatto, anche con la birra naturalmente arti-gianale!

Altra sezione della gara: la pasticceria. Accostamenti di gusti e cromaticità di colori, tanto particolari e ricercati da poter essere paragonati ad una opera d’arte.

Nel volgere di poche ore è sorta dal nulla una straordinaria galleria di autentiche opere d’arte, in particolare nella sezione delle Scultu-re, realizzate con svariati materiali e tecniche di lavorazione (intaglio vegetale, ghiaccio, margarina, zucchero, pasta di pane, cioccolato).

Chef e pasticceri, due professioni a confronto, che nella moderna ristorazione, riescono a trovare il punto di incontro per sorprendere e incuriosire, per rendere, le pietanze o il dolce più semplice, un unicum capace di stupire.

L’intensa giornata di gare si è conclusa con una raffinata Cena di Gala, completamente ispirata alla gastronomia ed ai piatti tipici cala-bresi, magistralmente preparata e servita dal personale dell’Uliveto Principessa e dall’Associazione Professionale Cuochi Calabresi, con il fondamentale supporto di un gruppo di allievi dell’Istituto d’Istruzio-ne “Giuseppe Renda” di Polistena.

Tra una portata e l’altra, sono stati consegnati i dovuti riconosci-menti a tutte le aziende, che hanno contribuito al progetto, e alle Istituzioni, che hanno patrocinato la manifestazione. E con lo stesso ritmo sono stati assegnati i premi in palio e le attenzioni dovute, a tutti i vincitori delle varie categorie in concorso.

Anche per questa edizione, come sempre organizzata in modo pun-tuale ed impeccabile dall’Associazione Professionale Cuochi Calabre-

Foto - Mimmo Zoccali

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Premi e Premiati

Si è aggiudicato il Trofeo “Costa Viola” l’IPSAR di Villa San Gio-vanni (RC), che ha preceduto, nell’ordine, l’Istituto “Giuseppe Renda” di Polistena (RC) e il Centro di Formazione Enogastrono-mica di Laureana di Borrello (RC). I premi speciali del 5° Trofeo “Costa Viola” sono stati conquistati dall’IIS “Luigi Einaudi” di Serra San Bruno (VV) (Valorizzazione del Territorio) e dall’IPSAR “G. Gangale” di Cirò Marina (KR) (Effetto Artistico).

Nella Seconda Gara della Ristorazione Professionale, svoltasi in mattinata, si è confermato campione il pluridecorato chef Giuseppe Di Gioia (Campania). Seconda classificata Giulia Car-pino, giovane concorrente di Siracusa, seguita sul terzo gradino del podio dallo chef catanese Costantino Laudani.

Nella sezione Sculture Artistiche della Rassegna si è imposto Michele Sardano, precedendo Nico Scalora e Luca Mazzotta, re-duce dalle vittorie nelle due precedenti edizioni. Vincitore nella Pasticceria è stato proclamato Francesco Grieco, seguito al se-condo e al terzo posto da Ciro Pelella e Vincenzo Forte. Anche nella categoria Cucina, conferma per il vincitore del 2011, lo chef Fabrizio Clemente, che ha preceduto Luciano Coletta e Sal-vatore Forte.

Premio speciale, frutto dell’intesa collaborativa tra l’Accade-mia del Bergamotto e l’Associazione Professionale Cuochi Cala-bresi, realizzato appositamente dal Maestro Orafo Gerardo Sac-co, conferito allo chef Giovanni Dragonetti (Basilicata), concor-rente che più di ogni altro ha esaltato l’impiego del Bergamotto tra i piatti realizzati.

si, con il presidente Pino Sgrò in prima linea, si è trattato di una spet-tacolare festa al gusto ed alla creatività, che ha destato particolare interesse anche tra i mass media; le attività sono state riprese da ben cinque emittenti televisive (Rai3, ReggioTV, TeleReggio, Video-Calabria, Sky), che hanno seguito la presentazione delle creazioni alla Giuria e intervistati gli autori, al termine delle loro performance.

Uno show gastronomico che vorremmo foriero di grandi opportunità per il nostro territorio.

Foto - Mimmo Zoccali

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IL VALLONEo scendono per abbeverarsi, prima di dirigersi alle vi-cine stalle.

I sassi ed i massi sono levigati, verdi di muschio e durante i meriggi estivi, lunghi quanto un’esistenza, tutto il luogo diventa vivo per la presenza di frotte di ragazzi che, schiamazzanti, si divertono ad acchiap-pare ranocchi per scorticare e addentare le teneri coscette, o inseguire saltellanti rospi o larve di rane che navigano, assieme a foglie secche come barchet-te. Altri sdraiati sui massi, in barba alla sonnolenza delle ore, stanno vigili ad accalappiare l’innocuo ser-pentello o la saettante lucertola, nel momento in cui, ferma, fiuta l’aria col capino roteante. Le loro grida si odono dalla stradina che degradando, costeggia l’ar-gine del ruscelletto e come lunga biscia distesa al sole, è difesa dall’altra parte, da un alto muraglione a secco, trapunto da siepi di nere more e da famiglie di fichidindia.

E’ la strada che, in prossimità del ponticello, bifor-ca verso il Tracciolino, luogo di passeggio domenicale, impercorribile di notte, sia per la totale oscurità, sia per qualche storia di ferimento avvenuta negli uliveti sovrastanti, sia per convegni di generosi ma inesora-bili briganti.

Tale luogo per i molti aspetti romantico e sospetto-so, invitante per qualche rara coppietta mercenaria, si chiama: Vallone. Qui, ogni mattina, appena l’est scoppia, tingendosi di vivido e immacolato biancore e l’usignolo smette di verseggiare alle stelle, nella cal-ma accettazione di ombre e di luce che incominciano a definire il paesaggio, il pacato silenzio prende ani-mazione di fervido alveare, di bugno di vespe.

Un’armata barbarica di donne, a piedi nudi e con le piante slargate, dove le dita si muovono per loro con-to come tanti colli di tartarughe, gravi d’involti e di maternità, con le mani grosse e bluastre, depositano sul greto le loro ceste piene di lenzuoli e di figlioletti assonnati e affondano, i nerboruti polpacci nella fre-scura delle lente e trasparenti acque.

Sono le lavandaie, donne antiche, di casa, dal-lo sguardo fondo e perduto, sospettose e aggressive come belve, dolci e sacrificate come madri. I loro can-ti si confondono con gli sbattiti dei panni e si prolunga-no in nenie ossessive che sanno di dolore e rassegna-zione. Povere donne, senza età, nate per fare di tutto, dai vestimenti neri come le pezzuole annodate sotto il mento, dalle fronti erte e spaziose che nessun peso può piegare, donne, fiere come guerrieri, che soppor-tano fatiche e povertà per amore dei loro uomini, dei loro figli, del loro sacro covo domestico, che accettano

con rassegnazione e cocciutaggine il peso esistenziale, certi che nemmeno un miracolo potrà mai mutare l’avverso destino.

Gli sciaguattamenti, gli aspri accenti e le cadenze gutturali, man mano che le ore s’incendiano, danno sapore al luogo e vibrazioni alle giornate. Ad incorniciare e completare tanto quadro-presepe, vi è poi, il passaggio del gregge belante, accompagnato dalle grida e dai saluti delle massaie, armate di verghe e seguite dai cani che abbaiano di contentezza, mentre melodie e singhiozzi incomincia-no a vagare sulle cime degli ulivi, finché la viva imbandigione cano-ra non diventava assordante nell’aria.

Oggi il Vallone non esiste più, il luogo ha perso ogni identità, co-perto da strade asfaltate e da palazzine condominiali; in un’epoca irreligiosa e irriverente, basata unicamente sulle stravaganze con-sumistiche, anche i presepi con i loro pastori dai cosciali di capra, con i briganti galantuomini e i Valloni che cullavano rigagnoli d’ar-gento, giacciono sepolti per sempre!

I ricordi dileguano come nebbie; proporzioni e rappresentazio-ni, perdono forza; sicuramente, solo i colori di un Fattori, avreb-bero potuto richiamarli a tanta ricchezza; la pittura è sempre stata un’arte aristocratica! Ma quel magico pennello, non è mai nato nel nostro luogo per eternare con un linguaggio scarno e immediato, meglio di qualsiasi memoriale, tanto verismo sociale e delicato!

IL VALLONE

Un rigagnolo scaturisce dalla gola del Monte e sposandosi ad altri piccoli corsi, si apre la strada lungo l’intricata boscaglia,

tra robusti sterpi e fronde chinate che nascondono salti e tortuo-sità. A malapena, si percepisce qualche scroscio, tra le rissosità e i pigolii dei passeri che accompagnano lo scorrere dell’acqua e guizzano, con frulli d’ali, sulle muraglie di verde.

Se il liquido corso si nasconde alla vista, si avverte, però, la pre-senza, dal sentore umido di putrido e dall’ odore accigliato, incon-fondibile, che la natura vegetale emana.

Trionfale diventa l’ingresso, dalla parte sud del paese, dove l’ac-qua, incassata da alti argini naturali, ornati da felci gigantesche, or-tiche e folti canneti, scorre zigzagando, tra pietre e massi di granito e forma salti, gore e pozzanghere. Il corso diventa, ora, più facile e piano, quando, serpeggiando sul fondo renoso attraversa l’antico ponticello di pietre sconnesse e rappezzato di mattoni. Da quel ponte, nella stagione in cui il sole nascente incomincia a pesare sulla terra, asini e buoi, guidati da istinti domestici, si specchiano nella purezza cristallina, e nella maestà della sera, si soffermano sul limitare delle sponde, a strappare svogliatamente ciuffi d’erba

di Pasquale Cotugno

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IL VALLONE

Anche per quest’anno a rappresentare il trofeo

consegnato al vincitore della 18ª edizione del Premio Palmi è un›opera ideata e realizzata dal Maestro orafo palmese Carlo Ma-gazzù.

Ancora una volta la creatività dell›artista si fonde con il talento dell›artigiano e diventa simbolo, emblema, identità di una Città e del suo amore per l›arte let-teraria, e la cultura. L’argento e il policarbonato prendono forma e raccontano di come, all’ombra della pianta tanto cara a chi di Palmi è figlio, sia fertile e gradito il culto della scrittura.

La capacità interpretativa dell’orafo si fa premio, che omag-gia chi si è distinto nella narrati-va, nella poesia, nella saggistica, nel giornalismo e nell’esaltazione dei valori che i Sud del mondo sanno esprimere. I nostri compli-menti vanno quindi ancora una volta a tutti i vincitori del Premio e a chi sa mettere al servizio del-la nostra Città il proprio talento per magnificarne i valori, la sto-ria e la tradizione. Ad maiora!!

Giuseppe Cricrì

AnCORA UnA VOLTA IL MAeSTRO CARLO MAGAzzU’FIRMA IL “PReMIO PALMI”

A vincere la sezione narrativa del Premio letterario “Palmi” è una donna. Si chiama Paola Predicatori, è marchigiana e con “Il mio inverno a Zerolan-

dia” ha conquistato la giuria popolare che ha votato i tre libri finalisti. Le ha te-nuto testa fino all’ultimo Edoardo Albinati con “Vita e morte di un ingegnere”, che ha ottenuto 32 preferenze, appena una in meno rispetto al libro vincitore, mente “Malacrianza” di Giovanni Greco si è fermato a 16 voti. I tre libri giunti in finale quest’anno, alla diciottesima edizione del prestigioso premio letterario, sono opere fuori dal comune; sono tre storie, qualcuna anche triste, romanzi “aspri” che raccontano la vita da tre punti di vista differenti. «Sono lieta del fatto che il mio libro abbia incontrato i gusti del pubblico che mi ha eletta vin-citrice – ha detto la Predicatori subito dopo aver ricevuto il premio – Lavoro nel campo dell’editoria, e la mia paura è che i libri che acquistiamo, una volta letti possano fare una “brutta fine”. Mi chiedo infatti spesso “che fine fanno i nostri libri?”». Sul palco dell’auditorium della Casa della Cultura, Stefania Bivone, Miss Italia 2011, ha condotto la serata, introducendo gli ospiti e dando spesso la pa-rola alla giuria tecnica, presieduta da Walter Pedullà. La Bivone ha ricordato i nomi dei vincitori delle altre sezioni del premio letterario: “Scritti galeotti” di Daria Galateria per la sezione saggistica “Antonio Altomonte”, “Il dileguante” di Luca Archibugi per la sezione poesia dedicata ad “Ermelinda Oliva”, men-tre al giornalista del Tg2 Dario Laruffa, originario di Taurianova, è andato il premio della sezione giornalismo “Domenico Zappone”. Premio speciale “I sud del mondo” ad un uomo del nord, che il sud l’ha saputo raccontare nelle sue pellicole cinematografiche. Marco Bellocchio, uno dei registi che hanno fatto la storia del nostro cinema, ha ritirato il premio consegnato direttamente dal sin-daco Giovanni Barone e dal fondatore ed ideatore del Premio “Palmi”, Armando Veneto, sindaco di Palmi per ben due volte. Bellocchio, più volte applaudito dal pubblico in sala, ha regalato una interessante riflessione sul cinema italiano in questo momento. «La fortuna è che il cinema non è morto – ha detto Belloc-chio – E’ però innegabile il periodo di forti cambiamenti che sta attraversan-do, dovuto a fattori diversi, che non mi consentono di esprimere un giudizio complessivo. Ecco, io credo che il cinema, oggi, sia un’arte aristocratica, l’arte che non ti da più la fama, la popolarità, perché quella la da la televisione, le fiction. La vera crisi non è del cinema in sé ma della sala cinematografica, oggi sempre più vuota».

PREMIO PALMI 2012di Viviana Minasi

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di Paolo Ventrice

LA PASSIONE SCOLPISCE IL PRESEPE

Esiste, molto vicino a noi, una cultura speciale, legata

ad una passione incredibile, un gruppo di persone che, da anni, si cimentano nella costruzione e nel miglioramento di un presepe che, anche se non “vivente”, di vivente ha, davvero, molto.

Un anno fa, su gentilissimo invi-to del signor Melo Sofio, ho avu-to la fortuna di poter ammirare, da vicino, uno spettacolo meravi-glioso, frutto di un ingegno spo-sato alla passione di far rivivere momenti epocali attraverso una minuziosa ricostruzione.

E’ Bagnara la culla di questo spettacolo. Nei sotterranei del-la splendida Chiesa del Carmelo, si “nasconde”, infatti uno dei più bei presepi del sud, curato fino ai dettagli più piccoli e, soprattutto, ambientato in una Bagnara sette-ottocentesca che fa assumere a tutto il presepe un fascino, ove fosse possibile, ancor più profon-do, dandole un senso di apparte-nenza popolare.

Quindici anni di lavoro hanno portato il presepe a coprire un’a-rea di circa 150 mq. Una minu-ziosa ricostruzione della Bagnara antica, che è stata possibile rea-lizzare attraverso gli spunti presi dalla consultazione dell’archivio storico della Congrega del Carmi-ne e dai disegni in esso custoditi.

Un lavoro certosino che, a mio avviso, non è frutto solo del pe-riodo immediatamente a cavallo del Natale, ma bensì, frutto di un impegno costante, nel tempo, di un amore incondizionato e di una passione artigianale, affiancata da una spiccata forma di inventi-va, non facile da trovare in giro.

Il presepe meccanico di Ba-gnara, nella sua rappresentazio-ne cristiana, finanche nella sua magia, in ciò che evoca, per ciò che trasmette, per quello che ti lascia dentro, in una sorta di convenzionale silenzio, durante i momenti in cui si visita, non è pa-ragonabile a nulla. Entrare negli antri dei sotterranei della Chiesa, già da se, è un momento impor-tante, è come se si fosse condot-ti, attraverso un percorso prepa-ratorio, nel posto più importante della storia cristiana. Una volta dentro, l’incredibile atmosfera ti avvolge e ti trasporta all’interno di quelle capanne, di quei mo-menti di antica vita quotidiana, tra quei pescatori rappresenta-ti dall’ingegno e dall’arte dei co-struttori.

Vi sono rappresentati momen-ti essenziali, come quello dell’An-nunciazione (l’Arcangelo Gabrie-le scende da una scalinata, vede Maria e le Annuncia che sarà la Madre di Gesù), la Natività, ov-viamente, ma anche scorci pae-saggistici come un particolare del rione Marinella, la casa dei pe-scatori con la “Bagnarota” in abi-to d’epoca, mentre fila la lana; Tutto il paesaggio che va dalla

Torre di Ruggero (la gemella del-la nostra torre Saracena, in Pal-mi) fino allo stretto di Messina, Scilla compresa, ecc...

La magia si completa, infine con la diversità dei personaggi rap-presentati e la loro collocazione ambientale (i “pastori” - giusto per rievocare un termine classi-co, di un presepe classico - che in questo caso diventano “pesca-tori”, raggiungono anche altezze di un metro e settanta), ognuno nell’intento di raffigurare il pro-prio mestiere e dalla sapiente e bene organizzata (controllata un computer) rincorsa tra il giorno e la notte, nonché dai movimenti del mare, delle barche, degli an-geli in volo e, persino, delle in-temperie (neve, pioggia, tempo-rale ecc...)

Non si ferma qui la fantasia e la grande passione del signor Sofio e compagni. Quest’anno, assolu-tamente stufi di creare, inventa-re, disegnare e, alla fine, regala-re un sogno chiamato “Presepe”, ancora con l’entusiasmo della prima volta, si cimentano in una nuova realizzazione, questa volta ambientata in un altro loco fatal-mente storico per Bagnara: il ca-stello “Emmarita”, (venendo da Palmi, si attraversa il ponte Cara-villa e subito dopo, a dieci metri, sul lato destro, si trova l’entrata del castello).

Un’altra avventura, quindi, si staglia all’orizzonte, per gli Spe-cialist del Presepe, un’altra por-ta si apre su Bagnara, culla di una cultura incredibile, pronta ad ac-coglierne i visitatori per traspor-tarli nei tempi che furono per gu-starne gli attimi storici plasmati dall’ingegno, quasi rasente la fol-lia di pochi uomini.

Io mi ritengo fortunato per es-sere stato un visitatore e mi ri-terrò ancor più fortunato nel mo-

mento in cui varcherò, anche quest’anno, gli usci che custo-discono queste mirabili “opere d’arte”.

Dal 25 dicembre al 9 gennaio le porte di questi trionfi della pas-sione, saranno aperti al pubbli-co e dubito che chiunque abbia la fortuna di poterli visitare non riesca a portare con sé un ricor-do fantastico e un pizzico di mi-stiche riflessioni.

Grazie Melo Sofio e grazie a tutti coloro che hanno e che col-laborano a questo sogno-realtà.

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di Leda Badolati

Quando si dice che il suono come ener-gia innesca forti sensazioni, sviluppa

capacità espressive, mette in contatto le emozioni, le agita, favorendo la potenzialità di esprimerle in un alchimia liberatoria…..si dice il vero!

Sabato scorso, 10 novembre, ho avuto la fortuna di assistere all’esibizione dell’ensem-ble nientemeno che nella mia città, a Palmi, presso l’auditorium Casa della Cultura.

L’evento mi ha reso doppiamente contenta: ho potuto vedere dal vivo ben cinque solisti straordinari, riuniti in un formidabile quintet-to per due violini, una viola e due violoncel-li, riuscendo ad entrare in una delicatissima dimensione musicale; e, cosa ancor più rile-vante, li ho potuti ascoltare a Palmi, consa-pevole del fatto che loro hanno suonato in tutto il mondo, o meglio, nelle principali sale del mondo!

Allora, con un sano campanilistico orgo-glio, che ha preso il posto della solita bru-ciante rassegnazione al fatto che “da noi non c’è niente di interessante da fare, che occorre sempre andare fuori per avere stimoli cultu-rali etc..” mi sono detta: “Accipicchia: degli artisti di fama mondiale, che magari stanno appena tornando da Londra piuttosto che dal Giappone o da Vienna piuttosto che da Parigi, o da Barcellona piuttosto che da Ginevra, si esibiscono a Palmi Calabro!

Con la determinazione che spinge a lascia-re da parte altri impegni ritenuti fino a poco prima prioritari, ho preso la macchina e ho raggiunto la casa della Cultura.

Superando un iniziale sensazione scomoda derivante dal fatto che la sala non era pie-na come meritava, mi sono fatta avvolgere dal delicato ma penetrante suono di cinque strumenti che viaggiavano come fossero uno solo, in uno splendido equilibrio, trainata dal-la delicatezza di una musica che aveva quasi effetti terapeutici.

Non ero in una fase di esaltazione. Sem-plicemente lasciavo che i violini, la viola ( splendida viola!), i violoncelli, smuovessero le emozioni più semplici ma anche forti che il più delle volte rimangono sopite.

Lus Leskowitz un salisburghese in età, ave-va tra le mani uno Stradivari del 1705 e lo utilizzava con la stessa grande semplicità di chi usa una penna per scrivere dolci poesie che ti prendono nelle corde più profonde.

Le due donne musiciste, Alina kommissa-rova, altera con il suo violino in mano, ed Elena Issaenkova, straordinaria esecutrice dei brani con la sua viola, entrambe rigoro-

samente eleganti in abito lungo, sembravano accarezzare i loro strumenti ( il violino del 1874 e la viola del 1770), con i quali riusciva-no a eseguire i brani di Schubert e Glazunov come in una danza, innescando un senso di leggerezza e, quasi, di rispettosa sacralità, coadiuvate dal magistrale suono di Leskowitz e dai due violoncellisti, dei quali uno orgo-gliosamente italiano.

Non sono un’intenditrice ma, a maggior ragione, ho compreso che quella sera l’ese-cuzione era una perla, perché, pur senza un autentica preparazione nella tecnica, negli strumenti, nella storia dei brani eseguiti, ero travolta, coinvolta, rasserenata dalle note.

Durante l’intervallo, ho notato la stessa sensazione di coinvolgimento anche nella maggior parte degli altri presenti in sala. Ho persino fatto caso alla presenza di una bam-bina che, a differenza di quanto solitamente accade, ossia la frenesia di andare a casa per giocare o quanto altro, stava composta ac-canto al proprio papà, in attesa che iniziasse il secondo tempo e ricominciasse quella spe-cie di magia provocata dagli archi in concer-to.

Allora ho pensato quanto, a volte, sia ingiu-sto lamentarsi delle limitazioni di Palmi, per-ché sabato scorso, il livello nel nostro piccolo auditorium era altissimo.

Certo, l’ensemble Salzburger Solisten avrebbe meritato una sala piena, un’acusti-ca migliore ma la grandezza di quegli artisti e del loro talento, si registrava anche nella umiltà e semplicità con la quale hanno dona-to la loro arte alla nostra piccola città.

Non posso che augurarmi che alla prossima occasione di tale spessore come questa, la mia città risponda in massa non solo per ar-ricchire ulteriormente il proprio patrimonio culturale nel campo della musica, ma anche per “emozionarsi” positivamente, in tempi in cui la rassegnazione è imperante, la solitu-dine si avverte maggiormente, le emozioni sono abituate ad essere gelosamente rinta-nate e lasciano che a prendere il loro posto siano le preoccupazioni del quotidiano e, ora più che mai , del futuro.

Un plauso agli Amici della Musica di Palmi, e a Musicarte Calabria, grazie ai quali si può ancora sperare di riportare il nostro paese al lustro che gli è proprio nel campo musica-le, nel rispetto della nostra vera tradizione culturale e degli artisti che qui sono nati e che a Palmi hanno dedicato e sviluppato il loro talento, dimostrando semplicemente che l’amore per la musica è assolutamente tra-sversale e che i suoi effetti riescono ancora a commuovere e a sperare in un futuro migliore a suon di note!

Ho sempre creduto nel linguaggiouniversale della musica.

Si è conclusa quest’anno il 16/17/18 no-vembre la IIIa Mister Macho Boy tenutosi ad Agrate Brianza per la selezione della finale internazionale che si terrà in Cro-azia. Tenuta dall’associazione A.I.F.a.b. Onlus in collaborazione con l’Italian Ta-lent. Partecipante a tale selezione è ri-entrato in pieni meriti come I° classificato nella categoria 4-8 anni un nostro con-cittadino palmese Carmelo Pietro Licari (21/10/2008) con la presenza di oltre 180 bambini iscritti. Che ha affrontato con determinazione finezza ed eleganza tale concorso sfilando in passerella di fronte una seria giuria e diversi stilisti di moda sfilando l’elegante per Alviero, costume da bagno per ferrè e lo sportivo per mo-schino. E passando il turno per la sele-zione finale internazionale che si terrà in Croazia il prossimo Settembre, ottenendo il titolo di Mister Macho Boy 2012 conse-gnato da Macho Boy 2011.

PER CONTATTARE IL SITO DEL VINCITORE CARMELO PIETRO LICARI ITALIAN TALENT PRO-DUCTION MODA E SPETTACOLO (BAMBINI PAG. 15) DISPONIBILE PER CASTING PUBBLICITARI.

IIIa selezione Miss baby Model

Mister Macho boy e baby talent

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di Pietro Scarano

Sono stato sempre affascina-to dalle opere di ingegneria,

per ciò che esse rappresentano in fatto di aspirazioni umane, per la loro utilità, ma soprattutto per la genialità di progettazione.

Ho considerato degno di ri-spetto il talento dell’uomo, ciò che di positivo egli ha in-trapreso, ha costruito, ha re-alizzato per il bene di tutti. Avrete sicuramente visto,percorrendo l’A3 all’altezza di Favazzina che un nuovo, bello, elegante PONTE è stato costru-ito!

Già da subito la sua costruzione era per me un’occasione che non avrei dovuto perdere, nel segui-

PONTE FAVAZZINA “A3”……GIOIELLO DELL’INGEGNERIA.

re fotograficamente i lavori nella loro continua evoluzione.

E così è stato.Mi sono recato sul posto in pe-

riodi diversi, accumulando foto e video che mi consentissero di avere una visione d’insieme dell’opera.

Ho sentito, adesso, il bisogno di scrivere questo articolo su MA-DRETERRA e pubblicare le foto, per ringraziare tutti quegli uomi-ni (progettisti, maestranze, ope-rai) che, con il loro sudore, con il loro lavoro quotidiano,con il loro sacrificio (anche della vita), (e spero, anche con soddisfazio-ne ed orgoglio) hanno realizzato questo piccolo gioiello, a dimo-strazione della nobiltà del pen-siero di chi lo ha concepito.

I rischi che ho corso io per fare le foto (perché non si è mai con-

tenti dello scatto precedente, i cerca sempre e un po’ più in là una nuova e

migliore prospettiva) dal ver-sante nord di Solano (Tagli), dal versante sud di Melia (piano Aqui-le), da sotto, nella fiumara Favaz-zina o lungo

uno stretto percorso di canaliz-zazione della centrale idroelet-trica a picco sulla fiumara stessa, tra dirupi, montagne scoscese o eventuali morsi di vipere, con la probabilità, non troppo remota, di finire giù nel canalone della fiumara, sono pochissima cosa in confronto a quello che questi uo-mini corrono ogni giorno.

Dopo gli scatti o le riprese video,qualche minuto per riflet-tere sull’ingegno necessario per costruire un così bel ponte, cur-vilineo, con quei cavi d’acciaio ad alta resistenza (stralli) che, ri-

ducendo il numero dei piloni atti a sorreggerlo, lo rendono snello ed elegante, puro nella forma, con una precisione matematica delle geometrie, che conferisco-no all’insieme una grandiosità, un’armonia e una sapienza co-struttiva, che ha pochi uguali in Calabria:quasi fosse uscito dal pennello di un celebre artista! Quanti anni di sacrifici, di sof-ferenze, di ininterrotto lavoro di giorno e di notte, col caldo e col freddo col vento e con la piog-gia, l’afa, la polvere, gli occhi che bruciano per le saldature del ferro, le ferite alle mani per l’uso continuo di attrezzi pericolosi, la schiena che fa male per i pesi sollevati, il rischio costante di in-cidenti o, se presi dal panico, di precipitare nel vuoto!

Di questi uomini forse pochi si ricordano, sembrano quasi invisi-

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Il Dr. Salvatore Faccio-là nacque a New york il

22/01/1903 e all’età di cinque anni rientrò in Italia con i geni-tori che si stabilirono definitiva-mente a Scilla, perla della costa viola,dove si possono ammirare la Chianalea,il castello dei Ruffo di Calabria e panorami mozza-fiato. Finiti gli studi obbligatori dell’età giovanile,ebbe la fortu-na d’incontrare Teresa , nipote del Matematico Domenico Piz-zarello, che poi divenne la sua sposa per la vita. L’incontro con Teresa, fece sì che il papà di lei, il preside Pizzarello, conosces-se bene il giovane Salvatore, studioso e dal carattere mite , indirizzandolo agli studi di Inge-gneria. Ma, dopo un po’ di tem-po, avendo percepito che quegli studi non rispecchiavano la sua personalità, cambiò facoltà, laureandosi brillantemente in Farmacia. Conseguita la laurea, non contento del brillante risul-tato raggiunto, volle continuare gli studi e ottenne, con grandi sacrifici, anche la laurea in Chi-mica . Ancora giovane, Iniziò la professione di Chimico farma-cista a Bagnara Calabra e solo dopo qualche anno si trasferì, con la famiglia, a Palmi, allo-ra crocevia di professionalità e cultura, per proseguire la sua attività. Ha avuto quattro figli, Giuseppe, Domenico, Anna e Guido. All’età di cinquantatre anni, colto da un malore im-provviso, cessò di vivere nella città di Chianciano Terme nel 1956, dove si trovava momenta-neamente. Per tutti coloro che lo conobbero, fu un tremendo evento, soprattutto per i giova-ni quattro figli, impegnati negli studi, che non hanno potuto godere della sua bravura,della sua arte farmaceutica,dei suoi consigli e della sua grande uma-nità in una età molto delicata. In seguito tutti figli, sotto la sa-piente guida della madre, con-clusero brillantemente gli studi universitari e divennero degli ottimi professionisti. La sua at-tività di Farmacista, con sede in piazza Libertà a Palmi, è stata espletata con grande professio-nalità e passione, diventando un punto di riferimento per tutta la cittadinanza. Ancora, oggi, si ri-cordano gli infusi, i decotti e le tantissime pomate di vario tipo,

preparate, con tanta pazienza e cura a seconda le malattie. Famosissime erano le tantissi-me cartine, ottenute dove dopo aver mescolato accuratamen-te molte sostanze chimiche come , la sparteina, la caffei-na, il luminal e la papaverina . Il composto ottenuto, e quì si metteva in pratica la bravura del farmacista, veniva posizio-nato su un foglio di carta che, stretto dai due lembi, destro e sinistro, con le due mani, si distribuiva il composto in parti esattamente uguali. Alla fine, tutte le cartine dovevano risul-tare di egual peso e con una differenza tra loro di non più di un milligrammo. Fatto tutta questa procedura, con enorme pazienza ed a occhio nudo, le cartine venivano chiuse accu-ratamente, riponendole in una busta con incluse delle ostie, le stesse usate dai sacerdoti per celebrale l’Eucarestia, per poi ottenere un prodotto finale pari alle odierne compresse, per lo più destinate a pazienti cardio-patici o con stati ansiogeni . Il farmacista Facciolà, oltre ad essere un grande professionista era dotato di grande spirito, e

questo, si manifestò soprattutto in una particolare circostanza di genuina goliardia, perpetra-ta dagli studenti universitari, a quell’epoca molti attivi in cit-tà. Allora, nella piazzetta men-zionata, si trovavano quattro esercizi commerciali, la stessa farmacia Facciolà, il “bar Savo-ia”, gli alimentari ”De Maria” e un negozio di tessuti, tutti in-dividuabili dalle rispettive in-segne . Nottetempo, un gruppo di studenti universitari, pensò, spensieratamente, di coprire quelle insegne con un simpa-tica scritta “PIAZZA DEI QUAT-TRO LADRONI”. L’indomani, il fatto suscitò grande scalpore e ilarità nella popolazione, e il Dr. Facciolà, comprendendo l’innocenza e l’originalità del gesto, ci rise sopra, insieme ad altri amici lì intervenuti. Ancora oggi, la Farmacia Facciolà viene ricordata da molte persone per la professionalità e la cordiali-tà del suo titolare, persona che agì sempre con etica deontolo-gia ed eccelsa moralità, insom-ma un “palmese” doc, al quale, oggi, è giusto rivolgere un pen-siero.

M.F.

SALVATORE FACCIOLA’chimico-farmacista

Un pezzo di storia della nostra città

bili, come se essere lì, a quell’al-tezza (140 mt) - quello di Bagnara è alto 253 mt! - fosse la cosa più naturale del mondo.

E’ questi uomini che vorrei ri-cordare e ringraziare, perché adesso, più che mai, sono consa-pevole del fatto che, con le diffi-coltà tecniche incontrate, le sfide ardue che la costruzione ha pre-sentato, la realizzazione dell’au-tostrada (nuova) ha bisogno di tempi lunghi, molto più lunghi di quelli richiesti per la costru-zione di un’autostrada di pianu-ra, dove tutto è più semplice ed anche meno costoso. Finiamola, però, di lamentarci. Quest’ope-ra (affiancata alla vecchia auto-strada) sta per essere realizza-ta interrompendo il traffico da e per Reggio, da e per la Sicilia solo qualche giorno (ripeto: solo qualche giorno!) Proviamoci noi, sempre polemici, a realizzare un progetto di tale portata nelle condizioni ambientali così imper-vie, difficili e pericolose, come quelle calabresi! Proviamoci noi, sempre polemici,a costruire gal-lerie (tante!) sotto una montagna di roccia granitica! Proviamoci noi, sempre polemici, a costrui-re viadotti e viadotti e viadotti! Noi, abituati ormai ad avere tutto già pronto e subito, questo non lo possiamo capire! La “nostra” Au-tostrada, comunque, sarà costru-ita nel tempo necessario, senza fretta, senza polemiche (speria-mo) e bella!...come lo è il Ponte Favazzina…Un Gioiello dell’ingegneria!!!

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La trovai in camera da letto, seduta accanto alla finestra

aperta. Lei mi disse: “Sei qui? Che bello rivederti! Nell’aria primave-rile ho percepito il tuo profumo. Sapevo che stavi venendo da me!” Le posai un bacio sfuggente sulla guancia. Lei riprese: ”Voglio far-ti vedere una cosa, sporgi un po’ fuori la testa, guarda la magno-lia giù in giardino, osserva i suoi eleganti fiori bianchi: tu effondi nell’aria il loro stesso profumo! Senza volerlo, come quella ma-gnolia, tu domini lo spazio circo-stante, ed è il resto che si adat-ta.” “Sono forse troppo invaden-te?” dissi con tono velatamente seccato. “No, tutt’altro, tu sei come quell’albero: i suoi rami non solo si innalzano verso il cielo, ma sanno abbassarsi anche verso la terra… forse non riesco a spie-gare ciò che vorrei dire…” “Cosa intendi dicendo – ti abbassi -, vi-sto che io non sono una pianta?” “Voglio dire che, come quell’albe-ro maestoso, sai volgerti in ogni direzione e cogliere le necessità di chi è in difficoltà.” “Ma hai dor-mito bene?!” “Sì, e ho fatto un so-gno speciale, e in quel sogno c’eri tu!” “Ah, questa domenica ti sei svegliata filosofa! La profondità dei tuoi pensieri riesce sempre a sorprendermi!” “Non mi prendere in giro, Patrizia…” In quell’istan-te entrò Svetlana, che dopo aver lasciato il vassoio con la colazio-ne sul tavolo, si congedò: sareb-be tornata alle sette di sera. Io e Rosa avremmo trascorso insieme anche quella domenica: a pranzo ci avrebbero raggiunti Alberto e Paola, e poi pomeriggio chissà… forse sarebbe arrivato qualcun al-tro. Intanto la mattinata era tutta per noi. Da alcuni mesi Rosa cam-minava sempre meno sulle proprie gambe, un po’ per la debolezza lasciata alcuni anni prima da un ictus, un po’ per l’età avanzata. Il dottore ci aveva raccomandato di lasciarla sola il meno possibile. Ci spostammo lentamente in soggior-no: spinsi la sedia di Rosa dentro la camera e sollevai l’avvolgibile del balcone. Man mano che i rag-gi del sole entrarono nella stanza, un caldo tepore accarezzò i nostri corpi. Avvicinai Rosa al tavolo e, porgendole una rivista, le dissi: “Vuoi leggere un po’?” “Lo sai che leggo lentamente, ho bisogno di ore per leggere una pagina… e poi oggi preferisco parlare, ormai mi rimane poco tempo!” La guardai incuriosita, sebbene avessi inteso perfettamente il significato delle sue parole. “Mi chiedi se voglio leggere, ma lo sai che sono lenta come una lumaca, e non perché non ci vedo, anzi, con gli occhiali e l’esercizio sono migliorata, un po’ come i tuoi studenti... e’ che… questa mattina voglio vuotare il sacco, e incomincio ringraziando i miei genitori! Pace all’anima loro! Grazie mamma, grazie papà che mi avete fatto frequentare a sten-to la prima elementare, grazie ancora papà che nonostante fossi un postino e certe cose le avresti potute capire meglio di altri, hai voluto sempre dar ragione alla

mamma, ritirandomi da scuola, perché se sapevo troppo poi avrei potuto scrivere lettere all’innamo-rato! Il posto delle figlie femmine era a casa, ad aiutar la mamma e allevare i fratelli! Tra l’altro, io di fratello ne avevo uno solo! Per chi, come me, nasceva ottantacin-que anni fa in un piccolo paese, era sconveniente essere una ra-gazza istruita. Lo ricordo ancora, anche il maestro li pregò… - Ma la bambina è intelligente … non la ritirate da scuola, con il tempo ve ne pentirete! - Ma essi non si pen-tirono, nella loro mentalità arre-trata erano convinti di fare il mio bene! Secondo loro per una donna l’istruzione non era importante.” Mi sedetti per concedere più at-tenzione alle sue parole. “Dopo qualche anno pregai i miei genito-ri che mi consentissero di andare a sarta. Seguirono interminabili discussioni, perché ritenevano che se avessi frequentato la sartoria, avrei potuto sentire pettegolezzi sconvenienti o confidenze amoro-se. Alla fine, la spuntai io e intra-presi il mio apprendistato, ma non passava giorno che, con una scusa o con l’altra, non venissi richiama-ta a casa; mi vergognavo moltis-simo davanti alle compagne, fin-ché la padrona, dopo appena un mese, mi disse che era meglio se alla sartoria non ci andavo più, tanto che ci andavo a fare, non mi lasciavano neanche il tempo di scaldare la sedia. Naufragò mi-seramente anche questo tentati-vo… Crescevo così, rassegnata e ignorante, come la maggior parte delle ragazze: stavamo in casa, aiutando le mamme e aspettando un marito.” Riflettevo sulle parole di Rosa e mi sentivo privilegiata: nella vita mi era stato consentito di fare tutto ciò che avevo ritenu-to importante; è vero anche che tra lei e me c’era più di una gene-razione di differenza.

Avrei voluto che si riposasse un poco, ma capivo che i ricordi la incalzavano. Infatti riprese: “Poi, quando avevo quasi diciotto anni, mia madre cominciò a deperire, e nel giro di pochi mesi morì. Il medico sentenziò che era stato un brutto male a portarsela via. Aveva solo quarant’anni. Nei suoi ultimi giorni patì tali indicibili sofferenze che tutto il mio risen-timento per avermi voluta semi analfabeta, come lei, si trasformò in pietoso affetto. La sua morte rafforzò in mio padre l’idea che io mi dovessi sposare, perché lui non poteva badare a me. Conte-stai con tutte le mie forze questa sua volontà, poiché non ne avver-tivo l’urgenza… ma mio padre, che frequentava già un’altra donna, fece sì che mi fosse proposto un matrimonio. Mi fu presentato un giovane uomo, alto, con un bel viso e degli occhi vivaci e intelli-genti: aveva due mani grandi e già callose e lavorava in un consorzio agricolo. Io non lo avevo mai visto prima, lui mi confessò che mi ave-va intravisto una domenica alla finestra. Dopo tre mesi ci sposam-mo. Non mi disse mai ti amo… e neanche ti voglio bene. Vennero

i figli, prima la femmina e poi il maschio, e dopo circa cinque anni lui partì per l’Argentina, perché al nostro paese un lavoro non ce l’a-veva più. Mio fratello invece partì volontario per il fronte e non fece più ritorno. Di lui mi rimane sol-tanto quella Croce di Guerra, che vedi in quel quadro alla parete.” Rilessi, con nuova consapevolez-za, ciò che conoscevo da sempre: “…imbarcato su cacciatorpedi-niere prendeva parte ad aspre missioni di guerra. Disperso nelle Acque del Mediterraneo combat-tendo sul mare per la grandezza della Patria”. Rosa continuò il suo racconto: “… e io rimasi sola, mio padre si era risposato ed era sta-to trasferito… col tempo non mi scrisse più. Lasciai il piccolo paese e andai in una città più grande, insieme ai miei figli. Ma cosa po-tevo fare, per vivere? Non sapevo né leggere né scrivere. Andai a la-vorare a servizio, ma i bambini re-stavano troppo tempo da soli: un giorno incrociai lo sguardo carita-tevole della signora del panificio della nostra strada, che vedendo-mi piangere, mi chiese il motivo; le raccontai le mie pene e dalla sera successiva andai ad aiutarla ogni notte al forno, da quel gior-no per più di trent’anni. Andavo al lavoro alle undici di sera e torna-vo alle sei del mattino. Quanto ho lavorato! Con fatica, imparai a far di conto e dopo alcuni mesi passai nella rivendita.” I miei occhi erano colmi di lacrime… “Mamma, tu sei sempre stata così schiva, restìa a parlare del passato, io non potevo immaginare che tu avessi lavora-to anche di notte! Ricordo sì che lavoravi al forno, ma ho sempre pensato che era solo di giorno! Sapessi mamma come era bello vederti con il tuo camice bianco dietro il bancone! Da dietro la vetrina, ti additavo alle mie com-pagne con orgoglio, dicendo: “Ve-dete? Quella bella signora è mia mamma!” Tu ci raccontavi che il papà, in Argentina, abitava trop-po lontano dall’ufficio postale per poterci scrivere, ma che stava rac-cogliendo tanti soldi per tornare da noi. E così sono passati ventitrè anni, e lui è tornato. Ci raccontò che spesso andava al porto a ve-dere le navi che partivano per l’I-talia, ma aveva sempre pochi sol-di, quello che guadagnava gli ba-

stava a stento per vivere. Il papà tornò senza aver fatto fortuna, ma tu l’accogliesti lo stesso… non gli chiedesti quasi mai nulla, an-che se lui ti aveva dato così poco!” “Ti sbagli, figlia mia! Lui mi ave-va dato voi, che siete il bene più prezioso che ho, siete stati figli responsabili e studenti capaci. Fabrizio a vent’anni è entrato in banca e grazie alle sue capacità ha fatto carriera. Tu hai viaggia-to per il mondo, conosci le lingue, ti sei laureata, ami il tuo lavoro nella scuola, trovi il tempo di im-pegnarti nel sociale e di coccolare la tua vecchia madre. Hai soprat-tutto un marito e una figlia che ricambiano tutto l’amore che tu sai dare loro.” “Mamma, ma io ho sempre pensato che tu un po’ di-sapprovassi i miei tanti impegni!” “Al contrario, ti ho sempre ammi-rata! Anche tuo padre gioiva, nei pochi anni che visse con noi prima della sua morte, di come voi foste cresciuti saggi e responsabili.” “Ti prego, basta con i complimenti, così mi fai piangere… ora voglio dirti io una cosa… voglio dirti gra-zie per tutto l’amore e i sacrifici che ci hai donato!” “Sai, Patrizia, soprattutto la notte, mentre lavo-ravo, ho spesso pensato che ero stata sfortunata… poi mi facevo coraggio e a volte fantasticavo, e mi chiedevo a chi avrei voluto somigliare, magari a persone ric-che o famose… poi questa notte, verso l’alba, quando si dice che i sogni siano veritieri, ho sogna-to te, non mi era mai capitato: ti ho vista dolce, sorridente… mi porgevi la mano per alzarmi… mi dicevi:”Su, mamma, appoggiati a me!” Sono stati pochi attimi fol-goranti, sufficienti per farmi ca-pire, svegliandomi, che sei tu la proiezione di ciò che io avrei vo-luto essere: una donna forte, libe-ra, istruita, che ama ed è amata… ecco, sei stata tu il mio capolavo-ro! In te vedo riflessa, come in uno specchio, l’immagine riuscita del-la mia vita.” Anche Rosa, in quel momento, iniziò a piangere… mi chinai su di lei e ci abbracciammo a lungo, teneramente. Due forti scampanellate ci riportarono alla realtà: mio marito e mia figlia Pa-ola erano arrivati. Asciugammo le nostre lacrime e mi avviai ad apri-re la porta, mentre un lieve profu-mo di magnolia aleggiava intorno.

Profumo di magnolia Cassiopea

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di Rocco Liberti

Nell’ultimo scorcio del XVIII secolo e nel primo venten-

nio del susseguente i viaggiatori desiderosi di visitare la Calabria sono stati assenti del tutto. L’isti-tuzione della repubblica napole-tana, la sua caduta e la disordi-nata cavalcata sanfedista prima, l’occupazione militare francese dopo non hanno certo contribu-ito ad invogliare studiosi e turi-sti in genere a scendere nel sud dell’Italia ad intraprendervi pe-regrinazioni utili ad arricchire il loro bagaglio di conoscenze. Un tale frangente, tuttavia, è riu-scito utile ad ufficiali dell’eserci-to di occupazione, i quali, nelle more delle fatiche belliche, han-no avuto l’opportunità e la voglia

di fissare su carta le vicende che li hanno interessati e le impres-sioni ricevute di conseguenza.

Il primo di tutta una serie è stato Paul Louis Courier, in Ca-labria nel 1806, che pochissimi anni dopo lascerà l’esercito di-sgustato dalle crudeli carneficine e si acquisterà fama di ottimo letterato e polemista. Il Cou-rier è stato nel nostro territorio sin dal 9 marzo, a Morano, il 15 aprile si è portato a Reggio, il 21 giugno a Monteleone e il 7 set-tembre a Mileto. In questa citta-dina è stato variamente fino al 25 ottobre, ma non è dato conosce-re se vi siano state sue capatine nelle terre vicine. Probabilmen-te ce ne saranno state, ma nel-la sua opera “Lettere dall’Italia 1799-1812” è vano cercarle. Egli, in verità, non è stato tenero con

la popolazione calabrese, quindi nessuna impressione particolare è possibile rilevare. Ecco quanto ha espresso in proposito in una lettera indirizzata l’1 novembre ad una signora a Lilla: «Un giorno viaggiavo in Calabria. È un pae-se di gentaccia, che, credo, non amino nessuno, e ce l’hanno so-prattutto con i francesi».

Nello stesso anno è stato della partita il comandante di reggi-mento poi generale Lubin Grio-is, che sì è trovato a trascorrere un paio di mesi, da maggio a giu-gno, nelle zone tirreniche della Calabria, in particolare a Palmi, dov’era stato stabilito il quartie-re generale. Sicuramente presen-te a Palmi almeno nelle giornate del 12 maggio e 30 giugno, nelle sue memorie, scritte o riordina-te soltanto nel 1830 e poi pub-

Viaggiatori a palmi nel decennio franceseblicate postume, l’ufficiale così ha presentato la città, in cui era forzatamente capitato: «Palmi è costruita alla fine di un pianoro molto alto con rocce a picco sul mare che le fanno da basamen-to». Per la seconda occasione ha ricordato di essersi trovato a Palmi unitamente al genera-le Reynier nel giorno del Corpus Domini e di avere assistito alla relativa processione. Nell’opera è compresa la descrizione della stessa, una vera pagina di colore locale.

Buon terzo si offre duret de Tavel, ch’è stato in Calabria col grado di aiutante maggiore dal 6 dicembre 1807 al 22 ottobre 1810. Molto circostanziate ed ar-ticolate le sue “Lettere dalla Ca-labria”, dove non solo si racconta di tutto punto quanto accaduto, ma si descrivono usi e costumi i più varii e le situazioni ambien-tali, come quella avvertita nel golfo di Gioia, dove un’aria par-ticolarmente malsana in estate recava molte vittime. L’ufficia-le francese è stato sicuramente a Palmi almeno un paio di volte dovendo fare spesso la spola tra Cosenza, Catanzaro e il campo della Melìa. La descrizione che fa di quella cittadina è molto ade-rente alla realtà. Così una prima volta: «Palmi è una delle cittadi-ne più graziose che si possano vi-sitare in ogni paese. Distrutta dal terremoto del 1783, fu ricostruita sulla riva del mare (questo non è esatto n.d.r.) , ai piedi del mon-te Corona. Nel centro della città vi è una grande e bella piazza quadrata – in mezzo alla quale s’innalza una superba fontana – nella quale sboccano otto strade larghe e diritte. La campagna circostante è deliziosa; l’aspetto degli abitanti denota, oltre che la loro buona salute, anche la loro agiatezza, una condizione che si coglie raramente in Calabria». In un’altra occasione accenna al timore di un possibile terremoto e quindi dell’eventuale rifugio a Palmi e sulla pesca del pescespa-da, dato, dice, che i suoi abitanti sono quasi tutti pescatori. Comu-nica peraltro che il 2 dicembre 1810 è stato nella cittadina il re Giuseppe e che l’indomani si sa-rebbe imbarcato per Scilla.

Tra 1809 e 1812 altro militare diarista si è configurato Auguste de Rivarol, del pari con grado di aiutante maggiore. Neanche lui è stato tenero con gli abitanti della regione, che non ha esitato a de-finire “i selvaggi d’Europa”. Nella sua opera “Nota storica sulla Ca-labria” ce n’è per tutti. I calabresi sono indifferenti e apatici anche se ospitali, le classi povere risulta-no ignoranti ed i preti sono parec-chio licenziosi ed altro ancora. E c’è pure un vago accenno a Palmi, che definisce “graziosa cittadina vicino al mare” ed alla costa di Gioia, che al tempo risultava pa-recchio infesta e procurava ma-lanni endemici molto pesanti.

Tra settembre 1809 ed aprile 1810 si è trovato suo malgrado in Calabria altro ufficiale, sta-volta un inglese, Philip James elmhirst, ch’era stato catturato e tenuto prigioniero. Pur essen-

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do trattenuto qualche tempo nei paraggi di Palmi e cioè tra Casalnuovo e Laureana, la sua condizione di prigioniero non gli ha offerto l’agio di muoversi a piacimento. Egli, pur scagliandosi contro briganti e francesi per gli efferati atti spesso compiuti, non ha potuto non riconoscere che gli ultimi «sono dalla parte del po-polo, e hanno contribuito alla sua relativa emancipazione».

Anche il luogotenente genera-le nicolas Phillipps desvernois, che si è trovato in Calabria a mo-tivo dei suoi impegni militari va-riamente tra 1811 e 1815, ha re-lazionato sui luoghi per i quali è transitato, Mileto in particolare. Di Palmi nelle sue “Memorie” non riporta alcuna impressione, ma tiene a riferire che nel gennaio del 1813 veniva data «alla guar-nigione, alle signore e ai nobili della Città di Palmi» una festa con ballo. Essa è risultata però alquanto turbata e forse termina-ta prima del tempo per una sorti-ta degli inglesi, ch’erano sbarcati proprio «nei pressi della strada che sale per Palmi». L’epilogo è stata una carneficina di coloro che avevano pensato di cogliere di sorpresa i francesi.

Dopo tanti militari di carriera, ecco finalmente un vero e pro-prio turista con la volontà d’in-traprendere, come tanti prima di lui, un viaggio in una regione, dove i miti greci e quelli roman-tici del brigantaggio facevano an-cora presa. Il marchese francese Adolphe de Custine, che acqui-sterà notevole fama proprio per i suoi viaggi in giro per l’Europa, è pervenuto in Calabria a Castro-villari il 23 maggio del 1812 e vi si è trattenuto fino al 5 luglio. A Palmi è giunto alle 9 di sera del 9 giugno provenendo dal territo-rio tropeano e la vista della città e degli immediati dintorni lo ha fatto letteralmente andare in estasi. Ecco quanto ha sentito di esprimere in un’occasione, ma di occasioni ce ne sono state più di una: «Dei giardini profumati, e ai piedi di un’enorme roccia, la gra-ziosa città di Palmi, quasi intera-mente nascosta da un castagne-to, completavano il quadro più soave, più ricco, più sfarzoso che abbia mai sedotto l’immaginazio-ne di un pittore! I colori infuocati che all’imbrunire illuminavano questa scena, mi provocarono lo stesso effetto di una visione. Ero di marmo, insensibile, lo stupore e l’ammirazione mi avevano an-nientato! Non proverò più ciò che ho provato questa sera. La sor-presa ha fatto certamente la sua parte. Ma fin quando vivrò, credo impossibile non ricordare con ri-conoscenza, con tenerezza le me-raviglie della prima notte che ho visto scendere su Palmi … Ciò che ho provato è stato migliore della stessa vita. La mia anima è arri-vata alla mèta senza passare at-traverso la morte!». In altra parte addirittura dirà che «Napoli e le sue meraviglie sono tristi in con-fronto a Palmi! Non c’è affanno, inquietudine, malinconia, malat-tia dell’anima che possa resistere alla vista di questo Elisio, di que-sto paradiso terrestre».

di Chiara Ortuso

“Il mio amico non mi dava mai delle spiegazioni. Forse credeva che fossi come lui. Io, sfortunatamente, non sapevo vedere le pecore

attraverso le casse. Può darsi che io sia un po’ come i grandi. Devo es-sere invecchiato”.

Nel suo libro capolavoro “Il Piccolo Principe”, letto in ogni nazione, stampato in tutte le lingue, Antoine De Saint Exupéry riflette sul rappor-to tra bambini e adulti. Il protagonista del suo testo, un buffo fanciullo proveniente da un piccolo pianeta in cui l’unica forma vivente pare es-sere un fiore, interroga un uomo precipitato nel deserto del Sarah con il suo piccolo aereo, impegnato nel tentativo di riparare il guasto per ripartire. Attraverso dialoghi di una stupefacente trasparenza e profon-dità, il piccolo svela un mondo che l’adulto ha ormai dimenticato: l’u-niverso dell’innocenza, del cuore. Tutti gli adulti sono stati bambini un tempo, ma sembra se ne siano dimenticati, abbrutiti dai ritmi complessi di una realtà che lacera e confonde. Freddi e distaccati partecipano ad ogni evento della vita solo superficialmente, con occhi che non riescono a cogliere l’essenza delle cose. Perché ciò che conta “ è invisibile allo sguardo umano”, cieco osservatore alla ricerca solo dell’utile e non di ciò che induce a pensare. I veri scrutatori del mondo, coloro i quali sono ancora in grado di stupirsi e di meravigliarsi di fronte allo spettacolo di un fiore che sboccia, di un arcobaleno, di una farfalla multiolore sono i bambini. La gioia dei loro gesti, l’allegria delle loro voci ci riportano ad un’atavica era in cui anche noi eravamo felici. Mi si potrebbe forse obiettare che la felicità di un bambino deriva dal suo essere scevro da ogni preoccupazione, dai problemi dell’esistenza che emergono via via che si entra nel terribile mondo degli adulti. Potrei rispondere che se l’uomo affrontasse la vita con la leggerezza, con la fantasia, con la so-cievolezza e l’enorme libertà interiore che questi piccoli uomini sanno insegnare forse tutto sarebbe più semplice, ogni cosa potrebbe vergere verso un mondo ideale e utopistico. Quella “Città del sole” che Tommaso Campanella sognava, e per la quale fu tacciato di eresia e bruciato sul rogo, la si potrebbe immaginare come un paese di adulti non dimentichi della loro condizione di fanciulli. La totale assenza di chiusura mentale, l’uguaglianza tra uomini di qualsiasi nazionalità, religione o preferenza sessuale potrebbe forse realizzarsi in un mondo abitato da bambini. I loro occhi, liberi da ogni malizia, da ogni perversione, da ogni cattiveria, scorgerebbero infatti l’uomo al fondo di ogni essere senza distinzione alcuna. Che differenza con la condizione degli adulti, di noi che ci az-zuffiamo quotidianamente per qualunque questione, che viviamo ogni situazione come una perenne lotta, come uno scontro di interessi in cui la ricompensa pare essere solo la nostra smisurata sete di vanità e di esibizionismo. Questo mondo si muove sempre di più verso uno sfascio sociale, morale, politico, privando gli individui di quanto c’è di più pre-zioso nella loro esistenza: l’infanzia. Bambini costretti a crescere sem-pre più velocemente, risucchiati da esperienze alienanti che insegnano loro disvalori e conflitti. Le guerre, i mezzi di comunicazione di massa, lo sfruttamento, la distruzione della famiglia tradizionale sembra ormai aver infuso quel cinismo, quella disillusione che non può, che non deve essere un tratto infantile. Perché tutto possiamo eliminare, cancellare, ma non il diritto di stupirsi, di incuriosirsi, di avere delle idee che è così tipico dell’essere umano agli inizi della sua esistenza. La speranza è quella di poter recuperare gli occhi innocenti del cuore dei bambini in questo deserto di emozioni, di pensieri, di desideri. “Dove sono gli uomini?” Si chiede il piccolo principe, avvertendo una grande solitudine nel deserto. La risposta del serpente è sconfortante ma quanto mai veritiera: “Si è soli anche con gli uomini.” Si è abbandonati in mezzo ad esseri che hanno perso di vista il nucleo della loro innocenza, della loro essenza, della loro umanità. Ad una riflessione più attenta e profonda, pertanto, solo i bambini sono in grado di insegnare quel movente di ogni azione che si possa dire umana: la meraviglia.

MeraVIglIarsI ancora:I baMbInI.

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di Enza Spatola

Nel secolo scorso Palmi era ricca di “masthri” e “mai-

sthri”, ma non solo Palmi, in veri-tà. Detto così sembrerebbe dav-vero passato un centinaio d’anni, eppure basterebbe portare indie-tro il VHS del tempo di un qua-rantennio per ritrovare in città numerose botteghe di calzolai, falegnami, fabbri, barbieri, sarti e, tra le donne, sartine e ricama-trici… Nei fumi della mia fanciul-lezza mi sembra di intravedere anche una “seggiara”, uno stagni-no, e le mani operose di un cesta-io, ma certamente avreste altre tipologie di arti e mestieri da suggerirmi. Ogni quartiere aveva i suoi rappresentanti. Quanti ca-paci e seri personaggi sono stati consegnati alla storia attraverso l’ apprendistato che favorivano nelle giovani generazioni! Appe-na assolti gli obblighi scolastici, i ragazzi adolescenti, naturalmen-te parliamo di coloro che non avevano voglia o possibilità di proseguire gli studi, venivano tol-ti dalla strada e indirizzati dai genitori, anche con le maniere forti, all’apprendimento di un’ar-te o di un mestiere: era quello il segnale che finiva la spensiera-tezza dei giochi e bisognava pen-sare alla vita, per non ritrovarsi già grandi senza la capacità di mantenere una famiglia. Quando qualcuno chiedeva notizie di un ragazzo, era facile sentirsi ri-spondere: - “Vai ‘o masthru!” - oppure - “Vai all’arti!”-, come se l’Arte potesse essere a portata di mano, tale e quale ai fichidindia sulle “armacie” che degradavano tra i pittoreschi tornanti della

“Masthri” e “maisthri”

Marinella. I maschi a 18 anni avrebbero avuto la chiamata al servizio militare e, al rientro, li aspettava il lavoro vero. Che luce balenava negli occhi di colui e co-lei che erano riusciti con sacrifici a crescere un figlio fino alle soglie dell’età adulta! In tempi di magra era come un diploma, perché non avrebbe pesato più sulle spalle del padre e avrebbe aiutato a mandare avanti la baracca, fino a quando non avesse trovato ‘na brava figghjiolà da condurre all’altare. Le ragazze, invece, erano destinate presto al matri-monio: si diceva “Fìgghji fìmma-ni e gutti ‘i vinu, càcciali quan-du è primu”. Infatti, era convin-zione popolare che “‘a fìgghja ‘i quindici anni o ‘a marìti o ‘a scanni” e, perciò, dovevano im-parare, appena possibile, a go-vernare una casa e a tenere l’ago in mano’, in attesa di “cu nci mandava”. Addio “cucinìa”, ”silo-ca” e “mucciagghja”! C‘era a “maisthra”, alla quale venivano affidate con fiducia, sapendo che entravano a far parte di un gine-ceo per nulla pericoloso. E poi c’erano, comunque, i maschi di famiglia a vigilare. Spesso le ac-compagnavano fino a casa della sarta o della ricamatrice e, all’imbrunire, passavano a ripren-derle, acciocché non camminas-sero sole per la strada e qualcuno le potesse “‘nzurtari”. Di questi tempi pare che i ruoli si siano in-vertiti, ma questa è un’altra sto-ria. Presso tutti i laboratori arti-giani si respirava un’aria amicale. “U masthru” e “u discipulu” rara-mente restavano soli: special-mente nel tardo pomeriggio, le botteghe d’u barberi, d’u scarpa-ru, d’u custureri, erano luoghi di

ritrovo per amici e pensionati che, chiacchierando del più e del meno, aspettavano l’ora del rien-tro a casa per la cena. Discorsi da uomini, che “u discipulu” poteva ascoltare e alla luce dei quali svi-luppava il proprio senso critico e andava formando il proprio modo di pensare. Intanto imparava “l’arti”. Anche presso le sartorie da donna e le ‘ricameriè c’era modo di non annoiarsi, con i cica-leggi delle ragazzette, sognanti dietro le occhiate fugaci di intra-prendenti corteggiatori che, no-nostante la marcatura stretta dei fratelli, trovavano il modo di farsi notare. Era compito della “mai-sthra” richiamare all’ordine le la-voranti, magari “o ‘nthrillandu” che non era stato portato a ter-mine, oppure “o reficu stortu” da scucire e rifare. Al di là dell’a-spetto frivolo, però, i ragazzi e le ragazze si incamminavano verso la vita vera al fianco di adulti. Non erano lasciati soli. E anche quando i genitori non erano pre-senti, c‘era sempre il buon consi-glio d’u “masthru”, d’a “mai-sthra”, della vicina di casa o del compare di cresima che suppliva-no con saggezza e responsabilità di buoni padri e madri di fami-glia. Se di un ragazzo o ragazza si sentiva dire ‘u criscimmù o ‘ a criscimmù, si intendeva proprio affermare ‘abbiamo contribuito anche noi alla sua crescità. Un al-tro mondo a guardarlo con gli oc-chi di oggi. Troppo lontano, trop-po diverso. Ai nostri giorni, alla medesima espressione, verrebbe da rispondere: “S’era pè ttia mangiava!”, a dimostrazione che, a parte lo spostamento dell’asse dei valori verso il materialismo assoluto, non si intende restituire

un grazie a nessuno. Oggi la per-centuale di adolescenti che pre-feriscono imparare a lavorare è bassa. Vanno tutti a scuola e, an-che se non rendono, vengono mantenuti almeno fino al diplo-ma, perché dietro ci sono le aspettative della famiglia e un mondo che impone con tracotan-za determinati modelli di vita. Se a questo si aggiunge il naturale e progressivo calo di arti e mestieri per vecchiaia dei titolari, si spie-ga il dissolvimento di particolari categorie, anche se nella proble-matica intervengono molteplici e rilevanti fattori di mercato che sottraggono alle stesse notevole volume d’affari. C C on un pizzico di ironia, si potrebbe affermare che, nonostante si siano eclissate alcune categorie storiche di me-stieri e artigianato, non sono spa-riti i ruoli: oggi siamo tutti “ma-sthri” e “maisthri”, nessuno ha bisogno di imparare dagli altri, anzi, eventualmente, possiamo solo insegnare qualcosa. E quand’anche non fossimo esperti in alcun campo, saremmo oltre-modo depositari di una bella ri-serva di “ garbu e docazioni” che all’occorrenza potremmo elargire a tutti, gratis e a iosa. A volte, camminando per le strade, sem-bra di sentire il frullo dei pensieri di chi si incontra: - Ciao, come stai?- chiede Tizio a Caio, e Caio risponde:- Bene, grazie, e tu?- In-tanto evapora “per l’aere muto” il pensiero del primo: - Tu non sai chi sono io!- E appresso sale “per l’aere muto” il pensiero del se-condo: - Chi sei tu?! Non sai Tu chi sono io!- E l’aere che, per pla-giare la Leonora de “Il trovato-re”, può essere poeticamente muto, ma non è né sordo né cie-co, si carica di boria e mistifica-zioni. Eccentriche volute di fumo. Tuttavia, in questo aere affollato di sapere e non sapere, c’è una grande verità: abbiamo tutti un po’ ragione, ci conosciamo senza conoscerci, persi nel desiderio d’esistere, d’affermare che ci sia-mo e che valiamo qualcosa, so-praffatti dalla globalizzazione: ci prendiamo troppo sul serio e de-gli altri ce ne importa poco. Esempi da seguire per i nostri fi-gli? Purtroppo, tutto il nostro sa-pere non serve a sostenerli, sem-pre più soli, elementi di un bran-co senza prospettive, ai quali stiamo passando un mondo fatuo, edonistico, di affetti diluiti e sur-rogati, di apparenza, d’onnipo-tenza a qualunque livello, vissuto al di sopra delle proprie possibili-tà. L’anticu, sull’esperienza di Icaro, dicìa:- “non troppa car-dacìa ca vasci l’ali, ca l’ali su soggetti a lu caluri!”. E ci siamo arrivati quasi alla fine del volo! Per fortuna non tutto ciò che è antico è da buttare. Forse la stra-da giusta per mostrare ai nostri figli l’uscita dal tunnel è fare un passo indietro, imparare dal pas-sato, assumerci le responsabilità che ci competono, senza attribu-

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ire a Cesare quel che di Cesare non è.Quando si parla di droga, di piccola criminalità, di episodi di bullismo o di omofobia si tira-no in ballo la scuola, i gruppi ca-techistici, la società … Si fa pre-sto a dire “non fanno”: è facile e scarica le coscienze. Tutto può andar bene e tutto può aiutare a centrare l’obiettivo, ma priorita-riamente spetta alla famiglia tra-smettere ai giovani il senso dei giorni da guadagnarsi, il valore catartico della fatica che assorbe ma restituisce moltiplicato, il ri-spetto verso l’altro che potenzia, rinnova e perpetua il rispetto verso se stessi. La mia cara non-na soleva ripetere “Figghio-leddhi, sannu e rispettari puru i mundizzi d’a sthrata, e vi pon-nu tornari utili, c’o rispettu è misuratu, cu ndi porta nd’avi portatu!”. Se le famiglie non vei-colano i messaggi, i messaggi non partono. E se veicolano messaggi errati, partono messaggi errati. Hai voglia, poi, a raddrizzar la pertica! Certo, non è facile fare i genitori, è il mestiere più difficile del mondo, e non sono io a dirlo. Fior di pedagogisti e psicologi si sforzano di suggerirci regole di comportamento ottimali, ma ciò che nell’educazione dei figli non può mancare è il buonsenso, l’an-tico (ma non vecchio!) buonsen-so, il quale sembra perdersi tra le pieghe delle cento e più solle-citazioni artificiose che ci taglia-no quotidianamente la strada e che, noi adulti, non riusciamo a fronteggiare con l’opportuno di-scernimento. Il fulcro del proble-ma non sono i giovani, siamo noi, incapaci di sbrecciare il castello di bisogni effimeri, camuffati da primari, dentro il quale vogliamo farli vivere. Forse per troppo amore, mi si dirà, ma vai a capire se verso di loro o verso noi stessi! Tuttavia, il cammino sereno è possibile, è possibile proprio at-traverso una lettura ‘veristà del-la realtà, consapevole dei limiti

che l’uomo si porta appresso e, perché no, attraverso l’arte. Non quella di nicchia, da salotto, in fondo ripetitiva e impersonale, ma quella che nasce dal caos dell’universo, estratta con le un-ghie dalla materia prima, unica arte che crea e sublima i sogni, che rende unici e non globalizza-ti. Esattamente com’era. Ciò non vuol dire non mandare i figli a scuola, non permettere loro di conseguire un titolo, anzi. I gio-vani devono poter utilizzare gli strumenti che questo tempo of-fre: devono conoscere il mondo, senza barriere mentali né fisiche, devono apprendere le lingue, comprendere i tortuosi meccani-smi che sottendono a economia e finanze, sfruttare le nuove tecno-logie. Ma insegniamo loro anche ad esprimere il loro essere unici attraverso il lavoro manuale che, proprio perché non industriale, non plasma mai nulla di perfetta-mente uguale ad altro e forgia autostima e passione. Piuttosto che vederli, pretenziosi e schiz-zinosi, protagonisti di riprovevoli episodi da prima pagina, sarebbe bello di un ragazzo sentirsi anco-ra rispondere “Vai all’arti!”. È vero che la normativa vigente, nata per ostacolare lo sfrutta-mento giovanile, pone dei limiti di età all’apprendistato, ma è an-che vero che non sarebbe finaliz-zato affatto all’assunzione, ma andrebbe in contemporanea con la frequenza scolastica.Potrebbe essere considerato, piuttosto, un osservatorio doposcuola di ma-nualità salvifica. Salvifica sotto molti aspetti. Oggi, come nel passato. è compito della famiglia allontanare i giovani dalla strada, e farlo presto: “A vigna s’avi e ligari giuvaneddha!”, senza al-cuna differenza tra maschi e femmine. Esattamente com’era. Il buon vecchio Geppetto di “Pi-nocchio”, da un tronchetto grez-zo tirò fuori il suo sogno, un fi-glio, e successivamente un’opera

d’arte, un bambino, perché un bambino è un’opera d’arte, e non soltanto in chiave teologica. Ma quante ambasce per il povero fa-legname, che tutto vende, af-fronta, rischia,patisce! E noi vor-remmo figli perfetti senza met-terci del nostro! Beh, che ti au-gureresti dopo queste riflessioni? - penserà qualcuno in questo istante -. Rispondo con la convin-zione di chi vede la spinta vitale del mondo nella corsa alle uto-pie. Mi augurerei l’interruzione del <de profundis>. Mi augurerei, magari, che gli artigiani di buona volontà, sopravvissuti alla moria, riaprissero le botteghe ed espo-nessero avvisi a caratteri cubita-li: SI ACCETTANO OSSERVATORI DI BUONA VOLONTÀ DAI 12 AI 17 ANNI. Perchè fino ai 17? Per la-sciarli liberi di scegliere con co-gnizione di causa ai 18. Mi augu-rerei che in un’ottica illuminata di politiche giovanili l’Assessora-to comunale e/o provinciale pre-posto, imbastisse un progetto PON-POR o Nonsocome, finalizza-to all’istituzione di corsi pomeri-diani di manualità salvifica di arti e mestieri, per giovani creativi e cre-attivi di buona volontà dai 12 ai 17 anni. Mi augurerei che la storica S.O.M.S. con i propri soci di buona volontà organizzasse, diciamo fra qualche annetto, (giusto per concedere agli inte-ressati un tempo minimo per ap-prendere i rudimenti), con tanto di giuria e premi d’apprezzamen-to, un concorso in luogo pubblico di ebanisteria, di sartoria, di tap-pezzeria, di barberia, di lavori in ferro battuto, o quant’altro possa essere recuperato (cestai, cera-misti, ecc), per giovani osserva-tori creativi e cre-attivi dai 12 ai 17 anni. Mi augurerei che l’asso-ciazionismo locale, Fidapa, Rota-ry, Lions, la stessa Madreterra, con buona volontà, si rendessero promotori del recupero dell’arte tessile della seta o della gine-stra, il meraviglioso < maiu maiu>

che a maggio chiazzava le ripe scoscese e gli odorosi anfratti del maestoso Sant’Elia, per poter ri-sentire per le vie l’assiduo canto dei telai, i sordi colpi dati dal pettine ai fili della trama, come quieti sobbalzi di treni accelerati in un mondo che viaggia verso il nulla a velocità supersonica.

Quante madri e figlie potreb-bero esserne coinvolte! Mi au-gurerei che le famiglie di buona volontà mettessero sotto chiave playstation e psp, e stimolassero i ragazzi a imparare il vero e dal vero, a non assopire le fresche menti dietro il gioco virtuale e deviante di cui le stesse macchi-ne sono portatrici sane. Buona volontà, buona volontà, buona volontà. E dopo tutto ciò, non avremo affatto ripristinato, qual era in passato, la categoria degli artigiani, né è quello che serve. Mi augurerei invece che, forte dello stimolo ricevuto, dell’e-sperienza pur breve maturata sul campo, dei titoli di studio conseguiti, della conoscenza di normative e leggi, della capacità di utilizzare le lingue e le nuo-ve tecnologie, fra qualche lustro emergesse una nuova categoria di artigianato imprenditoriale su larga scala, con le porte aper-te sul web, che fosse linfa nuo-va dì tipizzazione del territorio. Avremmo buone prospettive di lavoro e daremmo uno scossone all’economia di questo lembo di terra derubata da secoli. Ma an-che questa è un’altra storia.

Insomma, mi augurerei che i nostri giovani fossero aquile d’al-ta quota e non batterie di polli da cortile, (consiglio di legge-re “Messaggio di un’aquila che si credeva un pollo” di Antho-ny De Mello) , vorrei per loro la forza delle onde e non l’apatia delle maree. Utopie? Può darsi, ma solo allora potremmo sentir-ci fieri d’essere stati “masthri” e “maisthri” e non venditori di fumo .

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Rivedo nel mare le storie di mille uomini sconosciuti che

hanno solcato gli oceani per ali-mentare la loro sete di conoscen-za: Amerigo Vespucci raccontò così, nel suo diario, l’amore infinito per i viaggi che lo spinse lungo rot-te sconosciute.

Rotte che oggi rivivono grazie all’abilità di un grande artista-ar-tigiano di Palmi: Antonio Anasta-sio che ha riprodotto fedelmente, con certosina pazienza ed infinita abilità, vascelli di tutte le epoche, navi moderne ed antiche galee che ritornano dal passato grazie all’in-gegno e alle prestigiose mani di questo maestro calabrese, ormai divenuto rappresentante della no-stra regione nel mondo.

Nativo di Palmi, ha iniziato a col-tivare la sua passione artistica dalla tenera età di nove anni. Era ancora giovinetto quando costruiva del-le piccole imbarcazione da pesca con i relativi attrezzi. Aveva appe-na compiuto il sedicesimo anno di età quando iniziò a lavorare sulle navi passeggere compiendo i primi viaggi verso la Grecia. A diciasset-te anni fece il giro del mondo con la nave “Galileo Galilei” della com-pagnia del Lloyd Triestino, facendo la rotta: Italia, Sud Africa,Oceano Indiano, Australia, Messico, Canale di Panama, Venezuela, Oceano At-lantico, Spagna, Genova.

Durante questa traversata, il

“nino” anastasio:Quando l’artigianato diventa arte

la Redazione

sole Nidia Paolino Valdez, e alla presenza delle più alte cariche pre-sidenziali Dominicane, dopo una solenne cerimonia svoltasi all’in-terno del Faro a Colon, sono state consegnate al Direttore Generale del Funglode Frederic Emam-Zadè e al Governatore Miesis, la tre Ca-ravelle del grande navigatore.

Nell’occasione i componen-ti dell’Associazione Ulisse hanno consegnato al Gen. O.M. Cordero Vecchio, al Gen. Ilario Gonzales, al Col. Franco Gussio, ai rappre-sentanti del COMITES, Azzurri nel Mondo, Corrieri d’Italia e all’On. Giuseppe Visca, del materiale di-dattico e farmaceutico destinato alle famiglie bisognose.

Nel 2008, dopo una difficile ri-cerca effettuata con l’aiuto del suo caro amico Dott. Giuseppe Cricrì, che è risalito alle origini del piro-scafo “Vincenzo Florio”, costruito nel 1882 nella città dio Palermo, utilizzato per la traversata transo-ceanica verso la città di New York, trasportando i nostri emigranti ca-labresi e siciliani, il maestro Ana-stasio ha avuto l’abilità di ripro-durre fedelmente il prototipo del piroscafo (lunghezza 9 m).

Anastasio insieme a Peppe, ha dato vita nella piazza principale di Palmi ad uno spettacolo artistico-storico-culturale rievocando l’epo-pea dei nostri emigranti nel mon-do: “C’era una volta La Merica”.

Una carriera costruita poco a poco e non certo senza fatica e sa-crifici e finalmente apprezzata al punto di avere il desiderio di rea-lizzare un museo tutto suo anche in Calabria.

Sono stati in tanti ad aver ap-prezzato e creduto nelle sue alte qualità di maestranza artisti-ca: l’On. Armando Veneto, che, nell’anno 1996, ha voluto premiare il Maestro con una medaglia d’ar-gento; il Dott. Giovanni Barone at-tuale Sindaco della Città di Palmi,-che ha espresso la sua gratitudine facendolo premiare dal Presidente della Prov. di Reggio Calabria, per non dimenticare il Pres. della Re-gione Calabria Agazio Loiero oltre alla più alte cariche istituzionali mondiali.

Da calabresi ci sentiamo onorati di fare nostri i desideri del Maestro Anastasio.

Desideri maturati guardando lo specchio di mare incantato che da Scilla arriva fino a Capo Vaticano. Lo stesso mare che incantò Aiace, Telamonio e ispirò Omero.

maestro Anastasio, fu premiato con decorazione in oro dal comando quale più giovane membro della compagnia di navigazione che at-traversò l’Equatore per la prima volta.

Durante i suoi anni trascorsi na-vigando per gli oceani fiorì in lui la sua innata ispirazione per la co-struzione di questi modelli navali, così da dedicare parte del suo tem-po libero alla sua passione.

Con il passare degli anni, si per-fezionò e realizzate le prime ope-re, ottenne i primi successi che lo incoraggiarono ad andare avanti, realizzando sciabecchi francesi, galeoni spagnoli, vascelli inglesi, feluche, ma anche le nostre tipiche navi a vela recuperate nelle forme di antiche incisione del 1600.

Ciò che è noto nel mondo, invece, sono le navi fenice, romane, greche e la nostra nave-scuola “Amerigo Vespucci”, uno dei più bei velieri del mondo riprodotto dalle sapien-ti mani del maestro Anastasio, con il suo relativo funzionamento gene-rale, tale e quale a come fu realiz-zata nel 1932.

Nel 1994, Giuseppe Saffioti (GISA) gli suggerì di realizzare un vascello per il trasporto del Reliquiario del Sacro Capello, ma l’idea non venne sposata in pieno poiché, il pensiero del Prof. Saffioti consisteva nel re-alizzare quell’opera interamente in argento, ma gli promise che avreb-be costruito un vascello risalente all’era e all’autenticità dell’opera, in modo tale da poter posizionare

il relativo trionfino, che funge da castelletto di una nave secondo la descrizione ammirevole del nostro amatissimo scrittore Luigi Lacqua-niti.

Quest’opera, divenuta tra le più importanti e suggestive realizzate, da allora è custodita presso la casa della Cultura “Leonida Repaci”, e viene portata a spalla per antico privilegio e, per antica tradizione marinara, tramandata da genera-zioni da padre in figlio, portano in processione la Reliquia del Sacro Capello simulando con passo rit-mico il moto ondoso del mare che imperversava in una tempesta du-rante la traversata da Messina a Palmi.

Questa festività viene rievocata nel giorno della processione della Madonna della Sacra Lettera giorno che precede la Varia Palmese.

L’arte di Anastasio, con la più stretta collaborazione del figlio Giuseppe, annovera fra i tanti meritati successi la costruzione ed esposizione delle tre caravelle (lunghezza complessiva 16 m) usa-te nella spedizione di Cristoforo Colombo ed apprezzate in occa-sione del “Columbus Day” a New York nell’anno 2002 alla presenza del Ministro Mirko Tremaglia con la collaborazione della Regione Calabria e da vari rappresentanti Italo- Americani che hanno onorato l’evento con la loro presenza. Ope-re custodite presso la “Calabria Society” di New Rochelle.

Nel 2004 ha ultimato il Museo Navale del parco “Fiabilandia” di Rimini visitato annualmente da una moltitudine di italiani e stranieri.

Successivamente , quale Presi-dente dell’Associazione Ulisse”, con la collaborazione dei soci Giusep-pe Anastasio, Vincenzo Marturano e Ettore Lucio, si recarono presso la città di Santo Domingo dopo aver preso accordi con l’ambasciatore Avv. Giorgio Sfara, per visionare il famoso Faro a Colon della suddetta città, da qui nasce la volontà per la donazione delle tre caravelle dell’Ammiraglio Cristoforo Colom-bo da collocare presso il grande Mausoleo, situato vicino la tomba dell’Ammiraglio Colombo.

Così nell’anno successivo i rap-presentanti dell’Associazione Ulis-se insieme al Sindaco di quell’anno Avv. Nino Parisi e alla sua gentile consorte, si sono recati presso la città di Santo Domingo e alla pre-senza dell’ Ambasciatore Italiano Dott. Enrico Guicciardi, della Con-

Una vita dedicata al lavoro, commerciante per oltre 60 anni, padre felice di sei figli, una moglie che gli sta accanto da quasi 70 anni, ecco il profilo di Luigi Lauro, l’ultimo “centenario” made in Palmi. Il nome tradisce le origini campane (di Amalfi, precisamente), ma racconta di una vita spesa nel commercio palmese più antico. Tanti, tutti, ricordano “Don Luigi”, dietro il bancone del vecchio negozio di alimentari e coloniali prima, di articoli da regalo e bomboniere dopo e raccontano del suo sorriso e della sua generosità, fatta spesso di piccole attenzioni, di piccoli aiuti per tirare avanti anche nei periodi più bui della nostra storia. Grande imprenditore “illuminato” Luigi Lauro, precursore dei tempi, sempre pronto a continue scommesse, tutte vinte. Classe d’acciaio, quella del 1912, di quelle che non capita facilmente di vedere (negli stessi giorni a Palmi un’altra centenaria fe-steggiava il proprio genetliaco). Uomini e donne forti, vissuti tra due guerre, che han-no fatto la storia di Palmi, cittadina dove è lieto vivere, sospesa tra monte e mare.

100 ANNI!!! LUIGI LAURO AUGURI!

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La SATIRA di Saverio Petitto

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Mio padre Rizzitano Michele (nomea “Michele Vici” nato

a Palmi nel 1910 e deceduto nel 1980), nella Villa comunale, ma non solo, ebbe un ruolo di pri-mo piano negli anni dal 1936/37 al 1978/79; è stato infatti giar-diniere e custode, dapprima per conto della ditta di floricoltura Errera (nomea “U Villeri”), con sede dietro la Chiesa dei Monaci, poi, negli anni “70, per conto del Comune di Palmi.

Diciamo quindi che, per qua-si mezzo secolo, ha dato il suo contributo alla crescita, alle va-rie migliorie, alla semina e cura delle piante ed alberi, per non parlare del suo personalissimo “biglietto da visita”: la “scrit-

ta”, situata sotto il busto di Vit-torio Emanuele II, su un tappeto di erba e fiori, frutto di semine fatte da lui stesso. Era davve-ro la “sua scritta”: la composi-zione floreale recante il nome “VILLA MAZZINI”, con l’anno in corso, curata personalmente da lui, ogni giorno, per lungo tempo ha dato il benvenuto ai visitatori della Villa comunale.

Io mi chiamo Giuseppe e sono il terzo dei suoi quattro figli (ol-tre a me, Francesco, Antonietta e Rocco, purtroppo deceduto a Ge-nova nel 2002). Sono residente a Rivoli (TO) da oltre 45 anni, ma, quando mi è possibile, torno al mio caro paese natio, Palmi, per godermi un po’ di vacanza assie-

me alla mia famiglia. Ricordo che papà, fino a che si è sentito le forze, prima che una lenta e gra-ve malattia ce lo portasse via, ci teneva a recarsi in villa alle ore 2 o 3 di notte (in agosto, quan-do mi trovavo a Palmi spesso lo accompagnavo io), perché per lui quelle erano le ore migliori per lavorare, per presentare ai visi-tatori del mattino la villa pulita, in tutta la sua freschezza ed il suo splendore, con le piante ben curate ed innaffiate: quel clima, poi, era così salubre che molte mamme avevano la consuetudi-ne di portare al mattino presto in villa i propri bimbi ammalati di pertosse, perché potessero coglierne tutti gli effetti benefi-ci. Mio padre mi diceva sempre che per lui era motivo di orgo-glio avere un posto di lavoro così, perché gli dava la possibilità di comunicare a tanta gente la pro-pria passione per le piante e più in generale per tutte le manife-stazioni della natura.

Senz’altro mi sarò dilungato,

ma, in chiusura, non posso non ricordare alcuni luoghi in cui mio padre ha prestato la sua opera negli anni 50/60: alla pineta di S. Elia “A ‘Scrisi”, alla Stazione di Palmi, dove alcune piante esisto-no tutt’ora, lungo tratti dell’auto-strada SA-RC molti oleandri delle carreggiate sono stati piantati da lui, alla Tonnara di Palmi…., ma il suo capolavoro è rappresenta-to da una palma che si trova nel parco adiacente la “Casa della cultura”. Mai più avrebbe imma-ginato che nei luoghi in cui era nato, cresciuto, dov’era la sua vigna, da un dattero piantato da ragazzo sarebbe nata una pal-ma che lo avrebbe ricordato per sempre!

A nome mio e dei miei fratelli va un sincero saluto a tutti co-loro, parenti, amici, conoscenti, che, nel leggere questo articolo, facilmente ricorderanno mio pa-dre. A Voi tutti della redazione un grazie di cuore per averci dato la possibilità di dedicare un piccolo pensiero al nostro caro papà.

MICHELE “Vici” RIZZITANO- ‘U villeri -

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La storia che vi raccontere-mo è una di quelle a lieto

fine, una storia vera, accaduta qui a Palmi esattamente 51 anni fa.

E’ una bella storia Natalizia, ambientata nel quartiere della

nostra Tonnara.Da una ricerca compiuta negli

archivi della nostra collezione, è emersa la copia di una rivista datata 14 gennaio 1962. Si trat-tava del settimanale epoca , che nel dicembre 1961 organizzò una gara di solidarietà sull’inte-ro territorio nazionale, fra tutti i suoi lettori.

Nell’ultimo numero dell’anno 1961, con vari reportage foto-grafici, vennero raccontate 17 diverse storie di povertà, nelle quali si descriveva la reale con-dizione di persone che, lungo lo Stivale, erano state vittime di episodi di ingiustizia sociale, di sventura o di indigenza.

La rivista invitava i lettori a

“ fare Natale con loro” parteci-pando ognuno a proprio modo, nell’intento di rendere più vivi i giorni di festa per queste per-sone.

L’Italia stava allora viven-do il periodo forse più magico dell’intera sua storia, era inizia-to il “Miracolo economico” e le aspettative non delusero affatto

il miracolo di natale

di Giuseppe Cricrì

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i promotori di questa iniziativa benefica.

Per la redazione iniziò un’av-ventura meravigliosa e commo-vente. Per un intero mese la sede del SETTIMANALE fu let-teralmente “bombardata” dalle offerte di innumerevoli benefat-tori: lettere, telegrammi, offer-te in denaro, doni a tonnellate che ammontarono complessi-vamente a parecchi milioni DI LIRE. Molti benefattori vollero fisicamente recarsi a conoscere personalmente le persone cita-te e fotografate, addirittura ci fu un parroco che lesse le va-rie storie dall’altare, invitando i parrocchiani alla collaborazio-ne, gli aiuti pervennero anche da oltre frontiera, dall’Inghilter-ra, da Svezia, Svizzera, Francia, Germania, Stati Uniti, Portogal-lo, e persino dalla Somalia. Al-cune fra le maggiori industrie italiane contribuirono con l’invio di prodotti, fra queste, l’Alema-gna, la Motta, la Star, la Candy e la Pibigas.

Il settimanale del mese di gennaio pubblicò le foto con i sorrisi di chi aveva ricevuto so-lidarietà, intitolando l’articolo con la frase:” Questo miracolo lo avete fatto voi” – sottotitolo- ecco come avete trasformato la vita dei nostri amici sfortunati con la vostra meravigliosa gara di bontà nei giorni di Natale.

Ma andiamo alla storia pal-mese, della nostra Tonnara. Era una delle 17 presentate nel mese di dicembre. Il Maresciallo sig. Raffaele Campanella (Segre-tario della cooperativa Madonna dell’Alto Mare) aveva segnalato al settimanale Epoca la storia di un pescatore, tale sig. Antonino Marzano

(detto u Mantiotu, poiché ori-ginario di Amantea CS; sposato con la “ tonnarota” signora Pao-la Oliverio ) il quale era sprovvi-sto di una propria imbarcazione e pertanto, per poter pescare, era costretto a chiederla in pre-stito agli altri amici pescatori che, quando potevano, gliela of-frivano. Con l’iniziativa di Epoca il pescatore riuscì ad avere in dono una barca tutta sua e tutti i bambini della Tonnara ricevet-tero doni in vestiario, generi ali-mentari e giocattoli. La foto che abbiamo voluto pubblicare, li mostra felici e festanti. Avendo rinvenuto questa bella pagina, ho voluto rintracciare i bambi-ni di allora, che oggi sono adulti signori e signore di 55/60 anni. Mi sono recato giù, a mare, e con interviste fatte per stra-da, agli abitanti, ho voluto ve-rificare se ancora, quel lontano episodio fosse rimasto ancorato alla memoria di qualcuno. Con sorpresa mia e dei protagonisti ho ricostruito tutta la vicenda,

ho ritrovato quasi tutti i bambi-ni ritratti ed anche tante delle persone allora già adulte,(alcuni di loro sono purtroppo ormai deceduti.) In effetti, ancora oggi, in tanti ricordano. Ho così potuto ricostruire l’intera vicen-da ed avere conferma che allo-ra si svolse proprio così, come era stata raccontata, in modo schietto e senza retorica, dal famoso settimanale. Mi ha col-pito il tenero commento della signora Maria Marzano, figlia del pescatore protagonista, che oggi, ricordando ancora la gio-ia assaggiata da tutta la sua fa-miglia in quel frangente, mi ha ringraziato, stupita nel rivedersi ritratta nella foto, conferman-domi che è quella l’unica imma-gine di lei bambina, felice, con le braccine spalancate, come in un abbraccio di gratitudine, che adesso potrà conservare in un portafoto oltre che nel cuore.

Le persone individuate nella foto sono gli adulti: Giacomo Saffioti (detto u Pilatu) , Anto-nino Careri (detto u Verracinu), Concetta Marzano, Antonino Oliveri (detto u Cuntrollu), Pa-squale Iannì, Antonino Careri; e i piccoli: Concetta Oliverio, Roc-co Oliverio (detto Jair), Carmine Iannì (detto u zzì Fiu), Antonella Iannì (detta Nineddha), Ciccio Marzano, Vincenzo Iannì, Roc-co Misale, Teresa Iannì (sorella

di Filippino), Carmelo Oliverio, Pasquale Oliverio, Saro Caratoz-zolo (detto u Manzu), Maria Mar-zano e Lina Iannì.

Come molti sapranno, il pros-simo progetto della Associazio-ne Prometeus, vedrà proprio la Tonnara teatro della nuova im-presa che, con l’indispensabile, straordinario aiuto accordatoci dai tanti cittadini affezionati e volenterosi, da maestranze sempre operose e zelanti, da imprese sempre disponibili e ge-nerose, potrebbe vedere la luce QUANTO PRIMA, con la realizza-zione della monumentale “Fon-tana del pescatore” ad opera dello scultore Achille Cofano. Ci auguriamo che questo sobrio ar-ticolo, addolcito dalla atmosfera Natalizia che pervade e santifica l’avvento delle prossime Feste, possa essere di buon auspicio per tutti i progetti futuri che la nostra Tonnara e la Città si ac-cingono a realizzare, in questo difficile momento che travaglia l’Italia tutta, affinché nuovi mi-racoli, oggi come allora, possa-no ancora portare il sorriso sui volti di una generazione di uo-mini e donne, che da un po’ di tempo ha perso l’entusiasmo e la fiducia nel futuro.

Allegria quindi! E amore!! E speranza!!!

Buon Natale e felice Anno nuovo, a tutti!!

A sinistra - La copertina di EPOCA del 14 gennaio 1962Sopra - La foto dei protagonisti e uno stralcio dell’articolo.

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Il 28 novembre scorso a Palmi si è svolta una bellissima manife-stazione, dedicata alla riqualificazione del verde urbano, che ha

coinvolto gli alunni delle Scuole dell’Infanzia, Primarie e la Scuola Secondaria di Primo grado Tito Minniti, dell’Istituto Comprensivo “San Francesco”, i cittadini e le Autorità locali. Il momento cen-trale della festa ha riguardato la piantumazione di un albero di ulivo all’interno del Parco Parpagliolo, l’area verde dedicata ai bambini, recentemente ristrutturata e attrezzata dall’Associazione culturale Prometeus. L’evento, che doveva essere celebrato il giorno 21 ma che è stato rimandato a causa del maltempo, si trova in linea con la Giornata Nazionale dell’albero, istituita dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Hanno preso parte, con slan-

Ritorna la festa dell’albero

Festa a scuolaMamma, lo sai che abbiamo fatto festa

a scuola, stamattina? Allineatidapprima; e poi, con il maestro, in testa

a piantar gli alberelli siamo andati.E ne abbiamo piantati un per ciascuno,

ma bello come il mio non è nessuno:svelto, diritto, a cuspide perfetta,

verde cupo nel folto e chiaro in vetta.Un per ciascuno, eravamo in cento:Ora cento alberelli al sole, al vento,come fiere sentinelle se ne stanno…e pensa che bel bosco diverranno!

(L. Salvatore)

Preghiera dell’AlberoUomo! lo sono il calore del tuo focolare

nelle fredde notti d’inverno.L’ombra amica quando sfolgora il sole d’estate

io sono la trave della tua casa,l’asse della tua tavola;

io sono il letto nel quale dormi,e il legno col quale tu fai le tue navi;

sono il manico della tua zappae la porta della tua entrata.

lo sono il legno della tua cullae della tua bara;

io sono il pane della bontà,il fiore della bellezza;

ascolta la mia preghiera: non distruggermi!

(Gilbert Anscieau)

di Nella Cannata

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Arriva Natale e i bambini attendono con ansia i loro doni portati da Babbo Natale che, secondo la tradizione, arriva la notte tra il 24 ed il 25 Dicembre. Trasporta i doni su una slitta trainata da renne e arriva direttamente dal Polo Nord.

Nella dimora di Babbo Natale una miriade di folletti lavora tutto l’an-no per fabbricare i doni per i bambini di tutto il mondo. La ‘consegna’ viene effettuata da Babbo Natale in persona o dai suoi aiutanti che depongono i doni ai piedi dell’albero di Natale calandosi dal camino (se la casa ne è provvista!)

Sin dall’antichità ed in tutte le culture esisteva un personaggio che portava doni ai bambini. Ma il nostro Babbo Natale origina da San ni-cola, un vescovo bizantino del IV secolo (in Italia San Nicola di Bari).

Amato e venerato un po’ in tutta Europa, specie in Belgio e in Olanda veniva ricordato il 6 Dicembre. Nell’iconografia tradizionale stava in groppa ad un asinello bianco oppure a cavallo. Andava nelle case por-tando doni ai bimbi buoni. Secondo certe tradizioni lo accompagnava lo gnomo Peter il Nero, che puniva i bambini cattivi.

Quando gruppi di immigrati olandesi si spostarono in America fondando Nuova Amsterdam, divenuta in seguito New York, porta-

rono con loro anche le tradizioni, tra cui San Nicola che nella loro lingua si chiamava Sinter Klass. Il personaggio piacque anche ai coloni inglesi che trasformarono il nome in Santa Claus

ll babbo Natale di oggi riunisce le rappresentazioni premoderne del portatore di doni, di ispirazione religiosa o popolare, con un personaggio britannico preesistente.

Inizialmente portava una mitra rossa (copricapo litur-gico) con una croce dorata e si appoggiava ad un pasto-rale. Il richiamo al Vescovo di Mira città della Turchia è molto evidente.

A quanto pare l’aspetto moderno di Santa Claus ha as-sunto la forma definitiva con la pubblicazione della poesia “Una visita di San Nicola”, più nota con il titolo “La notte di Natale” (“ The Night Bifore Christmas” avvenuta sul giornale Sentinel della città di Troy (stato di New York) il 23 dicembre 1823. L’autore del racconto

è tradizionalmente ritenuto Clement Clarke Moore anche se l’attribuzione è controversa. Santa Claus viene descritto come un signore un po’ tarchiato con la barba ed un lungo mantello verde bordato di pel-liccia.

Il Rosso ben presto divenne il colore predominante a partire dalla sua comparsa sulla prima cartolina di auguri natalizi nel 1885.

Le immagini di Santa Claus si sono ulteriormente e definitivamente fissate nell’imma-ginazione collet-tiva grazie al loro uso nella pubblicità natalizia della Coca Cola realizzata da Haddon Sundblom nel 1931. La po-polarità di tale

immagine ha fatto sì che si diffondessero vere leggende urbane che attribuivano alla Coca Cola l’invenzione stes-sa di Santa Claus. Naturalmente questa è una leggenda metropolitana, tuttavia, Babbo Natale ha gli stessi colori di una lattina di Coca Cola, bianco e rosso e questo fatto, insieme alla sua immagine legata alla famosa bevanda, ha fatto nascere in molti l’idea che sia stata proprio la Coca Cola a inventare Babbo Natale!

Questa immagine diffusa per ben 35 anni in tutto il mondo è diventata la raffigurazione ufficiale di Babbo Na-tale e nessuno ormai potrebbe raffigurarselo in un altro modo. Nel creare il nostro Babbo Natale fu, infine, anche l’illustratore Thomas Nast che tra il 1862 e il 1886 disegnò una serie di celebri tavole dedicate al personaggio che ormai era stato associato alle festività natalizie. Sono una sua creazione la casa Al Polo Nord , la lista dei bambini buoni e cattivi, la fabbrica dei giocattoli dove lavorano gli gnomi aiutanti.

di Carmela Gentilela vera storia di BaBBo natale

*spunti bibliografici tratti da Wikipedia e dal sito WWW.miocarobabbonatale.it

cio e grande disponibilità: il Sindaco Dott.Giovanni Barone, l’assessore all’Ambiente Avv.Lilla Pipino, l’Assistente Capo del Corpo Forestale dello Stato del Comando di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Rosario Ab-bruzzini, i rappresentanti del Corpo di Polizia Municipale e dell’Arma dei Carabinieri,e Pa-dre Giorgio, francescano della Chiesa del Santissimo Rosario, che ha benedetto la pianta subito dopo la sua piantuma-zione, gentilmente diretta dall’Agronomo Prof. Francesco Arena. L’iniziativa, promossa dalla Dott.ssa Claudia Cotro-neo, Preside dell’Istituto, ha portato al Parco un folto stuo-lo di alunni e di cittadini che hanno partecipato con interes-se e allegria. Tutti, dai piccoli dell’Infanzia ai più grandi della Scuola Media, hanno preparato cartelloni, slogans e canzoni per sensibilizzare i presenti sul tema ambientale, sull’esigenza di rispetto e attenzione verso la natura, comunicando valori positivi e soprattutto, diver-tendosi insieme. Nei giorni passati, i ragazzi avevano se-guito, nelle rispettive scuole, corsi di Ed. Ambientale diretti dal prof. Arena che si era gen-tilmente reso disponibile a tra-smettere agli studenti le sue conoscenze e la sua passione per la materia. Era da tanto tempo che non partecipavo alla festa dell’albero! Mi rac-contano che a Palmi un tem-po, si festeggiava con grande entusiasmo. Le scolaresche si recavano all’Istuto Agrario alli-neate come piccoli soldati, con bandiere e festoni e tutto in-torno era una festa di colori e di sorrisi. Io ricordo quando, da bambina, questo evento rap-presentava un momento fon-damentale del percorso scola-stico di ogni alunno. Rammento le poesie, le ricerche e tutte le attività finalizzate ad ampliare la conoscenza e le informazio-ni sul “grande amico” che ci dona tutto di sé chiedendoci in cambio solo un po’ di sensibi-lità e di cura. Chi non ricorda “Il testamento di un albero” di Trilussa o “La Quercia caduta” di Giovanni Pascoli o “Soldati” di Giuseppe Ungaretti? La festa era una tappa obbligata, pia-cevole e attesa, che ci faceva partecipi della natura, dell’am-biente e del territorio. Oggi, grazie all’interessamento delle Prof.sse Nuccia Cogliandro, Te-resa Augimeri e Maria Rosa De Leonardis, a Palmi è ritornata “La festa dell’albero”, perché anche le nuove generazioni sappiano apprezzare e com-prendere quanto sia importan-te il nostro patrimonio arboreo e boschivo. Si spera che questo avvenimento possa ripetersi per tutti gli anni a venire, affin-chè dalla Scuola, ancora oggi come una volta, venga lanciato il messaggio di rispetto e tute-la dell’ambiente come obietti-vo per garantire la sicurezza e la civiltà nel nostro Paese.

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“GIOCO E IMPARO CON IL LEGNO”Scuola dell’infanzia Taureana

BUON COMPLEANNO

CLARISSA!Auguri Clarissa, da parte di decine e de-

cine di persone che hanno contribuito lavorando per la costruzione di Parco Parpa-gliolo e, ovviamente, da parte delle migliaia di persone che hanno contribuito economica-mente perchè ciò avvenisse, lietissimi che tu

A PARCO PARPAGLIOLO VA DI MODAFESTEGGIARE I COMPLEANNI!!!

e i tuoi compagni abbiate potuto festeg-giare, in allegria, simpatia, e serentità, questo tuo giorno stupendo.

Associazione PROMETEUS

Gli Elfi nella bottega del falegname“Gli alunni della Scuola dell’Infanzia di Taureana alla scoperta di antichi mestieri”

Non so se capita anche a voi di meravigliarvi davanti ad un

interlocutore attento, cordiale, gentile. Siamo così sfiduciati, coì disperatamente disillusi in que-sto tempo di crisi, che incontrare una persona pronta ad ascoltare, disponibile e predisposta a faci-litare il nostro percorso di vita, quasi quasi ci spiazza, ci confon-de e ci lascia increduli. Allora ci sono! Pensiamo… Esistono ancora le persone positive! Ebbene, è ciò che mi è capitato incontran-do Lello Arcuri, un amico che come me è membro dell’Associa-zione Prometeus. Ho iniziato a parlargli di un progetto che ave-vamo programmato, indirizzato

a far conoscere ai bambini della Scuola dell’Infanzia di Taureana, le attività artigianali presenti nel nostro territorio. Ricollegandoci alla storia di Pinocchio, che fa da sfondo integratore del percorso didattico adottato nell’anno in corso, ci sarebbe piaciuto offrire ai piccoli alunni, la possibilità di vedere come è strutturata una falegnameria e come Geppetto avrebbe potuto costruire il suo burattino. Immediatamente, ma-nifestando grande entusiasmo, si è offerto di farci visitare il suo la-boratorio. In men che non si dica abbiamo organizzato l’uscita. Con affabilità e grande professio-nalità ha messo a disposizione dei piccoli visitatori tutta la bottega, predisponendo spazi ed angoli del locale in modo da consentire la massima fruibilità, in sicurez-za, da parte dei bambini. Questi sono arrivati sul posto travestititi da folletti, recando in dono ghir-lande e oggetti costruiti in se-zione, come a voler manifestare la gioia di vivere un’esperienza

fiabesca. E in-fatti, ben pre-sto, l’ambiente si è trasformato per poche ore nel magico labo-ratorio di Babbo Natale, dove, le manine operose di piccoli Elfi, hanno creato giocattoli di le-gno, incollando e inchiodando con allegria e vivacità. L’acco-glienza è stata incredibile: ogni alunno ha rice-vuto un martel-letto con un kit di materiali per lavorare (colla, tavolette, chio-dini), un grem-biulino perso-nalizzato con il proprio nome ed alcuni ogget-

ti semilavorati da assemblare per costruire casette, bacheche, tre-nini. Una golosa merenda a base di ciambelle, succhi e patatine offerti dal sig. Enzo Galletta, ha aggiunto anche quel pizzico di sa-pore in più ad una esperienza in-dimenticabile trascorsa tra magia e tradizione. I bambini si sono divertiti, hanno giocato e vissuto un bellissimo momento insieme, arricchendo il proprio bagaglio di conoscenza e scoprendo il piacere di creare e trasformare le cose. Noi insegnanti eravamo eccitatissime, rapite dai ricordi della nostra infanzia, quando in famiglia costruivamo con i nostri genitori le casette per il presepe e intorno c’era un’atmosfera ma-gica di profumi e suoni del Nata-le. Grate a tutti coloro che han-no permesso la realizzazione di tale esperienza, vogliamo espri-mere un sentito ringraziamento alla Dott.ssa Claudia Cotroneo, Preside dell’Istituto Comprensivo “S. Francesco” (di cui la nostra scuola fa parte), perché ha voluto sostenere il nostro progetto, con-sapevole del valore aggiunto che ogni esperienza diretta e concre-ta, attribuisce al percorso didat-tico attuato; alla Dott.ssa Maria Rosa Garipoli che si è attivata per permetterci di raggiungere la falegnameria con lo scuolabus. Al nostro gentile ospite va un rico-noscimento particolare per l’ac-coglienza e la disponibilità accor-dataci e per la gioia che ha sapu-to dare ai nostri bimbi che hanno portato a casa il prodotto della loro fatica e i grembiulini realiz-zati dalla sig.ra Teresa Loprevite con tessuti donati dal laboratorio di tappezzeria Palermo e perso-nalizzati dalla ditta grafica Keiron di Francesco Condello. Un gra-zie di cuore va all’Associazione Prometeus, che ha patrocinato l’evento con lo stesso spirito ed entusiasmo con cui anima tutte le iniziative per la nostra città, dando prova, ancora una volta in questa occasione, di grande considerazione e sensibilità verso l’Infanzia.

di Nella Cannata

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Nell’occasione della cerimonia di scopertura di una targa presso la scuola materna “Trento e

Trieste” di Rione Impiombato, alla presenza del Sin-daco di Palmi Dott. Giovanni Barone, del Dirigente scolastico del Primo Circolo, nonchè di insegnanti e genitori, è emerso che quella scuola è a rischio di chiusura poichè sono pochi i bambini che la frequen-tano, rispetto alla effettiva capacità ricettiva della stessa.

Le cause sono emerse nel corso degli interventi sia del Sindaco Barone che del Dirigente scolastico e consistono nel fatto che parecchi bambini della scuo-la materna sono “alloggiati” al piano terra della “De Zerbi” in aule affollate, quando potrebbero tranquil-lamente godere degli ampi spazi, del cortile e delle altre pertinenze della Scuola di Rione Impiombato, equilibrando, così le presenze.

Ma è emerso anche che la Dirigenza scolastica del-la “De Zerbi” si lamenta per il fatto che le aule per i bambini delle elementari non sono sufficienti e chie-dono al Comune ulteriori alloggiamenti.

Da qui nasce una lapalassiana contraddizione che si potrebbe risolvere tranquillamente e semplicemente facendo si che i bambini della scuola Materna, at-tualmente ospitati alla “De Zerbi”, si trasferiscano nei più accoglienti locali dell’edificio di Rione Im-piombato, lasciano le aule che occupano per le esi-genze della scuola elementare.

Così facendo si avrebbero molteplici vantaggi: i bambini avrebbero molto più spazio e locali apposi-tamente costruiti; la scuola materna non rischiereb-be la chiusura con ulteriori complicazioni e disloca-zioni; e l’edificio “De Zerbi” potrebbe ospitare altre classi delle Elementari.

MATERNA “TRENTO E TRIESTE”APPOSTA LA TARGA RICORDO MA EMERGONO I RISCHI DI CHIUSURA

di Daniele Riefolo

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di Daniele Gagliardo

Il mio telefo-nino squilla

insistentemen-te. La suoneria è quella di sempre. Ian Esbury mi annuncia, in ma-niera ostinata da 10 anni a questa parte, che qual-cuno è alla mia disperata ricerca. E come sempre faccio un’enorme fatica a recupe-rarlo nel mio bor-sello, nemmeno fosse la borsa di Mary Poppins. Il display sembra

impazzito mentre lampeggia la scritta intermittente“Cris B.”. Mi sem-bra di vederlo mentre mima ,con una smorfia di disappunto fin troppo evidente ,la sua viscerale impazienza. Sto impiegando troppo tempo nel rispondere. Corro con il cuore in gola all’appuntamento prefissa-to, cercando nel tragitto di inventarmi la prima scusa che mi viene in mente, per giustificare il mio puntuale ritardo (tanto so di certo che non reggerà!). Sono stato sempre dell’idea che degli stuzzichini salati ed una buona birra, rappresentano i modi migliori per iniziare, in un pomeriggio autunnale, un rapporto di amicizia con qualcuno, magari seduti tranquillamente in un noto bar di Palmi. Del resto , oltre che per il vino, anche “in birra veritas”! Giungo a destinazione, cercan-do inutilmente di recuperare il fiato perduto. Mentre mi accingo a sedere, porgo la mia mano presentandomi alla persona che si trova al fianco di Cris B... Si chiama Salvatore Saffioti, in arte Double Esse (ecco scoperto l’arcano della sua sigla), ed il primo impatto con lui è più che positivo. Insieme formano 2BeFree, un connubio musicale che va avanti da anni con enorme successo. Per non arrivare impreparato all’evento ed evitare cattive figure, mi ero documentato seriamente in precedenza ascoltando delle tracce musicali che riguardavano le loro performance dal vivo. Superati i convenevoli iniziali, si rompe il ghiac-cio ( e quasi anche il primo boccale di birra con un brindisi!) iniziando

a parlare dagli albori di questo progetto musicale. Cominciano, quasi all’unisono, a spiegarmi che questa idea venne fuori nell’anno 2008 quando quasi per caso, si trovarono a confrontarsi su nuove forme sonore emergenti. Provenienti da diverse esperienze (batterista nato con le bacchette in mano Cris B. e DJ dalla fase embrionale Double Esse) si incontrano combinandosi in una simbiosi musicale studiata a volte fino a notte fonda, per il piacere immenso dei vicini. Le loro musiche si incrociano e si accavallano, creando sfumature impercet-tibili all’orecchio umano, quasi a diventare un’unica traccia musicale. Sono composizioni piacevoli, create da mani esperte come le loro per tutti i palati; armonie ambientali composte dal vivo in locali frequen-tati da chi sceglie di trascorrere una piacevole serata all’insegna della compagnia e della buona musica. Da un DJ Set live ad un groove accattivante di una batteria dal vivo (unico nel suo genere) e dal mix/campionatore di Double Esse alla batteria di Cris B. il tratto è davvero breve. Double Esse vanta un’esperienza, nel suo settore, di tutto ri-spetto, essendosi esibito nei locali più In d’Italia come Roma (Balic, Li-ving Room, Ketum bar, White, Heaven’s Doors Club, Gilda, The Place, Centrale Risto Teatre); Perugia ( Domus, Velvet); Milano (Colazione da Tiffany, Toqueville 13, Karma);Catania (Renoir), Messina: (Flexus, Klaiver) e Palermo (Birimbau, Cavu). La sua esperienza lavorativa (che poi è pura e vera passione) continua con la partecipazione al Tour calabrese di Federico l’Olandese Volante con RTL, oltre alla colla-borazione con DJ Maurice, DJ VEE, Big Fish, Leando Da Silva, Fabio Amoroso, Stefano Paini, Lady Trisha. Myla ed Enrico Silvestrin. Cris B. (Cristoforo Bovi) ha suonato con varie formazioni, spaziando dal funk al blues, dal rock al pop con incursion latin, pertanto il passaggio al DJ set è stato quasi obbligatorio. Un’esperienza particolare che lo ha forgiato musicalmente è stata quella con il chitarrista italiano Andrea Braido che ha collaborato con gente come Vasco Rossi, Laura Pausini, Mina, Eros Ramazzotti, Zucchero (e scusate tanto se è poco!). Mentre gli stuzzichini nel piatto restano solo un miraggio, noto che entrambi, mentre parlano, istintivamente battono i polpastrelli sul tavolino, scandendo un ritmo che per loro risulta naturale. Denoto quindi che hanno nei cromosomi, al posto della doppia elica del DNA, un me-tronomo che scandisce il tempo nella loro giornata! Vorrei rimanere con loro a discutere ancora piacevolmente di musica e mondi sonori, ma il tempo è tiranno. Mi congedo da Cri B. e Double Esse, promet-tendo di assistere in prima fila al prossimo impegno live musicale dei 2BeFree. Gente come loro, contribuisce ad arricchire un mondo musi-cale che, da tanti anni, non finisce mai di stupirmi.

2BeFree: the groove is here!

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di Cristoforo Bovi

Questo disco, a detta loro, era in predicato da 10 anni

circa, ed effettivamente, visti i tempi di maturazione, è venuto molto bene, anche perché realiz-zato in “ forma libera “, ovvero senza alcuna pressione discogra-fica.

I due, amici sin dai tempi del liceo, all’inizio delle relative car-riere, hanno militato nella band “ LA FORMA “, facendo gavetta nei festival dell’unità e in varie sagra paesane nei primi anni ’90, portando in giro il tipico reperto-rio pop melodico con lievi incur-sioni rock-blues suggerite, spes-so, dalla Grandi : anima black della band.

La scelta del repertorio, nasce da un viaggio immaginario che gira intorno alla loro amicizie ed alle loro influenze musicali, qua-li il Brasile, l’ Europa, il passato vintage ed il presente, passando con naturalezza estrema da au-tori contemporanei ai classici.

L’album, che sembra uscito di-rettamente da un fumoso jazz club di New Orleans, apre con una ipnotica versione di “ VIVA LA PAPPA COL POMODORO “ , nella quale Bollani cerca di do-mare un piano imbizzarrito, riu-scendoci pienamente.

A seguire, “ OLHOS NON OL-HOS “ di Chico Buarque, brano alquanto malinconico, ma di una dolcezza a volte spiazzante.

Il primo inedito è “ COME NON MI HAI VISTO MAI “ scritta dalla bravissima Cristina Donà, magistralmente interpretato da entrambi.

“ COSTRUIRE “, cover di Niccolò FABI,è, a mio parere, la perla del lavoro ( anche dal vivo, l’esecuzione è stata estre-mamente commovente e carica di pathos ) .

Altra chicca è la cover di “ A ME ME PIACE ‘O BLUES “ dell’ottimo Pino Daniele, nella quale Bollani si destreggia con estrema maestria sul RHODES creando una atmosfera con sfumature quasi funk.

Ulteriore inedito, “ L’ARPA DELLA TUA ANIMA “, dove le delicatissime note suonate da BOLLANI, si incastrano alla perfezione con la “preghiera” recitata da Irene Grandi.

A loro - non c’è dubbio - piace osare, pertanto, reinter-pretano “ NO SURPRISES “ dei Radiohead, che per i pu-risti del genere, potrebbe sembrare una semi bestemmia, ma, ascoltata con le dovute distanze, riesce ugualmente ad emozionare e non poco.

Non mancano, a completare l’opera, cover un po’ più “scontate “ come “ FOR ONCE IN MY LIFE “ di Wonder, “ LA GENTE E ME “ di Veloso-Bardotti, al secolo interpretata da Ornella Vanoni.

Di recente, ho avuto modo di valutare i due artisti dal vivo a Catanzaro - in teatro - in una serata del tour promozio-nale del lavoro discografico di cui sopra.

L’intesa tra i due è massima, il concerto scorre molto fluido e veloce, l’istrionico BOLLANI (un fuoriclasse, netta-mente di un altro pianeta )passa con estrema disinvoltura dal piano a coda al RHODES generando una infinità di note, a volte “ improbabili “ , ma che danzano perfettamente sui temi delle songs interpretate vocalmente dalla GRANDI, molto a suo agio sul palco, nonostante non sia proprio il suo genere; oserei dire, se la cava proprio “ ALLA GRANDI “ .

A questo lavoro, come all’eventuale visione di una loro esibizione live, bisogna dare la giusta importanza emotiva, cercando di capire cosa i due artisti vogliono esprimere e come lo eseguono , mai pensando che sia un lavoro che voglia minimamente emulare e/o evocare il grande Oscar PETERSON con Ella Fitzgerald, altrimenti si rischia di rima-nere delusi, sia dal disco che dal loro concerto.

Album, piacevolissimo, ne consiglio l’ascolto.Buon NATALE e buona MUSICA.

IRENE GRANDI STEFANO BOLLANItra jazz, brasIle e canzone d’autore

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di Rocco Cadile

La violenza alle donne è sem-pre e comunque un atto

vile, se poi questa si manifesta sulla moglie e in particolare sul-la figlia perpetuandosi dentro le mura domestiche, allora diventa orrore. Anch’io vorrei porre il pensiero su questa piaga socia-le, per ricordare il 25 novembre, la giornata mondiale per l’elimi-nazione della violenza contro le donne, raccontando una vicenda di una giovane ragazza, quasi privata della libertà e costretta a subire i maltrattamenti psico-logici e i pregiudizi del padre. Francesca, (il nome è di fantasia) adesso maggiorenne, frequenta-va con profitto le scuole medie di Palmi e, fino alla conclusione del ciclo scolastico, la sua vita, pie-na d’interessi per lo studio e in particolare per lo sport, sembra-va scorrere normale. Era molto

poVera fIglIa!

conosciuta e apprezzata perché più volte aveva partecipato ai Giochi della Gioventù, arrivando alle finali nazionali nell’atletica. Conseguita la licenza media, s’i-scrisse al Tecnico Commerciale di Palmi, continuando fino al secon-do anno, a curare l’amore per lo sport e per quella disciplina che le aveva dato tante soddisfazioni. L’insegnante di educazione fisi-ca, suo allenatore che, la seguiva nelle ore curriculari, ne parlava sempre. Diceva che era una ra-gazza con ottime qualità, sia fi-siche che umane, e che, poteva raggiungere traguardi molto im-portanti, qualora il padre le aves-se dato la possibilità di allenarsi con più frequenza. Nonostante ciò, già dal primo anno non si smentì, guadagnando l’accesso alle finali nazionali dei campio-nati studenteschi, alle quali non partecipò. Convocato dalla scuo-la, la giustificazione del padre fu immediata e perentoria: “Non vo-glio che mia figlia continui a fare

sport e ad andare in giro”. Evi-dentemente non vedeva più sua figlia, la bambina ingenua delle medie. Forse le facevano paura la bellezza e le sue forme di don-na che, andavano velocemente delineandosi. Quel genitore orco, non capì che aveva sottratto alla figlia una scuola di vita e di valori cui lo sport è portatore, quei va-lori che ogni mamma e papà au-gurerebbero ai propri figli. Ma la violenza, anche se psicologica, in una giovane ragazza, purtroppo non evapora, rimangono sempre le ferite. Francesca improvvisa-mente perde interesse e, il suo rendimento scolastico crolla al punto di abbandonare la scuola. Di lei si persero le tracce. Dopo tanto tempo, mi raccontò il mio amico Professore, la incontrò in un centro commerciale, in com-pagnia della madre. E’ stata lei a chiamarlo. Lui stentò a ricono-scerla. “Sarebbe stato meglio che non fosse successo” perché fu un momento estremamente coinvol-

gente e commovente. Quella ra-gazza bella, con la luce negli oc-chi, aveva avuto un mutamento radicale di quel carattere aperto e solare. Aveva perso, forse, de-finitivamente il sorriso e la spe-ranza di una vita migliore, quella cui aveva diritto e che suo padre le ha tolto. La ragazza trovò nel suo insegnante, la persona fidata di sempre, cui consegnare il suo dolore, sperando che la aiutasse ad alleviarlo o a trasformarlo. Ini-ziò il suo sfogo, facendogli capire che non pretendeva un genitore perfetto, imprecando alla male-detta cultura del sud, radicata ancora in alcune famiglie. Quella cultura che impone il diritto sui figli, quasi fossero una proprietà, un bene su cui nessuno può dire nulla. Gli disse che fu costretta a lasciare la scuola perché era stanca delle sfuriate del padre che spesso inveiva con insulti an-che contro la mamma che agiva col cuore, perché la assecondava nelle sue timide iniziative e, so-prattutto nello sport che amava profondamente. Raccontò che suo padre si sentiva orgoglio-so per quello che aveva fatto, e fiero, per averle costruito già la casa, naturalmente vicina alla sua, in attesa di sceglierle an-che il futuro marito, magari con un buon partito, in modo che la faccia stare bene agli occhi della gente. Se poi le compra i gioielli, la pelliccia e, la tratta a sberle in faccia poco importa. Diceva che, quando non segue le sue imposizioni, usa ripeterle quella frase odiosa: “Io ti ho fatta e io ti distruggo”. La mamma rinuncia di denunciare le aggressioni e le vessazioni, per paura di ritorsioni ed è colei che ripetutamente si martirizza. Francesca, si doman-dò quale diritto ha un genitore di violare la libertà di una figlia che non aveva scelto, per giunta, una strada sbagliata, ma piutto-sto quella maestra dello studio e dello sport che, sicuramente l’a-vrebbe condotta nella via della felicità e della libertà. Si leggeva dal suo modo di esternare, l’odio che provava nei confronti di suo padre, quel padre che avrebbe dovuto aiutarla a crescere, in-segnandole ad avere fiducia sia nella vita sia in se stessa. Inve-ce, ha dovuto subire quel copione che l’orco probabilmente aveva ereditato a sua volta dal padre. Francesca, che vive la sua quoti-dianità nel dolore, ma con grande dignità, aveva una rabbia da ma-nifestare, quella che rimane in sé inascoltata, inespressa e sepolta nell’anima. Proprio per questo raccontò tutto al suo stimato professore, quello che sapeva accoglierla, capirla, aiutarla nel suo processo di crescita e di svi-luppo, purtroppo, precocemente interrotto. La speranza, è che l’orco, vedendo la figlia e quel-la povera donna che l’ha messa al mondo, perennemente nella sofferenza, possa un giorno cam-biare atteggiamento, prima che trovino il coraggio di ribellarsi e perderle definitivamente. Si dice che il dolore lacera il cuore, ma è proprio dal cuore che nasce l’invito a sorridere alla vita.

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di Helodie Fazzalari “specie”. Tra podisti ci si aiuta, ci si incoraggia nei momenti di difficoltà, ci si sorride, con la consapevolezza che quando ci si ritrova in un parco l’unico scopo per cui si è tutti lì è semplice-mente correre, soli o accompa-gnati da amici che condividono la stessa passione. Abiti sportivi, scarpette e poco altro e, nono-stante qualche piccolo dettaglio, non ci sono evidenti diversità tra persone che svolgono attività professionali molto diverse. Non

“CORRI CON NOI”ChIAMA ANChE TE!

conta quindi ciò che si fa nella vita, ciò che conta è correre, su-dare e stancarsi per un identico obiettivo: stare bene con se stes-si. Sono questi le basi sulle quali si fonda l’associazione Sportiva Dilettantistica (ASD) “Corri con noi Palmi”. nasce nel 2012 per volontà di 16 soci fondatori, che cercano nella corsa la libertà di scegliere cosa è meglio per loro in ogni momento,guidati solo dal desiderio e dalla passione . I se-dici soci fondatori sono : il pre-

Correre mi ha insegnato che perseguire una passione è

più importante della passione stessa. Corro perché molto prima che le mie orme svaniscano, forse avrò ispirato qualcuno a rifiutare la strada facile, a scendere in pi-sta, a mettere un piede davanti all’altro e ad arrivare alla mia stessa conclusione: corro perché

questo mi porta sempre dove vo-glio andare. (Dean Karnazes) Si pensa che l’uomo sia stato creato per vivere in mezzo alla natura, per godersi il fascino della terra sulla quale vive, godendola cen-timetro dopo centimetro, giorno dopo giorno. Ma se la terra è im-mensa ,quale potrebbe essere il miglior modo per scoprirla il più possibile se non scrutandola di corsa? La corsa accomuna e fa sentire, a chi la pratica, il sen-so di appartenenza ad una stessa

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di Tonino Orlando

Come ogni anno, in una splen-dida giornata, domenica 14 ot-

tobre 2012, il mare di Palmi (RC) è stato teatro del xII Trofeo Mimmo Arena la prima delle tre selettive di pesca in apnea previste nella Zona 9, per la qualificazione dei Campionati Italiani.

La manifestazione organizzata splendidamente dall’associazione dilettantistica pesca sportiva “Mim-mo Arena” di Palmi, ha visto la par-tecipazione di 35 atleti, in rappre-sentanza dei circoli di Calabria, Ba-silicata, Toscana e Emilia Romagna.

Condizioni meteo-marine perfet-te, con acqua calda ma con scar-sa visibilità, condizioni che face-vano sperare in una giornata ideale per la cattura delle ostiche prede presenti nelle acque di Palmi.

Il campo gara era delimitato dallo scoglio dell’ogliastra a punta preita.

Una gara come sempre difficile. Diversi atleti si sono dovuti impe-

gnare a profondità medio alte per riuscire a catturare qualche pesce.

La pesatura svolta all’interno del circolo nautico Charter Line nel Porto di Taureana di Palmi, decre-tava vincitore Cono Corrado del cir-colo apnea magazine di Grosseto il quale portava al peso tre pesci vali-di, pescando all’aspetto e all’aggua-to a profondità medio alti.

Secondo in classifica si piazzava l’atleta del circolo locale Claudio Marconcini,ormai una certezza nel-la gara di Palmi, terzo un altro atle-ta del adps Mimmo Arena di Palmi Sergio Caccamo (atleta Seatec).

Complimenti al presidente del circolo Ninni de Bruno Palmese, in veste sia di atleta che organizzatore (50 anni di agonismo) che ha sapu-

to fare di questa classica compe-tizione, un importante e piacevole motivo di aggregazione per gli ap-passionati.

I ragazzi dell’ADPS Mimmo Are-na, hanno organizzato no tralascia-no nulla nel migliore dei modi, la moto barca (Teodoro I) che ha por-tato al centro campo gara gli atleti, la costante presenza di diverse im-barcazioni d’assistenza all’interno del perimetro del campo gara, con a bordo medico e sommozzatore e per finire, la un magnifico pasto con lasagne e torta finale preparate dal-le mogli di alcuni soci (Signora Faso-ne e Signora Salmeri).

La premiazione, effettuata dal Responsabile di settore Fipsas del-la zona 9, Dott. Antonino De Bruno, nonché presidente del circolo con la compartecipazione del giudice fe-derale Bruno Corrente.

Sono stati premiati i primi 10 clas-sificati, una targa ricordo dell’even-to alla Charter line dei fratelli Parisi per la disponibilità e la professiona-lità dimostrata dai suoi collabora-tori alla partenza e all’arrivo della matobarca nonché per l’accoglienza delle numerose persone presenti in qualità di spettatori.

Un riconoscimento particolare è andato al giornalista del settore An-tonello Mancuso per la capacità e l’impegno dimostrato negli anni per la divulgazione dell’attività dei pe-sca apneisti.

Si ringrazia il dottor Antonino Mazzuca di Palmi sempre presente alle manifestazioni in veste di medi-co rianimatore ed il sommozzatore Mimmo Fazzari del Diving Le Tonna-re ed il Comune di Palmi (RC), non-ché i diversi sponsor locali.

xII TROFeO MIMMO ARenAsidente, Alessandro Fazzalari, il vice presidente Marcello Sura-ce, cinque membri del consiglio direttivo,Santo Alongi emilio Calabrò, Antonino Fameli ,Ro-berto Gullo, , Giuseppe Isola, e nove componenti,Giuseppe Alvaro, Carmelo de Salvo, Fortunato Ferraro ,Antonino Melissari,Marco Melissari, Car-melo Surace, Rocco Todaro ,Fe-lice zoccali e Rocco zurzolo. Questi atleti ritengono che cor-rere sia una vera e propria filo-sofia di vita, basata sui concetti di armonia ed equilibrio. <<Muo-versi è fondamentale per stare bene nel corpo e nello spirito >>ribadiscono più volte,<< è im-portante capire come imparare a fare sport, e ancor di più capire come poterlo fare con facilità, divertendosi e senza farsi del male. La caratteristica principale della corsa risiede proprio nella semplicità della sua essenza, uti-lizzando come unico “supporto” volontà e passione >>. Per tutti i corridori, la Maratona è la gara simbolo, l’obiettivo da raggiun-gere. Da sempre considerata la gara per eccellenza delle Olim-piadi, per questa ragione le vie-ne riservato l’onore di chiudere i Giochi. L’associazione promuove ogni tipo di Maratona, ultramara-tona, mezza maratona o, ancora, gare di orientamento in centri urbani,in montagna,o corse in salita, cercando di partecipare ed essere presenti a quante più manifestazioni possibili ,non solo a livello Nazionale, ma anche a livello Mondiale. Gli atleti della “Corri Con Noi Palmi”, hanno par-tecipato alla Mezza maratona Roma Ostia, Maratona di Roma, Mezza maratona e maratona di new York, Maratona di Milano, mezza Maratona e Maratona di Messina, Strasalerno, Cento km del Passatore, Melito di Por-to Salvo., Catanzaro, Lamezia, Trofeo Misasi, Galatro, Petrizzi, Corribianco, Stranotturna Citta-nova, Locri, Maratona d’Italia Carpi, Mezza di Carpi, Mezza di bari, Maratona di Firenze e il 16 dicembre 2012 Mezza Maratona di Pisa, è già in programma a fine Gennaio la prima gara ufficiale del 2013 di Siracusa. Tuttavia non si corre solo per vincere, o per partecipare, ma anche e so-prattutto per stare bene. La cor-sa fa parte della natura dell’es-sere umano: è “dentro”ciascuno di noi, e, per riscoprirla, dopo averla vissuta da bambini, biso-gna interpretarla con spontaneità e gioco, preparando il corpo e al-lenando la mente. I membri della “Corri Con Noi Palmi”intendono coinvolgere quante più perso-ne possibili, per trasmettere la loro stessa passione. Tant’è vero che la sede, presso Piazza Primo Maggio,32, a Palmi, è aperta al tesseramento 2013,dai ragazzini di 14 anni, agli ultra ottantenni …. uomini e donne! E allora, che aspettate? Iniziate anche voi a scrutare la terra di corsa, perché correre non significa solo diverti-mento, ma significa soprattutto provare l’emozione particolare di ascoltarsi, interpretare ogni se-gnale che arriva dal proprio cor-po e quindi conoscere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda.

Page 40: MADRETERRA NUMERO 36 - DICEMBRE 2012

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