Sconfinare numero 17 - Febbraio 2009

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Perché? Ritengo che a Israele non interessi la creazione di uno stato palestinese: i palestinesi sono in ginocchio da sessant’anni, specie a Gaza, e in Cisgiordania la situazione non è dissimile. Israele semplicemente non ha interesse a cambiare lo status quo. Lo dimostra anche il fatto che non collabori alla pacificazione tra Hamas e Fatah. In questo momento infatti, da un lato, c’è il presidente (in esilio semi-volontario) dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, riconosciuto come tale praticamente solo da Israele e dai suoi alleati, oltre che dai pochi militanti di Fatah; dall’altro lato Haniyeh, più volte scomunicato dallo stesso Abu Mazen, eletto primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese nel 2006. Dopo la sanguinosa guerra civile palestinese del 2006, terminata con la vittoria di Hamas, i due partiti sono rimasti in rapporti che variano tra il pessimo e l’aperta ostilità. Una riconciliazione è necessaria per ridare credibilità al progetto di stato nazionale Palestinese: in questo senso si deve muovere la diplomazia, soprattutto quella europea. L’Egitto sta facendo grandi sforzi per portare i due partiti a remare nella stessa direzione, ma certamente un intervento della UE in tal senso avrebbe ben altro peso nei confronti di Israele. Anche perché pochi palestinesi vedono di buon occhio l’Egitto, considerato troppo servile verso Gerusalemme. Se in Palestina è in atto una grossa crisi politica, la situazione in Israele prima delle elezioni del 10/02 sembra essere abbastanza differente: appare probabile un’intesa di governo tra Likud e Kadima. Sia Kadima, rappresentante i moderati, sia Likud, partito fortemente conservatore, sono dati nettamente in vantaggio sul centro sinistra dei COPIA GRATUITA Numero 17 - Febbraio 2009 www.sconfinare.net Direttrice: Annalisa Turel Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione redazione@sconfinare.net L’editoriale “La domenica delle salme non si udirono fucilate: il gas esilarante presidiava le strade. La domenica delle salme si sentiva cantare: quant’è bella giovinezza, non vogliamo più invecchiare”. Così cantava Fabrizio De Andrè, all’indomani della caduta del muro di Berlino, ne La Domenica delle Salme, la sua canzone civile più famosa. Nei giorni scorsi, i giorni dell’attacco israeliano a Gaza, questa canzone mi è tornata improvvisamente in mente. Il fatto è che guardi alcuni telegiornali italiani nei momenti di apice della crisi nella Striscia, e scopri che tutti hanno ben altre priorità nelle notizie. Si parla del gelo (?), della neve a Milano, dei saldi maistaticosìsaldi, del Grande Fratello 9 che finalmente ricomincia, e chi più ne ha più ne metta. Ma di ciò che succede in Medio Oriente, per fare un esempio, neanche un cenno. E quando un cenno c’è, non ti aiuta a capire, ma si tratta solo di una dichiarazione di tifo per una delle due parti in lotta, come se si trattasse di una partita di calcio. Allora, mi sono reso conto di quanto De Andrè avesse ragione: la nostra è una società del disimpegno, del divertimento ad ogni costo. Siamo anestetizzati da un continuo brusio di fondo; ci sentiamo informati su tutto, e in realtà non siamo informati su niente. In questa situazione, è importante che ognuno di noi faccia il possibile per mantenere vivo un dibattito costruttivo. E’ un’operazione difficile, che costa tempo e fatica, senza dubbio. Nessuno nega che sia molto più facile lasciarsi trascinare dal flusso, prendendo ciò che ci viene offerto in abbondanza, senza farsi troppe domande. Ma è un atteggiamento che, per noi di Sconfinare, sarebbe poco dignitoso. Ecco perché cerchiamo di fare “opposizione costruttiva”: nel nostro piccolo, cerchiamo di sollevarci dal cicaleccio continuo che ci circonda, per parlare con voce chiara. Non è detto che ce la faremo, ma intanto ci proviamo, e cerchiamo di migliorarci numero dopo numero. In questo nostro ambizioso tentativo, voi lettori siete imprescindibili; se riusciremo a fare qualcosa di buono, sarà soprattutto grazie a voi che ci seguite con attenzione e interesse. Buona lettura! Giovanni Collot giovanni.collot@sconfinare.net Renato Soru non è un politico. Non nel senso italiano del termine. È un politico sardo, una figura che mancava da tanti anni nello scenario regionale. Inoltre è uno dei pochi personaggi in Italia a vantare un lungo elenco di risultati concreti e positivi, che in uno scenario normale (da paese civile?) gli garantirebbero una sopravvivenza politica assoluta. Invece no. Siamo in Italia, dove i successi reali di quattro anni di governo non valgono una rielezione certa. Quello che vale sono le speculazioni, le chiacchiere e le manovre dietro le quinte. Non molti conoscono il cammino della Sardegna dei passati 5 anni, ma è necessario avere un quadro chiaro per potersi schierare con l’uno o con l’atro candidato alle prossime elezioni. Nelle elezioni regionali del giugno 2004 Renato Soru vinse con il 50,1% delle preferenze, circa 487mila voti. La sfida che gli si presentò era quella di combattere il degrado e l’arretratezza della Sardegna, valorizzando il suo ampio potenziale di sviluppo e portando la regione da una situazione di “mezzogiorno” a una di “centro”. L’impresa era tutt’altro che facile. Soru iniziò con un riordino del bilancio, una semplificazione e ottimizzazione della spesa regionale, il recupero e la salvaguardia del patrimonio naturale sardo. La prima legge del 2004 è stata la c.d. Salvacoste, che impone di rispettare una distanza di 2 km dalla costa quando si costruiscono edifici. Le successive iniziative sono state la riduzione del numero delle comunità montane (soprattutto dove l’elemento montano non esisteva proprio) e la costruzione di linee digitali e infrastrutture che hanno portato la popolazione della Sardegna ad essere la prima con copertura adsl al 100%. Il primo passo della nuova era digitale sarda, è stato il sito internet della regione, che fu inoltre garanzia di una maggiore trasparenza nella vita politica sarda. Altri grandi risultati negli anni successivi sono stati la chiusura della base militare americana de La Maddalena entro il 2008 e la creazione di un unico ente regionale per la gestione del servizio idrico: la nuova società Abbanoa (acqua-nuova, NdR) ha sostituito i cinque enti esistenti. La Striscia di Gaza è un territorio in cui vivono circa un milione e mezzo di persone rinchiuse come animali in un recinto. Nulla può uscire e nulla può entrare se non con il benestare di Israele. Medicinali, cibo, acqua, coperte non possono entrare; feriti di guerra, bambini che si trovavano nel posto sbagliato, donne in procinto di partorire non possono andare negli ospedali egiziani, più attrezzati di quelli palestinesi, perché Israele non dà loro il permesso. Animali in gabbia, appunto. Il cessate il fuoco invocato da entrambe le parti e mediato dall’Egitto a giugno doveva servire ad allentare l’embargo di Gerusalemme sulla Striscia di Gaza in cambio della fine dei lanci di razzi palestinesi sulle città israeliane. Israele non ha rispettato i patti, anzi, l’embargo si è fatto sempre più forte. Hamas verso la fine di dicembre ha interrotto il cessate il fuoco lanciando quattro missili in territorio israeliano. Israele ha risposto con attacchi aerei, stringendo ulteriormente le fasce marittime accessibili alle imbarcazioni palestinesi e successivamente con un’invasione di terra non ancora terminata (oggi è il 19/01).L’Egitto ha mediato una tregua tra Gerusalemme e Hamas: Israele ha dichiarato la volontà unilaterale di ritirare le truppe, Hamas concederà una settimana di tempo perché il ritiro venga effettuato. Il ritiro è iniziato e non si sa quando esso finirà. Resta ancora aperta la questione dei valichi di Gaza: a parole le intenzioni di Israele sono di renderli accessibili, Speciale Medioriente a pagina 3 Fidatevi, meglio Soru Il capodanno di Gaza ma non sarebbe la prima volta che una delle due parti in causa disattenda quanto promesso. La situazione politica in Palestina è in questo momento estremamente complessa: numerose fazioni all’interno dei partiti di Fatah e Hamas si contendono potere e finanziamenti, perseguendo i loro fini ciascuno con i propri mezzi. Una riconciliazione tra Fatah e Hamas è stata ostacolata sia da Israele sia dagli Stati Uniti che hanno impedito uno scambio di prigionieri politici tra i due partiti palestinesi. Il mantenimento dell’ordine in Palestina non è evidentemente la priorità né per l’uno né per l’altro. Partiamo da qualche mese prima, partiamo dalla prima metà di settembre: 11 europarlamentari visitano la striscia di Gaza e incontrano il “premier” di Hamas, Ismail Haniyeh. Egli afferma che il suo partito era in quei giorni intenzionato a riconoscere Israele, in cambio del riconoscimento israeliano dei diritti nazionali palestinesi e della dichiarazione di volontà di collaborare per creare uno stato palestinese entro i confini del 1967. Haniyeh sostiene anche che Israele abbia rifiutato questa proposta. De Andrè dieci anni dopo alle pagine 12 e 13 continua a pagina 2 continua a pagina 5

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a pagina 3 tempo e fatica, senza dubbio. Nessuno nega che sia molto più facile lasciarsi trascinare dal flusso, prendendo ciò che perché Israele non dà loro il permesso. Animali in gabbia, appunto. Il cessate il fuoco invocato da entrambe le parti e mediato dall’Egitto a giugno doveva servire ad allentare l’embargo di Gerusalemme sulla Striscia di Gaza in cambio della fine dei Direttrice: Annalisa Turel la volontà unilaterale di ritirare le truppe, Hamas proposta.

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Perché? Ritengo che a Israele non interessi la creazione di uno stato palestinese: i palestinesi sono in ginocchio da sessant’anni, specie a Gaza, e in Cisgiordania la situazione non è dissimile. Israele semplicemente non ha interesse a cambiare lo status quo. Lo dimostra anche il fatto che non collabori alla

pacificazione tra Hamas e Fatah. In questo momento infatti, da un lato, c’è il presidente (in esilio semi-volontario) dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, riconosciuto come tale praticamente solo da Israele e dai suoi alleati, oltre che dai pochi militanti di Fatah; dall’altro lato Haniyeh, più volte scomunicato dallo stesso Abu Mazen, eletto primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese nel 2006. Dopo la sanguinosa guerra civile palestinese del 2006, terminata con la vittoria di Hamas, i due partiti sono rimasti in rapporti che variano tra il pessimo e l’aperta ostilità. Una riconciliazione è necessaria per ridare credibilità al progetto di stato nazionale Palestinese: in questo senso si deve muovere la diplomazia, soprattutto quella europea. L’Egitto sta facendo grandi sforzi per portare i due partiti a remare nella stessa direzione, ma certamente un intervento della UE in tal senso avrebbe ben altro peso nei confronti di Israele. Anche perché pochi palestinesi vedono di buon occhio l’Egitto, considerato troppo servile verso Gerusalemme.Se in Palestina è in atto una grossa

crisi politica, la situazione in Israele prima delle elezioni del 10/02 sembra essere abbastanza differente: appare probabile un’intesa di governo tra Likud e Kadima. Sia Kadima, rappresentante i moderati, sia Likud, partito fortemente conservatore, sono dati nettamente in vantaggio sul centro sinistra dei

COPIA GRATUITANumero 17 - Febbraio 2009 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

Sconfinare non identifica alcuna posizione politica, in quanto libera espressione dei singoli membri che ne costiuiscono il Comitato di Redazione

[email protected]

L’editoriale“La domenica delle salme non si udirono fucilate: il gas esilarante presidiava le strade. La domenica delle salme si sentiva cantare: quant’è bella giovinezza, non vogliamo più invecchiare”. Così cantava Fabrizio De Andrè, all’indomani della caduta del muro di Berlino, ne La Domenica delle Salme, la sua canzone civile più famosa. Nei giorni scorsi, i giorni dell’attacco israeliano a Gaza, questa canzone mi è tornata improvvisamente in mente. Il fatto è che guardi alcuni telegiornali italiani nei momenti di apice della crisi nella Striscia, e scopri che tutti hanno ben altre priorità nelle notizie. Si parla del gelo (?), della neve a Milano, dei saldi maistaticosìsaldi, del Grande Fratello 9 che finalmente ricomincia, e chi più ne ha più ne metta. Ma di ciò che succede in Medio Oriente, per fare un esempio, neanche un cenno. E quando un cenno c’è, non ti aiuta a capire, ma si tratta solo di una dichiarazione di tifo per una delle due parti in lotta, come se si trattasse di una partita di calcio. Allora, mi sono reso conto di quanto De Andrè avesse ragione: la nostra è una società del disimpegno, del divertimento ad ogni costo. Siamo anestetizzati da un continuo brusio di fondo; ci sentiamo informati su tutto, e in realtà non siamo informati su niente. In questa situazione, è importante che ognuno di noi faccia il possibile per mantenere vivo un dibattito costruttivo. E’ un’operazione difficile, che costa tempo e fatica, senza dubbio. Nessuno nega che sia molto più facile lasciarsi trascinare dal flusso, prendendo ciò che ci viene offerto in abbondanza, senza farsi troppe domande. Ma è un atteggiamento che, per noi di Sconfinare, sarebbe poco dignitoso. Ecco perché cerchiamo di fare “opposizione costruttiva”: nel nostro piccolo, cerchiamo di sollevarci dal cicaleccio continuo che ci circonda, per parlare con voce chiara. Non è detto che ce la faremo, ma intanto ci proviamo, e cerchiamo di migliorarci numero dopo numero. In questo nostro ambizioso tentativo, voi lettori siete imprescindibili; se riusciremo a fare qualcosa di buono, sarà soprattutto grazie a voi che ci seguite con attenzione e interesse. Buona lettura!

Giovanni [email protected]

Renato Soru non è un politico.Non nel senso italiano del termine. È un politico sardo, una figura che mancava da tanti anni nello scenario regionale. Inoltre è uno dei pochi personaggi in Italia a vantare un lungo elenco di risultati concreti e positivi, che in uno scenario normale (da paese civile?) gli garantirebbero una sopravvivenza politica assoluta. Invece no. Siamo in Italia, dove i successi reali di quattro anni di governo non valgono una rielezione certa. Quello che vale sono le speculazioni, le chiacchiere e le manovre dietro le quinte. Non molti conoscono il cammino della Sardegna dei passati 5 anni, ma è necessario avere un quadro chiaro per potersi schierare con l’uno o con l’atro candidato alle prossime elezioni. Nelle elezioni regionali del giugno 2004 Renato Soru vinse con il 50,1% delle preferenze, circa 487mila voti. La sfida che gli si presentò era quella di combattere il degrado e l’arretratezza della Sardegna, valorizzando il suo ampio potenziale di sviluppo e portando la regione da una situazione di “mezzogiorno” a una di “centro”. L’impresa era tutt’altro che facile. Soru iniziò con un riordino del bilancio, una semplificazione e ottimizzazione della spesa regionale, il recupero e la salvaguardia del patrimonio naturale sardo. La prima legge del 2004 è stata la c.d. Salvacoste, che impone di rispettare una distanza di 2 km dalla costa quando si costruiscono edifici. Le successive iniziative sono state la riduzione del numero delle comunità montane (soprattutto dove l’elemento montano non esisteva proprio) e la costruzione di linee digitali e infrastrutture che hanno portato la popolazione della Sardegna ad essere la prima con copertura adsl al 100%. Il primo passo della nuova era digitale sarda, è stato il sito internet della regione, che fu inoltre garanzia di una maggiore trasparenza nella vita politica sarda.Altri grandi risultati negli anni successivi sono stati la chiusura della base militare americana de La Maddalena entro il 2008 e la creazione di un unico ente regionale per la gestione del servizio idrico: la nuova società Abbanoa (acqua-nuova, NdR) ha sostituito i cinque enti esistenti.

La Striscia di Gaza è un territorio in cui vivono circa un milione e mezzo di persone rinchiuse come animali in un recinto. Nulla può uscire e nulla può entrare se non con il benestare di Israele. Medicinali, cibo, acqua, coperte non possono entrare; feriti di guerra, bambini che si trovavano nel posto sbagliato, donne in procinto di partorire non possono andare negli ospedali egiziani, più attrezzati di quelli palestinesi, perché Israele non dà loro il permesso. Animali in gabbia, appunto. Il cessate il fuoco invocato da entrambe le parti e mediato dall’Egitto a giugno doveva servire ad allentare l’embargo di Gerusalemme sulla Striscia di Gaza in cambio della fine dei lanci di razzi palestinesi sulle città israeliane. Israele non ha rispettato i patti, anzi, l’embargo si è fatto sempre più forte. Hamas verso la fine di dicembre ha interrotto il cessate il fuoco lanciando quattro missili in territorio israeliano. Israele ha risposto con attacchi aerei, stringendo ulteriormente le fasce marittime accessibili alle imbarcazioni palestinesi e successivamente con un’invasione di terra non ancora terminata (oggi è il 19/01).L’Egitto ha mediato una tregua tra Gerusalemme e Hamas: Israele ha dichiarato la volontà unilaterale di ritirare le truppe, Hamas concederà una settimana di tempo perché il ritiro venga effettuato. Il ritiro è iniziato e non si sa quando esso finirà. Resta ancora aperta la questione dei valichi di Gaza: a parole le intenzioni di Israele sono di renderli accessibili,

Speciale Medioriente

a pagina 3

Fidatevi, meglio Soru

Il capodanno di Gaza

ma non sarebbe la prima volta che una delle due parti in causa disattenda quanto promesso. La situazione politica in Palestina è in questo momento estremamente complessa: numerose fazioni all’interno dei partiti di Fatah e Hamas si contendono potere e finanziamenti, perseguendo i loro fini ciascuno con i propri mezzi. Una riconciliazione tra Fatah e Hamas è stata ostacolata sia da Israele sia dagli Stati Uniti che hanno impedito uno scambio di prigionieri politici tra i due partiti palestinesi. Il mantenimento dell’ordine in Palestina non è evidentemente la priorità né per l’uno né per l’altro.Partiamo da qualche mese prima, partiamo dalla prima metà di settembre: 11 europarlamentari visitano la striscia di Gaza e incontrano il “premier” di Hamas, Ismail Haniyeh. Egli afferma che il suo partito era in quei giorni intenzionato a riconoscere Israele, in cambio del riconoscimento israeliano dei diritti nazionali palestinesi e della dichiarazione di volontà di collaborare per creare uno stato palestinese entro i confini del 1967. Haniyeh sostiene anche che Israele abbia rifiutato questa proposta.

De Andrè dieci anni dopo alle pagine 12 e 13

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Sconfinare Febbraio 20092Mondo

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Barack Obamanuovo presidente degli States

periodico regolarmente registrato presso il Tri-bunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di

registrazione 4/06.Editore e Propietario

Assid“Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.

RedazioneAndrea Bonetti, Marco Brandolin, Attilio Di Battista, Fabio Raffin, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Giovan-ni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato, Valeria Carlot, Francesco Scatigna, Mar-gherita Gianessi, Emmanuel Dalle Mulle, Edoardo Da Ros, Nicola Comelli, Gabriella De Domenico, Nicoletta Favaretto, Samuele Zeriali, Federico Nastasi, Antonino Ferra-ra, Athena Tomasini, Diego Pinna, Michela Francescutto, Francesco Gallio, Alessandro Battiston, Massimiliano Andreetta, Nicola Battistella, Dimitri Brandolin, Isabella Ius, Davide Lessi, Andrea Lucchetta, Margheri-ta Vismara, Francesco Marchesano, Mattia Mazza, Luca Nicolai, Agnese Ortolani, Le-onetta Pajer, Emiliano Quercioli, Federico Permutti, Giacomo Antonio Pides, Federica Salvo, Bojan Starec, Rodolfo Toè, Francesco Plazzotta, Giovanni Armenio, Giulia Riedo. Vignette di Stefano Facchinetti

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SconfinareIl capodanno di Gazalaburisti alleati con le liste arabe. Un son-daggio condotto dal Maagar Mohot Survey Institute il 18/01 darebbe 65 seggi alle de-stre, 46 alle sinistre e 9 alle liste arabe sui 120 da spartire. Un sondaggio dello stesso istituto sostiene la tesi che la guerra abbia avvantaggiato il centro-destra e in particola-re il Likud. È infatti Netanyahu, a capo del Likud, il Presidente preferito nel sondaggio con il 36% dei consensi, Tzipi Livni di Ka-dima al 21% e Barak dei laburisti al 14%. A mio avviso questi risultati non sono figli della guerra: erano molto simili anche prima dell’inizio dell’operazione “Piombo Fuso”. Una vittoria della destra non sarebbe tutta-via il segnale migliore da dare ai palestinesi in questo momento. È stata la destra a vo-lere la guerra ed al governo c’era la destra quando il blocco su Gaza è stato irrigidito invece che ridotto. È stata in sostanza la de-stra di Likud e Kadima a fare la guerra. L’ha provocata non aderendo al cessate il fuoco mediato dall’Egitto a giugno, non dando valore all’importante proposta di Hamas di settembre e ha usato come pretesto il lancio di razzi palestinesi sul territorio israeliano,

I quotidiani, spesso patrie dell’ex-comuni-smo e dell’antiberlusconismo, lanciavano titoli di prima pagina esaltando la vittoria di Barack Obama quale emblema di un nuo-vo orizzonte per l’America e per il mondo, quale inaspettata incarnazione americana del bene in contrapposizione al male, per l’oc-casione rappresentato da McCain. Sin da prima l’America era destinata alla deriva, ora invece è improvvisamente balzata di nuovo sul palcoscenico degli importanti come pro-tagonista. Non vorrei essere fuori tempo o passare per polemico, riutilizzando un tema già abbondantemente discusso. Se ne parlerà almeno finché il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America non poggerà il didietro sul-la poltrona del suo ufficio alla Casa Bianca. Si strumentalizza la vittoria del suo colore di pelle, come se ad una persona equilibrata e ragionevole desse fastidio, per salire sul car-ro e urlare “Voi – uomini di destra razzisti – avete perso!”. Migliaia di scrittori, giorna-listi o improvvisati opinionisti hanno steso chilometri di inchiostro per annunciare che “la vera novità non sta nel colore della pelle”. Frottole. Questo è il problema. Ci etichettia-mo come “open-minded” quando ancora vi-viamo questi contrasti. Una marea di gente è ancora ferma a queste differenze; almeno in Italia. Troppo bigottismo e troppa chiu-sura ai cambiamenti. Una società vecchia e retrograda, che camuffa la sua mentalità spacciandola per conservatrice e tradiziona-lista. Chi scrive è un non-razzista. Sostenevo Obama, come tanti coetanei di altre visioni politiche, perché della politica della guer-ra siamo tutti stufi, perché di massacri per esportare la democrazia non ce n’è bisogno. Ci sono missioni e missioni, intenti ed inten-ti. Questo non vuol dire che McCain fosse un guerrafondaio, semplicemente – forse - ri-cordava troppo la filosofia politica di Bush. Però, ancor mi chiedo, perché quando D’Ale-ma mandò le truppe in Kosovo nessuno aprì bocca? Essere di destra non è sinonimo di essere razzisti, così come essere di sinistra non significa non esserlo. Partire da questa ribalta, che cautamente approvo, per urlare ai quattro venti che a vincere è stata una nuova

America, anti-guerrista, rivoluzionaria. Per-ché “ha portato alle urne anche coloro che prima si astenevano dal voto”. È vero, ed è un bene assoluto. Ma rifletterei una volta in più su chi e quale pensiero politico rappre-senti veramente il nuovo presidente. Obama sta simpatico ed è fortemente sostenuto dalla sinistra italiana, per la quale non faccio ri-ferimento ai rappresentanti politici ma agli stessi italiani. Barack Obama non discende dagli schiavi, non è il Che Guevara pacifista del 2009. È figlio di un ricco intellettuale ke-niota andato in America per prendere il PhD (sigla di “Doctor of Philosophy”), e dove ha lasciato incinta sua madre. Dopo le promesse da campagna elettorale, ha esordito ravvisan-do l’impossibilità di ritirare subito l’esercito dall’Iraq, vuole aumentare lo sforzo militare in Afghanistan reindirizzandovi le tre truppe dismesse dall’Iraq ed è un patriota americano che crede nei valori dell’America. Sento quo-tidianamente commenti favorevoli a Obama da parte di chi, in Italia, predilige esponenti di sinistra. Nulla in contrario, puntualizzo. Però chi appartiene al gruppo appena citato, chi è anti-americanista perché ormai va di moda, si è mai chiesto a quale corrente di pensiero politico appartiene il neo-presidente appena tornato dalle vacanze alle Hawaii? In Ame-rica prevalgono Repubblicani e Democratici, in contrapposizione tra loro. Ma attenzione a farne un’analogia con l’antitesi delle nostre fazioni politiche. Pongo una domanda, la cui risposta richiederebbe un pensiero calibra-to e sgombro dei pregiudizi contingenti: se Obama fosse stato bianco avrebbe riscosso lo stesso successo? E noi, forse, potremmo an-che cercare di fare lo stesso con l’Italia. Un po’ di sano patriottismo nonostante il mare di pecche che ci circonda, nonostante all’este-ro siamo definiti “il Paese dei furbi”. Al solo scopo di raddrizzare la spina dorsale del no-stro stato. Del quale poi ce ne ricordiamo quando, una volta fuori dai confini italiani, cerchiamo una pastasciutta o una pizza. Buon anno a tutti.

Massimiliano [email protected]

il tutto con la complicità del laburista Barak che, essendo in minoranza nel governo, ha potuto solo prendere atto e piegare anch’egli la guerra come mezzo propagandistico per se e il suo partito. Ciò emerge dal fatto che già nel mese di novembre 8 razzi erano par-titi dal territorio palestinese diretti sulle città israeliane, ma come mai quell’atto non fu considerato come una rottura della tregua? Perché dicembre/gennaio? Perché si tratta di un periodo più prossimo alle elezioni? Non ci è dato saperlo con certezza. Possia-mo congetturare che ci siano motivazioni di ordine strategico (tentare di indebolire Hamas) o politico verso la Palestina (ral-lentare il processo di pace e la costituzio-ne dello stato palestinese) o politico verso gli israeliani (alzare i toni dello scontro per giungere, dopo le elezioni, con un governo più forte, a una definitiva offensiva contro Hamas).Di questa guerra di cui si parla come di una grande vittoria non si capiscono i risultati. Per uccidere trecento miliziani di Hamas, sono stati uccisi più di mille civili nei modi più atroci. Il 06/01 un carro armato ha di-

strutto a cannonate una scuola ONU dentro cui erano rifugiate diverse decine di perso-ne; ne sono morte 43. Se anche ci fossero stati terroristi al suo interno, la soluzione era rappresentata dal loro arresto, non dalla di-struzione dell’edificio in cui stavano insieme a donne e bambini. L’episodio, citato da più fonti, ha avuto una rilevanza mediatica mol-to bassa per quello che rappresenta: un atto indiscriminato di sterminio. Avendo l’obiet-tivo (dichiarato) d’indebolire Hamas e gli estremisti, i soldati di Gerusalemme hanno distrutto scuole, ospedali, case, moschee, sedi dell’ONU ottenendo come risultato che l’odio verso Israele è solo aumentato in tutto il mondo musulmano, un rallentamento del processo di pace e l’allontanamento della costituzione di uno stato palestinese, unica vera soluzione per una questione che è lungi dall’essere risolta, oggi più di ieri.

Si ringrazia Emiliano Quercioli per reperi-mento di alcune fonti.

Edoardo Da [email protected]

Torna la stagione dei golpe in Africa, la sol-levazione militare in Guinea segue quella di agosto 2008 in Mauritania, quella del 2003 in Repubblica Centrafricana e molte altre in un lungo elenco. Subito dopo il deces-so dell’anziano e malato presidente Lansa-na Conte avvenuto il 23 dicembre scorso, le forze armate hanno preso l’iniziativa ed alcuni giovani ufficiali hanno annunciato, alla Radio Nazionale, la sospensione della Costituzione e lo scioglimento di Governo e Parlamento. La Guinea era governata dal 1984 da Conte, anch’egli militare golpista e soffriva perennemente di crisi politiche e di una situazione economica disastrosa; que-sto nonostante il paese sia ricchissimo di bauxite e risorse naturali. Nel febbraio del 2007, stanche della crisi economica e della mancanza di prospettive, migliaia di perso-ne scesero per le strade della capitale Co-nakry chiedendo riforme e le dimissioni del presidente Conte. La polizia reagì con estre-ma durezza, provocando la morte di almeno 186 persone, se-condo le cifre fornite dalle associazioni per i diritti umani locali.La nuova giunta golpi-sta, insedia-tasi nelle ore successive la

morte di Conte e guidata dal giovane capi-tano Moussa Dadis Camara, ha dichiarato che l’attuale situazione governativa è mo-mentanea, dovuta alle condizioni in cui si trova il paese e ha promesso nuove elezioni nel 2010. Nel frattempo ha però imposto il coprifuoco e fermato i membri del vecchio governo oltre ad attuare una parata militare nella capitale, accolto da una folla festante e speranzosa di un vero cambiamento po-litico. L’Unione Europea, l’ONU, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Africana hanno condannato il colpo di stato invitando le au-torità guineiane a indire libere e democra-tiche elezioni. Solo il presidente del Sene-gal, l’anziano Abdoulaye Wade, ha fin’ora esplicitamente dichiarato il suo sostegno alla nuova giunta in un’intervista a Radio France International.

Emiliano [email protected]

Colpo di stato in GuineaTorna la stagione dei golpe africani

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SconfinareFebbraio 2009 3MondoFosforo bianco: istruzioni per l’uso

Falluja (Iraq), novembre 2004. L’esercito americano si appresta a lanciare un’offensiva contro una roccaforte degli insorti iracheni, in quella che sarà ricordata come una delle più sanguinose battaglie del conflitto. A metà strada tra Baghdad e la Giordania, proprio nel mezzo del triangolo sunnita –zona più ostile all’occupazione – la città di Falluja è oggetto di un pesante bombardamento, le cui caratteristiche riveleranno una triste pagina sulle modalità di esportazione della democrazia in quella che era (sic!) la “città delle moschee e della scienza” irachena.

Un’inchiesta tutta italiana (realizzata da Sigfrido Ranucci di Rainews 24) ha gettato luce sull’inquietante utilizzo, pesante e indiscriminato, di armi chimiche nel corso della battaglia da parte delle truppe USA. La sostanza in questione è il fosforo bianco, “Willy Pete” in gergo militare. Le strazianti immagini dei corpi letteralmente fusi dei caduti (civili e insorti), consumati fino all’osso, attestano l’impiego massiccio di quest’arma, che sarà confermato da testimonianze e dalle indagini della stampa di mezzo mondo, fino alla totale ammissione del suo utilizzo per tramite del ministero della difesa inglese. Ma cos’è il fosforo bianco?Questo solido molecolare, non appena entra a contatto con l’ossigeno presente nell’aria, produce anidride fosforica generando un intenso calore (con picchi di temperatura di qualche migliaio di gradi) e una violenta luce bianca. Un vero e proprio incendio inestinguibile, in quanto la combustione continua fino all’esaurimento anche se immerso nell’acqua. L’impiego corretto (e lecito) di tale sostanza in operazioni militari impone il suo utilizzo in campo aperto, con funzione di illuminazione (è lo stesso principio utilizzato per i “traccianti” o i candelotti illuminanti, in virtù della forte luce che emana) o di copertura, con la creazione di uno schermo di fumo. Al contrario, se le proprietà tossiche e incendiarie del fosforo vengono utilizzate come ordigno diretto contro obiettivi, siamo di fronte ad una vera e propria “arma chimica”, i cui effetti (in una città densamente abitata come Falluja, ma non solo) possono essere devastanti. La dispersione nell’ambiente di “gocce incandescenti” provocate dall’esplosione di un ordigno lanciato dall’alto bruciano letteralmente ogni corpo comburente con cui entrano in contatto (provocando ustioni di terzo grado) fino a molti metri di distanza. Le immagini della pioggia di fuoco scatenata a Falluja qualche anno fa dagli elicotteri

americani sono enormemente simili alle foto analizzate dagli esperti del Times di pochi giorni fa, che ritraggono l’aviazione israeliana lanciare particolari ordigni con una familiare caduta “a tentacolo”, caratteristica del fosforo bianco, su Gaza City (una delle zone più densamente abitate del pianeta). Le testimonianze di medici costretti a trattare “ustioni molto insolite, difficili da curare, molto profonde” e la foto di un militare intento a maneggiare un presunto proiettile di fosforo bianco – di colore azzurro chiaro, contrassegnato dalla sigla M825A1 –

sembrerebbero a v v a l o r a r e la pesante accusa. Del resto l’esercito i s r a e l i a n o ha ammesso l’utilizzo delle bombe al fosforo “contro obiettivi militari in campo aperto” durante la campagna libanese del 2006, s c o n f e s s a n d o p r e c e d e n t i d ich ia raz ion i ,

secondo le quali l’agente chimico era stato utilizzato solamente per gli scopi “permessi” (illuminazione degli obiettivi).La Convenzione di Ginevra del 1980 sulla messa al bando delle armi chimiche definisce con dovizia di particolari cosa possa essere considerato “chemical weapon”, e quindi bandito. Non lo è il fosforo bianco, essendo però chiaro come il confine tra lecito e illecito per l’utilizzo di questo agente sia particolarmente labile, e dipenda dall’uso che se ne fa: le armi caricate al fosforo, se utilizzate massicciamente per scopi diversi dall’originaria “illuminazione del campo di battaglia o protezione fumogena delle truppe amiche” (e soprattutto se impiegate in spazi popolati ) possono essere considerate a tutti gli effetti come ordigni proibiti. “La Convenzione – spiega P. Kaiser, portavoce dell’agenzia dell’Onu sul divieto di uso, produzione e stoccaggio di armi chimiche – è strutturata in modo che ogni elemento chimico che venga usato contro l’uomo o gli animali provocando danni o la morte a causa delle proprietà tossiche è considerato un’arma chimica. Quindi non importa di quale sostanza si parli, ma se lo scopo è quello di causare danni con le proprietà tossiche, allora è un comportamento proibito”. E C. Heyman, esperto militare ed ex maggiore dell’esercito britannico, ha dichiarato: “Se il fosforo bianco è stato fatto esplodere laddove si trovava una folla di civili, qualcuno dovrà prima o poi risponderne alla Corte dell’Aia. Il fosforo bianco è anche un’arma terroristica”. Detto da un militare, non fa una piega.

Matteo [email protected]

www.matteolucatello.it

Una Striscia di sangueIl difficile mestiere delle armi

4 Novembre. La IAF (l’aviazione israelia-na), venuta a conoscenza di un tunnel segre-to tra Gaza e Israele, decide di distruggerlo lanciando dei razzi all’uscita gazana con l’intento di inficiare rifornimenti di armi ad Hamas garantendo una tregua sicura per Israele. Questo è stato il primo segno della fine della tregua. Fine segnata il 19 dicem-bre dal lancio di razzi da Gaza verso le cit-tà israeliane più prossime al confine, come Sderot. Secondo le statistiche storiche è la città più a lungo bombardata di sempre. Una città dalle case dotate di piccoli bunker e dalla vita spezzata dalle sirene. Il Governo Israeliano ha quindi dato, attraverso il Mi-nistro della Difesa Ehud Barakh, l’ordine allo Stato Maggiore di organizzare l’offen-siva sulla Striscia. Si è intensificata l’attivi-tà dell’Aman (servizi informazione IDF) e dello Shin Bet (servizio interno) nel mappa-re accuratamente gli arsenali e la regione di Gaza. Si sono decisi gli obiettivi principali: arresto e/o eliminazione dei militanti di Ha-mas; localizzazione e distruzione dei tunnel segreti da Gaza verso Egitto e Israele (trai 400 e i 1000) violanti l’embargo; localizza-zione e distruzione di arsenali e laboratori. Si è deciso il nome. “Piombo Fuso”. In pri-mis vi è stata una serie di bombardamenti aerei (27 dicembre) che dura ancora oggi contro postazioni di guerriglieri e di rampe di lancio dei missili, già abitazioni o caser-me della impotente polizia ormai fuori dal controllo di al-Fatah. A questo, Hamas ha risposto intensificato i suoi attacchi ed ha inoltre deciso di farla finita con quello che è rimasto di Fatah a Gaza fucilando già du-rante i primi bombardamenti 35 suoi espo-nenti. Il 3 gennaio è iniziata la seconda fase dell’attacco con l’offensiva di terra portata avanti dal Comando Sud dello Tzahal con truppe corazzate, fanteria e paracadutisti in 2 direzioni: da nord attraverso il confine e la costa, e da est, al fine di dividere la Stri-scia e isolare Gaza City. Quindi nei giorni successivi si sono susseguite azioni di pe-netrazioni nelle periferie urbane di Jabalay, Bayt Lahiya, Gaza City e Khan Yaunus, dando inizio ai sequestri di armi e alla di-struzione dall’aria dei tunnels presso Rafah. Lo scenario è quello complesso della guerra

urbana, caratterizzata dal pericolo costante dietro ogni angolo e da scontri casa per casa che rendono difficile l’uso di armi pesanti. Per di più Gaza è un’area densamente popo-lata dove si trova un nemico non sempre di-stinguibile dai civili e che non si fa scrupo-lo di sacrificarne le vite utilizzandoli come scudi umani, tragedia che non si ottiene solo con il porre direttamente i civili in mezzo alla linea di fuoco, ma anche trasformando probabili rifugi (come scuole UNRWA o normali abitazioni, visto che Hamas non ha mai speso per la realizzazione di rifugi pre-ferendo comprare armi) in arsenali. I mezzi sviluppati per lo scenario urbano, più mobili e protetti a scapito della potenza di fuoco non difendono costantemente la fanteria dal pericolo delle trappole esplosive dissemina-te tra le macerie. Le ricognizioni aeree per individuare più precisamente i bersagli o le semplici telefonate di avvertimento per i ci-vili palestinesi fatte da Israele non possono essere garanzia di una “chirurgizzazione” bellica. Persone in movimento a 200 m in aree dove vi sono scontri non sono distingui-bili come civili che si rifugiano od ostili che si trincerano, colla rapidità che occorre nel prendere decisioni. La spicciola valutazione del combattente-barbaro è spesso ipocrita miopia. Infine, si vuol chiarire la questione del fosforo bianco. Questo, usato per la pri-ma volta nel 1916, è una sostanza chimica dalla caratteristica di bruciare producendo un denso fumo, al contatto con l’ossigeno fino all’esaurimento di uno dei due. Per que-sto viene usato come illuminante o fumoge-no, o come arma, con il solo divieto di non impiegarlo contro i civili o in caso di im-mediato rischio per questi. Infatti il fosforo non è annoverato, nonostante il fumo pro-dotto, tra le armi chimiche della Chemical Weapons Convention firmata nel 1993 an-che da Israele (mai ratificata), tranne che per il paragrafo VII riguardante l’uso di mezzi incendiari. Inoltre il portavoce della Croce Rossa Internazionale Hornby ha dichiarato che l’impiego israeliano di fosforo bianco è stato per uso illuminante e non diversamen-te e quindi del tutto legale.

Lorenzo [email protected]

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Sconfinare Febbraio 20094

La chiamavano laicità

Politica Nazionale Luciano D’Alfonso: Il Sindaco che fa grande Pescara!

Era questo lo slogan con cui il Sindaco del Pd aveva ottenuto la rielezione al primo tur-no e senza l’apporto della Sinistra Arcoba-leno lo scorso aprile 2008: e i pescaresi ci avevano davvero creduto.Nel giugno 2003, quando era stato eletto per la prima volta, alcuni erano restii a dare la massima carica cittadina ad uomo venuto da Lettomanoppello, paese della provincia; ma anche in quel caso, tramite il voto di-sgiunto, i cittadini avevano votato lui più che la sinistra. Di certo alla vittoria dell’ex-democristiano D’Alfonso aveva contribuito la fama di “più grande appaltatore d’Abruz-zo” che si era guadagnato da Presidente della Provincia, e del resto nessuno allora, né tempo dopo, volle vedere il fatto che molti dei suoi ex-più-stretti-collaboratori in Provincia erano indagati per tangenti e concussione (“Pescara Provincia Amica” lo slogan di quegli anni). In ogni caso D’Alfonso rappresentava al meglio lo spirito rampante pescarese che potrebbe essere riassunto nelle 3 C: Ce-mento, Commercio, Corruzione (aggiunge-rei anche Criminalità). Bastava questo per votarlo.Così D’Alfonso vinse, ed intervistato il giorno dopo l’elezione lanciò subito un pia-no da 5 milioni di euro per…mettere top-pe d’asfalto nelle strade! Poi la città iniziò a riempirsi di targhe con il nuovo slogan: “Pescara Città Vicina”. Una su ogni lavoro pubblico…Ma lui più di ogni altro seppe sfruttare la voglia di eccezionalità del capoluogo adria-tico, da sempre desideroso di elevarsi al di sopra del resto della regione e dimostrare di essere davvero “la Milano del Sud”. Questo spirito aveva spinto in passato alla costru-zione di una stazione ferroviaria immensa, accolta con grande entusiasmo come una delle più innovative d’Europa, salvo poi rendersi conto della sua sostanziale inuti-lità…storia ripetutasi nel 2000 con la co-struzione del nuovo Tribunale, il terzo più grande del Centro-Sud, rimasto in buona parte vuoto, ma bello…E D’Alfonso non ha mancato di inscriversi in questo filone…per Piazza Salotto vol-le installazioni del giapponese Toyo Hito, mentre Piazza 1° Maggio (ribattezzata Piazza Mediterraneo) fu rivestita di marmo di Carrara secondo il progetto originario di Cascella…ed ancora porfido e mosaici hanno ricoperto il lungomare e le vie del centro. Ma non v’è stato quartiere o rione

che non abbia conosciuto la celebre targa “Pescara Città Vicina”: marciapiedi, rota-torie, asfalto, parcheggi, aree verdi…con il Sindaco che inaugurava personalmente ogni opera…Uno spot continuo per lui che costantemente risultava il più amato d’Italia nelle rilevazioni del Sole24Ore. Intanto anche l’imprenditoria locale portava avanti i progetti messi in cantiere da anni…di Bohigas il nuovo centro residenziale De Cecco, di Fuksas il centro direzionale della Fater e del luganese Botta le 3 torri da 18 piani di Caldora. Altre torri si prevedono sul lungofiume, i cui attici duplex (13° e 14° piano) saranno dotati di piscina privata sul tetto, mentre la Regione (che ha deciso di compiere anch’essa l’antica transumanza trasferendo la sua sede ogni inverno a Pescara) ha in progetto altre 3 torri da 50 metri…poco importa se a poca distanza, in uno dei quartieri off-limits, la comunità rom tiene cavalli sul balcone o li porta a spasso tra le auto attaccati a dei calesse (le famiglie zingare che dagli anni ’70 si sono stabilite a Pescara, controllando il traffico di stupefacenti ed il giro di prostituzione, hanno da sempre una spiccata passione per i cavalli…forse anche dovuta agli affari che gestiscono nell’ippodromo cittadino…).Mentre il sottosegretario alle infrastrutture del Ministro Di Pietro definiva Pescara “la Los Angeles dell’Adriatico”, la città era ben determinata a newyorkizzarsi…tanto per

tener fede al nomignolo di “Piccola Man-hattan”. Ed anche il Sindaco ha pensato di assecondare questa tendenza lanciando un nuovo slogan: “Pescara Città dei Pon-ti”. Risultato? 2 nuovi ponti in cantiere sul fiume Pescara…il Ponte Nuovo ed il Pon-te del Mare (ponte sospeso ciclo-pedonale progettato dall’altoatesino Pilcher alla foce del fiume). Sul secondo, orgoglio del Sin-daco che lo aveva fatto finanziare dall’im-prenditoria locale (con cui del resto aveva buoni rapporti…) per un totale di 10 milioni di euro, si era levato lo scandalo quando il Primo Cittadino aveva tentato di affidarne la costruzione senza gara d’appalto allo stesso Pilcher che “di certo avrebbe saputo portare a termine meglio di chiunque altro il lavoro”. Copione identico per la riqualifi-cazione delle aree dismesse dell’ex stazione ferroviaria, che D’Alfonso voleva affidare all’immobiliare Toto che avrebbe svolto la commissione “gratuitamente” in cambio…del monopolio nella gestione di tutti i par-cheggi cittadini per 30 anni…Ma neanche questo ruppe la luna di mie-le tra la cittadinanza e l’ormai onnipoten-te Sindaco…nessuno si chiedeva del resto perché la solerzia dell’amministrazione non fosse altrettanto spiccata nella gestione dei cantieri per i Giochi del Mediterraneo, che Pescara ospiterà quest’estate: nel Comitato organizzatore sono presenti esponenti della vecchia maggioranza di centro-destra con cui l’attuale amministrazione non è riuscita

ad “accordarsi”…il villaggio olimpico deve ancora vedere la luce…Così, quando l’amatissimo D’Alfonso è sta-to arrestato, la città si è svegliata da un lun-go sonno…ma mentre l’orgoglio pescarese rischiava di essere distrutto dal 3° commis-sariamento dal dopoguerra ad oggi, molti continuavano a difendere il Sindaco…Il giorno di Natale il Tg trasmetteva, dopo quelle del Papa, le immagini di D’Alfonso affacciato alla finestra che salutava, per tutti ormai quell’uomo era innocente: quasi scarcerato per Volontà Divina in quel Santissimo Giorno. Poco importava se dal Tribunale avevano fatto sapere che tutte le accuse restavano valide e che il Sindaco, scarcerato solo perché dimessosi, sarebbe subito tornato al fresco se avesse ritirato le dimissioni. Luciano sembrava non curarsene ed annunciava poche ore dopo di voler fare un discorso alla cittadinanza in Piazza Salotto il giorno di Capodanno: in un clima da golpe sudamericano fu lo stesso Veltroni a dissuaderlo dal suo proposito. Ma il 5 gennaio il “colpo di genio”: D’Alfonso ritira le dimissioni, presenta un certificato medico e passa la palla al suo Vice. Cosa non doveva sapere il Commissario?Non importa. I pescaresi possono far finta che nulla sia accaduto, l’orgoglio della città è salvo. A giugno forse le elezioni, il cui risultato sembra tutt’altro che scontato. Del resto, ancora adesso, sono in molti a dire che Luciano D’Alfonso ha fatto grande Pescara.

Attilio Di [email protected]

Da un eccesso all'altro La laicità a colpi di provocazione

Negli ultimi tempi, l'ennesima provocazione in campo religioso ha avuto luogo: gli auto-bus di Genova verranno infatti pubblicizzati dall'Unione degli Atei e degli Agnostici Ra-zionalisti (UAAR), con lo slogan "La catti-va notizia è che Dio non esiste. Quella buo-na è che non ne hai bisogno". Naturalmente l'opinione pubblica si è infervorata, Bertone si è grattato i natali, la Chiesa mantiene un tacito profilo conscia della giustezza della politica del silenzio, quale migliore delle ri-sposte, alla provocazione.Nonostante io personalmente sia aconfessio-nale, ma non ateo, bensì laico e laicista nella mia visione dello stato, mi sorprendo come le lotte debbano essere combattute attraver-so le estremizzazioni. Pur riconoscendo alle persone atee il diritto di non riconoscere l'esistenza di Dio, ciò non toglie che queste ultime non debbano prevaricare la fede di

chi invece crede. Nel pensiero laico la libertà sta nella scelta libera in libero stato, os-sia senza che una deter-minata forza, maggiori-taria o minoritaria che sia, possa in alcun modo influenzare la crescita del pensiero della per-sona. Per questo devono essere accolte le rivolte alle frequenti interferen-ze nel mondo pubblico

di determinate forze di pensiero. Tali inter-ferenze non sono solo un'opinione, diven-tano coercizione lì dove si precetta in base a valori morali personali e li si generalizza. Eppure le critiche non possono diventare a loro volta un fattore di discriminazione o di oppressione. Vorrebbe dire fare lo stesso cat-tivo gioco del nemico, uccidendo il pensiero laico che invece si rifocilla del confronto e non dello scontro. Inoltre, non è discriminando che si ottiene la cultura di base su cui educare ad una nuoca laicità. Per effettuare un parallelismo, non sono le quote rosa di per loro a risolvere il problema del machismo. Sono forse uno strumento poco democratico per ricreare una cultura di base, imperniata sul rispet-to della donna. Allora, ritornando al nostro discorso principale, il messaggio che "Dio

non esiste" è una presa di posizione che invade lo spazio pubblico senza effettiva-mente creare il germe dello spirito critico. Tale gesto sarebbe forse più adatto se fatto sul sito internet dell'Unione suddetta. Tale gesto invece piacerà a pochi, radicalizzerà i molti. E il processo di effettiva laicizzazio-ne dello Stato italiano ("secolarizzazione" per alcuni) rischia di fare tre passi indietro dopo averne fatti due.Questo evento però ha fatto scaturire in me un altro tipo di riflessione: la crisi economica di cui tanto si parla per certi versi non avrà conseguenze negative in tutti i settori della società. La crisi, in primis quella psicologica, farà sì, almeno secondo il mio punto di vista, che la generazione attuale si renda conto di quanta precarietà e senso dell'effimero vi sia nei beni materiali. Si rifocillerà allora nell'abbondanza della ricchezza morale, nel confronto di idee e di opinioni, nell'attuazione di scelte non per forza capitalisticamente cicliche, ma sostenibilmente sviluppabili. Ambientalismo, localismo, cultura generalizzata, nuove forme di arte, letteratura e musica, ritorno ad un'ortodossia dei credi. Lo definirei nel complesso uno "sviluppo radicato", che per molti versi è già in atto.In fondo è successo molte volte nella storia e la necessità ha sempre aguzzato l'ingegno. Credo in quel che sarà.

Edoardo [email protected]

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Sconfinare2009 Febbraio 5Politica Nazionale

Partiamo dai fatti: lo scorso 5 Dicembre a Roma la CEI per voce di monsignor Bruno Stenco, direttore dell’ufficio nazionale della conferenza stessa per l’educazione, la scuo-la e l’università, ha tuonato indignata contro i 130 milioni di euro di tagli previsti per le scuole paritarie nella finanziaria 2009, e ha minacciato di portare in piazza le federazio-ni delle scuole cattoliche se i tagli fossero stati effettivi.Nel giro di qualche ora (!), con un emen-damento al ddl Bilancio,120 milioni di euro sono stati ripristinati, ha fatto sapere il sot-tosegretario all’economia Giuseppe Vegas; sarà il ministro dell’istruzione, di concerto con il ministro degli affari regionali e il mini-stro dell’economia a decretare i criteri per la distribuzione di questi fondi entro 30 giorni dall’entrata in vigore della finanziaria. Dopo il ripristino dei fondi il portavoce della CEI Domenico Pompili ha alleggerito i toni, di-chiarando che i vescovi, preoccupati per le scuole cattoliche confidano comunque negli impegni presi dal governo. Ora vi propongo un indovinello: quanti parlamentari hanno protestato? Se avete detto 0 complimenti, avete indovinato! Di fatti pare proprio che l’unico a contestare immediatamente la de-cisione del governo sia stato Paolo Ferrero, segretario del PRC (e se non lo facevano loro!), che da alcuni mesi a questa parte è un partito extraparlamentare. Ferrero ha po-lemizzato dicendo che mentre il governo ha ignorato le manifestazioni a cui hanno preso parte migliaia di studenti e docenti, rifiutan-

do di cambiare i provvedi-menti sulla scuola pubbli-ca e l’univer-sità, è bastata una semplice minaccia di mobilitazione da parte dei vescovi e delle scuole catto-liche private per far cam-biare idea alla maggioranza. Più della marcia indietro sui tagli, comunque equivoca e quantomeno contraddit-toria per un paese che vuole definirsi laico, è stata “sorprendente” la reazione del parlamen-to: nessuno ha protesta-to, anzi membri dell’op-posizione come Maria Pia Garavaglia ed Antonio Rusconi del PD hanno lamentato, dopo il ripristino dei fondi, che mancavano all’appello altri 14 milioni di euro per le scuole paritarie. Questo fatto dimostra una volta di più quanto in Italia sia labile e con-fuso il confine fra stato e chiesa nonostante siano passati ormai quasi 140 anni dal 20 Settembre e quanto ancora oggi lo stato sia condizionato nell’attività legislativa dalla

chiesa. In un paese vera-mente laico il retrofront del governo avreb-be suscitato per lo meno la protesta di una parte del p a r l a m e n t o , quella dei laici di destra e si-nistra, se non manifestazioni di piazza; da

noi nulla di tutto que-sto sarebbe accaduto, anzi stava per succe-dere il contrario. In un paese veramente laico e sovrano, dove i po-litici non hanno paura di assumersi la respon-sabilità delle proprie decisioni, la maggio-

ranza di governo non ritirerebbe di certo i propri emendamenti alla prima minaccia di proteste della CEI, o di qualsiasi altra asso-ciazione o gruppo,ed invece a Roma questa è la regola da sempre, se il gruppo che pro-testa è forte ed influente. Alla luce dei fatti se si è tornati indietro su questi 120 milio-ni, la scontata conclusione a cui si giunge è che una decina di vescovi conta nei palazzi romani più delle centinaia di migliaia di

persone che sono scese in piazza contro i tagli del decreto Gelmini. E’ vero che la somma che si è deciso di ridare alle scuo-le cattoliche è ben poca cosa rispetto alle decine di miliardi di euro che ogni anno vengono stanziati per la scuola pubblica, che è la maggioranza che deve governare anche infischiandosene dell’opposizione e delle proteste, ma anche così la decisione è ingiusta per principio, a priori, se prima il ministro dell’istruzione afferma che è fi-nita l’era dei privilegi e degli sprechi, che si cercherà di riformare in senso merito-cratico la scuola, e poi nella realtà dei fatti una parte del sistema scolastico (quella più numerosa e con meno risorse) vede i suoi fondi diminuire e l’altra, molto meno nu-merosa e più ricca li vede inalterati. Perché si attuano provvedimenti duri di conteni-mento dei costi verso quelle che sono le scuole DELLO stato e al contrario, verso quelle che sono a tutti gli effetti delle scuo-le private NON statali (anche se qualcuno ha pensato bene di chiamarle paritarie) si adopera un trattamento di favore? Dopo quello che sta accadendo, pare proprio che il primo presidente del consiglio ita-liano a raccontare barzellette non sia stato Berlusconi, bensì l’indimenticato Conte di Cavour quando diceva “Libera chiesa in libero stato”. E’ la storia a dircelo.

Matteo [email protected]

120 milioni di motivi per riflettereovvero, quando la tonaca fa la differenza

Una decina di vescovi conta nei palazzi romani più delle centinaia di migliaia di per-sone che sono scese in piaz-za contro i tagli del decreto

Gelmini

Senza nessun licenziamento, Abbanoa ha sistematicamente ridotto gli sprechi, e, di conseguenza i costi. Con la legge finanziaria regionale del 2007, lo Stato ha riconosciuto alla Regione Sar-degna il diritto graduale di compartecipare al gettito tributario maturato nel territorio regionale a partire dallo stesso anno. Tra il 2007 e il 2009 tale gettito è cresciuto di circa 1,4 miliardi di euro. A partire dall’anno 2010 le maggiori entrate regionali ammonteranno ad oltre 3 miliardi di euro. In cambio la Re-gione si fa carico de-gli oneri del Fondo sanitario naziona -le e delle funz ion i di traspor-to pubbli-co locale, compresa la continu-ità territo-riale, man-t e n e n d o un saldo positivo di circa 1,8 m i l i a r d i di euro.

Per quanto riguarda l’istruzione pubblica, mentre i tagli dei finanziamenti colpiscono tutta l’Italia, nell’Isola sono stati aumentati i fondi per l’edilizia scolastica, per un totale di circa 300 milioni di euro. La regione attri-buisce inoltre assegni per merito fino a 500 euro mensili, agli studenti diplomati con almeno 80/100 che si iscrivono all’Univer-sità (con priorità per le facoltà scientifiche) e agli studenti universitari in regola con i crediti che abbiano almeno la media del 27. Inoltre, la Regione ha finanziato nell’ultimo

triennio più di 3000 studenti per alta forma-zione, tirocini e “percorsi di rientro” in Sar-degna, per favorire la crescita accademica e professionale dei neolaureati e garantire un efficace inserimento nel mondo lavora-tivo sardo. Le fonti di quanto riferito sono documenti, atti regionali e dati Istat per il periodo 2004-2008. Tornando alla questione delle elezioni, le argomentazioni del candi-dato per il PDL – un certo Cappellacci ex consigliere del comune di Cagliari – sono tutte “contro”: egli afferma che quanto re-

alizzato nel mandato Soru sia stato una delusione e un falli-mento per la Sardegna. Per il programma alternativo vengo-no spese invece poche, pochis-sime parole. Anzi, in generale sono veramente poche le paro-le pronunciate direttamente da Cappellacci. Chi chiacchiera di più è Berlusconi: è lui che in realtà gestisce e ordina la campagna elettorale del PDL. È lui, il primo ministro italia-no, che organizza e predispo-ne le assemblee e i comizi. Ed è sempre lui che racconta le barzellette durante i convegni. Ma della Sardegna non si parla mai? Sì, il programma eletto-rale del “candidato del PDL Cappellacci” è preciso: cancel-

Fidatevi, Meglio SoruCONTINUA DALLA PRIMA

lare tutte le norme che dal 2004 sono state fatte da Soru (Berlusconi ha detto proprio così). E quando mai un avversario politico in una campagna elettorale in Italia ha dato dei meriti al presidente uscente? Che campagna elettorale sarebbe? In realtà, quali sono le condizioni della Sardegna? Esiste davvero il “peggioramento delle condizioni di vita” sbandierato da Berlusconi, pardon Cappel-lacci? Ci sentiamo davvero più indietro del 2004? Basta leggere i dati reali e si avrà la dimostrazione del contrario: la Sardegna va in direzione esattamente opposta a quella nazionale, e lo affermano i giudici più cre-dibili i cittadini stessi.Questa campagna elettorale purtroppo non parte dal lavoro realizzato negli ultimi quat-tro anni: si cerca consenso promettendo, ma non parlando di fatti concreti. E colui che si candida alla guida della regione non è che un muto e sorridente fantoccio. Nel frattem-po Soru gira la Sardegna per ricordare ciò che è stato realizzato dalla sua giunta, ciò che ancora sarà fatto e soprattutto come, con i soldi risparmiati e guadagnati e non con illusioni o sogni impossibili.Troppo serio il Presidente Soru. Fidatevi che è meglio Soru.

Diego PinnaEnrico Casu

[email protected]@libero.it

http://megliosoru.wordpress.com

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Sconfinare Febbraio 20096Università

Un grande laboratorio di dissensoColloquio coi prof. La Mantia e Neglie sul progetto di ricerca che partirà a marzo

«La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’abbandonare quelle vecchie».

È a partire da questa frase di John M. Key-nes che prende vita il progetto di studio che hanno messo in cantiere i professori Neglie e La Mantia per il prossimo semestre. Il tema è molto vasto: il dissenso e la mani-festazione del dissenso, in ogni ambito. Il ruolo centrale spetterà agli studenti, ai loro interessi e alla loro fantasia. Ogni gruppo di ricerca creerà il suo “percorso didattico”, un lavoro di studio e ricerca concentrato su un ambito preciso della questione. L’evento conclusivo «sarà un conve-gnacolo: un evento, cioè, a metà tra convegno e spettacolo»; raccoglierà tutti gli spunti per creare un puzzle complessivo della nostra idea di “dis-senso”.La prima fase del progetto prevede, dunque, il lavoro di ricerca. Gli stu-denti interessati potranno riunirsi in gruppi e, a seconda dell’ambito che desiderano approfondire, scegliersi un professore di riferimento. L’ap-proccio sarà multidisciplinare: poten-zialmente tutti i professori potranno dare il loro contributo, anche attra-verso piccoli seminari durante i loro corsi del secondo semestre.Sono gli stessi prof. Neglie e La Man-tia a proporre alcuni spunti. Si potrà spaziare dal “dissenso contro i totali-tarismi”, come quello di Solidarnosc in Polonia e dei cattolici in Unione sovietica, a quello studentesco; dal dissenso armato di terrorismo e anni di piombo a quello utopico delle co-muni maoiste e dei parchi Hobbit; dal rapporto “dissenziente” fra le chiese

cattolica e ortodossa, alla Teologia della li-berazione; dalla forza di andare controcor-rente dell’antipsichiatria di Basaglia al tema delle “Piccole patrie”, le identità regionali che cercano protezione dall’invadenza bu-rocratica/tecnico/finanziaria dell’Unione Europea. Le ricerche avranno un taglio “multimediale”: cinema, letteratura, teatro e musica entreranno a pieno titolo nei lavori. Per questo si vorrebbero coinvolgere la Ci-neteca del Friuli oltreché, magari, l’Univer-sità di Udine e DAMS Cinema.Ogni gruppo di studio produrrà infine un paper che verrà esposto durante l’incontro/

conferenza finale. Inoltre probabilmente i lavori verranno pubblicati su un blog dedi-cato, in cui verrebbero anche esposte tutte le informazioni e le scadenze riguardanti il convegno e il lavoro dei gruppi di studio. Sempre a questo scopo saranno sfruttate le mailing list delle associazioni che decide-ranno di collaborare.Il “convegnacolo” conclusivo (che si terrà tra la fine di aprile e l’inizio di marzo) sarà una manifestazione multimediale: un’unione di testimonianze dal cinema, dalla musica, dal-la letteratura che spera di riuscire a coinvol-gere anche i cittadini di Gorizia. Il modello

di partenza è il convegno sul Sessantotto, svoltosi l’anno scorso sempre a Gorizia, solo con una struttura più organizzata e ap-punto una maggiore partecipazione degli studenti. Per curare l’aspetto iconografico della giornata il prof. Neglie è già alla ricer-ca di una “task force musica&immagini”.Anche se non è ancora certo, probabil-mente si riuscirà a ottenere l’attribuzione dei crediti liberi/F per il lavoro svolto nei gruppi di studio: più che un metodo per at-tirare più studenti, questo vuole essere un riconoscimento ufficiale della serietà del lavoro svolto.

Un altro aspetto innovativo di questo progetto è la partecipazione di studenti stranieri, russi e polacchi, provenien-ti delle università con cui è a contatto Gorizia: svolgeranno nelle loro univer-sità l’attività di studio e ricerca, per poi “confluire” qui per l’incontro finale. In particolare, gli studenti russi potranno forse condividere la loro ricerca con gli italiani, approfittando dello scambio che li porterà in Italia in marzo.Il professor La Mantia presenterà il progetto il prossimo 3 marzo alle 15.00 all’inaugurazione del suo corso di Sto-ria dell’Europa Orientale; il professor Neglie il 5 marzo, all’apertura di Storia Contemporanea. Chi fosse interessa-to può fin da ora contattare i docenti: oltre agli spunti già forniti saranno la fantasia e la voglia di impegnarsi degli studenti a trasformare quest’evento in un’occasione di crescita e rinnovamen-to della nostro corso di laurea e della città di Gorizia.

Federico FaleschiniFrancesco Marchesano

[email protected]@sconfinare.net

Ma ambasciator non porta penaIl titolo della conferenza trae in inganno più d’uno studente. “La politica estera italiana dalla caduta del muro ad oggi”. Uau! Che titolone. Specie in un posto in cui la materia di studio si arena usualmente all’a.D. 1975 (per conoscere i venticinque anni successivi, tranquilli, c’è sempre l’Erasmus. Se volete compilare la domanda dovreste essere ancora in tempo).Con nelle orecchie tanta sete di novità prendiamo posto. Ma capisco da subito che aria tira. Il buon ambasciator Ferraris, appena sceso fresco fresco dalla montagna, ci detta il suo primo comandamento facendoci sapere che lui, qui, non ci voleva venire affatto. Per dieci minuti buoni si lamenta del corso di laurea, lodando però gli studenti e la qualità della loro preparazione – perché a Gorizia “o si studia, o non c’è nient’altro da fare”.Cos’è, un sarcasmo?Tralasciando ghigni maliziosi e le

confutazioni strettamente personali a questa affermazione, il mio cervello si focalizza istintivamente su un punto credo condiviso dall’assemblea: ma chi ti vuole, parlaci di questa politica estera o me ne vado a farmi uno spritz.Finalmente comincia l’intervento, con l’accortezza però d’inserire un prologo che parte – guarda caso – dal 1861. Perché l’attualità è davvero importante. Giusto un’oretta su argomenti del resto trascurati dal nostro corso di laurea: la prima guerra mondiale, la politica estera fascista, il peso determinante, eccetera. Non seguo perché ho l’impressione di aver studiato questa cosa in almeno dieci manuali diversi. E forse uno era “la storia a fumetti” del Giornalino.Ma io aspetto con ansia che giungano argomenti più vicini a noi. Cose del tutto

marginali, in realtà. Tipo (giusto per citarne un paio) Sarajevo, il Kosovo, il Libano, l’Afghanistan, l’Iraq, la Russia e la Cina, l’Unione Europea. E invece, nulla. Ferraris

non aggiunge niente di nuovo, nemmeno quando con le domande gliene si dà l’occasione, tolte un paio di sparate di dubbia opportunità che meritano una menzione: l’invito alle ragazze a sedersi in prima fila, perché così “si guarda

qualcosa di piacevole”; e la solenne dichiarazione che “gli italiani preferiscono il compromesso, si sa. Per esempio, il compromesso alla moglie è l’amante”.Che sollievo. Auspico vivamente che queste boutade siano la norma per tutti i nostri ambasciatori. Sono felice che in giro per il mondo siamo i primi a contribuire agli stereotipi sull’italiano medio. Grandi amatori, gli italiani!Dopo un’ora e mezza in cui si snocciolano

banalità ci vuole davvero una sopportazione da guinness per stare seduti. La mia dura ben due ore e ancora ne stupisco, fossi rimasto in youtube a guardare i Griffin avrei imparato più cose. Mi chiedo da studente se siano nel nostro interesse questi appuntamenti in cui veniamo snobbati da relatori che arrivano senza intervento scritto e che svogliatamente se la raccontano per un paio d’ore, quasi beandosi del fatto d’essere in una posizione in cui possono permettersi di dire quello che vogliono perché tanto nessuno avrà il fegato di contraddirli. Mi chiedo da studente se dobbiamo continuare a prediligere un titolo ed il nome alla qualità dell’intervento, e continuare a sentirci “onorati” della visita di questi personaggi anche se ci disprezzano, e non hanno nemmeno il pudore di tacere. E magari dovrei pure applaudire, o tributar loro una standing ovation. No, grazie.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

Mi chiedo da studente se dobbiamo continuare a prediligere un titolo ed il nome alla qualità

dell’intervento

Page 7: Sconfinare numero 17 - Febbraio 2009

SconfinareFebbraio 2009 7Università

La P2 vista da dentro: intervista al professore Augusto SinagraIncontro all’università con l’ex avvocato di Licio Gelli

-Buongiorno professore. Oggi si parlerà di P2, sebbene in linee molto generali per motivi contingenti…Bene, comincio col dirle che ai tempi della P2 facevo il magistrato. Ero anche Vice Presidente vicario del “Centro di azione latina”, fondato da Fanfani (adesso “Istituto italo-latino americano”). L’istituto all’epoca aveva contratto dei debiti: il consigliere economico dell’ambasciatore argentino si trovava all’Hotel Excelsior, credo nell’Ottobre dell’80, dove c’era anche Licio Gelli.-Fu lì che incontrò Gelli per la prima volta?Si. In quell’occasione mi chiese se ero disposto a fare da consulente legale per una multinazionale, dato che ero (e sono) professore di diritto internazionale (presso l’Università “La Sapienza”, n.d.r.). Da lì poi arrivò la proposta per entrare a far parte della Loggia P2, e mi diede un modulo da compilare.-In cosa consisteva questo modulo?Era un modulo normalissimo: le uniche cose “particolari” erano due clausole. La prima in cui era previsto il rispetto assoluto della Costituzione e delle leggi statali; la seconda in cui si contemplava il rispetto della segretezza sull’iniziazione muratoria, per garantire la riservatezza del rituale. A quel punto giunsi alla parte relativa ai “soci presentatori”. Insomma, due individui avrebbero dovuto sostenere la mia “candidatura”. Ma non conoscevo nessuno. Fu lo stesso Gelli a farmi due nomi. -Che nomi le fece?Quello di Fanelli, questore della Polizia di Stato, e di Picchiotti, generale dell’Arma

dei Carabinieri. Come potevo non fidarmi? … Firmai il modulo. -Come avvenne l’iniziazione?In pratica non fui mai iniziato. Il rituale sa-rebbe dovuto avvenire tra il 18 e il 19 Mar-zo 1981 (non ricordo di preciso il giorno), ma il 17 ci fu il sequestro della lista. Inoltre, nel giorno in cui avrei dovuto “iniziarmi” mi trovavo a Santiago del Cile. In seguito al sequestro Gelli mi chiese di difenderlo. Io accettai e rimasi suo avvocato fin quan-do egli non aggiunse nella sua schiera di avvocati anche l’avvocato Vitalone (metà 1982). -Adesso potrebbe fare un breve accenno al “Piano R” (Rinascita)?Posso dirle che esso non fu scritto da Gelli…

mi pare da un magistrato. Era comunque un progetto riformatore, così come erano rifor-matori gli intenti della P2. La Loggia non era reazionaria, ma riformatrice. Nessuna intenzione di organizzare golpe, sebbene alcuni degli adepti fossero coinvolti nel fal-lito golpe di Junio Valerio Borghese.-Ho visto che molti punti contenuti nel “Piano R” “coincidono” con i punti pro-grammatici dell’attuale Governo (ricor-diamo che Silvio Berlusconi è stato pidu-ista)…Si, come ad esempio la riforma della Magi-stratura. Ma Berlusconi non è assolutamente in grado di portare avanti un così ambizioso progetto. Lui, come tutti noi, aveva i suoi interessi da tutelare. La Loggia P2 costitui-va l’élite delle classi professionali.-Quindi nessun principio ispiratore, ideale…?Assolutamente no! Non vi erano principi ispiratori, non c’erano ideologie. All’interno della Loggia vi era un mélange politico incredibile. Quello che accomunava tutti era “fare i propri interessi” e sviluppare magari le proprie carriere ancora agli inizi, com’è stato nel caso del nostro attuale premier. La P2, per quanto mi riguarda, era una società di mutua assistenza. Voi “giornalisti” dovreste accettare certe semplici e banali verità!

Federica [email protected]

Lingua Franceseavviso per gli studenti del 3 anno, 1 e 2 anno di laureaspecialistica, fuori corso, laureandi e/o ne-olaureatiIl Consolato Onorario di Francia a Trie-ste offre agli studenti del corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche la possibilità di effettuare degli stages presso due Istituzioni francesi:1- Servizio per gli affari sociali dell’am-basciata di Francia a Roma:stage di 3 mesi,prolungabile a 6 mesi, per uno/due/tre studenti dell’indirizzo diploma-tico;2- Missione economica dell’ambasciata di Francia a Milano:stage di 6 mesi, per uno studente dell’indi-rizzo internazionale.N.B. Per gli stages è indispensabile un’otti-ma conoscenza della lingua francese, scritta e orale. E’ infatti prevista la totale integra-zione del tirocinante nell’équipe di lavoro, con incarichi di collaborazione effettiva ai progetti del Servizio.La domanda di candidatura, corredata da:- una lettera di motivazione, in francese, con l’indicazione della preferenza del luogo e del periodo dello stages;- un CV con foto;- la fotocopia di eventuali attestati di lin-gua straniere o altro dovrà essere spedita via e-mail alla prof.ssa Leggeri, Console Onorario di Francia e Trieste ([email protected]) dal 15/01/2009 fino al 25/02/2009.Le candidature saranno vagliate in base ai titoli e , successivamente, i can-didati dovranno sostenere una prova scrit-ta e un colloquio. I risultati saranno espo-sti in bacheca presso la del SID , dopo il 15/03/2009.Successivamente, i prescelti dovranno con-fermare o rifiutare lo stage con un anticipo di due mesi sull’inizio dello stesso, in modo da consentire ad altri di subentrare.Un mese prima dell’inizio dello stage, il candidato prescelto deve richiedere due copie della convenzione presso il Centro Servizi della Facoltà di Scienza Politiche a Trieste e farle debitamente compilare e fir-mare dal soggetto promotore dello stage – il Preside di Facoltà- e dal Soggetto ospitante (Istituzione francese) .Per ulteriori informazioni pratiche, gli in-teressati possono rivolgersi alla prof.ssa Leggeri e allo studente Edoardo Buonerba: [email protected]

In questo periodo, come tutti gli anni, torna quella che si può definire la “febbre da era-smus” e molti degli studenti del nostro cor-so di laurea iniziano a cercare informazioni, compilare moduli, visitare siti, per cercare di conseguire la borsa di studio per scam-bio interuniversitario piu famosa nel mondo studentesco. L’esperienza di scambio “so-crates-erasmus” oltre ad essere un momento di scambio per studenti è anche e soprattutto, a mio avviso, un modo per aprire la mente e accumulare un numero di esperienze che difficilmente si potrebbe raggiungere senza partecipare al programma.Per questo motivo ritengo che non ci sia un vero e proprio “anno strategico” per cer-care di trascorrere qaulceh mese all’estero soprattutto perche dal diverso grado di ma-turità si sviluppano interessi diversi che por-teranno a diverse esperienze.Armati di voglia e spirito di adattamento quindi iniziate pure a vagliare le possibilità offerte: iniziate a delimitare un area sub-re-gionale che vi può interessare (ad es. Paesi con lingua inglese, oppure Paesi dell’euro-pa centro-orientale e cosi via) all’interno di questa delimitazione ordinate le vostre preferenze, anche in base alle materie che si andranno a studiare negli atenei proposti. Una volta rintracciato il docente che gesti-sce la o le borse che vi interessano prendete contatti diretti in modo da avere notizie di prima mano (spesso le notizie passaparola, sono molto più catastrofiche dei problemi

che realmente si devono affrontare!) recate-vi alle riunioni e non disdegnate di dare gia qualche occhiata ai siti internet delle univer-sità in cui volete essere accolti cosi da con-fermare le vostre opinioni o eventualmente rivedere le vostre priorità; a tale proposito si può smentire la falsa voce che si abbia diritto solo alle borse dei docenti del nostro corso: le borse erasmus infatti sono gestite da un docente di materie affini alla facoltà in cui si vuole essere ricevuti, ma le doman-de possono essere presentati da tutti a tutti i docenti (di solito si cerca una attinenza col piano di studi. Il professore vi convocherà quindi in una riunione in cui vaglierà il nu-mero di posti e fisserà una data di selezione e i criteri della stessa, di solito essi sono: media dei voti, conoscenza della lingua vei-colare e motivazione del candidato anche se poi i paramentri vengono personalizzati. Su-perato lo scoglio della selezione, quasi sem-pre orale, inizia la trafinal burocratica, che vi vedra impegnati con l’ufficio relazioni internazionali dell’Università e con il con-tratto da riempire e firmare, in esso ci sono i doveri dello studente (il numero di crediti, il numero minimo di mesi di permanenza, le modalità di prolungamento), per la com-pilazione dei piani di studio vi consiglio di visionare i siti internet dell’università rice-vente e cercare le materie piu affine possi-bili per contenuti e numero di crediti ECTS. Allo stesso tempo cercatew di capire se ave-te diritto ad un alloggio pubblico per studen-

ti universitari o dovete cercarvi da voi un al-loggio. Adesso siete pronti…. fate le valigie e via…. vi consiglio di recarvi con un certo anticipo (3 o 4 giorni) in modo da ambien-tarvi nella realtà in cui vivrete per almeno qualche mese e cercare un alloggio se non lo avete già fatto dopo l’assegnazione della borsa. Al vostro arrivo all’università ospi-tante vi consiglio di trovare subito l’ufficio internazionale e utilizzarlo come tramite per ogni evenienza; controllate inoltre che il programma che avete concordato su inter-net sia lo stesso che realmente l’università offre cioè che non siano stati esclusi alcuni corsi o il numero di ECTS non sia quello in-dicato a tale scopo vi consiglio sempre di far presente all’insegnate la vostra posizione di studente in scambio in modo da evitare in-convenienti di riconoscimento al ritorno. La lista delle discipline di cui si vuole sostenere l’esame può essere modificata entro termini prefissati (a costo però di moltissimi fax tra le due università!).A questo punto inizierà in tranquillità quella che per me è stata una delle esperienze più formative della mia vita fatta di crescita cul-turale, mentale ed umana; fatta di amicizie indissolubili, esperienze indimenticabili e a volte, perchè no, grandi amori. Si inizierà a frequentare i ritrovi erasmus in cui di solito si scambiano le informazioni più proficue ed utili. Usando chiaramente la maturità di uno studente medio vi assicuro che non si finirà “ sulla cattiva strada” come qualcu-

no vuol farci credere dopo i ben noti fatti di cronaca. I mesi passeranno in un lampo e si dovrà tornare al nostro piccolo mon-do pre-erasmus, quando questa bolla sarà scoppiata, allora ragazzi cercate di portare con voi il meglio che questa esperienza vi ha dato senza rimorsi e magari con qualche rimpianto ma si sa non ci si accontenta mai. In fine per chiudere in bellezza ricordatevi di andare firmare entro i termini il modulo di rientro che vi darà diritto alla quota pe-cuniaria stabilita. Di certo andrete all’uffi-cio con il passo sicuro di chi è cresciuto e cambiato, ma anche pesante di chi vorrebbe tornare indietro: un po’ come nel film “L’ap-partamento spagnolo”.

Antonio Del [email protected]

Felice erasmus a tutti!

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Sconfinare Febbraio 20098

Viaggio

in Italia BASILICATA

Il viaggio continua. Capodanno nella Matera dei sassi e dei saldi Corrado Augias

Inchiesta sul cristianesimo: Come si costruisce

una religione Arrivo che è già buio a Matera, dal turbinio di strade che gira attorno al blocco intaglia-to dei sassi. La macchina scorre veloce tra le rotonde e le isole spartitraffico, serpeggia fra i palazzoni residenziali, sale e scende, la periferia vista dal fi-nestrino è a metà tra l’autodromo e le montagne russe. Sono ospite della famiglia Bruno. Tutto intor-no i balconi sono accesi di luci abbondanti e disordinate, hanno passato Natale e stanno aspettan-do il 2009.Scendendo verso il centro ci s’in-caglia nei sassi. Non li avevo mai visti né immaginati, li conoscevo solo come sfondo di film che rac-contano altre storie. Sono le case sovrapposte scavate nel tufo dove i materani hanno vissuto fino agli anni Cinquanta prima dello sfolla-mento forzato. Stanzette contorte che ospitavano famiglie intere con asino o maiale, arroccate su una parete del burrone creato nei seco-li dal torrente Gravina. Poi ruspe e palazzinari hanno costruito una seconda città tutto intorno, cemen-tificata ma ariosa, in simbiosi con la prima. I sassi regalano poesia al traffico che scorre vivace in peri-feria.Al Keiv bevo il primo amaro lu-cano. È un posto sciccoso, ricava-to in un sasso, tra giochi di luci e specchi colorati. Un inizio da turi-sta. Un po’ più su, verso la piazza che raccorda la Matera dei nonni a quella dei nipoti, sta Il Camera. È la pancia notturna che si ingoia i materani, un dedalo di cunicoli affollato di formichine opulente che trasportano il loro bicchiere di birra alla ricerca di un tavoli-no libero. I giovani sono tornati dall’esodo che svuota il Meridio-ne per farsi il Natale in famiglia. «Auguri!» e bacini sulle guance si mescolano ai «Bentornato, quan-do torni su?». «Non c’è lavoro. Che dobbiamo fare? Tutti a passeggio!». Sem-bra rassegnazione simpatica, ma a parlare è gente che fra qualche giorno si farà 13 ore d’auto per tornare a lavorare a Milano e che prima di “scendere” si è fatta un colloquio di lavoro a Torino. O che comunque sta per ricomincia-re a godersi la vita di studente, ma a 500-800-1000 chilometri da casa, a Roma, Bologna o Gorizia.Capodanno ruota attorno al pranzo. La gior-nata è ormai irrimediabilmente scivolata in avanti di cinque sei ore; dopo la Notte dell’anno passata a ballare, la colazione

presa in un bar fuorimano e qualche ora di sonno profondo, non riusciamo a sederci a tavola prima delle 14. Siamo a mangiare dalla zia.

Le portate principali arrivano accompagnate da risa e marcia trionfale (Aida), lo zio chiac-chierone copre il ticchettare delle forchette con i suoi racconti, una televisione accesa e silenziosa movimenta la scena. Siamo in tanti, fratelli, zii e amici di famiglia che alla

fine del pranzo sento quasi come miei cugi-ni lontani. Pasta al forno, agnello arrostito, pizza rustica, pettole (quell’acqua-farina-sale fritti che a Ferrara chiamano pinzìn e

che ogni regione mangia convinta che siano spe-cialità locale), dolce alla ricot-ta. La maratona si chiude alle 18 col caffè. È il tempo delle carte: scopa e piattino, ho vin-to anche qualche “spiccio”. È il casinò più bello.Le notti si spin-gono fino a mat-tina alla ludoteca vicino alla villa. La gestisce un vecchio grasso e

taciturno, si vede che fa il possibile per tenerla al passo coi tempi, sembra non faccia fatica ad aspettare l’alba per vedere vuoto il suo locale. Io mi drogo di biliardo e, nel sop-palco ormai diven-tato una galleria del fumo, imparo a gio-care a burraco.Siamo all’ultimo giorno. Non so come ma l’inizio dei saldi ci fa arrivare al cen-tro commerciale. Al

“senso unico” sembra si sia trasferito un suq arabo: la folla si spintona tra gli scaffali, maglioni giacche e camice sono quasi all’aria, la musica è assordante. Tornati in città mi accorgo che è piena di quegli orribili babbi natale appesi/impiccati ai balco-ni. Delirio per gli sconti e buongusto natalizio fanno dell’Italia2009 un paese unito.Ho passato bei giorni in questo Sud che parla sempre al passato remoto. «Matera affonda le sue ra-

dici nella notte dei tempi», le piace raccon-tarsi; vi ospiterà volentieri, fateci un giro. Conosco un buon indirizzo.

Francesco [email protected]

Il nuovo libro in-tervista di C o r r a d o A u g i a s , q u e s t a volta in c o l l a b o -r a z i o n e con Remo C a c i t t i , docente di letteratura cristiana antica e storia del cristianesi-mo antico presso l’università degli studi di Milano segue il percorso già tracciato da “Inchiesta Su Gesù”(Mondadori,2006) e cerca di ricostruire secondo quelle che sono ad oggi le fonti storiografiche il cam-mino evolutivo e di formazione del cristia-nesimo. E’ una delle poche letture italiane destinate al grande pubblico che affronta-no la religione dal punto di vista storico e non da quello della fede, tracciando un quadro accurato sui primi quattro secoli di vita del cristianesimo, nei quali questa fede è ancora un cantiere aperto, dove si possono rintracciare innumerevoli tesi e pensieri, da quelli che poi sono entrati a far parte della dottrina ufficiale della chie-sa fino a quelli che in seguito sono stati di-chiarati eresie, e che molte volte nella fase aurorale del cattolicesimo, prima che ve-nisse definitivamente stabilito un “cano-ne” erano invece ortodossia. Si scoprono molte altre cose sorprendenti sui primordi del cristianesimo, come il fatto che mol-ta parte nella formazione di questo culto più che Gesù l’hanno avuta San Paolo, da molti studiosi considerato il vero pa-dre fondatore della chiesa, Costantino e il concilio di Nicea del 325 per esempio. Al contrario di quanto ci si potrebbe aspetta-re, la distanza fra la ricostruzione storica dei fatti e quella fideistica dei vangeli e degli altri testi sacri è sì evidente, ma non così enorme; le differenze più macrosco-piche rispetto alla storia si trovano invece nell’interpretazione ufficiale che dei testi viene data. In conclusione, come quasi tutte le religioni anche il cristianesimo ha subito evoluzioni e cambiamenti nel cor-so dei secoli,contaminandosi e prendendo spunti da altre fedi, cercando di adattarsi allo spirito di varie epoche storiche fino ad arrivare ai giorni nostri.

Matteo [email protected]

Scripta Manent

Page 9: Sconfinare numero 17 - Febbraio 2009

Sconfinare2009 Febbraio 9

Se vuoi essere altruista dimmi cosa pensi in due parole E per favore, baby, sceglile con cura.

Scripta ManentEssere immediati, sobri. Esprimersi con parole semplici, privilegiare un periodo scorrevole. In una parola: scrivere bene, la più alta manifestazione di filantropia cui si possa aspirare. A Beppe Severgnini l’onore di averlo capito prima degli altri e quello di aver stilato con buon gusto ed ironia un va-lido vademecum per il virtuoso della parola, e dei rapporti sociali. “Ho scritto ‘L’italiano. Lezioni semiserie’ per denunciare le violen-ze contro la nostra lingua, ma non chiedo condanne. Lo scopo è la riabilitazione. Scri-vere bene si può. L’importante è capire chi scrive male, e regolarsi di conseguenza. Questo è un libro ottimista, e ha un obietti-vo dichiarato: aiutarvi a scrivere in maniera efficace (un’e-mail, una relazione, una tesi o un breve saggio: la tecnica non cambia)”. E come promesso, ecco che scorrere le pa-gine della più completa tra le grammatiche italiane -se di mera grammatica si può trat-tare- è come purificarsi dai sette vizi capita-li, linguisticamente parlando.Ira: chi non ha mai provato quella particola-re agitazione nervosa che ti assale ogni volta che, impantanato in un vortice di intricatis-sime subordinate, ti ritrovi a soffrire di tic, apnea mentale, perdita di memoria, shock visivi, nausee improvvise? Ma soprattutto, potresti essere tu stesso fonte di siffatta irri-tazione? Se hai anche solo il minimo dubbio

(o peggio, se proprio non ce l’hai) devi dare un’occhiata al Decalogo Diabolico, la Lista delle perversioni verbali più diffuse.Accidia: atteggiamento di ri-nuncia di fronte al dilagare di forme linguistiche palesemen-te irragionevoli ma irragione-volmente abusate. Ne soffri se ti accontenti di usare parole che hanno conquistato il lustro della ribalta per l’autunno/inverno 2009. Nel senso che il banco di prova dell’opinio-ne pubblica è un’impressione personale piuttosto che la sincera verità? Assolutamente sì! Mah…Lussuria: ne è affetto l’amante dell’eroti-smo verbale, l’edonista che si perde nella ricerca di vocaboli pomposi e gustosi, pleo-nastici ed orgiastici, vanitosi, e per l’appun-to lussuriosi . L’effetto sperato non tarda ad arrivare: impreziosire troppo annoia.

Il racconto breve di TommasoEpisodio 2 Il sole stava iniziando placidamente a tingere di rosso la semplice superficie della scriva-nia.Sopra vi si trovavano un computer, una lampa-da, un portapenne ed un paio di foto, bordate da cornici di metallo.In una, c’era una famigliola sorridente, circon-data dal magnifico panorama del Gran Can-yon: Papà, Mamma e 2 fratellini; nell’altra, una bellissima ragazza dai capelli scuri, la pel-le chiara, ed il volto concentrato ad osserva-re qualcosa di non visibile nell’inquadratura. Paolo ricordava bene quello che Bianca stava osservando e si ricordava pure la meraviglia che si nascondeva dietro quegli occhiali da sole che le aveva regalato per il suo comple-anno: si trovavano a Sidney, in viaggio di noz-ze. La foto l’aveva scattata lui stesso. Era la sua preferita, tra le migliaia che aveva scattato nei suoi viaggi. Lei era così perfetta in quella espressione, carpita in un istante.La teneva in ufficio perché lo sosteneva nei momenti di stanchezza. Lo consolava e gli ri-dava forza pensare alla fortuna di aver sposato una donna così bella, sia esteriormente che in-teriormente. Sorrise, e riprese a lavorare. Do-veva fare in fretta: il fioraio chiudeva alle sei quel giorno, e lui non poteva certo permettersi di tornare a casa senza fiori il giorno del loro primo anniversario di matrimonio! Finì di la-vorare quando il sole ormai era già tramontato, ed era rimasta solo la pallida luce del crepu-scolo a schiarire il blu cupo del cielo. Sceso in strada, si affrettò per andare dal fioraio: aveva ordinato un grande mazzo di rose rosse.Prese la macchina e cercò di sbrigarsi ad an-dare a casa, malgrado il traffico – così, pensò, sarebbe forse riuscito anche a farle trovare la

cena pronta e la tavola apparecchiata. Par-cheggiò la macchina in garage al solito posto. Ottimo, Bianca non era ancora rientrata. La sorpresa sarebbe riuscita alla perfezione! Aprì la porta di casa, prese un vaso pieno d’acqua e mise in bella vista sul tavolino dell’ingresso il suo prezioso dono per lei. Poi, accese la radio e si mise a preparare la cena.Guardò fuori dalla finestra e vide che una can-dida luna piena irradiava di luce argentea tutto il cielo.Aveva un’eccitazione addosso che sembrava muoversi sotto pelle, come un brivido emo-zionante. Tutto gli diceva che quella sarebbe stata una notte speciale!La musica alla radio fu interrotta dalla voce dello speaker che annunciava il radiogiornale delle sette e mezza:<< Il portavoce della Sintec – Donald Johnson – società per azioni leader del settore chimi-co, ha dichiarato il fallimento a seguito della recente crisi che sta coinvolgendo il paese dal Settembre scorso. Sono stimati più di 6’000 disoccupati tra operai e manager d’impresa. Passiamo ora ad altre notizie...>>Paolo si tagliò mentre puliva il pesce: la sua mano aveva tentennato.All’improvviso, quella magnifica sensazione che correva sotto pelle si congelò, rompendosi in una nube di ghiacciato smarrimento. C’era anche lui in mezzo a quei 6’000 operai e ma-nager d’impresa: era rovinato! No, non poteva... non poteva essere... non a lui!Perché? Perché a lui, che aveva abbandonato amici e famiglia per andare a lavorare in quel paese lontanissimo e che si era sacrificato in tutti i modi più umilianti per diventare qualcu-no ed arrivare ad ottenere quella posizione di prestigio all’interno dell’azienda?L’unica risposta che poté darsi fu una bestem-mia soffiata tra i denti.La rabbia lo assalì d’un tratto. Andò in sog-

giorno e, con un colpo secco, calciò il como-dino, facendo cadere la lampada che c’era appoggiata sopra. Questo però non lo sfogò minimamente. Fiondatosi sul divano, prese uno dei cuscini e lo scagliò senza riflettere. Subito dopo agguantò l’altro e lo stracciò, strappando via con gusto sadico il suo interno - quasi come se fossero interiora umane. La-sciò cadere la sua preda e, sconvolto, si avvi-cinò alla porta finestra. Doveva assolutamente prendere una boccata d’aria.Tutto aveva perso di lucentezza – perfino la luce della Luna aveva perso il suo colore ar-gentato, sostituito da un onnipresente grigio pallido. Che mondo infame: fino a qualche at-timo prima sentiva di poter toccare il cielo con la punta delle dita ed ora, si ritrovava comple-tamente immenso nel fango! Aprì la porta per andare in terrazzo. Respiro dopo respiro, la rabbia era lentamente scemata via. Una nuova domanda si affacciò: cosa ne sarebbe stato di lui? A questa domanda seppe rispondersi: il giorno dopo sarebbero stati tutti chiamati dal capo per

Invidia: questo vizio è uno dei più diffusi nella moderna società globale. Completa-mente vinto dalla concorrenza, l’invidioso copia spudoratamente le espressioni di ma-trice inglese e cerca di inserirle con disin-voltura nel discorso; film e computer pas-sino, ma diffidiamo di chiunque abbia una mission o una vision, Severgnini si racco-manda.Insomma, siete animi delicati oppressi dal timore di distruggere con asfittici sillogi-smi la serenità di chi vi dedica il proprio tempo? Avete sempre desiderato insorgere contro chi lesina in magnanimità ed eccede in sproloqui, sordo ai lamenti della lingua che si contorce su se stessa? Allora legge-tevi quest’altalena di buoni consigli e ferrei divieti. Vero inno alla pace dei sensi, ‘L’ita-liano. Lezioni semiserie’ è il libro giusto per chi vuole migliorare il proprio rapporto con la parola muta facendosi una sonora risata; è il regalo giusto per chi desidera aiutare uno scrittore in erba mitigandolo con la comici-tà dell’errore maccheronico; ed è la prova giusta per chi, povero illuso, non dubita mai del proprio italiano. Il percorso è costellato di sadoquiz e masotest ma la riabilitazione, per fortuna, è assicurata.

Valeria [email protected]

ricevere la propria condanna inviata via fax da Seattle. Lacrime di disperazione si fecero strada nei suoi occhi: non voleva... non voleva ricomin-ciare tutto dall’inizio, no!Scrivere il curriculum e poi, girare tutta la città più e più volte, senza la benché minima speranza di trovare un posto buono almeno la metà di quello che aveva perso. Si sarebbero dovuti trasferire ma... con che soldi?Giusto un mese fa avevano deciso di compera-re quella casa così bella e costosa, spendendo tutti i loro risparmi e aprendo un mutuo con la certezza che, grazie alla promozione di qualche mese prima, lui sarebbe riuscito facil-mente a pagare ed invece... altro che trasferir-si: con i miseri ricavi di Bianca si sarebbero potuti sì e no permettere una squallida stanza in un motel!Di lì a poco un problema ben più grave attirò la sua attenzione: come avrebbe fatto a dirlo a Bianca? (fine)

Tommaso [email protected]

Se una notte d’inverno un viaggiatore...

Gola e Avarizia: moti specu-lari di una medesima distor-sione. Il goloso osserva la lin-gua come fosse il cesto della merenda: una bella spalmata di punteggiatura qua, una sor-sata di diminutivi là, assaggia questo panino ben farcito di che! Occhio alla digestione, però. L’avaro invece disdegna il piacere di mettere un punto chiarificatore, è infastidito dal respiro della virgola e se può rimane a digiuno, anche di let-tori.Superbia: potresti rivelarti un

superbo se con quotidiana arroganza vio-lenti la grammatica italiana e ti meravigli di qualche coraggioso linguista che osa denun-ciarti. Beneficenza? acquiescenza? mangerò arance e ciliegie? e allora c’impegniamo? secondo coscienza! L’importante è dubitare sempre con il congiuntivo; ma si sa, il su-perbo vive all’indicativo.

disegno di Stefano Facchinetti

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Sconfinare Febbraio 200910Cultura Glocale

Il friulano non è una lingua!

La danza sul palcoscenicoda “Otango” a “Romeo & Juliet”, il teatro è ancora spazio per il buon spettacolo

Finalmente è il turno della danza. Di quella danza che piace a me. Mi ricordo di quando ero piccola, di quando mi ar-rabbiavo con la televisione italiana per il poco spazio che riservava alla danza. Aspettavo con ansia il primo dell’anno per vedere, assieme con il concerto in diretta dal Musikverein di Vienna, qualche stral-cio di balletto classico. E di stralci proprio si trattava, perché il cameraman della Rai amava indugiare prima sul lampadario in cristallo, sugli scaloni in marmo, sulle de-corazioni floreali con fiori provenienti da San Remo … poi, finalmente, dopo tanta suspense, una scarpetta! Un braccio in aria! Un tulle svolazzante! Ma mai che si vedesse una ballerina tutta intera. Per-ché per una bambina appassionata di danza in una città senza teatro, quando ancora internet non esisteva, e con una tv totalmente impermeabile a questo tipo di intrattenimento, le occasioni per veder ballare erano davvero più uniche che rare. Totalmente arresa alla dura realtà dei fatti, negli ultimi anni ho cominciato invece ad assistere fiduciosa al nasce-re di molti programmi televisivi, con protagonista la danza nelle più svariate versioni. Per poi rimanere nuovamente delusa, perché quella danza da compe-tizione spiccia, da show business, tutta salti e prese, non era, a parte qualche

rara eccezione, la danza che avevo impa-rato con un po’ di snobismo ad apprezzare io. La danza che piace a me è quella che si vede in teatro, con coreografia, scenogra-fia, costumi di scena, con la tensione del-la “diretta”, ma, soprattutto, con ballerini veri. Ballerini cioè che svolgono la loro professione con professionalità. Cosa non del tutto scontata.E per fortuna, gli ultimi due spettacoli di danza presentati al Teatro Verdi di Gori-zia non mi hanno delusa. Due spettacoli completamenti diversi, ma accomuna-ti dalla tematica dell’amore infelice. Il primo era Otango, The Ultimate Tango Show (ideazione e direzione di Oliver Til-

kin & Sabrina Gentile Patti), presentato il 21 dicembre 2008 dalla compagnia belga Artemis Production. Il secondo era invece Romeo & Juliet (da un’idea di Mauro Bi-gonzetti e Fabrizio Plessi), andato in sce-na il 10 gennaio 2009 con la Fondazione Nazionale della Danza - Reggio Emilia Aterballetto. Otango proponeva una storia d’amore per-duto in un excursus storico e spaziale che da Buenos Aires portava a Parigi, dal pri-mo Novecento al secondo dopoguerra. Sul palco si esibivano non solo i ballerini, ma anche l’Orquesta Otango, con pianoforte, due violini, contrabbasso e bandoneón, e due cantanti argentini: Claudia Pannone e

Sebastian Holz. Classici del tango, come La Cumparsita, Milonga de mis amores o Libertango, venivano riproposti in una partitura originaria e accompagnati o in-frammezzati dalle voci dei cantanti. Bel-lissima quella di Claudia Pannone che, con grande padronanza scenica, spesso dominava il palco da sola.Romeo & Juliet utilizzava invece le mu-siche del balletto classico omonimo di S. Prokofiev per riproporre la storia di Romeo e Giulietta in una versione mo-derna e astratta. Molte coppie di Romeo e Giulietta ballavano la tragedia immi-nente del loro amore: vestiti di corsetti in pelle nera o costumi color carne, con un piede infilato in un casco da moto af-

frontavano impegnativi esercizi di equili-brio, a rappresentare il loro destino peren-nemente in bilico.Entrambi i balletti a tratti provocatori, il primo con un tango lesbo, il secondo con la sensualità molto esplicita dei due aman-ti, mettevano in scena non tanto una tra-ma vera e propria, quanto i sentimenti che accompagnano l’amore di ogni tempo: la passione, la gelosia, la rivalità, la tragedia incombente. I due spettacoli hanno avuto una riposta diversa dal pubblico. Mentre il primo è stato accolto con grande entusiasmo, il se-condo ha incontrato una buone dose d’in-comprensione, probabilmente per il modo inatteso con cui un tema molto noto era stato trattato. Ma entrambi sono riusciti a coniugare assieme tutti quegli elementi che fanno della danza uno spettacolo: le coreografie interpretavano la musica; sce-nografie, luci e costumi andavano d’accor-do; i ballerini ballavano. E con un’altissi-ma preparazione. Ma cosa più importante, sono anche riusciti a comunicare qualco-sa: sono riusciti a interpretare sul palco la complessità dei sentimenti. Scordatevelo che riesca a farlo anche la televisione.

Margherita [email protected]

Lo so, non è un discorso facile cui approc-ciarsi. Intanto, sgombriamo il campo dagli equivoci: non intendo fare un discorso tec-nico, che è, per la gran parte degli studiosi, ormai chiuso. Difatti, già dal ’99 è in vigore una legge per il riconoscimento del Friulano come lingua (sottolineiamo, lingua) minori-taria, in applicazione del principio dell’art. 6 della Costituzione (‘La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguisti-che’). Non mi dilungherò di più sulle que-stioni giuridiche: fatto sta che il Friulano è stato riconosciuto come lingua dallo Stato italiano, e non voglio discuterne il merito.Voglio, piuttosto, discutere l’uso che di que-sto riconoscimento se ne fa, e che ben pos-sono intendere tutti coloro che hanno del Friuli un’idea da ‘esterno’, scevro da condi-zionamenti familiari e/o scolastici. Intendo dire che in Friuli esiste una sorta di ‘condi-zionamento ambientale’ per via del quale il Friulano è percepito come La lingua. Ma partiamo da un po’ più lontano, e fac-ciamoci una domanda. Quant’è importante la tradizione, oggi? E’ una questione cui ho già accennato, tra le righe, su questo gior-nale, e alla quale sono molto interessato. La risposta è sì, ovviamente; è, però, un sì molto condizionato. E’ importante se non diventa prevaricazione nei confronti del vi-cino (vicinissimo) ‘compatriota’ –usiamolo pure, ma è un termine per me obsoleto-, quale potrebbe essere il triestino o il vene-to. E’ importante se non diventa arrocca-mento; un arrotolarsi su se stessi; una fuga dalla modernità; un rifiuto di ciò che rap-presenta il ‘diverso’. A differenza di quanto possa sembrare, io non sono nazionalista. Tutto l’opposto. Non è bello parlare di sé

in un articolo, ma preciso soltanto che il mio orientamento è per un’unione federa-le europea, con poteri politici centralizzati e poteri amministrativi devoluti alle mille ‘piccole patrie’ europee (e quindi i Paesi Baschi, certo la Sardegna, e così via, sino a, se lo vorrà, il Friuli). Non mi si può quindi tacciare di conservatorismo e nazionalismo glotto-culturale. D’altro canto, stando così la situazione, con una pessima percentua-le di italiani parlanti una seconda lingua (come Inglese o Francese), mi sembra una questione ridicola quella dell’insegnamen-to, per fare un esempio concreto, del Friu-lano nelle scuole. Si tratta, a mio avviso, non di una questione di merito: infatti ho già detto che in quella non voglio entrarci e che, anzi, la questione si sia più o meno risolta; bensì di una questione di principi, direi quasi filosofica se non fosse per la mia profonda insipienza in questo campo. L’idea che mi disturba è infatti l’arrocca-mento culturale. Finché si parla di prote-zione e rivitalizzazione del Friulano (come di tutti gli altri dialetti/lingue italiane; su questo punto ritornerò più avanti), sono del tutto d’accordo; come del resto sono con-tro l’abolizione del Greco persino nei licei classici, idea birichina che è sempre in ag-guato. Cosa può salvaguardare una cultura (quella greca come quella friulana), se non la sua propria lingua? Lo stesso valore di un termine, il numero dei suoi sinonimi, la sua presenza/assenza nel vocabolario, ogni sua lettera, vocali e consonanti, tutto può parlarci di un popolo, dei suoi costu-mi, delle sue tradizioni, dei suoi valori. E

questo era il pensiero di un grande cultore della lingua friulana, Pierpaolo Pasolini, che da ottimo scrittore qual era amava perfino il suo suono, il suo ritmo.Questi sono i motivi per cui una lingua, ma anche (forse soprattutto) un dialetto, andreb-bero salvaguardati. Ma di questo si devono occupare i linguisti, gli studiosi di etnoan-tropologia, anche i sociologi. Comunque, gli studiosi. Non i politici. E il guaio del Friulano è che i politici se ne sono occupa-ti fin troppo, lo hanno strumentalizzato e lo hanno distorto; o, meglio, ne hanno distor-to il significato. Così, torniamo al principio del nostro discorso. Quello che ho definito ‘condizionamento ambientale’, che porta chiunque sia stato educato in provincia di Udine a pensare al Friulano come La lingua, finalmente riconosciuta. La lingua, alla pari dell’italiano, del ladino e del sardo. Ma qui si sbagliano. Sono lingue ricono-sciute anche l’Emiliano-Romagnolo, il Li-gure, il Lombardo (che risulta parlato anche in Sicilia!), il Napoletano (detto anche Vol-gare pugliese), il Piemontese (riconosciuto lingua già dal 1981, ben prima del Friulano), il Siciliano…E così via. Nulla di speciale, quindi. La sua particolarità nasce da questo grande equivoco, di questa ritenuta unicità causata dalla politica locale, che ha spinto su questo aspetto (buono in partenza) così importante per la comunità, per operare una disgregazione campanilistica esasperata, e in buona sostanza anche assurda.Prendiamo l’insegnamento delle scuole: perché il Friulano di Udine sì, e quello di qualunque altra comunità no? Che si fa, si

insegna una lingua diversa in ogni paese? E ci sono abbastanza insegnanti per farlo? Si capisce che così si finisce nel caos.Si ritorna al solito discorso dei cartelli in dialetto, sparsi per il Nord leghista: fuori da ogni ironia, il significato di quei cartel-li mi fa tristezza. Il Friulano sbandierato come ‘Totem anti-altro’ mi fa tristezza. Non è un caso che questa del Friulano sia una questione tanto particolare, perché è stata indotta dall’esterno, da una politica furba e disgregatrice. Un fattore così importante, cioè la lingua/dialetto (la differenza, sul pia-no politico, per me non esiste: abbiamo vi-sto come anche parlate considerate ‘dialetti’ siano in realtà ‘lingue’), diventa semplice, ottuso e controproducente particolarismo. Ed è contro quest’ultimo che mi batto; ed ecco perché, provocatoriamente e al di fuori da qualunque discorso tecnico-glottologico, dico: ‘Il Friulano non è una lingua, ma un dialetto!’Permettetemi una piccola postilla. Ho tra-lasciato volontariamente di parlare della ra-gione più comune (ma anche, scusatemi, la più stupida) che viene addotta per giustifica-re la definizione di ‘lingua’ per il Friulano: ‘Se mi metto a parlarla, tu non mi capiresti!’ Cosa, questa, che avviene in realtà per qua-lunque altro dialetto (ma questa obiezione solitamente viene zittita dalla faccia profon-damente offesa dell’interlocutore friulano). E allo stesso modo di quasi tutte le parlate d’Italia, che però non hanno subito la stes-sa strumentalizzazione del Friulano, e sono tutelate senza rumorosi e prepotenti strepiti di tromba.

Francesco Scatigna([email protected])

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SconfinareFebbraio 2009 11

A tutte dimensioni. Arriva il cinema 3DSembra lontano il momento in cui sul grande schermo qualcosa ha iniziato a muoversi. Poi si sono sentiti i primi ru-mori, anni dopo timidamente le prime macchie di colore, e poi via con un cre-scendo di dolby surround, filtri da cine-presa, effetti speciali, computer grafica... Il cinema non finisce mai di intrattenerci e di stupirci con nuove, mirabolanti – e generalmente costosissime – sorprese. Oggi anche l’ultima frontiera, quella dello schermo bidimensionale, è stata abbattuta e i film stanno letteralmente entrando nella sala di proiezione. Sicuramente tutti ricordano con affetto i vecchi occhiali stroboscopici con le lenti rosse e blu che permettevano di ve-dere fotografie, generalmente in bianco e nero, con un effetto di profondità tri-dimensionale. In effetti, studi sulla tec-nologia 3d esistono fin dagli anni venti. Sino ad ora i risultati erano stati piutto-sto insoddisfacenti: gli occhiali con le lenti colorate alteravano le cromie delle immagini e quelli con le lenti trasparen-ti provocavano forti emicranie e senso di nausea. Oggi la ricerca ha finalmente messo a punto una tecnologia che non distorce la percezione dei colori e non obbliga a masticare travelgum durante la proiezione. Ricordo ancora una visita al museo del-la Scienza e della Tecnica di Parigi nel 2000, durante la quale alla Géode pro-iettavano per la prima volta un corto-

metraggio sulla storia del cinema tridi-mensionale. Senza occhiali l’immagine risultava sfocata e piena di ghost, ma indossando le lenti l’effetto era davve-ro straordinario: le figure uscivano real-mente dallo schermo percorrendo tutta la sala e rimanendo sospese a mezz’aria davanti a una folla incredula che cercava di acchiapparle con le mani. Ironizzando sulla storia del cinema, il filmato propo-neva la celebre locomotiva dei fratelli Lumière che fece fuggire dal panico gli spettatori che credevano di essere inve-stiti. La versione 2000 trasformava la lo-comotiva in un modello tridimensionale al computer e lo proiettava, grazie all’ef-fetto degli occhiali, di gran carriera ver-so il pubblico. Pur conscia della finzione della proiezione tutta la sala urlava per lo spavento.Da allora il cinema tridimensionale ha iniziato a farsi strada a passi sempre più decisi. I primi ad adottare questa tecnolo-gia sono stati i grandi parchi divertimen-to che, approfittando della grande dispo-nibilità di risorse si possono permettere tecnologie costose e all’avanguardia. Quando alla Géode la proiezione strobo-scopica era presentata come l’ultimo ri-trovato della filmografia, Disneyland già offriva un cinema dinamico con occhiali 3d e seggiolini in movimento. Molti al-tri parchi tematici, anche in Italia, hanno seguito questa moda e si sono attrezzarti con cortometraggi tridimensionali.

Quest’anno finalmente la tecnologia stroboscopica arriva anche sul grande schermo con due titoli di nuova uscita che la redazione di Sconfinare non si è certo persa. “Bolt”, l’orripilante anima-zione della Walt Disney che narra le vi-cende di un cane che si crede superdog ma scoprirà che non servono super poteri per essere veri eroi – voto della redazio-ne: inguardabile – e “Viaggio al centro della Terra”, il primo lungometraggio integralmente filmato con la doppia te-lecamera, tratto dall’omonimo romanzo di Verne. Un divertente Bren-dan Fraser nei panni del ge-ologo incompreso si ritrova a viaggiare alla scoperta di un mondo sepolto a migliaia di miglia all’interno della su-perficie terrestre. Molte scene assolutamente inutili per lo svolgimento della trama sono state girate solo per far sfog-gio di effetti speciali in tre dimensioni ma nel comples-so la pellicola è gradevole. E la moda del 3d si sta im-ponendo in maniera sempre più ferma: la Pixar ha deciso di investire massicciamente in questo settore ed ha già in forno nuove animazioni stro-boscopiche come “Mostri VS Alieni”. Anche il capolavoro di Burton “Nightmare Before

Christmas” è stato ‘rimasterizzato’ in tre dimensioni e perfino gli antipatici bimbi spia hanno avuto il terzo episodio della loro saga in tre dimensioni “Spy Kids 3-d. Game Over”. E’ arrivato quindi il momento di abbandonare il vecchio schermo ad assi cartesiani e cominciare a pensare a tutto tondo, il cinema ormai cammina verso frontiere nuove in cui l’interazione con la platea non potrebbe essere più diretta e reale.

Francesco [email protected]

Questo mese vi parlo di due film. “Il giardino di limoni” di Eran Riklis - re-gista anche de ” La sposa siriana” - rac-conta di una donna palestinese qualsia-si, Salma, una vedova, che vive nella sua casa in Cisgiordania da sempre, de-vota al giardino di limoni che ha colti-vato assieme al padre e al marito. Sfor-tunatamente vive proprio sul confine con Israele. Il giorno in cui il ministro degli Esteri israeliano prende casa pro-prio davanti al suo limoneto, comincia l' Odissea della donna. Le viene notificata l' intenzione del governo israeliano di sradicare i suoi alberi di limoni, perché questi rappresentano un pericolo per il ministro e sua moglie, visto che potreb-bero nascondere terroristi. Ma il volere del ministro si scontra con la determi-nazione di Salma: la questione viene portata in tribunale. Il giovane avvocato della donna, richiamando l' attenzione dei media internazionali, riesce ad im-pedire l' abbattimento degli alberi. Film leggermente controverso. Se an-drete a vederlo (forse al Kinemax uscirà tra un po' tra le serate dei film d' autore) capirete quello che sto per dire. Non è un caso che il film sia stato finanziato dalla Israeli Film Commission; i princi-pali personaggi, ovvero Salma e il mi-nistro Avon, che inizialmente incarnano

gli archetipi del buono e del cattivo, ten-dono in modo poco percettibile a cam-biare ruolo nell' arco della proiezione. La palestinese, da povera donna vittima di un' ingiustizia, finisce per diventare la "solita araba incontentabile", mentre il ministro, da animale insensibile, si umanizza e quasi si prova compassione per quel personaggio che verso la fine cerca di redimere la propria colpa di doversi comportare da israeliano. Dopo aver tanto lottato da una parte per sradi-care gli alberi, dall' altra per difenderli, sul confine viene calato un muro che impedisce la vista dei rispettivi territori: il ministro, guardando il muro, si com-muove e sembra scusarsi per le brutalità commesse a quella donna che oltre il muro lo guarda in cagnesco. Un' inver-sione di ruoli che proprio non condivi-do. Come dice Zulawski, un film è bello in base alle emozioni che ci trasmette. È quindi personale, come personali sono le meditazioni che vi facciamo dopo averlo visto.

Di ritorno dal Trieste Film Festival, vi consiglio “Delta” dell' ungherese Kor-nél Mundruczo. Passato quest' anno al

festival del cinema di Cannes, è transi-tato al Trieste Film Festival in antepri-ma italiana. Un giovane fa ritorno al paese sul delta del Danubio dove aveva vissuto da bambino. Un luogo isolato e selvaggio dove gli viene presentata la sorella di cui ignorava l' esistenza. Il ra-gazzo si stabilisce nella capanna che un tempo era stata di suo padre e decide di costruire una palafitta in mezzo all' ac-qua dove poter vivere lontano da tutti. Sua sorella, una ragazza fragile e timi-da, lo segue e lo aiuta nella costruzione della loro casa. Tra i due si instaura un rapporto fatto di estrema naturalezza e complicità, qualcosa di più che un rap-porto tra fratello e sorella. Nella bellez-za dei paesaggi del Parco del Delta del Danubio, i due ragazzi sono così belli nella loro esistenza, soprattutto in con-fronto alla bestialità della gente del pae-se, ubriaconi e molesti, che non vedono di buon occhio la relazione tra i due. Quando, un giorno, il giovane pesca una grossa quantità di pesce, i due decidono di dare una festa ed invitano gli abitan-ti del paese. La festa diventa il motivo scatenante di tutta la rabbia repressa de-gli invitati; diventa una spedizione pu-

nitiva nella quale la ragazza viene vio-lentata (e forse assassinata) e il ragazzo accoltellato a morte. Dice il regista: "Piuttosto che parlare di una deviazione sessuale, quello che mi interessava era arrivare a capire il genere di libertà che permette a una persona di trascendere la regola. Al cuore della storia non c' è l' incesto, bensì il coraggio che ci vuole per accettare un' attrazione naturale, an-che se questa rompe con le convenzioni. La cosa veramente intollerabile è che esistano persone che credono di potersi arrogare il diritto di condannare chi esce dalla norma". Un film stupendo, quasi epico. I due giovani sanno bene che non vale la pena lottare per il bene all' in-terno della società; è probabilmente per questo che si ritagliano il loro angolo personale lontano da tutti, in un luogo così sperduto e irraggiungibile. Ma c'è chi, per invidia e arroganza, a costo di remare controcorrente, è sempre pronto a fagocitare ogni fremito di libertà pur di ottenere il primato. Su cosa?(Visto che mi firmo e metto la mail: se avete visto, avete intenzione di vedere o non vedrete mai questi film ma volete commentare fatelo pure. Sarà cosa mol-to gradita)

Alessandro [email protected]

Recensioni:“Il giardino di limoni” e “Delta”

Cinema

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Cinema

Tarda serata del 28 dicembre, siamo all’in-gresso del cinema e osserviamo lo schermo su cui vengono proposte le varie program-mazioni della serata: la scelta è rapida e av-viene, come d’abitudine, per via negativa. Escludiamo a priori tutto quel cinema pseu-do-gogliardico e troppo commerciale che ha il piacere ogni anno di invadere le sale cine-matografiche della nostra Italia, soprattutto durante le feste, soprattutto se sono quelle natalizie. Tra le poche possibilità rimaste la nostra scelta cade subito sull’ultimo film di Salvatores: Come Dio comanda.Non voglio annoiarvi, lettori, sia che siate una giovane o un giovane studente univer-sitario immerso nella preparazione degli esami, sia un simpatico e raro affezionato di Sconfinare autoctono e residente nella città di Gorizia, con la trattazione della trama. Per questo mi affido al vostro livello di cinefilia e di frequenza delle sale di proiezione.Vi vorrei piuttosto rendere partecipe di alcu-ne, perdonate la mia presunzione, considera-zioni emerse dopo la visione del suddetto.Due sono gli aspetti che più mi hanno col-pito: la descrizione del paesaggio e della società, pur nei limiti della rappresentazio-ne, del nostro caro e vicino Nord-Est, e le peculiarità che contraddistinguono ciascuno dei personaggi.Una compagine regionale, la nostra, in cui forte appare la sviluppo, l’impegno e l’ope-rosità dei suoi abitanti, che però non sono stati altrettanto capaci di accompagnare questo sviluppo meramente economico ad

Come Dio comanda

Sconfinare Febbraio 200912

Musica Dieci anni passano in fretta(ma non chiedetelo a Penelope)

Due anni fa (magari c’è pure chi l’ha letta) qualcuno tra noi lanciò la proposta d’una pagina commemorativa per il decennale della sua morte. Ci mettemmo tutti all’ope-ra entusiasti. L’anniversario, in realtà, non c’entrava per nulla (tra le altre cose, era pure maggio). Ma non ci importava poi molto. Anche perché, a ben vedere, i più furbi sia-mo stati comunque noi, anticipando di due anni tutti gli altri. Scusate se è poco.Perché Bob Dylan, a dieci anni dalla sua scomparsa, significa davvero tanto per ognuno di noi. Guardate quanta attenzione gli hanno dedicato tutti quanti, ultimamen-te. Domenica sera ho smesso di osservare le nuvole e mi sono guardato il servizio, tanto in seconda serata non c’era niente di meglio. Hanno parlato in tanti, ma nella festa gene-rale nessuno s’è fatto male.La sua città natale, innanzitutto. Lì in molti sono convinti di vederlo ancora passeggiare ogni tanto, è sempre vivo con quei suoi orri-bili capelli e l’aria triste ed emaciata, e Jim Morrison ogni tanto gli porta un croissant da Parigi (nemmeno lui sa ancora se morire sul serio). L’illustre suo cugino De Andra-de, proprietario di un cannone nel cortile di Piazza Alimonda, indica alle passanti il ri-tratto di Dylan Thomas appeso da anni alla

parete: “entrò un mattino e lo vide, e decise così di cambiare il suo nome, senza essere troppo sbronzo del resto”. Crede proprio che la cittadinanza gli dedicherà un monumento, giusto all’entrata di Via Della Povertà. Lo ritrarranno incatenato con la sua armonica eternata in un ultimo sol di libertà. Nono-stante le polemiche, pare che la scelta della frase per la lapide cadrà sull’im-mortale “mi cercarono l’anima a forza di botte”.Alla TV hanno intervistato tutti coloro che più gli furono vicini. Il Ghiro Deziz e Zio Bafri Renedda ricordano con affetto e un pizzico di lacrime il piccolo Bob che, stan-co dei suoi Lego troppo borghesi, apprende a suonare la chitarra per-ché in effetti Mr. Tambourine è già morto tra i papaveri della guerra, qualcuno deve pur scriverci una canzone ed io mi sono stancato di questa città di minatori e della loro società-bene dai capelli corti. An-che tutti i suoi amori più celebri lo hanno pianto, e tra loro lei: Joan Baez, che non lo ha mai capito, e che invece avrebbe desiderato tan-to dei diamanti, almeno una volta.

una viva e decisa crescita sociale e direi an-che ad una maturità mentale e relazionale dei suoi fautori. Con la devastante conse-guenza che molti settori e sempre più ampie fette della nostra società non sono riuscite e tutt’ora non riescono a prendere parte a questo lauto e ricco banchetto. Così si viene a creare una nuova borghesia che, nonostan-te si senta forte sul piano delle conquiste e dell’operosità, ha dimenticato di saper vive-re e affrontare le più vicine tematiche di po-vertà affettiva e culturale che la investono.Emblematiche sono scene come quelle del funerale della giovane Fabiana o dell’incon-tro tra Rino e il suo vecchio datore di lavoro, troppo preoccupato al mero guadagno, tan-to da dimenticare di avere alle dipendenza degli esseri umani e non delle macchine. A questo mondo, malato al suo interno, ma limpido, se osservato dal di fuori, si contrap-pone l’esistenza di Rino, del figlio Cristiano e del ritardato Quattro Formaggi, splendi-damente interpretato da Elio Germano, che pur apparendo in tutta la loro difficoltà e de-solazione di esclusi dal resto della società, sanno far valere e contemplare gli ideali di amicizia, di sacrificio e di vero amore che li unisce, soprattutto tra padre e figlio. Tanto da poter ottenere, agli occhi dello spettato-

I suoi amici sardi hanno intonato un coro sul motivo di Brigante se more, superbamente riarrangiato dalla “E No, Mai Carpire Fra Martino”. Che bella festa gli hanno dedica-to, pensavo, ed intanto il Presidente conclu-deva la celebrazione dicendo che Bob Dylan tiene ancora alto il nome dell’italianità nel mondo. La Patria, voi capirete sicuramente.

Se non fosse stato cittadino italiano, l’avrei naturalizzato immediatamente. Si fa presto a farne un mito, e lui se l’è meritato, spegnendo la tele ero quasi sol-levato. Anche se Bob Dylan non ascoltava Bob Dylan. Bob Dylan ha preso quello che di meglio poteva trovare in giro, poesie e canzoni e droghe varie, fino a fare qualche

cover di Cohen o di Bras-sens, lo ha rielaborato ed è andato un poco più avanti. Un giorno qualcuno farà al-trettanto con lui, perché in fondo, in-fondo-in-fondo, i maestri servono solo per essere uccisi. Però povero Bob Dylan, mi chiedo se qualcuno lo consoli in pa-radiso, dev’essere tutto una noia pazzesca perché i tipi più lungimiranti sono finiti tutti all’inferno, e mi sa che lassù non c’è una chitarra nemmeno a dannarsi l’ani-ma.

Rodolfo Toèrodolfo.toè@sconfinare.net

re, quel riscatto e quella riabilitazione che cancella o se non altro smorza i loro crimini, che restano sempre atti da condannare, ma

che dimostrano un attaccamento alla vita e un’autentica vitalità che non si dà mai per vinta, che sa affrontare le fatiche di ogni giorno, e che il resto della società ha ormai irrimediabilmente perso e abbandonato.

Francesco [email protected]

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Sconfinare2009 Febbraio 13

E’ l’unica canzone autobiografica di De Andrè, scritta da solo, in una notte, con molto alcol tra le vene. Da qui bisogna par-tire per capire, o almeno parlare seriamente di Fabrizio De Andrè. Poi pian piano, ag-giungere altri tasselli. Le musiche oniriche di Amico fragile accompagnano tutto quello che De Andrè ha scritto e cantato nella sua vita, i temi ricorrenti e quello che sembra-va essergli più urgente: svelare l’ipocrisia, la speranza in una nuova umanità e dunque il bisogno di cantare e dar voce agli ultimi della terra, una visione del cristianesimo depurato dalle sovrastrutture della chiesa, l’amore e la politica. Tutto questo era Fabri-zio De Andrè, morto dieci anni fa lasciando un tangibile vuoto.Oggi la nostra Italia - dalla memoria corta, culturalmente lenta e conservatrice - ha de-dicato 88 luoghi, tra piazze, scuole e teatri al genovese, che credo se la rida quando pensa che la sua musica è una di quelle poche cose che tiene assieme noi italiani: fine curiosa per un anarchico. La sua vita musica-le è stata influenzata da elementi diversi. Ha contribuito Ge-nova, il mare e le mulattiere che lì vi arrivano(creuza de ma), l’amore per le donne, e ovviamente il caso. A sei esami dalla laurea in legge abbandona una pos-sibile carriera da av-vocato, quando trova il successo musicale grazie all’interpreta-zione di “Marinella” di Mina, dirà: “Se una voce miracolo-sa non avesse inter-pretato nel 1967 La canzone di Marinella, con tutta probabilità avrei terminato gli studi in legge per de-dicarmi all’avvoca-tura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore e soprattutto a vantag-gio dei miei virtuali assistiti”. Inizia a scrivere e comporre, collabora con Piovani, De Gre-gori, Bentivoglio e Cohen, traduce Dylan e Brassens, mette in musica “l’antologia di Spoon River”, ar-rivata in Italia grazie alla traduzione del-la Pivano. Partecipa alla contestazione del 1968, segue il maggio francese, nel 1973 esce “storia di un impiegato”, irride l’ipo-crisia borghese e condanna le degenerazio-ni dei violenti. Fa ridere leggere oggi le inchieste dei ser-vizi segreti italiani di quegli anni che lo vo-levano vicino al terrorismo di sinistra, arri-

Ero molto più curioso di voi“Amico fragile, in Volume VIII. 1975

… E poi ti trovi a vent’anni a guardare rapito uno speciale televisivo su Fabrizio De Andrè, e ti rendi improvvisamente conto che forse buona parte di quello che sei oggi lo devi a lui, alla sua musica. Capisci come la tua sensibilità si sia modellata come cera sulla sua; come dagli anni dell’adolescen-za interpreti ciò che ti succede attraverso le sue lenti. Come le sue rime si siano scol-pite indelebilmente nel tuo subconscio, o in qualche altro posto lì in fondo, e come tu abbia conosciuto e catalogato la tua vita mediante esse. E allora, cominci a pensare che forse è an-che grazie a lui se sei sempre stato mosso a pietà e a commozione dai deboli, dagli umi-li, dagli emarginati, se in fondo senti battere anche in loro, “Anime Salve”, la luce fioca della dignità umana; se non li vedi in nessun caso colpevoli, ma solo vittime.E forse, è anche grazie a lui se ancora oggi non puoi evitare di incazzarti quando vedi un’ingiustizia, se non riesci mai a dire “c’est la vie, chérie”, se non riesci ad accettare che il mondo vada diversamente da come credi esso debba andare, da come senti che po-trebbe andare. Ed è forse anche grazie a lui se, in fondo in fondo, dopo aver studiato, analizzato a fondo, compreso e ripetuto tutte le motiva-zioni che la possono scatenare, quello che ti rimane, e che vedi in una guerra, è so-prattutto il lamento di un padre che piange la piccola morte del figlio maciullato, e il grido senza voce di una medaglia al valore militare. Questa visione può essere distor-ta e limitata, ma è più forte di te, e sai che dovrai conviverci sempre; è un tuo limite, e una tua forza.E soprattutto, ti trovi a pensare che forse è anche grazie a lui se nei numerosi momenti di sconforto avuti negli anni bui dell’ado-lescenza, in cui ti sentivi diverso dagli al-

tri, solo, limitato; in cui venivi sopraffatto dall’angoscia e dal desiderio di essere altro rispetto a quello che eri, di essere “come loro”, almeno una volta; se in tali momenti di abbandono sei riuscito, forse non a veder-ti parte di un tutto, quello no, ma se non al-tro, a sentirti orgoglioso di essere minoran-za. Se sei riuscito a rimanere com’eri, a non cedere, a non lasciarti trascinare dal flusso, sempre “in direzione ostinata e contraria”; o se almeno ci hai provato. Se hai avuto le motivazioni necessarie per non abbatterti, e se alla fine sei riuscito a conoscerti meglio, ad accettare i tuoi limiti, a non sopravvalu-tare i tuoi punti di forza.Per questo, sei presente anche tu nel mo-mento in cui il porto di Genova saluta il suo figlio prediletto; ti unisci al grido di quella sirena, e senti come se l’Italia tutta

si fermasse per un secondo, trattenendo il respiro. E allora, decidi all’improvviso di scrivere quello che senti in quel momen-to, di liberare il flusso di pensieri che ti ac-compagna da sempre, ma che solo ora si è fatto veramente chia-ro. Ti sfiora per un atti-mo il dubbio che tutto ciò sia un po’ troppo esagerato, che non sia altro che un futile esercizio di retorica dettato dall’emozio-ne e dalla ricorrenza; dopotutto, si tratta solo di un cantante. Ma accantoni questo dubbio, per il mo-mento: ne riparlere-mo domani, dopodo-mani, forse, a mente più fredda e distacca-ta. Ora, ti rendi solo conto del fatto che, come te, molte altre persone si sono viste stravolgere la vita da Fabrizio De Andrè, e che forse l’Italia di oggi, nonostante tut-te le frustrazioni e il malgoverno, si è data un immaginario col-lettivo grazie a lui. E allora, sorge in te la speranza che, forse, nulla è ancora per-duto.

Giovanni [email protected]

Musica

“Evaporato in una nu-vola rossa in una delle molte feri-toie della notte con un bisogno d’atten-zione e d’amore troppo, “Se mi vuoi bene piangi “, per esse-re corrispo-sti...

Come la musica ti cambia la vitaFabrizio De Andrè

vando a sospettare che la tenuta acquistata in Sardegna sarebbe servita come base per una comune. Era il 1973 ed erano altri tem-pi, oggi questa storiella non può che unirsi alla schiera di barzellette sulle forze dell’or-dine. Lui in Sardegna c’era andato per cer-care ragioni profonde dell’essere e, neanche i 117 giorni di sequestro faranno diminuire il suo amore per quella terra: dei sardi dirà che come i pellerossa sono un popolo orgo-glioso, fiero delle tradizioni e vittima della “civiltà”. Qualche sera fa, su Rai3 Fabio Fazio ha pre-sentato un programma(di 3 ore,3!) dedicato al cantautore genovese-dovrà pur servire a qualcosa pagare il canone Rai!-, era presente anche la seconda moglie di De Andrè, Dori Ghezzi. Sorrideva, ringraziava e canticchia-va ma, non ha ceduto ad un’emozione, una qualunque manifestazione non controllata, difficile in una serata nella quale tutti ave-vano gli occhi lucidi. Non credo fosse tri-ste per la perdita del compagno, sembrava semplicemente assente, distante da quanto le accadeva intorno. De Andrè prima di tut-to non è un rito collettivo, è qualcosa di più profondo che ognuno segue col proprio pen-siero, credo Dori Ghezzi volesse significare questo l’altra sera.Non dobbiamo cadere nell’errore di volerne fare un’icona, cercando di santificarlo, al-meno per amore di verità, era estremamente umano, sapeva godersi la vita, era piuttosto pigro e per nulla al mondo avrebbe perso una partita del Genoa calcio. Era un uomo dalla smisurata sensibilità , ascoltandolo ci si può riavvicinare all’umanità, alla parte più pro-fonda di essa, sfiorare la verità e ignorare la meschinità del quotidiano. Questo era Fabri-zio De Andrè, grande poeta che oscilla tra umano e sublime.

Federico [email protected]

“Ora, ti

rendi solo conto del fatto che, come te,

molte altre persone si sono viste

stravolgere la vita da

Fabrizio De Andrè, e

che l’Italia di oggi si è data un im-

maginario collettivo

grazie a lui

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Sconfinare Febbraio 2009 14Stile Libero Incontro europeo di Taizè a Bruxelles

Un’esperienza di condivisione aperta a tuttiStile Libero

Taizé è una comunità cristiana ecumenica fondata nel 1944 da un prete svizzero, Frère Roger. Immagino che a questo punto, per il 75% dei lettori, l'interesse verso quanto sto per raccontare sia già drasticamente dimi-nuito: se tuttavia ve la sentite di continuare, spero di potervi dimostrare che ancora una volta le apparenza ingannano.Lo spirito che ha sempre animato il fonda-tore della comunità di Taizé, ucciso da una squilibrata il 16 Agosto 2005, è stato quello della condivisione e della comunione, in-nanzitutto fra le varie confessioni cristia-ne: proprio l'ecumenismo è la caratteristi-ca principale di questa comunità, ciò che la rende diversa da tutte le altre comunità cristiane. Nel minuscolo paesino di Taizé, dove ha sede la comunità, per tutto l'anno migliaia di giovani da tutto il mondo si ri-trovano per meditare e pregare: infatti l'altra caratteristica peculiare di questa comunità è il forte legame con i giovani, interlocutori privilegiati della logica ecumenica, che dà molto più peso agli elementi di unione che non a quelli di divisione. È ovvio quindi che una visione simile sia più vicina a noi gio-vani, specie europei.Proprio ai giovani europei si rivolge l'Incon-tro europeo dei giovani di Taizé, che si svol-ge ogni anno, dal 28 Dicembre al 1 Genna-io, in una grande città europea. Quest'anno si è svolto nella capitale d'Europa, Bruxel-les, che ha accolto tutti i 40000 partecipanti con temperature oscillanti tra -8° e 0° e un tasso di umidità del 90% (!!!), ma anche con generosità ed efficienza. Prima di continua-re, è meglio ribadire un dato fondamentale: partecipare agli Incontri Europei comporta la rinuncia al Capodanno con i soliti ami-ci. So che a molti questo potrebbe sembra-

re una perdita intollerabile, un sacrificio di enormi proporzioni, ma personalmente, dopo 7 incontri consecutivi, posso dire tran-quillamente di non essermene mai pentito.Il costo totale è sempre inferiore ai 200€ (viaggio, vitto e alloggio per 5 giorni) e solitamente il viaggio si fa in corriera ed è quindi estremamente lungo e scomodo. Una volta arrivati, si viene smistati nelle varie parrocchie che hanno dato la loro disponi-bilità a trovare gli alloggi per i “pellegrini di fiducia”: la maggior parte delle volte si è ospitati dalle famiglie, oppure nelle palestre e nelle scuole (quando la città si presta a una visita turistica a bassissimo costo e quindi attira orde di persone non del tutto in linea con lo spirito dell'incontro). L'accoglienza nelle famiglie forse limita la possibilità di fare festa senza limiti, ma è la maniera mi-gliore di conoscere la vita e i popoli degli altri paesi e può rivelarsi un'esperienza bel-lissima, e comunque sempre sorprendente.La giornata-tipo dell'incontro prevede la co-lazione in famiglia o nella scuola/palestra,

la preghiera del mattino nella parrocchia e gli incontri in piccoli gruppi con gli altri giovani della propria parrocchia. In questi incontri è richiesto di meditare la “Lettera” dell'incontro (scritta dal capo della comuni-tà, Frère Alois) ma ovviamente la discussio-ne è libera: è un'ottima occasione per eserci-tare il proprio inglese e conoscere ragazzi di altre nazionalità.Finiti gli incontri, ci si dirige alla Fiera della città, allestita per accogliere le preghiere e i pasti: pranzo e cena, consumati seduti per terra nei padiglioni della Fiera, sono seguiti dalle preghiere sullo stile di Taizé, i momen-ti centrali del “pellegrinaggio di fiducia”. La preghiera di Taizé è molto particolare e con-siste in canti di ogni confessione cristiana, ognuno ripetuto a lungo, una meditazione dei Fréres e 10-15 minuti di silenzio: è un momento molto bello, anche per chi, come me, nella vita di tutti i giorni dedica ben poco tempo alla preghiera e alla meditazio-ne. Non capita tutti i giorni di stare a cantare e a fare silenzio (quasi perfetto) assieme ad

altri 10000 ragazzi, e sono momenti preziosi per pensare a tutto ciò che durante l'anno si trascura o si nasconde dietro altre preoccu-pazioni.L'Incontro di Taizé è un'esperienza che po-trebbe non piacere a tutti, ma è sicuramente unica e originale. Permette di scoprire da un punto di vista as-solutamente inusuale la vita di altri popoli, di stringere relazioni che sono spesso di una intensità e autenticità sorprendenti, anche quando non vanno avanti dopo l'incontro.Aiuta a vivere in maniera diversa per qual-che giorno, lasciandosi temporaneamente alle spalle i pesi della vita quotidiana per potersi concentrare meglio su sé stessi e sul-le persone intorno a sé.Ricorda l'importanza della condivisione e dell'apertura verso gli altri, perché le bar-riere culturali cadono fin troppo facilmente quando si condividono ogni giorno le stesse cose e lo stesso spirito.Ma soprattutto, ogni volta si ritorna a casa esausti e felici, con tutti i ricordi di amicizie, incontri, abbracci e canti ancora freschi, e con un atteggiamento positivo e prepositivo, che aiuta a rendere meno traumatico il ritor-no al lavoro e allo studio!

Federico [email protected]

Informazioni pratiche: l'iscrizione passa at-traverso i gruppi locali che organizzano gli incontri di preparazione e hanno i contatti con la Comunità; nel caso del FVG il grup-po di riferimento è il “Gruppo '89” (http://www.gruppo89.org/); siccome hanno anche i contatti degli altri gruppi italiani, potete chiederli a loro.

Il 10 dicembre si ricorda la morte del chimico svedese Alfred Nobel, il Papa San Milziade, la Madonna di Loreto, la morte di Pirandello ma la nascita dell’ambigua showgirl Eva Robin’s e l’uscita del xbox 360 in Giappone. Dovere di cronaca mi costringe a rimandare tutto ciò ad ulteriori successivi articoli e approfondire oggi ciò di più celebre e di maggiore importanza: l’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che nel 2008 ha compiuto i suoi 40 anni. Se l'articolo 2 ricorda che ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le liber-tà senza distinzioni di razza, di colore, di sesso, etc allora il quadro è più chiaro e capisco perché proprio questo ghiotto 10 dicembre la comunità, col nome tecnico, LGBT (Lesbiche Gay Bises-suali e Transgender) statunitense ha indetto uno sciopero di cui Wikipedia ancora non ha preso nota negli eventi del giorno ma che è da segnare del calendario della lotta per i diritti civili dei gay.Il Day without a Gay è stato pensato in reazio-ne al referendum californiano del 4 novembre che impedisce di fatto nello stato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. E questo è il princi-pio. Le motivazioni che comunque hanno spinto gli omosessuali d’America a scioperare e quin-di a darsi non malati, “call in sick”, ma “gay” appunto,sono molteplici, slogan che canzona una legge in realtà in disuso ma tuttora vigen-te in alcuni stati degli Usa per cui un datore di lavoro è legittimato a licenziare un dipendente perché gay. Così lo sciopero dal lavoro e anche, cosa non meno importante, dai consumi è iniziato all'alba di questo freddo mercoledì arcobaleno che ha visto moltissimi gay disertare il proprio posto di lavoro per seguire il consiglio, immagino, del

Armani, per nulla eccessi alla Dolce&Gabbana.Quando presi coscienza di questa data da un programma radiofonico la mia mente cominciò a immaginare cosa significasse economicamente una cosa del genere: se tutti i gay degli Stati Uniti di ogni fascia lavorativa, di ogni sesso, di ogni età scioperassero e non comprassero nemmeno uno Starbucks per un giorno, quanto si bloccherebbe il paese?Il Day Without Immigants nel 2006 non bloccò il motore statunitense ma sicuramente creò dei forti rallentamenti… ma per i LGBT è diverso, continuavo a pensare, in fondo essere gay non significa appartenere ad una nazione o una categoria: il capo d’azienda, il rettore, il tassista, il metalmeccanico e il medico, sono tutte

posizioni chiave diverse con ruoli diversi che possono essere uniti da qualcosa di trasversale, allora se si mettessero tutti d’accordo insieme e compattamente, quale shock subirebbe la vita quotidiana di ogni cittadino?Ho immaginato risultati apocalittici. Poi in re-altà la trasversalità, la diversità di interessi, di ambienti e di bisogni, ha portato ad un risulta-to diametralmente opposto. La partecipazione è stata definita “spotty”. Un flop?No, gli organizzatori commentano dicendo “Thank you for not punishing 100% of Ame-rica with an economic meltdown because of what just 52% of California did not understand on November 4th” e sottolineano i due risultati che volevano ottenere: sensibilizzazione e vi-sibilità da una parte, e rispondere a referendum antigay con un'iniziativa invece di amore e vo-lontariato dall'altra.Forse è l'arte di vedere il bicchiere mezzo pieno, o forse è semplicemente poco realisti-co pensare che siano una categoria compatta che possa realmente essere rappresentata da una sola richiesta, da una sola opinione e una sola croce nella scheda elettorale (spesso non sono i diritti civili ciò che spinge un gay a vo-tare chi li promette in campagna elettorale). Ci sono evidentemente interessi più forti, o solo esigenze più importanti – infatti molti sono i blog a parlare di un'iniziativa elitaria, lanciata solo da e per chi si può permettere di rischiare un licenziamento per una giornata d'assenza giustificata da un call in gay.E in Italia? Solo una manifestazione di fronte all'ambasciata americana, macché scioperi. In fondo ricordiamoci che “c'è la crisi”.

Gabriella De Domenico

Gay d’America, unitevi e scioperate!Lo sciopero in risposta al referendum californiano

pensionato per strada che alla vista di paillettes dei gaypride gridò “andate a lavurà”, i gai amici ci sono andati sul serio donando le propria giornata off ad associazioni di volontariato di ogni genere che facilmente potevano inserirsi nella lista del sito www.daywithoutagay.org.Sì, il movimento era ben organizzato con un sito web dalla grafica semplice ed accattivante: sfondo nero con una mano arcobaleno, colore e marchio del movimento, che impugna la cornetta del telefono e dice “call in gay”; una mail per le associazioni di volontariato che rispondevano all’offerta di aiuto, e poche ed efficaci righe incentrate su cosa succedeva e perché, nessuna retorica e vittimismo, poco spazio alla polemica o all’esagerazione, insomma uno perfetto stile

LIPPI: NON CI SONO GAY NEL CALCIO

vignetta di Stefano Facchinetti

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Februar 2009 IISconfinare

Gaza City in Khan Yaunusa in se začelo delo zaplembe orožja ter uničenja predorov pri Rafah.

Scenarij vojne je zapletena mes-tna gverila, katere značilnosti sta stalna nevarnost pri vsakem vo-galu in spopadi od hiše do hiše, ki ne omogočata uporabo težkega orožja. Poleg vsega Gaza je go-sto obljudeno območje, kjer se skriva sovražnik, ki večkrat ga ni lahko razlikovati od civilov in se ne boji uporabljati civile kot žive ščite. To je tragedija, ki se ne doseže samo s tem, da se posta-vi civile v središče boja, temveč tudi s tem, da se spremeni verje-tna zatekališča (kot so šole UN-RWA ali normalna stanovanja, kajti Hamas ni nikoli potrošil de-nar za zgradbo skrivališč, temveč je dal prednost nakupu orožja) v orožarne. Sredstva, ki so potrebna za scenarij mestne gverile, so bolj premična in zaščitena, čeprav na račun moči ognja, ampak ne stal-no ščitijo pehoto pred nevarnimi pastmi razstreliva, ki so raztrošeni

med razvalinami. Letalski izvi-di, ki skušajo odkriti tarče ali pa preprosta telefonska sporočila Izraela namenjena palestinskim prebivalcem, ki jih obveščajo naj zapustijo območja v bližini tarč, ne morejo popolnoma zagotoviti ‘kirurgizacijo’ vojne. Osebe, ki se premikajo v 200 metrih v bližini boja, niso razločne kot civili ali kot gverilci.

Končno je treba rešiti tudi zade-vo o belem fosforu. Značilnost te kemične snovi, ki so jo prvič uporabili v vojni leta 1916, je, da v kontaktu s kisikom pogori in povrzroči gost dim dokler ena izmed dveh snovi se ne porabi. Zaradi tega je uporabljen kot raz-svetlitelj ali kot orožje, čeprav je prepovedano ga uporabljati proti civilom. Pravzaprav pogodba o kemičnem orožju Chemical We-apons Convention ne šteje fo-sfor med kemičnim orožjem, ra-zen v VII ostavku, ki se ukvarja o požigalcih. To pogodbo jo je podpisal tudi Izrael, čeprav jo ni

nikoli rati-ficiral. Vrh tega gla-snik Med-narodnega Rdečega Križa Hor-nby je potr-dil, da Izrael je uporabil beli fosfor samo kot razsvetlitelj, in torej ne kot orožje in zaradi tega tale uporaba je povsem legalna.

Beli fosfor, navodila za uporabo

.Obstajajo dokazi, ki obtožijo Izra-el. To so pričanja zdravnikov, ki so skušali zdraviti hude pekočine, zelo nenavadne in, ki jih je težko zdraviti, ter slika izraelskega voja-ka, ki ravna z domnevnim izstrel-kom belega fosfora – svetlo mo-dre barve in z napisom M825A1. Pravzaprav izraelska vojska je že potrdila uporabo bomb iz belega fosfora “proti vojaškim tarčam na odprtem” med lebanonsko vojno leta 2006. S tem je Izrael zatajil prejšnje izjave, ko je trdil, da so vojaki uporabili beli fosfor samo za dovoljene namene (oz. razsvet-ljitev tarč).prevedel Samuele [email protected]

Pas poln krviTežaven poklic orožja

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Beli fosfor, navodila za uporabo

BREZPLNCA ŠTEVILKA Februar 2009 www.sconfinare.net

Direttrice: Annalisa Turel

Pas poln krviTežaven poklic orožja

Falluja (Irak), 4 november 2004. Ameriška vojska začne ofenzivo proti skrivališču iraških upornikov, v eni izmed največ krvoločnih bitk iraške vojne. Mesto leži na cesti med Bagdadom in Jordanijo, prav v središču t.i. sunitske-ga trikotnika – območje, ki največ nasprotuje ameriški zasedbi. Falluja je tako posta-la središče hudega bombar-diranja, katere značilnosti so pokazale svetu žalostno stran kar se tiče izvoza demokraci-je v tisto mesto, ki je bilo zna-no za mošeje in za znanost.Italijanska preiskava, ki jo je uresničil Sigfrido Ranucci, novinar Rainews24, je do-kazala, da so ameriške sile v teku spopada uporabile kemično orožje. Snov v zadevi je beli fo-sfor, poznan v vojaškem žargonu kot “Willy Pete”. Tragične slike teles umrlih civilov in upornikov, ki so bila praktično stopljena, uničena do kosti, potrdijo masiv-no uporabo tega orožja. Potrdijo uporabo tudi priče in raziskovan-ja novinarjev celega sveta in celo izjava angleškega ministrstva za obrambo. A kaj je beli fosfor? To je trda molekularna snov, ki v kontaktu s kisikom, ki je v zraku, proizvodi fosforski anhidrid. Tako nastaneta močna toplota (tempe-ratura se dvigne tudi do 1000 sto-pinj) in bela svetloba. To je pravi požar, katerega ni mogoče ugasiti niti če ga damo v vodo, ker izgo-revanje se nadaljuje do izčrpanja snovi. Beli fosfor se lahko legal-no uporabi v vojaških operacijah

samo na odprtem s funkcijo raz-svetljenja ali zaščitja, tako da na-stane ščit dima. Po drugi strani, če se uporabi strupene lastnosti bele-ga fosfora kot orožje proti tarčam, se gre povsem za kemično orožje, katerega posledice (predvsem, če se ga uporabi na gosto populirano mesto kot je Falluja) so lahko res hude.Slike ognjenega dežja, ki je padal iz ameriških helikopterjev nekaj let od tega nad Fallujo, so kar precej podobne slikam, ki so jih analizirali strokovnjaki časopisa Times pred nekaj dni. To so slike, ki prikazujejo izraelsko letalstvo, medtem ko meče posebne bombe nad Gazo City (eno izmed najbo-lj gosto populiranih območjih na svetu), ki padajo v obliki lovke in to je značilnost belega fosfora

4 november. IAF (izraelsko le-talstvo), potem ko je odkril skri-ven predor med Gazo in Izraelom, ki ga je teroristična organizacija Hamas uporabljala, da si priskrbi orožje, se je odločil da ga bo uničil z metom raket nad izhodom pre-dora v Gazi. To je bil prvi znak, ki je zaznamoval zaključek premirja. Zaključek, ki je prišel 19 decem-bra, ko je Hamas ponovno začel metati rakete iz Gaze nad izrael-skimi mesti in vasmi, ki ležijo v bližini meje. Eno izmed teh mest je Sderot, ki je statistično mesto najdalje bombardirano v zgodo-vini. To je mesto s hišami, ki so opremljene z malimi skrivališči in kjer je vsakdanjo življenje pre-kinjeno od alarmnih siren.

Izraelska vlada je torej naročila, potom Ministra za Obrambo Ehuda Barakha, Glavnemu Stanu

naj priredi napad na Gazo. Tako se je ojačila dejavnost vojaške informacijske orga-nizacije Aman in Shin Bet-a v nalogi odkritja orožarn v območju Gaze. Nato je vlada odločila najvažnješe cilje: prijetje in odstranitev teroristov Hamasa; loka-lizacija in uničenje skriv-nih predorov med Gazo in Egiptom ter med Gazo in Izraelom (vsega skupaj med 400 in 1000), ki prekršijo embargo; lokalizacija in uničenje orožarn in labora-torijev. Nato je bilo izbrano ime operacije. ‘Cast Lead’.

Od 27 decembra dalje je izraelska vojska začela bombardirati razmestitve

gverilcev in rampe, ki omogočajo met raket. To so hiše in vojašnice onemogle policije, ki je sedaj izven kontrola Al-Fataha. Odgo-vor Hamasa je bila intensifikacija napadov nad izraelskimi mesti in odstranitev še zadnjih predstav-nikov Al-Fataha, tako da je že v prvih dneh jih umorila 35.

Tretjega januarja se je začela druga faza napada z zemeljsko ofenzivo Južnega Vojaškega Po-veljstva Tzahala, ki je opremljen z oklepnimi četami, pehoto in skupino padalcev. Napad poteka v dveh smereh: na severu skozi mejo in ob obali ter na vzhodu z namenom, da se razdeli območje Gaze in izolira mesto Gaza City. Nato v naslednjih dneh so poteka-le operacije penetracije v mestnih območjih Jabalaya, Bayt Lahiye,

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