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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 173 (48.497) Città del Vaticano venerdì 31 luglio 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +z!"!_!%!#! Intervista con il preposito generale della Compagnia di Gesù Nella crisi del Covid “curiamo” anche la democrazia di ANTONELLA PALERMO I l mondo “distanziato”, la paura di un virus che non scompare e anzi in molte parti dilaga, il ri- schio di personalismi politici in una fase in cui è fondamentale la bussola orientata sul bene di tutti. E poi lo sforzo di proteggere i de- boli, quelli che il Covid non rispar- mia ma che hanno poche o nessu- rendere il mondo più fraterno e giusto. In questo momento discri- minare nuovamente i migranti sa- rebbe, ed è, un grande pericolo e sarebbe un segno di un mondo che non desideriamo. Anche sul tema del lavoro, ci sono tantissime impre- se che sfruttano questa occasione per licenziare operai o ridurre il sa- lario o per non pagare quello che si deve pagare o per ridurre i benefici CONTINUA A PAGINA 8 L’opera di padre Dall’Oglio ricordata in una conferenza stampa nel settimo anniversario del rapimento Continuare a tramandare i valori della pace Mercoledì 29 luglio, alle ore 11, nel set- timo anniversario del rapimento del padre gesuita Paolo Dall’Oglio, si è svolta una conferenza stampa presso la sede della Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) per ricordare l’opera del religioso e i lati oscuri del suo se- questro. Alla conferenza, organizzata dall'associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio e da Articolo21, han- no partecipato le tre sorelle del gesuita sequestrato e hanno preso la parola, tra gli altri, padre Federico Lombardi, il presidente della Fnsi, Giuseppe Giuliet- ti, padre Camillo Ripamonti del Centro Astalli, il direttore dell'Osservatore Ro- mano e il prefetto del Dicastero per la comunicazione di cui pubblichiamo qui di seguito il testo dell’intervento. di PAOLO RUFFINI S iamo in un luogo simbolo del giornalismo, a ricordare una storia che è essa stessa simbo- lo. A far sì che su di essa non scen- da il silenzio. Siamo qui per dire grazie a padre Paolo Dall’Oglio per quello che la sua vita ha testimonia- to e testimonia ancora. Ho pensato, venendo qui, a cosa potrebbe dire lui qui, oggi, a noi riuniti in presenza o collegati via web. E ho pensato che ci parlerebbe forse dell’importanza del buon gior- nalismo. Per vedere e far vedere le cose nella loro essenza. Per rompere i pregiudizi. Per costruire capacità di incontro. Ho pensato che ci parle- rebbe sicuramente dei suoi, dei no- stri fratelli siriani. Ci direbbe, da credente, che nulla è perduto per sempre. Che un futuro di pace sem- pre è possibile; e che è nelle nostre mani se non stessimo solo a guarda- re. E che quel futuro ci riguarda di- rettamente. Ci ripeterebbe che è pro- prio perché ha visto e ha creduto che ha parlato. Con le azioni più che con le parole. Con le chiacchie- re, direbbe lui. E che proprio questo è, sarebbe il compito dei giornalisti. Saper vedere. Saper raccontare. Ci parlerebbe del dinamismo sem- pre vivo del bene, del dialogo, delle relazioni. Dell’amore che solo cono- sce. Ci racconterebbe forse anche della staticità sempre morta del ma- le, intrinsecamente imprigionato dal rancore, dalla incapacità di ascoltare, di cambiare. E ci direbbe, forse, che tutto questo purtroppo spesso sfug- ge a chi fa comunicazione. Ho pensato che ci chiederebbe di raccontare le sofferenze e le speranze dei monaci e delle monache della sua comunità. Di raccontare e soste- nere (anche attraverso il nostro rac- conto) una storia di dialogo e di ac- coglienza. Una avventura che rima- ne magnifica. Una storia che conti- nua. La storia di un rapporto diver- so possibile fra mussulmani e cristia- ni. Di come un luogo piccolo e re- moto può essere il centro di una sto- ria grande e centrale. Ho pensato che da comunicatore ci direbbe anche, come Papa France- sco, che noi siamo ciò che raccontia- mo. E proprio questo tocca a noi: raccontare. Senza qualcuno che la racconta, la storia sarebbe muta, im- mobile, congelata. Invece la storia è viva, cammina. Va dove la portiamo anche noi. Come scrive Martin Buber ne I racconti dei Chassidim, (Milano, 1979, pagine 3-4), «La parola che narra è più che semplice parola, essa tra- smette effettivamente l’accaduto alle generazioni future, anzi la narrazio- ne è accadimento essa stessa, ha la sacralità di un rito (…) Il racconto è lo stesso avvenimento, ha l’unzione di un atto sacro (…) E l’essenza sa- cra di cui dà testimonianza continua a vivere in essa». Tutti (anche se spesso non ce ne rendiamo conto) CONTINUA A PAGINA 7 OSPEDALE DA CAMPO PAGINA 6 racconto LA PAROLA DELLANNO Vivere per ricordare e raccontare JEAN LOUIS SKA A PAGINA 5 SI celebra la Giornata internazionale La tratta: un business criminale e intollerabile SILVIA CAMISASCA A PAGINA 3 ALLINTERNO Molti analisti commentano la mossa come uno «schiaffo» degli Usa alla Nato Il Pentagono annuncia una forte riduzione della presenza militare in Germania WASHINGTON, 30. Il Pentagono ha annunciato ieri una forte riduzione della presenza militare statunitense in Germania, sottolineando che una parte dei soldati verrà ridispiegata in altri Paesi europei. Uno schiaffo alla Nato, hanno commentato molti analisti, ricordan- do che il presidente Donald Trump ha più volte criticato in passato l’Al- leanza atlantica, lamentandone gli alti costi. In particolare, Trump ha sempre sostenuto che Berlino non contribuisce abbastanza al bilancio della Nato e quindi non ha il diritto di usufruire del suo “ombrello pro- tettivo”. «La Germania non sta pa- gando la sua giusta quota alla Nato, se ne sta approfittando» ha detto Trump proprio ieri, parlando con i giornalisti alla Casa Bianca. Critiche da parte del Partito democratico, se- condo cui la mossa «è un regalo alla Russia». L’annuncio è stato dato dallo stes- so Mark Esper, il segretario alla Di- fesa Usa. Quasi 12.000 militari a stelle e strisce lasceranno la Germa- nia. Di essi, circa 6.400 torneranno negli Stati Uniti, altri 5.600 circa sa- ranno impegnati in basi europee già esistenti. Ancora non ci sono detta- gli sull’operazione, che costerà mi- liardi di dollari e impiegherà parec- chi anni per il suo svolgimento — inoltre un possibile nuovo presiden- te potrebbe disporre diversamente. In più, l'operazione si dovrà definire in accordo con gli altri Paesi interes- sati: ci dovrà essere insomma un confronto interno. Una parte del contingente ridi- spiegato si muoverà verso l’Italia: in- discrezioni del «Wall Street Journal» parlano di due battaglioni dell’eser- cito e una squadriglia di cacciabom- bardieri F-16. Fra le destinazioni possibili, le più probabili sono Avia- no e Sigonella per l’aviazione, Vi- cenza per l’esercito. Fra gli altri Pae- si destinatari delle truppe americane, il Belgio, la Polonia, le repubbliche baltiche: sia i Baltici che Varsavia avevano chiesto ripetutamente una presenza più robusta delle forze sta- tunitensi per compensare la vicinan- za con la Russia. Dalla sede dell’Allenza Atlantica a Bruxelles per il momento non si ali- mentano polemiche: «Pace e sicurez- za in Europa sono importanti per la sicurezza e la prosperità dell’Ameri- ca. E siamo più forti e più sicuri so- lo quando siamo insieme» ha com- mentato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, spiegando che gli Usa «si sono consultati con tutti gli alleati prima dell’annuncio di oggi». Più dure invece le reazioni da Berlino: «Il ritiro delle truppe Usa invece di rafforzare la Nato por- ta a un indebolimento dell’Alleanza nei confronti della Russia ma anche dei conflitti nel Vicino e Medio Oriente» ha dichiarato Norbert Roettgen, candidato Cdu alla presi- denza del partito. In passato il can- celliere tedesco Angela Merkel aveva criticato Trump per i suoi rapporti con la Nato. Allarme delle ong a causa della crisi economica Libano: mezzo milione di bambini alla fame BEIRUT, 30. Circa mezzo milione di bambini libanesi, siriani, palestinesi e di altre nazionalità rischiano la fa- me nella zona della capitale Beirut a causa della perdurante crisi econo- mica, la peggiore in Libano degli ul- timi 30 anni. A denunciarlo sono di- verse ong attive nel paese del Medio oriente e impegnate nella difesa dei diritti umani. In un rapporto le ong hanno do- cumentato che 910.000 persone che vivono a Beirut e dintorni «non so- no più in grado di soddisfare le esi- genze primarie». Metà di queste so- no minori. «Vedremo bambini mori- re di fame già prima della fine di quest’anno» hanno dichiarato alla Reuters i rappresentanti delle ong. Com’è noto, il Libano sta attra- versando una crisi difficilissima, che non è solo economica, ma anche po- litica e sociale. Il potere di acquisto delle famiglie si è ridotto sensibil- mente negli ultimi anni. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Beirut nei mesi scorsi per protestare contro il carovita e la corruzione nel- la politica. Intanto, a Beirut e in altre zone del Libano aumentano i black out elettrici prolungati dovuti alla cre- scente mancanza di carburante per alimentare le centrali elettriche del Paese. I media riferiscono che ieri per alcune ore si è verificata per la prima volta una interruzione delle connessioni alla rete Internet nel centro di Beirut. LABORATORIO DOPO LA PANDEMIA La scuola deve ripartire dalle realtà locali PATRIZIO BIANCHI A PAGINA 3 Il 31 luglio la memoria liturgica di sant’Ignazio di Loyola NELLE PAGINE 7 E 8 ALCUNE MEDITAZIONI SUGLI «ESERCIZI SPIRITUALI » SCRITTE DA BERGO GLIO NEGLI ANNI OTTANTA E ARTICOLI DI ROBERTO CUTAIA , ANTONIO TARALLO E CATERINA CIRIELLO NOSTRE INFORMAZIONI Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arci- diocesi della Madre di Dio, a Mosca (Federazione Russa), assegnandogli la sede titolare di Acque di Bizacena, il Re- verendo Nikolai Gennadevi- ch Dubinin, OFM Conv., membro dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, affiliato alla Custodia Generale di San Francesco d’Assisi in Russia e Guardiano del Con- vento di Sant’Antonio Tau- maturgo, a San Pietroburgo. pubblici per la salute... Insomma, la pandemia è una occasione per fare dei passi in avanti o per fare dei passi indietro. E noi dobbiamo es- serne molto consapevoli, come Chiesa cattolica e come persone im- pegnate per la giustizia e la pace, in modo da costruire una società più accogliente, più democratica. Quale è un criterio imprescindibile che sant’Ignazio di Loyola suggerirebbe di seguire per il bene maggiore in questo frangente così preoccupante per il mondo intero? Senz’altro la vicinanza ai poveri è un criterio importantissimo. Se noi non siamo capaci di guardare il mondo da vicino, condividendo lo sguardo dei poveri, che è lo sguar- do di Gesù in Croce, allora si sba- glia nel prendere le decisioni. È questo un criterio molto chiaro. Se i poveri non possono essere curati, non possono avere un lavoro, allora il mondo non va bene. Poi, un cri- terio che è venuto fuori in questo tempo è la cura della casa comune. Se la terra soffre, noi non possiamo abitarla. na possibilità di tutelarsi a do- vere, come ad esempio i mi- granti. La massima autorità della Compagnia di Gesù, il venezuelano padre Arturo So- sa, ragiona a tutto campo con Radio Vaticana – Vatican Ne- ws alla vigilia del giorno in cui la Chiesa celebra il fonda- tore sant’Ignazio. Quello del preposito generale è uno sguardo ampio sulla missione condotta dall’ordine, sulle pie- tre angolari della spiritualità che continuano a essere un fa- ro, e sull’attualità più stringen- te, il ruolo giocato dalla Com- pagnia alla prova del corona- virus: «Nella missione speri- mentiamo le stesse prove vis- sute dalle popolazioni colpite. E, soprattutto, sperimentiamo le conseguenze sociali di que- sta epidemia. Mi vorrei soffer- mare su questo aspetto perché, sì, l’epidemia è senz’altro un problema sanitario, che forse sarà superato, ma le conse- guenze sociali, economiche e politiche sono veramente qual- cosa da prendere molto sul se- rio. Noi abbiamo cercato in- nanzitutto di capire come si può continuare a fare il nostro servizio ai più bisognosi in questo contesto. Ci sono tantissime esperienze. Mi viene in mente quello che fanno le Province della Compagnia di Gesù in India, nell’Asia meridionale. Tutte le Pro- vince hanno fatto in modo di far arrivare il cibo e le medicine, in modo molto generoso, alle persone che non sono capaci di provvedere da soli. Abbiamo poi capito che non si può curare se stessi senza curare gli altri, e viceversa. Ci sono tantissime esperienze di accompa- gnamento, sia personale sia attra- verso i social, che sono state fatte — e beninteso, qui non si tratta so- lo del celebrare le messe in strea- ming, ma di essere presenti nella vi- ta delle persone con tutti i mezzi di cui possiamo disporre in questo momento. È stata una esperienza molto complessa e molto interes- sante, che merita di essere valutata con il tempo. Devo anche dire che l’esperienza vissuta è una conferma del discernimento nella missione ri- cevuta tramite le preferenze aposto- liche universali. Noi abbiamo scel- to quattro preferenze che sono sta- te approvate dal Papa, che ci pon- gono al cuore di ciò che si deve compiere adesso, nel contesto della pandemia: vedere che Dio ci può mostrare come dobbiamo cammi- nare, trasformare le strutture sociali palesemente ingiuste, avere cura del creato e liberamente ascoltare i giovani che sono il seme della spe- ranza per il futuro». Insomma, la pandemia come occasio- ne di ripensamento di scelte politiche in alcune regioni del mondo? In tutte le regioni del mondo. Io ho ripetuto spesso che una delle vittime della pandemia potrebbe es- sere la democrazia, se non abbiamo cura della nostra condizione politi- ca. In questo momento, per esem- pio, prendere la strada dell’autorita- rismo è la grande tentazione di tan- ti governi, anche di governi cosid- detti democratici. La Compagnia di Gesù, si sa, è molto impegnata nel campo dell’accompagnamento dei migranti. Parecchi Paesi hanno sfruttato questa pandemia per cam- biare la politica migratoria nella di- rezione di restringere il passaggio dei migranti o la accoglienza dei migranti, il che è un grandissimo sbaglio se consideriamo di volere

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 173 (48.497) Città del Vaticano venerdì 31 luglio 2020

.

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SKKM(

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!#!

Intervista con il preposito generale della Compagnia di Gesù

Nella crisi del Covid“curiamo”

anche la democraziadi ANTONELLA PALERMO

Il mondo “distanziato”, la pauradi un virus che non scompare eanzi in molte parti dilaga, il ri-

schio di personalismi politici inuna fase in cui è fondamentale labussola orientata sul bene di tutti.E poi lo sforzo di proteggere i de-boli, quelli che il Covid non rispar-mia ma che hanno poche o nessu-

rendere il mondo più fraterno egiusto. In questo momento discri-minare nuovamente i migranti sa-rebbe, ed è, un grande pericolo esarebbe un segno di un mondo chenon desideriamo. Anche sul temadel lavoro, ci sono tantissime impre-se che sfruttano questa occasioneper licenziare operai o ridurre il sa-lario o per non pagare quello che sideve pagare o per ridurre i benefici

CO N T I N UA A PA G I N A 8

L’opera di padre Dall’Oglio ricordata in una conferenza stampa nel settimo anniversario del rapimento

Continuare a tramandare i valori della paceMercoledì 29 luglio, alle ore 11, nel set-timo anniversario del rapimento delpadre gesuita Paolo Dall’Oglio, si èsvolta una conferenza stampa presso lasede della Fnsi (Federazione NazionaleStampa Italiana) per ricordare l’o p e radel religioso e i lati oscuri del suo se-questro. Alla conferenza, organizzatadall'associazione Giornalisti amici dipadre Dall’Oglio e da Articolo21, han-no partecipato le tre sorelle del gesuitasequestrato e hanno preso la parola, tragli altri, padre Federico Lombardi, ilpresidente della Fnsi, Giuseppe Giuliet-ti, padre Camillo Ripamonti del CentroAstalli, il direttore dell'Osservatore Ro-mano e il prefetto del Dicastero per lacomunicazione di cui pubblichiamo quidi seguito il testo dell’intervento.

di PAOLO RUFFINI

Siamo in un luogo simbolo delgiornalismo, a ricordare unastoria che è essa stessa simbo-

lo. A far sì che su di essa non scen-da il silenzio. Siamo qui per diregrazie a padre Paolo Dall’Oglio perquello che la sua vita ha testimonia-to e testimonia ancora.

Ho pensato, venendo qui, a cosapotrebbe dire lui qui, oggi, a noiriuniti in presenza o collegati viaweb. E ho pensato che ci parlerebbe

forse dell’importanza del buon gior-nalismo. Per vedere e far vedere lecose nella loro essenza. Per romperei pregiudizi. Per costruire capacità diincontro. Ho pensato che ci parle-rebbe sicuramente dei suoi, dei no-stri fratelli siriani. Ci direbbe, dacredente, che nulla è perduto persempre. Che un futuro di pace sem-pre è possibile; e che è nelle nostremani se non stessimo solo a guarda-re. E che quel futuro ci riguarda di-rettamente. Ci ripeterebbe che è pro-prio perché ha visto e ha credutoche ha parlato. Con le azioni piùche con le parole. Con le chiacchie-

re, direbbe lui. E che proprio questoè, sarebbe il compito dei giornalisti.Saper vedere. Saper raccontare.

Ci parlerebbe del dinamismo sem-pre vivo del bene, del dialogo, dellerelazioni. Dell’amore che solo cono-sce. Ci racconterebbe forse anchedella staticità sempre morta del ma-le, intrinsecamente imprigionato dalrancore, dalla incapacità di ascoltare,di cambiare. E ci direbbe, forse, chetutto questo purtroppo spesso sfug-ge a chi fa comunicazione.

Ho pensato che ci chiederebbe diraccontare le sofferenze e le speranzedei monaci e delle monache della

sua comunità. Di raccontare e soste-nere (anche attraverso il nostro rac-conto) una storia di dialogo e di ac-coglienza. Una avventura che rima-ne magnifica. Una storia che conti-nua. La storia di un rapporto diver-so possibile fra mussulmani e cristia-ni. Di come un luogo piccolo e re-moto può essere il centro di una sto-ria grande e centrale.

Ho pensato che da comunicatoreci direbbe anche, come Papa France-sco, che noi siamo ciò che raccontia-mo. E proprio questo tocca a noi:raccontare. Senza qualcuno che laracconta, la storia sarebbe muta, im-mobile, congelata. Invece la storia èviva, cammina. Va dove la portiamoanche noi.

Come scrive Martin Buber ne Iracconti dei Chassidim, (Milano, 1979,pagine 3-4), «La parola che narra èpiù che semplice parola, essa tra-smette effettivamente l’accaduto allegenerazioni future, anzi la narrazio-ne è accadimento essa stessa, ha lasacralità di un rito (…) Il racconto èlo stesso avvenimento, ha l’unzionedi un atto sacro (…) E l’essenza sa-cra di cui dà testimonianza continuaa vivere in essa». Tutti (anche sespesso non ce ne rendiamo conto)

CO N T I N UA A PA G I N A 7

OSPEDALE DA CAMPO

PAGINA 6

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

Vivere per ricordaree raccontare

JEAN LOUIS SKA A PA G I N A 5

SI celebrala Giornata internazionale

La tratta: un businesscriminale e intollerabile

SI LV I A CAMISASCA A PA G I N A 3

ALL’INTERNO

Molti analisti commentano la mossa come uno «schiaffo» degli Usa alla Nato

Il Pentagono annuncia una forte riduzionedella presenza militare in Germania

WASHINGTON, 30. Il Pentagono haannunciato ieri una forte riduzionedella presenza militare statunitensein Germania, sottolineando che unaparte dei soldati verrà ridispiegata inaltri Paesi europei.

Uno schiaffo alla Nato, hannocommentato molti analisti, ricordan-do che il presidente Donald Trumpha più volte criticato in passato l’Al-leanza atlantica, lamentandone glialti costi. In particolare, Trump hasempre sostenuto che Berlino non

contribuisce abbastanza al bilanciodella Nato e quindi non ha il dirittodi usufruire del suo “ombrello pro-tettivo”. «La Germania non sta pa-gando la sua giusta quota alla Nato,se ne sta approfittando» ha dettoTrump proprio ieri, parlando con igiornalisti alla Casa Bianca. Criticheda parte del Partito democratico, se-condo cui la mossa «è un regalo allaRussia».

L’annuncio è stato dato dallo stes-so Mark Esper, il segretario alla Di-fesa Usa. Quasi 12.000 militari astelle e strisce lasceranno la Germa-nia. Di essi, circa 6.400 tornerannonegli Stati Uniti, altri 5.600 circa sa-ranno impegnati in basi europee giàesistenti. Ancora non ci sono detta-gli sull’operazione, che costerà mi-liardi di dollari e impiegherà parec-chi anni per il suo svolgimento —

inoltre un possibile nuovo presiden-te potrebbe disporre diversamente.In più, l'operazione si dovrà definirein accordo con gli altri Paesi interes-sati: ci dovrà essere insomma unconfronto interno.

Una parte del contingente ridi-spiegato si muoverà verso l’Italia: in-discrezioni del «Wall Street Journal»parlano di due battaglioni dell’eser-cito e una squadriglia di cacciabom-bardieri F-16. Fra le destinazionipossibili, le più probabili sono Avia-no e Sigonella per l’aviazione, Vi-cenza per l’esercito. Fra gli altri Pae-si destinatari delle truppe americane,il Belgio, la Polonia, le repubblichebaltiche: sia i Baltici che Varsaviaavevano chiesto ripetutamente unapresenza più robusta delle forze sta-tunitensi per compensare la vicinan-za con la Russia.

Dalla sede dell’Allenza Atlantica aBruxelles per il momento non si ali-mentano polemiche: «Pace e sicurez-za in Europa sono importanti per lasicurezza e la prosperità dell’Ameri-ca. E siamo più forti e più sicuri so-lo quando siamo insieme» ha com-mentato il segretario generale dellaNato, Jens Stoltenberg, spiegandoche gli Usa «si sono consultati contutti gli alleati prima dell’annunciodi oggi». Più dure invece le reazionida Berlino: «Il ritiro delle truppeUsa invece di rafforzare la Nato por-ta a un indebolimento dell’Alleanzanei confronti della Russia ma anchedei conflitti nel Vicino e MedioOriente» ha dichiarato NorbertRoettgen, candidato Cdu alla presi-denza del partito. In passato il can-celliere tedesco Angela Merkel avevacriticato Trump per i suoi rapporticon la Nato.

Allarme delle ong a causa della crisi economica

Libano: mezzo milione di bambini alla fameBE I R U T, 30. Circa mezzo milione dibambini libanesi, siriani, palestinesie di altre nazionalità rischiano la fa-me nella zona della capitale Beirut acausa della perdurante crisi econo-mica, la peggiore in Libano degli ul-timi 30 anni. A denunciarlo sono di-verse ong attive nel paese del Mediooriente e impegnate nella difesa deidiritti umani.

In un rapporto le ong hanno do-cumentato che 910.000 persone chevivono a Beirut e dintorni «non so-no più in grado di soddisfare le esi-genze primarie». Metà di queste so-no minori. «Vedremo bambini mori-re di fame già prima della fine diquest’anno» hanno dichiarato allaReuters i rappresentanti delle ong.

Com’è noto, il Libano sta attra-versando una crisi difficilissima, chenon è solo economica, ma anche po-litica e sociale. Il potere di acquistodelle famiglie si è ridotto sensibil-mente negli ultimi anni. Migliaia dimanifestanti sono scesi in piazza aBeirut nei mesi scorsi per protestarecontro il carovita e la corruzione nel-la politica.

Intanto, a Beirut e in altre zonedel Libano aumentano i black outelettrici prolungati dovuti alla cre-scente mancanza di carburante peralimentare le centrali elettriche del

Paese. I media riferiscono che ieriper alcune ore si è verificata per laprima volta una interruzione delleconnessioni alla rete Internet nelcentro di Beirut.

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

La scuola deve ripartiredalle realtà locali

PAT R I Z I O BIANCHI A PA G I N A 3

Il 31 luglio la memorial i t u rg i c a

di sant’Ignazio di Loyola

NELLE PA G I N E 7 E 8ALCUNE M E D I TA Z I O N I

SUGLI «ESERCIZI S P I R I T UA L I »SCRITTE DA BERGO GLIO NEGLI ANNI OT TA N TA

E ARTICOLI DI ROBERTO CU TA I A ,ANTONIO TARALLO E CAT E R I N A CIRIELLO

NOSTREINFORMAZIONI

Nominadi Vescovo Ausiliare

Il Santo Padre ha nominatoVescovo Ausiliare dell’A rc i -diocesi della Madre di Dio, aMosca (Federazione Russa),assegnandogli la sede titolaredi Acque di Bizacena, il Re-verendo Nikolai Gennadevi-ch Dubinin, OFM Co n v. ,membro dell’Ordine dei FratiMinori Conventuali, affiliatoalla Custodia Generale diSan Francesco d’Assisi inRussia e Guardiano del Con-vento di Sant’Antonio Tau-maturgo, a San Pietroburgo.

pubblici per la salute... Insomma, lapandemia è una occasione per faredei passi in avanti o per fare deipassi indietro. E noi dobbiamo es-serne molto consapevoli, comeChiesa cattolica e come persone im-pegnate per la giustizia e la pace, inmodo da costruire una società piùaccogliente, più democratica.

Quale è un criterio imprescindibile chesant’Ignazio di Loyola suggerirebbe diseguire per il bene maggiore in questofrangente così preoccupante per ilmondo intero?

Senz’altro la vicinanza ai poveri èun criterio importantissimo. Se noinon siamo capaci di guardare ilmondo da vicino, condividendo losguardo dei poveri, che è lo sguar-do di Gesù in Croce, allora si sba-glia nel prendere le decisioni. Èquesto un criterio molto chiaro. Se ipoveri non possono essere curati,non possono avere un lavoro, allorail mondo non va bene. Poi, un cri-terio che è venuto fuori in questotempo è la cura della casa comune.Se la terra soffre, noi non possiamoabitarla.

na possibilità di tutelarsi a do-vere, come ad esempio i mi-granti. La massima autoritàdella Compagnia di Gesù, ilvenezuelano padre Arturo So-sa, ragiona a tutto campo conRadio Vaticana – Vatican Ne-ws alla vigilia del giorno incui la Chiesa celebra il fonda-tore sant’Ignazio. Quello delpreposito generale è unosguardo ampio sulla missionecondotta dall’ordine, sulle pie-tre angolari della spiritualitàche continuano a essere un fa-ro, e sull’attualità più stringen-te, il ruolo giocato dalla Com-pagnia alla prova del corona-virus: «Nella missione speri-mentiamo le stesse prove vis-sute dalle popolazioni colpite.E, soprattutto, sperimentiamole conseguenze sociali di que-sta epidemia. Mi vorrei soffer-mare su questo aspetto perché,sì, l’epidemia è senz’altro unproblema sanitario, che forsesarà superato, ma le conse-guenze sociali, economiche epolitiche sono veramente qual-cosa da prendere molto sul se-rio. Noi abbiamo cercato in-nanzitutto di capire come sipuò continuare a fare il nostroservizio ai più bisognosi inquesto contesto. Ci sono tantissimeesperienze. Mi viene in mentequello che fanno le Province dellaCompagnia di Gesù in India,nell’Asia meridionale. Tutte le Pro-vince hanno fatto in modo di fararrivare il cibo e le medicine, inmodo molto generoso, alle personeche non sono capaci di provvedereda soli. Abbiamo poi capito chenon si può curare se stessi senzacurare gli altri, e viceversa. Ci sonotantissime esperienze di accompa-gnamento, sia personale sia attra-verso i social, che sono state fatte— e beninteso, qui non si tratta so-lo del celebrare le messe in s t re a -ming, ma di essere presenti nella vi-ta delle persone con tutti i mezzidi cui possiamo disporre in questomomento. È stata una esperienzamolto complessa e molto interes-sante, che merita di essere valutatacon il tempo. Devo anche dire chel’esperienza vissuta è una confermadel discernimento nella missione ri-cevuta tramite le preferenze aposto-liche universali. Noi abbiamo scel-to quattro preferenze che sono sta-te approvate dal Papa, che ci pon-gono al cuore di ciò che si devecompiere adesso, nel contesto dellapandemia: vedere che Dio ci puòmostrare come dobbiamo cammi-nare, trasformare le strutture socialipalesemente ingiuste, avere curadel creato e liberamente ascoltare igiovani che sono il seme della spe-ranza per il futuro».

Insomma, la pandemia come occasio-ne di ripensamento di scelte politichein alcune regioni del mondo?

In tutte le regioni del mondo. Ioho ripetuto spesso che una dellevittime della pandemia potrebbe es-sere la democrazia, se non abbiamocura della nostra condizione politi-ca. In questo momento, per esem-pio, prendere la strada dell’autorita -rismo è la grande tentazione di tan-ti governi, anche di governi cosid-detti democratici. La Compagnia diGesù, si sa, è molto impegnata nelcampo dell’accompagnamento deimigranti. Parecchi Paesi hannosfruttato questa pandemia per cam-biare la politica migratoria nella di-rezione di restringere il passaggiodei migranti o la accoglienza deimigranti, il che è un grandissimosbaglio se consideriamo di volere

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 venerdì 31 luglio 2020

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

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Impennata di contagiin Spagna e Francia

Guterres sull’impatto della pandemia sulla realtà urbana

Ripensare gli spazidelle nostre città

MADRID, 30. L’andamento dell’epi-demia continua a preoccupare in di-versi Paesi europei, a partire dallaSpagna e dalla Francia, dove i nuovicontagi da coronavirus sono in dra-stico aumento.

In Spagna sono stati registrati1.153 contagi in un solo giorno. Sitratta del numero più alto dal 2maggio scorso, quando il Paese sitrovava in pieno lockdown, con Ara-gona, Catalogna e Madrid le zonepiù colpite; ma in generale la curvaepidemiologica sale un pò ovunque.

Stessa difficile situazione anche inFrancia, che ha registrato 1.392 nuo-vi contagi, il bilancio più alto in ol-tre un mese. «Ora non bisogna mol-lare», ha detto il ministro della Salu-te francese, Olivier Véran.

Pure in Germania sale il numerodei nuovi casi di covid-19, con quasi700 nuovi infettati in un solo giorno.Numeri comunque ancora moltolontani dall’apice del contagio rag-giunto ad aprile, quando i casi viag-giavano intorno ai 6.000 al giorno.A Est resta sempre alta la curva inRomania, con 1.182 nuovi positivi.

All’origine dei nuovi picchi in Eu-ropa ci potrebbe essere l’aumentodei casi di coronavirus, registrato trai giovani, che rileva nelle statistichegiornaliere dei contagi di diversiPaesi. A lanciare l’allarme e a chie-dere una maggiore responsabilizza-

zione — mentre la stagione estiva siavvia al culmine, con il suo corolla-rio di divertimenti tra bar, locali ediscoteche — è stato il direttoredell’ufficio regionale dell’Oms, HansKluge. Necessario, ha sottolineato,che le autorità comunichino megliocon i ragazzi e li coinvolgano di piùnella prevenzione. A preoccuparemaggiormente l’Oms è la cosiddetta“movida”, con i suoi assembramentiincontrollati e i rischi conseguentiper la trasmissione del virus.

Mentre il covid-19 non accenna arallentare la sua andatura, continuaanche la corsa a un vaccino. La Rus-sia punta a essere il primo Paese almondo a registrarne uno, nonostantele preoccupazioni sulla sua sicurezzae sull’efficacia. Il farmaco cui sta la-vorando l’istituto nazionale di ricer-ca Gamaleya è stato inviato al Mini-stero della Salute per essere valutatodagli esperti. Ci si aspetta che la suaregistrazione avvenga tra il 10 e il 12agosto. Potrebbe, invece, ricevere ilvia libera nel primo semestre del2021 il vaccino sviluppato dal grup-po farmaceutico francese Sanofi e daquello britannico GlaxoSmithKline.

I due colossi industriali hanno ri-ferito di colloqui in corso con gliesperti della Commissione europea,Italia, Francia e altri governi per ga-rantirne l’accesso mondiale.Il presidente del governo spagnolo Sánchez in Parlamento (Epa)

di ANNA LISA ANTONUCCI

È tempo di ripensare le nostrecittà e la pandemia da covid-19 ce ne dà l’opportunità. Lo

ha dichiarato il segretario generaledelle Nazioni Unite, António Gu-terres, affrontando il tema dell’im-patto del virus sulla realtà urbana esottolineando come la crisi genera-ta dal covid abbia portato moltecittà a ripensare i propri spazi «acreare piste ciclabili e zone pedo-nali, recuperando il verde e miglio-rando la mobilità, la sicurezza e laqualità dell’aria».

Gli interventi di sostegno e rilan-cio dell’economia vanno dunqueorientati, ha detto, a una ripresa«verde, resiliente e condivisa» conun percorso a basse emissioni dicarbonio e che promuova obiettividi sviluppo sostenibile. Per il capodelle Nazioni Unite, il lockdown edunque la rapida adozione del tele-lavoro mostra, ad esempio, come lesocietà possano trasformarsi «dalgiorno alla notte» per scongiurarele minacce urgenti. Dunque, secon-do Guterres è possibile impiegare«la stessa urgenza e determinazio-ne» per trasformare le città e af-frontare le crisi climatiche e di in-quinamento.

Guterres ritiene che sia giunto ilmomento non solo di «ripensare erimodellare il mondo urbano», maanche di adattarsi «alla realtà diquesta come a quelle di future pan-demie». Le zone urbane, infatti,sono state l’epicentro della pande-mia di covid-19 e hanno fatto regi-strare il 90 per cento dei casi di in-fezione segnalati nel mondo «è ne-cessario dunque che l’opp ortunitàcreata dalla crisi sia utilizzata percostruire città più resilienti, inclusi-ve e sostenibili».

Il numero uno dell’Onu ha inol-tre elogiato la «straordinaria soli-

darietà dimostrata dalle comunitàurbane di fronte al covid-19», rife-rendosi agli “sconosciuti” che si so-no aiutati a vicenda e hanno fattoil tifo per i lavoratori essenziali,nonché ai commercianti che hannodonato forniture vitali. «Lo spiritoumano appare nella sua luce mi-gliore. Nella lotta contro la pande-mia e la ripresa, le città stanno di-ventando centri di solidarietà uma-na, innovazione e ingegno», hadetto Guterres.

Oggi dunque, secondo il segreta-rio generale Onu, abbiamo di fron-te a noi «un’opportunità per riflet-tere e ripensare il modo in cui lecittà vivono, interagiscono e rico-struiscono». A questo fine Guterresha elencato tre raccomandazioniprincipali.

In primo luogo, ha chiesto digarantire che vengano affrontate ledisuguaglianze a lungo termine e ideficit di sviluppo e che la coesio-ne sociale sia mantenuta per tuttala lotta contro la pandemia. «D ob-biamo dare priorità — ha esortato— alle persone più a rischio nellecittà e garantire un centro di acco-glienza sicuro per tutti e un rifugiodi emergenza per i senzatetto». Haanche ricordato che un quarto del-la popolazione urbana mondiale vi-ve in baraccopoli.

In secondo luogo, Guterres sol-lecita sia «rinforzata la capacità deigoverni locali». «Nei piani di risa-namento e in altre misure di soc-corso, dobbiamo rispondere in mo-do appropriato e rafforzare la capa-cità dei governi locali», ha afferma-to, chiedendo anche un’azione riso-luta che «aumenti la cooperazionetra le autorità locali e nazionali».

Infine, il Segretario generale hasollecitato un impegno globale peruna ripresa economica «verde, resi-liente e condivisa».

Mattarella ricordale vittime

della stragedi Bologna

ROMA, 30. «Vi sono poche parole dapoter pronunciare: dolore, ricordo,verità». Così si è espresso oggi ilpresidente della Repubblica italiana,Sergio Mattarella, rendendo omag-gio alle vittime della strage di Bolo-gna (2 agosto 1980). «Non si smarri-sca mai la consapevolezza di quantoavvenuto» e per questo «occorreraccogliere ogni elemento di verità»ha sottolineato il capo dello stato,che poco prima di recarsi alla stazio-ne di Bologna ha partecipato allamessa in suffragio delle vittime dellestragi di Ustica (27 giugno 1980) edi Bologna.

«La memoria ci fa provare, anche,l’acuta e insopportabile ingiustiziadella mancanza di verità, amara, per-ché memoria anche di delusioni, diritardi, di opacità spesso senza voltoe senza nome, di promesse nonmantenute, di mandanti, che ci so-no, protetti dall’ombra di quelle chesono vere e proprie complicità» hadetto l’arcivescovo di Bologna, car-dinale Matteo Zuppi, nell’omelia.«Chiediamo ancora — ha aggiunto ilcardinale Zuppi — che chi sa qualco-sa trovi i modi per comunicare tuttociò che può aiutare la verità, perchéanche se scappiamo dal giudizio de-gli uomini non scappiamo dalla no-stra coscienza e soprattutto dal giu-dizio di Dio».

Oltre 40 migranti arrivati a Lampedusa

Non si fermano gli sbarchi

Un gruppo di migranti intercettato e riportato in Libia (Reuters)

Il premier maliano tende la manoall’opp osizione

Discorso alla Nazionedel re del Marocco

Zimbabwe: sette bambini nati mortiin un ospedale per carenza di medici

HARARE, 30. La pandemia torna acompromettere in modo indirettol’efficienza degli ospedali, con effet-ti drammatici per i pazienti, soprat-tutto i più piccoli.

Negli ospedali di Harare, la capi-tale dello Zimbabwe, sette bambinisono nati morti nelle ultime oreperchè non c’era abbastanza perso-nale medico. Partorienti bisognosedi trattamenti urgenti per compli-canze non hanno potuto così avererepentino soccorso a causa di pro-blemi di personale, come hannoconfermato due medici alla Bbc.

Vari tagli cesarei subiscono esitimortali. La storia, già tragica, di-venta terribile con l’affermazione diun medico, che ha dichiarato che sitratta solo della «punta dell’ice-berg» di una situazione che si pro-trae da tempo. Un fenomeno che«deruba lo Zimbabwe del suo futu-ro», come hanno sottolineato altrimedici su Twitter.

Da settimane gli infermieri delloZimbabwe sono in sciopero a livellonazionale a causa della mancanzadi dispositivi di protezione indivi-duale per il coronavirus.

BA M A KO, 30. Diplomazia al lavoroin Mali per risolvere la grave crisipolitico-istituzionale e trovareun’intesa sul nuovo Governo diunità nazionale, dopo le controver-se elezioni degli scorsi mesi.

Finora non è stato trovato alcunaccordo tra l’Esecutivo del presi-dente Ibrahim Boubacar Keïta e igruppi di opposizione, che conti-nuano a chiedere a gran voce le di-missioni del capo dello Stato. Falli-ta anche la recente missione deileader della Comunità economicadell’Africa occidentale (Ecowas).

Nel tentativo di fare ripartire ildialogo, il primo ministro maliano,Boubou Cissé, si è recato di perso-na presso l’abitazione dell’imamMahmoud Dicko, influente leaderdel Movimento 5 giugno che èall’opposizione. L’obiettivo è con-vincere Dicko a unirsi al Governodi unità nazionale — proposto an-che dall’Ecowas — per risolvere lacrisi.

I Paesi confinanti con il Mali te-mono che le difficoltà politiche a

Bamako destabilizzino l’intera re-gione del Sahel. Si tratta di un’a re agià alle prese con le violenze deijihadisti e di vari gruppi armati, cuisi somma un’economia debole e inpeggioramento per l’impatto dellapandemia di covid-19.

Il Movimento 5 giugno (la datain cui sono iniziate le proteste nellacapitale) ha finora respinto ogniproposta di intesa, ribadendo lapropria richiesta di dimissioni delpresidente — accusato, affermano,di avere «la piena responsabilità»della crisi politica — anche dopo ilvertice straordinario dell’Ecowas.

Sempre su indicazione della Co-munità economica dell’Africa occi-dentale, Keïta ha formato un go-verno ridotto di sei ministri (Dife-sa, Giustizia, Sicurezza, Ammini-strazione territoriale, Affari Esteried Economia e Finanze) e presie-duto da Cissé, mentre l’opp osizio-ne non ha ancora fatto passi avantiin direzione del confronto.

L’Onu ha sollecitato le parti atrovare un accordo al più presto.

RA B AT, 30. Per rilanciare l’economia,pesantemente colpita dalla crisi delcovid-19, il re del Marocco, Moham-med VI, ha garantito un’iniezione da120 miliardi di dirham, pari all’11 percento del pil. Lo ha detto ieri in undiscorso alla Nazione, in occasionedell’anniversario della salita al trono— 21 anni di regno — e dell’iniziodella festività musulmana del sacrifi-cio. Era dalle celebrazioni della finedel Ramadan che il sovrano non simostrava in pubblico. C'era moltaattesa per il discorso e apprensioneper la salute del sovrano, che duran-

te la pandemia ha subito anche unintervento al cuore.

«Proteggere i cittadini e agirenell’interesse della Nazione», eccola doppia priorità del re che, comed’abitudine, in questa ricorrenza, haconcesso la grazia a 1.446 condanna-ti. «Nell’arco di 15 anni — ha ag-giunto — la copertura sociale dovràessere estesa a tutti i cittadini».

Il re ha poi ringraziato quanti sisono dedicati alla causa, tra perso-nale sanitario, forze dell’ordine eprotezione civile, «sempre in primalinea nella lotta alla pandemia».

In Italiasempre più

famiglie a rischiopovertà assoluta

ROMA, 30. Con l’emergenza pro-vocata dal coronavirus sono oltredue milioni in più le famiglie ita-liane a rischio povertà assoluta. Èquesta in sintesi la fotografia scat-tata da un rapporto di Censis-Confcooperative che analizza i da-ti Istat e Svimez su occupazione ereddito. «Sono 2,1 milioni le fami-glie con almeno un componenteche lavora in maniera non regola-re», di queste «1.059.000 famiglievivono esclusivamente di lavoro ir-regolare» spiegano i dati. Gli irre-golari sono più di 3,3 milioni.

Intanto, a giugno il tasso di di-soccupazione in Italia è risalitoall’8,8 per cento, in aumento di0,6 punti rispetto a maggio. Se-condo l’Istat, la crescita delle per-sone in cerca di lavoro «è consi-stente», ossia pari a 149.000 unitàin più (7,3 per cento). Il rialzo ri-guarda soprattutto gli uomini (9,4per cento in più pari a 99.000unità, contro il 5,0 per cento inpiù, pari a 50.000, delle donne) einteressa tutte le classi di età. Ilcalo dei posti di lavoro (46.000 inmeno rispetto a maggio) riguardasoprattutto le donne, con una per-dita di 86.000 unità, e i dipenden-ti stabili. A colpire è soprattutto ildato sui giovani. A giugno il tassodi disoccupazione giovanile (15-24anni) è aumentato al 27,6 percento.

ROMA, 30. Non si ferma l’allertasbarchi sulle coste italiane. Questamattina a Lampedusa ci sono stati4 sbarchi, fra cui due approdi di-rettamente al molo Favarolo e almolo commerciale, per un totale di47 immigrati giunti a terra. Sullaterraferma sono stati bloccati, dallaGuardia di finanza, prima 7 e poi 9tunisini. Al largo, una motovedettadelle Fiamme gialle ha intercettatoinvece due barchini: uno con 10 tu-nisini e l’altro con 21 migranti, fracui 4 minori e 5 donne, una delle

quali ucraina. Tutti sono stati por-tati all’hotspot di contrada Imbria-cola per essere identificati.

Intanto, il centro di accoglienzadi Campo Roja, a Ventimigliaterminerà le attività domani. Lo hacomunicato la prefettura di Impe-ria alla Croce Rossa che ha in ge-stione il campo. Oggi è previsto iltrasferimento degli ultimi 30 mi-granti in un centro di accoglienzastraordinario in provincia diImp eria.

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 31 luglio 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è:

come me la cavo eroicamente in quest’a f f a re ,

ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene» (D. Bonhoeffer)

Al momento del lockdown il sistema educativo italiano viveva già un momento di profonda crisi

La scuoladeve ripartire dalle realtà locali

di PAT R I Z I O BIANCHI*

Mentre cresce l’attesa per unariapertura a settembre cheriporti la scuola alla nor-

malità precedente al virus, l’Istat ciricorda che quella normalità nonpoteva certamente dichiararsi soddi-sfacente. L’Italia è il Paese d’E u ro p acon i più bassi livelli di istruzione, ipiù alti tassi di dispersione scolasti-ca e il più alto numero di “NEETS”,cioè di ragazzi che non studiano enon lavorano, con un grado di di-vergenza fra Nord e Sud dichiarata-mente intollerabile. Non a caso que-st’Italia è anche il Paese d’E u ro p ache ha avuto il più basso tasso dicrescita negli ultimi venti anni e si èpresentata all’appuntamento fatalecon la pandemia con un tasso dicrescita annuale dello 0,3 per centosu base nazionale, quindi con le re-gioni del Nord appena sopra la sta-gnazione e le regioni del Mezzo-giorno già in recessione. Per questonon basta tornare alla situazioneprecedente, ma diviene assolutamen-te necessario che la riapertura disettembre sia l’avvio di un anno co-stituente per la scuola, che apra unanuova stagione in cui la scuola tornia essere, o forse meglio divenga, ilmotore di una nuova crescita.

Quattro sono i temi che è neces-sario affrontare in questa difficile fa-se, che — proprio perché di crisi —deve preparare un riposizionamentodell’intero Paese e con esso di tuttaun’Europa, che sta cercando nel pia-no per superare la pandemia l’o cca-sione per ritrovare la sua animasmarrita.

Innanzitutto a che cosa serve lascuola nell’epoca di internet? Noncerto a raccattare informazioni, es-sendo tutti noi travolti quotidiana-mente da informazioni, vere, false,presunte. La scuola deve essere illuogo in cui far crescere capacitàcritiche, visioni del mondo oltre ilpresente, il luogo cui issarsi sullespalle dei giganti del passato perscrutare un futuro che oggi apparecome non mai incerto e fragile.Questo vuol dire pensare innanzi-tutto ai contenuti e ai modi di unadidattica che sia veramente inclusivae rivolta a dare ai nostri ragazzistrumenti per comprendere questomondo così complesso, ma soprat-

tutto che insegni loro a “fare comu-nità”, cioè a ricomporre diritti e so-lidarietà di una società molto piùarticolata del passato.

Diritti e solidarietà sono del restol’asse fondante della nostra Costitu-zione, a cui tornare sempre e in par-ticolare nei momenti di incertezza.La Costituzione dice all’articolo 33 e34 che la scuola deve essere aperta atutti e basata sulla libertà di inse-gnamento, ma queste affermazioniprendono corpo solo tenendo contodei primi articoli, in cui si dice chela Repubblica riconosce i diritti in-violabili dell’uomo — “riconosce”perché i diritti vengono prima dellaRepubblica — ma contestualmente“richiede l’adempimento dei doveriinderogabili di solidarietà politica,economica e sociale” (art.2).Un’educazione alla solidarietà divie-ne quindi un asse portante di unascuola che vuole uscire non solodalla lunga notte del covid, ma an-cor più vuole ritrovare un sentierodi crescita, sostenibile, inclusivo,umano.

Educare alla solidarietà vuol direpartire dalle effettive realtà locali,per ricostruire con i ragazzi percorsidi conoscenza condivisa, anche la-boratoriale, in cui ognuno — nonuno di meno — possa parteciparedella scoperta collettiva. Questo si-gnifica uscire dagli schemi concet-tuali del ‘900, dalla scuola basata suprogrammi, orari, discipline, struttu-rate da ordinanze e disposizionicentrali. E questo implica che il di-rigente scolastico non si senta l’ulti-mo anello di una catena gerarchicache da Roma arriva al suo istituto,ma sia il promotore di una nuovaalleanza con il suo territorio, in cuila scuola sia percepita come pilastroessenziale. Sono molte le esperienzein cui questi principi sono divenutirealtà, anche nei mesi della pande-mia. Ne cito uno per tutti, l’ “ISISNatta” che opera nel centro di Ber-gamo, il cuore della pandemia, eche è riuscito a mantenere in questesettimane buie accesa la fiaccoladella scuola.

Ecco allora il secondo punto:quale autonomia per la scuola italia-na. L’autonomia scolastica è stataintrodotta già nel 1997 allorché ilGoverno Prodi — con Luigi Berlin-guer all’Istruzione — promosse unavasta azione di ridisegno della so-cietà italiana, in vista dell’entratanell’euro e dell’apertura dei mercatiinternazionali con la creazione delWorld Trade Agreement, che dal2000 darà il via alla globalizzazionedelle economie. In quel disegnol’autonomia non era né lo scaricaba-rile delle responsabilità dal Ministe-ro all’ultimo preside, né il “lib eritutti”, come qualcuno tutt’oggi ba-nalizza. Si trattava invece di un di-segno di unità del Paese, che vedeval’assunzione di obiettivi formativicomuni da raggiungere da parte dichiunque, in ogni parte del Paese,ma riconosceva la possibilità di co-struire percorsi che tenessero contodelle effettive diversità di partenza,dotando i territori delle necessarierisorse per poter raggiungere queifini comuni. L’uniformità è il modopiù semplice di governare, impo-nendo a tutti una stessa regola, manon è né efficiente, né giusto, per-ché consolida le diseguaglianze, tral’altro ponendo a carico degli ultimiil costo umano dell’inseguimentosenza possibilità di raggiungere, senon raramente, chi era partito giàavvantaggiato. L’autonomia scolasti-ca tuttavia si è insabbiata in anni diindividualismo prima e di populi-smo poi, per tornare a riecheggiare

nei più recenti atti di governo, la-sciando quindi sperare in una pro-spettiva di ripresa futura di un per-no di una democrazia matura.

Il terzo punto è il rapporto con ilterritorio. A vedere i numeri appareevidente che si è aperta una nuovaQuestione meridionale. Se il tassodi uscita precoce dal sistema diistruzione e formazione nelle regionidel Nord si avvicina alla media eu-ropea, cioè al 10 per cento, nel sud— con punta massima in Calabria —siamo a oltre due volte la media eu-ropea, cioè che perdiamo per stradamolti ragazzi, condannandoli a unapovertà educativa che non può cheessere fonte di nuova povertà mate-riale.

Nel Rapporto Invalsi pubblicatonel 2019 — che misura i risultatieducativi riportati dalle scuole italia-ne — emerge con chiarezza che alSud e nelle Isole i risultati sono piùbassi della media nazionale e chequesta divergenza si aggrava conl’avanzare nel percorso di studi.Giunti alla licenza media nel Sud enelle Isole il 45,9 per cento deglistudenti non arriva al livello ritenu-to minimo nelle prove di italiano eil 55,7 nelle prove di matematica,con punte che sfiorano il 60 percento in Calabria. La media nazio-nale è del 34,4 per cento per l’italia-no e del 38,7 per cento per la mate-matica. Il Sud e le Isole presentanoinoltre una maggiore variabilità trascuole e tra classi, con una polariz-zazione che crea nuove polarizzazio-ni all’interno della stessa area piùarretrata. Secondo il Forum Disu-guaglianza e Diversità, l’arcip elagodel fallimento formativo ed educati-vo coinvolge oggi in Italia 1.300.000bambini e ragazzi in povertà assolu-ta e altri 2.300.000 in povertà relati-va; tutto ciò si traduce in povertàeducativa, che si concentra in parti-colare in Campania, Puglia, Cala-bria, Sicilia e Sardegna.

E qui sta l’ultimo punto. Perchél’Italia è cresciuta meno degli altriPaesi europei negli ultimo venti an-ni? E che cosa occorre, quali com-petenze servono per un ripresadell’economia italiana in questa etàdella digitalizzazione e della globa-lizzazione aldilà della pandemia?L’Italia è cresciuta poco perchétroppo piccola è l’area geografica incui si concentrano imprese in gradodi muoversi a livello internazionalecon capacità di innovazione. Inoltre,troppo pochi sono i giovani concompetenze tali da sorreggere que-sta nuova crescita a livello interna-zionale, in cui servono meno com-petenze frammentate ed esecutive eoccorrono invece competenze voltea gestire problemi complessi. Occor-re lasciare spazio alla creatività equindi quell’educazione alla solida-rietà e a “fare comunità”, divieneanche la competenza principale pertornare a crescere; e allargare a tuttoil Paese la battaglia per sconfiggerele vecchie e nuove povertà educati-ve, diventa il modo per ritrovare lacrescita in una Europa che torni aessere orgogliosa di se stessa.

L’educazione — come scrivevaRomano Prodi nelle pagine di que-sto giornale pochi giorni fa — divie-ne quindi lo strumento anche perl’Italia per una ripresa che non siaeffimera e che possa avere possibili-tà di divenire socialmente sostenibi-le nei tempi che avremo dinnanzi anoi.

*Cattedra Unesco Educazione, crescitaed eguaglianza, Università di Ferrara

Partita dal Cape Canaveral

Nuova sonda su Marteper cercare tracce di vita

Si celebra la giornata internazionale

La tratta: un businesscriminale e intollerabile

di SI LV I A CAMISASCA

Sfruttamento sessuale, lavoroforzato, espianto di organi,adozione illegale, accattonag-

gio, matrimonio obbligato, servitùdomestica: lo squallido mercato del-la tratta degli esseri umani coinvol-ge milione di persone in tutto ilmondo, di cui circa il 72 per centodonne e bambini, destinati a “mer-ce” sessuale, mentre gli uomini amanodopera o, meglio, schiavi im-piegati nei più svariati settori. Comeogni anno, in occasione della Gior-nata internazionale dell’Onu controla tratta degli esseri umani, l’aggior-namento delle stime e l’analisi dellepercentuali scattano una fotografiaimpietosa, nonostante le buone in-tenzioni e le innumerevoli propostein materia di intensificazione dicontrolli e inasprimento di pene percoloro che hanno scelto e perseguo-no un business a tal punto criminalee intollerabile.

A ciò contribuisce la difficoltà distabilire il confine tra chi, alla ricer-ca disperata di una vita migliore, ri-mane vittima del suo stesso sogno, echi è, a tutti gli effetti, oggetto discambio di mercanti senza scrupoli:«Difficile individuare e distinguerequando, le bambine sui marciapiedidelle nostre periferie o nei bassifon-di delle megalopoli o tra gli immi-grati ai lavori forzati nei campi, sitrovano in una tale condizione perun percorso personale o perché ra-pito dai mercanti di vite umane»constata il presidente in Italiadell’Ordine degli assistenti sociali,Gianmario Gazzi.

specifici — continua il presidentedell’Ordine nazionale degli assisten-ti sociali —. Siamo intervenuti con ilProgetto Pueri della nostra Fonda-zione che, intercettando i minori iningresso sui barconi del mare, cer-chiamo di sottrarre, soprattutto lebambine, al terribile giro della pro-stituzione, predisponendo, fin dasubito, una prospettiva di vita di-gnitosa».

In altre circostanze, invece, è piùindicato intervenire a posteriori, do-po che le forze dell'ordine e la ma-gistratura hanno già identificato levittime: «In questi casi, garantiamo

sistematica di dati, mentre nel 2018erano aumentati a 65.

Emerge un quadro in cui Americaed Asia contano il maggior numerodi vittime, ma è la zona dell’Africasub-sahariana quella in cui preval-gono i minori (55 per cento del to-tale), mentre le regioni dell’Asiaorientale e meridionale vedono unamaggiore quota di uomini adulti(circa il 30 per cento). Dati che, perquanto parziali, definiscono anchele "destinazioni" dei nuovi schiavi:nei Paesi europei prevale lo sfrutta-mento sessuale, mentre nell’Africasub-sahariana e nel Medio Orienteil canale privilegiato è rappresentatodai lavori forzati. Se, per larghissi-ma parte (il 49 per cento) sono ledonne adulte a essere vittime, ben il23 per cento è rappresentato dabambine e, nel complesso, i minoricostituiscono il 30 per cento del to-tale.

L’Italia, con la legge 228 del2003, ha introdotto strumenti dicontrasto che, dal punto di vista le-gislativo, pongono il paese all’avan-guardia nella lotta a questa forma dicrimine, il cui strumento più effica-ce resta la prevenzione: «Guardan-do a monte, direi che fondamentaleè scongiurare qualsiasi tipo di con-flitto, lavorare per costruire la pace,garantire i diritti a tutti gli esseriumani, cooperare per lo sviluppodei popoli: questo sradica i criminicontro l’umanità» conclude Gazzi.

La scivolosità del campo di inter-vento aumenta il senso di impoten-za di fronte ad un fenomeno che,nelle stime dell’ultimo report GlobalSlavery Index della Walk Free Foun-dation, nel 2016 ha coinvolto 40,3milioni di esseri umani nel mondoe, secondo i dati dell’O rganizzazio-ne internazionale del lavoro (Oil),rende agli sfruttatori un profitto di150 miliardi di dollari all’anno, ag-giudicandosi la terza postazione nel-la classifica dei giri d’affari più red-ditizi, alla spalle di traffico di armie commercio di stupefacenti. Nonsolo: l’Unodc — l’ufficio delle Na-zioni Unite responsabile del con-trollo e della prevenzione del crimi-ne — nello studio 2018 Global Re-port on Trafficking in Persons re l a t i v oai dati provenienti da 142 Paesi, halanciato l’allarme sull’inequivo cabilee preoccupante aumento di vittimedi tratta umana.

Alla gravità di un fenomeno inespansione, anche numericamente,aveva già rivolto le sue attenzioniPapa Francesco lo scorso 8 febbraio,quando, in occasione della firma diuna dichiarazione congiunta con irappresentanti delle diverse fedi edelle altre confessioni cristiane con-tro la moderna schiavitù, definì «innome di tutte e di ciascuna dellenostre fedi, la nuova schiavitù, intermini di traffico di esseri umani,lavoro forzato, prostituzione, sfrut-tamento di organi, un crimine con-tro l’umanità». Contro l’umanitàtutta, per altro, non risparmiandoneppure un angolo di mondo, dovela tratta si nasconde spesso dietro alvolto sfinito e assente di giovanissi-me nigeriane, costrette alla prostitu-zione da violenze inaudite, consu-mate nello squallore e nella solitudi-ne di esistenze private di ogni mar-gine di libertà. Ma, non di meno, sinasconde dietro all’innocenza dibambine e bambini destinati, senzascampo, ad accattonaggio, prostitu-zione, illegalità di reati e rapine. E,infine, dietro agli uomini, forzati aritmi di lavoro inumani, sfiniti dallepercosse di aguzzini senza pietà,ammassati come bestie in baracco-poli senza le più elementari condi-zioni igieniche.

Come agire, dunque, per recupe-rare da questo inferno gli ultimi de-gli ultimi?. «Le situazioni sono cosìdiverse che richiedono programmi

loro, in prima battuta, la necessariaprotezione dai loro sfruttatori, e poile accompagniamo, con percorsieducativi, al reinserimento sociale»specifica Gazzi, sottolineando i ri-schi impliciti in tutte le fasi di con-trasto a gruppi criminali organizzatie potenti. Nonostante questo, è cosìinammissibile assistere a una taletragedia umana, da richiamare tuttinoi alla responsabilità di non arren-derci ad una società incivile. «Nonpossiamo girare il capo dall’altraparte, quando, vicino a noi, sappia-mo nascondersi in baracche e ma-gazzini centinaia di esseri umanisfruttati anche per quel che consu-miamo quotidianamente alle nostretavole» aggiunge Gazzi, concluden-do che «proprio a quelle baraccopo-li, in quanto assistenti sociali, occor-re arrivare».

I più esposti alla tratta umana so-no quelli che vivono in aree di con-flitto, come testimonia la più recen-te analisi dell’Unodc, affrontando,nello specifico, la materia nei Paesiin guerra, più vulnerabili ai crimini,come anche quelli con un debolestato di diritto, che, solitamente,coincidono con le regioni più pove-re: non a caso, la carenza di risorsefornisce ai trafficanti il terreno piùfertile per agire e lucrare, molto lau-tamente, sulla pelle della disperazio-ne di coloro che fuggono ai conflit-ti: proprio loro sono il primo bersa-glio dei gruppi armati, in molti ter-ritori dell’Africa sub-sahariana, delMedio Oriente e dell’Asia, dove ilrapimento e la sparizione di esseriumani non sono solo finalizzati agliaffari economici e alle lotte di pote-re militare, ma anche al ricatto e al-la sottomissioni delle comunità loca-li.

A colpire nel già citato 2018 Glo-bal Report on Trafficking in Persons è,comunque, il progressivo aumento,a livello globale, del numero dellevittime, con un incremento nel 2016del 40 per cento rispetto ai numeridel 2011. Tuttavia, occorre registrareche tale aumento è anche frutto del-la maggiore capacità di reazione econtrasto dei singoli Stati, sianell’identificare le vittime, sianell’attivare procedure più efficienti.A prova di ciò, nel 2009 soltanto 26paesi prevedevano l’istituzione didipartimenti ad hoc per la raccolta

La tratta di persone continua ad essere una feritanel corpo dell’umanità contemporanea.

Ringrazio di cuore tutti coloro che operanoa favore delle vittime innocenti

di questa mercificazione della persona umana.Tanto rimane ancora da fare! #EndHumanTrafficking

(@Pontifex_it)

WASHINGTON, 30. È partita dallabase della Nasa a Cape Canaveral,in Florida, la missione Mars2020destinata a portare su Marte lanuova sonda Perseverance, la pri-ma progettata per cercare tracce divita microbica passata. Analizzeràle caratteristiche del pianeta, suc-cessivamente raccoglierà dei cam-pioni che saranno riportati sullaTerra con future missioni di recu-pero che saranno effettuate in col-laborazione con l’agenzia spazialeeuropea. Il lancio è avvenuto conun razzo Atlas 5 .

«È la prima volta nella sua sto-ria che la Nasa dedica una missio-ne all’astrobiologia, la ricerca dellavita su altri mondi», ha rilevato

l’amministratore capo dell’agenziaaerospaziale statunitense, Jim Bri-denstine. Oltre a cercare le formedella vita passata o presente, «lasonda Perseverance raccoglieràcampioni di rocce marziane chedovranno essere portati a Terra dauna futura missione», ha osservatoil responsabile della missioneAdam Steltzner, del Jet PropulsionLaboratory (Jpl) della Nasa.

Saranno inoltre testati i materia-li destinati a tute e casco dei futuriastronauti che andranno su Martee che dovranno schermarli dallagrande quantità di raggi cosmici eradiazioni che arrivano sulla super-ficie del pianeta rosso a causa dellasottile atmosfera di Marte.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 venerdì 31 luglio 2020

di CRISTIANO GOVERNA

«P er me la tristezzanon esiste — di-ceva Franca Va-leri —. È solouna pausa per ri-

prender fiato tra una battuta e l’al-tra. Serve a riordinare le idee, comeun sorso di whisky per l’alcolista ola rosa dal gambo lungo per una si-gnora ancien régime».

Come tutte le cose veramentegrandi, Franca Valeri inizia a man-carci mentre ancora c’è. A lei dob-biamo la capacità di dire la veritàpiù scomoda nel modo in cui fa me-no male, parlando d’altro, col sorrisoquasi.

Oltre a questo, dal 31 luglio le do-vremo cento anni di compagnia, alnostro fianco, per dirci che la vita èun po’ terribile e che in fondo, que-sto, non è grave. Lo si capisce per-ché a raccontarlo fa ridere. Perchésiamo più forti, non si sa nemmenodi cosa, ma lo siamo.

Norsa è il suo vero cognome, pre-sto tramutato in Valeri in omaggiodel poeta Valery come lei stessa ri-corda «Cosa significa la parola tristenon l'ha scoperto nemmeno Valery,il mio poeta preferito quando, tantianni fa, mi impadronii del suo co-gnome per nascondere Norsa, il miocognome che, agli inizi, mi regalò ilflop più tragico della mia carriera,

(al fianco di Vittorio Caprioli chediverrà suo marito e del grandeLuciano Salce). Con la sua compa-gnia sviluppa un teatro di satirasulla società contemporanea, quellostesso guardo divertito e pungenteche diverrà il suo marchio di fab-brica.

ni Sessanta, spesso diretta da Anto-nello Falqui) a quelle nel cinema chel’ha scoperta come si scoprono igrandi, diversa. Da tutto. È Fellini,in Luci del varietà, che la porta sulgrande schermo e le affida il ruolodi una bizzarra coreografa ungheresedal tratto surreale e vagamente mi-sterioso.

Far sorridere senza disumanità,scorticare i nostri vizi senza giudi-carci, è uno dei suoi doni. L’i m p re s -sione è che ogni ruolo le si consegniFranca ce lo restituisca più onesto,perbene. Le parti non sembrano as-segnate a lei ma appartenerle in na-tura prima che sul copione.

Il cinema le spetta prima ancoradi conoscerla. Come dimenticareuna donna milanese di nome CesiraColombo, dattilografa, che a Romaaspetta l’a m o re ?

È Il segno di Venere dove, nellemani di Dino Risi, Franca sprigionatutta la forza della fragilità. Una car-tomante predice a Cesira che Veneresia in transito nel suo segno, il tantoatteso amore della vita, è dunque inarrivo. E Cesira fa quello che fannole ragazze semplici, di cui ci piaceridere credendo di non somigliareloro: crede nelle stelle.

A quel punto, ogni uomo che in-crocia potrebbe essere quello giusto,e lei lo vive così. Come quel poetascalcinato, meravigliosamente cial-trone (Alessio, interpretato da Vit-torio De Sica) che si prende giocodi lei.

Cesira lo sa. La Valeri, i suoi per-sonaggi, sanno sempre tutto, cono-scono il finale di ogni avventura, ma

nel loro cuore, il gusto del viaggiovale la mediocrità della meta.

Un capitolo a parte meriterebbe ilpercorso cinematografico al fianco diAlberto Sordi, il cui passaggio piùmemorabile resta quella Elvira Am-miragli coprotagonista con Sordistesso de Il Vedovo.

In quel film lei, imprenditrice mi-lanese cinica e di successo, vive colmarito romano (Sordi) caricaturaleprototipo del cialtrone italiano, inca-pace, opportunista e senza alcunprincipio.

Durante le riprese, lei invental’appellativo di “c re t i n e t t i ” con ilquale il suo personaggio si rivolge almarito. «Cosa fai cretinetti, parli dasolo?» gli chiede irrompendo di sor-presa a quella che avrebbe dovutoessere la sua stessa veglia funebre,gettando il mancato vedovo (e dun-que mancato ereditiero) nello scon-forto più assoluto.

E poi il teatro, primo amore diFranca, al quale negli ultimi vent’an-ni, ha nuovamente donato se stessa.Quel palcoscenico solcato come un

mare che puntualmente, ogni sera, lafa rincasare nell’affetto del suo pub-blico. Di chi la ama e non smette difarlo, proprio come piace a lei, condiscrezione e senza troppe parole.

Qualche giorno dopo la morte diAlberto Sordi, fra i tanti necrologicoi quali amici e colleghi lo ricorda-vano, talvolta con un pizzico di reto-rica, Franca volle salutarlo a modosuo, dalle pagine del «Corriere».“Ciao Cretinetti” Franca Valeri, Mi-lano.

Il 31 luglio Franca Valeri compie cent’anni

Buonanottetristezza

Storia di Eagle Woman, pacifista, diplomatica, educatrice, attivista e capo di una tribù Sioux

Mediatrice tra mondi diversi

A lei dobbiamo la capacità di dire la verità più scomodanel modo in cui fa meno maleCioè parlando d’altro, col sorriso quasiUno dei suoi doni consiste proprionel far sorridere senza disumanitàe nello scorticare i nostri vizi senza giudicareL’impressione è che ogni ruolo le si affidiFranca ce lo restituisca più onesto

Franca Valeri con Alberto Sordinel film «Il vedovo»

Eagle Woman That All Look At (La donna aquila che tutti guardano)

Santippe, ovvero la sopravvissutaIl Piccolo di Milano mette in scena il monologo «La vedova Socrate»

di ALESSANDRO CLERICUZIO

È stata l’unica donna della storia acapo di una tribù Sioux. Pacifi-sta, diplomatica, educatrice, atti-vista, Eagle Woman That AllLook At (La donna aquila che

tutti guardano) nacque in una tenda Lakota(una delle tre “grandi tribù Sioux”) un gior-no non identificato del 1820, lungo le spon-de del fiume Missouri. Dal padre, un capotribù, prese un profondo senso di necessitàdella pace tra popoli, dalla madre una sensi-bilità che la donna portava nel nome, RosyLight of Dawn (Rosea Luce dell’Alba).

Ma Eagle Woman rimase orfana abba-stanza presto, e le necessità di sussistenza leprocurarono un'ulteriore praticità nell’a f f ro n -tare la vita quotidiana, nonché un matrimo-nio con un mercante di pellicce provenientedall'Europa. Per quanto possa apparire stra-no, in una nazione in cui i matrimoni inter-razziali ancora oggi fanno storcere il naso aqualcuno, questi legami tra nativi e colonieuropei all’epoca non erano rari. In partico-lare, succedeva che nelle zone dell’attualeCanada i mercanti sposassero donne indianeanche per avere una maggiore capacità dicomunicazione, come si direbbe oggi, inter-culturale.

Sebbene crebbe nelle pianure occidentalidi quello che oggi è lo stato del South Da-kota, senza alcun contatto con i pionieri, po-co dopo la morte dei genitori, Eagle Womane la tribù cui apparteneva furono diretta-mente esposti alla presenza degli europeinelle loro terre. Rimasta orfana, all’età di di-ciotto anni sposò un certo Honoré Picotte,commerciante di pelli che era alla ricerca diun mercato fruttuoso per le sue merci. La

coppia ebbe due figlie, Lulu e Louise. L’in-teresse commerciale dei pionieri si sposava,in realtà, ad una vera e propria apertura cul-turale verso l’altro, una pratica che contra-stava, sebbene in misura molto ridotta, le at-tività di dominio da parte dei pionieri chestavano conquistando quelle terre. Gli stessiLakota si erano spostati tra il 18esimo e il19esimo secolo dalla loro collocazione storicaverso le Grandi Pianure, le terre tra il Mis-sissippi e le Montagne Rocciose, a causadella natura belligerante dei loro “vicini” i ro -chesi.

Eagle Woman, quindi, visse in un’ep o cain cui il suo popolo dovette affrontare gran-di cambiamenti culturali (acquisirono sia di-mestichezza col cavallo, sia con il commerciodelle pellicce) e instabilità politica a causa dialtre tribù e degli invasori bianchi al tempostesso.

Nel 1805 era stato firmato il primo trattatotra i Sioux e gli americani, in particolare trai Dakota e l’ufficiale dell’esercito a stelle estrisce Zebulon Pike. I bianchi volevano sta-bilire avamposti militari (contro i francesi) interre indiane, mentre questi ultimi volevanomantenere la libertà di spostamento e di cac-cia. Pike negoziò 100.000 acri in Minnesota,dando inizio a una serie di trattati che, sottol’apparenza di una regolamentazione deirapporti tra indiani e americani, avevanol’effetto di sottrarre ai nativi terre e diritti.Eagle Woman ne era ben consapevole, e de-dicò gran parte della propria vita a migliora-re i rapporti tra il suo popolo e i pionieri,nonché tra le varie tribù indiane in unoscacchiere ricco di diverse culture e, conse-guentemente, di attriti.

Non sono molti i dettagli della vita priva-ta di questa donna, nota anche come Matil-da, arrivati a noi. Si sa che una decina di

anni dopo il matrimonio con Picotte que-st’ultimo tornò dalla sua famiglia bianca —che aveva lasciato per Eagle Woman — e sistabilì a Saint Louis, al Sud, lontano daifreddi canadesi. Su Matilda si posarono gliocchi di un protegé di Picotte, Charles Gal-

pin, che — diversamente dal precedente — lascelse come unica, e quindi ufficiale, consor-te. La coppia intensificò il commercio dipellicce avanzando verso Nord, dove aumen-tava la necessità di questi beni, e così facen-do Matilda sviluppò sempre maggiori capa-

il nome di Matilda Picotte Galpin. Quandoil marito morì nel 1868, Matilda prese inmano la sua attività e si contraddistinse peruna insolita generosità nei confronti degli in-diani della sua tribù e di tribù vicine, chedovettero affrontare grandi difficoltà econo-miche a causa dello spostamento territorialeimposto loro dai pionieri. Nel 1872 accompa-gnò una delegazione di capi Lakota a Wa-shington e a New York per un incontro colgoverno americano, i cui ufficiali stavano fa-cendo di tutto affinché gli indiani accettasse-ro di vivere nelle riserve loro assegnate. Con-sapevole della condizione innaturale cui ve-nivano assegnate le tribù indiane, Matildatentò tuttavia di negoziare diplomaticamentele condizioni.

Per via del suo piglio commerciale, fucontattata da produttori di armi americani,ma in nome del pacifismo che l’aveva sem-pre contraddistinta rifiutò drasticamenteguadagni esorbitanti pur di non avere a chefare con la vendita di armi.

Il suo interesse era altrove: nel 1876, conl’aiuto della figlia maggiore Louise, costituìla prima scuola cattolica indiana della re-gione, a Standing Rock, nella quale si dedi-cò costantemente all’educazione dei bambi-ni nativi in un’ottica di rispetto delle tradi-zioni indiane e al tempo stesso aprendo anumerosi aspetti del cattolicesimo. Nono-stante questa “ibridazione” culturale possaaver suscitato il disappunto dei sostenitoridei diritti dei nativi, la figura di Matilda Pi-cotte Galpin è considerata un’eroina Siouxe un caposaldo della storia indiana proprioper la sua capacità di mediare tra mondi di-versi e spesso in contrasto tra loro, unesempio di convivenza pacifica e rispettorecipro co.

Caterina di Dio, una tragedia scrittadal ventenne Giovanni Testori che,bontà sua, ahimé col mio pieno con-senso mi scambiò per un’attricedrammatica».

Come spesso accadeva Testoriaveva visto giusto, aveva individuatotalento e drammaticità, i due ele-menti chiave per diventare grandicomici. Come è toccato a Franca.

Di madre cattolica e padre ebreo,Franca inizia proprio dal teatroil suo viaggio, esordisce nel 1947con il personaggio di Lea Lebowitz,una ebrea innamorata del rabbino,più tardi entrerà a far parte dellacompagnia del Teatro dei Gobbi

Dalla “signorina snob” alla “soraCecioni” la Valeri cambia solo l’an-golo di visuale, il punto di osserva-zione della realtà ma ciò che vede escarnifica sono sempre i nostri tic, ipiccoli difetti che diventano misuradi una società. Capisce che esistonocerti piccoli spigoli del vivere che ri-schiano di risultare invisibili ma che,una volta osservati, ci fanno ridere.E poi riflettere.

La sua carriera è stato un conti-nuo darci appuntamento, in luoghidiversi, nei quali sentirsi sempre,puntualmente, a casa.

Dalle incursioni televisive coi suoipersonaggi (nel sabato sera degli an-

di SI LV I A GUIDI

«R ubare? Non ho mai rubato mai niente invita mia» sorride Franca Valeri,allegramente altezzosa, alternando

indignazione autentica e collera simulata. Eriuscendo a trasformare persino un’intervista “diro u t i n e ” in una improvvisazione teatrale, comesuccede spesso agli attori che si sentono più a loroagio sotto i riflettori che a casa. «La smania difrugare nelle tasche altrui — continua Valeri (omeglio, Norsa, il suo vero cognome) è la veraragione di questa decadenza terribile. Le hoinventate, o al massimo prese in prestito le miebattute. Conoscevo i miei polli, come si dice». È unbrano tratto da un dialogo con «L’O sservatoreRomano» di qualche anno fa, avvenuto a margine diun incontro organizzato dal Vicariato di Roma, dellaserie Frammenti di bellezza. Titolo adeguato acelebrare la lunghissima, luminosa carriera di unafuoriclasse del teatro, dato che di frammenti dibellezza la signora Valeri ce ne ha regalati davveromoltissimi, sul grande schermo, in palcoscenico o inplatea come regista, alla scrivania della sua casaimmersa nel verde a Trevignano, alle prese conlibretti d’opera, copioni teatrali e raccolte di scritticomici dalla raffinata, perfida ironia. «Scrivere unacommedia non è difficile. Basta cominciare, ipersonaggi poi mi vengono incontro» spiegavaValeri, con candida civetteria, in quel placidopomeriggio del 2013 a Santa Maria in Montesanto,durante il rito del firmacopie, a chi le chiedeva ilsegreto di una creatività pressochè inesauribile. Perrendere omaggio alla Valeri autrice teatrale, ilPiccolo di Milano metterà in scena uno dei suoimonologhi più divertenti, La vedova Socrate a partiredal suo centesimo compleanno, il 31 luglio. Stessa

data per il debutto, in forma studio, del dialogoimmaginario Fra n c a , c o m e t e s o l o l a Va l e r i , scritto einterpretato dall’attrice padovana Lucia Schierano, ep er Auguri Franca! con Paola Lorenzoni, nella suaTrevignano. A dare voce e volto a Santippe (lavedova Socrate appunto) sarà Lella Costa,trasformando le invettive della bisbetica perantonomasia in una “normale” rassegna dellecontraddizioni e delle pietre di inciampo che nonmancano in nessun matrimonio. Una Santippe in cuila Valeri ha voluto tracciare il suo identikit di“sopravvissuta” carica di tante primavere, e (forse)anche una malinconica profezia su se stessa: vedovadue volte, quasi centenaria, ha l’onore (ma ancheanche l’onere) di essere «quella che resta quandotutti se ne sono andati».

Franca Valeri nel monologo «La vedova Socrate»

cità di comunicazione intercultu-rale. Grazie a questa esperienza,la donna assurse a figura diplo-matica riconosciuta sia dai nativiche dai bianchi. In nome di unaconvivenza pacifica, spingeva gliindiani a lavorare con i pionierie non contro di loro, mentre leistessa interveniva con gli ufficia-li del governo americano affin-ché venisse mantenuto il rispettodelle tradizioni e delle conven-zioni dei nativi, un concetto cheall’epoca era tutt’altro che scon-tato.

Il suo ruolo politico si legaanche a una delle figure più no-te dell’epopea indiana, quella diToro Seduto. Nel 1868, infatti,Eagle Woman si affiancò al ge-suita Padre Pierre-Jean De Smetnell’opera di persuasione del ca-po Sitting Bull a partecipare alledelicate e epocali negoziazionidel Trattato di Fort Laramie,grazie al quale alcune terre, tracui le Colline Nere, consideratesacre dai Sioux, furono assicura-te alle popolazioni native.

Il padre gesuita fu colpitodalla spiritualità e dalla determi-nazione di questa donna e nel1868 le propose di battezzarla,cosa che lei accettò, assumendo

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 31 luglio 2020 pagina 5

Il lettore è invitato a diventare complice della creazione e della redenzione dell’universo

Vi v e reper ricordare e raccontare

di JEAN LOUIS SKA

«L a vita non è quellache uno vive, bensìquella che uno si ri-corda e come se la ri-corda per raccontar-

la». Così inizia l’autobiografia dello scrit-tore colombiano Gabriel García Már-quez, premio Nobel di letteratura nel1982. La frase, nella sua concisione, stabi-lisce una relazione stretta fra tre mondi:la vita, la memoria e il racconto, e forni-sce un eccellente punto di partenza peruna riflessione sulla narrazione.

Iniziamo con la prima parola: la vita.Secondo Gabriel García Márquez, la vitanon è una successione di eventi ove ognigiorno rassomiglia all’altro. Il tempo checonta davvero è quello della memoria. Visono eventi “memorabili” in ogni vita,eventi — come dice la parola — che meri-tano di essere ricordati. Sono, ad esem-pio, gli eventi che hanno cambiato la vi-ta. Che hanno dato alla vita un coloritoo un sapore diverso. I momenti che han-no diviso una vita fra un “prima” e un“dop o”.

Questi momenti, infine, sono quellidegni di essere raccontati. Perché raccon-tare certi episodi? La reazione è spessospontanea e sono pochi quelli che si in-terrogano sulle cause di un tale compor-tamento. Raccontiamo perché vale la pe-na raccontare. Ma perché ne vale la pe-na? Una ragione principale è da rintrac-ciare nella volontà di comunicare e con-dividere. Sappiamo che l’esperienza èunica e non si ripete. Come dice il filoso-fo greco Eraclito, «non ci si bagna maidue volte nello stesso fiume». L’esp erien-

za non si rifà, però se la può condividerenel racconto che, in effetti, permette dirivivere un momento particolare. Le pa-role, le frasi, le immagini, la trama stessadel racconto sono un invito a ripercorrerele peripezie della vicenda vissuta.

Inoltre, ed è un punto essenziale, ilracconto introduce una logica nei fatti.Gli eventi di un racconto sono legati inuna catena di causa-effetto. La narrazio-ne nasce pertanto da uno sforzo di capireil significato degli eventi e di dare sensoalle faccende di una vita. Raccontare si-gnifica introdurre una certa razionalitànel succedersi disordinato di fatti e situa-zioni di cui constano le nostre cronache

quotidiane. I racconti biblici, inoltre, cer-cano di rinvenire un disegno, e un dise-gno divino, nelle turbolenze del nostrouniverso, nella storia del popolo eletto edella prima comunità cristiana che vivedell’ideale proposto da Gesù di Nazaret.A quale scopo raccontare, allora?

A dir il vero, la realtà del racconto sideve cercare nel suo effetto sul suo ascol-tatore o il suo lettore. L’immagine usataspesso dal mio maestro Luis AlonsoSchökel è quella della musica. Un testo ècome uno spartito di musica. Lo spartito,però, non è musica, è musica muta. Lamusica “esiste” davvero solo se qualcunosuona o canta quello che sta sullo sparti-to. Un testo, un racconto esiste solonell’atto della sua lettura e interpretazio-ne. Per prolungare l’immagine, possiamodire che abbiamo una sola scelta: inter-pretare bene o male. In un modo più po-sitivo, direi che abbiamo la possibilità diinterpretare bene o meglio, seguendo le

indicazioni dello spartito. Aggiungo unelemento importante. Ogni interpretazio-ne è unica. Lo spartito — il testo — puòessere identico, però ogni interpretazio-ne, ogni lettura è nuova e unica. Possia-mo leggere centinaia di volte lo stessoracconto, e vi saranno centinaia di letturediverse.

Una domanda sorge immediatamente:ma come essere sicuro di interpretare be-ne un testo, in particolare un raccontobiblico? Introduciamo ora nella nostra ri-flessione un elemento ben noto all’esege-si odierna, vale a dire la “storia della ri-cezione”. In parole povere, non siamo iprimi a leggere e a interpretare il testobiblico, e non siamo neanche gli unici.Abbiamo dietro di noi una lunga tradi-zione di lettura, iniziando da Origine eSant’Agostino fino ai grandi interpretiodierni. Per riprendere l’immagine dellamusica, vi sono pochi solisti nella letturadei testi biblici. Facciamo parte di un’or-chestra. L’immagine si trova in una lette-ra di sant’Ignazio di Antiochia agli Efesi-ni ove il santo paragona la comunità ec-clesiale a un’orchestra o un coro di vociche esegue lo spartito nell’armonia«prendendo nell’unità il tono di Dio» ecantando «a una sola voce per Gesù Cri-sto al Padre», con rigore e fedeltà creati-va, sotto la guida dei suoi grandi maestri.Importa quindi, più concretamente, sa-per dialogare con altri lettori per inter-pretare in consonanza con la comunitàdei musicisti, dei coristi e dei suoi diret-tori d’orchestra. In questo modo saràpossibile correggere quanto potrebbe es-

sere sbagliato e soprattutto progredirenell’interpretazione dei testi.

Aggiungo un’ulteriore riflessione cheviene dai grandi critici letterari. L’idea cipermette anche di superare in gran parteil problema della differenza fra raccontistorici e “finzione”. Per usare un esempiosemplice, mi rifaccio a quanto si dicevadi un libro letto da quasi tutti i giovaniitaliani, C u o re , di Edmondo De Amicis.Il libro si passava da una mano all’altrasegnalando le pagine ove si piangeva, adesempio leggendo la storia del piccoloGenovese che viaggia da solo dalla Ligu-ria fino a Tucumán, in Argentina, per ri-trovare la madre ammalata (Dagli Appen-nini alle Ande). Sappiamo che la storia èuna finzione, che il piccolo Marco è unainvenzione di Edmondo De Amicis. Peròle lacrime che versiamo sono vere, nonsono finte. Lo stesso vale per tutti i sen-timenti che possiamo provare durante lalettura di un racconto: la speranza, il ti-more, l’attesa, il rimpianto o il piacere eil sollievo, la simpatia o l’avversione. Co-sì come l’adesione a certi valori e l’ammi-razione per certe personalità.

La partecipazione attiva del lettore nelprocesso di lettura è quindi essenziale. Ilracconto, in particolare la cosiddetta“storia della salvezza” biblica che culmi-na nella Buona Notizia del Vangelo, è uninvito a ripercorrere un lungo cammino,dalla creazione «molto buona» nel librodella Genesi ai «cieli nuovi e la terra nuo-va» del libro della Ap o c a l i s s e . Il percorso,però, è quello di una partecipazione atti-va, vale a dire che il lettore è invitato adiventare complice della creazione e della

redenzione dell’universo. Il testo offremille possibilità e spetta a ciascuno e aciascuna comunità cogliere l’opp ortunitàofferta quando sente, come il giovaneAgostino d’Ippona, una voce che sussur-ra: tolle, lege – «prendi, leggi» (Confessioni8, 12).

Vi sono pochi solisti nella lettura dei testi bibliciFacciamo infatti parte di un’o rc h e s t rao di un coro di vociche esegue lo spartito nell’armonia«prendendo nell’unità il tono di Dio»come scrive sant’Ignazio di Antiochiain una lettera agli Efesini

Istantanea di una realtà senza tempoNe «I Malavoglia» di Giovanni Verga

La locandina del film di Luchino Viscontie (a lato) una scena del film

Un particolare dell’edizione Malipiero del 1965di «Cuore» di Edmondo de Amicisillustrata da Giancarlo Castellani

La narrazione nasce da uno sforzo di comprendereil significato degli eventie di dare senso alle faccende della vitae si lega al contempo alla volontà di introdurre una certa razionalitànel succedersi disordinato di fatti e situazioniOgni esperienza è unica ma si può condividere nel raccontoche permette di rivivere un momento particolare

Gabriel Garcia Marquez

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

«Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazioneperché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone:storie che edifichino, non che distruggano;storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme»

(Papa Francesco per la giornata delle comunicazioni sociali 2020)

di GIULIA ALBERICOe FLAMINIA MARINARO

Cara Giulia, mai comequest’anno l’arrivodell’estate è coinciso conun desiderio enorme dilibertà e di spazi aperti.

Mai avevo desiderato così tanto ilmare e per trovare il luogo delle mievacanze mi sono affidata ancora unavolta alla letteratura. Ho cercato inbiblioteca tra i miei vecchi libri, lepossibilità erano infinite ma in fon-do a uno scaffale, piuttosto impolve-rato, mi è capitato tra le mani I Ma-lavoglia (1881). Doveva essere là daitempi della scuola, istintivamente lo

stavo per rimettere a posto, cercavosì il mare, ma un mare di villeggiatu-ra e una lettura leggera quasi da om-brellone. Ma poi ho deciso di rileg-gerlo e quelle sensazioni sono eva-porate in un attimo. Quel capolavo-ro di modernità anche nel linguag-gio, quell’istantanea di una realtàsenza tempo mi ha profondamentescossa. La mia estate è incominciatatra quelle pagine. Ad Aci Trezza.

Cara Flaminia, hai scelto una let-tura e un luogo consegnati alla geo-

grafia letteraria, il mare di cui parlaVerga è un mare amaro, a cui vastrappato un bottino spesso magro.Questo romanzo è la storia di unafamiglia di pescatori poverissimi maricchi di dignità e valori. I Malavo-glia, così chiamati ma il loro veronome è Toscano, vivono di pescagrazie alla vecchia barca chiamataProvvidenza. Il vecchio capofamigliaè padron ‘Ntoni, depositario del sen-timento di sacralità dei valori di ca-sa, famiglia, lavoro. Il naufragio del-la barca con il carico di lupini com-prati a prestito, e la morte in maredi Bastianazzo sono l’inizio di unaserie di sciagure.

FLAMINIA: Verga, in linea con ilsuo credo nel darwinismo sociale,vuole tratteggiare un affresco diquella lotta per la vita che vede co-me destino inesorabile e che riguar-da tutte le classi sociali. Una conce-zione in linea con il pensiero delNaturalismo.

GIULIA: Il mare è, nei Ma l a v o g l i a ,anch’esso parte della concezione ver-ghiana della vita. È fonte di soprav-vivenza ma anche portatore di ri-schio e sciagura, è metafora del

mondo ignoto che, fuori dal ristrettolegale con la casa e la famiglia puòtravolgere con «un’onda immensa».Rappresenta l’ignoto contrapposto al

sicuro, il movimento contrappostoall’attaccamento. Già nella novellaFa n t a s t i c h e r i a Verga aveva parlato delmare come metafora del vasto mon-do dove i pesci grossi mangianoquelli piccoli e sopravvivono solo leostriche che restano attaccate alloscoglio. Ogni allontanamento da unappiglio è danno, perdita, smarri-mento.

FLAMINIA: Verga aveva un proget-to molto più ampio, perché è rima-sto incompiuto?

GIULIA: Nel progetto iniziale IMa l a v o g l i a dovevano essere il primodi cinque romanzi il cui titolo sareb-be stato Ma re a . Solo i primi tre sonostati realizzati: Mastro Don Gesualdoe La Duchessa di Leyra. Verga morì edei restanti due libri restano solo ab-b ozzi.

FLAMINIA: In base alla tua espe-rienza di insegnante come mai, se-condo te, è prassi consolidata asse-gnare come lettura estiva I Malavo-glia nella scuola dell’obbligo?

GIULIA: I Malavoglia sono unalettura densa e impegnativa e incau-tamente la si affida a lettori troppogiovani, troppo distanti per vissuto

di mondo e di cultura. Peccato! Sipotrebbero invece leggere paginescelte e poi affidare la lettura dell’in-tera opera al liceo.

FLAMINIA: C’è un film che potreb-be legarsi alla lettura di un classicocosì importante?

GIULIA: Visconti ne trasse un filmLa terra trema premiato a Venezianel 1948. Il film è stato interpretatoda anonimi abitanti di Aci Trezza, e

realizzato in stretto dialetto siciliano.Direi che è adatto ad un pubblico dicinefili. Potrebbe essere presentatoanche a un liceale, ma con dovutespiegazioni e commenti, soprattuttoper la forza espressiva di alcune sce-ne di mare, ricche di citazioni pitto-riche.

Cercavo un mare leggeroe ho trovato un mare amaroStavo per rimetterlo a postoma poi ho deciso di rileggerequesto capolavoro di modernitàanche nel linguaggioLa mia estate è incominciatatra queste pagine

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 venerdì 31 luglio 2020

di MAU R O LEONARDI

Don Roberto Guernieri, deglioblati figli della Madonnadel Divino Amore, mantova-

no, classe 1959, è da quasi trent’annicappellano a Rebibbia Nuovo Com-plesso, e ha dedicato l’intera vita sa-cerdotale agli emarginati. Prima allaCaritas con don Luigi Di Liegro —a Piazza Navona, alla Stazione Ter-mini, con i malati di Aids — poi incarcere. In questa intervista raccontaalcuni aspetti salienti della sua mis-sione.

Don Roberto, ci racconta la sua voca-zione sacerdotale?

Fin da quando ero bambino eroaffascinato dai funerali. Ogni matti-na alle 6.30 - o anche alle 6.00 - an-davo dal parroco perché volevo ser-vire la Messa.

Così piccolo e così presto? I suoi genito-ri le davano il permesso? Immagino chela sua famiglia fosse molto cattolica...

La mia famiglia non era moltocattolica. Andavano in Chiesa solo aNatale e Pasqua. Mia madre ha co-minciato a credere di più dopo lamia ordinazione: ma gli altri membrisono rimasti come erano.

Quando ha comunicato ai suoi genitorila decisione di fare il prete che reazionec'è stata?

Si sono messi a ridere per l’i n c re -dulità. Erano convinti fosse un'infa-tuazione. La mia famiglia, soprat-tutto allora, era molto conosciuta inpaese perché avevamo una ditta divini, liquori e bevande. Loro eranolontani dalla fede e tenevano al giu-dizio della gente, per cui all’inizio

mi scoraggiarono pensando che lamia fosse una decisione poco seria.Poi, vedendo le mie insistenze, miamadre disse: entrerai in seminariosolo dopo aver fatto la maturità.Voglio che tu conosca il mondo, ledonne, che abbia una tua esperien-za, solo dopo, potrai proseguirenella tua scelta perché sarai in gra-do di scegliere, di decidere. E così èstato. Poi ho avuto diverse vicissitu-dini, tra le quali, quando avevo 16-17 anni, una lunga malattia durataun anno, che trascorsi dentro e fuo-ri dagli ospedali. Ho frequentatodiversi seminari. Il primo è statoquello di Brescia perché mio padreera compagno di classe e amico diPier Giordano Cabra (religioso natonel 1932 che è stato superiore gene-rale dei Piamartini, ndr). Mi sem-brava però una strada diversa ri-spetto a quella che mi chiedeva ilS i g n o re .

Già allora lei sentiva una particolareattrazione verso i poveri?

Sì. Io ero attratto dalle personepovere, quelle la cui compagnia nonera desiderata da nessuno. E io michiedevo: perché la gente rifiuta ipoveri? Io farò qualcosa di diverso.E così, quando potevo, io chiamavoin casa queste persone e facevo loroda mangiare, le accoglievo.

Questa passione per i poveri le ha resopiù facile o più difficile la vita in semi-nario?

Ho avuto dei problemi. Credo pe-rò che proprio con queste difficoltà,si sia rafforzata la mia vocazione divivere il mio sacerdozio a favore deip overi.

Alla fine, come è riuscito a farsi ordi-n a re ?

Dopo il “no” ricevuto a Mantova,non abbandonai la mia decisione.Rimasi un anno fuori insegnando re-ligione al Conservatorio di Brescia ecercai altre strade. Alla fine, grazie amio papà, si aprì una porta. Mio pa-dre, nonostante non fosse molto cre-dente, vedendo il mio desiderio, in-terpellò un suo amico di Roma, an-che lui non credente, dicendogli:guarda se conosci un monsignore,qualcuno, che possa dare una manoa Roberto, mio figlio. Perché questo"deficiente", nonostante sia stato cac-ciato da tutti i seminari, insiste nelvoler fare il prete. Io non lo capisco,però, guarda se trovi qualcuno chelo possa accontentare. E questo ami-co, attraverso un'altro prete, mi se-gnalò la Comunità del Divino Amo-re. Feci un'esperienza di un mese em’innamorai di questa Istituzione.Così il 10 settembre 1988 venni ordi-nato sacerdote dall’allora cardinalevicario di Roma, Ugo Poletti.

E come divenne concreto il suo impegnoverso i poveri?

Ero ancora seminarista. A queitempi c’era l'obbligo del militare cuidovevo adempiere, visto che ero sta-to mandato via da Mantova. Inquell'occasione decisi di fare il servi-zio civile e lo feci alla Caritas roma-na alle dipendenze di don Luigi DiLiegro. Divenni il responsabile delCentro accoglienza per italiani allasagrestia di Santa Maria della Pace,insieme ad altri volontari ed obietto-ri di coscienza: seguivamo circa5.000 casi l'anno. Avevo sempre pre-gato Dio di farmi diventare "un pre-te di strada". Anche a Roma, che se-

condo me era una terra di missione.Così fu naturale, una volta ordinato,proseguire. Ero vice parroco al Divi-no Amore, però aprii alla StazioneTermini, con la Caritas, un centro diaccoglienza per adolescenti a rischio,che venivano da tutte le parti d'Ita-lia e d’Europa. C'era un movimentodi centinaia e centinaia di giovani.Era aperto dalle 14 alle 22. Alle 22,quando finivo, andavo al repartomalattie infettive del Gemelli ad aiu-tare i ragazzi malati di Aids a morirebene. Lo facevo coi sacramenti in-nanzitutto, ma anche con il sorriso,con una carezza, cercando di aiutarlifacendo loro capire che per me era-no delle persone, non dei reietti per-ché avevano l’Aids.

Quali sono i passi del Vangelo che piùla sostengono?

In primo luogo quelli che mi fan-no ritenere Cristo la ragione dellamia vita. Per esempio "chi ama il pa-dre e la madre più di me, non è de-gno di me". Oppure il comandamen-to dell’amore. Poi, indiscutibilmente,il discorso della Montagna, ovvero icapitoli 5, 6 e 7 di Matteo. E, soprat-tutto, Mt 25 quando Gesù dice "eroin carcere e siete venuti a visitarmi":cioè lo avete fatto a Me, avete fattoqualcosa per Me.

L'assistenza ai detenuti in carcerequando arriva nella sua vita?

Nel 1991, cioè quasi subito. È stata"una vocazione nella vocazione" unp o’ inaspettata ma anche, devo dire,è stata un po' una risposta a una do-manda che mi stava crescendo den-tro. Io cercavo una svolta di concre-tezza a quel servizio agli ultimi cheavevo iniziato: come potevo aiutare

tante persone? Sentivo di dover tro-vare una completezza, che mancava,al mio servizio. Avvenne che ungiorno il cardinale Ruini mi mandòa chiamare e io mi misi in fila. Avreidovuto essere uno degli ultimi a par-lare con lui: invece, davanti a tutti,mi fece passare avanti. Tutti credeva-no che fosse per qualche promozio-ne. "Vedo come lavori — mi disse ilcardinale — e vorrei darti qualcosa diimpegnativo. Non mi dia una scriva-nia, gli dissi, perché io non ci an-drei. Mi dia qualcosa in linea conquello che ho fatto finora: sono sem-pre stato in mezzo ai poveri, ai de-linquenti, ai reietti, l’unica cosa chemi manca è il carcere. Fu quello ilmomento in cui mi disse: vuoi anda-re a Rebibbia? Sì, gli risposi, maprima mi dia un bicchier d’acqua.La proposta era allettante ma anchedifficile. E così ho iniziato. Poi, nel2016, sono stato eletto delegato re-gionale dei cappellani del Lazio. E,di conseguenza, membro del Consi-glio pastorale nazionale dei cappel-lani. Ruoli che ricopro tutt’ora.

In sintesi, in questi anni, che cosa hadato?

Ho cercato di dare me stesso. Ionon sopporto l’ingiustizia. Non sop-porto che le persone vengano calpe-state, non importa se di umili origi-ni. Io non mi fermo davanti a nulla.Ho imparato che gli ostacoli si pos-sono sempre superare. Aggiungo chesono sempre stato dalla parte dei de-tenuti. Questo, senza dimenticare leguardie carcerarie e i loro problemi,anzi ne ho aiutate tante. Ma sonosempre dalla parte dei detenuti per-ché sono i più deboli, i più indifesi.Sono quelli che non contano niente.Non sono nessuno. Hanno sempretorto. E allora io, che non sopportol'ingiustizia, sono sempre dalla loroparte, lotto per loro e con loro.

Ci sono detenuti che delinquono e ci so-no dei delinquenti. Per lei cambiaqualcosa?

Io non faccio alcuna distinzione.Sono persone, per me sono tuttiuguali. Le persone sono diverse a se-conda delle loro storie, questo sì, manel modo di porsi a me, sono tuttepersone uguali.

Però non tutti i detenuti hanno glistessi problemi. Alcuni sono ricchi.

Certo. Alcuni possono permettersidi comprare più cose degli altri chesono poveri. Ma la maggioranza, al-meno il 75-80 per cento dei detenuti,ha assoluto bisogno di tutto. Lagente viene arrestata così come sitrova, per esempio durante la notte.Vieni preso così come sei e condottoin carcere. Non ti viene dato il tem-po di fare la valigia, sa. A volte sonopersone prese dalla strada, che nonhanno nemmeno il necessario percambiarsi. Oppure perché viene lorotolto tutto. In questo caso cerchiamodi intervenire noi cappellani. Altri-menti rimangono così. Spessissimobisogna — di corsa — procurarsi del-le cose per aiutarli. Almeno per po-ter parlare con il magistrato. Mi ri-cordo quando venne catturato, dinotte, Totò Riina. Arrivò cosìcom’era e fui costretto a chiedere unclergyman a un mio confratello perpermettergli di andare a processo.Riina aveva la taglia 56, come quelladel mio confratello. In quel caso michiamò il direttore di allora, alle die-

ci di sera, e mi disse "abbiamo unbambino da vestire..." perché doma-ni deve andare dal magistrato. Sì, sì,ho capito, dissi. E allora pensai dichiedere aiuto al mio confratello: aquell'ora non potevo andare da nes-suna parte. In quel caso Riina si tro-vava in una situazione penosa. Que-sto, in carcere, succede anche ai ric-chi, anche ai famosi. Il carcere è unalama che attraversa la vita di tutti.

La stessa cosa avviene per i detenutidel “41bis”, quelli condannati per reatidi mafia?

Certo. Mi accadde nel 1999. An-davo a celebrare la Messa sezioneper sezione: tutti facevano la comu-nione ma nessuno si confessava mai.Una mattina arrivo con il necessarioper celebrare ma non celebro. I de-tenuti erano con il blindato apertoma dietro al cancello della cella, emi chiedono cosa sta accadendo. Al-lora dico: "Non ha senso. Voi non viconfessate, quindi pensate di nonaverne bisogno, e fate la comunione.Ma come? Il Papa si confessa, io miconfesso, e voi non vi confessatemai?" Li ho lasciati senza la Messaper un bel po’. In carcere è possibilevivere l'intero Mt 25. Come vedenon c'è solo l'essere carcerati. Moltidi loro, oltre che carcerati, sono an-che nudi, affamati, assetati, stranierio malati. Gesù ha chiesto una cosaalla sua Chiesa, e cioè di visitarli,dar loro da mangiare, da bere, ve-stirli, curarli, e io cerco di farlo. È ilpasso in cui Gesù dice: quando fatequesto avete fatto qualcosa per me.E questo dovrebbe metterci in crisi.Oltretutto, tutti possiamo aver biso-gno gli uni degli altri. Io per esem-pio, ora sono malato e disabile. Eringrazio Dio perché la mia situazio-ne mi aiuta a capire ancora meglio ipoveretti che cerco di aiutare. Nonlo dico per dire. Sono da tanti annia Rebibbia ma mi sono accorto soloora che sono disabile. che ci sonomoltissime barriere architettonicheche rendono la vita impossibile allepersone come me. Per esempio, nonc’è una rampa per entrare in Chiesa:sono solo scale. Ne ho parlato conle autorità e hanno detto che prov-vederanno. Ma finché non mi sonoammalato non mi ero reso conto delp ro b l e m a .

Come fa per coinvolgere gli altrinell’aiuto ai detenuti?

Colgo ogni occasione. Quandocelebro la Messa, quando visito gliamici, con il gruppo di Padre Piodel carcere. Mi impegno per trovarequello che serve per le situazioni di-sastrose che ci sono in carcere, e chenon sono conosciute da nessuno.Recentemente è stato dimesso dalcercare un pover’uomo, anziano, ma-lato, che non sapeva dove andare.Avrebbe trascorso la notte sulla pan-china davanti al carcere. Mi ha aiu-tato un amico, don Luca Centurioni,che ha delle case famiglia. Io, quan-do chiedo, chiedo come fossi uno diloro. Mi creda. Mi è possibile farloperché so cosa vuol dire. Quando ilSignore mi chiamerà io gli dirò: gra-zie, perché sono stato un prete for-tunato. Nella mia vita ho fatto quel-lo che ho sempre desiderato. Stare,con Te, in mezzo agli ultimi. È vero,a volte non ho risolto dei grandiproblemi però almeno ho avutol’onore di stare in mezzo a loro.Cioè con Te.

Il Centro Betlemme in Camerun

La paziente tessitura dell’a m o redi CRISTINA UGUCCIONI

Le molteplici forme della dedi-zione, dell’accudimento, dellacustodia generano grembi

ospitali nei quali trovano riparo eriprendono vita quanti — p ro s t r a t ida sofferenza, abbandono, avvili-mento — aspettano il tocco della te-nerezza di Dio e gesti di liberazio-ne dal male. Sono grembi benedetticapaci di trasmettere il calore dellapresenza di Dio. Uno — il CentroBetlemme — sorge a Muoda, villag-gio nell’estremo nord del Camerun,vasto territorio diventato “zona ros-sa” a causa della presenza dei terro-risti di Boko Haram.

È il 1990 quando padre DaniloFenaroli, trentenne missionario delPime (Pontificio istituto missioniestere) giunge in Camerun: benpresto si accorge del grave stato diabbandono nel quale vivono i gio-vani disabili fisici e mentali, consi-derati dalla popolazione vittime dimaledizione. Nel nord non esistealcun centro dedicato a loro. PadreDanilo decide quindi di dar vita auna struttura dallo stile familiareche possa accoglierli e assisterli: nel1997 nasce il Centro Betlemme.«Non volevo però creare una realtàriservata ai soli disabili perché sa-rebbe stata considerata un ghettoda cui la popolazione si sarebbe te-nuta a distanza», dice il missiona-rio, «per questa ragione, sindall’inizio il Centro è stato apertoall’accoglienza di altri bambini indifficoltà e alla promozione di atti-vità formative per i giovani, attivitàcapaci di essere fonte di sviluppo».Attualmente il Centro — che è statoriconosciuto dal Ministero degli af-fari sociali ed è una delle quattrostrutture in tutto il Paese ricono-sciute “di pubblica utilità” dal pre-

sidente della Repubblica del Came-run — si estende su un’area di 45 et-tari e comprende anche una fatto-ria: dà accoglienza a 75 bambini eragazzi disabili che vengono accu-diti con competenza e dedizione e,anche grazie alle attività di riabilita-zione e fisioterapia, nel corso deglianni migliorano acquisendo sempremaggiore autonomia. Nel Centrovivono anche 70 neonati orfani dimamma (morta durante o subitodopo il parto) che sono amorevol-mente seguiti prima di tornare, do-po due anni, nelle famiglie di origi-ne. Inoltre, in questa grande fami-glia sono accolti trenta pastorelliorfani che crescono sereni e fre-quentano la scuola elementare in-terna, una scuola inclusiva che ac-coglie anche 50 bambini disabili(sordi) e una ventina di bambiniprovenienti dai villaggi vicini. Vi èanche un asilo frequentato dai pic-coli residenti nel Centro e da 80

bambini che abitano in due villaggidella zona. Per nove mesi all’anno,inoltre, qui sono ospitati 150 giova-ni che frequentano i corsi promossida padre Danilo: falegnameria, sal-datura, edilizia, tintura, scultura, ta-glio e cucito, cuoio, allevamento eagricoltura. I giovani seguono le-zioni pratiche al mattino mentre nelpomeriggio si dedicano a corsi teo-rici (diritti e doveri dei cittadini,economia familiare, salute e preven-zione, informatica). Complessiva-mente il Centro Betlemme è unagrande famiglia composta da oltre300 bambini e giovani seguiti da180 operatori: insegnanti, medici, fi-sioterapisti, infermieri, assistenti so-ciali. «Vogliamo proteggere e accu-dire questi nostri figli e aiutarli acostruire un futuro buono», sottoli-nea padre Danilo, che aggiunge:«Al pari di ogni famiglia non vivia-mo ripiegati su noi stessi, ma siamoaperti agli altri: infatti, oltre ai

bambini della zona che frequentanole nostre due scuole, c’è chi ognigiorno viene qui per farsi assisterenel nostro centro di riabilitazione echi per ordinare mobili e altri og-getti realizzati dai giovani; c’è chi ciraggiunge da Maroua (città a 30chilometri di distanza) per far visitaai nostri bambini, e chi per acqui-stare i prodotti della fattoria. Que-sti continui incontri hanno contri-buito a costruire buoni legami e acambiare lo sguardo della popola-zione sulla disabilità, anche se lanostra struttura continua a esserel’unica, nel nord del Camerun, pen-sata per le persone con handicap».

Mosso dal desiderio di assicurareun futuro stabile al Centro, nel2003 padre Danilo (insignito dalpresidente della Repubblica italianadel titolo di Cavaliere dell’O rdinedella Stella d’Italia) ha deciso dicondividere la responsabilità dellasua opera con l’associazione inter-nazionale dei Silenziosi operai dellaCroce. Insieme stanno progettandonuove iniziative: oltre a proseguirecon l’attività di perforazione nei vil-laggi per installare pozzi d’acqua,nella città di Maroua — dopo averaperto una casa che ospita ragazzemadri, una scuola materna e uncentro diurno per disabili — stannopensando di creare una scuola pri-maria in grado di accogliere bambi-ni disabili e in difficoltà. «Il nostroobiettivo è sempre lo stesso», affer-ma padre Danilo: «Ideare iniziativee strutture per far sentire benvolutie amati tutti coloro che patisconoavvilimenti e vivono ai margini del-la società».

Le cose dell’amore funzionanocosì: rammendano il mondo, lo mi-gliorano, lo abbelliscono, renden-dolo una casa in cui diventa belloper tutti abitare.

OSPEDALE DA CAMPO«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi

è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.

Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia...

Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso»

Conversazione con don Roberto Guernieri, da 30 anni cappellano a Rebibbia

Stare con Gesù cioè in mezzo agliuomini, con gli ultimi

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 31 luglio 2020 pagina 7

Le figure di sant’Ignazio e del beato Rosmini nella devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù

Riflessi sempre vividel mistero dell’incarnazione

di ROBERTO CU TA I A

Immaginate, in base alla trasla-zione aristotelica, sant’Ignaziodi Loyola e il beato Antonio

Rosmini inginocchiati ai piedi dellaCroce sul Golgota in adorazione econ il calice in mano, nell’atto diraccogliere le sante gocce di acqua esangue che fuoriescono dal costatodi Cristo. Riverbero e metafora delladevozione al Preziosissimo Sanguedi Gesù, a cui la Chiesa universalededica tutto luglio, fissando la festaliturgica al primo del mese. La circo-stanza colloca il dies natalis dei duegiganti della fede, devotissimi alPreziosissimo Sangue, unonell’explicit del mese, il 31 luglio —memoria liturgica di sant’Ignazio(1491-1556) — e l’altro nell’incipit, il1° luglio, memoria del beato Rosmi-ni (1797-1855). L’aspirazione devozio-nale al Sangue di Gesù, a versare ilproprio sangue per la gloria del Pa-dre e la salvezza dei fratelli, nei se-coli è stata raccomandata da Pontefi-

ci e dottori della Chiesa. Certamenteessa ha trovato nel sacerdote romanosan Gaspare del Bufalo (1786-1837) ilvero e più grande apostolo di questadevozione.

Invece storicamente i Ponteficiche ne hanno determinato il ricono-scimento universale sono stati PapaBenedetto XIV che ne fissò la Messae l’Ufficio in onore del Sangue ado-rabile del Salvatore divino, e il beatoPio IX, che nel 1849 con il decretoRedempti sumus — per adempiere unvoto fatto a Gaeta — ne estese la fe-sta liturgica alla Chiesa universale,fissandola alla prima domenica diluglio; più tardi, nel 1914, san Pio Xla spostò al 1° luglio; poi nel 1933Papa Pio XI, a ricordo del dicianno-vesimo centenario della Redenzione,elevò la festa a rito doppio di primaclasse; successivamente, con la lette-ra apostolica Inde a primis (30 giu-gno 1960), san Giovanni XXIII nespiegò il significato e ne approvò lelitanie. In seguito san Paolo VI(1969), sulla scorta della riforma li-

turgica post-conciliare unificò la fe-sta del Preziosissimo Sangue e quel-la del Corpus Domini nella formastraordinaria del rito romano. Ora,dopo questa breve parentesi storicacirca la devozione cristiana per anto-nomasia, l’anima del cristiano do-vrebbe essere penetrata fino all’ulti-mo dal pensiero della salvezza cheGesù Cristo le ha acquistato col suosangue prezioso. Così come descrittonell’affascinante e nel contemposconcertante ultimo libro della Bib-bia, l’Apocalisse di san Giovanni:«Hai riscattato per Dio con il tuosangue uomini di ogni tribù, lingua,popolo e nazioni» (Ap o c a l i s s e , 5, 9).Loyola e Rosmini le due anime elet-te unite in una sublime devozione. Eproprio perché la loro vita è stata so-stenuta dallo spirito del sanguedell’Agnello, entrambi hanno potutovivere l’esperienza descrittanell’Apocalisse, di «quelli che sonovestiti di bianco» (Ap o c a l i s s e , 7, 13).Negli Esercizi spirituali di sant’Igna-zio sono frequenti i richiami al San-

tissimo e Preziosissimo Sangue eCorpo di Gesù. Tant’è che l’incipitdel testo è caratterizzato dalla pre-senza dell’orazione Anima Christi(“Anima Christi, sanctifica me. Cor-pus Christi, salva me. Sanguis Chri-sti, inebria me. Aqua lateris Christi,lava me. Passio Christi, conforta me.O bone Jesu, exaudi me. Intra vul-nera tua absconde me. Ne permittasme separari a Te. Ab hoste malignodefende me. In hora mortis meaevoca me, et jube me venire ad Te,Ut cum Sanctis tuis laudem Te Insaecula saeculorum. Amen”). Suppli-ca invocativa e timone della forza re-dentrice dell’eucaristia. Anche se lapreghiera non fa parte degli E s e rc i z ispirituali, come sottolineò alla finedel XVI secolo padre Fabiano Qua-drantino: «Tale orazione così devotae propria di nostra Compagnia... èbene collocarla integralmente inqualche posto, affinché col passaredel tempo non scompaia» (Mhsi,MI, D i re c t o r i a , 760,15).

Lo spirito dello spargimento delsangue permea anche le numeroseL e t t e re di sant’Ignazio, il grandemaestro del discernimento: in esse irimandi del santo spagnolo al sacri-ficio di Gesù per la redenzione sonofrequenti e incalzanti, «…membra diGesù Cristo, riscattati con tanti do-lori e obbrobri e con il suo stessosangue» (agli studenti di Coimbra, 7marzo 1547). E anche Rosmini, die-tro le quinte della vita, nutriva lasua preghiera con la devozione delPreziosissimo Sangue di Gesù. Emorì il 1° luglio, festa del Preziosissi-mo Sangue. Il suo profondo attacca-mento a questa devozione è testimo-niato anche dal fatto che in diversipunti delle Costituzioni dell’Istitutodella Carità egli raccomandi ai suoireligiosi: «Fra gli atti di pietà, dovre-mo amare grandemente l’offerta delnostro sangue con quello di GesùRedentore. E desideriamo che tale

offerta sia fatta spesso, specialmentedai presbiteri della Società e dai Pre-positi, soprattutto se sono Pastoridella Chiesa … l’offerta non deve es-sere solo una formula esteriore …»(762). Inoltre Rosmini indica sia aireligiosi sia ai fedeli il momento piùopportuno per compiere tale atto dipietà cristocentrica: «Tutti i sacerdotila rinnovino privatamente offrendo econsumando il sacrosanto sacrificiodella Messa, e così pure i laici nellacomunione» (763). Si tratta di unesercizio di pietà che richiede impe-gno ascetico di vita interiore e lavorospirituale per l’acquisto di solide vir-tù. Il Rosmini sul significato teologi-co e religioso della devozione al Pre-ziosissimo Sangue fonda lo spiritodel suo Istituto della carità: non acaso esso vede la luce al Sacro Mon-te Calvario di Domodossola, in Pie-monte, un luogo dedicato alla pas-sione e morte di Cristo.

Ma il capolavoro di amore, l’op e-ra d’arte di meditazione del Prezio-sissimo Sangue di Gesù di Rosminiporta il titolo di Jesu Christi Passio;si tratta di un volumetto di orazionie pensieri spirituali che il rovereta-no ha utilizzato fin da giovane congli amici milanesi Giovanni Bosellie Francesco Bonetti, contenente an-che alcuni scritti rivisti di santaMaddalena di Canossa (1774-1835).In particolare esso contiene «LeC o m m e m o ra z i o n i ed i Riflessi — s p i e-ga Rosmini in una lettera indirizza-ta alla santa — che esprimono l’i m-magine della carità, che è appuntoquella di Cristo che arriva fino alsangue. Questo è quel carattere cheveramente deve formare specialmen-te i fratelli della carità, i quali sipropongono di spendere se stessinelle opere caritatevoli verso gli al-tri». (Epistolario Ascetico, 1911, pagi-na 61). Da qui il consiglio di Ro-smini di offrire tutti i giorni (tra di-verbi, incomprensioni, indifferenze,prepotenze e sofferenze) il propriosangue in unione a quello di Cristo,affinché non venga sparso indarno,ma piuttosto sia mezzo e occasionedi redenzione per la nostra anima equella di chi ci sta vicino, o comun-que in relazione. Al termine di que-ste riflessioni sul mese di luglio, chela Chiesa dedica al Sangue Prezio-sissimo di Gesù, emerge prepotente-mente il sempiterno messaggio della

Passione di Cristo, origine di ognibene che intesse di eternità la no-stra coscienza. Affidarsi a due pietremiliari del cristianesimo comesant’Ignazio e il beato Rosmini si-gnifica vivere l’esperienza liturgica,incarnandola appieno quale riflessovivo del mistero dell’incarnazione,imago Dei.

Francesco Hayez, «Ritrattodi Antonio Rosmini» (1853-1856)

Pieter Paul Rubens, «I miracoli di sant’Ignazio» (1619-1620)

Continuare a tramandare i valori della paceCO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

Giovanni Giudici traduttore degli Esercizidi ANTONIO TARALLO

In principio era Barthes. L’inte-resse del poeta Giovanni Giu-dici per la figura di sant’Igna-

zio di Loyola, e — in particolar mo-do — per i suoi Esercizi spirituali,nacque proprio grazie a un volumedel noto studioso e scrittore france-se, dal titolo Sade, Fourier, Loyola(1971). Il coup de foudre è da trovarsifra le pagine di questo testo che perspregiudicatezza suscitò non pocoscalpore nell’ambiente culturaledell’epoca: accomunare in un sololibro tre autori così differenti era —certamente — una grande prova discrittore-saggista, per Barthes. Eraun volo verso delle alture ignote.

Questo amore per Sade, Fourier,Loyola, è lo stesso Giudici a dichia-rarlo nella sua introduzione agliE s e rc i z i : «Alla lettura di quellosplendido saggio di Barthes io sonodebitore del primo scatto di curiosi-tà» verso gli Esercizi spirituali. L’in-trigante volume di Roland Barthesfu per Giudici, dunque, la stradaletteraria per arrivare alla traduzio-ne degli Esercizi spirituali edito daArnoldo Mondadori nel 1984.

Nel 1977, Giudici si fa inviare —come scrive egli stesso semprenell’introduzione alla traduzione —da un suo amico di Barcellona unapiccola «edición de bolsillo degliExercicios spirituales secondo il co-siddetto autografo spagnolo (che diautografo, ossia di pugno dell stes-so Ignacio, ha soltanto le correzionie le annotazioni a margine)». E fuproprio questo libretto che “lo ten-ne compagnia” — così racconta ilpoeta nativo di Portovenere — p erdiverso tempo.

Ma cosa affascina Giudici disant’Ignazio? Perché la traduzionedei suoi E s e rc i z i ? È il tema che locolpisce? Il linguaggio? Le doman-de nascono così semplicemente co-me nascono i fiori. Allo stesso tem-po, però, diceva il noto registafrancese Louis Jouvet: «Non chie-derti perché l’albero cresce. Crescee basta». E, forse, dovremmo anchenoi seguire questo consiglio. Ma,cercare di comprendere il perché ilpoeta Giudici si cimenti in quest’ar-dua impresa, è un tema troppo af-fascinante per non cercare di dareuna risposta a simile quesito.

Seppur non del tutto estraneo al-la produzione letteraria religiosa,difficilmente potremmo trovare nel-la spiritualità del poeta una “molla”così forte da spingerlo alla tratta-zione di un monumento spirituale eletterario come gli “E s e rc i z i ”. Fa si-curamente pensare un suo articolo— comparso sull’«Unità» il 27 ago-sto 1984 — per le Confessioni diSant’Ag o s t i n o nella traduzione diCarlo Carena (Einaudi, 1984), nelquale tiene a precisare il suo puntodi vista di giovane amante della let-teratura che — ad esempio — p ro -prio con le Confessioni riscontravaqualche distanza: «Le Confessioni miapparivano lunghissime, e forse unp o’ noiose, al tempo delle letturegiovanili».

In fondo, è Giudici stesso nellasua introduzione agli E s e rc i z i a di-chiarare apertamente la sua «scar-sissima competenza nella scienzareligiosa». E, allora, perché questatraduzione degli E s e rc i z i ? La spiega-zione è, forse, da trovarsi nel suo-no, nella fonè della scrittura ignazia-na: un suono che esprime bene

un’idea, un concetto, un precisomessaggio che è indirizzato al letto-re. Proprio così come avviene nellapoesia. Il peso della parola insant’Ignazio è lo stesso che un poe-ta dà alle parole scelte. Lo esprimebene padre Antonio Spadaro in uninteressantissimo e prezioso scrittosu «La Civiltà Cattolica» (Quader-no 3751, anno 2006) dal titolo Scrit-tura creativa ed Esercizi spirituali: «Ilvocabolo che Ignazio usa per le sueparole è il participio «cavate». Essosembra implicare un lavoro profon-do di delucidazione e formulazione,che ricorda gli intensi versi di Giu-seppe Ungaretti: Quando trovo / inquesto mio silenzio / una parola /scavata è nella mia vita / come unabisso (Commiato)».

Questa selezione, questo «cavarele parole» che il santo spagnolo at-tua non poteva che sedurre Giudici,poiché la stessa sua scrittura poeti-ca era basata sull’intensità dellaconcreta sostanza fisica della paro-la, determinandone così il ritmo ele associazioni fonetiche. Quelloche Giudici presenta al lettore dellasua traduzione è — non a caso —«un calco fonico-sintattico dell’ori-ginale». Paul Valery definiva lapoesia una «prolungata esitazionetra suono e senso» e sia Ignazioche Giudici la pensano però diver-samente. In entrambi il suono ènetto, così come è ben preciso ilsenso della parola usata. Non c’èalcuna esitazione, men che mai —ovviamente — in Ignazio.

In sintesi, si sono incontrati duepoeti, e da questo è nato il loro«dialogo amoroso», tanto per citareRoland Barthes. Giudici, forse, sa-rebbe contento.

Nominaepiscopale

Nicolai GennadevichD ubinin

ausiliare dell’arcidio cesidella Madre di Dio

a Mosca(Federazione Russa)

Nato il 27 maggio 1973, a Novo-shakhtinsk, nella regione di Ro-stov (Russia meridionale), ha ri-cevuto la formazione sacerdotalenegli istituti dell’ordine dei Fratiminori conventuali in Polonia.Ha emesso la professione tempo-ranea l’8 settembre 1995, quellaperpetua il 3 ottobre 1998, ed èstato ordinato presbitero il 24giugno 2000. Negli anni 2002-2005 si è specializzato in liturgiapresso l’Istituto di liturgia pasto-rale Santa Giustina, a Padova(Italia). Dal 2000 al 2005 ha svol-to attività pastorale in diverseparrocchie affidate ai francescaniconventuali, e dal 2005 al 2018 èstato responsabile della custodiagenerale di San Francesco d’Assi-si in Russia. Dal 2005 è anche di-rettore della Casa Editrice France-scana, a Mosca. Dal 2006 è inol-tre professore di liturgia e omileti-ca nel seminario maggiore cattoli-co Maria Regina degli Apostoli, aSan Pietroburgo, e segretario del-la commissione per la liturgiapresso la Conferenza dei vescovicattolici in Russia. Dal 2008 al2013 è stato vice caporedattoredell’Enciclopedia Cattolica Russa.Dal 2009 è presidente della Con-ferenza russa dei superiori mag-giori (Corsum). Dal 2015 presiedela commissione arcidiocesana perla catechesi e la liturgia.

siamo responsabili del mondo che lanostra narrazione ricama.

Ho pensato allora a un’altra cosache forse ci direbbe padre Paolo: chela verità che cerchiamo, nella suastoria, la conosciamo già. È tuttochiaro. Noi sappiano. Paolo le sa.Paolo sapeva le tribolazioni cheavrebbe incontrato, ma sapeva anche(dalla lezione del santo di cui portail nome, Seconda lettera ai Corinzi, 8-15, lettura della liturgia del 25 luglio2013, pochi giorni prima della suascomparsa) che non ne sarebbe statoschiacciato; sapeva che avrebbe po-tuto essere sconvolto, ma non dispe-rato; perseguitato, ma non abbando-nato; colpito, ma non ucciso. Sapevada battezzato, da sacerdote, da cre-dente di portare sempre e dovunquenel proprio corpo la morte di Gesù,perché anche la vita di Gesù si pos-sa manifestare.

Anche noi sappiamo. Noi sappia-mo che chi ci ha sottratto la presen-za fisica di padre Paolo voleva/vor-rebbe soffocare ogni dialogo conl’altro; voleva/vorrebbe farci precipi-tare in una spirale di odio, nel mec-canismo amico-nemico, eletti e reiet-

ti. Un circolo infernale direbbe pa-dre Paolo. Una trappola diabolica.

Come ha scritto un giornalistafranco-libanese, saggista e romanzie-re, Amin Maalouf in Les identitésm e u r t r i è re s , (Grasset&Frasquelle,1998): «Se i nostri contemporaneinon verranno incoraggiati ad assu-mere le loro molteplici appartenen-ze, se non riusciranno a conciliare illoro bisogno di identità con unaapertura schietta e priva di comples-si alle culture diverse, se si sentiran-no obbligati a scegliere fra la nega-zione di se stessi e la negazione de-gli altri, formeremo legioni di pazzisanguinari, legioni di squilibrati».

Questo discorso ci riguarda diret-tamente. Tutti noi sappiamo quantosiano importanti in questo i mezzi dicomunicazione per rompere questogioco perverso. Possono contribuirea ricostruire l’unità della famigliaumana, la consapevolezza di essereparte di un unico destino condiviso;o possono, al contrario, essere la viaper continuare ad alimentare gliequivoci, i risentimenti, le inimicizie,che hanno purtroppo sin qui aggro-vigliato il nostro presente e minac-ciato il nostro futuro.

Sta a noi, come ha affermato conforza Papa Francesco (Udienza allaStampa estera, 18 maggio 2019), farsì che la comunicazione sia strumen-to per costruire, non per distruggere;per incontrarsi, non per scontrarsi;per dialogare, non per monologare;per orientare, non per disorientare;per capirsi, non per fraintendersi;per camminare in pace, non per se-minare odio.

Tocca anche ai giornalisti diffon-dere con il loro lavoro questa verità,questa consapevolezza, questa cono-scenza; custodire e tramandare i va-lori della pace, denunciare l’uso stru-mentale delle religioni, restituire allafratellanza il concetto e il coraggiodi alterità. Dire che si può rimanerese stessi e allo stesso tempo ricono-scere nell’altro un fratello.

È quel che Paolo ha fatto in occi-dente e in oriente, con la sua rudedolcezza: raccontando agli uni lastoria degli altri. «Ognuno di noi —disse nella sua ultima, credo, intervi-sta — ha la sua appartenenza, io so-no cattolico e appartengo a Roma,che problema c’è in questo? E sel’altro è cristiano ortodosso avrà eporterà rapporti privilegiati conIstanbul, con la Grecia e la Russia.

Dobbiamo mettere tutte queste ap-partenenze in un quadro di com-prensione caratterizzato dalla religio-sità. Alcuni di noi dicono che la reli-gione è di Dio e la patria di tutti. Ionon rifiuto questa frase. Ma voglioun Paese plurale e armonioso, doveregni la religiosità, cioè dove le per-sone si amano perché esseri umani,creature di Dio, e quindi con dirittie dignità e il meritato rispetto. Reli-giosità significa guardarsi come Dioguarda le sue creature». I suoi figli.I figli di Isacco e i figli di Ismaele.

Ricordare senza tradirla la storiadi Paolo non può non partire daqui. Dalla sua testimonianza più chedal calcolo sbagliato di chi ha pen-sato di poterla fermare. Dalla ricercacostante del dialogo fra i figli diAbramo. Dallo sforzo ostinato disottrarre le religioni al ricatto deifondamentalismi fanatici. Dallosguardo capovolto di chi si mettenei panni dell’altro, più che dallosguardo corto di chi pensa di potersisalvare da solo, separandosi dall’al-tro. Dal paradosso evangelico secon-do cui è proprio l’escluso che diven-ta l’eletto. Dalla consapevolezza ra-gionevole che quel che ci unisce èmolto di più di quello che ci divide.

Prendo ancora in prestito le sueparole per dirlo: «Se solo riuscissi-mo a pensare in modo razionale nonescludendo gli altri, potremmo im-maginare di costruire un Paese doveregna la convivenza, la comprensio-ne, la fratellanza, la solidarietà, e ladiversità …. Se ciascuno di noi chiu-de la sua mente e crede che le coseandranno come vuole lui, resterà de-luso: procedendo in questo modo lecose andranno come vuole il diavo-lo».

Ciascuno di noi. Ecco il punto.Queste parole, profetiche, ci diconodella sua presenza. Ci sfidano a unracconto diverso di quel che accade eche ci accade. Penso che sia questo ilcompito che ci è assegnato comegiornalisti, come comunicatori, nelraccontare la Siria, il Medio oriente,il mondo, e la stessa storia della tem-poranea scomparsa di padre Paoloda una prospettiva diversa. E che siaquesto, anche, il modo migliore (nel-la certezza cristiana di poterlo co-munque un giorno riabbracciare) perritrovare Paolo, per ritrovarci conPaolo; smentendo il calcolo perversodi chi sette anni fa ha pensato di po-terlo sottrarre alla Siria e a tutti noi.

†La Segreteria di Stato comunica che ètornato alla Casa del Padre

Mons.

LEONARD O ERRIQUENZ

Protonotario Apostolicode numero

e già Officialedella Segreteria di Stato

Ricordandolo con affetto, i Superiorie tutto il Personale della Segreteria diStato si uniscono nella preghiera di suf-fragio per l’eterna pace del compiantoPrelato ed esprimono commossa parteci-pazione al lutto dei suoi familiari.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 venerdì 31 luglio 2020

Il 31 luglio la Chiesa celebra la memoria liturgica di sant’Ignazio di Loyola

Tra verità su Dio e su noi stessiGli «Esercizi spirituali» in alcune meditazioni scritte da Bergoglio negli anni Ottanta

Pellegrino alla ricerca del Signore

Intervista con il preposito generale della Compagnia di Gesù

Nella crisi del Covid“curiamo”

anche la democrazia

Un suo pensiero all’America Latina,sua terra di origine, dove la forzacontagiosa del virus è ancora così leta-le...

Provo un grandissimo dolore nelguardare come la pandemia non sifermi. Ho una grandissima preoccu-pazione perché non ci sono le strut-ture sociali né politiche per farefronte veramente a questa emergen-za. Ho il desiderio profondo che sicolga questa opportunità per vederequali siano i cambiamenti da adotta-re in queste strutture per garantireun futuro migliore per tutti i lati-

noamericani.

In un’ottica più genera-le, quali capisaldi

della spiritualitàignaziana sono

più urgenti nella missione odiernadell’O rd i n e ?

Il cuore della esperienza ignazia-na, e quindi della spiritualità, è l’in-contro personale e profondo conGesù Cristo, il Crocifisso risorto,che porta a una tale familiarità conDio da essere in grado di trovarloin ogni cosa e in ogni momento.L’incontro con Gesù Cristo diventauna esperienza liberatrice appuntoper questo, perché si acquista quel-la libertà interiore come condizioneper essere guidati dallo Spirito, cioèdisponibilità piena a fare soltantociò che Dio vuole, senza attaccarsia nessuna persona, luogo o istitu-zione. Quindi familiarità con Dio,che vuol dire una vita veramente dipreghiera e di servizio, ed essere li-beri, cioè disponibili a fare ciò chesi deve fare. Molto importante èl’Esame, forse una delle caratteristi-che meno conosciute della spiritua-lità ignaziana, esaminare come mo-do di ringraziare il Signore per ilsuo manifestarsi nella storia, riu-scendo a essere guidati dallo Spiri-to, completamente attenti a questaguida che è una esigenza della vitafondata sul discernimento nellamissione.

Si riferisce all’«esame di consapevolez-za»...

Esattamente, esame che sant’Igna -zio consiglia di fare almeno due vol-te al giorno, ma anche di farlo inmomenti speciali durante la giorna-ta. Non bisogna staccare la connes-sione tra la vita ordinaria e la vitanello spirito. Non si può staccare lavita spirituale dal lavoro, tutto va in-sieme, altrimenti non funziona. Ioho faticato in questi anni per cercareuna parola che mettesse insieme vitae missione. Non sono due cose chesi possono separare.

Riguardo alla collaborazione laici egesuiti, quali scenari si profilano oggi?

Ricordiamo che Ignazio ha re-datto gli Esercizi spirituali quandoera un laico e che l’esperienza degliE s e rc i z i è laicale. Lui non era unprete. Lo è diventato dopo, quandoha visto che era il miglior modoper fare un servizio alla Chiesa inquel momento. Tutta l’esperienza diconversione è stata per lui quella ditrovare un metodo, un metodo fat-to da un laico, la cui condivisioneiniziale era presso i laici. Per meoggi è una grande gioia vedere co-me si espande la spiritualità igna-ziana nel popolo di Dio e come simoltiplicano le persone capaci diaccompagnare altri in questo cam-mino. Vogliamo davvero dare aquesto aspetto un’importanza parti-colare, nel nostro lavoro di gesuiti.Vogliamo cercare di trasmettere apiù persone possibili questa espe-rienza. Io conosco decine di perso-ne laiche veramente esperte negliEsercizi spirituali che possono ac-compagnare altri e la cui vita è sta-ta trasformata in un modo tale daringraziare il Signore. Gli E s e rc i z ispirituali non trovano barriere socia-li: per esempio, nei barrios in Ame-rica Latina fare gli Esercizi nella vitaquotidiana è un dono del Signore.

Come vanno le vocazioni alla vita re-ligiosa gesuita e il percorso formativoper entrare in Compagnia?

Il problema non è il numero, mala qualità delle persone. Dipendedal luogo dove siamo. Il numerodiminuisce in Paesi dove tradizio-nalmente eravamo più numerosi co-me l’Europa, l’America del Nord.La qualità è tuttavia molto alta,posso garantire, anche se siamo me-no che nel passato. Abbiamo ungrande numero di candidati in Afri-ca e in alcune aree dell’Asia e fac-ciamo un grandissimo sforzo peruna formazione che è quella dasempre sognata per un gesuita. Èuna formazione lunga, complessaed esigente, che resta invariata.

Sant’Ignazio non ha pensato a un ra-mo femminile della Compagnia...

L’Ordine è quello che è, ma laspiritualità illumina tante altre real-tà religiose. Oggi nelle nostre scuo-le, nei centri di spiritualità, di for-mazione, nei centri sociali tantissi-me donne partecipano a livello di-rettivo, come soggetti ispiratori dialcune attività, condividono la spiri-tualità e la nostra missione. Non cisono donne gesuite ma lavoriamoinsieme nella stessa missione.

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

All’inizio degli Esercizi spiritualisant’Ignazio ci mette di frontea questo Dio vero, Dio nostro

Signore, Gesù Cristo, testimone diverità. E ci fa considerare alcune ve-rità sulla nostra vita, quelle veritàbasilari alle quali ci farà ricorrere neimomenti più decisivi della scelta(cfr. ES 170, 184-185).

La prima è la nostra verità creatu-rale. «L’uomo è creato» (ES 23).Viene da Dio, è stato fatto da Lui.Ma creato come persona, come sefosse l’unico, «plasmato» dalle manidi Dio, che in lui ha riposto le pro-prie aspettative. Io non lascio Dioindifferente. Egli mi ha in mente, miama, mi cura, fa di me il signoredella creazione, che — con la mia li-bertà — devo orientare a Lui, Signo-re assoluto. E per farlo devo servire,da servo inutile (cfr. Lc 17, 10), peressere riconosciuto definitivamentecome un servo fedele (cfr. Mt 25, 21-23). Sono chiamato a lodare, a rive-rire, a sforzarmi di affermare contutto il mio essere, la mia mente, lamia parola, il mio corpo, la mia mo-destia, che c’è un solo Signore de-gno di ogni lode: «L’Agnello, che èstato immolato, è degno di riceverepotenza e ricchezza, sapienza e for-za, onore, gloria e benedizione» (Ap5, 12). La verità sui casi della vita: sa-lute e malattia, vita lunga e vita bre-ve, ricchezza e povertà, onore e di-sonore. Il mio effettivo comporta-mento davanti a essi. La verità suquesti eventi che non dipendono dame, ma mi riguardano nel mio ac-cettarli; e la verità su quelli che di-pendono da me, sulla scelta e sul ri-fiuto.

La verità sulla mia libertà: il modoin cui li scelgo, il modo in cui li re-spingo. La mia famiglia religiosa, lamia comunità, il mio atteggiamentodi «massima abnegazione e continuamortificazione» al servizio del più acui sono chiamato.

La verità sui nostri desideri affin-ché siano fecondi: «Desiderando escegliendo soltanto quello che più ciconduce al fine per cui siamo crea-ti».

Questa è la verità che ci rende li-beri, di una libertà del cuore ineditaper le nostre possibilità meramenteumane, perché questa libertà è unagrazia, un dono. Un dono, tuttavia,del quale non possiamo disinteres-sarci: un dono da meritare con il no-stro lavoro e con il nostro operato.Questa verità significa indifferenza atutto ciò che non è Dio.

Due cose attirano l’attenzionequando s’inizia la meditazione suipeccati. La prima è la preghiera pre-paratoria (cfr. ES 46). Chiediamo aDio nostro Signore, cioè Gesù Cri-sto, il Signore del «Principio e fon-damento», che «tutte le mie inten-zioni, azioni e attività siano pura-mente ordinate a servizio e lode disua divina maestà» (ES 46). Qui ri-petiamo il «Principio e fondamen-to», ma c’è qualcosa di più: appareesplicitamente l’idea di ordine, «es-sere ordinato a», che contrasterà conil disordine della tragedia del pecca-to. Sant’Ignazio vuole che conside-riamo questo disordine del peccatoa partire da un cuore che desideraessere ordinato; e qui già sono scin-tille, perché si scontrano due realtà.

La seconda cosa che colpisce inentrambi gli esercizi sul peccato (cfr.ES 45 e 55) è la composizione diluogo: «Consisterà nel vedere con lavista immaginativa e nel considerarela mia anima imprigionata in questocorpo corruttibile, e tutto il compo-sto in questa valle, come esiliato, trabruti animali. Per composto si inten-de anima e corpo» (ES 47). Duerealtà della nostra esistenza: l’assen-za di libertà (essere imprigionati) el’esilio: entrambe conseguenze delpeccato originale ed entrambe ricor-renti nella storia di salvezza del po-polo d’Israele.

Il popolo fu fatto schiavo (Egitto,Babilonia, Roma). Gesù stesso, ilSignore del «Principio e fondamen-to», ha conosciuto l’esilio (in Egittoe nei brevi espatri in Galilea) e laschiavitù (nella notte del giovedìsanto).

Quando considero la mia perso-na, incatenata e deportata, sottopo-sta alla corruzione e agli assalti dibruti animali, mi identificherò con il

Signore glorioso del «Principio efondamento» che ha voluto portarsiin cielo le sue piaghe come ricordodella schiavitù e dell’esilio che hapatito. Farò la meditazione sul pec-cato con questa disposizione, e con-cluderò contemplando questo Si-gnore «davanti a me e posto in cro-ce», considerando che «da Creatoreè venuto a farsi uomo, e da vitaeterna a morte temporale, e così amorire per i miei peccati» (ES 53),che equivale a considerare Cristo de-portato e fatto schiavo da me, quelCristo che «pur essendo nella condi-zione di Dio, non ritenne un privile-gio l’essere come Dio, ma svuotò sestesso assumendo una condizione diservo, diventando simile agli uomi-ni. Dall’aspetto riconosciuto comeuomo, umiliò se stesso facendosi ob-bediente fino alla morte e a unamorte di croce» (Fil 2, 6-8). Difronte al disordine della prima di-sobbedienza s’innalza, maestosa nel-

la sua umiliazione, l’impresa d’in-staurare l’ordine con l’obb edienza.

Faremo il primo esercizio sui trepeccati che ci propone sant’Ignazio:in primo luogo, il peccato degli an-geli. Presenteremo alla memoria ilpeccato degli angeli, «come essi, es-sendo stati creati in grazia, non vo-lendosi usare con la loro libertà perriverire e obbedire al loro Creatore eSignore, divennero superbi, passaro-no dallo stato di grazia a quello dimalizia e furono cacciati dal cielonell’inferno» (ES 50). Quindi il pec-cato di Adamo ed Eva e infine ilterzo peccato, «il peccato particolaredi uno che per un peccato mortalesia andato all’inferno» (ES 52).

Immediatamente dopo il «Princi-pio e fondamento», sant’Ignazio de-dica ampie pagine all’esame di co-scienza (cfr. ES 24-43).

La lettura mostra la cura scrupo-losa che egli pone affinché appaia laverità su noi stessi e, in questo mo-do, veniamo liberati da qualsiasi in-ganno. L’esame di coscienza igna-ziano è il percorso della ricerca dellanostra verità al cospetto di Dio. Maè anche il percorso nel quale cer-chiamo la verità di Dio su di noi ela verità del cattivo spirito su di noi,in modo che, esaminando le mozio-ni, comprendiamo a che punto sia-mo e impariamo a discernere la veri-tà dalla menzogna.

Perciò l’esame si prolunga, in mo-do strumentale, nelle «Regole persentire e conoscere in qualche modole varie mozioni che si producononell’anima: le buone per accoglierlee le cattive per respingerle» (ES 313-336). Infine, tutto questo processodi conoscenza della verità viene so-stenuto dall’intelaiatura delle anno-tazioni (cfr. ES 1-20) e delle varienote complementari (cfr. ES 73-90;127-133; 157; 199; 204-207; 226-229).

Sant’Ignazio è consapevole delfatto che non è facile conoscere laverità su noi stessi e su Dio nostroSignore, e la verità di Dio nostro Si-gnore su di noi. Il buon seme semi-nato nel buon campo cresce insiemealla zizzania, seminata di notte dalnemico (cfr. Mt 13, 25). Imparare ariconoscerla è parte della nostra vitaspirituale. Domandiamoci con sanPaolo: «Chi vi ha tagliato la strada,voi che non obbedite più alla veri-tà?» (Gal 5, 7). «Non accogliemmol’amore della verità» (cfr. 2 Ts 2, 10)per varie ragioni. Bisogna scoprirle.Gesù stesso ce lo fa notare: «Lapreoccupazione del mondo e la se-duzione della ricchezza soffocano laParola» (Mt 13, 22; cfr. Mc 4, 19). El’inganno ci indebolisce, ci rende si-mili a certe donnette «che non rie-scono mai a giungere alla cono-scenza della verità» (2Tim 3, 7-8).Per mantenersi sulla via dellaverità servono lealtà e fortez-za, perché «la via della veritàsarà coperta di disprezzo» (2Pt2, 2) e bisogna combattere dicontinuo per non restare inganna-ti. Ora comprendiamo perchésant’Ignazio abbia dato tanta impor-tanza all’esame di coscienza (dalquale non dispensava mai) e siagiunto a esaminare se stesso al toc-co di ogni ora.

Infine, per non perdere mai divista la concreta possibilità di al-lontanarsi dalla verità, di vivere nel-la menzogna, conviene essere apertiai moniti dei fratelli: «Fratelli miei,se uno di voi si allontana dalla veri-tà e un altro ve lo riconduce, costuisappia che chi riconduce un pecca-tore dalla sua via di errore lo salveràdalla morte e coprirà una moltitudi-ne di peccati» (Gc 5, 19-20).

Correggere e lasciarsi correggere.Avere il coraggio di dire a un fratel-lo (cercando il modo di rendere ac-cettabile quel che dico) che sta al-lontanandosi dalla verità. E averel’apertura di cuore di lasciare che lodicano a me quand’è il caso.Sant’Ignazio nelle Costituzioni insi-ste su questa apertura di cuore esulla disponibilità a essere avvertitidelle proprie mancanze e a riceverebene queste avvertenze.

Il 31 luglio la Chiesa celebra la memoria liturgica disant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesùe autore dei celebri Esercizi spirituali. In alcune riflessioniscritte da Jorge Mario Bergoglio tra il 1980 e il 1986 epubblicate nel 1987 — tradotte, per la prima voltaintegralmente in italiano, e contenute nel volume edito daSolferino con il titolo Cambiamo! (Milano, 2020) — si ri-trovano elementi e riflessioni per comprendere alcuni elementidella spiritualità ignaziana mutuata dall’esperienza perso-

nale, comunitaria e pastorale di Papa Bergoglio. Questi bra-ni permettono di «entrare nello sguardo del Pontefice» e«comprendere meglio il modo di giudicare e di agire», comescrive padre Antonio Spadaro, direttore de «La Civiltà Cat-tolica» nella prefazione alla nuova edizione. Dalla parteiniziale che ha come titolo «Veracità e conversione», conte-nente «meditazioni sulla prima settimana di Esercizi», pub-blichiamo alcuni passi tratti dai capitoli “Principio e fonda-mento”, “Peccato” ed “Esame”.

L’#amicizia è un regalo della vitae un dono di Dio. Gli amici fedeli che sono

al nostro fianco nei momenti difficili sono un riflessodell’affetto del Signore, della sua consolazione

e della sua presenza amorevole

(@Pontifex_it, 30 luglioGiornata internazionale dell’amicizia)

di CAT E R I N A CIRIELLO

I l 31 luglio 1556 moriva a RomaIgnazio di Loyola, uno deimaggiori santi dell’epoca mo-

derna e fondatore della Compagniadi Gesù (1540). Conoscerne la vitae la spiritualità — quest’ultima haispirato donne e uomini nelle fon-dazioni di tante congregazioni reli-giose — è veramente una esperienzanotevole ed entusiasmante. Tanto siè scritto su questo giovane nobilebasco affascinato da Dio e ancorasi scriverà, e mai nessun libro potràesaurire tutto quello che la vita diquesto santo ci trasmette; ma av-venturarsi nella lettura della Au t o -b i o g ra f i a e farlo con lo stesso spiritodi Ignazio, ossia in pellegrinaggioalla scoperta di Dio, può esseregratificante e costruttivo per la pro-pria vita di credente. La redazionedel libro, fortemente voluta dai ge-suiti vicini al santo, ed elaboratadal padre Luis Gonçalves da Ca-mara — il quale raccolse con preci-sione tutto quanto Ignazio gli rac-contava — termina nel 1555 e da se-coli è la principale fonte di istruzio-ne spirituale, insieme al Diario spi-rituale, per i novizi gesuiti e non.

Il Racconto del Pellegrino, questoil titolo esatto, è, infatti il resoconto“nudo e crudo”, senza fronzoli, delprocesso di conversione interiore diIgnazio di Loyola. Qui la “conver-sione” va intesa in un contesto benpreciso, evidenziato da Ignazio an-che nel percorso dei suoi EserciziSpirituali: Dio lo chiama a «mette-re ordine nella sua vita ed a liberar-si di tutti gli affetti disordinati»(ES 3) per donarla totalmente alsuo servizio. Il cammino — o pelle-grinaggio — pensato da Dio per ilsanto passa attraverso la dura ago-nia della carne, di ogni suo “v o l e ree sentire”.

Ignazio, infatti, giovane cavalieredi bell’aspetto e desideroso di con-quiste mondane, è costretto, suomalgrado, ad accettare la malfor-mazione fisica causatagli da una

palla di bombarda durante l’assediodi Pamplona, non senza essere pri-ma ricorso a strazianti operazionichirurgiche. È in questo momentotanto tragico che scopre, condottodallo Spirito, le prime dinamichedel discernimento degli spiriti, poiperfezionato negli anni e ben de-scritto negli Esercizi spirituali. «Lasua consolazione più grande eraguardare il cielo e le stelle; li con-templava spesso e per lungo tem-po, perché da questo gli nascevadentro un fortissimo impulso a ser-vire nostro Signore» (Au t o b i o g ra f i a11). E di fatto, come accaduto per iprimi discepoli di Gesù il giovaneIgnazio lascia tutto per seguire ilMaestro. Spogliatosi degli abiti lus-suosi si affida alla vergine Marianel santuario di Montserrat, perpoi recarsi a Manresa. Là in una“cueva”, una grotta ora trasformatain luogo di meditazione e preghie-ra, conduce una vita fatta di peni-tenze e digiuni, ma soprattutto dipreghiera: sette ore quotidiane.

La preghiera incessante è uno deimaggiori segni di un’anima com-pletamente assorta in Dio; essa, in-fatti, non è frutto di sforzi asceticibensì dono di Dio che mette nelcuore di chi lo brama il desideriodi amarlo e cercarlo continuamentescoprendo il senso, la ragione delproprio vivere: «L’uomo è creatoper lodare, riverire e servire Dionostro Signore e per salvare, me-diante ciò, la propria anima; e le al-tre cose sulla faccia della terra sonocreate per l'uomo affinché lo aiuti-no al raggiungimento del fine percui è stato creato» (“Principio efondamento”, Es 23).

Lungo tutta l’Au t o b i o g ra f i a è pos-sibile cogliere, attraverso una lettu-ra attenta e partecipata, gli statid’animo e le “mozioni” che muovo-no Ignazio a considerare ogni pic-colo cambiamento interiore. «Inquesto periodo Dio si comportavacon lui come fa un maestro discuola con un bambino: gli inse-gnava» (Au t o b i o g ra f i a 27). Ignazio

apprende tutto da Dio: amore,umiltà, l’importanza del servizio, ilgiusto valore delle cose e di ognirealtà terrena che va utilizzata solose ci aiuta ad arrivare a Dio e arenderci santi. E poi il grande valo-re della “i n d i f f e re n z a ”, ovvero, inparole povere, non desiderare altrose non ciò che Dio ci ha riservato:che sia vita lunga o breve, ricchez-za o povertà, salute o malattia.Questo piccolo — in statura — santobasco aveva compreso che è la ri-cerca continua della volontà di Dioa renderci perfetti, l’incontro conCristo che ci trasforma e ci riconse-gna la nostra umanità. “Salvare leanime” e “la maggior gloria di Dio”hanno mosso Ignazio a compiere lagrande impresa di fondare la Com-pagnia di Gesù (i Gesuiti) con po-

«Dio mi è testimone di quanto ar-dentemente, o Padre carissimo, iodesideri rivederti in questa vita perpoter parlare con te delle molte co-se che necessitano del tuo aiuto erimedio: infatti nessuna distanza diluogo è in contrasto con l’obb e-dienza». Mai più si rividero.

La Chiesa di allora e di oggi de-ve molto a Ignazio di Loyola: fede-le al Papa, a cui la Compagnia fapiena obbedienza, ha trasfuso neisuoi compagni e in ogni luogo daessi evangelizzato quella importan-te dinamica del sentire cum ecclesiadi cui abbiamo sempre tanto biso-gno per garantire una comunicazio-ne sempre più autentica del mes-saggio evangelico. Cristo ci aspettadovunque: nelle metropoli comenelle zone più remote di questa no-

chi compagni a cui era legato an-che da una profonda amicizia e inun periodo in cui la Chiesa affron-tava la grande prova delle chiesep ro t e s t a n t i .

Pur con dolore inviò il suo piùcaro amico e fedele compagno, sanFrancesco Saverio, a evangelizzarele Indie Orientali perché quell’ami-cizia nata nel Signore avesse il suopieno compimento in lui. Nel 1548gli scrive san Francesco Saverio:

stra terra lacerata. Doniamogli lanostra vita e come sant’Ignazio di-ciamo: «Prendi, Signore, e ricevitutta la mia libertà, la mia memo-ria, la mia intelligenza e tutta lamia volontà, tutto ciò che ho e pos-siedo; tu me lo hai dato, a te, Si-gnore, lo ridono; tutto è tuo, ditutto disponi secondo la tua volon-tà: dammi solo il tuo amore e latua grazia; e questo mi basta».

Il monogramma IHS ra f f i g u ra t onelle Camerette di sant’Ignazio accanto

alla Chiesa del Gesù a Roma (XVI secolo)

Juan Martínez Montañez«Sant’Ignazio di Loyola» (1610)