Graziella Dragoni - Vincere con la mente
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GRAZIELLA DRAGONI
VINCERE CON LA MENTE
Ecco il libro
- Parla di sport?
- Scherma. Lotta. Tortura.
Vero amore. Odio. Vendetta.
Giganti. Cacciatori.
Dolore. Morte.
Uomini coraggiosi.
Uomini codardi.
Gli uomini più forti.
Inseguimenti. Fughe.
Menzogne. Verità.
Passione. Miracoli.
- Sembra ok!
( W. Goldman, La storia fantastica)
INTRODUZIONE
PER UNA PSICOPEDAGOGIA DELLO SPORT
“Noi non viviamo in molti (ma nemmeno in due) mondi diversi: un mondo mentale e un mondo fisico, un
mondo scientifico e un mondo del senso comune.
Non c’è che un unico mondo: è il mondo in cui tutti viviamo, e dobbiamo spiegare come esistiamo in
quanto parte di esso.
(John R. Searle, La mente)
Il mondo dello sport
Nel mondo dello sport sono sempre più numerosi i casi di interesse da parte di atleti e di società verso la
conoscenza degli aspetti psicologici della prestazione sportiva.
E’ ormai da più parti conclamato che esiste una stretta correlazione tra i fattori emozionali e la
funzionalità somatica e che possono ottenersi vantaggi da terapie di tipo psicologico in numerosi aspetti
dell’attività sportiva.
L’approccio psicosomatico degli interventi supera il dualismo psico-fisico e la separazione tra mente e
corpo: l’uomo, e l’atleta quindi, è considerato come un’unità, in cui corpo e mente sono integrati nelle
loro funzioni.
Risulta pertanto evidente come per gli atleti si debba parlare, accanto all’allenamento fisico, anche di
preparazione mentale che aiuti ad affrontare nelle migliori condizioni lo svolgimento dell’attività
amatoriale e agonistica.
L’obiettivo della Psicologia e della Pedagogia applicate allo Sport è di incentivare a perseguire il proprio
benessere psicofisico, di aiutare a conquistare gli strumenti per attivare l’incontro e il colloquio con il
proprio corpo, di imparare a riconoscere gli stimoli che provengono dai vari organi e le sensazioni
connesse.
Tutto ciò può essere analizzato e insegnato in modo da fornire a ciascun individuo le basi per apprendere
e sperimentare autonomamente la propria corporeità.
E’ auspicabile, quindi, organizzare e diffondere una sinergia di intenti fra varie scienze che abbia come
finalità primaria l’educazione all’attività motoria attraverso itinerari adatti ai giovani in età evolutiva e
agli adulti, nell’ambito dell’orientamento e dell’educazione permanente.
Il concetto di sport
Quando parliamo di sport, comprendiamo in senso allargato tutta l’attività motoria, agonistica e
amatoriale, intesa come:
- strumento educativo e di crescita per il ragazzo;
- occasione di auto-percezione e autonomia;
- mantenimento e svago per l’adulto;
- mezzo rieducativo per persone con disagi fisici e mentali;
- soddisfazione delle proprie motivazioni e del proprio talento;
- affermazione personale e occasione di successo (Galimberti).
Ci riferiamo quindi al concetto di sport come agonismo, ma, allo stesso modo, anche all’attività
amatoriale e motoria in generale. Sono gli argomenti oggetto della Preparazione Mentale.
L’obiettivo primario della Preparazione Mentale è quindi rappresentato dal raggiungimento del benessere
generale: star bene con se stessi, con il proprio corpo, con la propria mente. Gli effetti positivi della
pratica sportiva sono di fatto ampiamente riconosciuti e accettati dalla società; lo sport è ritenuto un
valido mezzo per raggiungere e mantenere uno stato ottimale di “buona salute”; inoltre, il controllo del
benessere fisico è raccomandato da tutte le istituzioni moderne in quanto alleggerisce il carico della spesa
sanitaria nazionale.
Le radici storiche di tali convinzioni affondano nell’antichità: basti pensare alla diffusione di luoghi di
ritrovo come le terme, le palestre, i ginnasi; testimonianze della loro importanza provengono dai resoconti
di gare e giochi ginnici nell’antica Grecia e in Roma, nei quali eccellevano atleti dalle straordinarie doti
fisiche e dalla provata lealtà.
I livelli di prestazione sono diversi e per ciascun individuo vale una motivazione specifica.
Considerando la spinta verso l’autoaffermazione e la valorizzazione dei propri talenti, dobbiamo
approfondire gli aspetti dell’agonismo. Agonismo è gara e coinvolge lo spirito di competizione, in quanto
fattore di promozione e di accrescimento dei propri livelli di rendimento.
La pratica dello Sport, effettuata seguendo i principi della competizione e secondo l’osservanza delle
regole, del rispetto verso gli altri e verso se stessi, comporta la consapevolezza che vittoria e sconfitta
possono essere momenti di crescita, di coesione senza distinzione di ceto, di status o di altro.
Siamo convinti che lo Sport possa essere un’esperienza che ha come valore centrale il rispetto della
dignità di ogni persona, che consente di perseguire ideali e gioire per le prestazioni personali; anche
nell’agonismo di altissimo livello, si mantiene comunque il confronto leale con gli altri, escludendo
spunti di intolleranza, discriminazione, esasperazione.
Ciascun individuo, in rapporto all’età, alle motivazioni che lo sorreggono, alle proprie capacità e
possibilità, trae vantaggi dall’attività sportiva.
La cultura sportiva
Nella società attuale si assiste a una diffusa assenza di valori-guida che dovrebbero, invece, diventare i
punti di riferimento e di orientamento per lo sviluppo armonioso dei soggetti in età evolutiva.
E’ compito delle istituzioni, come la famiglia, la scuola, la società, favorire l’evoluzione ottimale psico-
fisica dei ragazzi attraverso una cultura dei valori.
Anche il mondo dello Sport è investito nel progetto di formazione dei giovani.
Occorre creare le basi per una cultura sportiva che prevede reciproco rispetto, adesione ai principi
umanistici e tecnici dello sport, nella sua accezione di puro, educativo, pacifico, civile.
Il valore dominante nello sport, dal quale discendono tutti gli altri, è l’autorealizzazione, che porta a
perseguire compiutamente le proprie potenzialità. Questo valore rappresenta l’obiettivo individuale
dell’atleta, ma anche una meta finale qualificante per le istituzioni sportive a tutti i livelli, nessuno escluso
(squadre, dirigenti, sponsor, allenatori, preparatori, scuole di sport, medici sportivi, mezzi di
comunicazione, tifosi e supporter, psicopedagogisti dello sport…).
L’autorealizzazione si attua tramite nobili valori, come la lealtà verso i compagni e verso l’avversario,
l’onestà degli intenti, il rispetto delle regole stabilite, il senso di responsabilità, l’adesione ai propri
compiti, la sincerità e la trasparenza, in allenamento, in gara, nella vita comunitaria.
Se il fine ultimo, e importantissimo, è offrire le basi per una cultura sportiva degli atleti, occorre però
agire anche, e soprattutto, sulla mentalità degli operatori dello sport.
Sono da analizzare e formare i convincimenti e i principi che servono da guida all’azione di coloro che
interagiscono quotidianamente con i ragazzi. Questa chiarezza è assolutamente indispensabile per poter
divenire i loro educatori, per aiutare il loro sviluppo fisico, sociale e psicologico, con un’azione centrata
sull’atleta, prima che sulla vittoria a tutti i costi.
Dice Martens nel suo Manuale per gli allenatori: ”Un bravo allenatore deve possedere abilità e
conoscenza straordinaria per produrre bravi atleti e tuttavia ci si aspetta che facciano di più… che
producano esseri umani dignitosi. Devono coniugare abilità di leadership e di comunicazione”.
Il programma di interventi
La Psicologia dello Sport è un settore della Psicologia Applicata che studia il comportamento dell’atleta
prima, durante e dopo l’attività sportiva.
Considerato che durante l’attività sportiva l’individuo viene a trovarsi in situazioni particolari che
implicano reazioni ed emozioni come ansia, aggressività, esaltazione, delusione, gli argomenti da trattare
in campo psicologico sono inerenti la personalità, la motivazione, l’interesse, l’attivazione, le dinamiche
interpersonali.
A sua volta, la Pedagogia applicata allo Sport, in quanto scienza dell’educazione, attua un programma di
insegnamento/apprendimento che privilegia il raggiungimento degli obiettivi di formazione psicomotoria,
di avvio all’attività sportiva e di allenamento specifico.
Accanto al potenziamento fisiologico e al consolidamento e coordinamento degli schemi motori di base,
consideriamo l’attività motoria e l’avviamento alla pratica sportiva nel contesto dell’azione educativa e
della formazione della personalità.
Pertanto la Psico-pedagogia richiama le reciproche competenze nel rispetto dei ruoli dello psicologo e
del pedagogista.
“Nell’atleta il movimento deve essere programmato in sequenze dal cervello prima dell’inizio di ogni
azione”, così si esprime lo psicologo Howard Gardner nel considerare il ruolo del cervello nel
movimento del corpo. Fra le “intelligenze multiple”, egli considera non solo l’intelligenza linguistica,
l’intelligenza musicale, le intelligenze personali, l’intelligenza spaziale, ma anche l’intelligenza corporea-
cinestetica. “Il controllo dei propri movimenti corporei e la capacità di manipolare abilmente oggetti sono
i nuclei centrali dell’intelligenza corporea”.
Si può dunque predisporre un programma di interventi per il livello mentale, partendo dalla cura della
respirazione e dal rilassamento, fino alla conquista della fiducia nelle proprie potenzialità, alla soluzione
di situazioni conflittuali, alla scoperta del proprio talento, al mantenimento delle motivazioni, al
perseguimento degli obiettivi prefissati.
Come anticipato, in quest’impresa sono interessate diverse istituzioni che ruotano attorno agli aspetti
educativi e formativi: la famiglia, la scuola, i team sportivi, le associazioni, gli enti locali, la società nel
suo complesso.
Il presente lavoro è frutto di una ricerca sul campo, cogliendo spunti da diversi studi e tecniche, da
interviste e da esperienze dirette, in una visione olistica dell’attività sportiva, agonistica e amatoriale.
Oltre agli aspetti teorici, che sono integrati da approfondimenti (ZOOM), sono state raccolte
TESTIMONIANZE dagli atleti che forniscono un’immagine concreta del mondo dello sport. Sono anche
proposte diverse ATTIVITA’ , esercizi da svolgere per autoanalisi.
ZOOM – Problemi psicosomatici degli atleti
Dalla somministrazione di un questionario a diversi atleti sui loro principali problemi, emergono queste
risposte, sempre collegate agli aspetti psicologici, oltre che fisici.
Alla domanda: Quali sono i principali problemi? Queste sono le risposte con maggiore frequenza.
Ansia pre-gara, in gara, post-gara.
Paure, insicurezza, timore dei pericoli.
Incapacità di gestire l’insuccesso (frustrazione).
Isolamento dai compagni di squadra, senso di inferiorità.
Stato di apatia e di disinteresse.
Stato costante di agitazione.
Dipendenza dal giudizio di altri.
Incapacità di farsi valere.
Forti pressioni ambientali, familiari, da sponsor.
Problemi personali e affettivi.
Insicurezza contrattuale.
Situazioni stressanti: spostamenti faticosi, intemperie, contrattempi tecnici, alimentazione affrettata o
non adeguata, sonno e riposo insufficienti…
Reazioni personali di fronte ai malanni tipici: crampi, dolori muscolari, tracheo-bronchiti, disfunzioni
epatiche, gastriti, infiammazioni…
Insorgenza di sensazioni di burn out: sentirsi senza via d’uscita, scoppiati, fuori gioco, avvertire un calo
di motivazione, stati depressivi, immotivati sensi di colpa…
Disturbi psicosomatici di vario genere, esaurimento psico-fisico…
(a cura dell’autrice)
TESTIMONIANZA – Gli argomenti che vorrei trattare
Dopo la prima parte della stagione, ho fatto un po’ di autoverifica e mi sono reso conto delle lacune che
ho … Vorrei saperne di più in certi argomenti:
Capacità di riprendersi dalla percezione della sconfitta.
Controllo della rabbia.
Gestione degli attacchi di panico e controllo dell’ansia.
Allenamento al controllo dell’attivazione.
Passaggi di categoria.
Allenamento alla concentrazione e alla costanza.
Controllo dei momenti di depressione.
Effetti del super allenamento.
Problemi di discordia familiare sul mio sport.
Riduzione della paura in generale.
Focalizzazione dell’attenzione, sono distratto.
Divertirmi nel mio sport.
Definire bene i miei obiettivi, saper scegliere.
Star bene in gruppo, rapporti con la stampa.
Sviluppare anche altri interessi.
Frasi positive per darmi coraggio.
Capacità di sentire i muscoli.
Allenamento al rilassamento.
Controllo del sonno.
Controllo dei pensieri.
Saper fare la visualizzazione.
Trovare il mio funzionamento ottimale…
(un atleta convinto)
ATTIVITA’- Il risveglio
Questo è un semplice esercizio da eseguire quando ti svegli, prima di saltare giù dal letto.
Distendi le braccia e sbadiglia parecchie volte.
Unisci le gambe con i piedi uniti e gli alluci che si toccano.
Distendi le gambe e tutto il corpo, allungandoti.
Orienta la tua mente sulla tua gamba destra.
Da sdraiato, comincia a stendere solo la gamba destra, senza alzarla, ma solo per allungarla. La spinta
si trasmette dal fianco destro in giù.
La gamba destra sarà più lunga della sinistra: resta in questa posizione contando fino a 40.
Rilassati e unisci ancora i due piedi.
Ora orienta la tua mente sulla tua gamba sinistra.
Inizia ad allungarla come hai fatto con la destra, spingendo in basso dal fianco sinistro in giù.
La gamba sinistra sarà più lunga della destra: resta in questa posizione contando fino a 40.
Rilassati e unisci ancora i due piedi come nella posizione iniziale.
Concediti ancora qualche secondo prima di scendere dal letto.
Questo esercizio ha effetto su tutto il corpo: distende la spina dorsale, ritempra i nervi, ristabilisce il
contatto fra corpo e mente.
I PARTE IL MOVIMENTO. IL CORPO. LA MENTE
“Il camminare placa. In esso c’è un potere salutare. La regolarità del mettere- un- piede-davanti
all’altro, muovendo nel contempo ritmicamente le braccia, l’aumento della frequenza respiratoria, la
lieve stimolazione del polso, le attività degli occhi e delle orecchie, necessarie per determinare la
direzione e per mantenere l’equilibrio, la sensazione dell’aria che sfiora la pelle…
…tutti questi fenomeni non possono che portare all’unione del corpo e della mente… “
(Patrick Süskind, Il piccione)
CAP.1 L’ATTIVITA’ MOTORIA E LO SPORT
“ … e la mente ordina: In piedi!
E così il bambino ha fatto proprio l’impegno umano a camminare diritto”.
(Jacob Bronowski, L’ascesa dell’uomo)
1.1 L’uomo e lo sport: un legame antico e profondo
Lo sport è universale. Oltre al contesto storico-geografico, lo testimonia anche la diffusione del vocabolo
in tutte le lingue.
Come tante parole, anche “sport” ha una sua storia. Dal latino “deportare”, cioè uscire fuori porta,
derivano i rispettivi termini in provenzale, spagnolo, francese che significano: divertimento, svago; in
seguito, il termine fu adottato dalla lingua inglese nel 1300 come disport, abbreviato poi nell’attuale
“sport”.
Questi termini si riferiscono all’aspetto ludico dell’attività sportiva, che si praticava fuori dalle mura
cittadine e, per analogia, fuori dal tempo del lavoro e degli impegni sociali.
Dalla concezione di sport come gioco allo sport agonistico si percorrono le tappe dello sviluppo umano,
in particolare dello spirito sportivo come valore.
Testimonianze di attività motoria si ritrovano addirittura nella preistoria attraverso le immagini fornite da
graffiti e mosaici, soprattutto legate alle scene di caccia, ma anche di movimento puro: tiro con l’arco,
nuoto, corsa…e ancora scene di pugilato, di lotta, di sollevamento pesi, di lanci di attrezzi, di giochi con
la palla.
(INSERIRE IMMAGINE Ragazze in bikini che giocano a palla – Mosaico di Piazza Armerina (Enna)
Inoltre sappiamo che, tra le tribù primitive, le esercitazioni sportive erano collegate alle cerimonie rituali
e religiose.
Il movimento ha rappresentato una delle facoltà più importanti verso la spinta dell’emancipazione
dell’uomo. Pensiamo all’attività del bambino che scalcia quando è ancora nella pancia della mamma, poi
al suo istinto di strisciare, di gattonare e, infine, alla conquista dell’equilibrio e della posizione eretta; in
pochi mesi ripercorre secoli e secoli di adattamento della specie umana. Potersi muovere lo riscatta dal
forzato periodo di solitudine e di dipendenza dagli altri e lo proietta verso infinite applicazioni; il
movimento è frutto del riflesso autonomo che lo accomuna al mondo animale e alla storia dell’umanità,
secondo la prospettiva antropologica.
A questo riguardo, possiamo considerare la situazione di un atleta pronto per la gara di corsa. Allo sparo
del via, il corridore scatta; le sue funzioni fisiologiche si modificano, il battito cardiaco accelera, il respiro
aumenta, l’ossigeno arricchisce il sangue per inviare energia ai muscoli : si ripete, nell’atto atletico, il
meccanismo proprio dell’uomo primitivo che correva per sfuggire a un pericolo, perché inseguito da una
belva, con la differenza che l’atleta scatta non più per paura, bensì in virtù dell’antico riflesso divenuto
automatico.
Ragazze in bikini che giocano alla palla - Mosaico di Piazza Armerina – Enna
TESTIMONIANZA - L'istinto e le false partenze
Per l’uomo primitivo, correre per sfuggire ai predatori, ai pericoli o, al contrario, per cacciare, quindi
essere predatori, faceva parte di una sfera (quasi) del tutto istintiva. Le strategie di caccia e di ricerca di
luoghi sicuri dove vivere fanno parte del quadro evolutivo dell’umanità, per cui gli individui più
ingegnosi hanno saputo organizzare meglio le proprie società in agglomerati di abitazioni inattaccabili,
mentre la strategia di caccia ha portato a costruire strumenti (come trappole, lance, frecce, fiocine e
cerbottane) che hanno consentito un risparmio energetico/muscolare, per poi passare all'allevamento e
allo scambio di bestiame.
Comunque sia, la corsa ha sempre rappresentato per l'uomo un gesto istintivo. Primordiale.
Basti pensare a come il corpo umano sia in grado di tenere una corsa folle anche se fuori allenamento o
appesantito. L'istinto è capace di far superare il limite che il corpo può sopportare. Gli stati
d'indolenzimento o di infiammazione ai tendini ne sono la dimostrazione: siamo in grado di sostenere
sforzi, oltre al limite.
Eppure la preparazione fisica esasperata, il desiderio di vincere/prevalere, hanno portato il "gesto" della
corsa ad avere una forte connotazione mentale.
Se prendiamo in considerazione gli atleti prima di una gara, assistiamo a una vera e propria
rappresentazione di rituali per entrare in trance agonistica; tra l'altro, questi rituali sono simili e
perfettamente riconoscibili in tutte le gare di salto o di tiro.
Possiamo analizzare la corsa per eccellenza, la più veloce e spettacolare: i 100 metri piani.
Tutto si svolge in poco più o poco meno di 10 secondi, ma tutti i movimenti devono essere perfetti. La
partenza viene programmata e allenata per anni; le nuove regole impongono che non si possa partire
anticipatamente, pena la squalifica.
L’allenamento mentale deve gestire l’ansia del momento e frenare l’istinto di scattare prima del tempo.
In un’importante gara di atletica, il super-favorito fu squalificato per essere partito dai blocchi con
palese anticipo. Il caso fece scalpore: il favorito squalificato, quando era chiaramente il più forte! Cosa
era successo? Il richiamo istintuale alla fuga era forse stato più forte della razionale costrizione di
attesa?
E' bene notare come il fatto di perdere una gara può essere un vantaggio mentale più per il campione che
per l'atleta medio, perché, se è in grado di metabolizzare un contrattempo e una sconfitta, potrà affinare
il sistema di concertazione e di cura del dettaglio per le gare a venire.
ZOOM – Sport e costume
Indagini di settore rivelano che lo sport nelle sue varie forme è praticato dall’80% degli italiani e che più
della metà viene praticato con assiduità e regolarità.
Le strade di ogni paese si riempiono di ciclisti e di podisti che praticano attività motoria a livello
amatoriale.
Si fa anche una top15 delle discipline più popolari; vi rientrano il nuoto, la ginnastica, il calcetto, e in
certe stagioni lo sci, il calcio, le arti marziali.
Lo sport è anche un fatto di costume per tutte le opportunità che attiva: quella di poter seguire le gare in
diretta o sul campo o grazie ai mass-media (tv, computer). In questo modo si conoscono e si considerano
anche le discipline meno popolari come il Tiro con l’arco, il canottaggio, la canoa.
Foto Tiro con l’arco – v. Vincere con la mente, copertina
1.2 Collegamento corpo-mente
Queste considerazioni confermano ancora una volta il collegamento fra il corpo e la mente e, inoltre, che
l’uomo di oggi affonda le sue radici nella storia dell’umanità che l’ha preceduto, nelle facoltà e scoperte
effettuate nel corso dei secoli, quali l’uso dell’immaginazione, la capacità di elaborare progetti,
l’utilizzazione del proprio talento.
Da sempre, quindi, l’uomo ha sviluppato doti di abilità, di forza fisica, di resistenza alla fatica, di
confronto e di agonismo, sia pure sotto forma di gioco e spettacolo, con arbitraggi, premi, abbigliamento
specifico.
Molte delle manifestazioni che oggi formano lo sport trovano precursori antichi.
La scoperta della ruota, una delle prime grandi invenzioni dell’umanità, ha aperto un’esplosiva fase di
espansione e di velocità per gli innumerevoli sport moderni che la utilizzano.
Il tronco scavato con strumenti rudimentali è antesignano della canoa, del canotto e degli sport acquatici.
Il primo arco con la prima freccia scoccata per la caccia, testimoniata dalle numerose incisioni rupestri,
corrisponde al moderno tiro con l’arco, con la balestra…
Non erano attività praticate solo per sopravvivenza, ma anche per il bisogno di giocare, di gareggiare, di
misurarsi: nello sport avviene quell’indissolubile rapporto fra corpo-mente, in cui tutti gli organi e le
facoltà mentali e fisiche vengono interessati e sollecitati.
Pensando alle origini dello sport, si fa riferimento alla civiltà greca, facendo risalire addirittura a Eracle la
nascita dei giochi sacri di Olimpia da cui derivarono i Giochi Olimpici nel 776 a.C. sospesi e ripristinati
fino alle moderne Olimpiadi che si tengono ogni 4 anni.
Anche in altre antiche civiltà, come la cinese e la giapponese, si praticavano attività atletiche (ci riferiamo
alle arti marziali).
La nascita delle varie discipline non venne mai a cessare, fino a giungere alle attuali inserite nelle
Olimpiadi e alle innumerevoli altre varianti che via via acquistano popolarità e frequenza. Da pura
esercitazione fisica, il concetto di sport si è allargato, acquistando l’obiettivo di educare il corpo e
l’anima. Nel 1828 fu il britannico Thomas Arnold a definire lo sport come divertimento educativo, da cui
si fa derivare la moderna Pedagogia dello Sport.
Cogliamo il significato di valore e di benessere riferito all’attività motoria nell’antico detto degli Indiani
delle pianure: ”Occorre camminare cinque lune nei mocassini degli altri prima di poter capire se stessi”.
ZOOM Discipline olimpiche INSERIRE IMMAGINI v.web sotto ATLETICA
BADMINTON
CANOA CANOTTAGGIO
CICLISMO
SPORT DI SQUADRA GINNASTICA
LOTTA GRECO ROMANA
PATTINAGGIO ARTISTICO GOLF
JUDO
EQUITAZIONE LOTTA LIBERA
TAEKWONDO
PENTATHLON MODERNO TRIATHLON
SOLLEVAMENTO PESI
NUOTO (TUFFI – PALLANUOTO) TENNIS
PUGILATO
TIRO (ARCO, ECC.) SCHERMA
VELA
Immagini sport olimpici . v.web
1.3 Passione sportiva
“A me piace lo sport!”. E’ la frase che sentiamo dire spesso da appassionati che seguono gli eventi
sportivi e le gesta dei campioni. Nella passione sportiva, lo spettatore partecipa alla gioia dell’azione, si
esalta, scarica il bisogno di risolvere le proprie tensioni energetiche attraverso i vissuti degli atleti.
Consideriamo lo “spettatore sportivo”
Secondo Peter Brook, il celebre regista, lo spettatore è una delle tre 'corde' che l'attore deve sempre
mantenere equilibrate. Sbilanciarsi a favore dello spettatore rende infatti preponderante l'aspetto di
'esibizione' della rappresentazione teatrale, mentre una scarsa attenzione al destinatario del racconto può
far diventare il racconto stesso debole e privo di senso, se non nella elaborazione privata di chi lo esegue.
Lo sport moderno corrisponde in toto alle modalità descritte dal drammaturgo Brook. Basti pensare alla
pura esibizione del motociclista dopo una vittoria, oppure delle scenette di un saltatore con l’asta prima e
dopo la gara... E come rinunciare ai balletti studiati dai calciatori dopo aver segnato un goal!.
La differenza (se proprio ce ne fosse una) tra lo spettatore "classico" e quello sportivo è la partecipazione.
Per la maggior parte, guardare un evento sportivo significa viverlo, significa fare sport! Il coinvolgimento
è a livelli talmente alti che anche fisicamente si manifestano tutte le caratteristiche dell' attività fisica
completa.
Il processo psicologico che interviene è l'identificazione e aumenta in maniera esagerata negli ex-atleti,
specie se l'evento è direttamente legato alla passata esperienza. Attraverso l'identificazione si attua il
processo col quale un soggetto introietta dei tratti della personalità di un altro e modella le proprie azioni
su di esso.
L'identificarsi permette di aumentare la propria autostima e avvertire un senso di benessere fisico
effettivo.
TESTIMONIANZA – Lo spettatore sportivo
Ogni volta che guardo una gara di ciclismo in TV, questo mi succede spesso: momenti cruciali come uno
sprint mi fanno letteralmente saltare dalla poltrona! Del resto, ancora oggi sento persone che mi hanno
visto vincere la tappa al Tour de France nel 1999 e mi dicono:" Mi ricordo ancora! Spingevo anch'io con
te!".
Lo stesso vale per la maggior parte degli sportivi "attivi". Il grado di partecipazione e identificazione
permette alla maggior parte di essere più obiettivi e meno critici nei confronti degli "attori".
Invece il tifoso classico o "da bar" è colui che ama criticare, deridere e sminuire le imprese degli atleti
professionisti. Riesce a essere anche molto duro e caustico nelle sue analisi, addirittura contraddicendo
quello che lui stesso aveva sostenuto qualche giorno prima. In questo caso, prevale l'aspetto sociale su
quello sportivo. Sentirsi parte di una bandiera o di un fan club permette di soddisfare il bisogno di
aggregazione e di condivisione di ideali.
La causa di questo comportamento può essere il rimpianto per non essere riusciti ad emergere nello
sport (o nella vita); infatti si verificano molti casi di persone che evitano qualsiasi tipo di esercizio fisico
per non riaprire una ferita mai del tutto guarita.
Poi ci sono i dubbiosi. Quelli che mettono in dubbio tutto e pensano alle più strane alchimie: nel caso di
tempi record nell'atletica danno il merito al vento, al materiale della pista, ma mai all'atleta!
Essere” spettatore sportivo" è gratificante, a condizione di mettere da parte le critiche e di dubbi sulle
prestazioni degli atleti per godere e vivere le imprese e le fatiche, come l'esaltazione dei vincenti o la
disperazione degli sconfitti, ricordando che il processo di preparazione che ogni atleta ha fatto per
arrivare alla competizione è parte di un percorso difficile e doloroso.
TESTIMONIANZA – Maratona di New York: al Central Park
Un evento sportivo attira gli spettatori, appassionati di sport.
Correre la Maratona di New York è un mito per i podisti. Anche vivere la Maratona di New York da
spettatori sul traguardo è un’esperienza esaltante ed emozionante.
Lo scenario è fascinoso: addobbi semplici e sobri, l’arco dei palloncini colorati sotto cui sfilano gli atleti
sono l’unica nota di colore nel grigiore autunnale.
Ci si muove di prima mattina per raggiungere il vialone del Central Park che si riempie di persone di
tutte le età, razze e lingue, di famiglie al completo con figli piccoli, cani, musica, provviste.
Si entra in clima. Le voci squillanti degli speakers annunciano la partenza dei maratoneti, avviata con
colpi di cannone; è un susseguirsi, in crescendo, di notizie sull’andamento della gara.
Il Parco offre uno spettacolo coinvolgente: personaggi con strane fogge divertono i bambini, gruppi di
ragazzi spargono volantini e coccarde sulle imminenti elezionipresidenziali, scoiattoli dalla lunga coda
argentea si rincorrono da un ramo all’altro, ci sono pure predicatori che inneggiano alla corsa verso il
regno di Dio per assicurarsi un posto nella vita eterna.
Intanto la gara continua, le telecamere trasmettono sugli schermi giganti le varie fasi… e viene da
pensare che per il podista i valori terreni sono già sublimati dalla fatica.
Finalmente lo speaker richiama l’attenzione sul primo maratoneta, THE FIRST; quando spunta dal
fondo del viale, l’entusiasmo del pubblico va alle stelle. La tensione si fa palpabile e la commozione
prende: lo spettacolo nello spettacolo è il pubblico, trascinato dai cronisti che accolgono ciascun
corridore con un caloroso “RUN, RUN, RUN”, come si accoglie un ospite lungamente atteso.
Ci si aspetta che la folla continui ad applaudire con lo stesso calore solo i primi cento, poi cento ancora,
la prima donna, la seconda… invece tutti i concorrenti ricevono la stessa accoglienza, per ore e ore.
Se poi qualcuno, arrivando, fa un cenno di saluto, avrà un applauso particolare tutto per sé.
I momenti esaltanti si succedono: tenerezza per il piccolo atleta con lo sguardo smarrito e per la ragazza
con la testa bagnata come un pulcino, ammirazione per la giovane in carrozzina che guadagna
faticosamente il traguardo e per l’atleta non vedente accompagnato dall’amico, curiosità per atleta con
la macchina fotografica a tracolla, orgoglio per le sventolanti bandiere.
La folla segue attentamente le vicende personali e le situazioni dei vari maratoneti; quando qualcuno si
presenta di passo, in visibile difficoltà, con la sofferenza dipinta sul volto, viene incitato in coro da un
crescente e insistente “GO, GO, GO” fino a ottenere che l’atleta, per non deludere se stesso e gli altri,
ricominci lentamente a correre. Allora il coro si trasforma in boato, quasi che si trattasse di una vittoria
personale di ciascun spettatore, per un profondo processo di identificazione collettiva.
E’ sera. Con gli ultimi arrivati il rito annuale si conclude; si è vissuto un portentoso scambio di
emozionante condivisione: atleti e tifosi hanno dato e ricevuto momenti di calore e di empatia che
ricorderanno a lungo.
TESTIMONIANZA – Euforia e disattenzione
La notizia del ragazzo precipitato nello stadio, esultando per il goal segnato dalla squadra del cuore,
rattrista e induce ad alcune considerazioni.
Un momento di disattenzione che porta a simili tragedie può essere dovuto alla riduzione temporanea
dell’attenzione, in genere riconducibile a stanchezza fisica e mentale, a stress, a forti emozioni,
prefigurando stati di confusione, di stordimento, di euforia, tali da far dimenticare la normale prudenza e
la percezione del pericolo.
L’euforia è uno stato emotivo caratterizzato da allegria, felicità, manifestazioni di esuberanza per un
evento positivo, gratificante, rispondente alle proprie aspettative; è di solito accompagnata da
eccitamento psicomotorio, spesso collegata a un senso di estrema libertà dalle norme codificate, troppo
spesso trasformata in aggressività e violenza immotivata, deviando dai comportamenti di base di un
individuo: una persona pacifica, prudente, timida, in certe condizioni, può trasformarsi nell’esatto
opposto, dare sfogo all’esuberanza, compiere azioni di esultanza spericolata, non avvertire i pericoli
incombenti.
Possiamo quindi prefigurare uno stato di tensione, di eccitazione, di forte spinta motivazionale derivati,
oltre che da fattori interni, anche da una somma di stimoli esterni, quale un rumore assordante, le
condizioni ambientali estreme, il coinvolgimento corale. Si sta insieme ad altri per condividere le
emozioni, per gioire ed esultare insieme, per vivere con coinvolgimento mentale e corporeo i momenti
esaltanti.
In certi casi, però, la risonanza emotiva è sproporzionata alla realtà, all’evento in se stesso.
Ed è proprio questo il principio a cui ancorarsi: occorre, in ogni occasione, essere consapevoli di se
stessi e dei propri valori prioritari, saper ricondurre nei limiti reali il significato da attribuire a qualsiasi
evento, evitare di emulare i comportamenti di altri, se non rispondenti al proprio modo di essere e di
pensare.
Nel caso in questione, anche la sfortuna è intervenuta per trasformare un momento di grande gioia e
spensieratezza in un’ enorme disgrazia.
1.4 Le discipline sportive e le loro caratteristiche
Parlare di sport in senso generico non rende l’idea della varietà delle applicazioni che l’uomo, col passare
del tempo, ha saputo realizzare. Se vogliamo trovare una unicità, dobbiamo appellarci ad alcuni elementi
costanti di carattere fisico e psichico. Chi fa sport risponde al proprio bisogno di auto realizzarsi: vuole
misurarsi con i propri limiti e con gli altri, vuole divertirsi, vuole ricavarne benessere.
Tutte le discipline sportive hanno una consolidata identità costituita da regole comuni e questo ne
determina il carattere di universalità, sotto tutte le longitudini, le latitudini e i tempi.
In effetti, tutto questo si può ritrovare in diverse tipologie di competizioni e in diversi livelli di pratica,
ciascuna con proprie caratteristiche rispetto allo svolgimento delle gare. Alle numerose varianti
corrispondono atteggiamenti mentali appropriati.
Una prima suddivisione si riferisce al numero degli atleti in prestazione:
a) sport individuali, con o senza contatto, che prevedono prestazioni svolte da soli; fra questi ricordiamo il
podismo, la bicicletta, la motocicletta e l’automobilismo, il biliardo, lo sci, il nuoto, il tiro con l’arco,
certe discipline dell’atletica leggera, ma anche la scherma e le arti marziali che esigono una forte capacità
di concentrazione; c’è da dire che, anche se la prestazione e il risultato sono individuali, c’è quasi sempre
la vicinanza con altri atleti e questa situazione prossemica condiziona la concentrazione, rende
determinante il livello di sicurezza, di autostima e fiducia nelle proprie possibilità;
b) sport praticati in coppia, sia come prestazione da svolgere in due, sia soprattutto uno di fronte all’altro,
in opposizione: ad esempio il tennis, il ping pong, per i quali occorre un’attrezzatura molto tecnica,
sempre in ordine e in piena efficienza.
c) sport cosiddetti di squadra, il cui risultato in gara si avvale dell’apporto di ciascun componente: fra
questi, il calcio, l’hockey, il basket, il rugby. Alcuni di questi sport possono dirsi di squadra ma senza
contatto fra giocatori, come il volley.
Consideriamo un’altra classica tipologia di discipline sportive:
- sport da combattimento, come il pugilato, la lotta;
- sport con attrezzi: racchetta, hockey, bicicletta, pagaia per canoa;
- sport con l’ausilio di animali, gli sport equestri.
Non dimentichiamo la categoria degli sport mentali, come gli scacchi, il bridge, che impegnano in gare
prolungate.
Molto significativa è la classificazione dei livelli:
- livello professionistico, che pone l’atleta in esposizione perché attorno alle sue prestazioni ruotano
interessi molto allargati e impegnativi, come sponsorizzazioni, scommesse;
- livello dilettantistico, dove l’atleta non percepisce compenso e agisce con ideali più nobili, anche se
realisticamente difficilmente può sussistere un dilettantismo puro;
- livello amatoriale, proprio delle categorie che svolgono sport ufficialmente per il proprio benessere, con
poco o nullo agonismo.
Un’altra importante classificazione nasce dal contesto in cui si svolge l’attività sportiva.
Quindi abbiamo discipline:
a) che si svolgono con condizioni e ambienti uniformi e prevedibili, come una palestra, un palazzetto
dello sport volley, atletica, nuoto, ecc ;
b) sport all’aria aperta, con condizioni esterne e climatiche imprevedibili alle quali l’atleta deve adeguarsi
per adattare gli strumenti (ad esempio, nel tiro con l’arco, soprattutto nelle gare di tiro di campagna che si
svolgono su terreni non omogenei, alla destrezza vanno unite capacità di orientamento, di calcolo delle
distanze, flessibilità e decisionalità in tempi rapidissimi).
Dal punto di vista motorio, possiamo ancora considerare gli aspetti relativi allo sviluppo del movimento e
alle qualità corrispondenti ad ogni tipo di disciplina: forza, velocità, resistenza, coordinazione, potenza
muscolare, controllo dell’equilibrio si differenziano a seconda dello sport praticato.
Pensiamo anche solo agli sport di esplosività, nei quali si passa da una fase di ferma al massimo della
potenza da sviluppare nel minor tempo possibile (ad esempio nei salti); oppure alla rapidità ciclica, come
avviene nella velocità dell’atletica e del ciclismo per gli atleti coinvolti in azioni muscolari ripetitive, o
alla rapidità aciclica, che si attiva nell’azione di dribbling del calcio.
Verifichiamo ancora la differenza di alcuni sport in base al controllo dell’equilibrio. Consideriamo
almeno quattro tipologie di equilibrio:
- l’equilibrio statico, che utilizza i recettori visivi e del piede, fondamentali negli sport come la ginnastica
artistica, la lotta;
- l’equilibrio in movimento, per il quale si aggiungono i recettori dell’orecchio, come nel nuoto, nel
pattinaggio, nella canoa, nello sci, nell’equitazione e in altri sport di movimento;
- l’equilibrio nelle rotazioni attorno ai tre assi del corpo, come ruotare su se stessi a terra, fare capovolte
in avanti e indietro, fare salti mortali: per ogni forma di ginnastica, nel pattinaggio, nei tuffi, in atletica:
lancio del disco, del martello;
- l’equilibrio in volo, che consiste nel mantenere l’equilibrio in fase aerea, da pochi decimi di secondo a
diversi minuti; è molto complesso perché c’è assenza di appoggio stabile e sono i recettori cinestetici che
forniscono continue informazioni; gli sport interessati sono il salto con gli sci, il paracadutismo, il salto
con gli attrezzi in ginnastica.
Abbiamo presente i volteggi del pattinaggio artistico? Le innumerevoli figure degli atleti sono per la
maggior parte eseguite in equilibrio su un piede solo. In questo sport è proprio il controllo dell’equilibrio
il principale fattore che ne determina la riuscita. Le esecuzioni di scivolate, cerchi, cambi di passo,
piroette, salti sono possibili con il coordinamento visivo e cinestetico allenati attraverso la preparazione
fisica e mentale.
Questo avviene in tutti gli sport sul ghiaccio, dove il terreno si presenta insidioso e pertanto l’equilibrio è
spesso precario (da spettatori siamo dispiaciuti quando assistiamo a una caduta che interrompe una
prestazione eccellente!).
Pensiamo a quante posture si assumono nel salto con gli sci. Nella rincorsa, l’atleta deve mantenere il
baricentro nella posizione ottimale, mentre al momento del salto la postura deve cambiare rapidamente:
dalla posizione raccolta l’atleta deve rialzarsi in posizione bilanciata e passare al volo. Durante questa
fase, possono presentarsi elementi di disturbo, tipo correnti laterali di vento da controllare per non
giungere all’atterraggio in postura anche solo leggermente alterata.
Anche in altri sport l’equilibrio è determinante. Nel judo, ad esempio, si instaura una contesa psicologica
corpo a corpo con l’avversario proprio sulla tenuta di posizione: a volte conviene cedere apparentemente
per sbilanciare l’altro.
TESTIMONIANZA – Il gruppo
Il ciclismo agonistico è uno sport individuale o di squadra?
La risposta non è così semplice. In realtà le dinamiche di gruppo coinvolte sono molto complesse. Il
ciclismo agonistico risulta essere uno sport di squadra, ma dove viene premiato solo il risultato
individuale. Come se nel campionato di calcio vincesse lo scudetto il giocatore che segna più goal!
Ma allora la squadra a cosa serve?
L’attività sportiva risponde a molti aspetti sociali, come: il bisogno di appartenenza a un gruppo, di
accettazione sociale, l’amicizia. Purtroppo può succedere di essere testimoni di comportamenti poco
sportivi: reazioni spropositate a contatti fortuiti; condotte aggressive (sia verbali sia fisiche); perfino
ostilità verso concorrenti di una squadra avversaria …!
Il concetto di competizione (o concorrenza) è ripartito su tre livelli:
- Verso il risultato finale (per superare tutti i partecipanti alla gara).
-Verso i compagni di squadra (per essere il più forte della squadra).
-Verso se stessi (per superare i propri limiti).
La concorrenza positiva favorisce la possibilità che uno dei membri del team possa raggiungere un buon
risultato. Infatti la cooperazione verso uno scopo comune produce in tutti i membri della squadra una
serie di effetti: una maggiore motivazione (alla base di ogni prestazione), rispetto, cura, considerazione e
simpatia verso tutti i membri del team, dando vita così a una mentalità di gruppo.
La concorrenza negativa si presenta nelle esperienze di gruppo dove si verificano incapacità di crescere,
non raggiungere risultati rilevanti, ostilità, rabbia, aumento dello stress, disturbi fisici e rinuncia a
partecipare a nuove competizioni. Inoltre, la mancanza di cooperazione favorisce la sfiducia tra i
membri, l’aumento di rivalità interne, la diminuzione di energia produttiva e la possibilità di violazioni
delle norme etico/sportive.
Per incoraggiare la concorrenza positiva, possono essere utilizzati questi atteggiamenti:
- Riconoscere il risultati individuali e dimostrare come anche altri componenti del team possono
raggiungere gli stessi risultati applicando le stesse strategie.
- Favorire o incrementare le amicizie all’interno del team, per permettere ai membri di cooperare in
modo positivo e costruttivo.
- Cercare di favorire la divisione dei premi per tutti i componenti della squadra, limitando l’assegnazione
di premi individuali.
- Evidenziare e pubblicare i risultati del team, cercando di considerare i successi individuali come valore
aggiunto della squadra.
- Cercare di impegnarsi per migliorare i risultati e le prestazioni precedenti sia individuali, sia di
gruppo.
Compito di un buon direttore sportivo è tenere in considerazione tutti questi aspetti per supportare al
meglio ciascun componente del team e di conseguenza anche i risultati di squadra.
TESTIMONIANZA - Quanto condiziona la vicinanza degli altri?
Nella vita quotidiana la vicinanza fisica degli altri può alterare il nostro comportamento anche se non ce
ne accorgiamo.
Nello sport in particolare, questa condizione è piuttosto comune, anche nelle discipline che non
richiedono un contatto diretto.
Gli sport di tiro (con l'arco, tiro a segno o a volo) non richiedono un contatto, ma anche solo
l'affiancamento degli avversari può far saltare i nervi o portare all'errore.
L'altro estremo è la lotta libera, dove i contatti sono totali e spesso anche troppo intimi. Infatti il tatto è
considerato il senso dell'intimità.
Anche negli sport che utilizzano mezzi di locomozione, come nel motociclismo o nel ciclismo, sono
presenti entrambe le condizioni rispetto al contatto. La moto e la bicicletta sono vissute dai nostri sensi
come protesi del corpo; prendiamo in considerazione un gruppo compatto di ciclisti che lottano per
vincere una volata: i contatti e i colpi bassi sono molto frequenti. Ci si può toccare coi gomiti, con la
testa e a volte anche con le mani, anche se è vietato dal regolamento. Un contatto, oppure il solo sentire
la presenza di qualcuno che "succhia" la ruota, può provocare reazioni molto pericolose.
La prossemica è la disciplina che studia il significato di queste distanze personali e sociali, e come
vengono percepite.
Si parla di distanza intima, come nell'abbraccio; di distanza personale, in cui non c’è contatto; di
distanza sociale, ad esempi nell’ambiente di lavoro; infine di distanza pubblica in una delle tante
situazioni affollate.
Capire che esiste una "dimensione nascosta" ci può aiutare a comprendere, accettare e tollerare la
presenza degli altri.
1.5 I principi dell’attività motoria nelle varie età
Un importante prerequisito nella pratica sportiva, sia per quanto attiene il punto di vista fisico, sia
mentale, è l’età del soggetto che, giustamente, condiziona la metodologia.
Si sente spesso chiedere da parte dei genitori: “A che età iniziare? Quale sport è adatto ai sei, otto, dieci
anni?”
Possiamo affermare che con l’educazione motoria si inizia dalla … nascita. Infatti il neonato dispone di
attività motorie riflesse ben coordinate e ben presto il suo sviluppo motorio si attiva attraverso le fasi che
si susseguono: posizione seduta, locomozione strisciante e a carponi e, a seguire, la capacità di
camminare che procede in parallelo con la maturazione del sistema nervoso e muscolare attraverso
graduali conquiste, grazie anche alle esperienze ambientali che lo incitano. Quando, attorno ai due anni, il
bambino acquista sicurezza e autonomia, è quasi impossibile impedirgli di soddisfare il suo desiderio di
esplorazione.
Cammina, corre, va con il triciclo, nuota, fa lo slalom fra le sedie di casa, salta, si arrampica, fa “attività
motoria”!
ZOOM - Le tappe dello sviluppo motorio.
Il neonato viene sottoposto a una serie di stimoli per verificare la presenza di riflessi presenti fin dalla
nascita.
Fra questi, ve ne sono alcuni che interessano direttamente la motricità. Uno di questi è il “riflesso di
marcia automatica” o stepping. Sostenendo il bambino per le spalle, quando viene appoggiato su un
piano, vediamo che inizia a muovere le gambe come se volesse camminare; ciò è molto importante
perché indica la funzione preparatoria alla deambulazione volontaria che si svilupperà più avanti.
Il percorso che un bambino deve compiere prima di giungere alla conquista totale dello spazio attorno a
sé passa attraverso alcune fasi graduali:
- La posizione seduta: dalla posizione seduta con sostegno dei 3 o 4 mesi, si passa alla posizione seduta
senza sostegno per un periodo di tempo via via sempre più allargato.
- La locomozione: i bambini imparano a strisciare tenendo l’addome a contatto con il pavimento, poi si
muovono a carponi appoggiandosi sulle mani e sulle ginocchia con un maggior coordinamento motorio
e una maggiore sicurezza nell’equilibrio; si appoggiano poi sulle mani e sui piedi. I tempi sono variabili
da un bambino all’altro. Finalmente si sollevano dalla posizione prona.
- La posizione eretta e la deambulazione: prima i bambini riescono ad alzarsi e restare eretti
appoggiandosi a un sostegno, poi ad alzarsi senza aiuto, a camminare sorretti da una mano e infine a
fare i primi passi da soli, pur traballando, oscillando, anche cadendo. La deambulazione è conquistata;
maggiori sono state le sollecitazioni e le occasioni di muoversi liberamente, migliori e più precoci
saranno le risposte motorie dei bambini.
1.6 Inserimento nella pratica sportiva
Per quanto riguarda l’eventuale inserimento nella pratica sportiva o, addirittura, agonistica, un valido
indirizzo metodologico è quello di considerare lo sport come gioco e creatività, o meglio di utilizzare
modalità ludiche e fantastiche, avendo cura di individuare e far superare momenti di noia, di evitare
tecnicità precoce del gesto atletico, ripetitività, pressione psicologica e agonismo esasperato.
In linea di massima, gli esperti dicono che non c’è un momento giusto per iniziare a fare pratica sportiva
che valga per tutti, perché dipende da una serie di fattori, quali le caratteristiche fisiche e fisiologiche che
si verificano all’età di 5 anni. Successivamente, fino agli 11 anni, si potenziano altre capacità di
coordinazione, quali l’equilibrio, l’orientamento, l’agilità, anche se occorre tener presente che il fisico
non è pronto per sostenere allenamenti da “atleta”. In merito, poi, alla scelta della disciplina, è importante
conoscerne le varie caratteristiche e sfruttarne gli aspetti ludici, oltre naturalmente a considerare le
caratteristiche fisiche e psichiche del bambino; si propone un gioco di palla divertente per il bambino
pigro, un’attività con un moderato dispendio energetico per chi ha tendenza al sovrappeso, uno sport di
potenza per il bambino iperattivo, uno sport con regole da rispettare per il bambino impulsivo.
Quando, ad esempio, il bambino si avvicina al nuoto, si rende conto egli stesso delle tecniche di
respirazione attraverso semplici accorgimenti per evitare la paura. Sul campo da sci, il bambino
sperimenta le regole dell’equilibrio, sviluppando un’abilità che gli servirà in seguito per ogni evenienza.
Possiamo aiutare i genitori nella scelta raggruppando alcuni sport in base alle caratteristiche tecniche, agli
aspetti psicologici, alla personalità in modo da orientarsi.
Gli sport di squadra (volley, basket, calcio…) sono indicati per la socializzazione , gli sport individuali
(ciclismo, nuoto, corsa…) per l’incentivo all’autorealizzazione personale, anche se, come vedremo,
qualsiasi attività corrisponde a entrambi gli obiettivi.
Tenendo conto del principio generale della giocosità indispensabile per attrarre il bambino, è bene
proporre attività alternate che coinvolgono una grande varietà di movimenti; ad esempio, uno sport di
resistenza di media e lunga durata, intervallato da pause, è da preferire a sforzi intensi e brevi.
Anche per gli sport di destrezza occorre tener conto delle caratteristiche fisiche individuali del soggetto;
poiché presuppongono la conquista della coordinazione motoria e di tecniche specifiche, è consigliabile
l’avvio calibrato in età scolare.
Abbiamo parlato di caratteristiche fisiche che possono condizionare la scelta della disciplina sportiva.
Non sceglieremo uno sport di potenza se lo sviluppo della muscolatura non è ancora completato, se non
per proporre giochi per confrontarsi, nello spirito di chi va più forte, chi salta più in alto, chi lancia una
boccia più lontano.
Quando si parla di sport individuali o di squadra, c’è un’altra variabile di cui abbiamo parlato: se sono
sport di contatto o senza contatto.
Uno sport individuale senza contatto, quale può essere la ginnastica, è ripetitivo, impone una disciplina e
una costanza che aiutano l’adesione e la devozione al compito.
Se invece c’è contatto, nel karate, nella lotta, il bambino che lo esercita impara a controllare la propria
esuberanza, poiché ci sono regole molto precise da rispettare. Questi sport sono indicati per i caratteri
impulsivi da un lato, ma anche per bambini che hanno difficoltà ad agire con prontezza e decisione.
Abbiamo già detto del valore degli sport di squadra per creare lo spirito di collaborazione al fine di
raggiungere obiettivi comuni. Il contatto con gli altri avviene sui campi di gioco, nel calcio, nel volley; si
ottiene la duplice conseguenza di abituarsi a subire la pressione corporea e psicologica dell’altro e anche
di esercitarla sugli altri, con tutti gli accorgimenti necessari per non far male e per non incorrere in
sanzioni.
Fra gli sport di squadra senza contatto ricordiamo il basket, in cui prevale la capacità di avere sempre il
quadro della situazione di gioco e di proporre il proprio aiuto ai compagni.
1.7 Le competenze motorie
Fin da piccoli impariamo a muoverci, a camminare, saltare, correre, afferrare oggetti, lanciarli con
un’infinità di gesti, compresa tutta la gamma della motilità fine, cucire, far girare la palla con i piedi in un
certo modo, tendere un arco, schioccare le dita… Tutto questo ci riesce naturalmente e spesso
inconsapevolmente; eppure il movimento è molto complesso; senza che ce ne rendiamo conto, entrano in
azione diversi meccanismi all’interno del nostro corpo.
Tutto avviene con una precisione di sequenze perfette: il nostro corpo è una macchina che va sempre
tenuta sotto controllo. Se qualcosa non funziona perfettamente, possono formarsi carenze e disturbi vari,
fino alle malattie gravi come la miastenia, caratterizzata da debolezza muscolare, dovuta a una serie di
concomitanze che portano a reazione eccessiva del sistema immunitario e quindi a disfunzioni.
ZOOM –Il controllo del movimento
I muscoli sono formati da numerose cellule disposte per il lungo (l’immagine richiama un pacco di
spaghetti) e sono costituiti dai sarcomeri, piccole unità che compongono il muscolo.
E’ utile conoscere a grandi linee questi dati per tenere presente come avviene il movimento una volta che
sia partito l’input dalla corteccia cerebrale e sia giunto al muscolo attraverso un’ articolata strada nei
settori del sistema nervoso. Avviene che i sarcomeri si accorciano in modo da permettere al muscolo di
contrarsi ed effettuare il movimento, per poi rilasciarsi.
Per riepilogare, il sistema di controllo del movimento parte dalla corteccia cerebrale, nella quale è
situata l’area motoria, fino a giungere ai muscoli.
L’insieme dei neuroni del movimento (motoneuroni) che formano il fascio piramidale contattano i
neuroni del midollo spinale e quindi le corna anteriori del metamero spinale per poi raggiungere i
muscoli. Perché avvenga il movimento, si realizza un contatto (una sinapsi chimica chiamata placca
motrice) tramite il neurotrasmettitore eccitatorio, cioè l’acetilcolina. L’input raggiunge il bulbo, nel
quale avviene l’inversione, poi scende fino al metamero spinale destinato e, attraverso il nervo spinale
corrispondente, entra nel muscolo, dove si sfilaccia e dà origine al movimento.
Anche i motoneuroni possono essere colpiti da malattie, quali la paralisi flaccida, oppure da infezioni
che portano a debolezza muscolare, atrofia, perdita dei riflessi, contrazioni e fibrillazioni.
Abbiamo visto quale sia la genesi e l’ideazione del pur minimo movimento attraverso il sistema
piramidale; occorre ancora considerare un’altra importantissima funzione demandata al sistema
extrapiramidale: il controllo dell’esecuzione del movimento, in gran parte automatica; ad esempio,
muovere ritmicamente le braccia quando corriamo, il tipo di postura che si modifica nell’incedere,
oppure nella posizione seduta o sdraiata, guidare un’auto, andare in bicicletta.
ZOOM – Il cervelletto
Il cervelletto si trova nella parte caudale del Sistema Nervoso Centrale, cioè nel cranio , posteriormente.
Il cervelletto ha una funzione molto importante, poiché controlla il movimento volontario, l’equilibrio e
la propriocezione.
La sua crescita procede fino ai due anni, durante i quali memorizza gli schemi motori e costituisce una
sorta di “banca dati” che potrà essere consultata in seguito, ogni volta che servirà nella vita, quando si
deve eseguire un movimento.
Supponiamo di dover scavalcare un ostacolo e di dover alzare una gamba.
La corteccia motoria primaria (area 4 di Brodman) trasforma l’impulso ricevuto in un segnale che farà
muovere i muscoli della gamba.
Prima ancora che il movimento venga eseguito, il cervelletto, che ha ricevuto l’impulso in
contemporanea, confronta l’informazione ricevuta dalla corteccia con quella memorizzata nella banca
dati e verifica la sua correttezza; se riscontra qualche problema di forza, velocità, ampiezza, provvede a
correggere il gesto e, solo dopo, dà il via libera.
E’ quindi importante che nell’infanzia vengano attivate tutte le variabili motorie, non solo il camminare,
ma anche, ad esempio, l’afferrare, lo strisciare, ecc.
ATTIVITA’ – Verifica le tue capacità coordinative.
Per la coordinazione oculo-manuale
1- Fai una serie di lanci (5) di una pallina di gommapiuma cercando di farla entrare in un cestino col
diametro di 40 cm collocato a 55 cm da terra. Ti devi posizionare a un metro e mezzo dal cesto. Quanti
successi?..............
2 -Trova un cestino più stretto (diametro 30 cm) e lancia la stessa pallina alle condizioni di prima.
Quanti successi?........
3 - Ora il cestino ha un diametro di soli 20 cm, le altre condizioni restano invariate. Lancia la stessa
pallina per 5 volte. Quanti successi?............
4 -Ora modifica la tua distanza dal cestino (a un metro) e lancia due palline nel cesto del diametro di 40
cm collocato a 55 cm da terra. Quanti successi?.............
Per ogni successo (pallina dentro) conta 1 punto. Il totale massimo è 20 punti. Segna quanti punti hai
realizzato……… Puoi allenarti e ripetere la stessa sequenza a tre mesi di distanza. Se vuoi verificare il
miglioramento nella tua capacità coordinativa oculo-manuale, ricorda di creare le stesse condizioni:
pallina, diametro del cesto, distanza dal cestino.
1.8 Lo schema corporeo
Le abitudini motorie derivano da una serie di movimenti in sequenza che perseguono un obiettivo, sia
esso di semplice spostamento nello spazio circostante o di attività tesa a ottenere una prestazione sportiva.
In fase di apprendimento dei gesti motori, vengono attivate competenze neurologiche e psicologiche e
vengono favorite da prerequisiti che ne permettono la riuscita.
Un importante prerequisito dell’apprendimento motorio è senza dubbio la strutturazione dello schema
corporeo che si conquista fin dalla primissima infanzia attraverso fasi, partendo dall’indifferenziata
percezione di sé rispetto all’ambiente. Lo schema corporeo si perfeziona in concomitanza con lo sviluppo
del sistema nervoso; si completa la percezione del proprio schema corporeo usufruendo delle sensazioni
cenestesiche e propriocettive, del controllo cerebrale di determinate funzioni, della lateralizzazione, in un
crescendo di formazione di schemi e di posture.
La cenestesia è data dalla consapevolezza immediata del proprio corpo; la propriocezione è data dalla
sensibilità profonda che deriva non solo dalla situazione corporea attuale, ma anche da tutte le
informazioni inconsce che coordinano la motricità. L’immagine del nostro corpo è il quadro mentale di
come appare a noi stessi, derivato da varie sensazioni tattili, termiche, dolorose; ma non solo.
Lo schema corporeo è anche costituito da una continua elaborazione delle sensazioni che provengono
dall’interno e dall’esterno e diviene una vera e propria costruzione della mappa mentale del proprio
corpo, che supera quindi il dualismo soma/psiche.
L’immagine di sé viene continuamente modificata e integrata con nuovi elementi, man mano che si
susseguono le esperienze personali di carattere motorio. Mentre nel bambino si forma lo schema
corporeo, egli percepisce lo spazio vissuto e si orienta adattando meglio i movimenti.
All’inizio avviene la rappresentazione del proprio corpo indifferenziato con esperienze relative alle
categorie di posizione rispetto a se stesso, come sopra/sotto, davanti/dietro, alto/basso e via di seguito.
Segue la conquista della rappresentazione del proprio corpo rispetto alla centralità dell’asse mediano e
della profondità del corpo nella terza dimensione: egli diviene consapevole che il proprio corpo occupa
uno spazio, che c’è una parte destra e una sinistra.
E’ capace di orientarsi nello spazio, cioè sa collocare gli oggetti, raggiungerli, misurarne la distanza,
spostarli secondo coordinate precise, trovare i propri punti di riferimento.
In collegamento, si sviluppa anche la capacità di orientamento temporale, poiché comprende il senso del
veloce/lento, del prima/dopo, del simultaneo, del successivo, del trascorrere del tempo.
Come già detto, non si tratta solo di aspetti tecnici; in tutte le fasi descritte, si attivano anche fattori
emotivi che intervengono nella percezione dello spazio/tempo e nella costruzione del proprio schema
corporeo; essi derivano da precedenti esperienze collegate alla sensazione di dolore e di piacere, al
successo o al fallimento, a emozioni forti. Basti pensare a tutte le occasioni in cui sembra che il tempo
non passi mai o viceversa, o quando una distanza ci sembri eccessiva o come invece si superi
piacevolmente in condizioni di rilassamento.
Ricordiamo che per Jean Piaget, psicologo e psicopedagogista svizzero, movimento e pensiero sono
interdipendenti; egli delinea lo sviluppo intellettivo del bambino in sequenze che iniziano dal periodo di
intelligenza senso-motoria (0-3 anni), poi del pensiero intuitivo e rappresentativo (3-6,7 anni), del
pensiero operatorio concreto (fino ai 10,11 anni) e infine del pensiero formale astratto. Non
approfondiamo in questa sede la validità e l’attualità della teoria; tuttavia i concetti ci riportano al tema
dei principi della motricità, del movimento generale e discriminatorio. I movimenti generali utilizzano
“grandi gruppi di muscoli”, come quelli del tronco, delle braccia, delle gambe, del collo, che servono per
l’equilibrio, il camminare, il saltare, ecc. I movimenti discriminativi sono fini e contenuti, influenzano
occhi, dita, lingua, e servono per attività come maneggiare, attrezzi, scrivere, compreso tanti gesti
sportivi.
Alcuni semplici esercizi, validi per grandi e piccoli, aiutano a verificare la propria coordinazione di
movimento..
La versione per adulti propone gli esercizi adattati per ogni età. Per ciascuna proposta sono indicati anche
gli obiettivi psicologici e gli esercizi con la mente, indicati con P.M. (Preparazione Mentale)
Importante! In alcuni casi si prevede un successivo momento di visualizzazione a occhi chiusi e la
ripetizione degli esercizi.
ATTIVITA’ - Il disegno della figura umana
Ai bambini si chiede spesso di disegnare se stesso, il babbo o la mamma, un compagno o altre figure
umane.
Si osserva la completezza della figura, la posizione in cui sono collocate le varie figure, altri particolari
notevoli.
Il prodotto va considerato come una rappresentazione artistica e non un test di personalità, a meno che
non sia somministrato da esperti.
Con questo spirito anche da adulti può essere proposto, al di là delle interpretazioni psicologiche. La
procedura è la stessa.
Prova anche tu, seguendo queste semplici regole.
Occorrente. Un foglio da disegno o in A4, come quelli che servono per stampare.
Una matita (non un pennarello o pastello).
Un po’ di tempo per giocare.
Elimina qualsiasi preoccupazione: non è una prova per verificare se sei bravo in disegno!
Consegna: Disegna la figura di una persona meglio che puoi. Disegna l’intera figura e non soltanto la
testa o il busto.
Esegui con calma e con cura. Non avere fretta.
Puoi disegnare un maschio o una femmina.
Fai poi un secondo disegno su un altro foglio e disegna il sesso opposto con lo stesso metodo.
Metti la data e il nome. Potrai rivedere in seguito e rifare gli stessi disegni, notando le differenze.
P.M. Conoscere meglio se stessi.
ATTIVITA’ – Esercizi mimati
Ascoltiamo una musica ritmata e corriamo liberamente nello spazio a disposizione.
La musica si arresta: fermi tutti, immobili!
Al posto della musica , usiamo un fischietto; si possono fare gli esercizi a coppie, tenendosi per mano.
Camminiamo lungo una linea tracciata sul pavimento! Inventiamo diversi tipi di camminate.
Un gigante cammina a passi lunghi.
In punta di piedi come le ballerine.
Siamo piccoli nani: a gambe piegate.
Ora facciamo i canguri e saltelliamo sempre sulla linea!
Costruiamo una stradina stretta stretta con i birilli e passiamo dentro senza farli cadere.
C’è un ponte sospeso (la trave), dobbiamo attraversarlo.
Un salto dalla spalliera sul materassone. cadiamo a piedi pari!
P.M. Vincere la paura del vuoto.
ATTIVITA’ - Test equilibrio
Se vuoi verificare l’abilità di equilibrio bastano due semplici test.
Per l’equilibrio statico.
Solleva la gamba destra e resta in equilibrio con le mani sui fianchi. Se hai un collaboratore, fai scrivere
ogni volta che metti il piede a terra; se sei da solo, munisciti di cronometro e arrestalo ogni volta che
metti il piede a terra.
Riposati con i due piedi a terra e, quando te la senti, ripeti l’esercizio sollevando la gamba sinistra
procedendo come per la destra per l’auto-misurazione.
Per l’equilibrio dinamico.
Sali su una panca o uno scalino all’altezza di circa 40 cm. Se non ti senti sicuro, puoi abbassare
l’altezza della panca. Esegui 5 salti verso un punto situato a 50 cm dalla panca (puoi usare un cerchio e
saltare dentro).
La verifica consiste nel conteggiare ogni volta che perdi l’equilibrio all’arrivo a terra. Puoi ripetere a
occhi chiusi, con un oggetto in mano, tipo pallina.
P.M. Trovare il proprio baricentro.
ATTIVITA’ – Verifica il tuo equilibrio
La posizione di partenza è la postura verticale corretta in equilibrio sui due piedi, senza parti in tensione.
Sistema i piedi paralleli, distanti fra loro circa 5 cm.
Appoggia bene tutta la pianta del piede, meglio senza scarpe, distendi le dita, con il peso leggermente sui
talloni e sull’esterno dei piedi. La nuca in linea con la spina dorsale.
Verifica se qualche parte del tuo corpo oscilla o se è tutto stabile!
Sempre con i due piedi a terra, sollevati in punta di piedi tenendoli paralleli.
Fai diversi movimenti con le braccia: portale in alto, aperte, in avanti, dietro la nuca Ogni volta, ritorna
a terra lentamente sui talloni.
Verifica il tuo stato di equilibrio durante gli esercizi.
Innumerevoli sono gli esercizi di equilibrio su un piede solo, alternandoli spostando l’equilibrio da una
parte poi dall’altra.
Esegui a occhi chiusi alcuni di questi esercizi.
P.M. Per la visualizzazione.
ATTIVITA’ - Proponiamo di seguito una serie di giochi che possono essere propedeutici ai vari sport.
NUOTO - Gioca con l’acqua
Ogni atleta nuotatore ricorderà i primi esercizi-gioco per avvicinarsi all’ acqua che poi diventerà il suo
elemento abituale.
Ne riportiamo qualcuno per l’approccio dei bambini al nuoto (e degli adulti che hanno paura dell’acqua)
e per tracciare un iter psico-pedagogico basato sulla gradualità e sull’attività ludica.
- Sbattere le gambe in acqua seduti sul bordo della piscina.
- Camminare nell’acqua bassa attaccati al bordo della piscina.
- Giocare agli spruzzi.
- Cercare di affondare una palla per vincere la resistenza dell’acqua.
- Imitare gli animali: muoversi come l’anatra, saltare come la rana, mettersi disteso come il
coccodrillo…
P.M. Vincere la paura dell’acqua.
NUOTO - Come un pesce
In piedi nella piscina dove l’acqua arriva fino alla vita.
Davanti c’è una pallina di gomma che si deve sospingere in avanti con il naso.
Si piega il tronco in avanti, la faccia tocca la superficie dell’acqua, la bocca resta chiusa, la
respirazione avviene con il naso, impegnato a sospingere la pallina.
In un secondo momento il viso viene totalmente immerso, avendo avuto cura di fare una profonda
respirazione prima. In questa posizione, si inizia a espellere l’acqua, prima con il naso, poi con la bocca
.
E’ il gioco delle bollicine.
P.M. Per la respirazione.
NUOTO - Galleggiamento
Gli esercizi di galleggiamento diventano giochi acquatici se effettuati con gradualità per dare fiducia a
se stessi.
Si parte dalla posizione prona, poi si passa alla posizione supina, con il viso rivolto all’alto.
In posizione verticale immersi nell’acqua fino alla vita, inspirare profondamente e immergere il viso in
acqua, flettere il busto in avanti, flettere le gambe e abbracciarle… espellere l’aria dal naso…
Fare il morto: in posizione supina, le braccia sopra la testa e le gambe a rana…occorre confidenza per
l’acqua, una volta raggiunta è molto rilassante.
P.M. Avere fiducia e abbandonarsi.
GIOCHI CON LA PALLA.
Esiste un’infinità di giochi con la palla se si dà libero sfogo alla creatività!
Un gioco da grandi e piccoli per migliorare la coordinazione oculo-manuale è il Tiro alle sagome.
Occorrono almeno tre bersagli, che possono essere birilli, scatoloni, o altro.
Per iniziare, lanciare la palla con una sola mano e cercare di colpire un bersaglio predefinito.
Ad esempio, dichiarare quale bersaglio si intende colpire, se al centro, a sinistra, a destra.
Non trattenere a lungo la palla in mano, ma lanciare appena presa la mira.
Lo stesso esercizio ha molte varianti.
Si può calciare la palla con i piedi, sempre cercando di colpire un bersaglio predefinito.
Si possono alzare le sagome e mirare all’altezza giusta.
Si possono utilizzare contenitori entro i quali far giungere la palla (vanno bene i cestini).
Si possono collocare contenitori a una certa altezza o sostituirli con canestri.
P.M. Sviluppare il pensiero divergente.
BASKET - Palla al canestro
Lo scopo del gioco è lanciare un pallone con le mani dentro il canestro.
Palleggiare facendo rimbalzare la palla sul terreno per un massimo di tre volte perché non si può tenere
in mano oltre un limite di tempo.
Una simpatica variante per i ragazzi: un bambino si colloca al posto dei canestri entro un cerchio
disegnato sul terreno. Può muoversi nel cerchio, abbassarsi, spostarsi per riuscire a prendere la palla
che un compagno lancia, ma non uscire.
P.M. Vincere l’istinto di uscire dalla postazione.
VOLLEY - Palla al volo
Il volley viene usato anche come propedeutico ad altre discipline sportive per la complessità dei
movimenti che attiva, che riguardano contemporaneamente gli arti inferiori con spostamenti laterali e
indietro e gli arti superiori per i palleggi che devono essere puliti per le ricezioni (il bagher), le alzate, le
battute, le schiacciate, il muro.
Un gioco è la palla al pozzo. Sul terreno si traccia un cerchio e una squadra si mette seduta dentro.
Dall’esterno i ragazzi dell’altra squadra lanciano palle di gomma che devono essere respinte con le
mani, palleggiando.
P.M. Alternarsi nei ruoli.
RUGBY
Il Rugby può dare l’impressione di eccessiva durezza, ma gli esercizi propedeutici possono essere
educativi per i ragazzi in quanto mettono in azione diversi settori corporei.
A differenza di altri sport con il pallone che hanno divieti, nel rugby il pallone ovale può essere spinto,
calciato, lanciato, trattenuto, tranne che essere lanciato con le mani in avanti.
L’esecuzione della meta è spettacolare e avviene con il calcio al pallone.
Si possono proporre diversi giochi. Collocare due asticelle con bandierine sul terreno a 2 metri di
distanza fra loro. Per fare meta, si calcia il pallone ovale cercando di farlo passare fra le due bandiere.
Si possono provare le rimesse laterali, lanciando il pallone con le mani, oppure con i piedi.
Si corre lungo il campo con il pallone in mano e si deposita in un punto prestabilito.
La mischia chiusa si prepara quando il pallone è a terra tra i giocatori.
P.M. Gestire l’aggressività con intelligenza negli scontri e nella mischia.
GIOCHI CON ATTREZZI
Nell’hockey e nel baseball (palla base) occorre un attrezzo per colpire la palla.
Al posto di bastoni ricurvi a gancio nell’hockey su prato, si possono usare manici di scopa per lanciare
una palla di gomma di piccole dimensioni.
Le porte possono essere semplicemente delimitate da birilli, oppure essere costituite da scatoloni aperti
sul terreno.
Si cerca di centrare le porte battendo il portiere, il solo giocatore che può afferrare la palla con le mani.
Nel baseball si utilizzano mazze di legno o di metallo e palle di piccole dimensioni, tipo tennis, ma dure e
pesanti.
Le regole del baseball sono molte; per iniziare ci si concentra sul “batti e scappa”.
Al posto delle mazze regolamentari si può usare una racchetta, con la quale respingere la palla lanciata
da un compagno il più lontano possibile.
Poi si lascia la racchetta e si inizia a correre lungo in campo cercando di non farsi toccare o bloccare
dall’avversario.
Nel tennis, la racchetta e la palla sono all’inizio giocattoli da utilizzare con flessibilità ai fini della
coordinazione occhi-attrezzi-corpo.
I primi approcci prevedono, come per tutti gli sport, giochi liberi per prendere confidenza con la
racchetta e la palla, quindi si inizia a palleggiare da fermi, poi a palleggiare procedendo, a lanciare in
alto la pallina e riprenderla dopo un palleggio, a cambiare mano, a palleggiare in alto.
Una variabile divertente è quella di usare dei palloncini gonfiati al posto delle palle.
P.M. Visualizzare l’uso dell’attrezzo come una protesi del proprio corpo.
ATTIVITA’ – Questionari sugli sport
Rispondi a questi divertenti questionari per saggiare il tuo approccio allo sport e trovare i tuoi preferiti.
1) Qual è uno sport che…
Richiede due ruote e una catena?
………………………………….
Ha un aiuto da un animale?
…………………………………
Insegna a superare la paura dell’acqua?
………………………………..
Fa combattere corpo a corpo?
…………………………………
Si pratica a suon di musica?
……………………………….
Si pratica solo c’è gelo e freddo?
2) Qual è lo sport in cui…
C’è una porta e un difensore?
………………………………….
La palla non deve rimbalzare più di tre volte?
…………………………........
La palla non è rotonda?
………………………………
Occorre che ci sia vento?
…………………………….
Si può scivolare e cadere?
…………………………….
Si contano le risposte esatte (da 0 a 12 punti).
…………………………….
Sapresti descrivere le regole di questi giochi?
(Indicazioni risposte da rovesciare… non in ordine: Equitazione, judo ciclismo, nuoto, ginnastica
artistica, sci.
Vela, Tennis, sci, rugby, calcio, volley).
1.9 Gli obiettivi psicomotori
L’apprendimento dei principi delle discipline sportive va ricondotto a specifiche procedure e relativi
allenamenti e rientra nel campo dell’educazione. Educare vuol dire condurre verso scopi positivi e perseguire obiettivi di valori positivi.
Ogni azione tendente a un apprendimento presenta tre livelli:
1 – definire fini e scopi;
2 – definire il metodo più efficace per ottenerli;
3 – stabilire obiettivi operativi.
I comportamenti psicomotori sono essenziali innanzi tutto per la sopravvivenza, l’indipendenza, la salute
e il benessere. Oltre a questo, conosciamo lo stretto rapporto fra lo sviluppo dell’intelligenza e le attività
senso-motorie; sappiamo che le capacità percettive derivano dalla maturazione neurologica e parimenti
dalle esperienze di apprendimento in tutti i campi. Una volta che gli obiettivi siano definiti teoricamente,
e prima di renderli operativi, devono essere tradotti in comportamenti.
Si crea così una tassonomia, cioè una disposizione di obiettivi e di comportamenti secondo un ordine.
CONCETTUALIZZAZIONE LINGUAGGIO
(METTERE IL MIO SCHEMA DI INTERSEZIONE)aggiungere LINGUAGGIO – MOTRICITA’ -
CONCETTUALIZZAZIONE
ZOOM – Che cos’è una tassonomia.
La tassonomia (da taksis=disposizione, ordinamento, classe e nomos=regola) è la scienza delle
classificazioni, cioè del processo di ordinamento sistematico in classi o gruppi, ordinati
gerarchicamente.
Per quanto astratta e incompleta, va ricordata tassonomia degli obiettivi cognitivi di BLOOM e dei suoi
collaboratori che delineano le categorie comportamentali e pedagogiche secondo livelli.
Un primo livello è la conoscenza, che presuppone la capacità di richiamare dati, termini, metodi, eventi,
teorie, rappresentazioni astratte.
Segue il livello della comprensione, che comprende la capacità di interpretare l’oggetto della
conoscenza, di coglierne gli aspetti simbolici.
Il successivo livello è l’applicazione, cioè la capacità di utilizzare le idee, le regole e i principi in modo
autonomo e personale.
L’analisi consiste nella ricerca e nello studio degli elementi di una comunicazione, mentre la sintesi è la
riunione degli elementi per ricostituire un tutto, elaborando un’opera personale.
Infine, c’è la valutazione con la formulazione dei giudizi secondo criteri interni e criteri esterni. .
SOLUZIONE DI PROBLEMI
PERCEZIONE e ATTENZIONE
MEMORIA
1.10 Gli sviluppi delle tassonomie
L’idea di tassonomia di Bloom è stata in seguito applicata in diversi ambiti; in campo psicomotorio si
riscontrano diverse tassonomie comportamentali.
Nota è la tassonomia di Gagné-Merril che cerca di integrare fra loro il campo affettivo, psicomotorio e
cognitivo, poiché ai comportamenti emozionali si agganciano i comportamenti psicomotori, caratterizzati
dalle risposte muscolari.
Infatti, constatiamo che, in presenza di particolari emozioni, si producono comportamenti psicomotori
immediati; così avviene per i comportamenti topografici, in risposta a uno stimolo, ad esempio muoversi
lentamente o in fretta, per i comportamenti in serie, come colpire una palla da golf (chaining behavior) o
per l’esecuzione rapida di movimenti in sequenza, fino a raggiungere la padronanza di comportamenti
abili, come giocare a tennis (skilled behavior).
Altri contributi alla creazione di tassonomie in campo psicomotorio provengono da Guilford, del quale è
nota la teoria della creatività e del pensiero divergente; l’autore individua una serie graduata di capacità
motorie, a partire dalla potenza ( tendere un estensore), per poi vedere la spinta ( il salto con la pertica), la
velocità ( eseguire una serie di atti motori in velocità), la precisione statica ( tenere fermo un attrezzo), la
precisione dinamica (camminare in punta di piedi sulla trave), la coordinazione (palleggiare da una mano
all’altra), la fluidità di movimento ( muoversi senza urtare o sbandare).
Un altro interessante contributo viene da Kibler e collaboratori che si avvalgono dei modelli precedenti e
propongono le categorie per una classificazione particolareggiata degli obiettivi psicomotori,
distinguendo tra abilità motoria generale e abilità motorie fini. In particolare, analizzano gli aspetti dei
movimenti dito-mano caratterizzati dal senso del tatto, come negli sport di tiro, della coordinazione non
solo oculo-manuale, ma anche audio-manuale (per le prove di percezione), della combinazione occhio-
orecchio-mano-piede (per gli sport di guida).
Un altro studio teso alla definizione della terminologia è svolto da Anita Harrow : con il termine
“movimento” si indica qualsiasi spostamento esterno osservabile, con il termine “motorio” si intende
indicare gli impulsi efferenti esterni. L’autrice ha prodotto la piramide della tassonomia psicomotoria nel
suo testo A taxonomy of the psycomotor domain.
La Tassonomia di Anita Harrow in campo psicomotorio è organizzata attraverso il giusto grado di
coordinamento tra gli impulsi involontari esterni e le capacità apprese.
ZOOM – La tassonomia di Anita Harrow.
I Reflex movements (movimenti riflessi) sono azioni suscitate inconsciamente in risposta ad alcuni
stimoli. Gli esempi includono: flessione, estensione, allungamento, aggiustamenti posturali.
Il Basic fundamental movement (movimento fondamentale di base) è insito nei pattern di movimento
propri, che si formano combinando i vari movimenti di riflesso e che sono la base per complessi
movimenti specifici. Esempi sono: camminare, correre, spingere, torcere, stringere, afferrare,
manipolare.
Il termine Perceptual (percettività) si riferisce all'interpretazione di vari stimoli che permettono di
percepire gli input inviati dall’ambiente: stimolo visivo, uditivo, olfattivo, discriminazione tattile,
percezione cinestetica; si riferiscono sia al livello cognitivo sia al livello di comportamento
psicomotorio. Gli esempi includono: movimenti coordinati, come saltare la corda, andare in barca,
andare in bicicletta.
Le Physical activities (attività fisiche) richiedono resistenza, forza, vigore e l'agilità che produce un
efficiente funzionamento corporeo. Esempi sono tutte le attività che richiedono:
a) lo sforzo strenuo per lunghi periodi di tempo;
b) lo sforzo muscolare intenso ;
c) un rapido e vario movimento delle articolazioni dell'anca;
d) i vari movimenti veloci e precisi.
Gli Skilled movements (movimenti qualificati) sono il risultato dell’acquisizione di un certo grado di
efficienza quando si esegue un compito complesso. Esempi sono: tutte le attività che si avvalgono di
tecniche avanzate, come avviene in molte discipline sportive.
La Non discursive communication (comunicazione non discorsiva) è la comunicazione attraverso i
movimenti del corpo che vanno dalle espressioni facciali alle coreografie più sofisticate. Gli esempi
includono tutti gli aspetti della comunicazione gestuale: posture del corpo, gesti ed espressioni facciali,
danza e coreografie.
Tassonomia di Anita Harrow in campo
psicomotorio
ATTIVITA’ – Una tassonomia dei movimenti di base
Il concetto di Tassonomia risulta chiaro nell’applicazione delle sequenze dei movimenti di base.
Ciascuna voce indica un obiettivo da raggiungere seguendo l’ordine degli esercizi da svolgere in
sequenza , ordinati dal più semplice al più complesso. (Meinel, K. (1984), Teoria del movimento, SSS,
Roma 1984.)
CAMMINARE
1-liberamente
individualmente,
2-evitando ostacoli,
3- seguendo tracciati
rettilinei o curvilinei
1-fuori dai cerchi
sparsi, poi fermarsi
dentro i cerchi
1- adeguandosi a una
cadenza di guida
(ritmo)
2-alternare passi
lunghi o corti, lenti o
veloci
1-fermarsi con
cambiamenti di fronte
2- effettuare
cambiamenti di fronte
continuando a
camminare.
1-liberamente per
coppie, per tre o quattro
2- cambiare ad una
segnale il compagno.
1-su una base di
appoggio ridotta
2- su una linea
tracciata, con
l’appoggio completo del
piede o sugli avampiedi
3- mantenendo in
equilibrio sul capo un
oggetto, poi seguendo
un tracciato.
1-sui ceppi allineati,
poi con lo spostamento
successivo dei ceppi
2-su panche, travi, assi
1-cambiamenti di
posizione sulla trave o
sull’asse
2- con le braccia in
avanti, poi con le
braccia di fianco, poi
con le braccia in alto.
CORRERE
1-liberamente
individualmente,
evitando ostacoli
2-seguendo tracciati
rettilinei o curvilinei
3- fuori dai cerchi
sparsi e fermarsi dentro
i cerchi.
1-adeguandosi ad una
cadenza di guida (ritmo)
2- a passi lunghi o corti.
1-fermarsi con
cambiamenti di fronte,
2- effettuare
cambiamenti di fronte
continuando a correre
1- per coppie, per tre o
quattro
2- cambiare ad una
segnale il compagno.
3-fermarsi in varie
posizioni , nel più breve
tempo possibile.
1- ponendo i piedi
all’interno di una fila di
cerchi (passi regolari)
2-lungo una linea
saltando ostacoli
1- ravvicinati ad altri
2-a ginocchia alte
3-con le braccia in
avanti, poi con le
braccia di fianco, poi
con le braccia in alto
1-combinando varie
posizioni di braccia e
ginocchia
2-portando le
ginocchia indietro
1-galoppo laterale
ritmico individuale, poi
a coppie
2-andatura a passo
incrociato (una volta
avanti e una indietro)
3-a passo saltellato,
4-combinando
movimenti delle
braccia.
.
SALTARE
1-a piedi uniti, poi su un
solo piede, con
variazioni di ritmo
2-a piedi uniti
spostandosi in avanti,
indietro, lateralmente
3- a gambe divaricate e
incrociate.
1-in basso da ostacoli,
preceduti da qualche
passo di rincorsa
2-in basso con
cambiamenti di fronte
3- in basso eseguendo
movimenti del corpo
nella fase di volo
4-in basso coordinando
il lancio della palla.
1-con appoggio delle
mani sull’asse, sulla
trave o sulla cavallina
2-con passaggio
divaricato degli arti
3-con passaggio
laterale degli arti.
1- Salti verticali senza
rincorsa con stacco a
uno o due piedi
2-con rincorsa con
stacco a uno o due
piedi.
1-Superamento senza
rincorsa e stacco a piedi
uniti, di un ostacolo
basso
2- con un piede di un
ostacolo basso.
1- in alto lanciando la
palla nella fase di volo
2- con rincorsa e arrivo
a piedi uniti
3-salti seguiti da
capovolta
4-alternare corsa e salti
allungati
1-in lungo da fermo
con stacco a piedi pari
2-salto alto-lungo,
3- salto basso-lungo…
1-in lungo con rincorsa
e stacco a un piede
LANCIARE
1-una palla a due mani
all’interno di un settore
delimitato
2-con una mano
all’interno di un settore
delimitato
3- in sequenza palle di
peso e dimensione
differenti
1-una palla attraverso
un bersaglio verticale
2- in uno scatolone a
distanze varie, lanciare
all’interno,
3-davanti, poi dietro,
poi a sinistra di un
bersaglio, a destra di un
bersaglio,
4- al di sopra di un
ostacolo.
1-una palla in
movimento, 2- a un
compagno da fermo,
poi a un compagno in
movimento
3 - da fermo o in
movimento ad un
compagno fermo o in
movimento
1- Lanciare e
riprendere la palla da
fermi per coppie con
una sola palla, poi con
una palla per
compagno.
2- Lanciare la palla in
una direzione e
riceverla dall’altra.
AFFERRARE
1-afferrare la palla al
volo con due mani,
…con una mano
2- la palla dopo uno o
più rimbalzi
3- mentre si cammina,
poi mentre si corre.
1- Afferrare la palla
mentre si è in
movimento.
STRISCIARE
1- sotto un ostacolo
basso in posizione prona
1-sotto un ostacolo
basso in posizione
supina
1-sotto funi poste ad
altezze diverse
ROTOLARE
1- intorno al proprio
asse longitudinale
2-rimanendo negli spazi
delimitati
1-rotolare lungo il
proprio asse con cambio
di direzione
2- tenendo le braccia in
alto
1-Rullare sulla schiena
favorendo la posizione
raccolta.
CAPOVOLTA
1-fare la capovolta in
avanti, poi indietro, poi
con partenza a gambe
piegate
1- con partenza a
gambe divaricate
2-con partenza a gambe
unite
3-con partenza da seduti
1- con arrivo seduti
2- con arrivo in piedi
3- con arrivo in
ginocchio
1- fare capovolta e
salto con stacco a piedi
avanti con breve
rincorsa
2- fare capovolta e
salto con stacco con
rincorsa e piedi pari.
ARRAMPICARSI
1- salire e scendere
dalla spalliera
2-spostarsi
orizzontalmente sulla
spalliera
3-salire sulla spalliera
ad altezze diverse e
“tuffarsi” sul
materasso sottostante.
ATTIVITA’ - Esercizi per la coordinazione del movimento
Tracciare dei cerchi bimanuali
Procura due fogli e mettili davanti a te in modo da potervi scrivere.
Impugna due matite, o due gessetti se sei davanti a una lavagna o parete.
Inizia a disegnare dei cerchi con simultanei movimenti circolari di ambedue le braccia, destra e sinistra,
in senso orario.
Continua a scrivere solo con la mano destra, mentre con la sinistra continua nel movimento circolare,
mantenendo lo stesso ritmo.
Riprendi a tracciare con entrambe le mani, poi stacca la mano sinistra e continua con lo stesso ritmo a
tracciare i cerchi a vuoto.
Riprendi infine il movimento bimanuale
Finita la prova, pensa alle percezioni, alle sensazioni, alle eventuali tensioni avvertite.
Provando più volte, si migliora la prestazione.
Una variante consiste nel fare la prova in piedi in equilibrio su una pedana oscillante
Rifai l’esercizio tracciando i cerchi in senso antiorario.
P.M. Questo è un esercizio che “impedisce un pensiero a basso livello e promuove un pensiero ad alto
livello relativo al movimento della spalla, del braccio, del polso, della mano”.
Abituati a tenere il diario delle tue sensazioni!
ATTIVITA’- Per il movimento generale : cammina a gambe incrociate
In palestra, in casa o all’aperto.
Individua una linea retta ben visibile e lunga almeno tre metri.
Poniti all’inizio per percorrerla tutta.
Prima di partire, sistemati in questo modo:
a gambe incrociate, il piede destro va sul lato sinistro della retta,
il piede sinistro va collocato nel lato destro della retta
Cammina fino in fondo alternando i piedi allo stesso modo.
Arrivato in fondo alla retta, ha due possibilità da provare:
1) fai dietro front e procedi come prima, attento a verificare se il tuo cervello ha acquisito il meccanismo;
2) torna semplicemente indietro, sempre a gambe incrociate, senza girarti.
Devi far ruotare il piede intorno e dietro. E’ più difficile controllare i movimenti dei piedi e lo spazio
dietro di sé.
Pensa alle sensazioni provate. Ripeti l’esercizio alcune volte e verifica i miglioramenti nella sicurezza di
esecuzione.
Autovalutazione. Come ti sembra di andare, da 1 a 10? …….
P.M. Per consolidare la mappa mentale del corpo
ATTIVITA’- Sulla pedana
In palestra ci sono tavolette poste su un’asse che possono oscillare avanti e indietro, sul lato destro e sul
sinistro. Servono per verificare e rafforzare l’equilibrio del corpo e la coordinazione degli assi corporei.
I fase del bilanciamento antero-posteriore.
Sali sulla pedana trovando un punto di equilibrio.
Fissa un punto davanti a te. Porta in avanti l’asse, spingendo con la punta delle dita dei piedi e
mantenendo l’equilibrio.
Ritorna in posizione, poi spingi con i talloni e porta indietro l’asse. Mantieni l’equilibrio.
Ripeti l’esercizio cinque volte e verifica i miglioramenti.
II fase del bilanciamento laterale.
Sistema la pedana in modo che possa oscillare di lato. Parti da posizione ferma in equilibrio sulla
pedana.
Sposta il tuo peso spingendo con il lato sinistro del tuo corpo.
Ritorna in posizione di equilibrio e sposta il peso dalla parte opposta, a destra.
Ripeti l’esercizio cinque volte e verifica i miglioramenti.
III fase del bilanciamento bilaterale.
Parti sempre dalla posizione di equilibrio e guarda un punto fisso davanti a te.
Puoi dondolarti da un lato all’altro, poi stabilizzati su una posizione livellata in equilibrio.
Resta in posizione di equilibrio, controllando le spinte e conta mentalmente quanto resisti prima di
mettere un piede a terra.
Allunga via via il tempo, 1,2,3… A quanto riesci ad arrivare? …
P.M. Per l’autocontrollo dei movimenti.
1.11 Il concetto di benessere
Buona qualità della vita è benessere. Ben-essere vuol significare “stare bene con se stessi”, facendo
un’attività armoniosa che coinvolge sia il fisico, sia lo spirito. Passeggiare, correre, nuotare, andare in
palestra, ballare e altre attività forniscono la percezione del proprio corpo, traendone un senso di
benessere e di positività anche morale.
Parlando di benessere, evochiamo quindi il concetto di qualità della vita, la cui definizione non è univoca,
poiché diverse e numerose sono le dimensioni a cui attingere.
Un primo orientamento proviene dalla definizione di salute data dall’Organizzazione Sanitaria Mondiale
(OMS, 1946): “ Salute è stato completo di benessere psicofisico, mentale e sociale e non semplicemente
di assenza di malattia”. L’individuo è considerato come un’entità di corpo e mente collegati e integrati fra
loro. Le linee guida dell’OMS indirizzano verso occasioni centrate sulla promozione dell’attività fisica e
su uno stile di vita attivo.
Le ricerche degli ultimi anni del secolo scorso hanno sviluppato diversi studi sull’argomento, con
obiettivi e ambiti specifici. Viene ricordato il modello multidimensionale di Schalock, che individua come
parametri per garantire una buona qualità della vita le caratteristiche personali, le condizioni di vita, la
percezione che gli altri hanno in riferimento a problemi, con particolare riferimento alle situazioni del
ritardo mentale .
Altri studi, ad esempio di Murrel-Norris, sono di ispirazione ecologica e sociale; essi considerano la
tipologia di ambiente da cui ricavare benessere e la possibilità di intrattenere relazioni personali che
consentano la partecipazione alla vita sociale da cui deriva il senso individuale di autoefficacia.
Studi successivi di Egerton hanno allargato il quadro dei fattori, soprattutto sul versante della personalità.
Infatti la qualità della vita è costituita anche dalla realizzazione di valori, di obiettivi prefissati e raggiunti,
oltre che dalla soddisfazione dei bisogni personali dell’individuo attraverso lo sviluppo delle proprie
capacità e l’attuazione delle proprie abilità.
Il benessere è dunque raggiungibile seguendo un consapevole e deliberato approccio teso a ottenere
sistematicamente il massimo della propria salute fisica e psichica.
Ciò presuppone che ognuno deve impegnarsi per mantenere la propria forma fisica e mentale, per
migliorare le prestazioni e il divertimento nel tempo libero e nello sport.
Il proprio benessere si persegue continuamente nella vita, cercando di prevenire i mali e di ridurre i fattori
di rischio via via che si presentano.
L’attività fisica aiuta a trovare e mantenere il benessere attraverso lo sviluppo della capacità aerobica, con
la forma muscolare, con l’alimentazione, con lo stile di vita, con l’attenzione all’ambiente e la sicurezza.
Ma, anche se negli ultimi anni si assiste al boom delle palestre, dei centri di benessere, degli sport
amatoriali, non succede automaticamente che l’attuale contesto sociale porti a benessere fisico e psichico.
A volte, l’enfasi eccessiva, la ripetizione automatica dei movimenti, la quantità piuttosto che la qualità
portano a effetti contrastanti.
1.12 Benessere e attività fisica
L’atleta attento ha familiarità con la propria capacità aerobica, con i sistemi di misurazione, con i fattori
che influenzano la prestazione; è in grado di scoprire il proprio potenziale.
L’atleta attento comprende la relazione tra forma fisica, forma mentale, stato di salute e benessere.
La forma psico-fisica è costituita da aspetti fisiologici e aspetti psicologici legati alle sensazioni e alle
emozioni. Essere in forma significa quindi possedere uno stato di salute buono, che permette ottime
prestazioni lavorative e sportive. L’atleta “in forma” non ha malattie, percepisce un senso di benessere
fisico e psicologico profondo durante le attività svolte nella giornata.
L’attività fisica può essere assunta come un indicatore dello stato di salute; questo è fondamentale man
mano che si avanza con l’età. L’invecchiamento è condizionato da diversi fattori fisiologici, psicologici e
sociali. Per questo fare esercizio fisico con regolarità contribuisce sia al rallentamento
dell’invecchiamento, sia al mantenimento di efficienza e autonomia.
Gli studi avanzati sul benessere suggeriscono in primo luogo il monitoraggio delle funzioni
cardiovascolari durante l’esercizio fisico adeguato all’età. Di fronte alla perdita della massa muscolare
con l’età si determina la riduzione delle forze che limitano le possibilità di attività. Anche la
stabilizzazione posturale viene ad essere modificata; esercizi specifici al riguardo sono utili per
controllare il rischio di cadute, come lo sono tutte le attività che richiedono flessibilità nei movimenti.
Anche sul versante psicologico, con l’invecchiamento si rilevano diverse problematiche. Innanzi tutto,
può verificarsi un declino della funzione cognitiva, una propensione alla depressione, una crescente
insicurezza e una diminuzione della capacità di autocontrollo. L’attività fisica, adeguata all’età e alle
caratteristiche personali, condiziona positivamente gli effetti dell’invecchiamento.
Come per tutti i processi cognitivi, anche la motricità va incentivata e sperimentata per tutto il corso della
vita; per questo crediamo nel valore dell’educazione permanente. Gli esercizi proposti precedentemente
sono una linea guida per la quotidiana attività.
ZOOM – Le capacità nello sport
Tipologia sport Capacità specifiche
Sport di situazione Adattarsi a nuove situazioni in tempi brevi
(es. tennis) Flessibilità percettiva e cognitiva
Capacità attentiva a 360 gradi
Sport ciclici, di resistenza Capacità di soffrire, tenacia
(es.ciclismo) Dosare le proprie energie
Costante contatto con se stessi
Controllo di sensazioni sgradevoli (fatica, monotonia)
Alta soglia di tolleranza al dolore, alle frustrazioni
Reggere agli allenamenti e alla gare prolungati
Sport di destrezza Alto livello di concentrazione
(es.tiro con l’arco) Consapevolezza di sé, autocontrollo
Gestire ansia e aggressività
Saper vivere nel presente, qui e ora
ZOOM – Che sport pratichi?
Esempio di questionario per una prima conoscenza su stato e interessi di atleti.
Data e Luogo di nascita ……………………………………………………..
Residenza …………………………………………… Tel. ………………………
Societa’ Sportiva ……………………………………… Cat. ………………
Frequenza Allenamenti ….…………………………………………………………………
Frequenza Gare ……………………………………………………………………………….
Tipo di Alimentazione …………………………………………………………………
Presenza di Ansia (sì/no) Pre-Gara… Durante… Post-Gara…
Studio ……………………………………………………………………………….
Altri Sport Praticati …………………………………………………………
Altri Sport Che Interessano ………………………………………………
Interessi Tempo Libero(sì/no)
Play Station
Computer
Tv
Musica
Film
Letture
Altri:…………………………………………………..
………………………………………………….
…………………………………………………..
ATTIVITA’ – Il Cicloturismo: andare in bicicletta
Un esempio di sport che non ha scadenze di età è il ciclismo.
Il ciclismo è considerato uno sport di resistenza, con aspetti comuni agli sport di situazione e di
destrezza.
Il ciclismo è “andare in bicicletta”, non è solo corsa; è “sport agonistico”, ma anche passatempo
salutare.
E’ una disciplina con queste caratteristiche:
- è individuale;
- è all’aperto;
- è di resistenza.
In quasi tutti i paesi del mondo si pratica da piccoli fino alla vecchiaia avanzata.
Il primo triciclo viene regalato alla più tenera età, a 2 o 3 anni possiamo vedere i fanciulli che
apprendono le regole dell’equilibrio e della velocità che sperimenteranno con una bicicletta.
Qualcuno giunge a praticare lo sport agonistico, che può partire dai 12 anni e giungere fino a quasi 40
anni.
Anche al termine dell’attività agonistica, molti non lasciano la bicicletta, sia a livello amatoriale, sia per
il piacere personale.
In ciascuna di queste fasi si attivano apprendimenti sia fisici sia mentali; oltre all’abilità specifica
consolidata in vari gradi, occorrono capacità di programmazione, dosaggio delle proprie forze, sempre
nuovi adattamenti posturali, rinnovate motivazioni che si modificano e si incrementano con il passar
degli anni.
Fare cicloturismo è facile:
* si può fare in qualsiasi luogo;
* si può fare da soli, senza accordi con altri;
* si può fare in qualsiasi momento;
* è bilaterale, non crea dismorfismi, va bene per qualsiasi età.
Per fare cicloturismo occorrono:
* una bicicletta su misura;
* l’abbigliamento adatto, personalizzato.
E’ indispensabile però:
* effettuare il controllo medico periodico;
* essere sinceri e aperti col medico;
* non correre in condizioni fisiche non perfette;
* avvertire il campanello d’allarme della stanchezza:
* non indulgere in allenamenti oltre la propria portata;
* non essere distratti e spericolati;
* rispettare il codice della strada, specie in gruppo.
P.M. Se si esagera, non si ha self control, non si avvertono i pericoli, aumentano i rischi di cadute e di
infortuni.
ATTIVITA’ - Campo di intervento: tutela del proprio benessere
Leggi le affermazioni. Sei d’accordo o no? Puoi integrare con pareri ed esempi.
1) La tutela del mio benessere psico-fisico non è demandabile ad altri al di fuori di me stesso
Sì perché …………………………………………..
No perché ……………………………………..…...
2) Nel controllo salute è importante “sapere di saper fare” le cose giuste nelle varie evenienze
Sì perché ……………………………………………..
No perché ……………………………………………..
3) Per consolidare il mio benessere devo agire in due direzioni:
a) incrementando tutte le situazioni che “mi fanno stare bene”,
ad esempio:……………………………..
b) evitare le situazioni dannose al mio benessere,
ad esempio ………………………………………….
CAP 2 – LE BASI DELLA MOTIVAZIONE UMANA
“Arriva un momento nella vita
in cui non rimane altro da fare
che percorrere la propria strada fino in fondo.
Quello è il momento d’inseguire i propri sogni,
quello è il momento di prendere il largo,
forti delle proprie convinzioni.”
(Sergio Bambarén, Il delfino)
2.1 La motivazione nella vita
La “motivazione” è un argomento da tempo oggetto di numerosi studi teorici e di sperimentazioni; fra le
diverse interpretazioni, ci sembra opportuno attenerci alla definizione di motivazione come “fattore che
porta l’individuo a tendere e ad agire verso certe mete, partendo da una pulsione, un bisogno, un interesse
verso oggetti, persone, comportamenti”.
Quindi, essere motivati significa mettere in atto una serie di azioni per realizzare alcuni obiettivi e per
perseverare in tale direzione, superando ostacoli e conflitti, in base a modalità strettamente personali e a
fattori fisiologici e mentali.
Visitiamo alcune teorie sulla motivazione
Secondo diversi orientamenti teorici, la motivazione è la base del comportamento per stabilire (o
ristabilire) un equilibrio, o, al contrario, per romperlo; ci si riferisce a bisogni fisiologici, sociali,
esplorativi, di valori. Sono queste le motivazioni omeostatiche/antiomeostatiche.
Secondo McClelland, psicologo sperimentale, la motivazione è condizionata dal gradiente
piacere/dispiacere che si prova verso qualcosa; ciò corrisponde alla teoria della stimolazione affettiva, per
la quale essere motivati deriva dall’aspettativa di un piacere o dall’allontanamento di un dispiacere.
Per la teoria comportamentista, la motivazione ha origine nell’infanzia, poiché si attiva lungo la sequenza
bisogno-pulsione-incentivo e identifica gli ambiti fisiologici (fame, sesso, evacuazione) e gli ambiti
relativi alla dipendenza e all’aggressività.
Interessante è l’identificazione delle soddisfazioni simboliche della fame, quali l’alcolismo, la droga, il
tabagismo e anche l’opposizione alla fame, con disturbi alimentari, quali diete rigidissime, anoressia.
La teoria psicoanalista inserisce il concetto di motivazione nel conflitto fra le pulsioni del piano conscio e
quelle del piano inconscio. Con Freud si parla quindi di tensione, di rimozione, di conflitto tra pulsione
inconscia e motivazione conscia che porta alle varie difese dell’io (razionalizzazione, negazione,
proiezione, introiezione, regressione, formazione reattiva, sublimazione.); per Jung la motivazione è data
dal desiderio di autorealizzazione.
La teoria cognitivista definisce la motivazione come l’attivazione di un comportamento verso uno scopo,
per raggiungere il quale occorrono la pianificazione di un iter e il giusto livello di aspirazione. Va oltre la
teoria dell’equilibrio, in quanto, secondo Piaget, non si tratta solo di ristabilire, ma anche di cercare un
equilibrio più stabile.
Per Dewey il vero motore della motivazione è la spinta verso la soluzione dei problemi: se non si ama
pensare, non si prova interesse per i problemi in quanto tali!
Le ulteriori ricerche sulla motivazione sono improntate alla teoria dell’autorealizzazione, cioè alla
realizzazione del sé, oltre agli aspetti fisiologici. Sono le ricerche di Maslow-Murray sui bisogni (di cui
parliamo) e di Lewin sulla teoria del campo, cioè dello spazio vitale in cui sono raccolti tutti i fattori
socio-psicologici che influenzano il comportamento di un individuo in un dato momento.
2.2 Gli obiettivi-meta
Si può affermare che la motivazione verso una meta accresce la possibilità di successo; sperimentiamo
spesso che, in presenza di motivazioni stimolanti e obiettivi gratificanti, avvertiamo meno la fatica,
riscontriamo una maggiore facilità nel ricordare fatti, date, nomi.
Già il termine “motivazione” fa venire in mente il significato di un movimento di carattere dinamico e
tensivo; essere motivati verso qualcosa o qualcuno o a fare qualcosa riveste carattere di maggiore
intensità rispetto al semplice interesse verso quegli oggetti, vuol dire attivare un insieme di
comportamenti intenzionali per raggiungere l’obiettivo motivante.
La motivazione è presente fin dalle primissime esperienze del bambino, che è portato a esplorare
l’ambiente intorno a sé, e rappresenta il motore primo di ogni apprendimento.
Lo psicologo statunitense Berkowitz raccomanda ai genitori di essere attivamente presenti
nell’educazione dei figli, specialmente riguardo ai bisogni manifestati che non devono essere
sottovalutati..
Se da un lato è bene evitare di gratificare ogni desiderio del bambino, dall’altro non si deve ignorarli o
liquidarli, sperando che lo sviluppo avvenga naturalmente, per qualche ragione “mistica”.
Per sviluppare la motivazione all’autorealizzazione e alla morale, i genitori devono insegnare le norme
con amore e comprensione, oltre che essere di esempio.
La pura imposizione è frustrante per il bambino; inoltre, non serve allo scopo e genera comportamenti di
ribellione. Tuttavia un certo grado di frustrazione è necessario per lo sviluppo della tolleranza e per far
comprendere che i propri desideri non sono sempre realizzabili.
Un altro fattore da considerare è la capacità di rimandare la gratificazione. C’è chi preferisce una
gratificazione immediata anche se incompleta, piuttosto che attendere di perfezionarla.
La spinta della motivazione ha la caratteristica di mantenere la persona pronta ad essere attiva e
determinata verso l’attuazione del bisogno: inoltre è direzionale, in quanto tende verso l’oggetto o la
situazione che rappresenta in quel momento l’oggetto del desiderio.
Una classificazione delle motivazioni deve tener conto di diversi livelli e fattori. Infatti la motivazione
può nascere da un interesse, un’inclinazione, un atteggiamento, un valore attribuito a qualcosa, una moda,
un desiderio di affiliazione. Per soddisfarla, cerchiamo soluzioni che coincidano con il raggiungimento di
un obiettivo-meta; questo può avere, oltre che carattere positivo, anche valenze negative.
Mentre le mete positive ci inducono a essere attratti verso…, a essere spinti verso…, a dirigerci verso…,
dalle mete negative desideriamo allontanarci per evitarle.
L’insorgere di una motivazione viene incentivato da sensazioni di privazione, da ostacoli frapposti, da
conflitti che inducono a ricercare la soddisfazione dei bisogni.
2.3 Istinto e Pulsione
Per comprendere il concetto di motivazione, partiamo dall’analisi di alcuni termini che spesso sono usati
come sinonimi: istinto , pulsione, bisogno.
L’istinto (instinct) è innato ed è proprio di ciascuna specie animale: deriva da un meccanismo
neurosensoriale scatenante (innate releasing mechanism); uno stimolo esterno provoca una reazione, cioè
una risposta organizzata e già delineata.
Nella natura umana sono insiti certi istinti che possono venire sostituiti da comportamenti pianificati;
tuttavia, in situazioni di emergenza, di pericolo, di forte emotività, essi possono riemergere non
coscientemente e senza preventiva valutazione delle conseguenze di un atto (attrazione, reazioni di fuga e
di difesa).
Per chi è impegnato in attività come lo sport, si trova in queste condizioni di frequente.
Facciamo l’esempio di una gara di ciclismo… una fuga… in volata… uno spettatore che ostacola un
corridore: questo reagisce con una spinta; in quel momento ha una reazione istintiva perché si trova in un
momento di forte difficoltà.
Al contrario dell’istinto che è scatenato da uno stimolo esterno, la pulsione (drive) nasce dall’interno
come una forza psichica in presenza di uno stato di eccitazione, tesa a raggiungere la soddisfazione.
L’elenco delle pulsioni è vasto: l’aggressione, l’impulso alla distruzione, la voglia di dominare, la
pulsione sessuale, l’autoconservazione, la pulsione dell’io (o di autoconservazione).
Tutte queste sono proprie della vita quotidiana e anche dell’attività sportiva. Ad esempio, un atleta che
non si accontenta del risultato raggiunto e vuole ottenere un record è mosso da una forte pulsione interiore
all’autoaffermazione.
TESTIMONIANZA - La sofferenza tra istinto e follia
Il confine tra la pazzia e l’impresa. Cosa spinge gli atleti alla sofferenza? “Sangue sudore e lacrime”.
La cultura greca antica definiva il dolore inscindibile dalla vita, per cui “l’uomo si fa eroe nel dominio
della sofferenza”.
Nella cultura moderna, il dolore e la sofferenza sono visti come condizioni negative, normalmente legate
a deprivazione, malattia e disagio, sia a livello fisico sia a livello emotivo.
Nella storia dello sport, gli episodi di palese sofferenza sono di normale amministrazione. Addirittura si
ricordano casi di estremo patimento anche in discipline di limitato coinvolgimento fisico come nelle gare
di tiro, nell’equitazione o in certi giochi di squadra.
Molti atleti riescono a gareggiare in condizioni fisiche ridotte o in stati accertati di infortuni: strappi,
distorsioni e ossa fratturate. Capita che alcuni medici non riescano ad impedire a certi atleti la
continuazione della loro attività, nonostante l’evidente gravità del loro stato.
Nel ciclismo c’è di tutto: atleti che finiscono le gare con alcune ossa rotte, sforzi sovrumani nelle
condizioni climatiche più difficili, poi le fughe impossibili…
Un corridore che, all’inizio di una gara o di una tappa lunga e difficile, decide di partire a tutta forza dal
primo chilometro è considerato un pazzo. In nove casi su dieci lo sforzo è inutile e può lasciare strascichi
anche nei giorni successivi. Normalmente il gruppo gioca con il fuggitivo come il gatto col topo, ma, se il
fuggitivo ce la fa a portare a termine l’intento, si parla di impresa memorabile.
Alcuni studi psicologici, analizzando le caratteristiche della volontà di compiere un’impresa anche a
costo di un’immensa sofferenza, individuano quattro momenti chiave.
- La situazione: c’è da affrontare un compito tremendamente difficile.
- La decisione: scatta la decisione di provarci.
- La determinazione: non aver alcun dubbio di potercela fare.
- L’attuazione: si accetta l’idea dello sforzo e si usano tutte le risorse per non desistere.
In combinazione con questi quattro momenti chiave, sono fondamentali alcuni aspetti personali che
possono determinare il successo o l’insuccesso e sono:
- il talento personale (le doti fisiche);
- la spinta emotiva verso il risultato;
- le esperienze messe in pratica.
Concludendo, la capacità di gestire la sofferenza fornisce all’atleta gli elementi fondamentali della
motivazione: consolidamento dell’autostima e sicurezza delle proprie capacità.
2.4 I bisogni fondamentali
Istinto, pulsione… ci portano a considerare il concetto di bisogno (need). Il bisogno nasce dalla mancanza
di qualcosa che in certe circostanze è vissuta come indispensabile e strettamente necessaria per
l’equilibrio e la realizzazione di sé.
Il bisogno spinge verso una meta, raggiunta la quale si allevia la tensione e scompare il senso di
insoddisfazione. Per giungere a questo risultato, l’individuo si attiva, si pone degli obiettivi, supera
ostacoli, sviluppa e perfezione abilità, consolida delle capacità.
Esistono i bisogni relativi alla vita individuale, come quello di alimentarsi, e i bisogni relativi alla specie,
come la sessualità, la cura della prole.
A questi si aggiungono tutti quei bisogni di tipo fisiologico: il bisogno di agire, di muoversi, di
manipolare, di curiosare, di esplorare.
Si osservano forme di comportamento non solo di attrazione, ma anche di repulsione, di conflitto, di
doppio conflitto (tra conflitto e psiche e tra conflitto e comportamento).
E’ attraverso l’apprendimento di certi comportamenti che oggetti di per sé neutri possono diventare
ambiti per effetto di un incentivo.
Proprio la presenza o meno di un incentivo trasforma il bisogno in motivazione, perché dà la spinta che
incide sulla motivazione, fornendo un rinforzo positivo o un deterrente negativo a una certa attività.
Possiamo comprendere che solo una parte di motivazioni corrisponda a bisogni. Il concetto di bisogni non
fisiologici è studiato dalla Psicologia della personalità.
DISEGNO PIRAMIDE BISOGNI
Secondo Maslow, l’autorevole studioso di psicologia della personalità, i bisogni umani sono suddivisi in
cinque categorie rappresentate a forma di piramide, procedendo dai bisogni primari ai bisogni secondari.
Alla base stanno i bisogni fisiologici e organici, quali alimentarsi, dormire, coprirsi...
Un secondo livello comprende i bisogni relativi alla propria sicurezza e quindi trovare rifugio,
tranquillità, pace...
Soddisfatti questi, si passa ai bisogni relativi alla socievolezza: bisogno di affetto, di appartenenza a un
gruppo, di amicizia, di amore, di accettazione...
Un ulteriore livello di bisogni è quello relativo all’autostima, cioè all’esigenza di avere un’immagine
positiva di sé e fiducia nelle proprie potenzialità e, di conseguenza, di essere apprezzati dagli altri.
Nell’ultimo scalino della piramide, ma non meno importante, troviamo il bisogno relativo all’auto-
realizzazione, che si
effettua esprimendo appieno il proprio talento e la propria creatività, la ricerca dei propri limiti e del loro
superamento.
Quella proposta da Maslow non è l’unica classificazione dei livelli di motivazione.
Ricordiamo autori come Murray che presenta un elenco molto più articolato di esempi rapportati al
concetto di motivazione, fornendo un’ulteriore suddivisione fra i bisogni di natura fisiologica e quelli di
natura motivazionale.
L’autore indica i comportamenti (costruire, acquisire, conservare, ordinare) basati sui bisogni in relazione
a oggetti inanimati:
I bisogni che esprimono ambizione, dimostrazione di forza, desiderio di riuscita e di prestigio, di
successo, e anche di integrità. di difesa, di reazione.
I bisogni di potere, e quindi relativi a dominanza, sottomissione, autonomia, indipendenza.
I bisogni di aggressione, umiliazione, come risposta a torti subiti.
I bisogni relativi agli affetti personali, come gregariato, rifiuto, protezione, soccorso.
I bisogni socialmente rilevanti, , come gioco, conoscenza, esposizione.
TESTIMONIANZA - Bisogni primari
Stanchi di dover trovare scuse per praticare il vostro sport preferito?
Ma soprattutto non vi sentite compresi dai vostri familiari che vi accusano di passare troppo tempo fuori
casa?
Ebbene io posso rispondere a tutti, senza sensi di colpa, che sto solamente soddisfacendo un bisogno,
anzi più bisogni contemporaneamente!
Questo non grazie ad un moderno ritrovato scientifico, ma derivato da uno studio del 1943 da parte dello
psicologo americano Abraham Maslow (e ancora attualissimo) riguardo l’indicazione dei bisogni
fondamentali dell’essere umano.
E spiego.
Alla base della piramide dei bisogni dell’essere umano, nella stessa categoria di altri bisogni primari
come respirare, nutrirsi, riprodursi…c’è anche il bisogno fisiologico di movimento!
È interessante notare come lo sport non risponda solo a questa categoria, ma veda collegamenti in quasi
tutti gli altri ambiti.
Il secondo livello infatti, oltre a comprendere un lavoro sicuro e durevole, si occupa della salute: per
molti il significato più importante dell’attività fisica!
Il terzo campo è quello dell’affettività e dei rapporti. Lo sport ricopre un ruolo sociale determinante per
soddisfare il bisogno di avere amici e una vita sociale, come capita con i compagni di squadra o
appassionati di altre discipline sportive.
Risalendo la Piramide, troviamo al penultimo stadio il riconoscimento sociale espresso come: fama,
dignità, reputazione, etica… In questo senso si può capire perché a volte gli sportivi a livello amatoriale
siano così coinvolti e determinati a raggiungere un risultato: purtroppo qualcuno tende ad esagerare più
di altri...!
L’ultimo ambito riguarda l’autostima a livello personale, rivolto cioè alla propria auto-realizzazione e al
proprio benessere, quindi all’auto-elevazione di se stessi in termini di sicurezza, di fiducia nei propri
mezzi e di equilibrio psicofisico.
Riuscire a soddisfare i bisogni di stadio più elevato e avere un miglior rapporto con se stessi e con gli
altri può avvenire anche attraverso questo percorso…o almeno così mi diceva la mia psicologa!!
Da qui nasce la base della creazione e/o consolidamento della motivazione.
Oltre a questi aspetti teorici sono convinto che lo sport sia un veicolo di comunicazione sociale di
importantissimo rilievo!
2.5 Dai bisogni alla motivazione
L’approfondimento dei vari livelli chiarisce l’importanza della teoria della motivazione agli effetti della
qualità della vita e, di conseguenza, dell’attività sportiva.
Interessante è la prospettiva di considerare alcune categorie di attività a cui far corrispondere altrettanti
bisogni, che interessano i vari stadi della crescita e i vari ambiti, da quello personale a quello sociale e
culturale.
Il bisogno di socialità si basa sull’esigenza di coltivare rapporti sociali positivi, in contrapposizione con
uno stato di isolamento e di aggressività.
Appartengono a questa categoria:
- la percezione di vicinanza con un’altra persona e con un gruppo;
- la possibilità di avere scambi sociali e comunicativi ravvicinati e a distanza;
- la collaborazione a progetti comuni;
- diverse tipologie di rapporti alla pari o gerarchici nel senso di dominanza e dipendenza.
Collegato alla socialità, c’è il bisogno di intraprendere relazioni intime e sessuali per ottenere
gratificazioni; è contrapposto all’estraneità di rapporti e alla relativa frustrazione.
Il bisogno di nutrizione, che risponde all’esigenza di assumere cibo e reintegrare le forze, si contrappone
al consumo eccessivo, alla dispersione e infine all’autodistruzione. Si combinano quindi le attività di
assunzione di materiali utili, non solo cibo, ma anche aria respirabile, luce, calore, con la relativa
percezione di benessere a cui si contrappongono attività di espulsione altrettanto importanti, come
espirazione, escrezione, sudore.
Passando in un livello superiore, non più specificamente biologico, troviamo il bisogno di aggressione,
cioè quella tendenza a respingere e ritenere pericolose le strutture esterne al proprio io; al bisogno di
distruggere si contrappone la spinta a costruire, a favorire attività sociali, a unificare. L’aggressione si
manifesta in tutte le operazioni che ci vedono impegnati a creare fratture, separazioni, disgregazioni, con
il pericolo di perdite di identità: deformazione, denaturazione, riduzione, dislocazione sono tutti aspetti
dell’aggressione, che si verifica anche attraverso comportamenti relazionali e comunicativi.
ZOOM – Indagini di personalità
Un test proiettivo per l’indagine di personalità molto utilizzato tuttora è il Thematic Apperception Test
(TAT test) di Murray che si avvale di tavole di disegno con personaggi in situazioni di vita, lasciate
leggermente ambigue, sulle quali si chiede di inventare delle storie con riferimenti, non solo alla
situazione presentata, ma anche al passato, ai sentimenti, ai bisogni del soggetto e con possibili
conclusioni.
Si richiede di andare oltre al contenuto manifesto e di immaginare il contenuto latente, sottinteso, su cui
poi sarà possibile dare un’interpretazione in quanto crea un conflitto. La richiesta di costruire una storia
intorno all’immagine costringe a esprimere un proprio parere e a manifestare il proprio mondo interiore,
i propri bisogni e conflitti.
Una variante del TAT è stata ideata da Bellak per i bambini: il CAT ( Children’s Apperception Test).
Le funzioni dell’Io considerate sono:
- L’esame della realtà: la distinzione tra stimoli interni ed esterni, la percezione esatta e l’interpretazione
degli eventi esterni, l’orientamento spazio-temporale, la percezione esatta e l’interpretazione degli eventi
interni, la consapevolezza della realtà interna.
- Il giudizio: l’anticipazione delle conseguenze di un comportamento e la sua valutazione, il
riadeguamento alla realtà.
- Il senso della realtà, del mondo, di sé: personalizzazione degli eventi, consapevolezza del vissuto del
proprio corpo (o di una parte di esso).
- Il controllo di pulsioni, affetti e impulsi: il grado di tolleranza della frustrazione, il trasferimento delle
pulsioni in ideazione, affetto, comportamento manifesto.
Bellak considera ancora le tipologie inerenti le relazioni oggettuali, i processi di pensiero, la reazione di
fronte ad eventi nuovi, i meccanismi di difesa, la reazione agli stimoli e il grado di adattamento, le
funzioni cognitive e la loro autonomia, la capacità di integrazione e il ruolo dei conflitti, la padronanza
nell’interagire nel suo ambiente.
ATTIVITA’ – La fotografia
Cerca una fotografia o un’immagine da un giornale con due persone, ad esempio con una persona
anziana con i capelli grigi che guarda verso una persona più giovane che guarda lontano.
Osserva bene e rispondi alle domande.
Guardando l’immagine, con chi ti identifichi?
………………………………………………………………………………………………
Quali sensazioni, quali pensieri, quali bisogni emergono in te?
………………………………………………………………………………………………
Scrivi le tue considerazioni.
………………………………………………………………………………………………..
………………………………………………………………………………………………..
………………………………………………………………………………………………..
P.M. Per far emergere le tue aspettative inconsce.
ATTIVITA’ – Test dell’albero
Mettiti a tuo agio avendo un po’ di tempo solo per te.
Occorrente: Un foglio e una matita.
Disegna un albero come vuoi (non un abete di Natale).
Non devi dimostrare se sei bravo o no in disegno, devi semplicemente disegnare un albero in questo
foglio.
Puoi metterci il tempo che ti serve.
Puoi anche cancellare se vuoi.
Solo dopo aver disegnato, puoi cercare il significato simbolico del disegno dell’albero.
L’albero disegnato simbolizza la persona che lo disegna.
Dall’interpretazione (affidata a specialisti) si possono desumere a grandi linee le caratteristiche della
personalità, si tiene conto della simbologia spaziale, dei particolari inseriti, dei tracciati.
Non è attendibile in modo rigoroso, non si possono dare regole o classificazioni generali. E’ considerato
un test proiettivo; se rifatto dopo un po’ di tempo, può variare, come variano le emozioni e le sensazioni
a seconda del vissuto di quel momento.
Lo proponiamo come strumento creativo; può dare spunti di riflessione, soprattutto se confrontato con
altri.
(disegni di alberi differenti).
Sono altri test proiettivi anche Il test della persona umana. Il test della casa.
2.6 – Le motivazioni dell’attività sportiva
Tutte le attività conoscitive e motorie sono modalità per soddisfare pulsioni profonde. Sono tante le
motivazioni che sorgono dalla tensione a soddisfare bisogni dell’attività umana. Occorre predisporre
strutture e occasioni per poterli sperimentare.
Se esaminiamo la motivazione dal punto di vista dell’attività sportiva, scopriamo che lo sport può
rispondere alle esigenze e ai bisogni fondamentali dell’uomo: autoaffermazione, movimento, avventura,
esplorazione, aggressività, socialità, creatività…
Soffermiamoci sulle motivazioni che portano un giovane a fare sport partendo dai bisogni fondamentali
che muovono l’azione umana.
La motivazione a fare sport rientra nella sfera dei bisogni secondari, secondo la Piramide di Maslow,
salvo poi a divenire una necessità vitale. Il desiderio di avventura e di esplorazione, l’esplicazione della
creatività e della fantasia personali, l’esigenza di contatti e collaborazione, l’aspirazione alla socialità, la
necessità di movimento implicita nella natura umana sono tutti “motori” che rendono il mondo dello sport
attraente, saturo di valenze positive e di modelli da seguire.
Nello specifico della nostra indagine, segnaliamo in questo contesto il comportamento agonistico e
competitivo nel gioco e nello sport, attività che prevedono componenti di rischio; infatti l’agonismo
presenta aspetti psicologici di compromesso fra le esigenze di aggressività e di affermazione contrapposte
ai bisogni di socialità.
Una motivazione particolare, specifica dell’individuo, è quella che risponde al bisogno di
autoaffermazione, argomento trattato da autori come McClelland, Berkowitz, Maslow, che considerano
gli aspetti della gratificazione e della frustrazione come determinanti per l’affermazione: superare
ostacoli, distinguersi dagli altri, emergere, realizzarsi, raggiungere il successo, sono tutti obiettivi che
sorreggono l’atleta nella preparazione, durante l’allenamento, in gara.
Qualcuno è orientato verso imprese facili, alla propria portata; più spesso troviamo atleti motivati verso
imprese mediamente difficili, che richiedono un impegno superiore alle proprie forze; altri ancora
ricercano imprese difficoltose o addirittura impossibili.
Il giusto equilibrio fra questi due poli è favorito dagli atteggiamenti di incoraggiamento, fiducia,
autonomia e intraprendenza che garantiscono il superamento delle difficoltà e degli ostacoli.
Così entra in gioco un’altra motivazione che corrisponde al bisogno d’avventura dell’uomo, che
comprende tutte quelle predisposizioni alla novità, alla tensione emotiva, al rischio, al mettersi in gioco,
al prediligere situazioni di conflitto per il piacere di risolverlo.
Il desiderio di andare verso mete ignote (esterne in senso geografico, ma anche interne, per scandagliare
se stessi), l’esigenza di estraniarsi da situazioni di vita improntate alla piattezza e alla monotonia,
l’eccitazione, la tensione emotiva e il rischio dell’insuccesso portano a uno stato d’ansia e di conflitto
connaturato alla motivazione verso l’avventura.
A questa colleghiamo il bisogno di esplorazione fisica e cognitiva: conoscere, costruire, muoversi
rientrano in questo ambito e la loro soddisfazione crea una gratificazione al pari di quella che prova il
bimbo quando muove i primi passi e diviene padrone dell’ambiente intorno a sé. Il bisogno di esplorare
non ha limiti, si realizza nel raggiungere oggetti e mete concrete, oppure nel campo della fantasia e
dell’immaginazione, nel cogliere somiglianze e differenze, nell’esercizio dell’analisi , nel procedere
sempre oltre ai limiti raggiunti di conoscenza e di movimento e nel bisogno di misurarsi e superarsi.
Quando facciamo attività sportiva, attiviamo e potenziamo le funzioni percettive (visive, uditive, tattili,
cinesiche), sviluppiamo la capacità immaginativa, rafforziamo i ricordi, ampliamo il nostro campo di
conoscenze e di relazioni.
Vicino a quella esplorativa, troviamo le motivazioni della creatività e della fantasia, che ci aiutano a
ritrovare le situazioni ludiche proprie dell’essere bambini.
La spensieratezza, il piacere di occuparsi di se stessi e del proprio corpo, la ricerca di rapporti non
impostati alla formalità, la voglia di estraniarsi dalla realtà lavorativa per dare avvio a comportamenti
liberi, non giudicabili secondo criteri utilitaristici, il rito dell’abbigliamento, del mettersi in divisa: tutto
questo fa parte della componente giocosa e fantastica dell’uomo e può essere soddisfatta in pieno nel
mondo dello sport.
La realizzazione di situazioni di avventura aderisce a un altro bisogno: quello di costruire nuove forme, di
modificare l’esistente, di fare e disfare, come avviene nei giochi dei bambini con i blocchi e gli incastri .
Con tali attività si sviluppa anche un’altra facoltà, quella della fantasia, cioè della conoscenza
immaginativa, capace di creare un mondo articolato di spunti e realizzazioni.
Il lavoro immaginativo coinvolge percezione e movimento, che a loro volta si avvalgono della
simbolizzazione e dell’immaginazione.
TESTIMONIANZA - Voglia di avventura
Voglia di esplorazione portata all’estrema conseguenza: il caso di Chris, il ragazzo che si incamminò da
solo negli immensi spazi selvaggi dell’Alaska, rappresenta la metafora dell’istinto verso l’avventura.
Scrive di sé:” Da due anni cammina per il mondo. Niente telefono, niente piscina, niente animali, niente
sigarette. Il massimo della libertà… Un viaggiatore esteta, la cui dimora è la strada… E adesso, dopo
due anni a zonzo, arriva la grande avventura finale. L’apice della battaglia per uccidere l’essere falso
dentro di sé… egli fugge, e solo cammina per smarrirsi nelle terre estreme.”
Esiste una folta letteratura sulle imprese che vanno oltre le forze umane; la motivazione è data dal
bisogno innato di avventura: “Non dovremmo negare… che l’essere nomadi ci ha sempre riempito di
gioia. Nella nostra mente viene associato alla fuga dalla storia, oppressione, legge, obblighi, alla libertà
assoluta…”
Al di là dell’epilogo tragico della storia di Chris, ricordiamo che diverse discipline sportive si basano
proprio sullo spirito d’avventura: l’Orientering, la Marathon des sables, la gara Race Across America,
la Dakar, ma anche manifestazioni come la Cento Km del Passatore che parte da Firenze e arriva a
Faenza: trovarsi a camminare da soli di notte lungo il passo della Colla, al solo lume dei raggi della
luna, affrontare la fatica e le proprie paure… tutto questo è sorretto da un forte spirito d’avventura.
P.M. Ritroviamo le condizioni dello spirito d’avventura
2.7 Dal bisogno di movimento alla socialità
Fondamentale e determinante motivazione che si soddisfa con l’attività sportiva è il bisogno innato
nell’uomo di movimento, che nasce dal desiderio di agire, dalla necessità di tenere sotto controllo il
proprio schema corporeo e la posizione di sé nello spazio.
Il movimento è connaturato allo sport nelle varie forme, gradualità e differenziazioni: se mettiamo a
confronto la corsa veloce con la ginnastica agli anelli, il tennis da tavolo con il nuoto, il rugby con la
canoa (potremmo continuare ancora per molto nominando tutti gli sport), ritroviamo modalità diverse, ma
che assecondano tutte l’esigenza di movimento, sia esso di locomozione celere, sia di equilibrio, per
soddisfare uno dei bisogni primari dell’uomo: il vissuto dell’azione.
Nello sport entrano anche altre motivazioni, quali l’aggressione e la socialità.
Si dice che con certi sport si scarica l’aggressività in modo razionale: pensiamo alla boxe, al karate, alla
lotta, alla scherma, tutte discipline che mettono un soggetto contro un altro direttamente scatenando
desiderio di dominio reciproco.
Non solo nel confronto diretto si rivela la motivazione dell’aggressione. Anche quando solleviamo un
peso, lanciamo un giavellotto, superiamo un’asticella, atterriamo con violenza, battiamo un record in
qualche modo siamo mossi dal desiderio di dominare e aggredire un oggetto, un aspetto di realtà animata
e inanimata.
L’aggressione si realizza anche nei confronti di se stessi. Ogni volta che gareggia, l’atleta mette in gioco
la propria integrità fisica e psicologica, affronta la probabilità di infortunio, si misura con la concreta
eventualità di sconfitta e di frustrazione.
Anche la socialità è una motivazione che interviene nella scelta di fare sport; numerose sono le occasioni
di contatto e di collaborazione con gruppi di persone che svolgono la stessa attività.
Parliamo di sport di squadra, (calcio, basket, volley, rugby, staffette) nei quali ciascuno deve dare il
proprio contributo per l’intera squadra; ma anche di sport individuali, dove la prestazione e il suo risultato
sono a totale carico dell’individuo (ciclismo, podismo, tiro con l’arco).
La motivazione alla socialità è presente anche al di fuori dell’allenamento e della gara, poiché si desidera
far parte di una cerchia di persone per organizzare un evento, partecipare a manifestazioni; si riconosce e
si è riconosciuti, si ritrovano gratificazioni emotive, si ha la sensazione di essere importanti per gli altri, di
poterli aiutare, di rompere il proprio isolamento.
Abbiamo esaminato separatamente alcune delle motivazioni che sorreggono coloro che fanno sport attivo,
amatoriale o agonistico. In generale, nell’attività sportiva troviamo la soddisfazione di diverse
motivazioni che si intrecciano fra di loro; questo fa sì che l’esperienza sportiva sia altamente appagante
per l’individuo perché si lega a percezioni, a emozioni, a comportamenti globali che arricchiscono la
personalità.
Una considerazione ulteriore riguarda il fatto che l’attività motoria acquista grande importanza nel
processo di maturazione fisica e psichica del ragazzo, in relazione a diversi aspetti quali la formazione
dello schema corporeo, l’orientamento spazio-temporale, la stabilizzazione dei valori. Fare movimento
diventa un’esigenza del nostro corpo e della nostra mente: mantenere e cambiare la posizione spaziale di
sé e di parti di sé è fortemente auto affermativo.
Come abbiamo visto, le condotte di movimento sono diverse e diversificabili.
Nell’ambito della locomozione, troviamo lo spostamento attivo nelle sue forme: camminare, correre,
nuotare, rimbalzare, pedalare, sciare, pattinare, lanciarsi, ecc.
L’equilibrio è ottenuto tramite una contrapposizione fra movimenti passivi e movimenti attivi e dinamici
e tramite l’attivazione dell’attenzione alle variazioni del fondo su cui si poggia.
Un altro fattore del movimento è il ritmo fra le diverse azioni simultanee e successive. Il ritmo è
rappresentato dal succedersi di un fenomeno a intervalli regolari nel tempo; le sequenze ritmiche si
manifestano in diversi contesti, ad esempio fra suono e silenzio, fra vuoto e pieno, fra veglia e sonno, fra
azione e pausa.
Le caratteristiche del ritmo possono essere raggruppate in tre gruppi generali:
- i ritmi regolari, come il ticchettio dell’orologio, il camminare, il correre, i ritmi periodici, come un passo
di danza ,
- i ritmi irregolari, come le onde del mare, la propria respirazione.
Anche i giochi sportivi sono interessati dal ritmo, cioè dalla coordinazione spazio/tempo; quante volte
sentiamo dire durante una partita di calcio: ”E’ cambiato il ritmo di gioco”; oppure nello svolgimento di
una gara podistica quando un gruppo di atleti impone un ritmo: “Qualcuno non regge il ritmo e si stacca,
qualcun altro mantiene l’andatura”…
ATTIVITA’ –Attenzione al ritmo
Fai attenzione ai ritmi dei tuoi movimenti:
quando cammini, sei regolare o irregolare nei passi?
Se corri, prova diverse velocità alternativamente
Fai dieci lanci della palla contro il muro e verifica il tempo di esecuzione.
Oscilla le braccia avanti e indietro per dieci volte, poi introduci un piegamento sulle ginocchia ogni due
ripetizioni.
Durante la passeggiata, scegli un ritmo, ad esempio 5 passi in avanti e slancio di un arto inferiore, poi
altri tre passi e nuovo slancio… segui questa sequenza per cento metri.
Dopo aver coordinato i movimenti delle braccia con quelle delle gambe, prova a gestirli in modo
asimmetrico: il braccio destro fa un movimento e il sinistro un altro tipo di movimento; poi prova a
invertire: dx in alto, sin. in fuori e inverso.
A coppie, prima movimenti sincronizzati, poi diversificati: uno si piega in avanti, l’altro di lato.
Usa la palla o altri oggetti per aiutarti nella coordinazione.
P.M. Sperimentare e gestire il proprio ritmo motorio.
ATTIVITA’ - Esercizi ritmici
Ascolta per mezzo minuto il ritmo del tuo polso in diverse situazioni: a riposo sdraiato, seduto, in piedi.
Conta i battiti in ogni
posizione……………………………………………………………………………………………………………
Camminando, cerca di mantenere un’andatura costante per un tratto di 50 metri. Sai osservare un ritmo?
Incontri difficoltà?
……………………………………………………………………………………………………………………………
……….
Respira secondo i tuoi tempi, ma in modo ritmato per 10 secondi. Quante inspirazioni ed espirazioni
riesci a fare? Riposa. Poi riprendi la sequenza respiratoria più velocemente per lo stesso tempo. Riposa.
Quante sequenze riesci a fare?
……………………………………………………………………………………………………………………………
………..
Osserva il ritmo respiratoria di un animale domestico, cane o gatto. Che differenze noti con la tua
respirazione?
……………………………………………………………………………………………………………………………
…………
Esegui alcune sequenze motorie secondo queste indicazioni ritmiche:
Scegli un punto definito sul pavimento o sul terreno,
cammina 5 passi in avanti,
stop contando fino a 5,
fai 5 passi indietro, stop, fai 5 passi laterali a destra,
stop, ritorna in posizione e fai 5 passi laterali a sinistra, ritorna in posizione.
Come sei andato? Se provi a ripetere l’esercizio dopo un po’ di tempo, sei migliorato?
…………………………………………………………………………………………………………………………..
P.M. Inventare diverse sequenze ritmiche di camminata e di corsa.
2.8 La dominanza funzionale
Anche centrare gli obiettivi da raggiungere, tipo un bersaglio, coinvolge tutte le facoltà e determina la
tipologia del movimento da compiere, ad esempio lanciare, calciare, afferrare al volo.
Numerosi sono gli esercizi per verificare la dominanza funzionale di un lato del corpo e la corrispondente
lateralità. René Zazzo ha operato diverse sperimentazioni sulla lateralizzazione; la sua batteria è costituita
da semplici input che proponiamo come esercizio valido per piccoli e per grandi.
Gli esercizi di lateralizzazione rappresentano i prerequisiti per diverse tipologie di discipline sportive.
Ricordiamo, ad esempio, gli esercizi di palleggio con i piedi o con le mani nel calcio, nel volley, nel
basket e in tutti gli sport con la palla, la postura e la mira nel tiro con l’arco e nel tiro a segno. Nel nostro
caso ci preme solo far notare che spesso non abbiamo una netta dominanza laterale che può variare da
braccia, piedi, occhi.
Pensiamo a quando giochiamo a carte; se dobbiamo tenere in mano un mazzo e nel contempo afferrare le
carte sul tavolo, anche i destrimani tengono le carte con la sinistra e alzano le carte con la destra.
ATTIVITA’ - Controlla la tua lateralizzazione
Esegui questa serie di movimenti e segna quale dominanza attivi, destra o sinistra.
Incrocia le braccia. Quale metti sopra per prima?............................................
Incrocia le mani. Afferra una mano con l’altra. Quale mano sta sopra? ……………………………
Gira la testa prima da una parte, poi dall’altra. Da che parte giri per prima? …………………..
Metti il gomito su una mano. Su quale mano lo metti? ……………………………………………
Ruota la mano destra chiusa a pugno. Poi ruota la mano sinistra a pugno .Come si girano, in senso
orario o in senso antiorario?................................................................................ ......
Metti delle carte da gioco sul tavolo, mescolale, distribuiscile. Con quale mano lo
fai?....................................
Procurati un cartoncino con un foro al centro. Avvicinati con un occhio e guarda un punto. Quale usi per
primo?
……………………………………………………………………………………………………………………………
…….
Chiudi gli occhi uno dietro l’altro per alcune volte fissando un punto preciso.
Fai finta di puntare con l’arco verso un bersaglio e controlla quale occhio chiudi. Il destro o il sinistro?
……………………………………………………………………..
Fai un breve percorso saltellando su un piede a scelta. Quale piede sollevi?............................
Dai un calcio a un pezzo di legno come se fosse un pallone. Con quale piede calci?.....................
P.M. Autoverifica della dominanza funzionale per le varie parti del corpo.
2.9 L’orientamento della motivazione Gli studi sulla motivazione alla riuscita nel mondo del lavoro sono applicabili anche al mondo dello sport, poiché non riguardano solo la competitività, ma anche l’autorealizzazione in diversi ambiti della persona. La pedagogia ritiene che la motivazione alla riuscita vada sviluppata nel bambino fin dalla nascita ai tre anni tramite occasioni di indipendenza e rinforzi nei compiti competitivi. Nell’età adulta, la motivazione può non essere costante e presentare alti e bassi; cala quando si perde fiducia nelle proprie forze e nell’efficacia dei propri comportamenti. Sono motivati i campioni per le prestazioni di eccellenza, ma anche tutti coloro che desiderano cimentarsi e riuscire in un’impresa anche modesta. Per la riuscita devono essere presenti almeno due fattori: uno interno e uno esterno e cioè, da un lato, una
sicura autovalutazione delle proprie abilità e, dall’altro, la definizione di precisi valori e parametri da
superare.
In altre parole, serve la capacità di riconoscere eventuali ostacoli e la capacità di avvalersi delle risorse
messe a disposizione dall’ambiente.
Quando la motivazione ad agire è volta al raggiungimento di obiettivi esterni si dice estrinseca.
Al contrario, quando una motivazione parte da un interesse o da un piacere personale è intrinseca.
Quest’ultima risulta più efficace e più duratura e, in ultima analisi, più appagante. Rispetto alla motivazione, determinanti risultano le caratteristiche di personalità dell’atleta. Possiamo
individuare due tipologie, non necessariamente distinte.
C’è chi tiene conto principalmente di soddisfare le proprie esigenze e cerca in sé la propria soddisfazione;
chi invece considera come preminenti il ruolo e il compito che è chiamato a svolgere.
Ricercatori come Nicholls e Duda definiscono le caratteristiche degli individui secondo l’orientamento
motivazionale.
Per l’atleta orientato al sé è molto importante l’autostima; egli sceglie delle prove facili per non avere
delusioni in caso di insuccesso; se si trova con compiti troppo gravosi per lui, non s’impegna molto.
L’atleta corrispondente a questo profilo si prepara scrupolosamente perché basa la preparazione sulla
forma fisica e sulle abilità; per lui lo sport è divertente e appagante in assoluto e la sua motivazione
perdura nel tempo. Gli atleti che sono orientati al sé, pur partendo dal desiderio di competere e di ricevere
riconoscimenti positivi col conseguente status sociale, riescono se hanno fiducia nelle proprie possibilità;
riducono l’impegno se non riescono e in molti casi svalutano il compito per giustificare una loro
eventuale sconfitta.
L’atleta orientato al compito che deve svolgere (allenamento, lavoro in gara) si impegna molto, sceglie
occasioni di moderata difficoltà, non si abbatte dopo una prova andata male.
Intervengono motivazioni personali, come la sensibilità ai riconoscimenti e alla celebrità; si pensa che la
riuscita derivi principalmente dal proprio talento: venendo a mancare i successi, si demotiva; lo sport, da
divertimento, diviene un lavoro di routine.
Gli atleti orientati al compito scelgono sfide moderate per superare le quali si impegnano e continuano
anche dopo insuccessi a cercare di migliorare la prestazione.
Sono forti della loro forma fisica, delle abilità sportive e del talento naturale. Si basano quindi su una
motivazione intrinseca dell’attività sportiva che praticano. Per loro, fare sport è stimolante come impegno
personale, tendono a perfezionare le regole.
TESTIMONIANZA - A 40 anni…
Ho cominciato a correre a 40 anni. Dopo aver smesso di fumare, ero ingrassato . Per dimagrire, la
corsa è apparsa come una soluzione ottimale. Essa si conciliava con i miei impegni . Potevo farla quando
avevo del tempo libero e in un’ ora avevo un consumo calorico molto elevato; altri sport, quali il nuoto
o il ciclismo, mi avrebbero impegnato più a lungo.
Così ho scoperto la corsa , mi è piaciuta e sono diventato un running .
Uno di quelli che si vedono correre ai lati delle strade con qualsiasi tempo e nelle ore più strane .
Purtroppo, con l'aumento degli allenamenti, sono cominciati i primi problemi. Ho capito che il mio fisico
non era nato per correre . Ho scoperto che la mia falcata è anomala, sono un pronatore; il mio piede in
fase di appoggio si piega verso l'interno . Tutto il peso del mio corpo non si distribuisce sull'asse centrale
della gamba , ma si concentra nell' interno.
Questo squilibrio mi determinava un dolore nelle ginocchia che non mi permetteva di correre più di 7 /8
km.
Per mia fortuna la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante nella podologia ed esistono scarpe e
plantari anti-pronazione che, contrastando questo difetto, mi permettono di correre anche lunghe
distanze .
Risolto il problema delle ginocchia, ho cominciato a correre le gare non competitive che le domeniche si
svolgono in tutta la Romagna. Corsa dopo corsa sono arrivato a correre 21 km.
Dopo qualche anno l'idea di correre una maratona si faceva sempre più insistente. Ho cominciato a fare
dei lunghi . Corse superiori a 30 km . Nuovamente, il mio fisico mi diceva che non era nato per correre. I
crampi mi attanagliavano .
Ancora una volta la scienza è venuta in mio aiuto. Ho trovato, su libri e riviste, dei piani di allenamento
che hanno aumentato la mia resistenza e l'utilizzo di una adeguata alimentazione mi ha permesso di
risolvere anche questo intoppo.
Inoltre preparare una maratona vuol dire fare mesi e mesi di lunghi e monotoni allenamenti prima di
vedere un risultato e non è facile mantenere alte le motivazioni; dopo che è svanito l'entusiasmo iniziale,
bisogna spostare il proprio limite della fatica e tenere duro per finire i 42 km in condizioni fisiche
discrete .
Ed ecco, per l'ennesima volta , la scienza venire in mio aiuto. Il libro “Vincere con la mente” mi ha dato
esercizi di allenamento mentale che mi hanno sostenuto durante l'allenamento e durate la gara .
Ho concluso la mia prima maratona correndo e il giorno successivo ho lavorato normalmente . Se ho
potuto fare tutto questo lo devo a coloro che si applicano scientificamente alle discipline sportive. Grazie
ai loro studi, ho potuto coronare un mio sogno. Probabilmente 20 anni fa non avrei potuto farlo . Essi
hanno permesso, a uno come me, che non ha il fisico da corridore , di correre a lungo senza grosse
conseguenze .
Un giorno forse correrò anche la Firenze –Faenza, la mitica Cento chilometri del Passatore, e sarà
possibile solo grazie a loro.
ZOOM – Tipologie di atleti
Atleta orientato al compito ----- livello moderato di sfida
impegno significativo
motivazione intrinseca
grande importanza all’impegno
Atleta orientato al sé ------------- ridotta autostima
scelta di prove facili
tendenza a ridurre gli impegni
svalutazione della prova da superare
ATTIVITA’ - Faccio sport per…
Segna con una crocetta le motivazioni che condividi, aggiungi le tue motivazioni personali scrivendole
sulle righe.
Puoi ripetere il test saltuariamente e verificare gli eventuali cambiamenti nelle opinioni e nelle
motivazioni.
Faccio sport per
1 – mantenere il mio fisico integro;
2 – scaricare lo stress e le preoccupazioni;
3 – respirare aria pura;
4 – mantenermi giovane nel fisico e nello spirito;
5 – dimagrire e mantenere il peso forma;
6 – evadere dalla routine;
7 – emulare i campioni;
8 – scoprire nuovi paesaggi;
9 – stare per conto mio a pensare ai fatti miei;
10 – uscire in compagnia di amici;
11 – curare la mia immagine;
12 – spirito agonistico;
13 – misurare i miei limiti e superarli;
14 – avere obiettivi da raggiungere;
15 – per la mia salute in generale;
16 – divertirmi;
17 – superare i compagni;
18 – muovermi, essere attivo;
19 – provare nuove sensazioni;
20 - stare con me stesso.
………………………………………………………………
………………………………………………………………
………………………………………………………………
………………………………………………………………
………………………………………………………………
TESTIMONIANZA – Spensieratezza
Che divertimento assistere alle canzonature scherzose dei ciclisti prima di una gara!
Ritornano come i bambini nei giochi liberi e antichi, (quelli dei cortili, dei campetti ) che ormai non si
permettono più ai bambini di oggi.
Riflettono momenti di pura spensieratezza :
attese e aspettative condivise,
scambio giocoso di ruoli,
chi si pavoneggia, chi si atteggia a falsa modestia,
proiezione pseudo scherzosa di emozioni e di ansie,
dire e non dire, alludere,
bonaria presa in giro,
provocazioni amichevoli (ma non si sa!),
sfide all’ultimo centimetro…
Tutto questo e altro nei dialoghi pre-gara di “grandi” che si calano per un attimo fuori dal loro tempo…
Che meraviglia!
Chi non lo prova, chi non lo capisce, si perde tanto e mortifica uno degli aspetti vitali e simbolici
dell’essere persona.
.
TESTIMONIANZA – Due atleti a confronto
“ All’inizio della mia carriera sportiva, forse a farmi fare tanti sacrifici (come a trattenermi dal
mangiare) era la voglia di battere gli altri, anche i miei compagni di squadra, per risultare migliore di
loro.
Ero contento quando andavo bene, perché mio padre mi spronava, facevo sacrifici per portarmi ad
allenare.
Dicevano tutti che “avevo dei numeri” per riuscire, e questo mi faceva inorgoglire.
Pian piano però, i successi erano sempre più scarsi, facevo fatica a reggere la tensione… così senza
accorgermi mi sono demoralizzato.
Non ho più voglia di allenarmi, trovo tutte le scuse per stare sul campo meno che si può…
Ormai il mio sport è diventato un lavoro.”
“ A me piace molto fare sport, anche se avverto sempre di più la fatica. So che devo impegnarmi molto
per riuscire a rimanere in forma. C’è chi va avanti perché ha un talento innato; anch’io ho una buona
base, ma se voglio essere in squadra so che devo lavorare non molto, moltissimo!
Ora sto provando e riprovando alcuni esercizi di una nuova tecnica di allenamento per migliorare.
Quando domenica scorsa sono uscito dal campo, ero soddisfatto: ho lavorato per i compagni e per la
squadra
Ancora oggi, al termine della carriera, mi diverto nel mio sport, mi realizzo, perché lo trovo stimolante e
interessante. Non potrei farne a meno, mi piace…”
ATTIVITA’ - Rapporto motivazione/sport praticato
Sottolinea lo sport che pratichi oppure, se non è in elenco, scrivilo tu a fianco delle discipline sportive
già elencate.
Poi riporta nel profilo personale le motivazioni che credi corrispondenti. Completa.
Esempio. Sport praticato: ciclismo.
Profilo: Desiderio di mettersi alla prova, sopportazione della sofferenza…
SPORT PRATICATO MOTIVAZIONI PSICOLOGICHE
Sport individuali Individualismo, ……………………
Sport di squadra Bisogno di affiliazione, ……………
Lotta, pugilato, football americano Aggressività, ………………………
…………………………………… ………………………………………
Paracadutismo, automobilismo, Sfida del pericolo, …………………
…………………………………… ………………………………………
Body building, ginnastica artistica Narcisismo, ...............................
..................................................... ..................................................
Sci di fondo, maratona, marcia, Sopportazione della fatica,
………………………………..… …………………………………….
Altri sport: …………………….… …………………………………….
…………………………………… ……………………………………
P.M. Per creare un profilo personale.
CAP.3 IL PERCORSO DI AUTOREALIZZAZIONE
“Coraggio! Disse il topo padre, e si sentì svenire mentre lui e il figlio si separavano.
Ripresero i sensi per scoprire che stavano camminando,
con le molle dentro di loro che ronzavano e ticchettavano
mentre svolgevano e riavvolgevano le loro spirali.
Erano giunti all’auto-caricamento, in modo da poter camminare da soli…”
(Russel Hoban, Il topo e suo figlio)
3.1 Il temperamento e il carattere
Il percorso di autorealizzazione inizia dalla nascita di un bambino, favorito da un processo intrinseco di
sviluppo della natura umana e dalle sollecitazioni familiari e sociali che lo circondano.
Nel passato, i criteri di educazione “di moda” ponevano obiettivi tesi a formare dei bambini (e quindi
delle persone) con caratteristiche precostituite e predeterminate; lungo i secoli siamo passati dalla
severità e autorità con rigide regole per ogni momento e ogni età del bambino, alle teorie influenzate dalla
psicoanalisi che suggerivano ai genitori di non essere troppo rigidi per non creare frustrazioni, ma al
contrario di rapportarsi con essi con dolcezza e permissività.
E’ poi seguita l’indicazione di non concedere sempre tutto ai bambini, per giungere a un equilibrio fra
imporre severità e dare comprensione e disponibilità, fra frustrazione e gratificazione.
In realtà, la spinta all’autorealizzazione è talmente forte che, al di là dei metodi educativi e del dosaggio
di gratificazioni e di frustrazioni, ogni individuo ricerca un completo sviluppo delle proprie potenzialità:
egli deve essere colui che può essere!
Le differenze individuali sono riscontrabili nel temperamento dell’individuo, nel carattere, nei tratti di
personalità.
Una possibile classificazione degli individui si basa sulle caratteristiche comuni a un certo numero di
soggetti e al modello ideale astratto a partire da queste caratteristiche.
Dal concetto di temperamento, che sottintende una matrice fisiologica dell’indole, si passa al concetto di
carattere di connotazione psicologica.
Il carattere di una persona è definito come la manifestazione permanente di aspetti del suo
comportamento; il termine deriva dal greco e significa letteralmente “incisione”; possiamo dire che è
determinato dal complesso di qualità psicologiche che tratteggiano l’indole di una persona. Rappresenta
un’evoluzione dal concetto di temperamento e di costituzione legati alla concezione biologica
dell’individuo.
Come per gli altri concetti, diverse sono state le impostazioni di studio che si sono susseguite fino a
giungere all’impostazione psicoanalitica dei freudiani, per i quali i processi di introiezione e di
identificazione sono decisivi per la formazione del carattere. Anche questa impostazione si è evoluta nel
tempo, chiamando in causa le richieste della società all’individuo tramite i modelli educativi.
ZOOM – La teoria biogenetica
La teoria bioenergetica di Lowen si basa sul concetto di “armatura caratteriale” di Reich che abbina
sette tipi di carattere a corrispondenti strutture corporee.
Il carattere delle persone risente delle regole sociali che mortificano le pulsioni cristallizzandosi
appunto in espressioni rigide e modi di essere non più modificabili.
Ecco formarsi l’armatura muscolare, che si manifesta con posture e rigidità della muscolatura corporea.
Da queste premesse si sviluppa l’interesse per il tema del rapporto corpo-mente; infatti la teoria e il
metodo della bioenergetica si basano sul concetto del “sé corporeo come luogo di interazione dinamica
tra somatico e mentale”.
Mediante l’attenzione alla respirazione, alle sensazioni e al movimento, si favorisce il flusso dell’energia
corporea utilizzando i meccanismi di carica e scarica energetica; non reprimere, ma liberare e
riutilizzare l’energia per il benessere psico-corporeo in modo da formare un carattere flessibile e non
prefissato.
ATTIVITA’ – Posizione Grounding
Mettiti in posizione eretta, con i piedi ben piantati per terra.
Senti il contatto con tutto il tuo corpo.
Immagina che i tuoi piedi e le tue gambe abbiano le radici.
Sposta i pensieri dalla mente al contatto dei piedi con il terreno.
Inizia a piegare le ginocchia lentamente, respirando in collegamento con il movimento.
Poi estendi le gambe, sempre lentamente e ascoltando le sensazioni che percepisci.
Ascoltati: come senti le gambe?............................................................................
Come percepisci il contatto dei piedi per terra?...................................................
Sposta il peso del corpo su un piede e resta a lungo, almeno un minuto.
Quali sensazioni?..............................................................................................
Cambia posizione: peso sull’altro piede e resta.
Alterna l’esercizio per alcune volte.
Avverti delle vibrazioni che salgono lungo il corpo?.......................................
Da questa base, puoi eseguire altri esercizi.
Fai scendere adagio il tuo corpo verso il basso in avanti.
La colonna vertebrale si stende e si allunga.
Tieni le ginocchia un po’ piegate alternando le contrazioni alle estensioni.
Respira a fondo accompagnando il movimento delle ginocchia.
Senti le gambe che vibrano.
(Esercizi base bioenergetica)
3.2 Tipologie di comportamenti
E’ interessante rilevare i modi tipici di comportamento di una persona, le sue reazioni agli eventi, le
modalità emozionali. Di fronte a uno stesso problema, sia di natura fisica, sentimentale, pratica, teorica, le
persone si rapportano in maniere diverse fra loro, ma mantengono nel tempo le stesse modalità di
reazione individuale, presentando aspetti caratteriali abbastanza costanti.
Un excursus sulle varie teorie al riguardo dimostra come l’argomento sia stato dibattuto nel tempo.
Secondo il criterio somatico costituzionale, il temperamento (dal latino temperies = umore) dipende dalla
costituzione fisiologica e costituzionale. Per Ippocrate e Galeno l’indole dell’individuo dipende
dall’umore prevalente, per cui abbiamo la classica suddivisione in quattro tipi:
- il tipo sanguigno,
- il tipo flemmatico,
- il tipo collerico,
- il tipo melanconico.
L’evoluzione del concetto di temperamento porta in primo piano l’atteggiamento, nel senso di
disposizione relativamente costante di risposta alle situazioni, in base a esperienze precedenti.
La psicologia sociale distingue atteggiamenti verbali o comportamentali, permanenti o transitori,
conformi o difformi dal gruppo di appartenenza.
ZOOM – Teorie sul temperamento.
Sviluppi in questo filone sono dati da Kretschmer, che si basa sulle ghiandole endocrine e il
metabolismo, da Scheldon, che fa derivare la tipologia del temperamento dal sistema morfologico:
cerebrotonico, somatotonico, viscerotonico, da Pende che considera il difetto o l’eccesso delle ghiandole
endocrine, Rostand e Sigaud che distinguono il tipo cerebrale, muscolare, respiratorio.
Un criterio psicologico introdotto da.Jung fa derivare il temperamento dagli atteggiamenti (orientati
all’introversione o all’estroversione) e dalle funzioni (pensiero, sentimento, sensazione, intuizione),
Il criterio fenomenologico-intuitivo delle scienze e dello spirito evidenziato da Schiller distingue
l’atteggiamento spontaneo e l’atteggiamento sentimentale, mentre Nietzsche distingue tra tipo apollineo e
dionisiaco.
Jaspers riprende lo schema di Dilthy e parla di atteggiamento oggettivo, autoriflessivo ed entusiastico a
cui corrisponde un’immagine del mondo spazio-sensoriale, psichico-culturale, idealistico-libertario.
ATTIVITA’- Sei globale o analitico?
Un concetto da sviluppare anche in campo sportivo è la distinzione tra tipi globali o analitici
(naturalmente esistono i
tipi misti). I soggetti “globali” tendono a una visione che procede dalla totalità al particolare, mentre gli
“analitici” tendono a considerare gli aspetti particolari di una realtà e quindi alla frammentazione
percettiva.
Alcune prove sono semplici.
Che cosa noti di un ambiente?
Siamo in una stanza piena di oggetti e di colori, può essere una sala d’aspetto, la camera di un amico,
una cucina, il salotto.
Osserva ogni angolo della stanza con attenzione, poi chiudi gli occhi e ripensa agli oggetti e ai colori che
ti hanno colpito.
Apri gli occhi e cerca di ricordare senza guardare la stanza.
Elenca tutti gli oggetti di colore rosso che ricordi di avere visto.
Ora riguarda in giro. Quanti oggetti di colore rosso hai
ricordato?........................................................................
Verifica quanti non ne avevi notati; puoi valutare la tua capacità di osservazione analitica.
Ora dai uno sguardo d’insieme.
Quali colori hai notato?
Chiudi ancora gli occhi e percorri con la mente la stanza.
Riapri gli occhi, senza più guardare in giro. Pensaci prima di rispondere!
Quali sono i colori che ti ricordi come predominanti? Quanti oggetti per ogni
colore?....................................................................................
Verifica!
ATTIVITA’ – Sei introverso o estroverso?
Leggi la serie di domande e rispondi Sì o No. Serve per conoscerti meglio: se sono più i Sì tendi a essere
introverso; al contrario, se sono più i no sei estroverso.
1 – Se voglio rilassarmi, preferisco stare da solo?
2 – Quando lavoro a un progetto, preferisco dividerlo a piccole tappe piuttosto che continuare a lungo.
3 – In compagnia, preferisco ascoltare gli altri e non parlare di me.
4 – L’immagine che gli altri hanno di me è che sono riservato, impassibile, distante.
5 – Quando c’è un anniversario (es. compleanno), preferisco festeggiare con pochi intimi e non fare una
festa allargata.
6 – Prima di rispondere a una domanda, ho bisogno di riflettere.
7 – Sono molto attento a cogliere particolari in una situazione
8 – Se assisto a un litigio fra due persone, avverto la tensione.
9 – Se prometto una cosa, la mantengo a tutti i costi.
10 – Le scadenze mi mandano in tilt.
11 – Quando ho troppe cose da fare, riesco a staccare mentalmente.
12 – Se mi invitano a partecipare, ci penso su prima di decidere.
13 – Ho delle relazioni durature.
14 – Quando parlo con qualcuno, non gradisco essere interrotto.
15 – Troppe informazioni mi confondono.
16 – Non capisco perché a tanti non piacciono i film dell’orrore o le montagne russe.
17 – Percepisco intensamente le condizioni atmosferiche.
18 – Ho molta fantasia e creatività.
20 – Dopo un’occasione sociale, mi sento esausto.
21 – Preferisco essere presentato, non presentare io gli altri.
22 - Se devo occuparmi a lungo di qualcosa, sono di cattivo umore.
23 – Gli ambienti estranei mi creano disagio.
24 – Ho piacere se qualcuno viene a trovarmi, a condizione che non si fermi a lungo.
25 – Se devo richiamare qualcuno sono preoccupato.
26 – Se devo dire qualcosa senza preavviso, mi sento la testa vuota.
27 – A volte le mie frasi sono senza senso.
28 – Non tratto i conoscenti come i miei amici.
29 – Non mi piace mostrare quello che sto facendo a metà dell’opera.
30 – Se ricevo dei complimenti sulla mia intelligenza, sono sorpreso.
3.3 I tratti di personalità
Temperamento, costituzione, carattere convergono nel concetto di personalità.
Secondo la teoria cognitivista, un tratto caratteristico della personalità è il tratto d’ansia. Eysenck ritiene
che gli introversi abbiano un’attivazione corticale maggiore rispetto agli estroversi e che gli individui non
dipendenti dal campo possano essere meno soggetti a percezioni distorte e imprecise. Eysenck propone un
esempio: se paragoniamo l’attenzione a un raggio di luce, gli individui con un alto tratto d’ansia hanno un
raggio di conoscenza più ristretto e anche più mobile, meno stabile rispetto ad altri.
La personalità di un soggetto è data da una somma di comportamenti sociali, uniti a qualità intrinseche di
ogni individuo.
Oltre ai tratti di carattere ereditario, registriamo quindi anche comportamenti variabili in situazioni
diverse, sotto la spinta emotiva del momento.
Il concetto di personalità ci riporta all’insieme delle caratteristiche psichiche e comportamentali che
determinano l’originalità di ogni individuo.
Infatti, gli indicatori di personalità presentano una costanza di andamento pur nelle situazioni diverse e
nella molteplicità dei casi.
Vengono individuate le caratteristiche della personalità e gli eventuali disturbi, classificati in base alle
varie teorie.
In questa sede, interessa approfondire il concetto di personalità disturbata, e cioè di tutti i casi in cui:
- il soggetto percepisce in modo distorto se stesso, gli altri, gli eventi;
- presenta una variabilità notevole nell’affettività, o un’eccessiva intensità o inadeguatezza;
- presenta evidenti problemi nei rapporti personali;
- si pone traguardi non importanti o al di fuori delle proprie possibilità;
- soggiace a impulsi che non riesce a controllare con la razionalità e quindi viene a trovarsi in balia di
spinte alienanti.
3.4 Le componenti e i disturbi di personalità
In un vecchio studio sulla mente, ma sempre attuale, la psicologa Muriel Beadle avverte:” Il 50%
dell’intelligenza di un ragazzo di 17 anni si sviluppa tra il concepimento e i tre-quattro anni e il 33% entro
i sei anni”.
Possiamo pensare che l’evoluzione dei ritmi dell’odierna società restringa maggiormente il target. Non
sempre genitori ed educatori tengono conto di tale realtà. Se poi allarghiamo il concetto alla formazione
della personalità, comprendiamo quanto importanti sia i primi anni di vita per il successivo sviluppo.
Con il termine “personalità” la studiosa intende il complesso delle caratteristiche individuali e specifiche
di un soggetto, che viene identificato come una persona distinta dalle altre. Ognuno manifesta in modo
originale i propri sentimenti affettivi, cioè le emozioni, i valori, gli atteggiamenti, le percezioni coscienti
in quanto conoscenza dei vari aspetti della realtà con la quale si entra in azione.
La personalità si analizza quindi evidenziando la differenza fra individuo e individuo; oppure si studia
costruendo dei modelli a cui fare riferimento, comprendendo anche la presenza di personalità miste.
Vediamo che alcuni tratti personali possono essere presenti nella situazione dell’atleta in modo da
definire un profilo.
Troviamo il soggetto ansioso che può rispondere a eventi stressanti con la paura, in modo evitante o in
modo dipendente.
Nel primo caso non reagisce positivamente alle critiche poiché si sente molto ferito; ha una bassa
autostima di sé, teme di essere criticato e ridicolizzato, rifiutato, disapprovato nelle scelte; ha paura di
deludere le persone intorno a lui, pertanto evita di manifestare i propri pensieri e di intraprendere contatti
interpersonali per non incorrere in delusioni: attiva così un comportamento di tipo evitante.
Ma possiamo anche riscontrare, nell’ansioso, un comportamento di tipo dipendente, che tende alla
passività. E’ dubbioso, non prende decisioni, si ritiene non adeguato a risolvere le situazioni e deve
ricorrere all’aiuto e ai consigli di altri, più anziani o più autorevoli di lui per orientarsi o per assoggettarsi
allo status quo. Manifesta un grande bisogno di protezione, per mantenere la quale si mostra sottomesso e
in preda al terrore di perdita e di separazione. In campo affettivo, spesso passa da una relazione all’altra,
perché deve sempre soddisfare il bisogno di essere accudito e accolto nella sfera intima altrui.
Non di rado i due comportamenti si manifestano, alternativamente, nella stessa persona.
ATTIVITA’ – Un decalogo antiansia
Questo è un esempio che serve per affrontare i momenti di ansia.
Tu puoi costruire il tuo su misura per le tue esigenze.
1 - Elimina i tempi passato, futuro, condizionale.
2 - Respira profondamente a occhi chiusi.
3 - Rientra nel presente, nella tua situazione attuale, chiamandoti per nome.
4 - Non angosciarti per situazioni immaginarie o di altri.
5 - Non pensare: ”Se capitasse a me…”
6 - Non provare sensi di colpa.
7 - Non riempire troppo “la pentola”.
8 - Mai buttarsi giù da soli, ci pensano gli altri.
9 - Torna al contatto con la natura.
10 - Torna al contatto con i sentimenti profondi.
P.M. Per il controllo di stati d’ansia.
3.5 Grandiosità ed emotività
Fra i tipi di personalità, troviamo anche quello caratterizzato da un sentimento di grandiosità, di desiderio
di ammirazione, di eccessiva autostima nelle proprie capacità, spesso accompagnata da svalutazione dei
meriti degli altri. Questi soggetti non riconoscono le esigenze altrui se non combaciano con le proprie; il
loro tratto più caratteristico è il narcisismo.
Un’ altra tipologia di personalità presenta un soggetto caratterizzato da un’eccessiva emotività, alternante
fra esaltazione ed entusiasmo da un lato e depressione e isolamento dall’altro. E’ il tipico istrione,
brillante e invadente, ma fortemente suggestionabile dagli eventi negativi, dall’indifferenza da parte delle
persone che sono intorno a lui, dal timore dell’anonimato; è quindi molto influenzabile dalle opinioni
degli altri, dall’ultimo che parla con lui o dal più influente.
Troviamo anche la descrizione del soggetto dominato da una generica instabilità di relazioni. Avendo
bisogno di approvazione e affetto, idealizza all’eccesso la persona che lo accudisce fisicamente e
affettivamente, prova attrazioni improvvise, ma ben presto passa alla svalutazione della stessa perché è
instabile, come instabile è l’immagine di sé. Cambia con facilità obiettivi, comportamenti, valori,
motivazioni. Possiede una personalità borderline, marginale fra una categoria e l’altra, pur assumendone
alternativamente alcune caratteristiche.
Il tipo di società povera di ideali e prettamente materialistica, che valorizza e incentiva il successo
personale “a tutti i costi”, può portare a scelte penalizzanti per l’integrità individuale.
E’ facile anche riscontrare un fenomeno di reversibilità di causa-effetto: è indubbio che nel giovane atleta
che viene a trovarsi in questi frangenti può instaurarsi qualcuno dei disturbi di personalità, riconducibili al
narcisismo, al rapporto di dipendenza verso l’autorità, alla reazione alla fatica e al dolore, all’ossessiva
adesione ai modelli, alla ricerca del miglioramento dello status socio-economico.
ZOOM – Teorie della personalità
Lo studio della personalità ha inizio nel campo della psicologia clinica, della professione medica, in
particolare dei disturbi mentali. L’altro ambito è quello della psicologia sperimentale, dell’osservazione
scientifica che si basa su esperimenti, prove percettive, esami di laboratorio.
Possiamo richiamare i grandi pensatori della personalità, di cui diamo alcuni spunti che possono essere
approfonditi. Sigmund Freud struttura la personalità in tre istanze distinte ma comunicanti e interagenti:
l’Es, sede delle pulsioni innate e dei bisogni primari, il Super-io, sede della coscienza morale, l’Io, che
media tra inconscio e realtà.
Per Gustav Jung, lo studio della personalità si avvale della simbologia e descrive gli archètipi, cioè la
rappresentazione simbolica delle esperienze dell’umanità fin dai primordi, e l’inconscio collettivo,
rappresentato da tali esperienze.
Melanie Klein si occupa dello sviluppo affettivo del bambino e del rapporto importantissimo madre-
figlio.
Anna Freud approfondisce lo studio dell’Io, delle dinamiche di adattamento e di difesa.
Altri studiosi, come Adler, Fromm, Erikson spostano l’attenzione sui rapporti sociali e familiari.
Un altro filone di studi fa capo a Carl Rogers con la sua Teoria del Sé che afferma che ciascuno si
percepisce in rapporto alle esperienze.
3.6 La personalità dell’atleta
Ci soffermiamo sull’ambito relativo alla personalità e ai disturbi in campo mentale, cognitivo e affettivo
che nello sport determinano problemi di rendimento.
Se dovessimo tracciare un identikit di un atleta nel pieno delle sue facoltà fisiche e psichiche, tali da
garantire un rendimento al massimo della sua potenzialità, descriveremmo le seguenti qualità:
- l’integrità dell’io, la stabilità affettiva ed emozionale;
- la gestione positiva delle motivazioni allo sport, quali l’autorealizzazione, l’avventura, l’esplorazione, la
creatività, la fantasia, il bisogno di movimento, l’aggressività, la socialità...;
- la condizione di sicurezza e di potenza, il senso di efficacia e di fiducia nelle proprie possibilità;
- la lucidità mentale, la corretta percezione della propria condizione e della realtà, la costante “presenza in
sé”;
- la decisionalità, la volontà, la concentrazione, l’attenzione, la determinazione, l’ottimismo.
Il rendimento è assicurato quando il rapporto tra le forze spese per ottenere un risultato e l’esito delle
proprie azioni è in attivo per il risultato.
Infatti il livello di rendimento è dato dall’efficienza e dalla produttività delle azioni, sia sotto il profilo
quantitativo, sia sotto il profilo qualitativo.
Interessante ricordare che sul rendimento di un atleta agisce l’effetto “di riscaldamento” in quanto più alta
è la frequenza delle occasioni di allenamento e di gara, più si rende; quando invece l’atleta si ferma per
qualche motivo (infortunio o squalifica) si ha una “perdita di riscaldamento” e quindi un rendimento
inferiore.
I disturbi mentali, cognitivi e affettivi si riflettono pesantemente sulla funzionalità della persona in attività
fisica; in campo sportivo, si sviluppa un senso di inefficacia, di inferiorità, di insicurezza e precarietà, di
confusione mentale tali da mortificare il potenziale di resa atletica.
In tale contesto rientrano le facoltà mentali compromesse da tutte le circostanze e i comportamenti che
alterano l’equilibrio psicofisico che danneggiano il buon funzionamento dell’attività sportiva, provocando
disturbi di personalità spesso irreversibili.
Le più comuni manifestazioni abbinate a un disturbo di personalità sono:
1 – l’instabilità, la labilità umorale e affettiva, l’apatia, l’indifferenza;
2 - il senso di inferiorità, di insicurezza e precarietà, di impotenza, di inadeguatezza al ruolo, il sentimento
di inefficacia;
3 – l’incapacità di controllare gli impulsi e differire gli stimoli al momento opportuno;
4 – la confusione mentale, la ridotta percezione della realtà, la depersonalizzazione e l’alienazione da sé,
la crisi di identità;
5 – il conflitto tra autonomia e indipendenza.
3.7 Instabilità affettiva
L’ambito dei sentimenti e delle emozioni non è un settore della personalità avulso dalle altre componenti,
ma è sempre in relazione con gli aspetti della conoscenza e dell’intelletto e con la sfera motoria.
Inoltre, l’affettività è elemento determinante nei processi di crescita e di maturazione, dalla prima infanzia
nel rapporto bambino-madre, fino all’adolescenza, alla giovinezza e alla maturità.
L’incapacità di esprimere affetti può trasformarsi in blocco affettivo e in pratiche di ambivalenza
sentimentale del tipo “ora ti voglio, ora non ti voglio”.
Un atteggiamento instabile nei rapporti affettivi è proprio di un soggetto facilmente impressionabile,
succube di condizionamenti esterni a cui non sa reagire o opporsi con fermezza.
La sua caratteristica principale è un comportamento discontinuo e si manifesta con scarsa capacità di
controllare i sentimenti (piange senza motivo, si commuove sempre, indulge a eccessi di ira...).
Lo vediamo nelle reazioni immediate agli stimoli negativi: il ciclista che scaglia la bicicletta nel fosso in
caso di foratura, il tennista che spezza la racchetta per sfogare la sua delusione, la mancanza di
padronanza di movimento, gli stati agitatori, l’esaltazione esagerata.
Il soggetto tiene comportamenti contrastanti, non si sa mai come la pensa o che cosa farà, perché è
volubile, caotico, disordinato, scombinato, non sa stare in gruppo o tenere relazioni stabili con le persone,
non solo nello sport, ma anche nella sfera intima.
Un aspetto dell’instabilità di carattere è anche la labilità affettiva, per cui il soggetto non sa conservare a
lungo un amore o un’amicizia.
Anche lo stato di apatia (assenza di pathos) rientra nelle manifestazioni dei sentimenti. Il termine,
introdotto dagli antichi Stoici, indica serenità d’animo e indipendenza dalle passioni, stato di insensibilità
verso gli affetti e di indifferenza per ciò che normalmente dovrebbe suscitare emozioni.
L’indifferenza esprime la mancanza di interesse e di partecipazione emotiva; l’apatia si forma nelle
situazioni frustranti, negli stati d’ansia, nei casi di deprivazione sensoriale, in ambienti monotoni.
Oltre che di natura psichica, l’affettività è costituita da fattori di natura fisiologica, cioè di reazioni
riguardanti il Sistema Nervoso e il Sistema Endocrino: le palpitazioni, i rossori, la funzionalità sessuale
sono emozioni espresse a livello organico.
ZOOM – Il sistema nervoso autonomo
Il sistema nervoso autonomo o vegetativo regola le funzioni vitali di base; è controllato dall’ipotalamo;
si divide in parasimpatico e simpatico. Nel primo è importante il nervo vago che è come un pace-maker
naturale posto all’interno del cuore e che ha la funzione di mantenere basso il battito cardiaco.
I maratoneti, ad esempio, hanno un battito cardiaco a riposo molto basso (anche 35 bpm).
Il sistema simpatico è definito così perché agisce in “simpatia” con le emozioni (dal greco, che sente
all'unisono, consensuale). In associazione con rabbia e paura, il sistema nervoso simpatico prepara il
corpo alla fuga e all'attacco, produce l'ansia come stimolo difensivo preparatorio ad eventi stressanti. Il
ritmo cardiaco aumenta, le pupille si dilatano e la cute è sudata. Il sangue viene deviato dalla cute
all'intestino e diretto verso i muscoli scheletrici; gli sfinteri del tratto gastro-enterico ed urinari
rimangono chiusi.
Il sistema nervoso simpatico è responsabile, tra l’altro, anche della dilatazione bronchiale, della
tachicardia, dell'aumento della pressione arteriosa, della dilatazione delle arterie e delle coronarie, della
contrazione dei vasi
sanguigni periferici, della produzione di saliva ricca di muco e della produzione di adrenalina da parte
della ghiandola surrenale.
ZOOM - Azioni del sistema nervoso autonomo
Struttura corporea Stimolazione simpatico Stimolazione parasimpatico
Occhio (iride) Dilatazione della pupilla Costrizione della pupilla
Ghiandole salivari Riduzione della salivazione Aumento della salivazione
Mucosa orale Riduzione della produzione di muco Aumento della produzione di muco
Cuore Aumento dei battiti e della
contrazione
Diminuzione dei battiti e della
contrazione
Polmoni Rilassamento dei bronchi Contrazione muscolatura liscia
bronchiale
Stomaco Riduzione della motilità Secrezione succhi gastrici e aumento
motilità
Intestino tenue Riduzione della peristalsi Aumento dei processi digestivi
Intestino crasso Riduzione della motilità Aumento della secrezione e motilità
Fegato Aumentata glicogenolisi
Rene Diminuzione della diuresi Aumento della diuresi
Midollare del surrene Secrezione di Adrenalina e
Noradrenalina
Vescica Rilassamento della parete e chiusura
dello sfintere
Contrazione della parete e rilasciamento dello sfintere
3.8 Sentimento di inferiorità
Spesso l’atleta può provare un senso di inadeguatezza che, come un serpente che si morde la coda,
provoca il sentimento di inferiorità.
Secondo Adler (fondatore della psicologia individuale), il sentimento di inferiorità coinvolge tutta la
personalità e trova sinonimi nell’ambito della disistima.
Il mancato riconoscimento del proprio valore, il rifiuto, l’offesa al proprio narcisismo nelle relazioni di
ogni tipo, di coppia, di lavoro, di sport, di tempo libero, portano a conflitti che minano la serenità; i
giudizi negativi di altri vengono interiorizzati e ricondotti all’immagine di sé negata.
Nasce un sentimento di insufficienza personale, abbinato a una sgradevole sensazione di inutilità,
provocando condotte in diverse direzioni.
Una si manifesta con la reazione di aggressività verso la persona o l’evento che provoca il sentimento di
inferiorità: si reagisce cercando di sopraffare, umiliare, disprezzare.
L’altra reazione, di segno opposto, è il rifugio nell’intimità, nel tentativo di nascondersi, nella
depressione. Poiché non si vuole manifestare apertamente l’insicurezza, si adotta un contegno
apparentemente sicuro, si cercano status symbol e surrogati per sopperire alla sgradevole sensazione di
precarietà.
Si arriva quindi a cercare una compensazione delle ferite alla stima di sé; può succedere che si esageri,
vivendo “al di sopra delle righe”.
Quindi sottomissione e impotenza sono due aspetti dello stesso problema: dal senso di inferiorità alla
compensazione con atteggiamenti di rivalsa e con l’eventualità che si instauri una nevrosi.
Il dubbio nelle proprie capacità si trasferisce come ansia di stato anche nelle condizioni di vita quotidiana
oltre lo sport. Si instaura un regime di tendenza alla subordinazione, un senso di impotenza e di angoscia,
una ferita grave al proprio narcisismo, un esagerato senso di onnipotenza con relativo distacco dalla
realtà.
3.9 Il senso di autoefficacia
Tutto ciò che facciamo, come interpretiamo le nostre azioni, il senso di competenza e il controllo
personale sono elementi che influiscono sul nostro comportamento e sullo stato di salute.
Si verifica il legame stretto fra mente e corpo. La mente aiuta il corpo a recuperare, il corpo libera nuove
energie per migliorare lo stato di salute fisica e mentale.
A ciò dobbiamo aggiungere la fiducia nelle personali capacità; questo sentimento instaura una reazione
circolare: la fiducia porta a risultati positivi e questi a loro volta accrescono la fiducia in sé.
Tali esperienze creano un’aspettativa di auto-efficienza, cioè di convinzione di poter fronteggiare stati di
ansia e di scoraggiamento con i propri mezzi.
E’ stato Bandura, uno psicologo di origine canadese, a sviluppare il concetto che ogni persona è in grado
di rappresentare l’esperienza, di prendere decisioni, di pianificare la condotta. “L’autoefficacia è la
capacità di saper gestire diverse situazioni della vita quotidiana”.
Questa capacità non rimane a livello inconscio, ma è percepita coscientemente dalla nostra mente
attraverso i meccanismi di autoregolazione e autoriflessione.
L’obiettivo è divenire sicuri della propria auto-efficacia, oltre che nello sport, anche nello studio, nel
lavoro, nella vita affettiva.
L’auto-efficacia percepita aiuta in fase di preparazione e di allenamento e soprattutto nelle gare, per
rafforzare le motivazioni, per scegliere le strategie migliori, per dosare gli sforzi, per raggiungere con
sicurezza un risultato.
L’auto-efficacia si insegna e si impara con alcune condizioni di base.
Il cammino iniziale, più volte delineato, richiede alcune “azioni consapevoli”:
- conoscere i propri punti di forza e di debolezza e puntare sui primi;
- analizzare la prova da sostenere (che può essere una gara specifica o, più in generale, la scelta di fare lo
sport);
- riflettere sulle esperienze di altri.
In secondo luogo, è utile individuare modelli positivi a cui fare riferimento e confrontarsi con altri sulle
proprie convinzioni.
Infine è utile dedicarsi a esperienze concrete del “saper fare”, riflettere su un successo ottenuto perché ci
si credeva, sviluppare sempre più il senso di sicurezza e di adeguatezza con procedure di autostima.
Per realizzare proficuamente tutto questo iter è indispensabile la guida di una professionalità “educante”;
non sono sufficienti, per quanto preziosi, consigli di campioni, di appassionati, di operatori a vario livello
impegnati nello sport.
3.10 Mancata percezione di efficacia
Sosteniamo che determinante per la riuscita in campo sportivo è la percezione sicura della propria
efficacia (self efficacy) che dà sicurezza, motivazione, appagamento.
Il concetto di autoefficacia percepita va oltre, comprende anche la convinzione di essere arbitri del
proprio destino e la sensazione di riuscire a costruire autonomamente la propria efficienza; infatti, riuscire
in un progetto, offre quel qualcosa in più che fa la differenza nel risultato finale.
Lo sport è il terreno ideale per la verifica sul campo. Sappiamo di atleti che, pur essendo al pari di altri
per le doti innate e il talento, pur allenandosi con costanza come i compagni, tuttavia non ottengono gli
stessi risultati rispetto a quelli che invece sono forti mentalmente e sono persuasi di poter vincere la
prova.
Non solo, la ferma convinzione di “potercela fare” comporta una maggiore resistenza al dolore e alla
fatica.
Quindi è necessario sviluppare la capacità di mantenere il controllo su se stessi, sul proprio organismo e
sull’ambiente attraverso una mente lucida, capace di anticipare le conseguenze delle azioni, di
trasformare, di adattare se stessi e il proprio comportamento, di regolare le emozioni.
La scarsa percezione di autoefficacia determina la condizione di non essere in grado di dominare il
normale flusso degli eventi, di ritrovarsi inadeguati di fronte alla realtà e più vulnerabili alle frustrazioni,
di subire maggiormente i colpi derivati da insuccessi e malasorte.
Si sopporta sempre meno il dolore, si paga sempre qualcosa in salute, in termini di ansia e depressione;
avvertire la sofferenza è importante, soffocarla porta al vuoto interiore, situazione che ben presto diviene
cronica; inoltre, se non si avverte per tempo un problema che può essere serio, lo si sottovaluta e non gli
si pone riparo.
3.11 Il principio di realtà
Un approfondito discorso va riservato al concetto di realtà nelle sue molteplici accezioni.
La realtà interna di ciascuno è un complesso globale fatto di pensieri, fantasie, immagini, sentimenti e
desideri che per ogni individuo sono concreti e veri.
Una volta accettata la realtà psichica, l’individuo rivolge l’attenzione alla realtà esterna, costituita da
persone, oggetti, situazioni a se stanti, che comunque interagiscono con la propria interiorità.
Uno stadio della formazione della personalità è la regolazione dell’attività psichica, che si fonda su due
principi: il principio di piacere e il principio di realtà.
Il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà comporta la consapevolezza che, se si possono
soddisfare le pulsioni e i bisogni senza preoccuparsi del contesto in cui si opera (principio di piacere),
giunge il momento in cui la realtà oggettiva si presenta nella sua crudezza (principio di realtà).
Il principio di realtà si sviluppa assieme alle funzioni cognitive, quali la capacità di giudizio, la memoria,
l’attenzione, la capacità di decidere e di risolvere problemi, la corretta percezione, il linguaggio, tutti
processi mentali utili per analizzare con imparzialità quanto succede intorno a noi e per agire di
conseguenza, mantenendo l’integrità del proprio io.
Tipica è la situazione dell’atleta che sogna grandi imprese e si scontra con la realtà della sua situazione,
data dalla sua forma fisica, dal confronto con gli altri, dalle occasioni mancate.
Patologico è illudersi di ottenere risultati che non sono alla portata del proprio bagaglio tecnico, senza il
duro allenamento e i sacrifici necessari per stare a galla, al pari di altri.
In questo caso, egli privilegia il senso di piacere (ciò che desidera) rispetto alla realtà (ciò che
obiettivamente può ottenere con quei mezzi).
Quanto detto non vuole mortificare il legittimo ricorso all’ottimismo: avere pensieri positivi anziché
negativi produce la mentalità vincente che ogni atleta deve coltivare. Altra cosa è il pensiero basato sul
desiderio che porta a considerare probabili risultati solo perché desiderati.
Una persona non nel possesso di tutte le proprie facoltà non percepisce il mondo reale in modo accurato
ed efficace, come dovrebbe essere nella vita di tutti e in particolare dello sportivo, che deve affrontare
situazioni stressanti e impegnative sotto il versante psichico e fisico.
3.12 Crisi di identità
C’è un momento nella vita di ciascuno in cui, a seguito di motivi ed eventi particolari, avviene una rottura
nel proprio comportamento, che può evolversi in modo positivo o negativo, per cui l’equilibrio
psicofisico viene a lacerarsi, provocando una crisi.
La parola crisi, nell’etimologia di origine greca, vuol dire scegliere, separare, decidere.
Durante la sua naturale maturazione, la personalità subisce dei cambiamenti, attraversa degli stadi: sono
crisi evolutive, connesse a tappe biologiche. A queste si affiancano le crisi accidentali, per una grave
malattia, un lutto, una separazione affettiva, un cambiamento improvviso di condizione sociale, uno stato
di alterazione indotto da particolari condotte.
A fronte di queste situazioni, che minacciano l’equilibrio raggiunto, si determina una tensione che si
ricollega alla memoria di precedenti momenti difficili; ne deriva la conseguente incapacità di opporsi alla
crisi utilizzando consueti meccanismi di difesa: il soggetto si trova senza punti di riferimento, senza guide
interiori e si incolla, come una fotocopia, al modello e alla volontà di altri.
La crisi di identità percorre dunque questi stadi e alla fine l’individuo non sa più chi è veramente e perché
svolge certe azioni.
“Non so perché mi alleno, forse non ne vale la pena”.
“Mi sembra di non conoscermi più, non so perché faccio certe cose…”
“Non ho più una mia identità, non so chi sono veramente!”
Nel mondo dello sport, come nella vita normale, troviamo individui portatori di caratteristiche personali
diverse, che reagiscono differentemente agli eventi della vita.
Conosciamo atleti che costruiscono un progetto ben definito, con obiettivi e mete chiari, perseguiti con
coerenza, impegno e rispetto per le regole. Sono soggetti forti nel carattere e determinati anche nei casi di
infortuni; essi sviluppano una propria identità originale.
Ci sono poi gli sportivi che non sanno assumere impegni precisi, a lunga scadenza, che rimandano scelte e
decisioni, che rifiutano però anche di rifarsi a modelli pur non avendo una propria identità formata. Sono
soggetti con mancanza di identità, come può esserlo chi sa riconoscersi solo se riflesso in altri che ne
rimandano l’immagine.
.
ZOOM – Identità confusa
La mitologia con i suoi personaggi serve anche all’uomo moderno per auto-analizzarsi.
“In frammenti di vetro
gridava la sua voce
dilaniata nello specchio
a terra frantumato:
- Chi sono io? Chi sono io?
Vana era la risposta
entro l’ombra ripetuta:
- Chi sono io? Io… io… io…”
I versi si riferiscono al dramma di Eco, la ninfa dei boschi e delle sorgenti, alla quale si ispirano le
leggende che spiegherebbero l’origine del fenomeno dell’eco e della duplicazione.
Secondo una leggenda, Eco è delusa da Narciso che la respinge, e vaga nei boschi in preda allo
sconforto, finendo per identificarsi in una roccia che fa rimbalzare il suono della sua voce.
Un’altra leggenda la vuole amata da Pan, il dio dei pastori e delle greggi, il quale, non corrisposto dalla
ninfa, la fa dilaniare dai pastori.
Un’altra leggenda ancora vede Eco nell’intento di distogliere con il suo continuo parlare l’attenzione di
Era (Giunone), mentre Giove si trastulla con altre ninfe sue sorelle.
La dea, gelosa e vendicativa, mette in atto una terribile punizione: Eco non saprà più parlare per prima,
dovrà tacere quando le si parlerà, potrà solo ripetere i suoni della voce che la colpiscono.
Quale che sia la leggenda a cui prestare fede, la ninfa Eco con le sue traversie e il suo destino rimane il
simbolo della regressione a uno stato comunicativo inferiore, della passività, dell’identità personale
perduta, in balia di altri; vive solo in funzione del fatto che altri le danno voce, non potendo esprimere la
propria personalità.
Triste destino per una ninfa che svolge la sua esistenza leggendaria a contatto con i potenti dei; ben più
misera è la sorte della persona che si ritrova privata della sua identità e della sua specifica essenza di
libero arbitrio.
3.13 Il senso di colpa
C’è una credenza magica, che è presente nel bambino, che vuole che “ciò che non si vede non esiste”. Se
nascondiamo sotto una coperta un giocattolo, il fanciullo piange disperato perché pensa di averlo perduto
per sempre. Così gli accade per la mamma e il papà o la persona che lo accudisce: vorrebbe sempre
vedere il loro viso sorridente sopra di lui, appena si sveglia, per timore di perderli. Ma, col passar degli
anni, egli comprende che la realtà resta tale, anche se non visibile a tutti, anche se coperta o nascosta.
Una parte della credenza tuttavia sopravvive anche nell’adulto e gli esempi di ciò sono numerosi nella
vita quotidiana.
Per strada, nella folla, un individuo commette un’infrazione. In quel momento sente il fischio di un vigile;
avverte una forte emozione, è sopraffatto dal senso di colpa che lo fa fermare, si gira, ma, con sollievo,
verifica che il richiamo non era rivolto a lui e che il proprio reato non è stato notato.
A pericolo scampato, l’episodio non lascia tracce in lui, pronto a rifare la stessa cosa.
Il senso di colpa è un’emozione che si prova dopo aver violato una norma (o anche solo creduto) che vieta
un certo tipo di azione o il possesso di un oggetto, in qualche modo entrati a far parte del nostro modo di
essere e di fare, nei quali ci siamo identificati: viene definito “l’emozione morale per eccellenza”.
Di emozione si tratta, perché è collegata alla sensazione di dispiacere, a reazioni fisiologiche, quali il
cuore che batte più forte, la nausea, un groppo alla gola, un morso allo stomaco, oppure a comportamenti
comunicativi, come scusarsi, evitare, fuggire…
In più, possiamo dire che il senso di colpa è un’emozione negativa e spiacevole, che fa soffrire, che fa star
male, che crea uno squilibrio nella personalità. In questo senso, rappresenta un benefico campanello di
allarme che porta a riflettere sul significato delle nostre azioni per noi stessi e nei confronti degli altri.
Il senso di colpa assolve alla funzione di mettere l’individuo di fronte alle proprie responsabilità; spesso
diventa un peso insostenibile che può disorientare e ledere la fiducia in sé.
Quando è troppo forte, può divenire persecutorio: allora l’io attiva le proprie difese, come la negazione di
quanto è avvenuto, la proiezione sugli altri, la sottomissione apatica, la ricerca ossessiva di perdono.
3.14 La vergogna e la sospettosità
E’ evidente il collegamento fra il senso di colpa e la vergogna, due emozioni derivanti dalla stessa
matrice, ma che si differenziano per gli effetti: mentre il primo porta a far confessare la propria colpa,
anche pubblicamente per liberarsi di un peso, la vergogna porta alla reazione opposta: fuggire, per
sottrarsi alla vista degli altri, per farsi dimenticare non essendo visibili, come nascosti sotto una coperta...
E’ un atteggiamento che richiama la puerile credenza prima ricordata.
Per qualche studioso la vergogna deriva da esperienze che minano il concetto di sé, collegato all’identità
personale.
Nasce una frattura fra come ci percepiamo e come ci vedono gli altri; emergono nostre imperfezioni e lati
oscuri, che vorremmo avere tenuti nascosti; tendiamo a negarli, sviluppando meccanismi di difesa che ci
blindano dal mondo esterno e provocano una regressione nella maturazione.
Il senso di vergogna si manifesta a seguito di errori commessi, reali o immaginari; in questi frangenti, si
avverte la sensazione di essere in balia degli altri, come se i confini creati faticosamente per difendere la
propria identità siano stati scardinati e invasi da occhi indiscreti: l’immagine di sé ne esce sminuita.
E’ il caso dell’atleta che sconta una squalifica per un reato, abituato ad essere al centro dell’attenzione
pubblica, che ora ha la consapevolezza di avere fallito, di non avere corrisposto alle aspettative, di essere
caduto in basso nella considerazione degli amici, dei conoscenti, dei tifosi.
Si sente ridicolo, sminuito, inadeguato al ruolo, non in grado di fronteggiare la situazione, incapace di
reagire, di creare nuovi stimoli.
Il sentimento di vergogna, che porta alla coscienza di sé e all’auto-osservazione, dovrebbe servire a
sensibilizzarlo alle norme imposte e, quindi, in qualche modo, a favorire il suo reintegro e il suo riscatto.
Il lato negativo del sentimento di vergogna è rappresentato dal fatto che un eccesso di coscienza di sé
porta a incolpare gli altri delle conseguenze delle proprie azioni; si persiste nei comportamenti che hanno
ingenerato la vergogna, poiché si attribuisce ad eventi esterni alla propria volontà la colpa delle proprie
disgrazie:
“Sono stato sfortunato, non doveva capitare proprio a me…”
“Me ne fanno di tutti i colori, devo subire sempre io…”
“Mi hanno messo di mezzo i compagni… faccio da capro espiatorio… non è giusto!”
Nasce l’abitudine alla sospettosità; l’atleta manifesta il dubbio e l’ostilità per l’ambiente che lo circonda,
non si fida più di nessuno; sviluppa vissuti paranoici, con manie di persecuzione, di grandezza, di gelosia.
Vive frequenti momenti di diffidenza, di timore per quanto gli altri possono causargli, di incapacità di
mettersi in discussione, di suscettibilità portata ai massimi livelli, di ostinazione e intolleranza verso tutto
quanto non condivide.
Quello che è preoccupante è che tali tratti di personalità si cristallizzano formando una corazza che
l’atleta si porterà dietro nella vita di tutti i giorni, anche quando non farà più sport, nel momento in cui
dovrà vivere la vita come un comune mortale.
TESTIMONIANZA – Senso di inferiorità
Un caso esemplare di incapacità di provare gratitudine e di incapacità ad accettare il valore degli altri
per orgoglio mal riposto, per insicurezza. Milvia è accecata dal proprio narcisismo, non accetta l’aiuto
disinteressato dell’amica perché proietta su di lei il proprio egocentrismo e il proprio atteggiamento
teso a umiliare l’altro.
Le due versioni:
I versione: Alberta. Sono un’impiegata in una grande azienda, assunta da poco ma già con incarichi
importanti. Svolgo un ruolo molto delicato e di grande fiducia da parte del manager. Mi piace molto. E’
capitato che una mia amica, Milvia, ci siamo laureate insieme, cercava di cambiare lavoro e io l’ho
proposta ed è stata assunta. Lavora al mio fianco, nel mio stesso ufficio.
Lei, invece di manifestare la sua soddisfazione, sembra cambiata nei miei riguardi: molto seriosa, a volte
seccata se le insegno come fare alcune pratiche (per aiutarla!). Anzi più volte mi ha respinto e non perde
occasione di insinuazioni o di farmi notare se sono vestita male, e altro.
Non capisco cosa le succeda. Ne ho parlato con un amico e ci siamo interrogati sul suo comportamento.
II versione: Milvia. Non sopporto il comportamento di Alberta, ma chi crede di essere?
Mi umilia continuamente con la sua aria di saputella. Mi vuole insegnare come fare una fattura. E’ vero
che tante cose non so farle, ma io non voglio il suo aiuto, me la cavo da sola.
Sembra che io le faccia pena, e il peggio è che anche gli altri possono pensare che io non sono capace.
Cerco di evitarla più che posso.
3.15 Il percorso dal complesso di inferiorità all’insicurezza
Capita a volte che ci facciamo prendere da un senso di inferiorità in situazioni che non riusciamo a
gestire, ci sentiamo incapaci, sviliti e respinti, feriti nella nostra stima: abbiamo il complesso di
inferiorità.
Il sentimento di inferiorità è il sentimento di insufficienza fisica o psichica nel confronto con altri.
Possiamo riconoscere alcuni tratti caratteriali di chi prova sentimento di inferiorità.
E’ una caratteristica di personalità: oggi si parla molto di mancanza di autostima, di offesa al proprio
narcisismo. Il dubbio sulle proprie capacità nasce dal confronto sociale con adulti e coetanei.,
Come si manifesta? Questo sentimento presenta due facce della stessa medaglia: per alcuni diventa
sottomissione, per altri illusione di onnipotenza; comunque sia, entrambe provocano conseguenze di
compensazione che possono sfociare nella nevrosi. E’ molto diffuso nelle relazioni di coppia, nel lavoro,
nella vita familiare.
Se consideriamo la situazione del bambino, sappiamo che egli si trova in una condizione di dipendenza,
è impotente, subordinato. Piccolo, debole, circondato da adulti, dubbioso delle proprie capacità, anche
indotto da altri, si sente abbandonato e non amato.
Da questo insorge una sfiducia di base, contrapposta alla fiducia in sé. Si vive in continuo timore di
insicurezza e di non essere in grado di risolvere i vari problemi della vita.
Quindi il passaggio avviene in questo modo:
dal complesso di inferiorità -------- alla sensazione di insicurezza.
La sensazione di insicurezza è la condizione psicologica in cui il soggetto avverte una situazione di
pericolo, esterna e interna, che non si sente in grado di dominare. E’ conseguenza del sentimento di
inferiorità: sentimento di insicurezza e bisogno di rassicurazione sono collegati.
Per cercare di risolvere questo stato, viene utilizzata la compensazione.
Di che cosa si tratta? In medicina e biologia indica l’intervento di un organo in aiuto di un altro che
funziona meno.
Adler vede il sentimento di inferiorità collegato alla compensazione, come immagini speculari. Non
sempre la compensazione va a buon fine: può fallire o essere eccessiva, con i problemi collegati.
3.16 Sentimento di inferiorità e narcisismo
Il sentimento di inferiorità che si nasconde con pretesa di superiorità e fantasie di grandezza o di
onnipotenza è tipico dei narcisisti. Il narcisismo è inteso come carenza di un sé positivo che può nascere
per insufficienza affettiva nella prima infanzia.
Due sono gli aspetti principali del narcisismo.
Il narcisismo sano è il sentimento profondo di libertà e vigore. Nel bambino il bisogno di avere la
mamma a sua disposizione è assoluto per potersi "rispecchiare" in lei. La mamma dovrebbe rappresentare
l'oggetto che si comporta come il bambino desidera e attende, come una estensione di sé.
Il narcisismo patologico si rintraccia nel comportamento dell'adulto che si serve del controllo sugli altri e
del rispecchiamento di sé sugli altri per soddisfare i propri bisogni. Quando queste condizioni dovessero
mancare, l'effetto di questa situazione si trasforma in scoppi di rabbia narcisistica e in situazioni
depressive.
L’atteggiamento dei genitori e degli adulti è determinante.
Se i bisogni del bambino non sono stati compresi e soddisfatti adeguatamente, se si sono verificati dei
fallimenti nella ricerca di empatia, il narcisismo non si sviluppa e rimane fissato dove è avvenuto il
trauma nella relazione con la mamma.
Il bambino sviluppa varie strategie per vincere l’angoscia della sua solitudine: si rivolge ad adulti, cerca
protezione, accetta la sua impotenza.
Il sentimento di inferiorità è quindi condizionato dall’ambiente che circonda il bambino, minaccioso,
ostile, che lo vuole mantenere in dipendenza…
Ci sono condizioni che favoriscono il sentimento di inferiorità:
1 – una reale inferiorità d’organo (handicap);
2 – la subordinazione a un fratello o altri utilizzati come confronto;
3 – il dubbio sulla propria identità sessuale;
4 – uno status socio-economico giudicato inferiore, es. minoranza etnica;
5 – l’atteggiamento educativo dei genitori con cui trattano il bambino: non viene preso sul serio, non gli
riconoscono diritti, si pretende troppo o troppo poco, viene trattato come un possesso o un peso morto o
un trastullo in balia degli stati d’animo dei grandi. Queste sono mortificazioni e offese all’immagine del
sé.
L’autoritarismo educativo non permette di soddisfare il bisogno di amare e di essere amato. Lo stesso si
può dire dello stile iperprotettivo che impedisce l’autonomia.
Come conseguenza si potrà verificare che il bambino tenderà a svalutare il bisogno di amore in sé e verso
gli altri, diventa diffidente e sospettoso, pensa che ogni difficoltà debba essere sopportata, mai affrontata
con successo.
3.17 Verso l’autostima
Avere autostima vuol dire:
- essere soddisfatti della propria immagine e avere un buon concetto di sé;
- sentirsi sempre all’altezza della situazione ed essere disinvolti nel parlare in pubblico;
- sapere affrontare positivamente le varie situazioni che si presentano nella vita quotidiana.
Fin da piccoli è importante elaborare uno schema corporeo corretto, aderente alla realtà, e imparare ad
accettarsi come si è per sviluppare la capacità di vivere in armonia con se stessi. Percezioni inesatte o
incomplete, sensi di inferiorità, ansie e timori immotivati ci accompagnano poi per tutta la vita, limitando
la nostra serenità e il nostro benessere.
Si può, a qualsiasi età, intraprendere un percorso per iniziare a piacersi indipendentemente dagli altri, per
migliorare il concetto di sé, per curare lo sviluppo armonico della propria personalità, per coltivare
profondi interessi, per incentivare la propria creatività, in poche parole per perseguire minuto per minuto
il proprio benessere fisico e psichico, compatibilmente con la situazione in cui ci si trova.
Il percorso per raggiungere questi obiettivi è costituito da piccoli accorgimenti alla portata di tutti e di
tutte le età, quali:
- sapersi rilassare;
- spazzar via i condizionamenti dei luoghi comuni;
- liberarsi dei sensi di colpa;
- vivere nel presente e non ancorati al passato o proiettati solo verso il futuro.
Per iniziare a fare ciò, si propone un itinerario con gli obiettivi di:
- imparare a rilassarsi;
- attivare procedure per occuparsi anche di se stessi, oltre che degli altri;
- saper riconoscere e ascoltare le proprie emozioni;
- ritrovare la via dell’autonomia in campo affettivo;
- sentirsi sicuri di se stessi e delle proprie opinioni in campo professionale, sportivo, familiare.
APPROFONDIMENTO - Le slides del percorso: dal sentimenti di inferiorità all’autostima
1 – Sentimento di inferiorità Perdurante sensazione di
insufficienza fisica e/o psichica nel confronto con altri
Non valgo niente…
Sono scarso… Non so parlare…
Gli altri sono più bravi di me…
2 - Dal senso di inferiorità all’insicurezza
Perdurante sensazione di pericolo, interna ed esterna, che
non si è in grado di dominare
Non posso farcela… Non ci provo nemmeno…
Chissà cosa pensano di me…
Ho paura di sbagliare… 3 – La legge della
compensazione
Meccanismo di auto-
regolazione che tende a
supplire all’insicurezza con comportamenti compensatori
che non risolvono l’inferiorità di base
Due possibilità:
sottomissione e rassegnazione
fantasie di grandezza e di onnipotenza
4 – Carenza di un sé positivo:
narcisismo patologico
Comportamento dell’adulto che
si serve del controllo sugli altri e si rispecchia negli altri per
soddisfare i propri bisogni
Manie di grandiosità
Esibizionismo Vulnerabilità
Depressione
5 – Dall’insicurezza
all’autostima
Autostima è fiducia in sé.
Un percorso a tappe che inizia
dalla primissima infanzia.
Credere nelle proprie capacità
Essere protagonisti della
propria vita
Autoaccettazione Scelte convinte e quadro stabile
di valori
6 – Ruolo dei genitori e degli adulti nella vita quotidiana, nello
studio, nello sport
Atteggiamento positivo che valorizza le manifestazioni del
bambino.
Continue conferme di sicurezza.
Favorire il talento.
Evitare atteggiamenti negativi Riconoscere i diritti del
bambino
Non pretendere troppo o troppo poco
Non trattarli come un possesso,
un peso morto, un trastullo Non subordinarli alle esigenze
e ai tempi degli adulti
CAP .4 L’AUTOSTIMA E LA FIDUCIA IN SE’
“Saper vivere nel presente.
Essere protagonisti della propria vita.
Credere nelle proprie potenzialità”
“ Il successo li incoraggia
Essi possono perché pensano di potere”.
(Virgilio)
Come raggiungere un traguardo?
Senza fretta, ma senza sosta.
(Goethe)
4.1 Perseguire il benessere
Proviamo a rispondere a queste semplici domande con tutta sincerità.
Siamo soddisfatti della nostra immagine?
Abbiamo un buon concetto di noi?
Ci riteniamo sempre all’altezza della situazione?
Viviamo con serenità gli impegni scolastici?
Ci sentiamo disinvolti nel parlare in pubblico?
Diamo il meglio di noi stessi nell’attività sportiva?
Sappiamo vivere senza ansie il presente?
Se rispondiamo di sì a tutte, allora abbiamo stima in noi stessi e nelle nostre capacità e riteniamo di sapere
affrontare positivamente le varie situazioni che si presentano nella vita quotidiana.
Se invece, come la maggior parte delle persone, registriamo anche qualche risposta negativa, o alcune
incertezze, allora forse conviene riflettere su come riesaminare certi concetti e abitudini.
Fin da piccoli è importante elaborare uno schema corporeo corretto, aderente alla realtà, e imparare ad
accettarsi come si è, per sviluppare la capacità di vivere in armonia con se stessi.
Percezioni inesatte o incomplete, sensi d’inferiorità, ansie e timori immotivati ci accompagnano poi per
tutta la vita, limitando la nostra serenità e il nostro benessere.
Occorre dunque, per quanto possibile, cercare di migliorare su questo terreno.
Si può, a qualsiasi età, intraprendere un percorso per iniziare a piacersi indipendentemente dagli altri, per
migliorare il concetto di sé, per curare lo sviluppo armonico della propria personalità, per coltivare
profondi interessi, per incentivare la creatività personale, in poche parole per perseguire minuto per
minuto il proprio benessere fisico e psichico, compatibilmente con la situazione in cui ci si trova.
Riprendiamo il percorso per raggiungere questi obiettivi, costituito da piccoli accorgimenti alla portata di
tutti e di tutte le età, quali, ad esempio,
- saper vivere nel presente e non ancorati al passato o proiettati solo verso il futuro;
- spazzar via i condizionamenti dei luoghi comuni;
- liberarsi dei sensi di colpa.
L’autostima è un bene da mantenere, perché già c’è in noi; si tratta di riportarla alla luce della nostra
consapevolezza.
Iniziamo a percorrere l’itinerario verso l’autostima, perseguendo gli obiettivi di
- imparare a rilassarsi;
- attivare procedure per occuparsi anche di se stessi, oltre che degli altri;
- saper riconoscere e ascoltare le proprie emozioni;
- ritrovare la via dell’autonomia in campo affettivo;
- sentirsi sicuri di se stessi e delle proprie opinioni in campo professionale, sportivo, familiare.
4.2 Efficacia e autostima
Il senso della propria efficacia si ripercuote sull’autostima, che va consolidata con gli esercizi appropriati.
Consideriamo due casi: successo e insuccesso e incrociamoli con due livelli di motivazione: alta, bassa.
Le persone con bassa autostima attribuiscono il successo a fattori esterni (fortuna), mentre quelle con alta
autostima danno il merito a fattori interni, in primis al proprio talento.
Viceversa, in caso di insuccesso, le persone con autostima bassa si colpevolizzano per la propria presunta
incapacità, mentre quelle con autostima alta invocano sfortuna, condizioni atmosferiche e altro .
Sono comportamenti che adottiamo e riscontriamo nella vita privata quotidiana; quando intraprendiamo
un’attività, ci adoperiamo in tutti i modi per riuscirci anche apprendendo nuove abilità. A maggior
ragione, chi svolge un’attività sportiva agonistica o amatoriale deve curare il proprio atteggiamento di
fronte a insuccessi; anziché demoralizzarsi, può rompere il cerchio della disistima anche con un aiuto
esterno di incoraggiamento e di guida.
Rapporto fra livello di Autostima e Attribuzione cause successo/insuccesso
AUTOSTIMA CAUSE SUCCESSO CAUSE INSUCCESSO
BASSA Fattori esterni
Fortuna
Incapacità propria
Auto-colpevolizzazione
ALTA Meriti propri
Talento
Condizioni avverse
Sfortuna
ZOOM - Le cause mentali
Nel dibattito psicologico e filosofico sul collegamento mente-corpo, ci si interroga in che modo alcuni
stati mentali riescono a condizionare un comportamento, un’azione fisica, una prestazione motoria.
Per alcuni, il processo mentale per attribuire successo o insuccesso a un’azione intrapresa si basa sulla
causalità.
In altre parole, si tende ad attribuire la causa del risultato ottenuto a d alcune categorie, come il grado
di difficoltà del compito, l’abilità personale, lo sforzo, ma anche l’umore, le aspettative…
B.Weiner distingue fra cause stabili, come l’abilità personale, e cause instabili, come la fortuna o la
sfortuna.
Mentre le prime si collegano a risultati sicuri, le altre producono incertezze sulle future prestazioni.
4.3 Incontrare l’ autostima
Le vie per ritrovare la propria autostima sono molteplici. Quella che percorriamo insieme parte da alcune
semplici domande:
“Che cosa è per te l’autostima? Non in senso teorico, ma concreto…
Racconta un episodio della tua vita durante il quale ti sei sentito bene, all’altezza della situazione…”
Non è facile ottenere subito risposte, a volte è necessario cercare a lungo nella propria memoria prima di
rintracciare un’immagine positiva di sé. E’ più frequente il caso in cui ricordiamo momenti sgradevoli,
nei quali siamo stati in imbarazzo, con l’impressione che tutti ci guardino con disapprovazione, momenti,
cioè, di disistima.
Così verifichiamo che la nostra immagine non è quella che noi vediamo, ma è quella che vediamo riflessa
nel giudizio di altri, familiari, amici, superiori.
Il primo passo per ritrovare la nostra vera immagine è rientrare in noi stessi, nel momento presente, per
considerarci con obiettività indipendentemente dal giudizio, reale o supposto, degli altri.
Viviamo quindi il momento presente, dilatiamo l’istante per ricostituire il nostro vero essere.
Per fare ciò, dobbiamo essere in grado di trovare uno stato di rilassamento corporeo e psichico, nel quale
adagiarsi come in una tana, tranquilli come un bambino nella culla, e produrre immagini piacevoli.
In questo modo, attraverso la respirazione e la distensione, affrontiamo e risolviamo i disagi mentali e
fisici.
In un successivo momento, possiamo rivedere la nostra situazione iniziale e verificare quanto siamo stati
in grado di applicare e quali cambiamenti noi abbiamo operato.
ATTIVITA’- Autoanalisi sull’Autostima
1) Leggi con calma le domande e scrivi le tue considerazioni.
- Riesco a vivere nel presente, oppure mantengo l’abitudine a rimuginare sugli eventi del passato, recente
o remoto?
..........................................................................................................................................
- Sono solo proiettato al futuro, vivendo in uno stato perenne d’ansia?
………………………………………………………………..........................................
- Sono capace di trovare uno stato di rilassamento e di produrre immagini gratificanti per la mia
immagine?
………………………………………………………………………………..................
- Sono in grado di percepire lo stato di disagio che mi paralizza a volte nei rapporti interpersonali e sono
poi capace di uscirne?
……………………………………………………………………………………………..
2) Emergono nuove considerazioni che sfociano in propositi da sperimentare; leggi questa lista di
enunciati, scrivili sull’agenda, cerca di rispettarli:
- passato, futuro, condizionale sono tempi da eliminare;
- i sensi di colpa per aver fatto qualcosa che piace vanno spazzati via;
- indulgiamo poco nelle definizioni di noi stessi;
- non chiediamoci continuamente perché è successa una cosa;
- non cerchiamo di capire sempre tutto;
- dedichiamoci alla nostra immagine con maggiore attenzione;
- curiamo l’abbigliamento, i capelli, i profumi;
- operiamo un cambiamento nelle nostre abitudini;
- ritroviamo dentro di noi la parte che ci piaceva;
- chiamiamoci con il nostro nome come quando qualcuno ci chiamava da bambini.
4.4 Vivere il presente nella vita e nello sport
A volte non sono gli altri, ma siamo noi stessi a creare i presupposti per non avere fiducia in noi.
Il contrario dell’autostima è la disistima: credere di non essere capaci di affrontare una situazione diventa
una scusa e un alibi per non ammettere le nostre responsabilità. E’ un atteggiamento autodistruttivo che
con stillicidio mina la nostra immagine.
Dobbiamo convincerci che siamo noi gli unici responsabili delle nostre scelte, tranne che per cause di
forza maggiore (se nevica, non potremo uscire in bicicletta per l’allenamento, ma se rimandiamo senza
motivo, dipende dalla nostra volontà).
Concretamente, da dove partire?
Cerchiamo di vivere consapevolmente in ogni momento nel tempo presente, nell’attimo che stiamo
vivendo, assaporando l’esperienza in atto e le emozioni che proviamo.
Più volte abbiamo sentito affermare che è inutile piangere sul latte versato; convinciamoci dunque che è
tempo perso pensare di modificare un evento passato, tranne che per ricavarne un insegnamento per il
futuro.
Evitiamo quindi, come già detto, di esprimerci in modo condizionale: avrei dovuto fare… avrei dovuto
essere… e di rammaricarci per ciò che potevamo fare e non abbiamo fatto.
Impegniamoci a vivere ogni momento della nostra vita quotidiana come il più importante, cogliendo gli
aspetti per i quali vale la pena di viverlo.
I sentimenti e le emozioni vanno accettati, compresi la paura, il dolore, il distacco. Impariamo a
controllare e a dirigere i nostri stati d’animo in senso positivo per non coltivare lo stato d’infelicità dovuto
ad abitudini paralizzanti.
Parliamo di paralisi non del corpo, ma della mente e della volontà.
Quanto finora detto, trova puntuale applicazione nell’attività sportiva.
Dobbiamo preparare un evento sportivo nel quale vogliamo essere protagonisti: alleniamo il nostro corpo
ogni giorno, fino al momento della prova e siamo fiduciosi che, attraverso graduali miglioramenti,
raggiungeremo lo stato di forma che ci permetterà di comportarci con onore, secondo le nostre possibilità.
Allo stesso modo, alleniamo la mente in senso costruttivo per creare quelle condizioni di fiducia nelle
nostre capacità che ci permetteranno di riuscire nell’impresa.
Non possiamo pretendere che la nostra mente sia pronta a modificare in breve tempo le convinzioni
maturate in una vita, o a controllare gli stati emotivi a comando, senza prima avere sperimentato il loro
controllo.
Corpo e mente si allenano insieme, con costanza, senza cedere alla tentazione di rallentare e di arrendersi,
vivono ogni momento con intensità, come in uno stato di grazia che li isolano dal contesto in cui si
trovano: vivere il presente per affermarsi.
4.5 L’approvazione degli altri
Un altro aspetto da considerare è il bisogno costante dell’approvazione degli altri.
Dopo un’impresa sportiva, dopo un qualsiasi avvenimento che ci ha visto protagonisti, la domanda che
sorge spontanea è: “Come sono andato?”.
Ci aspettiamo risposte gratificanti e un minimo accenno di disapprovazione viene vissuto da molti come
devastante per il proprio orgoglio, diventa fonte di depressione e di sconforto.
Sentiamo l’esigenza di ottenere il benestare degli altri per ogni azione che compiamo, viviamo
rispecchiati nel giudizio altrui, siamo nulla se non ci sentiamo riflessi in altri, la nostra personalità si fa
piccola, il nostro senso d’inferiorità si accresce.
Questo stato nasce da lontano, dagli anni dell’infanzia, dall’atteggiamento della famiglia, della scuola,
della società e si alimenta con il nostro atteggiamento di vittimismo: sono gli altri che non ci capiscono,
non possiamo cambiare la situazione, quindi è inutile rischiare, conviene lasciare le cose come stanno,
anche se siamo infelici.
A questa spirale di autocommiserazione si oppone rimedio solo con una profonda autostima, con la
consapevolezza del proprio valore, con il rafforzamento della propria volontà.
ZOOM – Il bisogno di dipendenza
Liberarsi del bisogno di dipendenza non avviene “da grandi”, bensì è oggetto dello sviluppo emotivo fin
dalla nascita.
Secondo Josselyn, un sano sviluppo del bambino si sviluppa in tutti i momenti in cui riceve attenzione
quando manifesta il bisogno di dipendenza e chiede aiuto e assistenza.
Al contrario, se le prime esperienze al riguardo sono negative, se incontrano indifferenza, pressioni,
incomprensione, il bambino svilupperà una forma di insicurezza (e infelicità) e sarà alla continua ricerca
di gratificazioni dall’esterno.
La questione non riguarda solo i bambini e la fase di crescita.
Gli adulti, i cui bisogni derivati dalla necessità di dipendenza non sono stati soddisfatti, sviluppano una
condizione di continua ansietà e insicurezza, si ritirano di fronte a situazioni e rapporti perché temono
una delusione.
Da questa situazione alla mancanza di autostima il passo è breve.
ATTIVITA’ – Autovalutazione: Padronanza di se stessi
Rispondi sì, no, a volte alle seguenti domande di carattere generale; poi analizza le risposte.
Ti senti capace di controllare i tuoi stati d’animo?
Sei padrone della tua mente?
Sei tu a stabilire le regole del tuo comportamento?
Ti accetti come sei, con i pregi e i difetti?
Ti trattieni dal lamentarti per ogni contrattempo?
Sei pronto a fare, ad agire?
Eviti di criticare gli altri?
Sai fare a meno dell’approvazione degli altri?
Riesci sempre a esprimere le tue opinioni?
Sei libero da costanti sensi di colpa?
Hai l’abitudine a fare subito le cose senza rimandare a domani?
Sei esente da sfoghi di rabbia immotivata?
Tratti gli altri come vuoi essere trattato tu?
Impari dai tuoi errori?
Sai vivere nel presente?
Credi nelle tue capacità?
Riesci sempre a stimare e amare te stesso?
4.6 Sensi di colpa
“ Sto molto bene quando riesco a trovare un po’ di tempo per me ed esco in bicicletta per alcune ore;
sarebbero i momenti più spensierati, se non ci fosse quel senso di colpa che provo perché ho lasciato il
prato da tagliare, non ho accompagnato mia moglie a fare acquisti, non ho sistemato la tapparella… E’
come che rubi il tempo a qualcun altro, non sono tranquillo…”
Il soliloquio è immaginario, ma rappresenta una tipica situazione in cui molti vengono a trovarsi: essere
oppressi dai sensi di colpa, non sapere come liberarsene.
Per chi fa sport, è una situazione più frequente di quanto si creda: c’è sempre qualcuno che rivendica più
attenzione, che non comprende appieno l’importanza che assume per l’atleta (amatore o agonista) lo stato
di serenità nello svolgere la propria attività.
Il senso di colpa è una nostra risposta emozionale a sollecitazioni esterne e a messaggi del genere: “Se
non mi accontenti, allora non mi vuoi bene, sei un egoista, pensi solo a te stesso…”
La nostra risposta è di dolore e di sgomento, iniziamo a sentirci colpevoli, non riusciamo a godere i
momenti di libertà, di gioia, di spensieratezza.
Oltre che dall’esterno, il senso di colpa proviene anche dal nostro interno, dalle convinzioni radicate in
noi. Le origini si perdono nel passato, nei ricordi d’infanzia, ma vengono a galla ogni volta che ci
troviamo a non rispettare una regola imposta da istituzioni, dalla scuola, dalla religione, dalla società.
Nasce il rimpianto di voler modificare un comportamento tenuto in passato, in quella determinata
occasione, e a nulla vale la consapevolezza di non poter ritornare indietro; si vive in uno stato di conflitto
che porta a sfiducia e rassegnazione.
Dunque, il senso di colpa non aiuta a cambiare eventi del passato e non fa star bene nel presente.
Allora, perché ci facciamo tanto condizionare? Se riflettiamo, ammettiamo con onestà che se ne ricavano
apparenti vantaggi:
- si trasferisce ad altri la colpa del nostro “non fare”;
- non ci si impegna per migliorare;
- non si pensa di poter cambiare la situazione attuale;
- si preferisce farsi compatire.
Si entra in un sistema autodistruttivo che annulla la personalità, paralizza l’attività presente, mina nel
profondo la fiducia in sé.
Per uscirne, ancora una volta il richiamo è di tornare al presente; dal passato si possono solo trarre
insegnamenti utili, ma non blocchi emotivi. Non si può adottare un decalogo di accorgimenti valido per
tutte le persone e le situazioni; tuttavia alcuni punti di partenza possono essere utili:
- accettarsi come si è;
- operare con convinzione le proprie scelte;
- ritrovare i valori nei quali credere;
- opporsi in modo coerente alle persone che cercano di far leva sul nostro senso di colpa;
- non scendere sul terreno della provocazione;
- controllare se i nostri sensi di colpa sono dovuti ad altri o se sono autoindotti.
Crediamo che al partner, all’amico, al capo dia fastidio un nostro comportamento, ma è proprio così?
Oppure siamo noi a farci carico delle aspettative presunte, creandoci uno stato di perenne auto-
colpevolezza?
Liberarsi dei sensi di colpa non vuol dire divenire insensibili ed egoisti; al contrario permette di vivere
meglio il presente e quindi di curare il proprio benessere fisico e psichico e, di riflesso, quello di chi ci
vive vicino.
Identikit dei “Liberi dai sensi di colpa”:
- auto-accettazione,
- scelte convinte,
- quadro di valori,
- vivere nel presente.
ATTIVITA’ – Eliminare i sensi di colpa
Partiamo da una frase di un uomo celebre, lo scrittore Mark Twain: “L’abitudine è l’abitudine, e nessun
uomo può buttarla dalla finestra; se mai la si può sospingere giù per le scale, un gradino per volta”.
Leggi la pagina per intero, poi chiudi gli occhi e ripeti il percorso agito.
Trova una posizione comoda, nessuno ti viene a disturbare…
Chiudi gli occhi, fai tre respirazioni profonde e la pausa… mentre l’aria entra, il tuo corpo si
alleggerisce, i tuoi pensieri svaniscono…
Ora immagina uno schermo scuro, senza nulla…
Pian piano, forma nella tua mente l’immagine di una porta…
Ti avvicini, l’apri…
Vedi una scala che scende verso il basso…
Hai in mano una pila di mattoni che ti appesantiscono…
Un passo per volta, inizi a scendere e man mano posi un blocco per volta sui gradini…
Scendi ancora e lasci un altro mattone…
Ti senti più leggero…
Ancora un altro scalino e posi un altro mattone…
Respiri con sollievo, una profonda respirazione…
Scendi ancora… appoggi un altro blocco…
Ormai hai pochi mattoni in mano, scendi e li lasci per terra…
In fondo alla scala inizi ad intravedere una luce…
Ormai hai depositato tutti i pesi che sorreggevi…
Erano le tue vecchie abitudini, che portavi come un fardello…
La luce si avvicina… prosegui…
Ti trovi all’aria aperta, in un luogo piacevole e accogliente…
Sei leggero… ti accorgi che puoi volare…
Ci credi, puoi volare…
Ritorni in alto, al punto di partenza…
Riprendi contatto con l’ambiente in cui ti trovavi…
Senti il bisogno di respirare con sollievo…
Riapri gli occhi e prova a vivere, libero dai sensi di colpa…
…senza aver bisogno dell’approvazione degli altri.
P.M. Questo esercizio aiuta ad allontanare il bisogno costante di approvazione e a renderci liberi e
autonomi.
ATTIVITA’ - Trova il tuo grado di autostima
Vicino a ogni domanda, assegna un punteggio da 1 (minimo grado) a 10 (massimo grado). Esempio: Da
1 a 10, quanto sono felice in questo momento? Punteggio: x.
PRIMO ITEM
Mi piace il mio aspetto fisico ……….
Credo di essere forte nel mio sport ……….
Sono orgoglioso del mio lavoro ……….
Mi sento intelligente quando faccio una cosa da solo ……….
Sto bene nella mia famiglia ……….
La mia famiglia condivide le mie scelte ……….
Mi piace ritrovarmi con gli amici ……….
Mi sento importante per gli amici ……….
SECONDO ITEM
Vorrei assomigliare a qualcun altro ……….
Vorrei avere un peso diverso ……….
Penso che i colleghi parlino male di me ……….
Ci rimango male se non ricevo gratificazioni ……….
Credo che i miei genitori mi vorrebbero diverso ……….
Mi sento in colpa con la famiglia se mi dedico allo sport ……….
Non mi sento di fare mai niente da solo ……….
Mi vesto sempre come la moda del momento impone ……….
Dopo aver assegnato i punteggi, fai la somma e verifica il totale dei due item.
Totale primo item …………
Totale secondo item …………
Qual è il punteggio più elevato?……… Qual è il punteggio meno elevato? ………..
Quali considerazioni puoi fare sui tuoi risultati nel 1° e nel 2° item?
P.M. Autoverifica sulla propria autostima
ATTIVITA’ – Che cosa credo di me
Completa con tre parole che ti vengono istintivamente in mente (aggettivi, nomi, verbi…) i seguenti
enunciati.
Che cosa credo di me stesso ………. ………. ………..
Che cosa credo del denaro ………. ………. ……….
Che cosa credo del lavoro ………. ………. ……….
Che cosa credo delle mie capacità ………. ………. ……….
Che cosa credo della mia salute ………. ………. ……….
Che cosa credo della mia famiglia ………. ………. ……….
Che cosa credo del futuro ………. ………. ……….
Che cosa credo del mio sport ………. ………. ……….
Che cosa credo delle mie potenzialità ………. ………. ……….
Ora puoi tracciare il tuo profilo sulla base delle risposte che hai dato.
Ti riconosci? Vorresti cambiare qualcosa?
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……………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………
P.M. Per la fiducia nelle proprie potenzialità
ATTIVITA’ – Il disegno del mio identikit
Scrivi il tuo nome al centro e intorno, a raggiera, scrivi come ti vedi, le tue qualità, i tuoi difetti.
Poi riprova in un secondo momento, dopo aver applicato i principi di autostima.
NOME
ATTIVITA’ – Come mi vedono gli altri?
Scrivi il tuo nome al centro, poi a raggiera scrivi come, secondo te, sei visto e considerato dagli altri.
Puoi sempre confrontare il tuo parere con qualcuno che ti sta vicino.
Poi riprova in un secondo momento, dopo aver applicato i principi di autostima.
P.M. I due esercizi si completano.
TESTIMONIANZA – Propositi per l’autostima
Ho scritto a caso i miei propositi durante un corso di autostima (un atleta).
Devo imparare a vivere nel presente.
Non pensare sempre a quello che è successo.
Respirare profondamente a occhi chiusi.
Non stare male per le cose degli altri.
Non pensare “Se capitasse a me, come fare?”
Non avere sensi di colpa.
Non riempire troppo la pentola.
Mai buttarsi giù da soli.
Tornare alla natura con le piante.
Non aspettare il giudizio degli altri.
Non rivangare il passato.
Non proiettarsi nel futuro.
Lascia correre.
Non confrontarsi.
Non fare cose in automatico.
NOME
Seguire sempre le esigenze attuali.
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…………………………………………….
……………………………………………..
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……………………………………………
…………………………………………..
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Contrassegna gli enunciati nei quali ti ritrovi, aggiungine altri per costruirti il tuo elenco di propositi di
autostima.
TESTIMONIANZA - Come superare un momento negativo
.
La notte dopo la gara (non mi sono qualificata per la finale) si presenta come una serie di ore buie, con
pensieri senza ordine che si accavallano, aggrovigliati come un gomitolo di cui non riesco a trovare il
bandolo, il filo della speranza per ricominciare. Non c’è consolazione che tenga, non c’è spazio nel
cuore altro che per pensieri tristi: tutto mi appare contro.
Vorrei tornare indietro, cancellare quanto è successo…
Sento il bisogno di rifugiarmi negli affetti: la mia famiglia, gli amici intimi, andare lontano da tutti, dal
mondo, per non farmi vedere.
Solo dopo giorni, sentire il conforto dei compagni mi ha fatto ritornare sulla decisione di non partire, di
non gareggiare…perché ho bisogno dell’esaltazione della folla, dell’ incitamento, abituato a essere
protagonista, visibile, non anonimo, ma polo di attrazione
P.M. Cattivi presentimenti, paure, terrore di quanto potrà accadere, crisi di panico che rimangono
stampate nella memoria a lungo: è più facile rimarginare una ferita sul corpo, un taglio, che una ferita
della mente, uno strappo alla propria autostima. Questo è il momento di essergli vicino, per aiutare a
orientarsi. Dopo tanta distruzione, cerchiamo un modo per ripartire.
4.7 Dipendenza dall’autorità nello sport
Durante il suo sviluppo, ogni individuo viene portato ad assoggettarsi a persone o istituzioni alle quali
riconosce specifiche qualità; viene perciò attratto dal carisma emanato per le loro doti e le loro imprese.
Sono modelli a cui, specie i giovani, ma non solo, fanno riferimento e che vengono imitati e considerati
punto di arrivo per tutto ciò che rappresentano: fascino, successo, prestazioni. E’ facile rimanere
abbagliati da tanta superiorità.
Nello sport sono frequenti le situazioni nelle quali un campione, “il campione” per eccellenza,
rappresenta l’idolo da seguire e da imitare.
Da un lato, dunque, il campione che impone, anche suo malgrado, il suo stile di vita, la sua autorità;
dall’altro l’ atleta giovane, l’amatore, mosso dalla spinta a rendersi simile a lui e ad elevarsi.
Tale situazione si riscontra anche nelle relazioni che intercorrono tra allenatore e atleta. Quando il
rapporto è improntato al concetto di “autorità promotrice”, si sviluppano sentimenti e atteggiamenti
positivi da entrambe le parti che sfociano nell’autonomia dell’atleta.
Non sempre però è così: a volte, questi rimane in stato di “dipendenza” di fronte ad atteggiamenti
inibitori, per cui, anziché autonomia, si sviluppa incapacità di auto-regolarsi, tendenza a dipendere dal
giudizio e dalle decisioni di altri.
Un tale tipo di atteggiamento ha le radici nel rapporto bambino-genitore e si cristallizza nel rapporto fra
atleta e l’autorità di turno, sia essa genitore, allenatore, compagno più grande, campione da imitare.
Se poi si tratta di un adolescente destinato a fare sport, sicuramente trova nel suo cammino tutti i soggetti
demandati alla sua formazione: famiglia, scuola, istituzioni. Potrebbe non sviluppare, come altri giovani
della sua età, autonomia, indipendenza, spirito critico, proprio in virtù di relazioni limitanti, sottoposto
com’è a regime di intenso allenamento, con l’allenatore che lo sprona, preso dal suo compito di ottenere il
massimo e di insegnare la disciplina.
Il giovane atleta attraversa le fasi del suo sviluppo evolutivo in un contesto per certi versi limitato e
chiuso: scuola, allenamenti, gare. E’ compito delle persone che lo seguono portarlo verso l’autonomia e
l’autostima.
ZOOM – La percezione della propria autoefficacia
Quando andiamo in bicicletta, o facciamo una nuotata, non ci rendiamo conto del nostro livello di
padronanza nelle azioni che stiamo compiendo. Ma quando ci troviamo a dover affrontare un ostacolo
siamo costretti a verificare la nostra efficacia.
Bandura sostiene che la percezione dell’efficacia personale dipende dalle convinzioni sulle capacità
personali a ottenere un certo risultato.
La valutazione soggettiva sulle proprie capacità è determinante per la riuscita e il successo.
Al contrario, se abbiamo dubbi sulle nostre capacità, tendiamo a diminuire gli sforzi, fino a diminuire
l’impegno e lo sforzo per raggiungere la meta prefissata.
TESTIMONIANZA – Caduta dell’autostima
Fabio, giovane calciatore non riuscito poi divenuto allenatore, avverte frequentemente un disagio, un
senso di inadeguatezza perché teme di essere rifiutato o giudicato negativamente.
Per questo motivo, al di fuori del lavoro, evita i rapporti con gli altri.
Spesso i suoi collaboratori lamentano che lui non decentra, ma sembra che consideri i comportamenti
degli altri come segni di svalutazione verso di lui; anche solo se si accorge che, quando parla, gli altri
distolgono lo sguardo, crede che sia disinteresse mentre invece può essere semplicemente timidezza .
Fabio è spesso di cattivo umore, depresso, taciturno. Non riesce a trasmettere entusiasmo, voglia di
impegnarsi.
Il contatto con i ragazzi ne risente e alla fine lascia l’attività, per isolarsi ancora di più.
ZOOM - Gli evitanti
Diversi studi di personalità considerano la condizione di evitamento come una causa di forte ansia e
caduta dell’autostima, come succede quando i soggetti si trovano in situazioni nuove che producono
emozioni sgradevoli e di difficile dominio, ad esempio la vergogna.
Vivono in un perenne conflitto fra il desiderio di affetto e la paura di ricevere un rifiuto, per cui si
ritirano in solitudine vissuta con tristezza. Gli evitanti si convincono di essere incompetenti, sono molto
preoccupati per il giudizio altrui, si sottopongono ad autocritica, si trovano pieni di difetti. La difficoltà
di rappresentarsi il proprio stato mentale, di riconoscerne la relazione con i contesti interpersonali
incrementa infatti nel paziente il senso di diversità e di inadeguatezza, lo spinge a restringere il suo
mondo relazionale ed affettivo e mina le sue abilità sociali.
“La regolazione dell'autostima verte su sentimenti di inadeguatezza e scarsa efficacia personale. Essi,
derivano, più che da un problema di valore personale connesso al sentirsi giudicati o rifiutati dagli altri,
dall’impossibilità a condividere o ad appartenere. Sentendosi escluso o emarginato nei rapporti,
l'evitante confronta le sue capacità con quelle degli altri e si valuta negativamente. “
ATTIVITA’– Autoanalisi e Self-talk
Rifletti su ciascuna affermazione. Se senti che ti appartiene, scrivi Ok vicino e lascia in bianco quelle che
ancora non senti tue.
A distanza di tempo, rivedi le tue risposte. Registra i cambiamenti.
SITUAZIONI
Ho bisogno di riconoscimenti e di gratificazioni.
Avverto senso di inferiorità.
Ho mancanza di autostima.
CONSEGUENZE
Sono ferito dall’indifferenza degli altri.
Sono succube del giudizio degli altri.
Non approvo chi si mette in mostra.
Non riconosco il mio intrinseco valore.
COME RIMEDIARE
Devo scrivere una scala dei miei valori.
Devo richiamarli quando mi sento inferiore.
Devo essere orgoglioso di me stesso.
Devo avere un alto concetto delle mie reali potenzialità.
QUINDI
Non sentirmi inferiore a nessuno.
Non c’è bisogno di essere al centro dell’attenzione.
Meglio stare in disparte e professare umiltà.
Sono consapevole del mio valore che non dipende dal giudizio degli altri.
P.M. Per il self talk e l’auto-convincimento
4.8 La volontà Una delle componenti di una personalità che ha autostima è la volontà, che richiama il principio dell’azione consapevole verso un fine. Dell’atleta che si allena duramente con ogni tempo, di chi corre nell’intervallo di lavoro, del nuotatore che passa ore e ore in vasca, di chi rinuncia ai cibi e agli svaghi per mantenere la forma fisica, si dice: “Ha una volontà di ferro!”. La volontà è la capacità di tenere duro, è più forte del talento. Gli studiosi ci dicono che l’atto volontario è costituito da alcune fasi, distinte solo per motivi di descrizione: - la rappresentazione dell’atto da compiere; . la scelta dei mezzi e delle modalità che favoriscono l’atto; - la decisione dello svolgimento dell’azione; - l’esecuzione vera e propria. Tutta la personalità concorre alla realizzazione dell’atto volitivo. Per la sua buona riuscita, occorre usare intelligenza, imparare la consapevolezza dei propri mezzi; occorrono decisionalità, autonomia, libertà; è necessario infine accettare di assumersi la responsabilità di fare ciò che si desidera e non, al contrario, di accettare che altri agiscano per noi. Non sempre l’atleta, specialmente in situazione agonistica, sa esattamente quello che vuole; spesso è confuso sulle scelte da operare, cerca aiuto, si aspetta che siano gli altri a prendere l’iniziativa. La volontà è un contenitore psicologico pieno di possibilità e di creatività: è bene saper sfruttare in pieno le sue potenzialità. Un elenco da tener presente è costituito dalle numerose sfaccettature del concetto di volontà, che si intrecciano le une con le altre: - tenacia e perseveranza; - risolutezza e ostinazione; - coraggio; - spirito di iniziativa e autonomia; - resistenza nel tempo; - capacità di autocontrollo… Dobbiamo ancora ricordare: - la volontà di prestazione, che corrisponde alla motivazione; - la volontà di impegno, che corrisponde alla disponibilità, alla capacità di mettersi in situazione competitiva e di allenarsi a superare gli ostacoli. Con l’atto volitivo cosciente ogni persona afferma la propria autonomia e la propria libertà da condizionamenti di ogni tipo. 4.9 Rafforzare la volontà
Spesso, di fronte a una difficoltà, ci capita di ammettere: “Non ce la faccio, non ci riesco…” e cadiamo in uno stato di frustrazione che limita ogni possibilità di recupero. Forse non abbiamo tenuto il giusto approccio col problema da risolvere. La volontà non va d’accordo con l’obbligo di fare cose in quel momento per noi impossibili; più che costringerla, va assecondata. Teniamo presente che la volontà non è un fatto puramente mentale, ma coinvolge tutti gli aspetti della personalità. Volere riuscire in uno sport perché altri hanno deciso per noi, seguire bisogni fittizi per ottenere facile fama, perseguire obiettivi troppo distanti dalle nostre reali capacità, sono tutti comportamenti che, anziché rafforzare la nostra volontà, la indeboliscono, portano a un ostinato accanimento contro il nostro fisico e il nostro equilibrio mentale. La volontà non è neanche un processo puramente istintivo; se siamo mossi da rabbia, da spirito di rivalsa, da paura, da voglia di potere, essa si esaurisce molto presto, dopo il primo momento di attivazione. Anche uno stato emotivo esasperato o il fanatismo della prestazione non fanno bene alla volontà; si cade nell’abnegazione e nel sacrificio che ci rendono infelici a scapito di uno stato di benessere generale. La volontà può essere inibita dall’ansia, dal panico, dall’insicurezza… è il caso dell’atleta che cerca di rinviare l’allenamento o la partecipazione a una gara importante. Consideriamo allora la volontà come un’alleata, come una forza realizzatrice, che ci incita a percorrere strade nuove, che porta chiarezza di intenti e di decisioni nelle scelte. Quando desideriamo fare qualcosa e muoviamo la volontà per realizzarla, mettiamo in sintonia mente e corpo fra loro e noi stessi con l’ambiente circostante. In sintesi, consideriamo la forza di volontà portatrice di creatività, equilibrio, chiarezza di intenti. ATTIVITA’ – La tua forza di volontà. Rispondi alle domande in tutta sincerità. Al termine verifica le tue risposte e il tuo grado di volontà. 1) All’inizio dell’autunno ti iscrivi a un corso in palestra di 4 mesi. Frequenterai con costanza o salterai delle lezioni? ………………………………………………………………………. 2) Ti stai preparando per una gara sportiva che avviene fra un mese. Se un amico ti invita all’aperitivo, vai o ti trattieni? ……………………………………………………………………… 3) Devi fare una cura per equilibrare la pressione arteriosa. Segui scrupolosamente le prescrizioni del medico?....................................................................... 4) Ti si presenta un problema difficile da risolvere. Insisti finché non trovi la soluzione o ti arrendi subito?................................................................ 5) Se prendi un impegno, un appuntamento, fai di tutto per andare o rinunci per pigrizia o senza una ragione seria? …………………………………………………… 6) Se prendi una decisione, la porti a termine anche se è dolorosa?........................................... 7) Se capita un problema di salute a una persona cara, pensi di poterti dedicare ad assisterla ogni giorno? ……………………………………………………………………………………………………….. 8) Leggi questa affermazione: Si deve resistere a una tentazione (fumo, alcol, cibo) a ogni costo. Quanto sei d’accordo, da 1 a 10? …………………………………………………………………………………………… 9) Quando ti senti in pericolo, la tua volontà di reagire cresce o si affievolisce? ……………………………………………………………………………………………………………………………………………….. 10) Un antico detto è :”Volere è potere”. Da 1 a 10 quanto sei d’accordo?
L’hai mai applicato?..................................................................................................................... 4.10 La determinazione Tra i sinonimi del termine volontà troviamo la determinazione, intesa come volontà di raggiungere quanto stabilito superando ogni ostacolo con fermezza, risolutezza, perseveranza nel tempo e anche ostinazione. Nella pratica sportiva ci troviamo spesso di fronte a scelte: come organizzare i tempi dell’allenamento, quale abbigliamento scegliere, a quale competizione partecipare. E’ buona norma fare un elenco scritto o mentale delle alternative possibili e scegliere la più consona al nostro stato del momento, alle capacità, ai desideri. Nelle decisioni, possiamo mostrare il lato istintivo o l’atteggiamento riflessivo; ci facciamo guidare dall’istinto, dal cuore, dai bisogni. Oppure possiamo decidere solo dopo un atto di razionalizzazione, facendo l’analisi della situazione, con ragionamenti e valutazioni ponderate. Capita anche di dover fare delle scelte in fretta, oppure in situazioni confuse (“non so quale tempo farà… quali gomme montare… se l’organizzazione è valida…”) Sono proprio le decisioni in condizioni di incertezza che ci danno la misura della nostra determinazione: incorriamo nel conflitto tra il desiderio che si verifichi una situazione e la probabilità che avvenga realmente. La persona determinata, dopo aver considerato le alternative, sceglie una strada decisa senza farsi bloccare o lacerare dai dubbi. Nel tratto di personalità determinata è presente anche una certa dose di perfezionismo. Il perfezionista nello sport è il soggetto che tende sempre al meglio, che cura ogni particolare delle sue azioni, che è portatore di una personalità positiva e ottimista. ATTIVITA’ – Sei riflessivo o istintivo? Leggi le domande e contrassegna la risposta che ti sembra più vicina al tuo modo di pensare. 1) Vedi arrivare contro di te una palla all’improvviso. Come reagisci? a) cerco di afferrarla; b) mi tiro indietro; c) non faccio alcuna mossa, non faccio in tempo. 2) La tua vacanza prenotata salta a causa di uno sciopero. Come cerchi di rimediare? a) Parto per una meta a caso; b) vado in agenzia per trovare un’altra meta, anche perdendo dei giorni di ferie; c) mi aggrego alla vacanza di altri amici, anche se non è l’ideale. 3) Ti offrono una cifra ingente per un’attività che devi iniziare subito senza sapere di che cosa si tratta realmente. Come ti comporti? a) accetto, poi vedrò se è il caso di tirarmi indietro; b) sospetto che ci sia il trucco e rifiuto; c) mi emoziono e comincio a sudare freddo. 4) Chiudi gli occhi e immagina una palla. Fissa bene l’immagine. Quale movimento sta compiendo? a) nessuno; b) sta scivolando lungo una discesa; c) sta rimbalzando. P.M. Esercizio di autovalutazione sulla riflessività ATTIVITA’ – Sei un perfezionista?
Leggi le frasi e contrassegna quelle che condividi. 1) Assisti a una trasmissione noiosa: a) continui fino alla fine perché ormai hai iniziato; b) resisti una decina di minuti; c) spegni o cambi programma immediatamente. 2) Se ti cambi dopo una gara: a) continui a indossare una tuta; b) scegli il primo vestito che capita; c) presti attenzione ai dettagli. 3) la tua borsa dello sport; a) è sempre in perfetto ordine; b) contiene solo una parte di ciò che ti serve; c) è un caos completo. 4) Devi partire per una gara: a) ti accerti personalmente che tutti i documenti siano in ordine; b) affidi ad altri l’incarico e poi controlli se tutto va bene; c) non ti preoccupi e controlli solo al momento di partire. P.M. Esercizio di autovalutazione 4.11 L’ottimismo L’ottimismo è un ingrediente essenziale per una vita felice e di successo; si basa sulla convinzione di essere arbitro del proprio destino, di controllare le proprie azioni. La persona ottimista ha un certo tipo di atteggiamento di fronte al successo. Non pensa che sia solo fortuna, ma crede fortemente che sia una conquista personale e una realizzazione delle proprie capacità. Quindi la persona “vincente” presenta uno stile interpretativo personale, pervasivo, permanente relativamente alla possibilità di successo, pensa cioè di riuscire sempre nelle imprese nelle quali decide di cimentarsi. Tale tipo di atteggiamento mette un’ipoteca alla possibilità di successo; si dice che la vita premia gli ottimisti; certamente aiuta a sviluppare e a monetizzare il proprio talento. C’è poi un rapporto diretto tra sport e ottimismo. Le prestazioni sportive coronate da successo, in genere, procurano una sensazione di benessere psicologico durante l’attività e oltre. Questo vale non solo per chi fa sport per divertimento come gli amatori, ma anche per i professionisti, i quali devono in ogni momento mettere alla prova non solo le proprie doti fisiche e psicologiche, ma anche il proprio atteggiamento verso la vita. Essere ottimisti porta a conservare anche da grandi una componente ludica, di puro gioco e divertimento, senza i quali si perderebbe la motivazione a continuare a fare sacrifici. ATTIVITA’ – Sei ottimista o pessimista? Leggi attentamente le domande e contrassegna le risposte che ritieni più vicine al tuo comportamento. 1) Qual è il tuo primo pensiero appena sveglio? a) che stress la vita; b) inizia un’altra giornata; c) vorrei che fosse già sera. 2) Che cosa pensi di chi si rivolge a maghi e cartomanti?
a) che sono degli sprovveduti; b) che scelgono la strada giusta; c) che fanno bene se ci credono. 3) Le tue gare vanno male da un po’ di tempo. Qual è il tuo pensiero principale? a) che può solo andare meglio; b) che al peggio non c’è mai fine; c) non so, vedremo. 4) Ti fanno un regalo. Che cosa pensi che ci sia nel pacchetto del dono? a) le solite cose deludenti; b) quello che desideravo; 3) qualcosa di utile. 5) Per te, quando un film è bello? a) quando ha un finale sorprendente; b) quando ha un finale realistico; c) quando ha un lieto fine. 6) Immagina una strada di cui non riesci a vedere la fine. Dove porterà? a) verso la libertà; b) verso il deserto; c) verso casa. P.M. Per l’autovalutazione. 4.12 Psico-regolazione e self talk L’atleta che tende al successo deve sviluppare la capacità di regolare il suo stato psichico, accrescere cioè quelle abilità psico- regolatorie che lo renderanno idoneo, in ogni stadio della sua attività, ad auto-influenzarsi. La strategia dell’unità psico-regolatoria comprende almeno tre attività: . gli esercizi respiratori; - gli esercizi mentali; - le auto istruzioni (self talk). Una corretta esecuzione degli esercizi di respirazione porta a regolare volontariamente l’atto respiratorio quando ci troviamo in stato di affanno e di sovra-eccitamento. Un buon inizio è quello di curare il rapporto temporale delle fasi respiratorie durante la camminata: inspirare per 4 passi, trattenere per 2 passi, espirare per 6 passi, poi respirazione libera prima di ricominciare la sequenza. Gli esercizi mentali si basano sulla rappresentazione mentale del movimento; ogni disciplina sportiva presenta movimenti specifici fondamentali, da apprendere e visualizzare con esattezza. Le auto istruzioni servono molto per formare una mentalità vincente. Si tratta di produrre pensieri, incitamenti, ordini, commenti, decisioni che un atleta formalizza per darsi una “carica”, per indirizzare la propria azione, per scaricare la tensione. In genere sono locuzioni molto personali, che non possono essere copiate da altri o imposte dall’esterno. Ognuno trova quelle parole che hanno una rispondenza emotiva e un significato proprio, le fissa nella memoria e le ripete nei momenti critici della prestazione. Con l’uso del self talk si fa ordine nei pensieri, con l’effetto di favorire un orientamento e una regolazione dell’attenzione e della concentrazione e di alzare o abbassare lo stato di attivazione. Ci riferiamo a comandi positivi, che rafforzano e sostengono l’atto sportivo: “Forza!”. “Sono tranquillo”. “Ho fiducia”. Vai ora!”. Non sono produttive le istruzioni improntate al pessimismo, come: “Oggi non sono in vena… C’è troppo vento per uscire… Ho la giuria sempre contro… Tanto è inutile, il mio avversario è superiore…”
L’atleta autoregolato riesce a trasformare i pensieri negativi in auto istruzioni positive e motivanti. Questi sono alcuni suggerimenti: - non fermarsi ai problemi (“sbaglio sempre la battuta”), ma al contrario evidenziare i punti di forza (“ho una battura potente”; - evitare i quantificatori assoluti come sempre/mai, tutto/niente (“non mi qualifico mai, perdo sempre, tutto è contro di me, niente mi va bene”) perché non rispondono ad assoluta verità e creano uno stato di rassegnazione che mal si combina con il successo. ZOOM – Le sei virtù (hight six) L’autoregolazione deriva dalla capacità di orientare i processi cognitivi verso le azioni e i comportamenti aderenti ai valori e agli obiettivi prefissati, impedendo così che questi siano vanificati dall’incuria e dalla pigrizia mentale. Una serie di indagini teoriche ed empiriche sull’autoregolazione e sulla qualità della vita condotta da Martin Seligman raggruppano in sei virtù le potenzialità dell’uomo: - saggezza, - coraggio, - umanità, - giustizia, - temperanza, - trascendenza. E’ possibile e auspicabile imparare ad autoregolarsi attivando le funzioni superiori della corteccia cerebrale relative alla regolazione cognitiva, alle percezioni e alle emozioni. Un metodo indicato è quello di restare in contatto con se stessi e con le proprie motivazioni, essere consapevoli della negatività di certi pensieri e rivederli utilizzando una nuova chiave di lettura più aderente alla realtà. ATTIVITA’ – A chi assomigli? Leggi i tre ritratti immaginari e contrassegna per ciascuno la risposta più vicino al tuo comportamento. 1) Andrea ottiene un ottimo risultato in tutte le gare alle quali partecipa. Ma se non si sente perfettamente in forma non si iscrive. Prima di ogni gara passa giorni e giorni carichi di angoscia. a) Gli assomiglio perfettamente. b) Sono simile per l’impegno, ma non per l’angoscia. c) Non mi riconosco per nulla in lui. 2) Gianni espone un suo parere all’allenatore circa il metodo di allenamento. Di fronte alle critiche, invece di ribattere e portare argomentazioni documentate, cade in un mutismo completo. a) Lo capisco, ma avrei agito in modo diverso. b) Io avrei agito come lui. c) Lo considero un incapace. 3) Cesare è stato invitato dagli amici in due luoghi diversi per la partitella. Ha passato l’intero pomeriggio cambiando continuamente i suoi progetti. Alla fine è rimasto a casa. a) E’ il mio ritratto. b) Non lo capisco. c) Può capitare, ma rivela una grande indecisione. ZOOM – I comportamenti rituali Il temine rito indica ogni atto, o insieme di atti, che viene eseguito secondo norme codificate. Ci sono molte riti connessi alla religione, al mito (si dice che il rito riassume e riattualizza il mito) e alla sfera del sacro: ogni rito religioso svolge la funzione di rendere tangibile e ripetibile l’esperienza religiosa, sottraendola alla dimensione tutta privata della mistica.
L’uomo religioso affida al rito i momenti più critici della sua esistenza personale e della collettività di cui fa parte, come ad esempio la nascita, la morte, il raggiungimento della pubertà, la guerra, cercando in esso la garanzia del mantenimento della propria identità e di quella della comunità di appartenenza. La sociologia mette in evidenza la componente sociale del rito, che permette di fondare o di rinsaldare i legami interni alla comunità. La psicanalisi ha inoltre mostrato la presenza di una ritualità in gran parte inconscia dei comportamenti quotidiani umani. Ricordiamo i riti di iniziazione, di passaggio, i riti propiziatori ed espiatori, le cerimonie rituali ricorrenti nelle feste, tutti i riti che accompagnano tutto il percorso della vita. Il rituale si avvale di una partecipazione emotiva profonda, senza la quale cessa di esistere. Si registrano molte manifestazioni rituali anche in ambito non religioso: ad esempio, i concerti rock o i mega-raduni diventano rito e vengono vissuti con una forte partecipazione emotiva. Un settore particolarmente ricco di manifestazioni rituali si ritrova nell’ambito dello sport; coinvolge gli atleti con propri atteggiamenti, credenze, piccole manie che servono a ritrovare sicurezza e fiducia nei momenti in cui la tensione è più forte: usano gesti ripetitivi, posture, parole e frasi, self talk.
CAP.5 LA GESTIONE DELLE RISORSE PERSONALI
“Ogni uomo è sotto certi aspetti:
a) come tutti gli altri uomini
b) come alcuni altri uomini
c) come nessun altro uomo.”
(Kluckhohn, Murray, Personality in Nature)
5.1 Dall’autostima alla scoperta del talento
Vivere in una condizione di autostima aiuta a coltivare al meglio il proprio talento naturale, a farlo
riemergere se era stato soffocato, a farlo crescere.
Quando parliamo di talento intendiamo l’insieme delle abilità presenti a livello spiccato in un individuo in
campi specifici: artistico, musicale, sportivo, organizzativo, ecc.
La questione aperta da secoli, se il talento sia dovuto esclusivamente a doti innate o all’azione
dell’ambiente, si risolve considerando entrambi gli aspetti.
Tutti abbiamo doti naturali che potranno emergere se opportunamente coltivate in un ambiente familiare e
socio-culturale stimolante.
Altra questione oggetto di analisi da parte di studiosi teorici dello sport riguarda il proposito educativo:
conviene tendere al potenziamento di una dote specifica per creare degli specialisti, oppure operare
un’azione di compensazione delle abilità per giungere allo sviluppo completo della personalità?
La storia dell’umanità è ricca di esempi attribuibili all’uno o all’altro caso: uomini geniali nel proprio
campo, ma deboli in altri settori; ma anche personalità complete con uno standard di creatività elevato in
diversi campi di azione.
Che apparteniamo all’uno o all’altro caso, ciò che interessa ribadire è che tutti abbiamo qualche talento
nascosto in una zona inesplorata del nostro cervello, una marcia in più in qualche settore da coltivare e da
valorizzare.
Dentro di noi abbiamo un’energia creativa che ci porta a vivere bene, a essere padroni della nostra vita,
che ci guida nelle nostre scelte, che accelera la guarigione da una malattia del corpo e della mente.
Quando, per motivi di carattere contingente, si rinuncia a se stessi, si mortifica il proprio talento; quando
si rimane succubi dell’influenza di altri, si dimentica la propria unicità.
Ma il talento non emerge se non viene scovato al nostro interno: va portato alla luce, va incanalato verso
la realizzazione, va coltivato, in qualsiasi momento della nostra vita. Il talento non invecchia, non
scompare con l’età; quindi ogni momento è valido per riaffermare la propria voglia di fare, di essere se
stessi al di là delle attese degli altri o delle condizioni frenanti in cui stiamo vivendo in questo momento.
Riassumendo:
Il talento ---------- appartiene a tutti, è il nostro vero io,
non ha età, è per tutta la vita,
aiuta a stare bene e a guarire.
Il talento ----------va liberato, lasciato fluire,
va incanalato e coltivato,
va educato.
ATTIVITA’ – Incontra il tuo talento
Chiudi gli occhi, respira profondamente, trova un momento di tranquillità intorno a te…
Dopo alcune respirazioni, sei pronto, rilassato…
Libera la tua mente da presenze opprimenti… da pensieri… da cose da fare… da persone…
In questo momento ci sei solo tu…
Chiama il tuo nome mentalmente… scandiscilo bene, visualizzalo…
una volta, due volte, fino a quando ti riconosci in pieno…
… inizia a porti alcune domande…
- Da piccolo, ero bravo a fare qualcosa di speciale?
Non rispondere subito… Cerca nella tua memoria…
Certamente c’era qualcosa… Che cosa?
- Da piccolo mi piaceva qualcosa in particolare?
Guardare una figura…
Un colore…
Toccare un oggetto…
Un profumo…
Un suono, una voce, una musica..
Che cosa in particolare?
- Ammiro una persona che conosco?
Che cosa ti piace di lei?
Il suo aspetto…
Il suo carattere…
- Ho un desiderio segreto da realizzare?
Quale?
Quali condizioni servirebbero per concretizzarlo?
Dipende da me o da altri la sua realizzazione?
Se hai ritrovato un desiderio sepolto, un interesse dimenticato, un campo in cui eccelli, fissali nella tua
mente, scrivili, cerca il modo per realizzarli… non è tardi…
P.M. Momenti di introspezione.
5.2 Il talento e lo sport
Il talento è una forza interna che porta alla creatività; in campo sportivo favorisce la prestazione di alto
livello.
Ciascun individuo si orienta verso una disciplina sportiva che, secondo lui, si addice alle proprie
caratteristiche fisiche e psicologiche.
Ma come nasce questa convinzione? La scelta risponde alle reali predisposizioni, oppure è inficiata da
altri elementi, quali la volontà dei genitori, le amicizie, le possibilità ambientali?
Alla base di una carriera sportiva dovrebbe esserci una precisa strategia per la scoperta e lo sviluppo del
talento specifico, al quale far seguire un sostegno concreto e illuminato da parte della famiglia, della
scuola, della società, delle istituzioni pubbliche.
Obiettivo della ricerca e della promozione del talento nello sport deve essere indirizzare il soggetto verso
quella pratica sportiva per la quale sussistono alcune condizioni irrinunciabili:
- la predisposizione verso l’attività sportiva;
- la motivazione a fare sport con costanza e impegno;
- le condizioni logistiche idonee.
Nella predisposizione dobbiamo inserire, oltre alle doti naturali, un’intelligenza motoria elevata che
consente lo sviluppo e la crescita psicofisica dell’atleta; quindi una personalità creativa, nella quale la
flessibilità e la capacità di adattamento a nuove situazioni favoriscono un’evoluzione delle capacità
motorie.
La motivazione a fare sport è il motore che trascina l’atleta alla costanza, alla sopportazione della fatica,
alla ricerca di sempre nuovi traguardi. Come detto, i fattori che determinano la scelta dello sport preferito
sono, all’inizio, esterni: genitori, fratelli, amici; ma occorre giungere, anche dopo oscillazioni da uno
sport all’altro, alla profonda convinzione personale, avvalorata da un esame realistico delle proprie
predisposizioni fisiche verso una determinata disciplina.
Fra le condizioni esterne, decisive sono l’attività di promozione e di sostegno delle strutture, l’atmosfera
favorevole che si respira nella famiglia, la facilitazione logistica, gli incentivi materiali.
Il mondo dello sport presenta tanti casi di talenti che si sono realizzati in pieno: questi sono esempi che
entusiasmano e motivano altri a seguire le loro orme.
Ma è pieno anche di molti talenti incompiuti, incompresi, incostanti, che non si sono potuti esprimere al
massimo delle loro capacità, che hanno abbandonato dopo i primi successi giovanili.
Non sempre il talento corrisponde al successo conclamato; le cause possono essere le più varie, ma resta
sempre il fatto che possedere una dote naturale, scoprirla, coltivarla, rappresenta una ricchezza interiore
da utilizzare per il proprio benessere psicofisico.
TESTIMONIANZE – I campioni dello sport
I campioni dello sport che ammiriamo nelle loro imprese non hanno subito scoperto la disciplina a cui
applicarsi con talento.
Un esempio ci viene da un campione del calcio in tempi non tanto lontani.
Racconta: “Da bambino, preferivo altri sport al calcio. Ero molto alto, allora provai prima il basket poi
la vittoria della Nazionale argentina ai Mondiali di calcio 1978 e le gesta dell'attaccante Mario Kempe
mi entusiasmarono. Incominciai a giocare a calcio con gli amici… non ero particolarmente bravo, ma fui
accolto in un piccolo club , poi nelle giovanili del Platense. Da allora iniziò la mia fortuna nel calcio.
Scoprii il mio vero talento: un tiro molto potente e veloce, una precisione di destro ma anche di sinistro,
con acrobazie segnando goal al volo, in rovesciata o in sforbiciata.
Un’altra abilità era nell’elevazione, così riuscivo a colpire di testa sovrastando avversari anche più alti.
Miglioravo e perfezionavo i tiri con sempre maggiore applicazione, in modo che diventai specialista
anche nei tiri da fermo, i tiri di punizione, tranne i calci di rigore che sbagliavo spesso.
Abbiamo altre testimonianze di talenti tardivi nello sport, nel senso che non subito si scopre la disciplina
in cui si eccelle.
Dice una pallavolista: «Ho sempre amato lo sport, mi piaceva cambiare: da giovanissima ho provato
tennis, nuoto, danza da piccolina; la mia specialità a scuola era il salto in lungo. Alla fine ho scelto il
volley perché era quello che mi divertiva più degli altri: è uno sport di squadra, dà vita a partite molto
avvincenti anche se non c’è contatto fisico. Mi piacevano il clima della squadra, le dinamiche dello
spogliatoio, il rapporto con l’allenatore e con le compagne. Per me la cosa più importante, e anche la
più bella, è riuscire ad assumermi delle responsabilità nei confronti delle compagne, aiutarle e
trascinarle verso l’obiettivo che ci siamo poste».
Il suo talento aveva bisogno di socialità per emergere.
Per una pattinatrice la strada è stata subito tracciata dagli inizi; è simbolo e campionessa del
pattinaggio italiano proprio fin dalla sua adolescenza: aveva quindici anni quando s'impose
all'attenzione del mondo sfiorando il podio agli Europei di Malmö e solo diciotto quando conquistò il
bronzo ai Mondiali di Mosca.
“Non ho cominciato a pattinare con l'obiettivo di diventare famosa, ma perché è la mia passione. Sono
stata fortunata perché ho conosciuto due famosi campioni.”
5.3 I fattori del talento sportivo
La scoperta dei talenti in campo sportivo impegna tecnici e ricercatori in un settore che presenta ancora
zone di ombra e di incompletezza. Tuttavia, qualche criterio è stato determinato. Secondo alcuni studiosi,
gli elementi che fanno credere di trovarsi di fronte a un futuro campione sono:
- le caratteristiche antropometriche: altezza, proporzioni del corpo, composizione corporea;
- le caratteristiche motorie: coordinazione, capacità di resistenza, frequenza respiratoria, frequenza delle
pulsazioni;
- le caratteristiche psichiche: motivazione, senso di responsabilità, caratteristiche di personalità. (Fonte
Baur).
Se vogliamo approfondire la conoscenza dell’argomento, possiamo fare riferimento agli studi sulle
tassonomie (elenchi strutturati di obiettivi operativi) in campo psicomotorio (Kibler).
Qualsiasi movimento umano volontario comprende:
- i movimenti riflessi;
- i movimenti naturali o fondamentali;
- le capacità percettive;
- le capacità fisiche;
- le abilità motorie;
- la comunicazione non verbale;
- la creatività.
I movimenti riflessi (flessione, estensione, induzione…) sono innati e sono alla base di tutti i movimenti
fondamentali attraverso svariate combinazioni, come succede quando camminiamo, ci pieghiamo,
saltiamo.
Le capacità percettive sono molto importanti perché aiutano a interpretare gli stimoli che provengono
dall’ambiente e ad adattarsi a esso.
Fra loro, troviamo:
- la discriminazione cinestesica, cioè la consapevolezza che ogni individuo avverte a proposito delle
relazioni fra il proprio corpo e lo spazio;
- la coscienza del proprio corpo, cioè la capacità di controllare il proprio corpo nelle azioni di bilateralità,
di dominanza destra-sinistra, di equilibrio (ad esempio, afferrare al volo un pallone con le due mani,
tenere la racchetta con la destra o con la sinistra, andare in bicicletta senza le mani sul manubrio);
- l’immagine corporea, cioè i sentimenti nei confronti del proprio corpo o delle parti di esso (accettazione
o rifiuto, con conseguenze psicosomatiche);
- le relazioni fra il corpo e gli oggetti circostanti, cioè la capacità di visualizzare la direzione di un
movimento o le figure create dal movimento del proprio corpo o da un oggetto nello spazio (traiettoria di
un pallone o di una freccia).
La discriminazione visiva è un altro fattore di determinazione del talento sportivo con queste componenti:
- l’acutezza visiva, cioè la capacità di ricevere e differenziare stimoli visivi fini (come distinguere un
segnale da un altro, cogliere le variazioni di forma e di colore);
- l’orientamento visivo, cioè la capacità di seguire con movimenti oculari coordinati un oggetto in
movimento (una palla di ping-pong, la palla da tennis, la posizione della ruota della bicicletta davanti a
sé);
- la memoria visiva, cioè saper riprodurre movimenti già osservati (pensiamo alla sequenza dei passi nella
danza, alle figure della ginnastica artistica, al nuoto sincronizzato, alle evoluzioni nel pattinaggio
artistico);
- la differenziazione fra una figura e lo sfondo, cioè la capacità di percepire il movimento di un oggetto o
di una persona rispetto all’ambiente (afferrare a volo una palla, tirare in una sagoma in movimento, tirare
un assist al compagno di squadra nel calcio);
- la persistenza percettiva, cioè la costanza nell’interpretazione delle forme (nel tiro con l’arco i bersagli
hanno dimensioni diverse e questo comporta un immediato adattamento visivo).
La discriminazione uditiva comprende:
- l’acutezza uditiva, cioè la capacità di differenziare i suoni, la loro intensità, l’altezza, il ritmo (il rombo
del motore nella corse in motocicletta e in automobile, le indicazioni tattiche nella pallanuoto
nell’ambiente rimbombante della piscina);
- l’orientamento uditivo, cioè la capacità di distinguere la direzione di un suono (provenienza di un
richiamo di un compagno di squadra per ricevere o lanciare la palla);
- la memoria uditiva, cioè riconoscere e riprodurre sequenze di suoni (comandi in sequenza, nel basket,
nel volley).
Le capacità percettive comprendono anche:
- la discriminazione tattile, cioè la capacità di distinguere la tessitura di una superficie al solo tatto
(riconoscimento e riproduzione di sensazioni tattili diverse);
- le capacità coordinate, cioè la coordinazione oculo-manuale e la coordinazione occhi-piedi
(indispensabili in tutti gli sport).
- le qualità fisiche, determinanti nell’attività sportiva, ossia le caratteristiche funzionali dell’organismo;
s’intendono la resistenza muscolare e cardio-vascolare, la forza, la scioltezza, l’agilità.
5.4 Le competenze motorie
Consideriamo in particolare quest’ultima, cioè la capacità di muoversi rapidamente e di reagire a uno
stimolo con prontezza. Pensiamo al “pronti – via” alla partenza di diverse gare: discese sciistiche,
cronometro nel ciclismo, partenze nella canoa e nel canottaggio, corse di atletica, automobilismo dove
l’importanza dello scatto iniziale è portata all’eccesso.
Per raggiungere una buona competenza nell’agilità, consideriamo:
- il tempo di reazione, cioè il tempo che intercorre tra la comparsa di uno stimolo e la risposta (avere uno
scarto di tempo minimo tra il segnale di avvio di una corsa veloce e lo scatto, dover superare un ostacolo
improvviso con la mountain bike);
- il cambiamento di direzione, cioè la capacità di realizzare repentinamente e all’occorrenza una modifica
nella direzione di corsa propria o di un avversario o di un oggetto (risposta a un pallonetto nel tennis,
evitare un ostacolo in corsa, fare una finta nella lotta);
- l’arresto e la partenza, cioè saper iniziare e terminare un movimento senza esitazione, avere un tempo di
risposta ottimale a una situazione nuova (fermarsi di botto alla partenza falsa, schivare un colpo nel
pugilato e sferrarne uno di rimessa);
- la destrezza, cioè l’abilità fine nelle discipline sportive basate su movimenti precisi della mano e della
dita (tiro con l’arco, tiro al piattello).
Le abilità motorie dipendono dai fattori finora illustrati; inglobano il controllo di movimenti
fondamentali, l’efficacia della percezione, le capacità fisiche sviluppate. Possiamo catalogarle come
movimenti di destrezza; fra questi, troviamo:
- la capacità di adattamento, quando i movimenti di base sono modificati a fronte di nuove situazioni
(palleggiare da fermi, camminando, correndo, in avanti, indietro, di lato);
- la capacità composta di adattamento, quando l’abilità raggiunge un livello superiore e si applica al saper
maneggiare con perizia uno strumento (in tutti i giochi di racchetta, tennis, badmington, ping-pong, nel
golf);
- la capacità complessa di adattamento, quando si applicano leggi fisiche al corpo umano (le acrobazie in
ginnastica, il salto con l’asta, i tuffi dal trampolino, la danza acrobatica).
Ciascuna di queste competenze, semplice, composta, complessa, poi a sua volta si articola in livelli:
principiante, livello intermedio, abile, esperto, in un crescendo di efficacia motoria.
La comunicazione non verbale, cioè l’insieme delle pratiche comunicative che non avvengono tramite la
parola scritta e orale, comprende:
- il movimento espressivo, costituito dalla postura del corpo, dall’andatura, dai gesti, dall’espressione del
volto (la danzatrice sorride anche nel pieno dello sforzo fisico …);
- il movimento interpretativo, nel quale comprendiamo il movimento estetico, proprio di tutte le
prestazioni ad alto livello in cui l’atleta deve anche mostrare grazia e fluidità di movimento, oltre alla
forza;
- il movimento creativo, che deve anche trasmettere un messaggio e un’espressione, come succede in tutti
i tipi di danza.
E’ inteso che gli esempi sono indicativi; in realtà in tutte le discipline sportive sono presenti, in dosi più o
meno cospicue, i fattori che consentono di individuare la presenza di un talento innato, associato alla
creatività personale.
Riassumiamo i fattori del talento sportivo:
- capacità percettive,
- discriminazione visiva, uditiva, tattile,
- coordinazione e gestualità,
- qualità fisiche,
- abilità motorie specifiche,
- creatività.
5.5 I valori dominanti
Parlare di valori oggi giorno sembra anacronistico; i valori del passato sono ormai in gran parte estranei
alla cultura moderna, e così anche la fiducia nel futuro.
Ma in assenza di valori morali l’identità personale non ha punti di riferimento e confini definiti, sotto
l’incalzare di continue innovazioni e di aperture culturali dell’odierna società, affannata dai ritmi veloci.
Il concetto di valore varia da individuo a individuo, poiché dipende da valutazioni personali e dalle
condotte individuali; constatiamo ogni giorno le difformità di giudizio: per qualcuno un’azione è giusta e
giustificabile sotto il profilo morale, per altri invece è sbagliata e al di fuori della legalità.
La formazione del codice morale deriva in parte dalla naturale evoluzione del carattere di un bambino e in
gran parte dai condizionamenti socio-culturali e dalle regole indotte dalle istituzioni (famiglia, scuola,
chiesa, stato...).
Esistono quindi differenze di età, di cultura, di religione, di sesso.
Uno dei primi fattori di formazione dei giudizi morali è dato dalla famiglia. I genitori fanno da modello
per i figli, formano le abitudini, insegnano a rapportarsi con le vicende della vita. Non è facile il “mestiere
di genitori”: essi devono possedere un grande equilibrio; più sono permissivi, meno il bambino sarà in
grado di orientarsi autonomamente, ma più sono severi, meno l’apprendimento delle norme sarà sicuro.
Le regole morali devono essere interiorizzate per essere valide e per rimanere integre nel corso della vita,
quando occorre manifestare autocontrollo, quando si deve decidere ciò che è “giusto” o no senza la
minaccia di sanzioni. Così si forma una “coscienza” che resterà salda nei suoi principi,
indipendentemente dal controllo esterno.
Un altro fattore per la formazione dei valori morali è rappresentato dalla società: essa decide quali sono i
confini fra il comportamento normale e il comportamento deviante, quali sono le attitudini da sviluppare,
quali le qualità di una persona da ammirare, quale atteggiamento tenere verso l’infanzia e la vecchiaia, il
rispetto per i genitori, il significato del lavoro e del denaro, il diritto al divertimento, l’approccio fra i
sessi.
Esiste indubbiamente una gamma di valori che caratterizzano i tipi di società, che variano da un paese
all’altro, ma anche, nello stesso paese, da un periodo all’altro e ai quali l’individuo deve conformare la
propria condotta per non trasgredire.
5.6 La trasgressione
Consideriamo il meccanismo di “trasgressione morale”: da che cosa dipende?
Il comportamento individuale, oltre che dai tratti di personalità, è condizionato da una serie di fattori, in
primo luogo dall’approvazione o meno della cerchia di persone intorno. Se queste approvano, allora ciò
che sembrava sbagliato può passare come accettabile o, viceversa, l’azione moralmente corretta può
essere fatta apparire come ridicola, datata, antiquata.
La categoria di classe sociale di nascita e di appartenenza, le frustrazioni sociali ed economiche, le
condizioni di vita interferiscono maggiormente con i valori morali. I giovani fanno presto ad adottare
atteggiamenti e modelli di comportamento del loro ambiente, a uniformarsi ai valori dominanti nel
gruppo, a sentirsi stimolati e giustificati dai suoi componenti.
Il genere di vita familiare, i legami affettivi ed emotivi, gli insegnamenti, la coerenza nell’agire, la
sicurezza, le credenze, i punti di vista, gli esempi dei genitori sono tutti elementi che hanno un’influenza
formativa sul ragazzo agli effetti del consolidamento dei valori morali o della tendenza alla trasgressione.
Anche l’influenza religiosa incide, con le sue norme e i suoi tabù appresi fin dall’infanzia che il credente
si porta dietro per tutta la vita. Gli studi fatti al riguardo dimostrano che, se è vero che la pratica religiosa
favorisce l’ascetismo e il misticismo, non garantisce di per sé il rispetto dei valori morali e non riduce
l’incidenza delle trasgressioni.
Se un giovane possiede un forte codice morale è in grado di superare anche lo scoglio della
disapprovazione della moltitudine o la lusinga dell’approvazione interessata; è in grado di resistere, anche
in condizioni precarie, al miraggio del facile successo anche attraverso pratiche illegali.
5.7 I valori nello sport
La personale filosofia di vita si basa sui convincimenti e sui principi morali di ogni individuo e la
filosofia di vita coincide con la filosofia dello sport: è quanto sostiene l’autorevole studioso Martens nella
sua corposa opera citata in bibliografia, rivolta agli allenatori e agli atleti.
Lo stesso ragionamento vale per il concetto di valore: se la lealtà è il valore dominante nella vita, lo sarà
in tutte le manifestazioni, comprese quelle della pratica sportiva. Se raggiungere la vittoria ad ogni costo
diviene l’aspetto più importante della propria attività, allora anche lo sport ne sarà condizionato.
Nel bagaglio di ciascun atleta non si trovano solo racchette, ruote, divise. Trovano posto anche il suo
carattere, le sue opinioni, il criterio per valutare eventi e persone, la sua adesione a modelli precostituiti,
insomma tutta la gamma dei principi in cui crede.
Il valore dominante nello sport, dal quale discendono tutti gli altri, è l’auto-realizzazione, indicato anche
come meta e obiettivo da realizzare, che si attua tramite altri valori come la lealtà verso l’avversario,
l’onestà, il rispetto delle regole stabilite, il senso di responsabilità, lo svolgimento dei propri compiti, in
allenamento, in gara, nella vita comunitaria.
Quando si perdono di vista questi elementari valori, si scivola nel limbo delle scelte sbagliate, della
ricerca del facile successo; si devia quindi dal codice morale, perdendo di vista gli aspetti positivi
dell’auto-realizzazione attraverso lo sport.
5.8 La scoperta del talento
Non sempre il talento emerge spontaneamente e spesso si registrano abbandoni dell’attività sportiva
iniziata da giovani. Raccogliendo i risultati di alcune indagini sull’argomento, si possono elencare a
grandi linee i principali motivi per cui questo avviene:
- perché il ragazzo è insoddisfatto del suo istruttore;
- perché non si diverte più;
- perché non raggiunge i risultati sperati;
- perché non vince più;
- perché ad allenarsi si fa fatica;
- perché non ha più motivazioni…
Quali rimedi opporre per evitare la perdita di tanti giovani talenti?
Come più volte detto, spetta alle istituzioni dello sport predisporre iniziative valide per la diffusione dello
sport a livello giovanile ; in questo modo si manifestano i talenti del giovani e si dà modo di praticare lo
sport o almeno di avvicinarsi allo sport.
A partire dal CONI, anche le Università di scienze motorie devono insegnare la pedagogia dello sport per
formare istruttori e allenatori, nonché insegnanti attraverso l’approfondimento dei gesti motori con
materie come fisiologia e biomeccanica .
Ministero e Federazioni nei loro corsi possono creare occasioni utili a scoprire talenti in età giovanissima,
compatibilmente con la loro crescita armonica.
Una procedura valida è quella di offrire la possibilità al ragazzo di provare diversi sport a livello ludico;
spesso succede che è proprio il ragazzo che sceglie di andare verso la pratica sportiva della disciplina in
cui emerge o che lo affascina. Solo successivamente si passa al lavoro specifico per consolidare i
movimenti fondamentali.
Il talento può anche non comparire presto, ma assistiamo spesso a una vera e propria “caccia al
campione” nell’ambito di giovanissimi da parte delle Società Sportive.
ZOOM– Il talento e i giovani: futuro e opportunità.
Incontriamo iniziative che tendono proprio a valorizzare le opportunità dei giovani talenti.
Un esempio è il concorso lanciato dalla Provincia di Brescia.
Riservato ai ragazzi tra i 18 e i 35 anni residenti in provincia o iscritti alle università bresciane, anche se
non residenti, il concorso ha per tema la capacità di creare format inediti dal punto di vista
organizzativo, comunicativo e imprenditoriale su quattro tematiche ben individuate.
Fra i titoli: Diamo una scossa a Brescia;
L'impresa del futuro:
- dal produttore al consumatore attraverso i nuovi sistemi di comunicazione;
- il futuro dello sport nella provincia di Brescia … un’opportunità di business.
ATTIVITA’ – Che cosa fare in concreto?
Un’iniziativa del movimento Panathletico e Lionistico al fine di individuare i bisogni relativi
all’associazionismo dello sport propone progetti con valori condivisi, stimolando, ad esempio, la
ricerca di soluzioni concrete e rapide partendo da alcuni interrogativi:
- Come favorire l’educazione ed incentivare la pratica sportiva nelle varie fasce d’età affinché non vi
siano ragazzi solo in tribuna, ma ragazzi in campo?
- Come evitare gli abbandoni dell’attività sportiva tra i 12 ed i 20 anni?
- Come diversificare la formazione degli istruttori/allenatori in base all’età ?
- Quale ruolo debbono assumere lo stato, le regioni e gli altri enti locali per stimolare la nascita e la
crescita dell’attività sportiva ed in quali forme e misure debbono intervenire direttamente, ovvero in
quale modo possono stimolare l’intervento dei privati?
- Quali forme di finanziamento sono ipotizzabili e più funzionali per garantire ai cittadini il diritto di
praticare sport?
Cercare risposte a questi interrogativi, attivarsi per risolverli tramite iniziative è la strada da seguire.
5.9 Il “seme” che cresce
Prendiamo a prestito questa bella metafora per ribadire un concetto fondamentale: l’importanza
dell’educazione in età evolutiva.
Di questo devono essere consapevoli gli allenatori e i direttori sportivi per salvaguardare in ogni caso il
processo di crescita dei ragazzi attraverso la pratica motoria, tenendo comunque presenti i rischi della
precoce attività agonistica.
Si richiede in primo luogo di trasmettere la passione e l’entusiasmo per affrontare i sacrifici e l’impegno
necessari per divenire atleti di alto livello in un contesto in cui si verifica l’impoverimento delle
prestazioni fisiche dei ragazzi nei paesi industrializzati in controtendenza dei paesi emergenti.
Se paragoniamo le prestazioni sportive di questi ultimi anni, ad esempio in ambito scolastico, risulta un
regresso nelle prestazioni: sono coinvolte in questo fenomeno le variate condizioni socio-economiche e le
abitudini derivanti, come la maggiore sedentarietà, il sovrappeso, il disinteresse, il drop-out.
I giovani “semi” crescono e occorre fornire loro una serie di strumenti:
- orientamento alla specialità più adatta alle capacità individuali;
- possibilità di confronti con coetanei di altri stati;
- fidelizzazione verso lo sport;
- programmazione di allenamenti non solo della disciplina specifica, ma comprendente anche altre
attività, supporto competente per pianificare tempi e carichi di lavoro;
- programmi di eccellenza motoria e sportiva.
Con tali premesse è possibile attivare la ricerca di talenti, che non significa solo riuscire a rintracciare
fenomeni mondiali, bensì la predisposizione all’attività sportiva attraverso parametri quali caratteristiche
e qualità fisiologiche, motorie, psicologiche.
Il talento va ricercato non solo fra gli atleti, ma anche fra gli allenatori, i tecnici.
“Per avere atleti di talento sono indispensabili allenatori di talento”.
ATTIVITA’ – Il talento nel cassetto
Riscopri un tuo talento soffocato riflettendo su queste domande:
1 – In quale momento dell’anno ti senti più attivo?
……………………………………………………………………………
2 – Quali attività fai o ti piacerebbe fare in quei momenti?
……………………………………………………………………………
3 – Quando sei depresso, che cosa faresti per tirarti su?
……………………………………………………………………………
4 – Quali fra le seguenti proposte ti attira di più?
Ascoltare musica
Cantare
Scrivere
Fare una passeggiata
Fare una nuotata
Vedere la TV
Chiacchierare con amici
Mettere in ordine
Fare un viaggio
……………………………………….
………………………………………
Dalle tue risposte emerge un’inclinazione che puoi coltivare.
Scrivi qui i tuoi propositi:
………………………………………………………………………………………………….
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
ATTIVITA’ – Lascia un segno
Se credi non sapere fare niente, ricordati di lasciare un segno del tua passaggio.
Cammina sulla sabbia scalzo e controlla l’impronta dei tuoi piedi.
Osserva le differenze fra l’impronta del piede destro e del piede sinistro. Quale è più profonda?
Fai lo stesso con le mani e controlla.
Porta con te le immagini delle impronte delle mani sulla sabbia.
Al mattino prima di uscire di casa lascia un segno da ritrovare al rientro: un fiore, un oggetto spostato .
Se fai un impasto per biscotti, imprimi il segno personale, es. con il pollice, con la forchetta. Puoi farlo
con il pane, con la pasta.
Se sei in un ufficio, osserva la scena che vedi e immagina di fare un cambiamento nella disposizione delle
cose.
Guardati intorno in città e colora con la mente le zone grigie. Come cambierebbe il panorama?
Anche nell’attività motoria puoi personalizzare: se ti alleni in bicicletta o a piedi, cambia percorso fra
andata e ritorno.
Fai una sosta e lascia un’impronta del tuo passaggio. La ritroverai quando torni.
Prendi l’abitudine di personalizzare ogni aspetto della tua vita… così possono emergere capacità
nascoste che fino ad ora non sapevi di possedere; da questo parte la scoperta del tuo talento.
ATTIVITA’ – Dall’ordine al disordine e viceversa
Un valido esercizio per rivedere i nostri schemi abitudinari.
Apri un cassetto della tua scrivania o del tuo comò.
Qualunque cosa ci sia, versa il contenuto su un piano.
Prendi gli oggetti uno a uno e considera che cosa è, che cosa rappresenta per te, da quanto è lì, perché è
stato messo in quel cassetto, da quanto tempo non lo usi, se è ancora utile…
A seconda delle tue considerazioni, riponilo di nuovo nel cassetto, oppure decidi di buttarlo, oppure trovi
un’altra collocazione.
Puoi farlo con la cassetta degli attrezzi, con la borsa dello sport.
Fai questo per tutti gli oggetti.
Il tempo che impieghi serve per lasciare spazio nella tua mente e far emergere nuove idee.
Come ti senti dopo averlo fatto?
……………………………………………………………………………………………………………..
ATTIVITA’ – Rovista nei ricordi
Raccogli tutte le fotografie che trovi in casa e mettile in una scatola.
Una volta fatto, capovolgi la scatola e spargi le fotografie.
Inizia il viaggio nei ricordi, a caso.
Scegli una fotografia a occhi chiusi e poi osservala.
Quale commento ti suscita?
Scegli una parola per riassumerlo. Scrivila nel retro.
Poi guarda bene tutte le fotografie e scegli quella che ti suscita un ricordo particolarmente stimolante: la
situazione, con chi e dove eri, come vivresti ora quella situazione…
Scrivi un breve pensiero.
……………………………………………………………………………………………………………
Reinventa situazioni simili.
5.10 La creatività dell’autorealizzazione
La vita stessa è un esempio di creatività biologica.
Le trasformazioni chimiche nel nostro organismo sono un esempio continuo di attività creativa. Come la
creatività non consiste in un unico lampo di genio, così la scoperta del talento esige una ricerca serrata di
condizioni e il rifiuto dell’apparenza iniziale. La base di partenza è certamente possedere la dote del
talento, ma deve trovare l’ambiente congeniale in grado di sviluppare l’inclinazione.
Uno stesso stimolo non provoca sempre la stessa reazione e questo dà spazio a infinite varianti fino ai
livelli elevati di idee e scoperte originali.
E’ alla portata di tutte le persone avere un atteggiamento creativo.
A quali condizioni?
Provare curiosità per le cose, sapersi concentrare nel presente, accettare conflitti e tensioni interiori, saper
accettare i momenti di dolore e non solo quelli di gioia.
La motivazione alla creatività porta alla realizzazione di se stessi e alla scoperta del proprio talento.
Che cosa intendiamo esattamente quando parliamo di creatività?
Nella maggior parte dei casi si intende l’originalità nell’ affrontare le situazioni che si presentano:
l’artista è creativo, il ginnasta che inventa un esercizio è creativo, uno scienziato inventore è creativo.
Questi rappresentano i picchi della creatività, ma tale interpretazione non è del tutto esatta, o almeno è
limitante.
“La creatività è il processo attraverso il quale si formano idee o ipotesi che possono essere sperimentate e
realizzate” (Torrance). Parliamo dunque di originalità, ma nel contempo di processi di sperimentazione: i
processi mentali si realizzano attraverso operazioni che portano a prodotti specifici nei vari settori di
applicazione, dal mentale al fisico, dal commercio all’arte, dall’individuo alla società.
E’ utile allargare la prospettiva dell’argomento. La distinzione fra pensiero convergente e pensiero
divergente si applica anche alle espressioni comportamentali in ogni ambito della vita quotidiana.
In campo sportivo assistiamo spesso a comportamenti divergenti: il calcio di rigore a cucchiaio, il salto in
alto dorsale, la capovolta nel nuoto particolarmente prolungata sotto il pelo dell’acqua…
Le regole per applicare la creatività a livello mentale sono applicabili a tutti i settori. Il pensiero
divergente dà risposte non comuni ai problemi e si traduce in azioni divergenti, comportamenti divergenti
e inaspettati.
Tra i fattori che sono propri del pensiero creativo c’è quello dell’originalità. Ma non è certo l’unico.
Possiamo considerate questi criteri:
- La sensibilità ai problemi nei contatti con le persone e con la natura.
- La fluidità, cioè l’immaginare svariati impieghi di oggetti comuni, indipendentemente dall’uso consueto
e codificato dall’abitudine, oltre alla scorrevolezza e vivacità del pensiero e delle azioni.
- La flessibilità, saper adattarsi a situazioni nuove che si presentano improvvisamente; parleremo in
seguito del coping.
- La capacità di ridefinire i dati di un problema e di un esercizio anche utilizzando procedure e materiali
diversi.
- La capacità di analisi nel senso di saper scomporre una procedura, uno stato mentale, una percezione,
una sensazione.
- La capacità di sintesi, saper ritrovare uno sguardo globale in relazione a stimoli dispersivi, saper
raggruppare in attributi e categorie .
Infine, l’originalità che si oppone al conformismo, al consueto, al prevedibile e offre innovazioni di alto
livello che testimoniano il talento.
TESTIMONIANZA - Variare i percorsi
La monotonia spesso affievolisce la motivazione nell’allenamento. Ecco come supplisce un ciclista
quando si appresta a percorrere 100 km di strada.
“Innanzi tutto guardo bene la cartina e decido di fare strade sempre diverse.
All’andata passo per un paese, poi ritorno da un’altra parte, calcolando bene le distanze. Mi piace
guardarmi intorno, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Nonostante sia passato tante volte di lì, non avevo mai notato una piccola cappella sul lato sinistro della
strada. Procedo oltre, ma intanto nella mia testa inizio a immaginare quale vita si sarà svolta intorno, da
quando è abbandonata… Riesco quasi a inventare delle storie!
Intanto macino chilometri, la pedalata è fluida, il mio fisico sta bene.
Quando posso, non faccio la stessa strada al ritorno; sarebbe noioso. Spesso faccio piccole deviazioni,
preso dalla curiosità di dove porterà quella strada…
Purtroppo è capitato anche che non ho fatto i conti bene e sono dovuto rimanere in sella più a lungo…
La fatica è stata ripagata dalle ore che ho dedicato a me, spensieratamente!”
5.11 La creatività impedita
La creatività è innata oppure può essere coltivata?
Lo stesso interrogativo si può proporre riguardo il talento. Esaminiamo alcune considerazioni di studiosi
dell’argomento.
E’ stata rilevata l’importanza del clima di libertà per lo sviluppo del pensiero divergente in riferimento
all’ambiente familiare e a quello sociale (scolastico, sportivo, ricreativo).
Cropley ha osservato che i bambini molto creativi provengono da uno specifico ambiente familiare che
presentano questi fattori:
1) le caratteristiche della personalità e dello stile cognitivo dei genitori;
2) il tipo di rapporto tra genitori e figli;
3) la presenza o meno di altre persone in famiglia (fratelli) e la posizione relazionale comune.
I genitori devono coltivare molti interessi, le madri devono essere poco ansiose, i rapporti improntati a
fiducia nelle capacità dei figli e ad ampia autonomia.
Sono stati individuati gli ostacoli o i blocchi che possono “tarpare le ali” ai bambini: essi sono di natura
percettiva, culturale, emotiva e affettiva.
Si impedisce lo sviluppo della creatività e di conseguenza delle doti talentuose:
- quando c’è standardizzazione di occupazioni e i tempi sono prestabiliti;
- quando viene scoraggiato il desiderio di compiere esperienze;
- quando c’è povertà di stimoli e anche il gioco è ripetitivo;
- quando si svalorizzano e sottovalutano le proposte e i risultati di qualcosa intrapreso autonomamente;
- quando si mortificano le espressioni di sentimenti.
TESTIMONIANZA- Il genitore incoraggiante
Un genitore che vuole aiutare il figlio a sviluppare una personalità autonoma e creativa è attento a
questi atteggiamenti:
- sviluppa un clima sereno e creativo in famiglia;
- incoraggia la manipolazione di idee, oggetti, atteggiamenti;
- insegna a sperimentare ogni idea fino in fondo;
- abitua alla tolleranza di fronte a nuove situazioni (idee, persone, comportamenti);
- insegna il modo per neutralizzare eventuali ostilità (in famiglia, nel gruppo);
- cerca di dissipare il timore reverenziale verso le imposizioni;
- non vuole inculcare una modalità prestabilita;
- sviluppa non solo il senso critico, ma anche la critica costruttiva;
- provoca la necessità di pensare creativamente fornendo occasioni e mezzi;
- sviluppa lo spirito d’avventura…
Attenzione! Non si tratta di un formale elenco; a ciascun atteggiamento corrispondono situazioni ben
precise e altrettanti momenti di auto-analisi, nonché eventuali correzioni di rotta da parte dei genitori.
ATTIVITA’- Prove di creatività
Si tratta di una batteria di 5 subtest illustrati da D’Alessio- Marinetti che aiutano a verificare la propria
creatività.
Consegna: Dare il maggior numero di risposte possibili .
Verifica: Per verificare il livello di creatività, si possono confrontare le risposte con altre persone.
PROVA ESEMPI.
Scrivi il maggior numero di cose appartenenti a una determinata classe (es. cose rotonde, quadrate, che
si muovono su ruote, che si lanciano)
Esempio. Cose rotonde.
Palla, cerchio, …………………………………………………………………………….
PROVA LINEE.
Da un semplice disegno di una linea, che cosa ti viene in mente?
………………………………………
……………………………………..
PROVA USI.
Dire tutti i possibili usi di certi oggetti (può servire per…) :
giornale ……………………
scarpe ……………………….
Asticelle ……………………
PROVA SIGNIFICATI.
Data una bozza disegnata, che cosa potrebbe diventare se fosse completata?
PROVA SOMIGLIANZA.
Dati due oggetti, trova i possibili punti di somiglianza.
Lo stesso (a livello più elevato) si può fare fra due concetti o opinioni.
Ad esempio: Trova i possibili punti di somiglianza tra l’ottimismo e la creatività.
.
TESTIMONIANZA – Prova di flessibilità mentale
La consegna era: essere rilassata, fare il vuoto mentale, immaginare un palcoscenico e calare il
tendaggio scuro; tutti i pensieri e le preoccupazioni restano dietro…
Devo in primo luogo immaginare un quadrato.
Dapprima è impercettibile, il perimetro è sottile…
Lo immagino su un campo bianco, il quadrato è nero, è vuoto…
Lo trasformo in cubo… è rosso, come un dado… poi lo vedo bianco…
Ruota come una trottola, con le punte.
Di conseguenza si trasforma bene in una sfera, ma è diventata di acciaio, metallica…
Non ho pensato che fosse pesante, non so se ruotava…
Nella trasformazione a cerchio mi si è sciolta, come fosse stata di stagno, ed era lamiera… Ho provato a
staccarla.
Sono riuscita a staccarla, tipo carta da cioccolatino, sottile.
Dovevo trasformarla in cerchio, ma non ci sono riuscita .
Ho fatto fatica a immaginare la figura piana.
Mi sono trovata bene nel cubo da fermo. Era ben chiuso in tutte le pareti. Sembrava pieno.
Ho avuto difficoltà a mettere a fuoco le immagini.
Non avvenivano le trasformazioni come volevo…
Mi piacevano le immagini spiaccicate per terra, in modo da essere invisibili, come vorrei essere io in
campo.
5.12 Il talento creativo
Assumiamo il concetto che talento e creatività sono strettamente collegati: si nasce con un talento, ma se
non si coltiva resta nascosto. Sorgono alcuni interrogativi.
Come scoprire la creatività potenziale latente?
Come promuovere un clima che aiuti ad esprimersi in tutta la propria potenzialità?
Come incentivare a superare timori, pigrizia, disistima al fine di giungere all’autorealizzazione?
Secondo gli studiosi della creatività, il processo educativo non ha limiti e fine:
”Chi può mettere limiti all’ascesa dell’uomo o al suo potere di superare le realizzazioni già conquistate?”
(Mumford)
Ne è una prova il settore dello sport: ad ogni grande manifestazione di alto livello (Olimpiadi, Campionati
mondiali) assistiamo a eclatanti performance e superamenti di record fino ad allora ritenuti impossibili.
Ma è la stessa cosa anche nell’attività a livelli più modesti e amatoriali: quante volte succede di riuscire in
un’impresa che ci sembrava troppo lontana dalle nostre possibilità!
In ultima analisi, è un continuo processo di autorealizzazione.
Arnold propone un programma di sviluppo personale in 10 punti che, nella loro semplicità, indicano la
via maestra per valorizzare il proprio talento creativo e per scoprirlo negli altri.
1 – Conosci quanto più possibile te stesso.
2 – Ascoltati. Annota le tue sensazioni e i tuoi pensieri.
3 – Poniti tutti i giorni una domanda.
4 – Migliora le tue capacità nel tuo settore specifico.
5 – Allarga la sfera dei tuoi interessi leggendo e confrontandoti.
6 – Coltiva i tuoi passatempi preferiti.
7 – Adotta una modalità di comprensione in ogni momento della tua giornata.
8 – Coltiva il senso dell’umorismo.
9 – Lasciati andare ai sogni ad occhi aperti.
10 – Sviluppa le tue facoltà mentali: interroga, osserva, percepisci, associa, prevedi…
ATTIVITA’- Scopri il tuo suono personale
Trova un momento della giornata in cui non puoi essere disturbato.
Cerca di isolarti dalla presenza di altri.
Mettiti in posizione comoda, sostenuta da una poltrona o sul letto.
Fai una profonda respirazione.
Cerca il silenzio.
Ora inizia a fare dei vocalizzi… all’inizio possono essere solo sospiri…
Poi fai emergere dei suoni semplici, vocali, modulazioni di voce.
Via via la tua mente si calma, il corpo si rilassa.
Mentre vocalizzi, poni le mani su alcune parti del tuo corpo: la gola, la pancia, il petto… senti le
differenze.
Fai attenzione al tono della voce. Emetti una vocale con un suono prolungato, cambiando intonazione.
Ciascuna vocale emessa provoca delle vibrazioni nel corpo diverse.
Prova con ciascuna:
aaaaa…
eeeeee…
iiiiiiiii….
ooooo…
uuuuu…
Dopo che ti sei ascoltato, puoi verificare quale è la tua preferita, cioè con quale ti trovi più a tuo agio.
Se ripeti l’esercizio dopo alcuni giorni, sentirai che ogni vocale corrisponde a uno stato d’animo.
Pensa alle esclamazioni che hai studiato in grammatica!
P.M. Rientrare in se stessi.
ATTIVITA’ – Crea suoni onomatopeici
Puoi svolgere gli esercizi anche con certe consonanti.
Trova i suoni della natura. E’ un modo per entrare in stato di rilassamento e far scaturire i propri talenti
nascosti.
Trova un momento della giornata in cui non puoi essere disturbato.
Cerca di isolarti dalla presenza di altri.
Mettiti in posizione comoda, sostenuta da una poltrona o sul letto.
Fai una profonda respirazione.
Cerca il silenzio.
Inizia con una consonante, es. la M.
Rilassa la bocca ed emetti il fonema della lettera M; diventa una specie di mormorio.
Poni le mani sulle guance e avverti le vibrazioni.
Respira normalmente, non forzare… il suono deve scorrere liberamente.
Orienta il suono verso la gola e senti la vibrazione.
Prolunga il suono della M. Poi appoggia le mani sul petto e senti come le vibrazioni scendono.
Fai una pausa, poi ricomincia. Senti la vibrazione con le mani sull’addome.
Infine fai un sospiro per liberare le ultime tensioni.
In un momento successivo puoi ripetere l’esperienza con altre consonanti.
Puoi abbinare ai suoni della natura.
Esempio. La F per il soffio del vento più o meno forte.
La S per il fruscio o il sibilo.
La V per la velocità.
P.M. Dal contatto profondo con se stessi alla scoperta del proprio talento
II PARTE LA PREPARAZIONE MENTALE NELL’ATTIVITÀ
MOTORIA E SPORTIVA
“La vita umana non sarà mai capita, se non si terrà conto delle sue
aspirazioni più alte.
Lo sviluppo, l’autorealizzazione, lo sforzo di raggiungere la sanità, la
ricerca dell’identità e dell’autonomia, il desiderio di eccellere (e altri modi
di esprimere lo sforzo di ascendere) devono essere ammessi senza
discussione, come una tendenza umana assai diffusa e forse universale.”
(Abraham H. Maslow, Motivazione e personalità)
CAPITOLO 6 - IN FORMA CON LA MENTE
“ Il caso particolare presenta sempre aspetti che richiedono conoscenze
che vanno ben al di là dei principi psicologici di base.”
(Lazarus R.S., Stress, Appraisal and coping)
6.1 La consulenza psicopedagogica nello sport
“Non ho problemi!” . “Non ho bisogno dello psicologo…”
Quando si propone agli atleti, soprattutto se giovani, un incontro con lo
psicologo, di primo acchito si riscontrano simili reazioni di rifiuto.
E’ quindi importante che vengano chiariti malintesi sulla natura degli
incontri attraverso parole di informazione chiare e semplici.
Perché un atleta deve rivolgersi allo psicologo?
Quale compito può svolgere lo psicologo e perché può rappresentare una
“risorsa aggiunta” nello sport?
Il quadro attuale conferma che atleti di alto livello, giovani promesse,
amatori di varie discipline, allenatori, direttori sportivi, manager
responsabili di squadre, tutti i soggetti che ruotano attorno allo sport attivo
s rivolgono alla Preparazione Mentale in vista delle prestazioni sportive.
E’ risaputo che, ad esempio, in occasione dei Giochi Olimpici, dei
Campionati mondiali, di manifestazioni particolarmente importanti, molti
atleti affiancano alla preparazione fisica una preparazione mentale e
psicologica, con accanto professionisti competenti.
E’ notevole inoltre la crescente partecipazione di sportivi attivi, di
allenatori, di amatori alle varie Scuole di sport (di ciclismo, di podismo, di
nuoto, per citarne solo alcune) che offrono interventi teorici e pratici da
parte di atleti e di esperti nei vari settori.
Il proliferare di palestre per il mantenimento della forma fisica, frequentate
in maggior parte da giovani, offre inoltre l’occasione per una puntuale
informazione su argomenti come il corretto regime alimentare, il tipo di
allenamento; un programma di Preparazione mentale può offrire un aiuto
concreto nei casi di ansia, di problemi relazionali, di disistima, di anoressia
e di bulimia.
TESTIMONIANZA - Serve davvero la preparazione mentale?
Quando sento parlare di aspetti psicologici e di preparazione mentale
nello sport, il primo pensiero va a persone in forte disagio, depressione,
malattia e pertanto ad argomenti che non interessano atleti come me, in
buona salute; se le gambe vanno, ho buoni risultati in corsa; se la
bronchite ve ne va, ritorno in forma perfetta; non ho bisogno dell’aiuto
mentale, non fa al caso mio… e via discorrendo.
So che molti ascoltano con interesse, annuiscono, ma non tutti si
convincono di intraprendere un programma di Preparazione mentale.
Io sono un pluri-maratoneta. A me interessano molto tutti questi
argomenti, ma c’è una resistenza in me che mi impedisce poi di applicarli.
Impiego mesi e mesi a preparare fisicamente una maratona, una cento
chilometri, una duecento chilometri… ma non faccio niente per prepararmi
anche psicologicamente, per rafforzare la determinazione e la resistenza.
Questo perché non so bene di che cosa si tratta, quanto tempo sia
necessario, come si svolga il programma di allenamento, quali siano le
componenti psicologiche determinanti.
6.2 Di che cosa si tratta
In effetti, è proprio questo il primo punto da chiarire e da apprendere: saper
riconoscere quali sono le componenti psicologiche della personalità dello
sportivo praticante che incidono sulla riuscita o sul fallimento della
prestazione e insegnare a coglierle.
“Apprendere” deriva dal latino “pretendere”, cioè “afferrare” e va inteso in
senso attivo, non passivo e statico. Infatti, l’apprendimento produttivo non
coincide con l’esperienza fine a se stessa, ma è dato dalla capacità di
mettere a frutto le esperienze proprie e altrui per ristrutturare il proprio
comportamento.
Se è vero che molti aspetti sono comuni a tutti gli sport, è importante
sottolineare che essi variano poi in base alla tipologia della disciplina e alle
caratteristiche individuali.
Lo psico-pedagogista dello sport aiuta l’atleta ad approfondire la materia,
lo segue in parallelo alla preparazione fisica, gli “insegna” le tecniche
fondamentali in modo da renderlo in grado, con pochi incontri di base, di
applicarle autonomamente.
La Preparazione mentale è utile a tutti gli atleti, non solo a chi ha problemi;
insegna le tecniche per ottimizzare la preparazione, e questo è l’obiettivo a
cui aspirano tutti coloro che fanno sport, a qualsiasi livello e a qualsiasi età.
ZOOM – Terminologia
Parlando di Preparazione Mentale ricorrono alcuni termini, anche in
lingua straniera, che corrispondono a contenuti specifici da precisare.
GOAL SETTING – Livello di performance che si vuole raggiungere, il
traguardo psicofisico e tecnico. Setting è pianificazione passo per passo
fino al raggiungimento dell’obiettivo finale. Rappresenta lo stimolo per la
motivazione che deve sostenere l’atleta nell’allenamento, per la
perseveranza. Porta al miglioramento della prestazione.
ALLENAMENTO IDEOMOTORIO – Rappresentazione mentale
immaginativa dell’esecuzione di gesti motori per rivivere con tutti i sensi le
sensazioni che accompagnano l’atto motorio nella situazione reale.
Si accompagna allo sviluppo dell’IMAGERY, all’allenamento di abilità
mentali, all’incremento di capacità percettive, all’apprendimento di abilità
motorie, al controllo di risposte fisiologiche.
SELF TALK – Dialogo interno, finalizzato al controllo del comportamento,
tramite utilizzo di parole-stimolo per ottimizzare il gesto tecnico, la self-
efficacy, la Peak Performance (Es. Sono forte. Vai!)
SELF EFFICACY – Fiducia nelle proprie abilità, autoefficacia. Gli
individui che sviluppano autoefficacia hanno maggiore possibilità di
riuscire a eseguire un compito e di ottenere risultati positivi. Importante è
sviluppare la percezione soggettiva delle proprie capacità.
FLOW – Flusso di coscienza, che corrisponde allo stato psicologico
ottimale. Stato di grazia, di immersione totale in ciò che si sta facendo, per
cui tutto il resto intorno non esiste. Esperienza piacevole, tanto da indurre
l’atleta a ripeterla anche a costo di sacrifici.
Rappresenta un elemento predisponente perché si verifichi la PEAK
PERFORMANCE, espressione ottimale della prestazione sportiva.
TESTIMONIANZA – Da scettico a convinto
“Non credo proprio di aver bisogno di rilassamento mentale, non ho tempo
da perdere, devo allenarmi…”
Così risposi al mio allenatore quando mi propose di intraprendere un ciclo
di incontri di Preparazione Mentale.
Anche i miei genitori insistevano, mio padre in particolare.
Affermava che manco di carattere, che non sopporto di fare fatica, inizio
una gara e per un niente (dice lui) mi fermo…
Ho iniziato così, con scetticismo, ma poi ho continuato e ho capito di che
cosa si tratta.
Ero veramente insicuro e, molte volte, confuso, non solo per il mio
“lavoro” dello sport, ma anche per me, per la mia vita privata.
Ora ho “imparato” le tecniche e le applico nei momenti di bisogno.
Non solo, a volte ne parlo con i miei compagni di squadra.
Vedo che alcuni sono scettici, ma poi si rivolgono a me e chiedono
consigli…
6.3 Dalla parte dello psicologo
I soggetti dell’intervento di Preparazione Mentale sono due: da una parte
lo psicologo, dall’altra l’atleta, ciascuno con la propria formazione, i propri
obiettivi che convergono nell’ottimizzazione del risultato.
La prima domanda che lo psicologo sportivo si rivolge è:
“Quale aiuto posso concretamente dare a chi ho di fronte?
E se individuo la modalità per poter essere utile, in quale ambito rispetto
alla personalità dell’atleta o rispetto al miglioramento della sua
performance?”
Ricordiamo ancora una volta che ciascun atleta è innanzitutto una
“persona” con specifiche problematiche in relazione alla propria
personalità, all’età, alla situazione sociale.
Si possono prefigurare diversi approcci di analisi per giungere a specifiche
conoscenze in merito a:
- comportamenti;
- capacità cognitive;
- adattamento;
- conflittualità intrapsichiche;
- problematiche biologiche;
- reazioni a norme sociali.
In definitiva, attraverso interviste e colloqui, si giunge a una descrizione
globale del soggetto che tiene conto di fattori biologici, psicologici, sociali.
6.4 Dalla parte dell’atleta
“Sono convinto di rivolgermi a un professionista serio che saprà aiutarmi?”
“Credo nella possibilità di migliorare?”
“ Ho la volontà di cambiare?”
Questi e altri sono gli interrogativi che muovono l’interesse verso la
Preparazione mentale nello sport. Spesso si danno risposte inquinate da
opinioni, credenze, stereotipi orecchiati, non sempre obiettivi. Per chiarire i
nostri pensieri, abbiamo bisogno di un interlocutore che ci ascolti, che
completi le nostre affermazioni, che ci contraddica.
Ognuno di noi reagisce con modalità individuali nel percepire le sensazioni
che provengono da stimoli interni o esterni. Inoltre, di fronte a uno stesso
problema, reagisce in modo diverso: qualcuno dà importanza a una
situazione di disagio, altri la negano o la minimizzano.
Riconoscere la natura di un bisogno è la prima essenziale condizione per
cercare e accettare un percorso di aiuto che possa offrire la strategia per
risolverlo.
Inoltre, pur nella condizione ottimale, un atleta può ritenere importante
conseguire strumenti per accrescere le proprie potenzialità.
Sono questi i due motori che favoriscono una richiesta di “aiuto” , che sarà
tanto più efficace quanto maggiore sarà la fiducia nel “rimedio”.
Da parte dell’atleta c’è la volontà di approfondire aspetti di carattere
psicologico e la curiosità di scoprire sempre nuovi metodi per accrescere la
performance. Gli elementi della richiesta sono la fiducia, l’autoanalisi, la
riflessione.
6.5 I punti fondamentali
Ogni atleta o soggetto che svolge attività motoria si presenta con
caratteristiche e problemi strettamente personali; non è pertanto
ipotizzabile offrire un modello di strategie univoco e rigido.
E’ possibile, tuttavia, sulla base delle esperienze effettuate, degli studi e
delle ricerche scientifiche, delineare una serie di interventi (che possiamo
chiamare di base) che prevedono alcuni punti fondamentali.
1 – Come per ogni attività che s’intraprende, è indispensabile avere ben
chiari gli obiettivi delle prestazioni per rendere esplicite le mete da
raggiungere a breve termine, a medio termine, a lungo termine.
2 – In contemporanea, occorre prestare attenzione al comportamento
dell’atleta nella duplice situazione di allenamento e di competizione,
tramite strumenti come autovalutazione, osservazione diretta,
somministrazione di test.
3 – Si raggiunge il riconoscimento e la consapevolezza dei fattori che
incidono sulla prestazione, quali lo stile attentivo, la capacità di
concentrazione, la perseveranza, la volontà, la sopportazione della fatica e
del dolore.
4 – S’intraprende un programma di rilassamento per ridurre situazioni
acute di ansia e per attivare strategie di recupero di energia e di
motivazioni.
5 - L’allenamento ideomotorio, che si rende concreto nella visualizzazione
del movimento e nella capacità di sviluppare immagini mentali delle azioni
sportive, integra il programma di allenamento fisico.
6 – La finalità dell’intervento è rappresentata dall’individuazione delle
condizioni fisiche e mentali che portano l’atleta al suo “funzionamento
ottimale”.
ZOOM – Indagine preliminare
Al fine di specificare maggiormente i termini della Preparazione Mentale
in campo sportivo, si rendono necessari alcuni approfondimenti su
specifici aspetti dell’attività sportiva.
In questo settore, la diagnosi (col significato antico di riconoscimento)
serve appunto a riconoscere dei segni, cioè degli indizi, per valutare
alcune facoltà dell’atleta e il quadro generale di personalità.
Come operazione preliminare, è necessaria un’indagine sulle operazioni
mentali del soggetto per sondare il livello delle abilità di base, quali, ad
esempio, la memorizzazione, la visualizzazione, la concentrazione, la
propensione verso il pensiero positivo (self confidence), la motivazione a
raggiungere il livello ottimale della prestazione.
Infine, ma non certo meno importante, si deve verificare il livello di
autonomia durante le fasi della preparazione, della gara, del vivere in
generale.
I mezzi utilizzati comprendono il colloquio, l’intervista, i test; condizione
per la loro efficacia è l’instaurarsi di un rapporto di empatia con il
soggetto.
6.6 Il primo colloquio
C’è spesso un po’ di tensione prima di affrontare un colloquio per iniziare
il percorso di Preparazione Mentale, o anche solo per un approccio spinto
dalla curiosità di capire di che cosa si parla.
“Dovrò parlare delle mie cose intime? Mi dovrò sdraiare sul lettino? Quale
abbigliamento devo avere?”
E’ lo psicologo che deve rassicurare spiegando nel dettaglio:
- come si svolgono gli incontri,
- quali argomenti verranno trattati,
- quanto durano le sedute.
Definiti gli aspetti logistici, vengono illustrati:
- le ”tecniche",
- le finalità del trattamento,
- i contenuti del percorso,
- i vantaggi che ne deriveranno.
I primi momenti del colloquio sono dedicati alla racconta del maggior
numero di informazioni formali (età, sport praticato, contesto,
aspettative…), rassicurando la massima riservatezza, e cioè che quanto
emerge non sarà divulgato, a meno che non lo faccia l’interessato stesso.
Se per un verso il terapeuta si prepara con coscienziosità all’ incontro,
consapevole dell’importanza della prima impressione che darà, per l’altro
anche il soggetto può essere assalito da una certa ansia dovuta alla
preoccupazione di trovare le parole giuste per esporre la propria situazione,
di comprendere i concetti, di essere mal giudicato, di non sapere cosa
rispondere alle domande.
C’è bisogno di sentirsi compresi e accolti affinché si crei l’inizio del
rapporto di fiducia atleta/ psicologo e dell’adesione motivata verso un
progetto di percorso da svolgere insieme; ciò crea le premesse per la
nascita e il consolidamento della condizione di alleanza, vero fattore di
successo della terapia.
ATTIVITA’ – Mi presento
Un semplice questionario per una prima presentazione.
Prova anche tu a compilarlo.
Cognome e nome …………………………………………………......................
Data e luogo di nascita ……………………………………………………..
Residenza …………………………………………… tel. ………………………
Società sportiva ……………………………………… cat. ………………
Allenamenti (quante volte alla settimana)
….…………………………………………………………………
Gare (se si partecipa, frequenza)
……………………………………………………………………………….
Alimentazione di
base…………………………………………………………………
Ansia () pre-gara () durante () post-gara
…………………………………………………………………………………………
.
Studio ……………………………………………………………………………….
altri sport praticati …………………………………………………………
Altri sport che interessano ………………………………………………
Interessi tempo libero:
- play station
- computer
- tv
- musica
- film
- letture
- …………………………………………………..
- ………………………………………………….
- …………………………………………………..
ZOOM - Elenco test per la preparazione mentale dell’atleta.
1 – Scheda di autopresentazione.
2 – La motivazione.
3 – Gli obiettivi.
4 – L’autostima.
5 – Autovalutazione della prestazione.
6 – La capacità di concentrazione.
7 – Prova coping.
8 – La visualizzazione.
9 – La memorizzazione.
10 – Risolvere i problemi.
11 – La capacità decisionale.
12 – La riflessività.
13 – La felicità e l’ottimismo.
14 – L’alimentazione.
15 – Il flow.
16 – Il programma di Preparazione Mentale.
17 – La tabella personalizzata.
18 – Il test dei colori.
19 – I test di personalità con disegni e interviste.
20 – La socializzazione.
ATTIVITA’ - Profilo di prestazione dell’atleta
Giudica il livello della tua prestazione sportiva, nella scala da 1 a 10,
relativamente alle voci selezionate.
Padronanza della disciplina o o o o o o o o o o
Sicurezza in gara o o o o o o o o o o
Capacità di rilassamento o o o o o o o o o o
Potenza o o o o o o o o o o
Resistenza o o o o o o o o o o
Immaginazione o o o o o o o o o o
Concentrazione o o o o o o o o o o
Motivazione o o o o o o o o o o
Divertimento o o o o o o o o o o
Abilità tecnica o o o o o o o o o o
Originalità o o o o o o o o o o
Flessibilità o o o o o o o o o o
Costanza o o o o o o o o o o
Attenzione o o o o o o o o o o
Autostima o o o o o o o o o o
Propriocezione o o o o o o o o o o
Coscienza dei proprie capacità o o o o o o o o o o
Coscienza dei propri limiti o o o o o o o o o o
Ricerca di alibi o scuse o o o o o o o o o o
Gestione del successo o o o o o o o o o o
Gestione dell’insuccesso o o o o o o o o o o
6.7 L’alleanza di lavoro
L’alleanza si basa su un rapporto che si instaura a livello emotivo e
mentale fra soggetto e preparatore con l’obiettivo di creare una comunità
di intenti, ciascuno secondo i propri ruoli che si completano: il tecnico con
le sue competenze professionali, il soggetto con l’esclusiva conoscenza
delle proprie sensazioni. Può costituirsi al primo contatto, ma nella maggior
parte dei casi può succedere che ci voglia più tempo per conoscersi, per
fidarsi, per comprendere il significato del “fare insieme”.
Fiducia, calore, accettazione: se mancano questi elementi, se viene meno la
collaborazione attiva del paziente, sarà più difficile che la terapia vada a
buon fine e che ottenga risultati duraturi. Prefiguriamo quindi un ruolo
attivo non solo dello psicologo, il quale in quanto tecnico offre spunti di
riflessione e di azione, ma anche del soggetto che non può affidarsi
passivamente e aspettarsi soluzioni dall’esterno.
La Preparazione Mentale, come qualsiasi altra tecnica, non è una
medicina dagli effetti miracolosi, è piuttosto un viaggio fatto all’interno dei
propri bisogni.
Consideriamo la necessità di chiarire una serie di elementi sia di carattere
emotivo, sia di carattere mentale per preparare il terreno di intesa e
collaborazione, come la difficoltà di chiedere aiuto ad altri per risolvere
problemi, la capacità di rilassarsi, la tolleranza e la modalità di reazione a
eventuali contrasti, la facilità o meno di esprimere le proprie emozioni.
TESTIMONIANZA – La fiducia conquistata
Non sono mai stata favorevole a una psicoterapia, il dottore mi ha detto
che può aiutare la mente.
Il mio sport è il triathlon, ma ultimamente non ottengo più risultati, mi
alleno tantissimo, cerco di rimanere magra, ma c’è qualcosa che non va.
Da piccola ero grassa, poi mi sono messa a dieta e mi sono fatta prendere
la mano.
I miei mi hanno portato da uno psicologo… convocava tutta la famiglia,
facevamo delle scenette, speso soldi senza concludere niente. Non capivo.
So benissimo tutti i componenti dei cibi… mi sentivo sempre gonfia. E dopo
rimettevo tutto. Vado a correre, ma non ho forza né voglia.
Ho cambiato dottore, che mi ha detto di riprovare con una psicologa che
cura proprio l’anoressia. Ho deciso di riprovare. Mi fido, facciamo
esercizi di respirazione e di rilassamento, mi fa parlare, racconto dei miei
sogni, dei rapporti col mio ragazzo, mi ascolta…
La cosa che mi è piaciuta è che ha detto: “Facciamo un progetto insieme.
Dobbiamo allearci per riuscire a guarire.”
Ora che ne sono uscita, mi rendo conto di come ero, guardo le fotografie di
quei tempi, così magra… e come sono cambiata, ho più equilibrio…
Ho ricominciato a correre!
6.8 Il ruolo del preparatore mentale
Come si concretizza questa alleanza fra preparatore e atleta? Quali sono in
concreto i fattori portanti?
Si può prefigurare l’intervento del preparatore mentale, per un atleta o per
una squadra, con diverse modalità.
Innanzi tutto, occorre tener presente la provenienza della richiesta: può
essere una chiamata da parte dell’atleta, o della famiglia, o della società
sportiva, oppure da parte dell’allenatore, che in ogni caso mantiene sempre
un contatto diretto e privilegiato con l’atleta.
A modalità diverse, corrispondono diversificate strategie di intervento, da
concordare di volta in volta con gli interessati, dopo ampia analisi dei casi.
Quali contributi può offrire, in concreto, la Preparazione Mentale all’atleta
che voglia allenarsi non solo nel corpo, ma anche sotto l’aspetto
psicologico? E’ bene parlarne a fondo con i diretti interessati e assicurarsi
che i concetti e le parole abbiano significati comuni.
- Vantaggio nella formazione del carattere .
In molti casi, si tratta di un soggetto adolescente o giovane che si trova in
fase di formazione della personalità. Molto spesso ha bisogno di un
confronto con una persona al di fuori della famiglia e del team sportivo per
sentirsi libero di esporre i suoi problemi e i suoi dubbi.
- Rafforzamento della motivazione .
Non sempre, e non per tutti, giungono immediati risultati atletici; pertanto
spesso si riscontra la tentazione di sorvolare su una seduta di allenamento,
di abbandonare addirittura, per demotivazione e per scoramento. Sono
necessarie continue iniezioni di fiducia in sé.
- Equilibrio mentale .
Ottenere i risultati sperati può rappresentare un elemento che motiva, ma
anche, al contrario, può dar luogo a facili illusioni. Occorre mantenere il
giusto equilibrio tra eccessiva sicurezza di sé e il profondo senso della
realtà e questo si ottiene attraverso un continuo rafforzamento della propria
personalità.
6.9 L’attività motoria come operazione mentale
L’attività mentale presenta aspetti trasversali che coinvolgono non uno ma
diversi settori della conoscenza.
Essi sono rappresentati dalle operazioni mentali che entrano in azione e che
si sviluppano, in stretta connessione fra loro, nei vari momenti del vivere
quotidiano, nelle fasi di apprendimento, di consolidamento, di
sperimentazione.
L’attività motoria è compresa nelle operazioni mentali e svolge un ruolo di
primaria importanza accanto alle altre facoltà che saranno analizzate in
seguito: la percezione, l’attenzione, la memoria, la soluzione dei problemi,
la formazione dei concetti, l’uso e lo sviluppo del linguaggio.
La motricità e le abilità ad essa relative, lo sviluppo e la coordinazione
degli schemi motori quali camminare, correre, saltare, indietreggiare, il
coordinamento oculo-motorio, le posizioni corporee, il movimento sono
tutti elementi che partecipano attivamente all’organizzazione
dell’esperienza prima nell’età evolutiva e poi, in continuità, nell’adulto.
Azione e pensiero sono dunque intimamente connessi.
ZOOM - Operazioni mentali
Consideriamo i processi cognitivi coinvolti in ogni tipo di apprendimento,
sia per le materie di studio, sia per le attività pratiche. Sono attività
mentali, le cui funzioni non sono isolate una dall’altra, ma rappresentano
un tutto organico in stretta relazione fra loro: percezione, attenzione,
memoria, problematizzazione, concetti, motricità, linguaggio.
Partiamo dalla loro definizione.
Percezione: insieme di funzioni psicologiche che consentono di acquisire
informazioni sull’ambiente tramite organi specializzati, cioè vista, udito,
olfatto, gusto, tatto e anche sul proprio corpo tramite la sensibilità
propriocettiva e interocettiva.
Attenzione: capacità di selezionare gli stimoli e di immagazzinare le
informazioni nei depositi della memoria a breve e a lungo termine.
Memoria: capacità di conservare tracce delle esperienze passate e di
servirsene per le attività future; la funzione in cui si esprime la memoria è
il ricordo.
Problematizzazione: capacità di risolvere problemi (problem solving)
attraverso un diagramma di comportamento che tiene conto delle
informazioni possedute, della ricerca di soluzioni da mettere in atto, dei
mezzi impiegati e infine della decisione fra le scelte possibili.
Concetti: processo di astrazione e di classificazione di oggetti ed eventi
secondo caratteristiche comuni ( attributi quali forma, colore).
Motricità: capacità di movimento dato da una complessità di abilità
motorie che permettono la continuità di movimento nel tempo e nello
spazio.
Linguaggio: insieme di codici per la trasmissione e la conservazione di
informazioni tramite segni il cui significato è condiviso.
6.10 Corpo biologico e corpo psicologico
L’approccio psicosomatico presenta alcuni aspetti interessanti, che
precisiamo brevemente. Esso aderisce a un modello teorico di base che
attribuisce una duplice valenza al concetto di corpo, posto al centro della
teoria:
- c’è il corpo biologico, con tutti gli aspetti relativi ai sensi, alle funzioni
fisiologiche, ai vari organi capaci di inviare segnali precisi sul loro stato;
- c’è il corpo psicologico, legato ai vissuti simbolici, alle sensazioni
personali.
Possiamo parlare quindi di corpo oggettivo nel primo caso e di corpo
soggettivo nel secondo caso, che interagiscono come un tutt’uno,
inviandosi reciproci segnali, verbali e non verbali.
Infatti, per la teoria della comunicazione esiste un duplice livello (verbale e
non verbale) di atti comunicativi, costituiti da un emittente, un messaggio,
un ricevente.
Il linguaggio verbale, proprio dell’uomo, è costituito da suoni, parole, frasi
che si concretano attraverso un sistema simbolico (l’alfabeto) di
collegamento fra suoni (fonemi) e segni (grafemi). E’ nato così il codice
linguistico, che presenta due forme, orale e scritta, quando parliamo e
quando mandiamo messaggi scritti.
Diversi sono i canali di comunicazione verbale (diretta, per telefono, per
lettera, per fax, per posta elettronica...) e vari sono i registri che usiamo
nella comunicazione, a seconda delle situazioni o delle persone a cui ci
rivolgiamo (registro confidenziale o informale e registro formale).
Riassumendo, attengono al corpo biologico le funzioni fisiologiche, le
percezioni sensoriali, le sensazioni propriocettive.
Riguardano il corpo psicologico i vissuti simbolici, le sensazioni
soggettive, le visualizzazioni.
6.11 L’armatura corporea
Secondo la bioenergetica possiamo suddividere il nostro corpo in sette
segmenti nei quali si accumula la tensione; essi corrispondono ai metameri
dell’innervazione spinale.
Il primo anello è quello Oculare, che comprende i muscoli dell’occhio,
delle palpebre e della fronte.
Il secondo anello, Orale, comprende la muscolatura della bocca, del mento
e della gola.
Il terzo anello è quello Cervicale, che comprende la lingua e i muscoli del
collo.
Il quarto anello riguarda il Torace, una corazza formata dai muscoli delle
spalle, pettorali, intercostali.
Il quinto anello è formato dal Diaframma, che comprende anche stomaco,
pancreas, fegato e muscoli longitudinali alla colonna vertebrale.
Il sesto anello è quello dell’Addome con i relativi muscoli.
Il settimo anello è quello Pelvico, con i muscoli all’altezza del bacino.
Se si verifica un irrigidimento relativo ai vari anelli, si accumulano tensioni
in quel settore ed è lì che possono verificarsi stati di disagio e malattie a
livello sia fisico sia psicologico.
Uno sguardo spento e diffidente testimonia un blocco nel primo settore,
mentre sentirsi un nodo alla gola o essere incapace di piangere per
sciogliere manifestare un’emozione sono sintomi di blocco a livello Orale.
Le emozioni possono bloccarsi anche a livello cervicale; chi soffre di artrite
cervicale conosce la sensazione di contrazione e di irrigidimento.
La corazza toracica viene bloccata da assunzione di responsabilità in
ambienti particolarmente rigidi, con regole da rispettare, con abitudini a
trattenere le emozioni.
Indicativa è la collocazione del diaframma, posto al centro del corpo, quasi
a dividerlo in due parti; se c’è blocco diaframmatico, si inibisce anche la
circolazione di energia dal basso all’alto e viceversa.
Le emozioni più profonde sono trattenute a livello addominale e pelvico.
Come sbloccare e ottenere il fluire dell’energia attraverso i segmenti?
Tramite la corretta respirazione, gli esercizi di contrazione e decontrazione,
la ricerca di equilibrio interiore si ottengono ottimi risultati per il proprio
benessere psico-fisico.
ATTIVITA’ – I suoni del corpo
Trova uno spazio e un tempo tutto per te, senza disturbi esterni.
Inizia con emettere un suono con la voce… un vocalizzo, una nenia, una
canzone…
Ascoltati e registra le sensazioni derivanti dalla tua voce…
Senti le vibrazioni del tuo corpo…
In quale parte senti il suono? E’ piacevole o no?
Avverti rigidità nella parte?
C’è fluidità o la voce esce strozzata da un blocco?
Se sei seduto, prova ad alzarti sempre emettendo il suono. Cosa cambia?
In un secondo momento, sempre cantando, gioca col suono e con le parti
del corpo.
Cosa senti se ti tappi le orecchie con le mani?
Senti le vibrazioni che si propagano nella testa… Quale sensazione provi?
Piacevole o spiacevole?
Metti le mani sulla carotide … poi sul petto… come vibrano al canto?
Quale sensazione provi? Piacevole o spiacevole?
ATTIVITA’ – Supera i cancelli
Trova uno spazio e un tempo tutto per te, senza disturbi esterni.
Abbandonati su una comoda poltrona.
Chiudi gli occhi e respira liberamente.
Pensa a un’immagine che ti è piaciuta particolarmente… una fotografia…
un paesaggio, una pittura…
Ritrova la sensazione che hai provato.
Accompagna l’immagine e la sensazione nel viaggio all’interno del tuo
corpo, superando via via i blocchi.
Immagina di dover superare dei cancelli… arrivi… li apri e passi oltre.
Parti dalla testa, …poi vai alla gola, …al petto, …alla pancia, …alle
gambe…
Torna indietro facendo il percorso inverso.
Risali sempre con la tua bella immagine dalla pancia… al petto… alla
gola… fino ad arrivare alla testa.
Riproponi l’esercizio anche con un colore… oppure con l’immagine di un
cerchio… di un fiore…
L’importante è superare le barriere che trovi fra un settore e l’altro
salvaguardando sempre il valore e l’intensità della tua emozione.
6.12 La forma fisica e la forma mentale
Ribadiamo che tutti coloro che praticano un’attività sportiva sanno che,
oltre la forma fisica, occorre curare anche la forma mentale.
La prima è fisiologica e riguarda calorie, battiti cardiaci, tabelle di
allenamento, forma aerobica e muscolare.
La seconda è psicologica e riguarda le sensazioni e le emozioni, che
possono esaltare o mortificare il risultato atletico.
Esiste dunque un rapporto circolare fra corpo, mente e salute.
Se i muscoli sono rilassati, il dolore diminuisce e le tensioni nervose si
allentano.
Se la mente è distesa, anche i muscoli si rilassano.
Lo sportivo conosce bene questo parallelismo; inoltre sa che minor
tensione corrisponde a maggior concentrazione, a fiducia nelle proprie
potenzialità senso-motorie, a coscienza delle proprie possibilità, a
padronanza di sé: in definitiva, allo sviluppo di una buona immagine di sé e
a migliori risultati atletici.
Nella preparazione dell’atleta, durante l’attività e nel momento del
recupero dell’infortunato, è necessario individuare le tecniche utili:
- per aiutare a migliorare la propria prestazione (trovare e mantenere la
motivazione per allenarsi, credere nelle proprie possibilità, conoscere le
proprie capacità...);
- per superare motivi di disagio (quali, ad esempio, non reggere allo stress,
non riuscire a mantenere uno standard ottimale di prestazioni, non sentirsi
all’altezza delle aspettative, trovare difficoltà a mantenere certi ritmi di
allenamento...);
- per la gestione consapevole delle energie psico-fisiche attraverso
l’attenzione al proprio corpo (percepire e produrre la postura corretta,
sentire l’energia e la forza di volontà nel “qui e ora”...).
6.13 Il collegamento mente/corpo
Possiamo dunque affermare che fare sport/attività motoria garantisce
l’armonico sviluppo psicofisico dell’individuo.
Ripetiamo: Mente e Corpo sono in stretto collegamento fra loro.
La cura della propria forma fisica procede di pari passo con l’acquisizione
dell’equilibrio mentale e psicologico.
Accanto ai dati medici, all’analisi delle abitudini di vita e dei fattori di
rischio, è importante occuparsi anche dei fattori psicologici che segnalano
malessere, stati d’ansia, insoddisfazioni, sensi di inferiorità, momenti di
panico...
L’atleta (chiunque sia in situazione di attività motoria), pur nella
eccezionalità del suo stato, è comunque una persona come tutte le altre, con
i suoi problemi, le sue insicurezze, i suoi bisogni di appoggio e di punti di
riferimento.
Favoriremo quindi l’approccio psicosomatico nella preparazione,
coinvolgendo tutte le componenti della personalità.
Dietro l’atleta, consideriamo sempre la persona, uomo e donna: il ragazzo,
il giovane, l’adulto, l’anziano.
ATTIVITA’ - Cogli i segnali: dal corpo alla mente
Chiudi gli occhi e “ascolta” il tuo corpo.
Fai una profonda respirazione.
Ora “tocca” i tuoi piedi, il sinistro, il destro.
“Pensa” ai tuoi piedi, senti se compare un dolore, un disagio.
Dove, in quale punto specifico?
Fai un altro profondo respiro.
Ora “ascolta” le tue gambe, muovile, tastale, la sinistra, la destra.
Senti se compare un dolore, un disagio, una tensione.
Dove, in quale punto specifico?
Poi passa alla schiena. Ascolta la tua schiena…
… le spalle, la sinistra, la destra…
… le braccia, la sinistra, la destra…
…il collo…
“Ascolta” tutto il tuo corpo e fai l’inventario.
Quale parte è più tesa o dolorante?
Forse non ti eri reso conto del disagio così localizzato.
Respira “pensando” a queste parti.
Così allevierai la tensione e il dolore sarà più sopportabile.
Puoi eseguire questo esercizio in due momenti:
- prima della gara o dell’allenamento per una presa di contatto preventiva;
- dopo la prestazione per una verifica degli effetti.
Questo esercizio, se svolto abitualmente, ti servirà anche in altre occasioni
della vita quotidiana.
ATTIVITA’ - Cogli i segnali: dalla mente al corpo
Se ti senti a disagio in un luogo…
Se ti annoi…
Se ti senti giù di corda…
Se non sei in sintonia con una persona…
Se improvvisamente ti ritrovi con un senso di inferiorità…
… non è solo una questione psicologica,
è anche una questione fisica.
Chiudi gli occhi per un attimo e “ascolta” …
quello che la tua mente ti segnala…
quello che chiede al tuo corpo…
Fai un “cambiamento” nelle tue condizioni fisiche.
Respira con consapevolezza dell’atto respiratorio.
Mettiti seduto se sei in piedi, e viceversa.
Togliti il soprabito… o copriti…
Cambia le scarpe…
Adotta un abbigliamento diverso…
Apri la finestra…
Allontanati o al contrario avvicinati…
Esci se sei stato troppo al chiuso…
Fai qualche movimento “libero”…
Guarda ogni tanto in alto…
Inventa tu il modo per rendere il tuo corpo comodo, come vuole la tua
mente.
In questo modo, ascoltando i segnali inviati dalla mente al corpo,
ritrovi te stesso,
diventi pienamente presente…
in quel momento che stai vivendo…
in quel luogo dove ti trovi.
Se ti abitui a questo esercizio, da svolgere anche durante l’attività sportiva,
quando sei più impegnato, puoi trovare il modo per alleviare eventuali
disagi o risolvere crisi di affaticamento.
TESTIMONIANZA – Atleti che utilizzano l’allenamento mentale
“Prima di una gara sono emozionata, guardo in giro, saluto le amiche, ma
devo stare attenta a non distrarmi. Cerco di ricordarmi quello che devo
fare per restare concentrata: ripasso mentalmente ogni punto… “
“Per vincere l’emozione del pre-gara faccio gli esercizi di respirazione che
ho imparato…”
“Sono molto abitudinario, ma se qualcosa va storto perdo sicurezza…
allora recupero la calma con il mio dialogo interno e affronto
l’imprevisto”
“In genere sono abbastanza positivo. Ma ci sono volte in cui perdo
sicurezza, quando penso che gli avversari siano più forti di me. Mi sono
allenato mentalmente per vincere questi momenti di sfiducia. Come faccio?
Elimino le parole del NON e le trasformi in tutti SI’. Non posso farcela…
diventa Posso farcela…”
“Mi piace lavorare di fantasia… Sogno a occhi aperti tutto lo svolgimento
della corsa… Mi vedo proprio con la mente…”
“Come faccio ad allenarmi tante ore in piscina? Lascio la mente libera e
penso a… viaggiare…”
“Faccio gare di lunga percorrenza… devo dosare le forze… e vincere la
monotonia… ma mi sono preparato mentalmente e riascolto la mia
canzone preferita, oppure cerco di guardare i colori intorno…”
“So che devo dividere il percorso di una maratona in tanti piccoli
traguardi… 10 km per volta e questo mi aiuta a non farmi vincere dallo
scoramento…”
"Una persona che ti aiuta a trovare l'autocontrollo, ma soprattutto la
costanza dell'allenamento e ti dà la possibilità di arrivare in gara con una
base di sicurezza importante. E’ il mio Preparatore mentale.”
“ La gara è iniziata in modo quasi perfetto nei primi 60 colpi poi nella
finale a otto ho perso il controllo del battito cardiaco, ho fatto 9,7 e mi
sono venuti un sacco di pensieri negativi. Lì ho avuto paura. Ho poi
imparato a gestire anche questi momenti difficili. Come? Con la tecnica di
“svuotarsi la testa” attraverso l’autoipnosi e il neurofeedback. Per circa
40 anni ho sfruttato lo stesso processo di visualizzazione prima di ogni tiro
in gara”.
(Testimonianze raccolte da Internet)
TESTIMONIANZA – Piloti di formula UNO
Si può pensare che per un pilota di Formula 1 sia importante la sua abilità
nella guida del potente bolide. Non basta, anche loro devono reggere
mentalmente allo stress che non è solo fisico.
I metodi di Preparazione mentale variano anche in base alla personalità
dell’atleta: qualcuno sceglie un breve periodo di isolamento con ascolto di
musica, altri si rilassano con metodi appresi in precedenza.
Oltre la preparazione che precede le gare, anche durante la performance
avviene un continuo monitoraggio delle condizioni di stress e
concentrazione attraverso sensori collegati al computer.
Dice il medico di un team: “In particolare si analizzano i cambiamenti dei
parametri delle reazioni involontarie, quali la sudorazione dei
polpastrelli, il battito cardiaco, la contrazione di certi muscoli…”
Tutti i dati serviranno poi successivamente in fase di feed back.
CAP.7 ASPETTI PSICOLOGICI NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA
“ Virgilio cantò il cavallo, Monti il pallone, Carducci il vapore, molti la
nave, nessuno ancora la bicicletta; eppure né il cavallo, né il pallone, né il
vapore, né la nave resero all’uomo più facile il trasportarsi ovunque una
qualche necessità lo richiami, lasciandolo più signore di se stesso…
La bicicletta è così. E’ piccola, lieve, muta.
Vi si è in bilico, eppure si cessa di avvertirlo: può salire e discendere per
qualunque strada, altrimenti la si piglia sotto un braccio…”
(Alfredo Oriani, La bicicletta)
7.1 Dimmi quale sport pratichi…
Un articolo comparso alcuni anni fa in una rivista specializzata in
Psicologia portava questo titolo scherzoso: ”Dimmi che sport pratichi… e ti
dirò chi sei!”.
A prima vista, può sembrare un quesito futile, da associare a oroscopi o a
facili previsioni; ma non è così lontano dalla realtà, perché, in effetti,
alcune caratteristiche della personalità abbinate allo sport praticato o
desiderato sono intuibili e fanno parte di credenze radicate.
Basti pensare ai diversi atteggiamenti orientativi verso sport come il
pugilato o come la ginnastica artistica: il primo è visto come sport violento
nel quale si realizza l’impulso a scaricare la propria aggressività; nel
secondo è la componente di cura della propria immagine e dei movimenti
che soddisfa il proprio narcisismo e il desiderio di apparire eleganti.
Andando oltre queste elementari considerazioni, possiamo però constatare
che nella scelta dello sport da praticare intervengono, oltre alla
predisposizione innata, anche variabili socio-ambientali, come le possibilità
reali che l’ambiente e il contesto sociale offrono, la presenza di strutture
che agevolano il ragazzo e l’adulto, le amicizie.
A parte le eccezioni (che si dice confermino la regola), chi abita in
montagna ha maggiori occasioni di praticare sport di neve o di diventare un
corridore scalatore poiché si allena quotidianamente ad affrontare salite e
discese; chi vive in riva al mare o al lago, trova strutture che lo portano a
praticare sport di acqua, come la vela, il surf.
Inoltre, è determinante la presenza in famiglia di un “clima” sportivo:
quanti “figli d’arte” si ritrovano a praticare lo stesso sport del padre, dello
zio, ecc.!
Per comprendere ancora meglio il rapporto tra personalità e sport praticato,
è importante conoscere le caratteristiche delle varie discipline.
Riassumendo, per la scelta dello sport, teniamo conto di questi fattori:
- fattori ambientali e geografici;
- contesto sociale;
- presenza di strutture sportive;
- tradizioni locali;
- amici che praticano;
- clima sportivo familiare.
7.2 Le abilità specifiche delle prestazioni sportive
Altri fattori poco considerati perché meno evidenti sono le abilità mentali,
necessarie quanto le capacità fisiche per eccellere in uno sport rispetto a un
altro.
Alcuni sport richiedono:
- la capacità di controllo dell’istintività più elevata, la capacità di prevedere
le mosse dell’avversario (il velocista in bicicletta “sente”, un attimo prima
che succeda, che l’avversario scatterà per la volata; sembra dotato di
antenne per captare il momento decisivo);
- la capacità attentiva costante che sfocia nella concentrazione (nel tiro con
l’arco, ad esempio);
- la predisposizione alla regia e all’organizzazione del gioco collettivo (nel
calcio, nel volley, nel basket, ecc.).
Altre variabili sono date dal tipo rapporto che ciascuno mette in atto con se
stesso o con l’avversario.
Nella corsa a piedi o in bicicletta si corre per superare altri, ma anche se
stessi, in una continua rincorsa al risultato migliore.
In altri sport, come nel tennis, si invade il territorio dell’avversario non
direttamente, ma tramite l’invio di una palla che fa da mediatore
dell’aggressività.
In altri ancora (boxe, lotta) si agisce direttamente sul corpo dell’altro per
affermare la propria supremazia.
In ciascuno di questi esempi si intuiscono le diverse caratteristiche della
personalità che intervengono e la modalità della comunicazione corporea
che si mette in atto. Infatti:
- un conto è toccare, spingere, cercare il contatto per entrare nello spazio
intimo di un’altra persona e accettare di conseguenza di lasciarsi penetrare
nel proprio, come avviene negli sport di contatto;
- un conto è sapere di poter giungere in prossimità del corpo dell'altro, ma
di non poter superare certi limiti, come nel Karate;
- diverso ancora è non poter invadere il campo avversario, come nel nuoto
o nella corsa dove è penalizzata l’invasione di corsia;
- altra situazione corporea si riscontra nei casi in cui fra i due avversari si
frappone una netta separazione, una barriera, una rete.
Un’ulteriore considerazione va proposta per quanto riguarda l’uso di uno
strumento per fare sport e per il rapporto che si instaura con esso.
La bicicletta, la spada, il fioretto, la racchetta e la palla, l’asta e il disco
nell’hockey, l’arco, tutti questi strumenti rappresentano una protesi che
diventa parte integrante dell’atleta, del suo gesto, del suo movimento e
verso la quale si sviluppa un’attenzione speciale. In altri sport, come nel
nuoto, nel podismo, non c’è mediazione fra il proprio corpo e l’elemento in
cui si trova ad agire, sia l’acqua o sia il terreno.
Le variabili che incidono nella scelta dello sport a cui dedicarsi sono:
- le abilità mentali,
- il rapporto con se stessi,
- il rapporto con l’avversario,
- il rapporto con lo spazio personale,
- il rapporto con lo strumento.
TESTIMONIANZA – Le abilità specifiche
Ogni disciplina sportiva prevede steps di attivazione fisica e mentale
specifici che possiamo analizzare passo per passo nella progressione.
Nell’atletica è molto evidente. Ad esempio, l’atleta del salto in alto deve
affrontare una varietà di difficoltà e attivare le operazioni mentali adatte
nelle varie fasi: rincorsa, partenza, stacco a cui corrispondono
atteggiamenti mentali diversi, dall’autoconvincimento, alla scelta del
momento per agire, alla concentrazione sui movimenti e infine
all’atteggiamento di sfida al peso di gravità che lo porta a volare.
“Prima del salto, devo ricordare le fasi della Preparazione Mentale che ho
visualizzato e memorizzato.
Per darmi la spinta devo fare un rapido piegamento sulle gambe, poi devo
invertire il movimento e arriva il momento in cui mi stacco da terra e
inizio il volo!
Sono sensazioni di pochi millisecondi, passo dalla posizione statica alla
posizione aerodinamica, il mio corpo diventa leggero… che meraviglia!”
TESTIMONIANZA – La mano vuota
Questa è la testimonianza di un giovane karateka, cintura verde.
“Quando sono entrato nella palestra dove si svolgevano le lezioni di karate
mi ha colpito un grande pannello con un simbolo… Mi hanno spiegato che
rappresenta Kara te, cioè la ”Mano vuota”… più tardi ho capito che cosa
significa combattere senza un’arma in mano.
Un altro striscione riporta una massima che è un principio guida: “Il
karate inizia con la cortesia e finisce con la cortesia”.
Ecco il perché degli inchini prima e dopo il combattimento!
Perché la scelta del karate? All’inizio era perché andava di moda
l’autodifesa, per quelli che vanno in giro anche di notte c’è la necessità di
difendersi dai malintenzionati, così imparare alcune mosse che stendono
l’avversario mi sembrava la cosa da farsi.
In realtà c’è ben altro; è un allenamento duro e faticoso ma mi ha
affascinato, perché via via che procedevo a imparare la pratica mi rendevo
conto dell’effetto benefico che aveva per me.
Mi ha dato equilibrio e fiducia in me, ho trovato l’armonia interiore, sono
riuscito a controllare le mie emozioni e i miei conflitti. La pratica del
karate porta al controllo anche di impulsi fisici come la fame, il freddo… e
soprattutto libera la mente dai pensieri e dalle aspettative. Dovevo pensare
solo a concentrarmi.
Nell’allenamento si lavora sulla forza muscolare, sul respiro, sulla velocità
di movimento.
In seguito ho anche fatto qualche incontro… che emozione! Cercavo di
mettere in pratica i principi che mi hanno insegnato: il colpo deve essere
puntuale e subito attivo, cioè deve essere dato al momento giusto, poi
veloce, in modo che l’avversario neanche se ne accorga di essere colpito, e
poi deve essere diretto in un preciso punto del corpo dell’avversario, tipo
pancia, naso, mento, gambe, ginocchia e tempia.
Da principiante c’è la cintura bianca, poi passa alla gialla, poi
l’arancione, poi verde, blu e infine la marrone e la nera, che è divisa in 7
dan.
Oltre alla mano vuota, anche la mente si svuota, si libera da pensieri ed
emozioni”.
7.3 A ciascuno il suo sport
Le considerazioni finora fatte ci immettono nella zona centrale della
questione: quali e quanti condizionamenti di carattere psicologico
intervengono nella scelta sportiva e nel mantenimento della motivazione?
Per cercare di comprenderlo, occorre distinguere le varie discipline sportive
sulla base di criteri di carattere generale.
- Prove di resistenza e sforzo prolungato contraddistinguono le gare di
fondo e di lunga durata: ciclismo, podismo, marcia, sci… prevedono
allenamenti impegnativi come durata e distanza e specifiche doti
psicologiche quali una salda volontà, tenacia, metodo, autocontrollo,
determinazione, gestione e sopportazione del dolore.
- All’opposto, un’altra categoria di discipline sportive è caratterizzate dal
gesto atletico che necessita di una grossa scarica di energia: sono gli sport
esplosivi, come alcune discipline dell’atletica, i cento metri, il lancio del
peso, del giavellotto, il salto… In poco tempo, decimi di secondi, si
condensano giorni e giorni di allenamento e in quel brevissimo lasso di
tempo si deve dare il meglio di sé.
Si collegano a questi sport un certo grado di impulsività, una personalità
che “mette fuori”, scarica, una notevole capacità di concentrazione, una
scarsa tolleranza alla routine e all’ordinario, ma piuttosto una rapidità
propria di soggetti attivi, sempre in movimento.
- E che dire delle discipline “eleganti”, come la ginnastica artistica, il
pattinaggio artistico, il culturismo?
Sono assimilabili alle personalità che curano l’aspetto, che amano apparire
eleganti e armoniose, che possiedono costanza nel parcellizzare la
preparazione, capacità di analisi, unite a doti psicologiche proprie degli
sport di resistenza.
- Poi troviamo le discipline molto rischiose, come l’automobilismo, il
motociclismo, lo sci con la discesa libera e il salto dal trampolino, il
paracadutismo, gli sport alpini, il climbing. Chi le predilige possiede, in
quantità notevolissima, coraggio, disprezzo del pericolo, prontezza di
riflessi, grande equilibrio; possiamo anche inserire in questo quadro una
scarsa valutazione della realtà, una certa dose di incoscienza, il desiderio di
sfidare il destino.
- La propensione a stare a contatto con la natura e di dominarla con
prestazioni ad altissimo livello si ritrova negli sport di mare e di acqua,
nell’alpinismo, nell’equitazione. La componente psicologica è collegata
all’impulso primario dell’esplorazione per raggiungere luoghi impervi, per
combattere contro le forze della natura come il clima rigido, la forza di
gravità, i luoghi di estrema deprivazione sensoriale, come il deserto, la
zona polare… E’ il desiderio di provare sempre rinnovate sensazioni, di
compiere azioni sensazionali e anticonformiste a muovere queste
personalità: in genere sono autosufficienti e trovano in se stesse la
motivazione e la soddisfazione per l’impresa portata a termine.
Abbiamo visto che le abilità comuni alle varie tipologie di sport sono
resistenza, esplosione di energia, armonia ed eleganza, rischio elevato,
contatto con la natura.
ZOOM – Dal disturbo allo sport
Accostare l’attività sportiva ad alcuni disturbi di carattere
prevalentemente psicologico non significa credere che rappresenti
un’alternativa a un’eventuale psicoterapia, ma più realisticamente un aiuto
e uno strumento aggiunto.
Vediamo alcuni esempi di disturbi e le discipline che potrebbero essere
abbinate.
Disturbo di personalità come l’aggressività dovuta a stress e insicurezza
Consigliate: Arti marziali
Stati depressivi con calo delle prestazioni fisiche e psichiche
Consigliate: Attività individuali come marcia, corsa lunga, ciclismo non
competitivo.
Attacchi d’ansia, irrequietezza Consigliato rallentamento di ritmo:
quindi yoga, golf, tiro con l’arco, tai chi.
Fobia sociale, con timidezza paralizzante Consigliati tutti i giochi di
squadra: volley, basket, rugby, calcio.
7.4 Sport individuali o sport di squadra?
Un’ulteriore osservazione va fatta per il gruppo di discipline strettamente
individuali in confronto agli sport di squadra.
Nel caso delle attività sportive individuali o che prevedono lo scontro
diretto uno contro l’altro, è presente la consapevolezza di dover contare
sulla propria forza e sulle abilità personali, sull’incondizionata disponibilità
al contatto fisico e alla distanza intima, unite a una consistente componente
di aggressività che, pur mediata dalle regole e dal raziocinio, trova sfogo
nell’atto atletico.
Tali elementi, aggressività, spazio intimo… sono presenti anche in sport
come scherma e tennis, ma ad un livello di simbolismo e di astrazione: qui
si tende ancora a violare il campo di azione dell’altro, ma non direttamente,
bensì tramite strumenti intermediari, come l’arma, la palla e quant’altro.
Lo stesso discorso può essere fatto anche per gli sport di tiro (fucile,
carabina, arco), nei quali però non si combatte contro l’avversario in carne
e ossa, sostituito com’è da un oggetto amorfo e neutro: la sagoma, il
piattello, il paglione con il bersaglio.
Non viene meno il fattore dell’aggressività, che si presenta però in forma
quasi sublimata, stemperata nella soddisfazione di colpire un oggetto
inanimato e non un avversario.
Anche nel ciclismo e nel podismo non esiste il contatto fisico come
componente della gara: gli atleti rendono una prestazione molto incentrata
su se stessi, sulle proprie forze.
In tutti questi esempi possiamo ravvisare la tipologia dello sport
individuale, nel quale esiste un rapporto esclusivo tra l’impegno personale
e il risultato ottenuto.
“Se ottengo un successo, è esclusivamente merito mio!”
Anche negli sport di squadra è possibile riscontrare le medesime
motivazioni e gli stessi atteggiamenti degli sport individuali, ma emergono
ulteriori variabili di personalità.
Sapere integrarsi nella squadra, sacrificarsi per il gioco collettivo o per il
leader, essere ricettivi e pronti nel considerare il quadro d'insieme del
gioco, saper trasmettere e recepire le intenzioni, gli schemi di gioco: queste
sono le capacità necessarie nello sport di squadra, al quale si accede
motivati dal desiderio di far parte di un gruppo, di supplire alla propria
timidezza e alla insicurezza, condividendo con altri la responsabilità del
risultato.
Qualunque sia lo sport verso il quale ci si orienta, possiamo dire che
esistono differenze fra una disciplina e l’altra nel modo di affrontarle; gli
stessi elementi di diversità sono riscontrabili nella personalità degli atleti
all’origine della scelta.
Cambiano di conseguenza anche i parametri mentali da allenare
specificatamente. Ad esempio, nella preparazione mentale del ciclista è
determinante sviluppare la capacità di mantenere la continuità e la
motivazione, nel giocatore di basket, oltre a queste, si deve anche dare
grande spazio all’allenamento video-motorio e all’analisi parcellare del
gesto.
Possiamo dunque concludere, al termine di questa analisi, che nella scelta
di un tipo di attività sportiva, più o meno consciamente, ciascuno è
influenzato da una serie di fattori personali e sociali.
Per riassumere le caratteristiche degli sport:
- negli SPORT INDIVIDUALI:
l’atleta cerca il risultato per se stesso,
fa conto esclusivamente sulle proprie energie;
- negli SPORT DI SQUADRA:
l’atleta condivide il risultato con la squadra,
conta anche sulla prestazione dei compagni.
7.5 Differenze e specificità nelle attività sportive
Tra i fattori che possono influenzare la scelta della propria attività sportiva
va tenuto presente l’ambiente in cui si svolge abitualmente.
I fattori esterni rappresentano una variabile determinante per l’esito della
prestazione e per le abilità fisiche e mentali che la condizionano.
In alcuni casi, chi fa sport da amatore o da professionista viene a trovarsi in
ambienti chiusi con condizioni esterne pressoché costanti: in palestra, in
piscina, nei palazzetti dello sport.
In altri casi, invece, l’attività si svolge all’aperto, sul campo sportivo, per
strada, in mare, in montagna.
Diverse sono le condizioni esterne, diverso è l’atteggiamento mentale che
si crea nell’affrontarle.
Una gara di nuoto si svolge per tutta la giornata al chiuso nell’ambiente
particolare della piscina, nel quale i suoni, le luci, l’abbigliamento, tutto
concorre a creare una situazione asettica, ovattata, quasi irreale.
Occorre essere provvisti di tecniche per superare la monotonia e il lento
passare delle ore in attesa del proprio turno, per mantenere la motivazione e
la capacità di attivazione ai fini della performance.
Altri sport si svolgono sia all’aperto, sia al chiuso. Questo succede, ad
esempio nel tiro con l’arco: durante le gare invernali, i tiratori si fermano
per tutta la giornata in una palestra, non devono calcolare l’incidenza di
fattori esterni, come il vento o la pioggia, che possono variare l’esito di un
tiro.
Sempre nell’arco, ma nella specialità del tiro di campagna, di fronte ai
bersagli collocati in diverse posizioni, si deve tener conto di volta in volta
della distanza, delle correnti del vento, della pendenza del terreno. In
questo caso occorrono, oltre alla mira, forti doti di flessibilità, colpo
d’occhio, capacità di stima delle distanze.
Diverse ancora sono le condizioni legate a sport che si svolgono sempre
all’aperto: il ciclismo su strada, la corsa campestre, l’automobilismo.
Pioggia, vento, sole cocente non fermano una gara, tranne che in casi
particolarissimi; pertanto il freddo, il caldo, la scarsa visibilità
rappresentano variabili supplementari, per affrontare le quali si devono
mettere in atto strategie fisiche e mentali ancora più definite, quali la
determinazione e la sopportazione.
Negli esempi portati, si riscontrano facilmente variabili psicologiche che
valgono anche per altri sport: la capacità di superare la monotonia dei
lunghi allenamenti, il mantenimento della concentrazione, la flessibilità
nell’adeguarsi alle situazioni climatiche valgono anche per il ciclismo, per
la vela, per lo sci, per la canoa.
Quale che sia l’ambiente di gara oppure la tipologia di sport, dagli esempi
risulta molto importante allenare le abilità psicologiche dell’atleta o futuro
atleta. Si devono sviluppare diverse attitudini, come la competitività, la
forza morale, l’autostima, la motivazione, la leadership, il fronteggiamento.
7.6 La prestazione prolungata
La specificità di una prestazione prolungata è costituita da lunghe e
lunghissime distanze, tempi molto duraturi, ambienti uniformi,
monocromatismo.
Una prestazione sportiva prolungata nel tempo e nella distanza va
preparata, oltre che sul piano fisico e tecnico, anche sul piano mentale e
psicologico. Tale evento può essere equiparato, con le dovute
differenziazioni per la durata, le condizioni oggettive, gli elementi
soggettivi, alle situazioni di Sensory deprivation.
Se, ad esempio, si devono percorrere 500 km in bicicletta senza soluzione
di tempo o 100 e più km di corsa a piedi, oppure se l’attività sportiva si
svolge per lunghi periodi in ambienti uniformi come il deserto o il mare
(uniformità spaziale o/e temporale) è molto probabile che a un certo punto
si ricada in uno stato di monotonia percettiva e di ripetitività dell’attività
motoria con conseguenze limitative rispetto all’obiettivo prefisso e alla
gratificazione personale.
Dobbiamo considerare alcune variabili legate alla personalità, quali
- la capacità di sentire e sperimentare lo stato di noia;
- la tolleranza o l’intolleranza;
- il carattere introverso o estroverso;
- le aspettative preliminari;
- la costanza nel portare a termine un compito;
- il bisogno di esplorazione;
- la modalità percettiva globale o analitica.
7.7 Fare sport in situazione di deprivazione sensoriale
La monotonia sensoriale produce una sorta di saturazione dell’omogeneità.
Gli effetti della monotonia sensoriale sono molteplici.
Può avvenire una depersonalizzazione e un allontanamento dalla realtà che
fanno nascere l’esigenza verso aspetti qualitativi opposti e, per contrasto,
l’attivazione di motivazioni cognitive tendenti alla segmentazione e alla
frammentazione.
Si verifica inoltre una saturazione della realtà circostante e una sgradevole
consapevolezza della situazione negativa che si sta vivendo, da cui
l’esigenza di attivare soluzioni mentali diversificate.
Anche l’interferenza e l’affioramento degli altri elementi della personalità
che chiedono soddisfazione compaiono in stato di deprivazione e quindi
possono emergere:
- disagi,
- voglia di socialità,
- conflitti interiori,
- autoaffermazione,
- impellenti bisogni da soddisfare (nutrizione, sonno),
- impulsi (aggressività, apatia).
Si evince, da quanto detto, l’importanza dell’auto-percezione della propria
persona, della chiara definizione dell’area del sé in modo da poter spostare
il vissuto della prestazione, che presumibilmente è faticoso, deludente e
povero, in vissuti e in fantasie intense, promettenti e consolatorie.
Nel campo della preparazione mentale dell’atleta, in questo caso del
soggetto impegnato in un compito prolungato, si parte da una serie di
proposte specifiche, riassumibili in alcuni punti fondamentali, ai quali far
corrispondere riflessioni ed esercitazioni tese a costruire un bagaglio di
“strumenti” da mettere alla partenza nello zainetto, a fianco di tabelle di
marcia, di integratori, di prodotti per l’alimentazione.
Il programma preventivo, da svolgere nei giorni precedenti, prevede
l’approfondimento di alcuni temi importanti:
- La respirazione secondo varie tecniche.
- Il rilassamento secondo alcune fasi: rilassamento agito, rilassamento
immaginato, inventario corporeo.
- La visualizzazione del movimento - Mental Imagery.
- Lo sviluppo dell’autostima e della fiducia in sé.
- Il rafforzamento della motivazione.
- L’utilizzazione sistematica di tutte le modalità sensoriali e non solo di
quella visiva.
- Esercizi specifici per contrastare la monotonia percettiva in Sensory
deprivation e in situazioni equiparabili.
Tutti questi aspetti vanno sperimentati ed approfonditi, fino ad assimilarli
rendendoli automaticamente richiamabili al momento opportuno. Entrano a
far parte della propria personalità e del proprio modo di porsi di fronte a
una sfida.
ZOOM- La monotonia sensoriale
Durante la prestazione prolungata si può incorrere nello stato di
monotonia sensoriale (deserto, mare, neve, forme arrotondate, buio…);
avviene un allontanamento dalla realtà che produce un desiderio di aspetti
contrastanti e frammentati con la conseguente sgradevole sensazione
negativa. Nasce il desiderio di soluzioni mentali diversificate. In questa
condizione interferiscono gli elementi della personalità di un soggetto.
Allontanamento dalla realtà e
desiderio di opposti e contrasti
Insorgenza di disagio per la
consapevolezza della situazione negativa
Desiderio di soluzioni mentali
diversificate nella forma
e nel contenuto
Interferenza dei tratti di
personalità:
voglia di socialità
conflitti interiori
autoaffermazione
bisogni impellenti
impulsi aggressivi
apatia, rassegnazione.
TESTIMONIANZA - Che cosa mettere nello zainetto mentale
Possiamo fornire alcune indicazioni, quasi un manualetto, da infilare
nello zainetto all’ultimo momento, lasciando alla personale inventiva, agli
interessi, alle preferenze di ciascuno l’eventuale completamento.
- Preparare una tabella scritta con la descrizione delle tappe mentali e dei
compiti da svolgere durante la prestazione.
- Procurarsi un compagno mentale, o due, da scegliere con accuratezza,
con cui dialogare mentalmente.
- Scegliere una canzone, un motivo da ripetere e da cantarsi internamente.
- Scegliere un profumo, ricordando che l’olfatto interagisce con la parte
profonda del nostro cervello.
- Trasformarsi in navigatore satellitare, per produrre schemi di viaggi e di
attraversamento di città.
- Richiamare una parola, una frase, scelta come auto-incitamento: il mio
slogan.
- Rompere la monotonia della fissazione di un punto (la strada, ad
esempio), alzando gli occhi e guardandosi intorno.
- Osservare e annotare mentalmente le variazioni del cielo, del paesaggio,
dei colori.
- Osservare le variazioni di luce e la posizione del sole (se c’è) per
mantenere l’orientamento spaziale interno.
- Studiare modalità per percepire il passare del tempo e per mantenere
l’orientamento temporale.
TESTIMONIANZA – I miei passatempi in bici
Quando devo fare un allenamento particolarmente lungo e so che mi
aspettano ore e ore di allenamento noioso, cerco di trovare dei passatempi,
proprio nel senso letterale della parola.
Mi devono aiutare a far passare il tempo, alleviando la noia che
certamente mi può condizionare.
Uno di questi è dato dall’altimetro.
Quando parto da casa, lo impunto con la pressione atmosferica del luogo
dove mi trovo.
Poi ogni tanto lo controllo e vedo a quale altitudine sono arrivato e calcolo
il dislivello.
E’ un fatto psicologico… Se penso che devo arrivare a 1400 metri di
altitudine, mi demoralizzo.
Se invece suddivido il percorso in piccoli tratti, allora mi sembra più
facile.
Faccio un esempio: se ho 2 km da percorrere e verifico che ci sono 100
metri di dislivello, mi faccio coraggio perché penso che, in fondo, si tratta
di superare 4 o 5 cavalcavia!
7.8 Fatica fisica e fatica mentale
La fatica fisica produce fatica mentale, che a sua volta accresce la fatica
fisica: è una situazione ben nota a chi pratica uno sport e spreme fino
all’esaurimento il proprio fisico prima di cedere.
Un esercizio intenso porta all’alterazione di uno stato di benessere fisico e
la stanchezza mentale molto spesso produce il desiderio di interrompere la
gara.
Il termine fatica richiama l’idea di sforzo fisico o intellettuale che impegna
, mette in difficoltà; in senso figurato, può significare anche stato di
debolezza.
Si possono distinguere due tipi di fatica:
- la fatica periferica, data da un insieme di sensazioni di origine fisica
poiché nelle fibre muscolari si producono alterazioni biochimiche che il
cervello registra passivamente come percezione di fatica periferica;
- la fatica bi-direzionale, data, oltre che da componenti fisiche, da fattori
emotivi e cognitivi, che a loro volta provocano modificazioni periferiche.
Sappiamo inoltre che il rapporto individuale con la fatica è strettamente
collegato ad aspetti culturali e sociali: ad esempio nelle scalate delle
montagne asiatiche gli sherpa hanno molta più resistenza rispetto egli
alpinisti occidentali, che pure si preparano con molta accuratezza.
TESTIMONIANZA - La salita e la sofferenza
Solo: sofferenza e dolore: parlo della "croce e delizia" dei ciclisti. La
salita, infatti, significa (per molti) “fare un’impresa”.
Riuscire a scalare, superare e vincere con le proprie forze le asperità della
natura e le proprie paure di uomo risponde all’impulso primario
dell’esplorazione, al desiderio di provare rinnovate emozioni, alla
tendenza a compiere imprese sensazionali e non alla portata di tutti.
La soddisfazione per l’azione portata a termine ripaga della fatica e
consolida la sensazione psicologica di autosufficienza e sicurezza.
Non importa quindi possedere le caratteristiche fisiche dello scalatore per
amare la salita. Conosco alcuni amatori che evitano di fare gare e
allenamenti in salita con la scusa di non essere "portati".
Ma, oltre a costituire una fondamentale palestra dove alternare differenti
tipi di allenamento, la salita rimane un momento di intensa introspezione.
Fatica fisica e fatica mentale sono strettamente collegate fra loro come in
una spirale.
La percezione della fatica e del dolore varia da un individuo all’altro, ma
varia anche, nello stesso soggetto, in base al momento, alle situazioni
emotive, alle condizioni culturali e sociali.
E’ nella reazione alla sofferenza che emergono i tratti di personalità
dell’uomo.
Ho avuto la fortuna di affrontare alcune tra le più belle salite del
continente, ma ancora amo avventurarmi alla scoperta di nuove e impervie
strade.
In fondo, la vittoria più grande è quella sulle nostre paure.
7.9 Fatica e personalità
Acquistano molta importanza, di fronte al dolore e alla fatica, i fattori
inerenti alla personalità.
I soggetti introversi percepiscono maggiormente la fatica rispetto ai
soggetti estroversi.
I soggetti molto competitivi risentono in modo minore della fatica (sono
detti negatori della fatica) rispetto ai soggetti meno competitivi.
Anche lo stato emozionale incide: i soggetti depressi sovrastimano la fatica,
così come gli ansiosi.
Infine, grande rilevanza è data alla motivazione che ci induce ad affrontare
compiti difficili e faticosi: maggiore è la spinta e minore sarà il disagio.
Uno stress forte consente di sentire meno la fatica. Se, ad esempio, siamo
rincorsi ipoteticamente da una belva feroce, che ci incute timore,
certamente non ci curiamo dello stato di stanchezza e anzi scappiamo con
maggiore velocità…
Consideriamo alcune variabili legate alla personalità:
- il carattere introverso o estroverso;
- la capacità di avvertire o sperimentare lo stato di noia;
- la tolleranza o l’intolleranza;
- le aspettative preliminari;
- la costanza nel portare a termine un compito;
- il bisogno di esplorazione;
- la modalità percettiva: globale o analitica.
Emozioni, motivazione, aspetti della personalità sono componenti
psicologiche che contribuiscono a creare il circolo vizioso della fatica da
rompere.
Detto questo, quale aiuto possiamo aspettarci dalla preparazione mentale?
Non certo di annullare la fatica o di non sentirla più, ma almeno di gestirla
per portare a termine la prestazione.
Ad esempio, gestire l'affaticamento in una gara di podismo vuol dire:
1 - mantenere l'andatura ottimale in modo costante, né più veloce, né più
lenta;
2 - diminuire la percezione della fatica.
Il primo punto è materia di allenamento fisico.
Il secondo punto è materia di allenamento mentale.
La crisi di fatica arriva progressivamente.
Quindi è importante:
1) riconoscere le sensazioni e i segnali del proprio corpo;
2) mettere in atto delle strategie per contenerla.
Da qui l'utilità della preparazione mentale e psicologica in aggiunta
all'allenamento fisico.
Attraverso specifiche strategie s’impara a riconoscere tempestivamente i
segnali della fatica e a risolverli "in atto".
Il percorso da attuare prevede allenamento relativo a questi punti:
- la respirazione,
- il rilassamento,
- l'autostima,
- la motivazione,
- la gestione dell'ansia e dello stress.
ATTIVITA’ Riconosci la fatica
Svolgi un test di autovalutazione sulla fatica
Quando ti senti affaticato, come reagisci?
.............................................................
Cerchi di distrarti pensando ad altro? A che cosa?
.............................................................
Ti fissi sulla parte che ti fa male? Che cosa pensi?
.............................................................
Cerchi una strategia per superare il momento o subisci il disagio senza
fare niente?
.............................................................
............................................................
Ti concentri sulla respirazione? Come fai?
............................................................
Hai un tuo metodo? Quale?
..............................................................
Ti concentri sulla pedalata? In che modo?
Atleta ...................................data.......
7.11 Fatica e dolore
Nello sport esistono molte situazioni agonistiche portate a estremi livelli di
sopportabilità. In seguito a sforzi eccessivi, di natura fisica e psichica, il
soggetto si trova a dover gestire uno stato di affaticamento generalizzato e
un calo di carica energetica che si risolvono in condizioni di ridotto
rendimento, di scarsa concentrazione, fino a giungere al rifiuto dell’attività
e del ruolo.
Il quadro di affaticamento deriva dunque dal superamento del limite di
resistenza fisica e psichica.
A sua volta, l’affaticamento comporta l’avvio del dolore. I centri superiori
della corteccia cerebrale ricevono gli stimoli dolorosi dai recettori posti
sulla superficie esterna del corpo e dai tessuti interni dell’organismo.
La soglia di percezione del dolore varia da soggetto a soggetto: chi è poco
sensibile a una bassa stimolazione, chi lo è di più. Ma varia anche, nello
stesso soggetto, in base al momento, alle situazioni emotive, alle condizioni
culturali e sociali.
Le grandi imprese sportive ci illuminano al proposito; da esse si ricavano
esempi di sopportazione oltre i normali limiti fisici.
Leggiamo di motociclisti che continuano a correre a 200/km all’ora con un
polso fratturato e con dolori lancinanti per non perdere la gara. Lo stesso
vale per i ciclisti che, dopo una rovinosa caduta sull’asfalto, risalgono in
bicicletta rifiutando di farsi ricoverare pur di giungere al traguardo e non
compromettere l’eventuale partenza nella tappa successiva.
Poi ci sono le imprese estreme: quella, ad esempio, di Lynn Hill che porta a
termine un’arrampicata in ascensione libera rimanendo sulla roccia per 23
ore consecutive nella parete verticale del Parco Nazionale di Yosemite.
Il Freisian Team, la squadra italiana composta da 3 uomini e 2 donne
affronta la gara outdoor più massacrante nella prova del Raid Gauloises
2002 in Tibet e in Nepal: 1008 km da percorrere superando ogni tipo di
difficoltà, stravolti dalla fatica, per superare: torrenti impetuosi appesi a un
filo, centinaia di km di trekking e in mountain bike con zaini in spalla, 2
km di roccia, tratti con la canoa e con la zattera vietnamita, 128 km col
kayak in mare.
Uno sforzo sovrumano, per la maggior parte delle persone.
L’esploratore sudafricano Mike Horn, dopo aver percorso la linea
dell’Equatore, non si spaventa all’idea, a lungo accarezzata, di marciare
sulla neve per 18 ore al giorno attraverso il Polo Nord trainando una slitta
di 200 kg. Il viaggio continua in kayak per attraversare laghi e paludi e in
barca a vela per il mare. Affronta una sfida fisica e mentale con se stesso e
con le forze della natura. “La fatica fisica vorrebbe farti fermare, ma la
mente dice di continuare con la forza di volontà”.
Senza ricorrere a esempi di prove così impegnative, sappiamo che ogni
grande atleta affronta momenti duri nella sua carriera attiva. In questi casi,
è normale la reazione di allontanamento, per cercare di alleviare ed
eliminare il dolore fisico, come succede per il dolore psichico. La
farmacologia offre farmaci per mitigare il dolore e la fatica:
antinfiammatori, in particolare gli analgesici con azione blanda o forte, e i
narcotici più potenti, il cui uso provoca assuefazione.
Quando avviene un evento frustrante, come la perdita di un oggetto amato
o di uno status privilegiato, il soggetto si trova a dover fronteggiare una
crisi profonda, un calo della propria immagine di onnipotenza.
La tolleranza a tali “incidenti di percorso” dipende dalle reazioni
precostituite di fronte a esperienze dolorose avvenute in precedenza.
La percezione della fatica e del dolore è quindi legata, ancora una volta,
alla personalità del soggetto, al contesto socio-culturale in cui vive,
all’ambiente di riferimento.
TESTIMONIANZA – Il miraggio di Petra
Io Petra l’avevo già vista da turista così, quando il gruppo ha proposto di
partecipare alla Desert Cup di Giordania, ho subito aderito.
L’obiettivo era di portare a termine l'impresa per fare qualcosa di
straordinario, di riuscire in un’impresa difficile con poche possibilità di
allenarsi seriamente per via degli impegni di lavoro… per dimostrare di
essere forti mentalmente.
Per me la soddisfazione maggiore è proprio la prova con me stesso, con i
miei limiti… e anche quella di progettare questa cosa con il gruppo di
amici.
Il nostro gruppo è composto di persone diverse per età, professione,
provenienza, ma è affiatato: io mi sento protetto ad andare con loro, se
arriva una crisi (e prima o poi a qualcuno viene) ci aiutiamo a vicenda.
Nascono nuove amicizie e quelle vecchie si consolidano. Per fortuna le
crisi non vengono contemporaneamente, se qualcuno è in difficoltà e vuole
ritirarsi, il gruppo lo convince e lo assiste fino in fondo.
I momenti più belli sono quelli della progettazione. Per lunghi mesi siamo
impegnati a reperire i materiali più funzionali da portare nello zaino, i più
tecnici e leggeri: possiamo definirci “un gruppo di ricerca”!
I ricordi più vivi? Ho qualche flash…
Ho visto partecipanti ansiosi prima della partenza, col dubbio di non
farcela… altri eccitati per la novità… altri ancora presi dalla frenesia di
arrivare non tanto per primeggiare, ma per porre fine alla sofferenza…
Qualcuno ha fatto tutto il percorso da solo, per stare solo con se stesso,
per ritrovare sensazioni…
Certamente, in condizioni estreme, salta fuori l’aspetto intimo di ciascuno,
spariscono tutte le certezze e i condizionamenti della vita sociale
quotidiana.
All’arrivo, in vista di Petra dall’alto, dopo tanti km di deserto, sabbia e
pietraia, la sensazione che ha avuto il sopravvento, più che la meraviglia
dello spettacolo naturale, è stato il dolore per la fatica di scendere più di
mille gradini, con l’alzata di 60/70 cm, con i piedi gonfi, le piaghe…
qualcuno doveva aiutarsi a sollevare le gambe per procedere…
La sensazione del dolore rimane per alcuni giorni, ma dopo due giorni
eravamo pronti a ripartire.
Penso che il fisico abbia una “memoria del dolore”, che ci si abitui pian
piano.
Sono esperienze che cambiano. Non vedo l’ora di ripartire, di incontrarmi
con il gruppo, di ricominciare a organizzare una nuova impresa.
Ormai sono innamorato degli spazi aperti, come il deserto…
TESTIMONIANZA – La monotonia del bianco
Jon Krakauer nel libro “Nelle terre estreme” racconta la sua esperienza
nel ghiaccio scalando il Devils Thumb, una montagna che segna il confine
tra l’Alaska e la Columbia britannica.
Vista dall’alto, sembrava “un’enorme pinna di pietra sfaldata , scura e
maculata di ghiaccio”.
L’autore descrive la sensazione di spavento provato alla vista della
grandiosità dello scenario; le emozioni che si alternavano erano
amplificate, sia nel senso di esaltazione e di euforia intensa, sia nei
momenti di scoramento e anche di disperazione profonda.
Durante l’ascesa, iniziò a nevicare fortemente, tanto da rendere la
visibilità a zero. In quello stato fu preso dal panico, gli sembrava di essere
piombato in un labirinto bianco in cui gli era impossibile orientarsi.
Girava a vuoto, ritornando sempre sui suoi passi, scivolando sulla lastra di
ghiaccio liscia e uniforme, senza scorgere alcun punto di riferimento.
Emergevano, in quella situazione, tutte le esperienze sensoriali in modalità
di deprivazione.
Gli occhi erano accecati dal riflesso del bianco, I rumori erano come
ovattati, il freddo pungeva la pelle e penetrava nelle ossa, il naso diventato
insensibile e il respiro rarefatto.
Il vuoto era rotto a tratti da paurosi scricchiolii e lamenti che provenivano
dai rami degli abeti appesantiti dalla neve. Il buio incombente aumentò la
sensazione di panico.
Finalmente riuscì ad allontanarsi dalla distesa bianca e gelida e rientrare
all’accampamento, dove piombò in un sonno profondo quanto inquieto…
Il racconto continua con il secondo tentativo… e il relativo salvataggio.
7.11 Ciclo del sonno e della veglia
Tra i bioritmi più noti che riguardano l’uomo, troviamo il ritmo
giorno/notte, detto ritmo circadiano (dal latino dies = giorno), che
comprende le variazioni biologiche che avvengono all’incirca nelle 24 ore.
Interessa attività biologiche come il metabolismo basale, la temperatura
corporea, la frequenza cardiaca, la funzione renale e molte altre funzioni
endocrine, nonché il ciclo sonno/veglia.
Questa struttura è condizionata da fattori genetici, da fattori interni, come
l’attività degli ormoni e della temperatura corporea e da fattori esterni,
come l’alternanza della luce e del buio.
Ogni soggetto, quindi, presenta un suo specifico ritmo sonno/veglia, con
prestazioni intellettive e motorie diversificate a seconda dei momenti della
giornata e con tempi di adattamento dissimili in caso di cambiamenti di
attività o di fuso orario (sindrome del jet lag).
Ogni giorno verifichiamo che siamo più o meno pimpanti in determinati
momenti: c’è chi si ritrova appena alzato nel pieno delle sue forze, c’è chi
fatica a svegliarsi e a riprendere le sue normali attività.
Il ritmo circadiano è il ritmo fondamentale della giornata umana, che
riflette il movimento planetario della Terra che ruota sul proprio asse.
Anche se, per svariati motivi, l’uomo moderno deve adattarsi a cambiare il
suo ritmo, la sua naturale inclinazione è quella di essere sveglio e attivo
nelle ore di luce e di dormire nel buio della notte.
Alla luce del giorno viviamo in una realtà percepita in ogni particolare e
con tutti i sensi; all’imbrunire invece ogni cosa perde di determinatezza, le
forme sono incerte, la vigilanza si attenua.
Anche le prestazioni sportive subiscono questo condizionamento: un atleta
deve conoscere i precisi momenti in cui rende di più e gli altri invece in cui
la sua forma è appannata.
7.12 Il sonno e le sue fasi
Perché non riusciamo ad addormentarci pur essendo stanchi e pur
avvertendo il bisogno di sonno; e perché a volte, pur dormendo un certo
numero di ore, avvertiamo la sensazione di avere un sonno insoddisfacente,
per cui ci svegliamo in uno stato di ansia e di spossatezza?
La notte è il periodo in cui il nostro corpo e il nostro cervello hanno
bisogno di rigenerarsi; infatti, mentre si dorme, avvengono nel sonno delle
modificazioni chimiche e fisiche importanti per mantenerci in forma.
Il compito del sonno è quindi vitale per riprendere ogni mattino l’attività
psichica e fisica.
Ricordiamo le fasi del sonno:
1^ fase: sonno non REM, in cui si raggiunge lo stato di rilassamento dei
muscoli e i processi mentali sono al minimo;
2^ fase: sonno REM, solo gli occhi hanno un’attività superiore e battito
cardiaco e respiro aumentano. Si sogna e il cervello è attivo quasi come
durante la veglia (vedi scheda di approfondimento).
E’ molto importante dormire tra le 23 e le 8, quando è buio: queste sono le
ore buone per riposare. E’ un principio che l’atleta, professionista o non,
deve rispettare, a scapito ovviamente delle attività “notturne” del popolo
della notte, alle quali deve rinunciare drasticamente.
Una corretta igiene del sonno equivale a una serie di elementari
accorgimenti:
- dormire in un ambiente al riparo da luce e rumori;
- non guardare continuamente l’ora durante la notte per paura di non
svegliarsi in tempo;
- andare a coricarsi in orari notturni e variare poco gli orari;
- evitare pensieri eccitanti, come discussioni, preoccupazioni;
- evitare alcolici, bevande con caffeina e teina, sostanze eccitanti.
7.13 L’insonnia
Se il sonno viene a mancare, tutto l’organismo ne risente; perciò l’insonnia
è considerata uno stato patologico, che deriva da una serie di fattori ed ha
una sintomatologia specifica.
L’insonnia può essere occasionale o abituale, dovuta a malattia o all’età.
E’ importante distinguere i momenti in cui si verifica, se appena coricati in
fase di addormentamento (per eccessiva e prolungata vigilanza), se durante
la notte con risvegli ripetuti, se all’alba, al sorgere del sole (per angoscia,
timore della giornata, depressione).
L’insonnia è uno stato ben noto a milioni di persone: è l’impossibilità,
totale o parziale, di dormire. Oltre a dolori e malesseri organici, è
imputabile a stati emotivi turbati, come paure, preoccupazioni, irritazioni.
Secondo la definizione ufficiale, si distinguono due tipi di insonnia:
1) Insonnia primaria
- psicofisiologica, dovuta a stress somatizzati e tensioni emotive;
- pseudo-insonnia, dovuta a errata percezione del sonno;
- idiopatica, insorgente fin dalla nascita.
2) Insonnia secondaria
- per allergie alimentari e indigestioni;
- per scarsa igiene del sonno e per situazioni ambientali disturbanti;
- per alterazioni del ritmo circadiano (jet lag);
- per ansia, depressione, disturbi psicologici;
- per eventi angoscianti ;
- per dolori fisici e stati flogistici;
- per abuso di farmaci e sostanze stimolanti.
La persona che soffre di insonnia è definita dalla psicologia come un
individuo che non sa lasciarsi andare, che tiene un autocontrollo eccessivo
sulle emozioni, che teme il buio e la morte.
Gli effetti di una notte insonne, specie se ripetuti, sono dannosi per
l’equilibrio. Con le scarse ore dormite, e male, ci si sveglia con il corpo
carico di dolori e tossine, con la confusione mentale, dolori alla testa,
difficoltà di digestione, oltre che con la rabbia per non avere riposato bene
e con la preoccupazione di non avere forza e lucidità per affrontare il nuovo
giorno, con le sue prove, gli impegni.
Come rimediare?
Purtroppo non vale l’idea di rimediare con psicofarmaci, tranquillanti e
ipno-inducenti.
Questi accumulano a loro volta ulteriori tossine da smaltire, alla lunga non
sortiscono alcun effetto perché il fisico si abitua, spengono emozioni e
sensazioni, riducono la memoria, inibiscono le normali reazioni, creano
l’illusione di risolvere, ma non risolvono perché alterano le aree limbiche e
ipotalamiche del cervello, che sovrintendono alle emozioni e agli affetti.
Oltre l’insonnia nelle sue varie forme, altri disturbi del sonno sono:
- la narcolessia, che si manifesta con eccesso di sonno, con attacchi
irresistibili di sonno diurno e col passare direttamente al sonno REM;
- l’apnea, cioè il sonno interrotto perché si smette di respirare quando ci si
addormenta;
- la verbalizzazione e la sonnambulanza, propria di chi parla e gira nel
sonno;
- la sindrome delle “gambe senza riposo”, consistente in uno stato di
smania e di agitazione agli arti inferiori;
- la sonnolenza e il sopore, che sono disturbi della veglia.
Negli ultimi decenni il sonno e i suoi disturbi sono molto studiati dalla
scienza, ma permangono ancora alcune zone d’ombra.
ZOOM - La struttura del sonno
Il sonno è uno stato fisiologico in cui l’organismo si isola dall’ambiente in
cui si trova, perché si interrompono i rapporti sensoriali e motori con esso.
Chi dorme non avverte sensazioni fisiche e rimane in uno stato di
abbandono totale.
In particolare vengono studiati due aspetti (Dement):
1 – Fasi del sonno.
2 – Ciclo sonno/veglia
Con l’ausilio dell’elettroencefalogramma si è visto che le forme del sonno
sono sostanzialmente due:
- il sonno REM (Rapid eye moviments), caratterizzato da rapidi movimenti
oculari (notare il sonno REM dei gattini!);
- il sonno NREM, senza movimenti oculari.
Cronologicamente, si presenta prima il sonno NREM, suddiviso in 4 stadi.
- Primo stadio: sonno leggero, con perdita progressiva del ritmo alfa,
tipico della veglia, con facili risvegli e fantasie simili al sogno, con
comparsa di immagini ipnagogiche, che conducono al sonno.
- Secondo stadio: sonno con ridotta attività mentale, con pensieri
frammentari, con ritmo theta e assenza di movimenti oculari.
- Terzo stadio, accorpato al quarto stadio, con sonno Delta, con
rallentamento ulteriore del tracciato elettroencefalografico, rilascio del
tono muscolare (sonno sincrono) e assenza di movimento oculari.
- Caratteristiche del sonno REM: rapidi movimenti oculari, perdita del
tono muscolare, aumento della temperatura corporea, alterazioni
fisiologiche come il ritmo della respirazione e dei battiti cardiaci; è il
momento dei sogni.
Di norma, sonno NREM e sonno REM si alternano 4/5 volte per notte, ma
questo dato cambia da individuo a individuo.
Tutte le fasi sono necessarie per il buon funzionamento del sonno. La
privazione di sonno porta a sensazioni di confusione e affaticamento, a
disorientamento, a irritabilità.
CAP 8 IL RUOLO DELLE EMOZIONI NELL’ATTIVITA’
SPORTIVA
“Possiamo tutto sulle nostre idee,
che non sono niente, pensò,
e nulla sui nostri sentimenti,
che sono tutto.”
(C. Garcin, Il volo del piccione viaggiatore)
8.1 Emotività
Come per altri argomenti, anche intorno all’ emotività si sono sviluppate
teorie scientifiche o pseudoscientifiche differenziate o, a volte, opposte.
Quando proviamo un’emozione, succede a causa di automatismi cerebrali
innati e determinati, oppure per le esperienze di vita che incontriamo?
Se siamo emotivi, pronunciamo la frase “Io sono fatto così”, oppure “Se
sono così è colpa di quello che ho passato, dell’ambiente in cui sono
vissuto…”?
Una conclusione alla quale sono giunti gli studiosi è che le emozioni hanno
componenti biologiche in quanto derivano dall’attivazione di nuclei
nervosi, ma devono anche essere studiate nella loro componente
psicologica (Oliverio).
Si parte sempre da uno stimolo che provoca le emozioni; felicità, infelicità,
tristezza, gioia, rabbia, malinconia, paura, ansia, panico, nostalgia sono
stati emotivi che nascono da qualche evento o pensiero; a questi
rispondiamo con una reazione di tipo vegetativo, come la sudorazione, la
tachicardia, le lacrime, la mimica facciale, unita all’interpretazione
cognitiva che ne diamo.
Se udiamo il rumore di un colpo dietro noi, il battito del cuore aumenta,
pensiamo a che cosa può essere stato e possiamo avere una reazione di
terrore se viviamo in uno stato di ansia, oppure, se siamo rilassati,
immaginiamo che sia caduto un oggetto e ci tranquillizziamo subito.
In modo analogo ci comportiamo con le altre emozioni. Da quanto detto, si
comprende come lo stato emotivo incida negli atti della nostra vita, in tutti i
campi, compreso quello sportivo che qui ci interessa.
Lo stato d’animo con il quale un atleta parte per una gara deriva da una
somma di fattori, dalle condizioni fisiche del momento, dall’ambiente
familiare sereno o conflittuale, dai rapporti con i compagni di squadra, dai
condizionamenti degli sponsor, dall’essere un soggetto pubblico esposto ad
aspettative.
Tutto ciò incide sul risultato della prestazione.
ZOOM – Uno studio sull’emozionalità.
Durante un convegno sul ruolo dell’alzatore nella pallavolo è stato
presentato un metodo di valutazione sull’emozionalità per verificare
l’incidenza dei fattori emotivi sull’attenzione agli effetti della prestazione.
Sono stati effettuati test per registrare, oltre all’elettromiografia e la
frequenza cardiaca, i valori che possono indicare i livelli di emozionalità
attraverso la conduttanza cutanea, in una prima fase negli atleti a riposo
e in seguito negli stessi impegnati in gare importanti (Polidori).
Ci si è basati sulla variazione della resistenza elettrica della pelle
provocata dai diversi stimoli emozionali sia esterni, tipo un rumore, un
verso, una parola, un commento, sia interni, cioè immaginare condizioni
conflittuali o scene paurose. Tale variazione è derivata dallo stato di
umidità della pelle stessa, dovuto all'azione delle ghiandole sudoripare
sottostanti in particolare nei palmi delle mani e nella pianta dei piedi.
I risultati hanno confermato il rapporto di correlazione fra i dati in
laboratorio e i dati sul campo: chi presentava valori alti nei test di
emozionalità era soggetto a un numero maggiore di errori nei testi di
attenzione e anche durante le gare.
8.2 Le reazioni alle emozioni
L’emozione non porta solo a uno stato di eccitazione nell’individuo, ma
rappresenta anche la motivazione per certe reazioni in un rapporto
interdipendente.
Gli stati emotivi promuovono un comportamento che può andare in
direzioni di opposta tendenza.
Il pianto è connesso alla malinconia o al cordoglio per un lutto o un
abbandono, ma anche alla gioia; allo stesso tempo, se espresso, produce
sollievo a un dolore o sfogo a una rabbia impotente.
Ridiamo quando siamo felici e cerchiamo di ridere per scaricare la
tensione; ma esiste anche il riso nervoso, senza controllo.
La rabbia e l’ira sono le risposte che sorgono in noi quando non possiamo
raggiungere un obiettivo, quando siamo interrotti in qualcosa che volevamo
fare o dire; ma è in grado di scatenare aggressività contro chi o che cosa ci
ha impediti.
Così la gelosia, cioè il timore di perdere l’affetto di una persona a causa di
un'altra, produce un comportamento aggressivo e ostile.
La paura ci induce a evitare a priori le situazioni, le persone, gli oggetti che
crediamo in grado di danneggiarci e per i quali proviamo timore.
Oltre che sviluppare reazioni in due sensi, positivi e negativi, lo stato
emotivo porta a conseguenze diverse a seconda dell’intensità. Infatti, se un
certo grado di ansia è naturale in prossimità di un esame o di una gara e
può anzi tenere vive la tensione e la motivazione, viceversa l’eccessiva
ansia è deleteria e può bloccare le capacità cognitive e motorie; allo stesso
modo una situazione esente in tutto da ansia sconfina nell’indifferenza e
non è foriera di impegno.
Nello sport, quindi, si sviluppano emozioni positive che facilitano e aiutano
la prestazione atletica, ma che possono anche interferire negativamente (ad
esempio, l’eccessiva eccitazione).
Ma anche le emozioni negative, come l’insoddisfazione e il nervosismo,
possono essere sia si aiuto, sia di intralcio.
Occorre imparare a controllare le emozioni per raggiungere l’equilibrio
psicologico; se le emozioni sono troppo intense, portano a inabilità e
insicurezza, se sono nulle o leggere, portano allo stato di apatia.
Un primo passo per un atleta è rendersi consapevole dei propri stati
emotivi, ma ovviamente non è sufficiente; ciò non comporta
automaticamente riuscire a non farsi condizionare.
Le testimonianze di atleti di vario livello riportate in seguito sono il
risultato di riflessioni e di autoanalisi sul ruolo delle proprie emozioni nello
svolgimento dell’attività.
Quindi gli stati emotivi presentano componenti fisiologiche e componenti
biologiche.
Le reazioni alle emozioni possono essere sia negative (utili o dannose), sia
positive (utili o dannose).
ATTIVITA’ - Autovalutazione : Emozioni negative e positive
Contrassegna le affermazioni che condividi. Le tue emozioni ti aiutano o ti
danneggiano?
Emozioni positive facilitanti la prestazione: P+
Ho molta energia. Oggi mi sento veloce.
Sono motivato per questa gara, sono carico.
Sono consapevole delle mie capacità.
Sono concentrato sull’obiettivo. Sono molto deciso.
Sono eccitato. Mi sento dentro la gara.
Sono entusiasta.
Emozioni negative facilitanti la prestazione: N+
Non voglio farmi superare dagli altri.
Sono aggressivo, gliela faccio vedere io.
Non mi arrendo, sono testardo.
Voglio dimostrare che non sono inferiore dell’avversario.
Sono insoddisfatto della mia prestazione.
Sono furioso con me stesso, provo rabbia e irritazione.
Emozioni positive interferenti con la prestazione: P-
Sono molto calmo, troppo.
Mi sta bene come sono, non cerco nient’altro.
Il mio scopo è raggiunto.
Penso ad altro, non alla gara.
Sono molto soddisfatto di me stesso. Sono contento, la vita mi sorride.
M’interessa solo essere simpatico agli altri. Faccio di tutto per essere ben
accetto.
Emozioni negative interferenti con la prestazione: N-
Sono molto nervoso. Sono preoccupato per motivi miei.
Sono critico verso me stesso.
Oggi non mi va di gareggiare. Mi sento vuoto, privo di volontà.
Abbandono la gara, tanto non arrivo.
Sono sempre in stato di tensione e di allarme. Sono stanco, affaticato.
Sono annoiato, stufo di fare sacrifici per niente.
ATTIVITA’ - Reazioni emotive/comportamentali in situazione
Assegna un punteggio in corrispondenza delle caselle.
Punteggi da 0 (non applicabile), 5 (appena applicabile), a 10 (totalmente
applicabile).
Quando
sono in
famiglia
Quando
sono al
lavoro
Quando
non ne
ho
voglia
Quando
ho
dormito
male
Quando
penso
male di
me
Quando
penso
bene di
me
Quando mi
impongono
regole
severe
Mi sento
calmo
Mi sento
rilassato
Mi sento
deluso
Ho dubbi
su di me
Mi alleno
duramente
Sono nel
panico
Sono
ottimista
Mi sento
motivato
Mi sento
nervoso
SITUAZIONI DI RIFERIMENTO
1 – Quando sono con la mia famiglia
2 – Quando sono sul lavoro
3 – Quando pratico il mio sport non avendone voglia
4 – Quando ho dormito male prima di una gara
5 – Quando penso di essere andato male
6 – Quando penso di essere andato bene
7 – Quando devo vivere o allenarmi con regole molto severe
TESTIMONIANZA – Il pianto dei calciatori
In una intervista rilasciata a un quotidiano, lo psichiatra Paolo Crepet
commenta la reazione di una squadra di calcio a un risultato negativo.
Lo psichiatra dice che le lacrime agli occhi di alcuni giocatori
testimoniano lo stato di tensione anche rispetto alle aspettative che stampa
e tifosi avevano creato intorno alla partita. Prendere 4 gol è un risultato
pesante, è come prendere un 3 a scuola. Sono reazioni che si studiano negli
adolescenti; è normale che restino male!
Anche i tifosi piangevano, per attaccamento alla squadra, per le
aspettative deluse, per problemi personali.
“Sono moti d’animo che fanno bene… Avvicinano… Solo i dittatori non si
sono mai commossi!
E invece tutti dovremmo piangere la sera davanti a un tramonto!”
TESTIMONIANZE – Analisi delle emozioni di una atleta
“Mi succedeva questo: dopo una mezzora di partita di calcio, quasi
improvvisamente mi sembrava di non potercela fare a resistere ancora,
chiedevo di essere sostituita.
Parlo di calcio femminile.
Mi hanno aiutato ad analizzare questo stato emotivo e ho capito alcune
cose.
Primo che non era stanchezza vera e che invece era la mia tensione. Ho
riflettuto sui diversi stati d’animo che provo in varie situazioni. Sono molto
calma, ad esempio, quando sono in famiglia, con le mie compagne mi trovo
bene; poi anche quando ho riposato bene tutta la notte…
I problemi vengono quando devo fare una cosa per obbligo, con delle
regole precise da rispettare. Allora perdo la calma, mi disunisco, non
combino più niente, poi mi demoralizzo e vorrei fuggire, scappare…
Parliamo dell’allenamento. Gli allenamenti vanno fatti in orari precisi, e
con delle modalità stabilite, con dei ritmi molto severi; mi sento poco
motivata, non so trovare la strada per impegnarmi.
Poi mi sono accorta che mi condiziono molto da sola; quando penso di
essere andata bene, ma è un mio personale giudizio, allora sono calma e
rilassata, mi alleno bene, mangio bene, sono fiduciosa di far bene in
partita.
Ma quando qualcosa va storto, mi pare di essere andata male, allora mi
trovo a essere nervosa, sento tanto la delusione, vado in panico, mi
vengono tutti i dubbi.
Ho capito che non è il mio stato di forma, non è la mia salute, non mi viene
a mancare la forza fisica per finire una partita; sono emotiva, è proprio la
mia emotività che influenza negativamente il mio rendimento, soprattutto
l’ansia.
Il rimedio? Mi piace fare il mio sport, l’ho scelto, quindi devo riuscire ad
accettare le regole necessarie nella vita e nello sport… fare gli esercizi di
respirazione, di rilassamento e di autostima…”
ZOOM – Le reazioni emotive
Dal punto di vista biologico, gran parte delle reazioni emotive dipendono
dal sistema limbico, un insieme di nuclei situati sotto la corteccia
cerebrale, tra cui:
- il setto,
- l’ippocampo,
- l’amigdala,
- la corteccia detta cingolata.
L’amigdala è la più importante per l’emozione per i collegamenti con il
talamo.
Il talamo è la struttura nervosa situata sotto la corteccia che fornisce le
informazioni sensoriali, tra cui gli stimoli che scatenano un’emozione:
stimoli visivi, uditivi…
Gli stimoli sensoriali passano dal talamo direttamente all’amigdala, prima
che la corteccia li registri e ne prenda coscienza col pensiero.
Dall’amigdala provengono reazioni vegetative, ormonali e
comportamentali.
Reazioni vegetative: aumento del ritmo cardiaco, aumento della pressione,
sudorazione, dilatazione della pupilla…
Reazioni ormonali: produzione di più ormoni nel surrene, nella tiroide a
causa dell’attivazione dell’ipofisi…
Reazioni comportamentali: dovute a gangli della base, che sono formazioni
nervose da cui dipendono comportamenti motori, fra cui le espressioni
facciali.
Le emozioni forti arrivano fino alla corteccia.
(Fonte Oliverio )
TESTIMONIANZA - Sesso e sport: la caduta dei tabù.
Il concetto o l’idea di astinenza nello sport ha radici antichissime, ma è
sempre di attualità. Ho letto di un ciclista e della sua lunga astinenza per
vincere il Campionato Mondiale.
Non c’è molto di nuovo. All’inizio del secolo Binda affermava che il suo
segreto fosse che faceva l’amore solo una volta l’anno! Considerato che
facevano gare da 4/500 km ai 28 di media, non è che rimanessero molto
tempo!!
Negli anni settanta c’era la leggenda di uno spagnolo che perse un Tour de
France, per una polluzione spontanea mentre era all’attacco in salita!
Addirittura un ex-campione del mondo dichiarò che si legava il membro
per evitare persino l’eccitazione!
Insomma, i frati se la cavavano “solo” con 5 frustate…!
I metodi per trovare motivazione e concentrazione attraverso il sacrificio
sono parecchi. La maggior parte degli sportivi si comporta allo stesso
modo, magari non lo pubblicizza molto e lo indirizza verso altri fattori: chi
non mangia dolci o formaggi, chi non va in discoteca, ecc…
Quando correvo nelle categorie giovanili, ci veniva ripetuto dai direttori
sportivi del tempo di quanto “facesse male”. Addirittura qualcuno più
“furbo” era riuscito a convincere i suoi che fare la doccia prima della
corsa l’avrebbe indebolito: in questo modo sperava di preservare il ciclista
da eventuali pruriti…!
Ma oltre al danno procurato dalle false credenze, dalle superstizioni e
dalle cabale, risultava molto difficile convivere con chi, in un giro a tappe,
non si faceva la doccia!
Quasi tutte le religioni impongono dei “veti” sugli eccessi sessuali e
premiano l’astinenza, anche se ne consegue un ulteriore senso di colpa
sulla sessualità in genere, causando così numerosi casi di persone con
problemi nella sfera sessuale.
Il punto di vista dello psicologo, è di preservare l’equilibrio psico-fisico: le
privazioni creano qualcosa di più pericoloso: le perversioni. A rafforzare
questa teoria ci sono le numerose testimonianze di cui si parla
(allegoricamente e tragicamente allo stesso tempo) nell’ambiente ciclistico
professionistico.
È bene notare che tutte le nostre esperienze sono filtrate dall’ambiente
sociale in cui viviamo e vengono condizionate dalle regole morali alle
quali dobbiamo sottostare per farne parte. Le pulsioni e i bisogni che
dobbiamo soddisfare, come il sesso, potrebbero rimanere molto soffocati
dalle indicazioni che vengono date ad un ragazzo da figure di riferimento
come un direttore sportivo o un genitore.
Il lavoro dello psicologo è volto ad alleggerire gli stati d’ansia che
possono derivare da tutte le pulsioni che vengono soffocate dai rapporti
sociali in genere, quindi se per un ciclista il fatto di non poter fare sesso
diventa motivo di stress, può portare ad abbassare il livello di
concentrazione e di motivazione, perciò diventa un fattore negativo. Per
quanto riguarda l’atto sessuale in sé, essendo naturale, istintivo e
fisiologico, non capisco perché possa essere nocivo. La rinuncia che porta
alla perversione, rischia di lasciare dei problemi nella sfera sessuale in
genere.
I danni che un direttore sportivo (o una persona di riferimento) può fare
sono più gravi di quello che si possa pensare, pertanto è importante
valutare bene la preparazione e l’equilibrio della persona che educherà un
giovane atleta…o un frate novizio!
8.3 Lo stress e i suoi aspetti
Essere stressati fa parte della condizione attuale dell’uomo?
Sembra proprio di sì, considerato l’uso che si fa del termine: troviamo
persone stressate nel lavoro, in famiglia, nello sport; ci ammaliamo per lo
stress, siamo infelici per lo stress, sentiamo bambini accusare tale stato per
i numerosi impegni come scuola, danza, nuoto.
Lo stress sembra la parola chiave onnicomprensiva per definire la
situazione dell’individuo nei tempi moderni.
Ma che cos’è in definitiva lo stress?
Un breve riepilogo degli approcci al concetto può aiutarci a inserire la
problematica in un contesto più allargato, in base agli studi scientifici
effettuati in questi ultimi anni. Secondo la definizione di Selye, ancor oggi
da molti ritenuta valida, lo stress è la risposta non specifica di attivazione
dell’organismo a ogni richiesta operata su di esso a livello fisiologico e
comportamentale.
Si tratta, quindi, di una reazione di adattamento utile e non è
necessariamente di una condizione patologica; il nostro organismo cerca di
stabilire un equilibrio con attività eccitatorie, come l’aumento del ritmo
cardiaco, la sudorazione, oppure con inibizioni funzionali, come stanchezza
cronica, apatia. Pertanto da un lato conviene abbassare la soglia di
eccitazione, dall’altro favorire un flusso energetico più elevato.
L’adattamento si sviluppa attraverso tre fasi successive:
- la fase di allarme, nella quale, di fronte a un pericolo, avvengono
modificazioni biochimiche e ormonali nel nostro corpo;
- la fase di resistenza, durante la quale l’organismo si organizza per
difendersi;
- la fase di esaurimento, con il crollo delle difese.
Lo stress può derivare da fattori interni (costituzione personale) oppure da
fattori esterni ( stimoli di varia origine).
L’evento che scatena la reazione è detto stressor, o fattore di stress, o
agente stressante.
Ulteriori studi attribuiscono alla reazione emozionale un ruolo importante
nella situazione stressante . Dipende da come ci sentiamo quando capita
qualcosa di nuovo, dalle emozioni che proviamo, dall’intensità di queste.
Un importante contributo proviene da Lazarus, per il quale gli stimoli
stressori vengono valutati in primo luogo nella nostra mente a livello
cognitivo, per poi produrre una reazione emozionale.
Martens richiama l’attenzione sullo stress come processo che coinvolge la
percezione di squilibrio tra le richieste ambientali e la capacità di risposta
ad esse.
Nella terminologia attuale si verifica un allargamento del significato di
stress: con tale termine si indica sia lo stimolo che lo determina, sia la
risposta e la situazione in cui ci si trova.
Sentiamo dire spesso: “Il lavoro mi stressa, lo studio mi stressa, le richieste,
gli obblighi, gli orari mi stressano” evidenziando le cause stressanti.
Ma anche: ”Sono sempre sotto stress, sono stressato…”, attribuendo alla
parola un significato di situazione.
8.4 Le manifestazioni dello stress
L’iter delineato è dunque questo: stressor – valutazione cognitiva –
attivazione emozionale – manifestazioni fisiologiche e comportamentali
attivazione emozionale
stressor
valutazione cognitiva
attivazione emozionale
manifestazioni fisiologiche e comportamentali
Tutti gli organi e i sistemi del nostro organismo sono coinvolti nella
risposta allo stress, secondo schemi variabili da individuo a individuo e da
settore a settore.
- L’apparato cardio-circolatorio modifica la frequenza cardiaca e la
pressione sistolica e diastolica;
- l’apparato gastro-enterico risponde con attività secretoria e motoria;
- la cute attiva le sue funzioni di difesa e di termoregolazione;
- avvengono reazioni pupillari con dilatazioni;
- si registra una risposta vascolare periferica con vasocostrizione a livello
della cute e del sottocutaneo e di vasodilatazione a livello muscolare;
- si verifica una risposta salivare con riduzione della normale secrezione.
Si può parlare, in generale, di una risposta multimodale agli stressor
emozionali.
Sappiamo quindi che lo stress è una reazione necessaria per la
sopravvivenza, ma che può trasformarsi in rischio di malattia somatica e di
disturbo psicopatologico quando tale risposta si sbilancia in eccessiva
attivazione
Parliamo di eustress quando lo stress è positivo e di distress quando è
negativo.
Come fronteggiare la situazione di stress?
Innanzi tutto, cercando strategie per impedire che la naturale situazione di
stress si trasformi in distress, in grado di produrre anche cambiamenti
irreversibili di carattere biochimico.
TESTIMONIANZA– Stressati!
Agli occhi di molti appassionati di ciclismo la vita dei professionisti è
piena di soddisfazioni, di incontri interessanti e di vita sana. In realtà
questi atleti, pur sentendosi dei privilegiati, sono costretti a dover
sopportare numerose cause di stress. Stress e ansia si intrecciano, poiché
si verifica una condizione psico-fisica di allarme di fronte a stimoli (reali e
simbolici) percepiti come minacciosi per la propria integrità.
I fattori “stressanti” sono molteplici e riguardano gli aspetti familiari,
lavorativi, affettivi e personali.
Considerando che la stagione ciclistica inizia sempre prima, molti ciclisti
sono costretti a partecipare ai raduni già i primi giorni di dicembre, dopo
pochi giorni dalla fine ufficiale della stagione!
Ciò significa dover gestire la lontananza da casa, le difficoltà di rapporto
con i familiari e con gli affetti più cari, oltre a dover gestire in modo
edificante il tempo libero. Problemi di alienazione e demotivazione sono un
tipo di stress lavorativo chiamato” burn-out”.
A gennaio, dopo aver passato le feste in modo autonomo, s’inizia a fare sul
serio e la maggior parte delle squadre organizza almeno una settimana di
allenamenti molto intensi. In questi casi, coloro che hanno subìto un
infortunio o un malanno possono trovarsi a dover sopportare carichi di
lavoro troppo pesanti, accumulo di affaticamento, disagio nei confronti dei
compagni di squadra e senso di inadeguatezza nei confronti dei dirigenti.
Oltre a questo, ci si sono messe di mezzo pure le tecnologie! Sempre più
spesso i corridori sono in contatto e-mail con i preparatori/medici/direttori
sportivi e quotidianamente inviano i dati registrati dal loro ciclo-computer,
innescando un sistema di controllo tipico di coloro che lavorano sotto il
controllo diretto di supervisori. Questo può provocare ansia, ansia da
prestazione e paura del giudizio degli altri: come quello che provano gli
studenti che sostengono degli esami. Questa situazione può anche portare
l’atleta a esagerare e a non rispettare le esigenze del proprio corpo.
Infine, va considerato lo stress che subisce chi deve inserirsi in una nuova
squadra: nuovi colleghi, nuovi dirigenti, lingue straniere… peggio che
fosse il primo giorno di scuola!!
…e la corse devono ancora iniziare!!!!
Allo stesso modo gli amatori possono entrare di diritto nel “girone” degli
stressati!
Lavorano per otto ore al giorno e riescono a ritagliare il tempo da
dedicare all’attività sportiva (spesso sacrificando i pasti e le ore di sonno)
e ai doveri familiari! Molti fanno l’attività fisica così intensamente e
velocemente da non ricavarne alcun beneficio; anzi, oltre alla sofferenza
fisica, devono affrontare anche il senso di colpa per non aver fatto
sufficienti ore di allenamento!!
Qualche consiglio? Esercizi antistress: Respira. Sciogli i nodi. Una bella
spazzolata alla schiena!
8.5 Stress e ansia
Il concetto di stress e quello di ansia si intrecciano nelle cause e nei rimedi.
Come abbiamo detto, si verifica una condizione di allarme psico-fisiologica
di fronte a una situazione percepita come minacciosa, non solo reale, ma
anche simbolica. La reazione può esplicarsi come un normale adattamento
protettivo, ma se si protrae nel tempo come intensità e come durata può
portare a modificazioni fisiologiche persistente che poi portano a malattie
psicosomatiche.
Abbiamo già evidenziato le reazioni di allarme a livello fisiologico. A
livello psicologico nascono sentimenti di tensione, paura, irritabilità; cresce
il livello di vigilanza; nasce così un quadro di ansia e di personalità ansiosa.
Il quadro dell’ansia è vario e complesso, perché esprime un disagio
profondo dell’essere umano preso nella trappola di tensioni in conflitto fra
loro: da una parte c’è il desiderio di fare qualcosa, di realizzare le proprie
potenzialità, di essere e di apparire; dall’altra la tendenza alla quiete,
all’inerzia, al non prendere decisioni.
Ancora una volta chiariamo i termini rifacendoci a una definizione.
L’ansia è una reazione difensiva dell’organismo umano di fronte a un
pericolo reale o, più spesso, simbolico.
L’ansia è quindi, al pari dello stress, un fenomeno vitale, e non
necessariamente una malattia. L’ansioso è in perenne stato di attesa di
eventi spiacevoli e negativi.
Distinguiamo due manifestazioni dell’ansia:
- l’ansia di stato, cioè la condizione ansiosa legata a uno stato momentaneo,
causata quindi da eventi reali o da situazioni-stimolo che si incontrano in
specifiche situazioni;
- l’ansia di tratto, cioè una situazione ansiosa costante di un soggetto che
abitualmente reagisce in modo ansioso in varie circostanze; l’ansia è
diventata un tratto stabile di personalità.
ZOOM – Quadro d’ansia
Stress ------ risposta non specifica
attivazione organismo
livello fisiologico
livello comportamentale
Stress e ansia ----- correlati nelle cause
correlati nei rimedi
Quadro d’ansia ----- ansia di stato – momentanea
ansia di tratto - stabile
ZOOM - Il sistema endocrino
Il Sistema Endocrino regola molte funzioni con gli ormoni che produce e
che fa circolare attraverso il sangue. La correlazione con il Sistema
Nervoso Centrale si nota nelle reazioni di stress, perché vengono attivate
le risorse dell’organismo. La minima alterazione provoca danni...
Le principali strutture endocrine sono l’ipofisi, la tiroide e le paratiroidi, le
isole di Langerhans, i surreni, le ghiandole sessuali, l’epifisi, il timo, gli
ormoni dei tessuti.
IPOFISI – Regola l’attivazione di molte altre ghiandole mediante gli
ormoni che produce:
- la somatropina (STH) o ormone della crescita (GH); stimola
l’accrescimento scheletrico, muscolare, epatico, intestinale, renale; i
disturbi vanno dal nanismo (ipoattività) al gigantismo (iperattività);
- tireotropina (TSH), stimola la secrezione degli ormoni della tiroide;
- corticotropina (ACTH), mantiene la funzione del surrene;
- gonadotropina, con l’ormone follicolo stimolante (FSH), regola la
crescita dei follicoli nelle ovaie e stimola la produzione degli spermatozoi
(con amenorrea e assenza di spermatozoi per ipoattività);
- ormone luteizzante (LH), per la maturazione del follicolo, l’ovulazione, la
formazione del corpo luteo nella donna; nell’uomo l’LH unito al FSH
regola la funzione dei testicoli (chiamato ICSH);
- prolattina (LTH), regola la produzione del latte nelle ghiandole
mammarie.
Altri ormoni sintetizzati dall’ipofisi:
- ossitocina, provoca la contrazione durante il parto e la secrezione del
latte;
- vasopressina (ADH), antidiuretico, regola il metabolismo idrico e ha un
effetto vasocostrittore;
- melanotropina (MSH), per la pigmentazione della pelle.
TIROIDE – E’ una ghiandola che produce e rilascia gli ormoni:
- triiodotironina (T3) e la Tiroxina (T4) per il metabolismo, la crescita, lo
sviluppo. In caso di ipotiroidismo si verificano modifiche fisiche, torpore
mentale, disturbi del metabolismo; in caso di ipertiroidismo si verifica
dimagrimento, eccitabilità.
PARATIROIDI – Producono calcitonina e paratormone (PTH), ormoni
prodotti anche dalla tiroide; controllano la formazione del calcio e del
fosfato (con la vitamina D).
ISOLE DI LANGERHANS – Nel pancreas sintetizzano l’insulina per il
metabolismo glucidico e il glucagone, antagonista dell’insulina.
SURRENI – Costituiti da 2 parti: a)corticale; b) midollare.
- glicocorticoidi (cortisolo) e mineralcorticoidi (aldosterone), con effetti
sul metabolismo glucidico e sul bilancio idrosalinico: sono i
corticosteroidi.
- adrenalina e noradrenalina, influenzano la pressione sanguigna, il
metabolismo dei lipidi e dei glucidi.
GHIANDOLE SESSUALI – Sono le gonadi:
- testicoli, le gonadi maschili che producono gli androgeni (ormoni
sessuali maschili come il testosterone e l’androsterone);
- ovaie, le gonadi femminili ( progesterone, l’ ormone della gravidanza e la
relaxina);
- placenta, produce la gonatropina corionica umana (HCG).
EPIFISI – Ghiandola pineale che produce melatonina con effetti anche sul
ritmo circadiano:
TIMO – Produce la timosina legata al sistema immunitario ed è
antagonista dell’ACTH e delle gonadotropine.
ORMONI DEI TESSUTI.
- Prostaglandine;
- ormoni gastrointestinali (gastrina, secretina, pancreozimina);
- angiotensina, per vasocostrizione, stimolazione del surrene;
- chinina (bradichinina) per vasodilatazione e diminuzione della pressione
sanguigna;
- serotonina, con effetti sulla mucosa intestinale e sui vasi sanguigni.
(Fonte Cozzi-Granato-Merisi)
.
8.6 L’ansia nell’attività sportiva
Uno degli stati emotivi che dominano ogni persona, e quindi anche l’atleta,
è l’ansia.
Prima di una competizione, molti sono colti da ansia pre-gara: non si dorme
la notte precedente, si dimentica qualcosa nell’abbigliamento, si controlla
molte volte la borsa, si teme di non arrivare in tempo per incidenti
immaginari, si va spesso in bagno, emergono doloretti qua e là, si cambia
di umore, si diventa più chiacchieroni o al contrario più silenziosi.
Secondo Martens, si distinguono diverse espressioni di stato ansioso, paura,
angoscia, stato di ansia generalizzato, panico, fobia.
Sembra che corpo e mente siano in uno stato di allarme e di eccitazione. Se
un certo grado di attivazione è utile per la riuscita di una prestazione, se
però è troppo basso, si dice che si è scarichi; se è troppo alto, si entra in uno
stato confusionale: nei due casi la prestazione è compromessa.
Come detto per lo stress, un leggero stato d’ansia aiuta le prestazioni, ma se
questi normali limiti vengono superati, allora l’ansia diventa una malattia e
compromette le funzioni del soggetto.
Chi soffre di ansia è spesso teso, irritabile, timoroso, apprensivo; spesso
avverte la tensione muscolare, l’incapacità di rilassarsi e di concentrarsi.
Importante è quindi mantenere il livello di ansia a valori medi; in questo
modo l’atleta è nel pieno delle sue facoltà fisiche e psichiche, pronto per
una prova impegnativa.
I sintomi collegati all’ansia possono essere di carattere fisiologico,
comportamentale, emotivo e cognitivo.
I sintomi fisici, dovuti a un’eccessiva attivazione delle funzioni
fisiologiche, comprendono, fra l’altro: sudorazione, bocca secca, tremori,
non riuscire a stare fermi, palpitazioni, oppressione al torace, senso di
soffocamento, vertigini, nausea, nodo alla gola, disturbi alimentari e
gastrointestinali, cefalee da tensione.
Altrettanto noti sono i sintomi di carattere psicologico che si manifestano
nello stato ansioso: senso di paura, apprensione, essere sempre vigili,
difficoltà a concentrarsi, perdita della memoria, insonnia, distrazione, fatica
subitanea, impazienza, preoccupazione per un nonnulla, aumento della
tensione, senso di angoscia.
Se i sintomi descritti impediscono il naturale svolgimento delle attività
quotidiane, allora l’ansia diventa patologica, non corrispondendo più a reali
situazioni di pericolo.
Quindi l’ansia può essere causa di insuccessi, ma esiste anche un effetto
reversibile: una prova andata male può essere causa di ansia; inoltre sia
l’ansia, sia un insuccesso possono a loro volta essere condizionati da altre
cause.
Sembra comunque che la relazione ansia-insuccesso sia ambivalente e si
sviluppi secondo un processo ciclico: dall’ansia all’insuccesso,
dall’insuccesso all’ansia.
ATTIVITA’ - La spazzolata
Per questo esercizio è necessario essere in due, che operano
alternativamente.
Sei in piedi, con le braccia lungo il corpo e con le spalle abbassate.
Le ginocchia non sono rigide.
Esegui tre respirazioni profonde, in 4 tempi:
inspira 1.2.3.4.5
trattieni 1.2.3
espira 1.2.3.4.5
pausa per il tempo necessario.
Il partner dietro di te inizia a fare una carezza pesante con le due mani
partendo dalle tue spalle fino al bacino…
… come se dovesse spolverare i tuoi abiti.
Ripete il gesto ancora una volta…
Poi ancora un’altra volta.
Poi fa lo stesso nella parte posteriore delle tue gambe…
Una carezza pesante, una spolverata energica dalle cosce ai piedi…
Ancora una volta… ancora un’altra volta…
Ora riprende le tue mani e fa uscire i residui della tensione dalle dita, una
alla volta…
Dal mignolo… dall’anulare… dal medio… dall’indice… dal pollice…
Prima in una mano, poi nell’altra mano…
Ora fai un altro respiro profondo e nota la differenza da prima a dopo la
spolverata…
Puoi ripetere lo stesso procedimento al partner, invertendo i ruoli.
Questo semplice esercizio serve per risolvere rapidamente uno stato di
stanchezza mentale, di apatia, di ansia incontrollata.
8.7 L’ansia competitiva
Tralasciando le pur utili considerazioni generali, occupiamoci del settore
specifico dello sport, improntato alla competitività. E’ stata riscontrata un
tipo di ansia detta appunto ansia competitiva, che si manifesta proprio nelle
specifiche situazioni agonistiche, che può manifestarsi come ansia di tratto
(quindi stabile) oppure ansia di stato (quindi passeggera).
La teoria di Martens approfondisce proprio il comportamento dell’atleta
nelle situazioni competitive, viste come eventi che si affrontano con
tensione, con la messa in discussione delle proprie capacità, con l’affiorare
di insicurezze e timori.
E’ una condizione sperimentata da molti in prossimità di una gara
importante. Nella mente corrono pensieri come: “Quali sono le difficoltà?
Sarò in grado di farcela? Potrò ottenere un risultato soddisfacente?”
Questi dubbi attecchiscono specialmente in una personalità insicura e poco
fiduciosa delle proprie capacità e potenzialità; si instaura una
predisposizione a vivere con ansia tutte le occasioni; le conseguenze sono
risultati insoddisfacenti, abbandoni dell’attività sportiva..
Quando si prende in considerazione il comportamento dell’atleta di fronte a
una specifica competizione, si riscontrano due dimensioni dell’ansia:
- l’ansia cognitiva, con aspettative negative e preoccupazioni per il
risultato, con notevole impatto sulla prestazione, perché diminuiscono la
capacità attentiva e la percezione di autoefficacia;
- l’ansia somatica, relativa a quanto può succedere al proprio corpo e al
settore emotivo in vista dell’evento; questo tipo di ansia si rivela elevata
fino all’inizio della prestazione, poi diminuisce e non interferisce molto con
il risultato.
8.8 Paura e ansia nello sport: la prova di coraggio
Indubbiamente ogni competizione implica sempre una certa dose di ansia
per il possibile rischio, per l’insuccesso eventuale, per la delusione da
subire. Questo succede in relazione a tutti gli sport, anche se in alcuni casi
il rischio è maggiore, perché sono più pericolosi.
Quando assistiamo a certe manifestazioni, proviamo anche da spettatori
paura e ammirazione per quanto vediamo fare.
Un campionario di situazioni sportive di tale genere comprende, ad
esempio:
il salto da un trampolino;
un doppio salto mortale di un ginnasta;
una discesa in bicicletta “a rotta di collo”;
la velocità nello corse automobilistiche;
curvare in motocicletta;
lanciarsi con il paracadute;
volare col deltaplano;
fare surf o vela;
placcare l’avversario nelle partite…
In tutti questi casi, nei quali sarebbe giustificabile l’ansia competitiva,
viene in soccorso il contrario della paura: il coraggio, che incita l’atleta a
cercare ed a superare il rischio.
La ricerca del rischio non esclude la paura, ma la vuole tenere sotto
controllo; esprime una volontà di liberarsi dell’ansia e dell’incertezza.
Paura, ansia, angoscia, panico: termini usati spesso come sinonimi, ma che
presentano sfumature diverse.
La paura ha sempre un oggetto a cui è rivolta; l’ansia e l’angoscia sono più
stati soggettivi non rivolti a oggetti precisi o rintracciabili.
Ma anche ansia e angoscia sono diverse: l’ansia si riferisce al soggetto che
la prova ed entra in azione in concomitanza di un evento, mentre l’angoscia
si riferisce a una situazione, a uno stato.
Parliamo infatti di persona ansiosa e di situazione angosciante, che suscita
angoscia. In entrambi i casi, ci troviamo in una situazione in cui lo spazio
vitale sembra angusto, stretto. Nel caso di panico, si è preda di un timore
assoluto e totale per eccessiva preoccupazione ansiosa.
Possiamo qui solo dare indicazioni generiche per come risolvere gli stati
d’ansia, soprattutto se riferita alla competizione.
Innanzi tutto, sulla base di quanto detto finora, (l’ansia non è una malattia,
si può risolvere), occorre rendersi disponibili a divenirne consapevoli ed a
incontrarla.
ATTIVITA’ - Come aiutarti a risolvere l’ansia?
In primo luogo, fai maggiore attenzione alle occasioni in cui si manifesta,
in quali condizioni, ai sintomi psico-fisici che riscontri; tenere un diario
dei momenti di ansia può aiutare a razionalizzare.
Riscontrerai che alcune situazioni si ripetono e altre si escludono.
Le domande che puoi porti sono:
“ Quando viene la mia crisi?
Prima della gara? Quanto prima?
Durante la gara? In quale momento,
- all’inizio,
-in centro,
vicino al termine.
Che cosa mi era successo poco prima? Durante la notte? Il giorno prima?
Come si manifesta? Quali sintomi fisici?
Come mi sento? Che cosa provo?
Che cosa mi piacerebbe fare in quei momenti?
Dormire?
Fuggire?
Muovermi?”
Rispondi a questi interrogativi e instauri un dialogo con te stesso, per
conoscerti meglio, per divenire padrone delle tue reazioni.
Suggerimento: Un grande aiuto può venire dalle terapie di rilassamento;
nello specifico presentiamo una tecnica corporea di Distensione
immaginativa, abbinata all’uso della respirazione (vedi gli esercizi).
A queste aggiungiamo anche il rafforzamento dell’autostima e della fiducia
in se stessi e nelle proprie potenzialità.
ATTIVITA’ – Consigli a un tennista
I principali aspetti mentali relativi al Tennis (comuni ad altri sport) sono:
- la capacità di controllo emotivo per superare ansia e stress;
- possedere una mentalità vincente;
- gestire la “paura” della superiorità dell’avversario in campo;
- la fermezza nel non farsi condizionare da eventuali decisioni arbitrali (su
palle dubbie...).
Fondamentali sono quindi gli esercizi di respirazione e di rilassamento
(segui quelli riportati nel Capitolo 11).
Per approfondire, segui questo schema:
1) Fai un elenco di “doti”, a tuo avviso necessarie per essere un buon
tennista, poi analizzale una ad una per conoscere il tuo stato attuale e per
migliorarle.
Esempio:
attenzione (da 1 a10, quanto sto attento?)
concentrazione (da 1 a 10, com’è la mia concentrazione?)
motivazione (quanto sono motivato, in allenamento?)
...............................
...............................
2) Leggi bene il cap. 8 sulle Emozioni.. ed esegui le attività proposte..
Voce per voce, assegnati un punteggio. Verifica dove sei più carente.
Dopo un mese, rifai l’esercizio e confronta i risultati, così potrai
individuare le varie situazioni che ti aiutano o ti danneggiano.
3) Leggi con attenzione i paragrafi che riguardano l’ansia.
Trovi altri esercizi di autovalutazione che servono a determinare il grado
del tuo stato di ansia.
8.9 I livelli dell’ansia
Spesso è necessaria una guida per iniziare ad occuparsi della propria ansia,
soprattutto se il livello raggiunto è talmente condizionante da non rendere
l’individuo in grado di prendere decisioni e raggiungere consapevolezza in
proposito.
Infatti, a titolo esemplificativo, possiamo indicare tre livelli di ansia, ai
quali far corrispondere specifici rimedi che possono essere adottati.
1) Un livello raccoglie i casi in cui si è spaventati da tutti gli eventi e
paralizzati nell’azione, per le conseguenze immaginate. Per attivare le
capacità di recupero ed esprimere la parte attiva, è necessario ricorrere a
una guida che operi insieme all’atleta ansioso. In questo stadio vanno bene
i massaggi, gli esercizi di respirazione, il rilassamento, con l’aiuto di
un’altra persona competente.
2) Un altro livello raccoglie i casi di disturbi fisiologici più volte ricordati:
sudorazione, tremore, secchezza salivare, ecc.
Si cerca quindi un ruolo attivo per il corpo in maggiore autonomia rispetto
ai casi precedenti, per imparare a gestire l’ansia e a superarla in un percorso
graduale.
Particolari esercizi di respirazione riportano la calma; si può praticare
l’automassaggio, sperimentare le fasi della distensione immaginativa,
utilizzare altre tecniche (vedi esercizi).
3) Si prefigura anche un ulteriore livello, quello dell’ansia passeggera, che
si manifesta in particolari situazioni come forma di tensione emotiva,
basata su sensazioni di stanchezza, intolleranza, pur con tutti i sintomi degli
altri livelli, ma in forma più leggera.
In questa fase si è in grado di operare interventi autonomi per
l’affrancamento dall’ansia, che tiene prigioniere gran parte delle energie, in
modo da poterle utilizzare per la realizzazione degli obiettivi.
Respirazioni, rilassamento, esercizi di contrazione-distensione, esercizi di
imagery per liberare la fantasia e costituire un bagaglio di immagini da
richiamare in ogni situazione ansiogena: questo l’itinerario che proponiamo
per tenere sotto controllo l’ansia da prestazione.
ATTIVITA’ – Qual è il livello della tua ansia?
Rispondi alle domande indicando per ciascuna il punteggio da 0(mai), 1(a
volte), 2(spesso). I tre blocchi di item corrispondono a tre livelli di ansia.
In quale ti riconosci? In quale hai registrato maggiore punteggio?
0(mai) 1(a volte) 2(spesso)
DESCRIZIONE 0(mai) 1(a volte) 2(spesso)
Ho crisi di pianto
Ho paura ad uscire di casa/ad affrontare gli altri
Mi sento un fallito
Ho avuto momenti di panico
Sento la vita troppo faticosa
Mi sento bloccato nel pensiero e nell’azione
Ho degli incubi notturni
Ho dei lunghi periodi di tristezza
Le emozioni mi paralizzano
Devo sforzarmi per far fronte alle difficoltà
Mi sento inutile
Mi sento incapace di affrontare le situazioni
Mi sento a pezzi
Ho un nodo in gola
Mi preoccupo eccessivamente della mia salute
Ho l’impressione che mi manchi l’aria
Soffro di vertigini
Ho palpitazioni cardiache e/o mi sudano le mani
Mi sento sotto pressione
Provo molto disagio nei luoghi aperti o chiusi
Mi tremano le braccia e/o le gambe senza motivo
Mi lascio trascinare dagli eventi
Mi sento svuotato e confuso
Ho la sensazione di svenire
Mi sento irritato senza apparente motivo
Sento che capiterà qualcosa di sgradevole
Sono troppo emotivo
Mi sento teso dentro
Mi sento insoddisfatto
Non concludo quello che sto facendo
Mi preoccupo troppo per me e per gli altri
Faccio fatica ad addormentarmi
Mi stanco più facilmente di prima
Mi sento inadeguato
Mi sento a disagio e irrequieto
Mi concentro a fatica nei compiti abituali
TESTIMONIANZA – Le mie crisi panico
Ho sempre ansia e a volte anche crisi di panico.
Temo sempre un’imminente catastrofe, ho paura di perdere il controllo…
Alcune volte ho delle palpitazioni cardiache.
Mi dico: adesso comincio a sudare e tutti se ne accorgono… preferisco
andare a casa perché mi sento a disagio.
Qualche volta ho delle vertigini, mi prendono improvvisamente, nel bel
mezzo di una cosa che devo fare…
Mi viene come un malessere sugli occhi, manco di concentrazione.
Le mie crisi durano pochi minuti, neanche mezzora.
Non ho dei dolori nel corpo e neanche paure particolari; sì, certe volte
penso ai miei genitori anziani, ma loro stanno bene.
E’ come che mi si alleggerisca la testa, mi fischiano le orecchie, lo sento
venire e mi spavento, come in montagna quando le orecchie si aprono e si
chiudono.
Il fatto è che sul lavoro non mi capita… Mi capita la sera, in relax.
Mi capita quando devo fare una partita a biliardo, anche in torneo.
Una volta ho rinunciato, tanto sentivo che avrei sbagliato l’ultimo tiro.
A volte mi dico: Ma che testa ho? Ho una bella famiglia, mia moglie è
comprensiva, mio figlio è bravo…
Ma non so vincere questo panico che mi prende, lo so e mi preoccupo
prima che arrivi…
(Un giocatore di biliardo)
ATTIVITA’ – Il rumore dell’aria
Mettiti di fronte a una finestra aperta con le mani appoggiate al davanzale.
Inizia a mettere dentro l’aria (inspira).
Poi espira a bocca aperta facendo rumore… ascolta il rumore dell’aria
che esce dalla tua bocca.
Fai tre respirazioni in questo modo, con il dovuto intervallo.
Quando ti senti, ripeti l’inspirazione e, mentre espiri, puoi imitare il
rumore del vento con un sibilo…
Ora imita, sempre espirando, il rumore del treno che passa a un passaggio
a livello…
Poi imita espirando lo stormire delle foglie in un bosco…
Immagina diversi tipi di albero… il rumore delle foglie di un tiglio o di un
altro albero a foglia caduca…
… il rumore delle foglie di una magnolia…
Non forzare il respiro… riposa immaginando di trovarti in un luogo
piacevole…
Infine ricomincia le respirazioni… Respira a bocca aperta, emettendo un
suono nell’espirazione.
Poi fai la stessa cosa espirando a bocca semiaperta, sempre emettendo un
suono…
Poi inspira ed espira a bocca quasi chiusa, emettendo il suono che ti viene
naturale.
Nota le differenze fra i tre suoni, a bocca spalancata, a bocca semichiusa,
a bocca quasi chiusa.
Dai libero sfogo alla tua creatività…
Inventa i suoni dell’aria…
L’esercizio serve per prendere confidenza con il proprio respiro; non deve
mai produrre iperventilazione, per cui si raccomanda di fare intervalli tra
una respirazione e l’altra.
Ha un effetto molto calmante. L’atleta particolarmente ansioso può
eseguirlo in fase di preparazione e nell’imminenza di una gara.
ATTIVITA’ – Sciogli i nodi
Mettiti comodamente seduto su una poltroncina, senti i tuoi punti di
contatto con lo schienale, la schiena… i glutei… la parte posteriore delle
cosce… i piedi ben appoggiati per terra.
Inspira ed espira, ascoltando il rumore dell’aria che entra e che esce…
Inspira ancora e prolunga l’espirazione più che puoi… così otterrai uno
stato di rilassamento del tuo corpo.
Attendi qualche secondo, poi inspira e, mentre espiri, lascia cadere le
spalle e le braccia accasciandoti sulla poltrona…
Fai attenzione alle variazioni che si verificano nel tuo corpo… nelle
spalle…nel torace…nell’ addome…
Rimani in questo stato per alcuni secondi, ascoltando il tuo corpo.
Passa poi alla fase successiva.
In piedi, con spalle, braccia, testa appoggiate al muro.
Inspira e, mentre espiri, spingi in basso le spalle e il torace, lasciandoli
cadere …
Ripeti, espirando rumorosamente.
Ora imita il gatto o il cane, mettiti a quattro zampe…
Inspira dalla bocca contraendo i muscoli addominali… espira dal naso,
distendendo i muscoli della pancia il più possibile.
Ripeti ancora una volta in questa posizione, poi sdraiati oppure siediti,
orientando la tua mente sui punti di appoggio del tuo corpo sulla superficie
che ti sorregge…
I piedi… le gambe… i glutei… la schiena…
Questo esercizio serve a restituire un ruolo attivo al nostro corpo, per
reagire all’ansia che si manifesta con disturbi di tipo fisiologico, quali
palpitazioni, tremori, sudorazione… e anche nei casi di sensazione di
disagio, di paura.
E’ indicato per l’atleta che teme di non farcela, che si blocca
improvvisamente e si ferma prima del termine della gara senza motivo.
ATTIVITA’ – Libera la fantasia
Mettiti comodo, sdraiato, sicuro che niente ti disturbi per mezzora, stacca
il telefono, spegni la luce, oscura la stanza…
Orienta la tua mente sui punti di appoggio del tuo corpo…
Fai alcune respirazioni in tre tempi…
Inizia il rilassamento agito (vedi esercizio sul rilassamento).
Esempio: Contrai i muscoli di una gamba… Senti la tensione… Lascia
andare… Non fare nulla, e non facendo nulla, senti la differenza…
Opera in questo modo per tutti i settori del tuo corpo…
Metti in contrazione in successione i muscoli del tuo corpo, poi rilassali…
ascolta il tuo corpo… raccogli i segnali di disagio… respira orientando la
tua mente proprio sul disagio, fino a scioglierlo…
Rimani così per un po’ di tempo, ascolta le sensazioni che giungono dal
tuo corpo…
Quando ti senti completamente rilassato, libera la tua fantasia…
Richiama l’immagine di un luogo in cui sei stato bene, la spiaggia, il mare,
il bosco, la montagna…
Lasciati andare a un ricordo piacevole, rivivi quei momenti senza
rimpianto…l’occasione in cui ti sei sentito orgoglioso di te, importante per
quello che hai fatto o detto…
Fissa le sensazioni provate… ricava da queste sensazioni le energie per
affrontare i momenti della giornata e per superare le prove che ti
aspettano…
Indugia in questo stato di immaginazione…
Poi, lentamente, incomincia a muovere il tuo corpo, i piedi, le gambe, ecc.
Stirati, massaggiati, fai qualche respirazione liberatoria…
L’esercizio porta a uno stato di rilassamento generale molto piacevole,
come dopo un sonno (può capitare che il soggetto si addormenti
veramente). Una volta sperimentato, può essere effettuato autonomamente,
senza l’aiuto dell’operatore. Serve all’atleta per risolvere uno stato di
ansia leggera e generalizzata.
Fare una pagina di riepilogo su esercizi per l’ansia con riferimenti dei
capitoli dove trovarli.
Scrivere questi esercizi
8.10 La condizione di stress
In inglese, il termine “stress” sta a significare “sforzo e tensione”, ma
anche “spinta, pressione, enfasi, importanza”; il verbo “to stress” si traduce
con gli italiani “forzare, sottoporre a tensione”, ma anche “accentuare,
porre in rilievo, sottolineare un fatto, una situazione”.
Si rileva in queste note la doppia valenza dello stress, che richiama aspetti
negativi e aspetti positivi per l’organismo.
Riconosciamo l’importanza dello stress buono (eustress), indispensabile
per dare spinta alle motivazioni e alle attività fisiche, soprattutto in campo
sportivo. Consideriamo anche il danno che possono provocare gli stressor
se presenti in eccesso nelle manifestazioni dell’individuo.
Ora che parliamo degli effetti dello stress in correlazione con possibili
disturbi di somatizzazione, dobbiamo considerarne principalmente le
implicazioni dannose per la salute dell’atleta.
Lo stress è una condizione di turbamento dell’equilibrio dell’organismo,
dovuto a svariati motivi interni ed esterni al corpo.
E’ legato alle reazioni di adattamento e di compenso che si rendono
necessarie a fronte di stimoli stressanti (stressors) come possono essere
rumori assordanti, eccessivi caldo o freddo, privazione del cibo, ritmi di
vita e di lavoro troppo incalzanti, emozioni forti, esercizio fisico
esasperato, competizione allo spasimo, frustrazioni continuate.
Chi fa sport, a tutti i livelli, viene spesso a trovarsi nelle situazioni
descritte; ogni atleta, come ogni persona, presenta limiti di tolleranza allo
stress differenziati: lo vediamo nelle manifestazioni agonistiche, lo
percepiamo seguendo da vicino la vita dello sportivo, nei suoi momenti
cruciali.
Tutti però hanno un limite, la propria soglia dello stress; in caso di
superamento, si arriva all’esaurimento dei meccanismi di compenso,
giungendo all’esaurimento delle forze ( vedi scheda di approfondimento).
ZOOM –Il concetto di stress
Il concetto di stress, inserito in medicina dal canadese Hans Selye, indica
uno stato di conflitto tra particolari stimoli esterni (fattori stressanti o
stressors) e la reazione dell’organismo.
Se i fattori stressanti sono continui e ripetitivi, l’organismo non riesce più
a contrastare la tensione; si attiva la sequenza tipica: shock, reazione allo
shock. Essere sottoposti a diversi fattori accelera il processo di stress,
instaurando un tipo di risposta automatica a ogni piccolo evento
frustrante.
Lo stress produce disturbi gravi, spesso di tipo psicosomatico, che a loro
volta possono scatenare e aumentare lo stress fino a renderlo cronico,
creando una circolarità difficilmente spezzabile.
Gli studi di neurologia chiariscono il funzionamento dello stress.
L’ipotalamo risponde a stimoli stressanti, liberando neurormoni (fattori di
rilascio) che raggiungono l’ipofisi. Questa segnala un allarme,
producendo l’ormone ACTH (ormone della tiroide), che raggiunge la
corteccia surrenale, che risponde con il cortisolo, altro ormone
fondamentale per mantenere il controllo dell’organismo.
Gli stimoli stressanti attivano il Sistema Nervoso Centrale, il neuro-
vegetativo e il neuro-endocrino, creando le premesse per vari disturbi
d’ansia, con alterazione della frequenza cardiaca, della pressione
arteriosa, della motilità gastrica e intestinale, dell’attività delle ghiandole
endocrine e della ricettività di malattie infettive.
Questi aspetti tecnici devono fare riflettere sul fatto che fare del proprio
corpo un terreno di sperimentazione con l’immissione sconsiderata di
sostanze dopanti altera l’equilibrio omeostatico dell’organismo,
producendo risposte di stress e, di conseguenza, malattie organiche e
psicosomatiche.
ZOOM – Le sindromi psicosomatiche
Numerosi studi teorici e clinici mettono in rapporto emozioni, stress e
malattie (Pancheri); siamo nel campo della medicina psicosomatica.
Le sindromi psicosomatiche riguardano disturbi organici ricondotti a
origine psicologica, nell’ottica della concezione che supera il dualismo
cartesiano mente/corpo e considera l’uomo come unità psicobiologica, non
più quindi o solo mente o solo corpo.
L’uomo non può essere curato come se fosse “senza testa”, senza cioè
tener conto delle sue emozioni, dei suoi sentimenti, del modo di rapportarsi
con gli altri e con l’ambiente; d’altra parte, non può essere considerato
per le sue malattie mentali come se fosse “senza corpo” cioè senza tenere
in debito conto i suoi processi biologici.
La malattia psicosomatica si manifesta a livello organico come sintomo e a
livello psicologico come disagio.
La sua comparsa rappresenta un cedimento dei meccanismi di difesa e di
controllo che ha origini lontane nella storia individuale e della specie.
Come in una spirale, la malattie stessa diviene causa di ulteriore
indebolimento delle strutture biologiche, con effetti negativi sia a livello
somatico (nel corpo), sia a livello psichico (nella mente).
- Le principali sindromi psicosomatiche sono qui elencate considerando
l’apparato coinvolto.
- Disturbi dell’alimentazione: anoressia nervosa e bulimia nervosa.
- Disturbi gastroenterici: ulcera peptica e colite ulcerosa.
- Disturbi cardiocircolatori: cardiopatia ischemica e ipertensione
arteriosa.
- Disturbi respiratori: asma bronchiale.
- Disturbi urogenitali: enuresi o incapacità di inibire il riflesso urinario.
- Disturbi sessuali: tutte le devianze.
- Disturbi locomotori: dolori lombari, reumatismo psicogeno, artriti
reumatoidi, cefalee da contrazione muscolare, bruxismo, problemi di
locomozione.
- Disturbi dermatologici: disturbi legati alla pelle.
8.11 Il tono dell’umore
Ci alziamo alla mattina e tastiamo il nostro umore e quello di chi ci sta
intorno: essere di umore allegro fa bene a noi stessi, alla salute, a chi vive
con noi; aumenta le nostre prestazioni; siamo più lucidi e disponibili verso
gli altri e la vita.
Ma capita a volte di essere di cattivo umore, se non pessimo.
Sono capricci? A tener conto degli studi effettuati sull’argomento, non
sembra; risulta invece che esistano cause molto precise per queste
alternanze.
L’umore viene definito come uno stato affettivo legato ai sentimenti,
oppure come una particolare condizione mentale in riferimento alle
emozioni del momento; comprende non solo gli aspetti legati al piacere-
dispiacere, ma anche gli aspetti ideativi, funzionali, comportamentali.
Infatti, oltre che di umore depresso o euforico, possiamo essere di umore
instabile, vivace, creativo, contemplativo, pensieroso, filosofico...
L’umore è quindi uno stato dell’io caratterizzato da modificazioni generali
che influenzano sentimenti, pensieri, azioni, in modo tale da “colorare” con
tonalità diverse la realtà intorno a noi.
Quante volte sentiamo dire:
“Vedo tutto nero”, oppure:
“La vita mi appare rosea”.
Il tono dell’umore viene regolato da centri nervosi. E’ stato verificato che,
in presenza di un episodio di disturbo dell’umore, si riscontra
un’alterazione nel bilancio di alcuni mediatori chimici. Questo avviene a
causa di diversi fattori: malattie infettive, variazioni climatiche, esperienze
particolari, ciclo luce/buio e anche per assunzione di farmaci, alcool,
droghe.
I disturbi dell’umore, classificati dal DSM-IV, comprendono stati di apatia,
difficoltà di concentrazione, disistima, depressione (vedi scheda di
approfondimento).
ZOOM – Classificazione dei disturbi dell’umore
Il Diagnostic and Statistical Manual (DSM-IV) classifica i disturbi
dell’umore in due grandi famiglie che vanno dai due poli opposti della
depressione e della mania.
1) Disturbi depressivi unipolari, a cui appartengono:
- il disturbo depressivo maggiore (episodi ricorrenti);
- il disturbo distimico (cronico).
2) Disturbi bipolari, a cui fanno capo:
- il disturbo bipolare di I tipo e di II tipo (con episodi di mania);
- la ciclotimia (con alternanza di momenti di depressione e di mania).
Si presentano anche:
- il disturbo dell’umore da condizioni mediche generali;
- il disturbo dell’umore indotto da sostanze.
Più che di “depressione” è il caso di parlare di “depressioni”; infatti se ne
riscontrano di diversi tipi, in base alle manifestazioni fisiche e psichiche.
La distinzione corrente distingue:
1) La depressione endogena (la classica melanconia), che nasce
dall’interno del soggetto, senza rinviare a cause esterne;
2) La depressione reattiva, a seguito di esperienze vissute come perdite,
come lutti, separazioni, fallimenti...;
La depressione mascherata, che si verifica a seconda delle situazioni e si
manifesta con sintomi fisici e dolori vari (nausea, disturbi respiratori,
insonnia...).
8.12 Problemi relazionali
I disturbi dell’umore si ripercuotono dunque sulla vita della persona e su
quella di chi vive vicino a lei, compromettono i canali comunicativi,
instaurano una serie di problemi relazionali caratterizzati da una gamma di
umori che vanno dall’insoddisfazione generalizzata, a scoppi d’ira
incontrollata, a episodi di gratuita aggressività manuale e verbale.
I problemi relazionali insorgono tra i membri di un gruppo, coinvolgendo
di volta in volta:
- il rapporto genitori-figli;
- il rapporto tra coniugi e partner;
- il rapporto tra fratelli;
- il rapporto tra colleghi nel lavoro, nello studio, nello sport.
Nel primo caso possiamo inserire:
- l’iperprotezione del genitore verso il figlio, non solo fanciullo, ma già
ragazzo, o l’inadeguato controllo disciplinare in nome del permissivismo
senza regole; vanno qui inserite tutte le relazioni adulto/minore, come
insegnante/alunno, allenatore/atleta...
- il conflitto fra il desiderio di autonomia e di decisioni in proprio e la
necessità materiale e psicologica di dipendenza dal genitore (adulto) e dal
suo giudizio;
- l’instaurarsi dei cosiddetti “rapporti invischiati” nella famiglia (gruppo),
per cui un problema di un membro diventa un problema di tutti, con forme
di pesante coinvolgimento affettivo e condizionamento cognitivo.
Anche fra i partner, qualora uno di essi porti problemi relazionali, la
frattura è inevitabile: consideriamo i casi di atteggiamento critico e
distruttivo verso l’altro, i richiami sferzanti, la continua lotta per la
supremazia anche per piccole cose, il mutismo mantenuto per ore e per
giorni.
Risaputa e normale è la gelosia del bimbo alla nascita di un fratellino o di
una sorellina; ma quando questo sentimento si protrae fino all’età adulta,
diventa un ostacolo allo sviluppo armonico della personalità; anche
l’eccesso di attaccamento diviene un problema relazionale.
Infine giungiamo ad analizzare le complesse relazioni all’interno di un
gruppo, piccolo o grande, fatte di rapporti di collaborazione, di
cameratismo, ma anche di antagonismo, di arrivismo, di ripicche, di
attacchi alle spalle...
Un atleta vive in queste condizioni, sia che pratichi uno sport di squadra sia
individuale, perché è pur sempre inserito in un gruppo con i cui
componenti deve rapportarsi e confrontarsi.
Le particolari condizioni di gara, lo sforzo portato all’estremo, a volte al
limite della lucidità mentale, la presenza di frustrazioni avvilenti, portano
spesso a episodi plateali di collera e di aggressività.
8.13 Il sentimento di frustrazione
Lo sfondo delle giornate del soggetto con disturbi dell’umore è
caratterizzato da insoddisfazione generale e da un protratto sentimento di
frustrazione.
Nel caso dell’atleta, questo sfondo umorale si ripercuote nell’esito delle
prestazioni; vivere in uno stato di continua frustrazione porta a coltivare la
convinzione di non riuscire a raggiungere risultati a cui si tiene e di non
provare soddisfazione per quello che si è e si fa.
Se da un lato una certa dose di occasioni frustranti aiuta lo sviluppo della
motivazione, per l’altro lo stato continuo di negatività conduce al
consolidamento di tratti di personalità disturbata, poiché possono verificarsi
atteggiamenti regressivi di apatia, oppure di fissazione nelle risposte, o
ancora di tendenza all’aggressività.
Le cause della frustrazione sono in genere attribuite a fattori esterni, cioè ad
altri, a eventi, alla sfortuna; ma provengono anche da noi stessi, dal mondo
interno, da norme rigide interiorizzate fin da piccoli, o da divieti del Super-
io, il quale impedisce di rilassarsi o di provare appagamento.
Anche una volta raggiunto un successo o appagato un desiderio, il soggetto
non sembra in grado di vivere la felicità.
Il sentimento di frustrazione non deriva solamente da impalpabili cause di
carattere o da tendenze di personalità, ma anche da condotte di vita che
alterano il normale funzionamento dell’organismo.
Tali situazioni risultano molto pericolose, perché possono introdurre due
tipi di meccanismi:
- la regressione, con il ritiro in se stessi, nelle proprie fantasie che non
tengono conto del principio della realtà;
- l’aggressività, con l’uso di ogni mezzo pur di soddisfare gli impulsi,
calpestando le normali regole di vita.
8.14 La collera
La collera è uno stato emotivo che si manifesta con una crescente
eccitazione, che si trasforma in azioni, pianti, parole molte volte senza
ottenere alcun risultato concreto, e senza incidere sulle cause che hanno
provocato l’ira, lasciando invece una sensazione di impotenza.
L’attacco di collera è contraddistinto anche da alterazioni fisiologiche: il
cuore batte affannosamente, il volto diventa rosso, si avverte un calore
soffocante, si balbetta, le parole escono scompostamente; è l’adrenalina che
si scarica nel sangue e provoca queste modificazioni.
Dal punto di vista psicologico, una delle cause scatenanti l’ira è
l’impressione che qualcuno invada il nostro territorio, che voglia minare
l’immagine di noi stessi, che ci prenda alla sprovvista e alle spalle, come un
traditore; il terreno su cui attecchisce ha per sfondo la competizione, nella
vita professionale, a scuola, nella vita di coppia, nello sport: tutti
vorrebbero essere i migliori, superare gli avversari, vincere.
La collera è un’emozione e, al pari delle altre, non può essere repressa
totalmente, se non a rischio di malattie psicosomatiche, ma questo non
giustifica lasciarsi andare a gesti violenti e all’aggressività.
Alcool, droghe, sostanze nocive aumentano la tendenza alla collera,
travolgono le barriere del corretto comportamento e invitano a passare alle
vie di fatto, verbalmente e manualmente.
Sono ormai diversi gli episodi di aggressione gratuita riscontrati nel mondo
dello sport, e non parliamo dei normali contrasti fra contendenti che
possono accadere nel corso delle gare.
Nei campi di calcio assistiamo a falli a gioco fermo, che non hanno nessuna
apparente giustificazione, se non la volontà di colpire e danneggiare il
rivale.
Nel ciclismo, la stampa annovera casi di pugni fra agonisti, di schiaffi e
spintoni dati ai tifosi un po’ troppo invadenti.
E’ vero che una delle motivazioni dello sport è proprio lo sfogo
dell’aggressività, ma è altrettanto vero che la pulsione aggressiva va
indirizzata, frenata, orientata.
8.15 Le risposte aggressive
La collera culmina a volte in comportamenti aggressivi, distruttivi verso
altri, oggetti, se stessi. Secondo l’ottica comune, l’aggressività è la
disposizione ad arrecare un danno ad altri, ma è anche una forma di
affermazione del sé, oltre che una tendenza reattiva.
Dal punto di vista sociologico, registriamo immagini televisive,
cinematografiche, giornalistiche che sempre più stimolano comportamenti
aggressivi e la volontà punitiva verso l’avversario.
La tendenza all’aggressione è quindi un modo di relazionarsi con la realtà,
che coinvolge la personalità con diverse motivazioni: si è o si diventa
aggressivi per cause affettive, emotive, cognitive, culturali.
L’aggressività è vista come una risposta alla frustrazione: maggiore è la
frustrazione, maggiore sarà la spinta aggressiva.
La privazione di oggetti ambiti, il mancato raggiungimento di mete, sono
situazioni che non sempre riusciamo ad accettare adattandoci alla realtà;
dalla frustrazione si passa all’aggressione, seguita a volte dalla repressione
dell’istinto, quindi a nuova frustrazione, poi ad aggressività e via di
seguito.
Con queste premesse si prefigura un tipo di personalità con predisposizione
a reazioni aggressive di fronte a ostacoli, condotta che si riproporrà a
catena.
Scaricare la rabbia con un atto aggressivo genera in alcuni casi una
riduzione di tensione, in altri stati ansiosi, insoddisfazione, ostilità di base.
Si dirà che tutto ciò fa parte della vita quotidiana e che non è
necessariamente appannaggio dello sport; è vero, però allo sport, per la sua
intrinseca natura di attività ludica, si richiede un comportamento esemplare.
8.16 Aggressività
Per aggressività o comportamento aggressivo si intende un particolare stato
d’animo caratterizzato da un insieme di azioni dirette a danneggiare se
stessi, gli altri o l’ambiente.
La disputa se il comportamento aggressivo sia di natura istintuale oppure
sia un comportamento che il bambino apprende dall’ambiente che lo
circonda è ancora aperta.
Alcuni autori, Freud in primis, ritengono infatti che l’istinto aggressivo sia
connaturato alla persona, altri invece hanno dimostrato quanto l’ambiente
sia in grado di influenzare le reazioni aggressive nel bambino, specialmente
quando questo si trova immerso in un contesto che rintraccia nell’atto
aggressivo la risoluzione al conflitto.
Sembrerebbe che la reazione aggressiva possa essere vista secondo due
diverse ottiche.
Da una parte può essere letta come un insieme di comportamenti reattivi a
situazioni che una persona vive come stressanti e frustranti. Per un atleta
una gara andata male per colpa di una foratura, per uno studente un brutto
voto a scuola, una sconfitta nel gioco, per un bambino il rifiuto dei genitori
di comprargli un giocattolo possono scatenare una reazione di intensa
aggressività.
Dall’altra parte il comportamento aggressivo può essere considerato come
un modo per affermare il proprio Sé, la propria personalità e, soprattutto,
come la modalità privilegiata di comunicare con l’ambiente circostante le
proprie esigenze. Un esempio fra tanti: l’intenso pianto del bambino
piccolo che suscita l’accorrere della mamma ha dato i suoi frutti.
8.17 Gestire l’aggressività
Comunque lo si ipotizzi, il comportamento aggressivo è dunque parte
integrante della nostra esistenza.
Dobbiamo monitorare la frequenza dei comportamenti aggressivi,
l’interpretazione che se ne dà e le conseguenze che queste azioni possono
avere sulla sfera sociale.
Infatti, se è normale che un individuo gestisca alcune situazioni per lui
difficili in modo aggressivo per farsi capire dagli altri oppure per affermare
le proprie esigenze, altrettanto non si può dire quando reagisce “sempre” in
modo aggressivo di fronte alle più diverse situazioni.
Se si tratta di un bambino o adolescente, il comportamento aggressivo può
nascondere altri segnali: attirare l’attenzione di genitori o degli adulti
distratti, aumentare un’autostima carente, esprimere un blocco nello
sviluppo evolutivo che non riesce a trovare forme di espressione più
mature, rappresentare attraverso la rabbia la tensione familiare e sociale.
Molti genitori chiedono:
“Che cosa fare con un figlio aggressivo?”
Lo stesso vale per gli operatori dello sport, direttori sportivi, allenatori che
si trovano a dover fronteggiare atteggiamenti esageratamente reattivi.
Ecco alcuni comportamenti appropriati.
- Date voce alla sua rabbia: “So che sei arrabbiato”. Cercate cioè di fargli
intuire che capite quello che prova.
- Suggeritegli dei modi di sfogarsi più accettabili: incoraggiatelo a
rivolgersi a voi quando è arrabbiato ed ad esprimere a parole la sua rabbia.
- Proponetegli modi diversi per ottenere ciò che vuole: insegnategli a
discutere, a saper aspettare il proprio turno nei contatti con i coetanei.
- Non utilizzate voi stessi maniere forti per educare i vostri figli o i vostri
atleti: di fronte alla loro aggressività evitate tutte le punizioni fisiche.
- Lodateli quando hanno comportamenti non aggressivi: è importante che
comprendano che la gestione dei problemi senza il ricorso ad atti aggressivi
è per voi e per chi lo circonda meritoria di lodi.
- Cercate di capire cosa si nasconde dietro le esplosioni aggressive: sarà
essenziale comprendere se il ragazzo sta esprimendo con i suoi
comportamenti aggressivi la rabbia connessa alla tensione esistente
all’interno dell’ambito familiare, oppure se questi gli permettono di
affermare il suo “sé” e le sue esigenze più profonde.
Affinché i ragazzi imparino a non sperimentarla, è molto importante l’
atteggiamento che gli adulti hanno nei confronti della violenza.
8.18 L’aggressività in età evolutiva
Prima dei 18-24 mesi nel bambino non esistono comportamenti aggressivi.
Infatti, in questa fase dello sviluppo, il bambino prova solo emozioni di
tipo indifferenziato, come per esempio la collera che compare di fronte a
una situazione frustante.
Con l’emergere delle capacità cognitive, nel bambino nasce gradatamente
la capacità di elaborare il significato di una situazione. Così verso i due
anni si manifestano i primi comportamenti aggressivi, che possono essere
rivolti sia verso una persona sia verso un oggetto.
L’aggressività calcolata razionalmente, che viene utilizzata per raggiungere
determinati scopi, si manifesta molto più in là nel tempo, verso
l’adolescenza.
Il comportamento che mettono in atto in casa e nel vivere quotidiano gli
adulti, intesi come modelli da copiare, è un importante insegnamento. Da
ciò si può dedurre che, molto spesso, un comportamento violento da parte
dei bambini è sintomo di una difficoltà di comunicazione in famiglia.
Ecco allora alcuni suggerimenti per evitare di essere, anche magari
involontariamente, un riferimento per lo sviluppo di un comportamento
violento. Fin dalla primissima infanzia i bambini sanno distinguere la
differenza tra una conversazione pacata e una lite, perciò una delle regole
base è quella di non bisticciare mai nelle vicinanze di un bambino.
Generalmente, i bambini che hanno genitori con una vita sentimentale
tranquilla e serena sono poco aggressivi verso gli altri.
Oggi anche la violenza contenuta in alcuni programmi televisivi e in alcuni
videogiochi insegna ai ragazzi che far male a qualcuno non ha nessuna
conseguenza e che l’unico modo per risolvere la conflittualità è
l’aggressività.
Oltre a limitare il numero delle ore che il bambino ha a disposizione per
vedere la televisione, occorrerebbe sempre la supervisione di un adulto.
Quando possibile, sarebbe bene vedere insieme ai figli la tv e discutere sui
contenuti, in modo da insegnargli a distinguere tra fantasia e realtà.
Picchiando un bambino, generalmente, gli si insegna che è giusto picchiare
o essere violenti con gli altri.
Sculacciare un bambino che ha picchiato o morso un amichetto equivale a
usare la violenza per fermare la violenza. Si dovrebbe, invece, insegnare al
bambino a vivere insieme agli altri ed a esprimere i sentimenti risolvendo
in modo pacifico i problemi.
Nella loro crescita, i bambini tendono ad avere comportamenti vari, anche
aggressivi: tra questi ci sono il picchiare, dare schiaffi, graffi, pizzicotti,
tirare i capelli, mordere, dare calci, pugni, spingere.
Quasi sempre il bambino si arrabbia se litiga; i motivi di un litigio sono
innumerevoli: un dispetto del compagno, un gioco non concesso, un
prendersi in giro. Sembra allora che l'unico sistema per avere la meglio sia
la forza, l'aggressività, se i bambini capiscono che si ottiene quello che si
desidera con la prepotenza, vi faranno ricorso tutte le volte che possono.
ATTIVITA’ - Comunicare con l’aggressività
L’adulto deve essere in grado di comunicare in maniera efficace.
Considerate i tre tipi di comunicazione. Quale ritenete che sia utile in caso
di aggressività verbale o fisica?
Comunicazione:
1. Passivai: ”Non credi che sia il momento di mettere in ordine?”
“Non credi che dovresti riprendere il compito?”
2. Aggressiva: “Sei pigro e capriccioso! Sembri un bambino di due
anni”
“Testone! Non sei capace di esprimerti
meglio?”
3. Assertiva: “Quando finirai il compito potrai giocare” “Gli insulti
sono contro le regole. Smettila di usarli o dovrai subire le conseguenze”
Bisognerebbe quindi rivolgere le critiche sempre in maniera assertiva:
quali delle affermazioni ti trovano d’accordo? Segnale con una crocetta e
spiega perché.
a) Rivolgersi direttamente all’interessato piuttosto che ad un
intermediario.
b) Trattare in privato anziché in pubblico.
c) Evitare i confronti.
d) Protestare verbalmente e non con la mimica.
e) Evitare il sarcasmo e l’ironia.
f) Affrontare un argomento alla volta.
g) Evitare di usare espressioni quali ”sempre”, “mai” e simili.
h) Essere concreti e precisi.
i) Esprimersi in prima persona.
j) Presentare l’aspetto positivo della critica.
k) Suggerire una soluzione realistica e accettabile.
8.19 PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE:
• Predisporre un ambiente favorevole e un clima positivo.
• Definire limiti e regole precise.
• Controllare il “contagio negativo”.
• Fornire modelli positivi.
• Rinforzare i comportamenti pro-sociali.
• Salvaguardare la tranquillità dell’educatore.
• Dare aiuti e suggerimenti in abbondanza.
• Premiare la dilazione nel tempo della soddisfazione di un bisogno e la
tolleranza della frustrazione.
TECNICHE PER LA GESTIONE DI PROBLEMI LIEVI:
• Controllare il comportamento tramite la vicinanza.
• Bloccare il comportamento tramite segnali.
• Risvegliare l’interesse.
• Scaricare la tensione per mezzo dell’umorismo.
• Valutare obiettivamente i fatti.
TECNICHE PER I PROBLEMI PIÚ SERI:
• RINFORZAMENTO DIFFERENZIALE: consiste nel rinforzamento di
un comportamento adeguato che produce una diminuzione della probabilità
di comparsa di comportamenti inadeguati.
• ESTINZIONE: viene costantemente sottratto il rinforzo che manteneva il
comportamento così il comportamento si estingue.
• PUNIZIONE: qualsiasi conseguenza che riduca la probabilità che in
futuro si ripeta il comportamento a cui essa viene fatta seguire.
Due parole sulla punizione…
Vantaggi:
• Se applicata correttamente (contingenza, coerenza, intensità,
sistematicità) può eliminare il problema in tempi brevissimi.
• Può produrre un effetto duraturo nel tempo.
• Consente di eliminare completamente il comportamento.
Svantaggi:
• Può incrementare l’aggressività.
• Può dar luogo a reazioni emotive.
• Può verificarsi un modellamento negativo.
• Può generare comportamenti di fuga o di evitamento.
• Riduce invece che incrementare il repertorio comportamentale del
ragazzo.
ZOOM - Iperattività
L'iperattività (senza o con deficit di attenzione - ADHD/Attention Deficit
Hyperactivity Disorder) è una delle patologie più diffuse; emersa negli
ultimi anni, coinvolge attualmente un maggior numero di bambini. In
questo caso c'è un aumento dell’attività motoria, un’ irrequietezza, ben
diversa dalla vivacità, che può assumere varie forme: non riuscire a stare
seduti per più di qualche minuto o camminare nervosamente su e giù per la
stanza, come in classe per esempio. Tale comportamento va spesso a
rallentare e ad interferire con altre funzioni quali l'attenzione e
l'apprendimento. Anche il gioco non è in realtà un "gioco goduto"; ci sono
bambini che distruggono tutto, oppure che non riescono a stare in fila
all’allenamento di calcio, per esempio. Questa irrequietezza influisce
negativamente sul rendimento scolastico del bambino e, di conseguenza,
sull'autostima e sulla motivazione allo studio.
I bambini con comportamenti oppositivo-provocatori, presentano un
atteggiamento aggressivo-distruttivo, disobbediente, ostile verso le figure
di autorità; spesso vanno in collera, litigano con gli adulti, sfidano
attivamente le regole, accusano gli altri per i propri errori, si rifiutano di
rispettare le regole, sono suscettibile e spesso irritati dagli altri, spesso
arrabbiati o rancorosi, dispettosi o vendicativi
Quali conseguenze?
A lungo termine, senza un intervento adeguato, per il bambino potrebbe
diventare “normale” comportarsi in un certo modo fino a sviluppare, già
in preadolescenza, problematiche antisociali, vandalismo, bullismo ed
abuso di sostanze.
8.20 Il clima emotivo in famiglia
Più che discorsi e parole, è importante ciò che il bambino vede in famiglia,
quindi anche e soprattutto come i genitori si comportano far di loro.
E’ importante che il genitore riconosca e dimostri di saper accettare la
propria aggressività come impulso naturale, che si può esprimere in modo
assertivo e non distruttivo.
Esempio: “in questo momento la mamma si sta arrabbiando, potresti fare
ciò che ti ho chiesto?”).
Dopo una discussione accesa tra moglie e marito (se malaugaratamente
accade), è bene che il bambino sia rassicurato che i sentimenti di amore e di
stima non vengono scossi e che essa non manda in frantumi il legame tra i
genitori.
C'è modo e modo di esprimere l'aggressività: alcuni giusti altri sbagliati: il
bambino non imparerà mai a gestirla se vede il genitore urlare e fare il
prepotente, anche solo a parole, beninteso!
Può essere di buon esempio per il bambino vedere il genitore alle prese con
quotidiane preoccupazioni, che ne parla in famiglia e si confronta, ma
senza che questo lo faccia andare "fuori dai gangheri". Ciò non
compromette di certo il clima familiare e non toglie tempo ed attenzioni ai
bambini, anzi può essere di esempio insegnando loro come sia importante
saper collocare i propri problemi nella giusta dimensione.
8.21 La depressione
La depressione è il male dei tempi moderni?
A spulciare le statistiche, sembra proprio che sia una delle malattie
dell’umore più diffuse: 350 milioni di persone al mondo, in Italia 5 milioni,
donne più toccate degli uomini, età più colpita dai 20 ai 60 anni,
antidepressivo più usato nel mondo è il Prozac.
Che cos’è dunque esattamente la depressione? Come si manifesta?
La depressione è un’alterazione costante dell’umore che si manifesta con
oscillazioni nella giornata, essendo più attiva al mattino (sembra in
riferimento all’alternanza del buio e della luce), con andamento stagionale
(l’autunno e l’inverno sono i periodi più a rischio, in conseguenza del calo
della luce); è legata alla difficoltà di gestire e affrontare gli impegni, anche
se lievi.
La depressione presenta due aspetti: fisico e psichico, che vanno di pari
passo. Il soggetto depresso mostra diversi sintomi psicosomatici: si sente
vuoto, inutile, manca di interesse per le attività giornaliere, niente gli
procura piacere; ha sentimenti di colpa inappropriati, non ha autostima, ha
spesso voglia di piangere.
Sul versante fisico è sempre affaticato, privo di forze, ha disturbi di sonno,
perdita di peso, alterazioni di appetito; compaiono dolori muscolari, calo di
libido, stipsi, problemi digestivi, malesseri fisiologici, cefalee, perdita di
concentrazione.
L’umore è caratterizzato da tristezza e malinconia, senso di solitudine e
disperazione, angoscia, avvilimento.
Quali sono i fattori scatenanti di un simile sconvolgimento?
Allo stato attuale della ricerca, i fattori della depressione non sono del tutto
noti. Vanno ricercati in vari campi: si fanno ipotesi biologiche, genetiche,
di esperienze di vita, legate all’ambiente.
Hanno peso tutte le situazioni che turbano l’equilibrio, come la morte o la
perdita di una persona cara, le separazioni, le delusioni sul piano
professionale; a queste vanno aggiunti gli eventi particolarmente stressanti
e i problemi legati alla salute, le malattie, la vecchiaia.
Quel che è certo è che i sintomi depressivi creano un disagio che mette in
crisi il normale funzionamento della vita sociale, familiare, lavorativa,
sportiva.
ZOOM – Cause depressione
Holmes ha elaborato una tabella con le possibili cause di stress con rischio
di depressione e i relativi punteggi. La proponiamo non tanto per calcolare
empiricamente il punteggio, ma per auto-riflessione.
EVENTI PUNTEGGI Morte del coniuge 100
Divorzio dal coniuge 73
Separazione dal coniuge 65
Imprigionamento 63
Morte di un familiare 63
Incidente o malattia personali 53
Matrimonio 50
Licenziamento 47
Riconciliazione 45
Pensionamento 45
Malattia di un familiare 44
Gravidanza 40
Difficoltà sessuali 39
Nascita di un figlio 39
Grosso aumento o perdita di guadagno 38
Morte di un amico 37
Cambiamento di tipo di lavoro 36
Liti in famiglia 35
Indebitamento grosso 31
Estinzione dei propri debiti 30
Incremento di responsabilità sul lavoro 29
Figli che lasciano la casa 29
Problemi con la legge 29
Premi e riconoscimenti 28
Inizio o abbandono del lavoro del coniuge 26
Inizio o fine della scuola 26
Cospicuo cambiamento di abitudini 24
Liti di lavoro 23
Nuovo orario o condizioni di lavoro 20
Nuova abitazione 20
Nuova scuola 20
Nuovi divertimenti 19
Nuove attività sociali 18
Indebitamento modesto 17
Variazione nelle ore di sonno 16
Intensificazione dei rapporti coi parenti 15
Diminuzione dei rapporti coi parenti 15
Cambiamento della dieta 15
Vacanza 13
Problemi legali modesti 11
ZOOM - L’AIUTO DELLA MEDICINA
La ricerca in campo neuro-chimico individua la comparsa della
depressione nella riduzione di neuro-trasmettitori come la noradrenalina,
la dopamina e la serotonina in alcune aree del cervello. I farmaci cercano
di bilanciare il livello di queste sostanze, ma vanno usati con tutte le
cautele del caso per gli effetti collaterali che possono produrre, quali la
tossicità del fegato, le alterazioni della pressione, l’impotenza sessuale,
ecc.
Inoltre creano dipendenza mentale e fisica: la loro sospensione provoca
cefalee e altri disturbi, per cui si deve ritornare ad assumerli in dosi
sempre più forti; occorre perciò limitarne l’uso solo in presenza di un
reale bisogno e di depressione grave.
Se invece vengono usati con leggerezza, si rivelano dannosi, bloccano i
sintomi utili per identificare lo stato patologico.
Ancora una volta si verifica una situazione “a spirale” del farmaco che
chiama farmaco. Al pari del legame alcool/depressione, è provato che
taluni farmaci, come i corticosteroidi e alcuni anabolizzanti, provocano
stati depressivi; per sollevarsi dalla depressione si usano i farmaci
antidepressivi anche in dosi elevate, che a loro volta compromettono
l’integrità psicofisica del soggetto; da qui la necessità di un nuovo ricorso
ad altri medicinali.
ZOOM – IL CORAGGIO E IL FEGATO
Molti sono gli elementi che collegano le espressioni dell’umore al fegato e
alla bile:
“Quell’uomo si rode il fegato per la rabbia…” si sente dire spesso.
In particolare, il fegato è legato alla collera, mentre la bile è legata
all’animosità, al veleno, all’amarezza.
Secondo la medicina cinese, il fegato è l’organo che genera le forze e le
emozioni, e quindi anche le pulsioni, come la collera e il coraggio.
“Quel ragazzo ha fegato!”, si dice per fare sapere che ha coraggio da
vendere.
La vescicola biliare, invece, ha il compito di espellere ciò che è dannoso: il
travaso biliare serve proprio a questo scopo.
Antiche tradizioni tramandano l’uso di mangiare il fegato del nemico
ucciso per appropriarsi del suo coraggio.
Nella mitologia greca troviamo un mito che si collega al simbolismo del
fegato: è quello di Prometeo, che viene indicato come colui che creò per
primo gli uomini modellandoli con la creta; in altri casi viene indicato solo
come benefattore degli uomini.
Per loro Prometeo ingannò Giove, che si vendicò privandoli del fuoco. Per
toglierli dalla loro triste sorte, egli rubò i “semi di fuoco” dalla ruota del
Sole (o, come dice un altro racconto, dalla fucina di Efesto).
Ancora una volta, Prometeo fu punito da Giove che, al colmo della collera,
volle fermare le sue azioni coraggiose con una punizione terribile.
Lo incatenò a una roccia del Caucaso, lasciandolo in balia di un’aquila
che gli divorava il fegato, che però rinasceva sempre.
Le disavventure di Prometeo continuarono con sorti alterne; alla fine
guadagnò l’immortalità.
Simbolicamente, quel che emerge è la capacità di rigenerarsi del fegato,
simbolo del coraggio di cimentarsi in sempre nuove imprese proprio
dell’uomo.
Tarpare questa facoltà e la spinta al divenire continuo significa snaturare
l’essenza dell’uomo.
Al di là del mito, la funzionalità epatica è importante per il benessere fisico
e psichico; comprometterla volontariamente con un regime alimentare
dannoso è un’azione contro la propria sopravvivenza.
(G.Dragoni, Il mito di Prometeo e l’accensione della conoscenza)
TESTIMONIANZA - IL BURN – OUT NEL CICLISMO
Il Burn-out è una sindrome che si manifesta con il peggioramento
dell'impegno nei confronti del proprio lavoro, oltre che con un
deterioramento delle emozioni ad esso associate; ne consegue quindi un
forte disagio di adattamento tra la persona e l’attività, a causa di una serie
di fattori negativi.
Possiamo considerare il ciclismo come un grande ambiente di lavoro, non
solo di spettacolo!
I fattori da evidenziare sono principalmente questi :
- L’ambiente di lavoro: condizioni ambientali (fisiologicamente parlando),
rapporto con i colleghi, rapporto con i dirigenti e con gli obiettivi aziendali
(a breve e a lungo termine);
- L’ambiente familiare (la mancanza di serenità familiare può riflettersi
anche sull’attività lavorativa);
- Le prospettive future: incertezza sul futuro e incapacità di pianificare, di
affrontare e sostenere gli investimenti (mutui, prestiti, ecc…).
Per un ciclista professionista, questi aspetti sono tutti presenti e, se
vogliamo, possono essere accentuati dalle condizioni fisiche: spesso
portate al limite della sopportazione!
Possiamo quindi a ragione ritenere che anche nel mondo del ciclismo ( e
dello sporti in generale) possano verificarsi patologie riconducibili al
fenomeno del Burn-out.
Un chiaro esempio di Burn-out si presenta quando una normale fase
d’allenamento, che dovrebbe favorire l’incremento della performance
fisica, porta, invece, a uno stato di deperimento generale con questi
sintomi: perdita di massa muscolare, inappetenza, insonnia, demotivazione
alla fatica fisica (agli spostamenti e alla competitività), ma anche turbe
psicologiche.
Nello specifico, i primi sintomi trovano un riferimento in questi elementi:
mancanza o difficoltà di concentrazione, evitamento sistematico di conflitti
e contrasti, scarsa sopportazione di imprevisti e novità, abbassamento
della libido…
Analizziamo in questa ottica i diversi fattori e addentriamoci
nell’organizzazione del “lavoro” da ciclista professionista.
L’ambiente di lavoro: le giornate del professionista, impegnato in una
competizione, sono scandite e organizzate da altri e vengono, in un certo
senso, imposte con rigidità, a livello di tempi (sveglia, partenza dall’hotel,
partenza della gara, massaggio, cena,…), di spazi (condivisione degli spazi
con i colleghi e prospettiva di dover affrontare percorsi durissimi) e di
ogni tipo di condizione climatica (dai 40 gradi del deserto del Quatar, alle
nevi delle alte montagne).
Rapporto coi colleghi: Il ciclismo è uno sport fatto da squadre, ma dove
viene premiato il singolo atleta. I ruoli sono abbastanza definiti all’interno
del team, ma alla fine della stagione viene comunque valutato l’andamento
in base alle vittorie e ai piazzamenti. Perciò è facile che tra colleghi si crei
una certa rivalità che può portare ad aggressività verbali, scherzi e sfottò
spesso pesanti da sopportare.
Rapporto coi dirigenti (direttori sportivi e general manager): prima di
ogni gara viene fatto un briefing in cui si impartiscono le disposizioni ai
corridori sulla tattica da adottare, su quali pericoli dovranno affrontare.
L’atteggiamento di molti direttori sportivi è quello di dire: “fate quello che
potete…!”. A lungo andare, questo comportamento porta demotivazione e
non fornisce all’atleta il giusto incipit sul quale inventare un’impresa
sportiva. Senza prospettive, una gara può diventare un supplizio in cui ci si
sente sballottati come un carrello a traino e dove non si riesce nemmeno a
realizzare in quale luogo ci si trovi: al massimo si riesce a vedere la ruota
posteriore del ciclista di fronte! Inoltre, i programmi di gara sono gestiti a
seconda delle esigenze degli organizzatori ed è facile che si venga chiamati
all’ultimo minuto per rimpiazzare un collega: senza avere programmato e
senza poter sviluppare un piano di lavoro personale e specifico.
Ambiente familiare: un atleta in casa propria dovrebbe poter riposare e
trovare nuovi stimoli per preparare l’obiettivo successivo. Purtroppo,
alcuni vivono il rientro a casa come un momento per recuperare i
divertimenti che i loro coetanei sfruttano ogni fine settimana, solo che lo
fanno in una notte sola! Stanno fuori fino a mattina e, tendenzialmente,
esagerano con alcolici e sigarette. Chiaramente, chi ha un nucleo familiare
formato da una moglie e, magari, uno o più figli, non avverte questi
“bisogni”. Al limite potrebbe avere la moglie che pretende più attenzioni e
più tempo a casa: in questo caso ha probabilmente sbagliato a scegliersi
un ciclista come compagno!!
Anche il rapporto con i genitori, in particolare col padre esperto di
ciclismo, può diventare molto pesante da gestire. Avere un tutore del
genere, certo, non aiuta a rilassarsi. Il ciclista è esposto ad un giudizio
continuo, per ogni sua azione: mangiare, dormire, allenarsi, divertirsi…
oltretutto questi giudizi non hanno la possibilità di discussione, perché
sono sempre dati a posteriori o prendendo come esempio colleghi che in un
dato momento hanno avuto un comportamento vincente. Questo clima
“familiare” accresce lo stress e la voglia di evasione, ma soprattutto
abbassa l’autostima e l’indipendenza individuale, in un’età in cui le
pulsioni spingono il ragazzo a formare il proprio nucleo familiare. I
genitori dovrebbero occuparsi di supportare i figli e, magari, curare per
loro l’immagine mediatica o il fan-club collaborando col gruppo di amici
del figlio.
Prospettive future: nel ciclismo professionistico non esistono certezze. Chi
ottiene un contratto per due anni può considerarsi un privilegiato.
Possiamo definire questo settore lavorativo come la patria del precariato!
Non esiste un contratto di lavoro che tuteli l’atleta dal punto di vista
previdenziale e sindacale. Le clausole in esso contenute sono solo a favore
del team e anche l’UCI ha ritenuto di doversi tutelare per le controversie
legali: come che, nel caso in cui un lavoratore venisse licenziato dalla
propria azienda per giusta causa, ricevesse una richiesta di risarcimento
per danni da parte del proprio sindacato (o ente in cui è tesserato)!
Non basta, il lavoro del ciclista è svolto sulla strada: alla mercé di
automobilisti sempre più distratti e arrabbiati, a destreggiarsi tra il
traffico, l’inquinamento e il pessimo stato del manto stradale.
Tutti questi fattori dovrebbero essere presi in considerazione non solo
dagli atleti, ma anche dai direttori sportivi e dai preparatori, in quanto
determinano la ricettività psicofisica dei ciclisti ai carichi di lavoro e alle
competizioni.
Sulla base di quanto abbiamo esposto, possiamo comprendere come
facilmente un ciclista possa venire colpito dalla sindrome del Burn-out. In
questi casi, occorre individuare, una a una, le fonti dello stress prolungato
e affrontarle a livello psicologico, per riportare l’atleta alla serenità e alla
voglia di correre.
Abbiamo approfondito la situazione di uno sport popolare come il ciclismo.
E’ però ovvio che questo esempio può essere applicato a tutti gli sport, con
diversificazioni di location e strutture; quel che è comune è proprio
l’aspetto di condizionamento che può provocare una situazione di burn out.
8.22 L’attivazione necessaria
Quando parliamo dello stato psico-fisico dell’atleta, dobbiamo tener conto
di uno dei fattori principali che è il suo grado di attivazione.
L’attivazione, o arousal, è lo stato di vigilanza del Sistema Nervoso
Centrale, il cui livello varia da individuo a individuo, poiché è determinato
da fenomeni fisiologici dell’organismo e da fenomeni legati all’emozione e
alla motivazione.
Il livello di attivazione di un atleta delinea il grado di efficienza fino a un
punto ottimale; ma, se eccede, si verifica una diminuzione del rendimento.
E’ dunque estremamente importante mantenere l’equilibrio giusto di
attivazione in relazione al compito da svolgere.
Il concetto relativo al grado di attivazione è consono all’attività sportiva, in
modo differenziato a seconda della disciplina. In ogni caso, l’attivazione è
collegata allo stato emozionale dell’individuo: un’emozione forte, un
dispiacere, una gioia, alterano il normale equilibrio e possono portare
conseguenze di eccitazione disturbante. La fatica fisica, invece, abbassa
l’attivazione, con conseguenze altrettanto negative.
Il grado di giusta attivazione è condizionato da diversi fattori:
- allenamenti corretti,
- padronanza della tecnica,
- stabilità emotiva,
- concentrazione e attenzione,
- miglioramenti in progresso,
- autocontrollo,
- motivazione e ottimismo,
- lucidità mentale…
TESTIMONIANZA - Inizio e fine carriera
Quali meccanismi s’innescano nella mente di queste due tipologie di atleti?
Per l’atleta che sta per finire la carriera si possono verificare stati
depressivi anche gravi, dovuti all’improvviso cambio di attività.
Dal punto di vista fisico: viene a mancare la componente di affaticamento
e di produzione di endorfine che producono stati di piacere;
da quello mentale: la mancanza di obiettivi può portare a un abbassamento
della motivazione verso i bisogni primari (mangiare, bere, dormire, …) e a
manifestazioni di apatia generale.
Per quanto riguarda i giovani neo-professionisti, si può provare ad
immaginare in che modo ha passato l’inverno un ragazzo che è riuscito a
coronare il sogno di passare professionista: avere la possibilità di correre
a fianco dei corridori idolatrati in tv fino a ieri. Quasi sicuramente avrà
fatto un inverno molto intenso: tanti sacrifici, allenamenti estenuanti e una
dedizione totale alla bicicletta e alla preparazione atletica. Nel caso in cui
abbia ottenuto dei buoni risultati , si possono comunque verificare due
rischi.
Dal punto di vista fisico: essere troppo in forma a gennaio, in una gara
svolta in un clima torrido (in Australia siamo in piena estate) può
significare faticare tutto il resto della stagione, addirittura non riuscendo
più a ritrovare la stessa condizione fisica.
Dal punto di vista mentale, vincere le prime corse alle quali si partecipa,
può significare sottovalutare il resto degli obiettivi della stagione e di
credere che vincere sia facile. La gestione della vittoria e della sconfitta
sono dei percorsi psicologici che aiutano gli atleti (specie i più giovani) a
mantenere l’equilibrio e a non perdere di vista gli obiettivi.
CAPITOLO 9 ALIMENTAZIONE E SIMBOLOGIA
“Ho riflettuto a lungo sulla questione della dietetica degli sportivi,
perché l’atleta è l’individuo il cui organismo è chiamato a fornire il
massimo di energie con un minimo di autointossicazione…
Lo sportivo, più di chiunque altro, deve mangiare sano e naturale.
La sua dieta deve essere rigorosissima.”
(Maurice Mességué, Una vita di battaglie)
9.1 Il valore simbolico del cibo
Il rapporto con il cibo può essere fonte di disordini anche emozionali.
Mangiare non è solo ingerire cibo, si lega a molti significati inconsci e a
stati emotivi; infatti il cibo soddisfa due aspetti: la necessità biologica e la
soddisfazione psicologica.
Gli alimenti entrano in noi e ci trasformano : il cibo coinvolge tutto il
nostro essere, cambia anche il nostro stato di coscienza.
Simbolicamente, il cibo è fame di amore, bisogno di dipendenza, di
appoggio a qualcuno ; è il nutrimento-simbolo della tradizione: pensiamo al
cibo rituale delle ricorrenze, agli alimenti consigliati in funzione delle
stagioni. Queste operazioni simboliche uniscono l’uomo e l’universo ; se si
attiva tale relazione, la forma mentale viene associata alla forma fisica e il
cibo ne è il tramite ; in caso contrario, il cibo in eccesso serve a riempire
disagi interiori, con conseguenze non benefiche sull’organismo. Occorre
quindi una consapevolezza nuova relativa al nutrimento.
Troviamo nei miti e nelle fiabe molto materiale di riflessione.
Abbiamo già accennato al mito di Prometeo e al terribile supplizio a cui è
stato condannato. Anche se non siamo colpiti dall’aquila inviata da Zeus,
spesso è proprio il fegato che si fa sentire con dolori o gonfiori e non
dipende solo dalle sostanze ingerite, ma anche dai tormenti per qualcosa o
qualche rapporto che non riusciamo a metabolizzare.
In molti racconti mitologici, l’eroe mitico si libera della sua vecchia
identità, scende nel ventre della Terra per raccogliere le forze straordinarie
che gli servono per vincere le prove che il destino gli riserva, poi riemerge
e rinasce, si trasforma, come il bruco in farfalla.
La simbologia classica ci tramanda molti spunti sulla rinascita del corpo e
della mente collegati agli alimenti.
Il latte è legato al mito della creazione : il cosmo è un mare di latte
primordiale da cui è emersa la Terra ; al suo nome si richiama anche quello
dato alla Via Lattea...
Il riso proviene dalla luce, cioè dalla conoscenza; favorisce una profonda
trasformazione.
Il chicco di grano ha una forte potenzialità di rinascita, è offerto a Demetra,
dea della fecondità della Terra.
Il pane, con la sua lievitazione, richiama il principio della trasformazione di
spirito e di materia.
Alla volontà tenace è collegato il lino; alla rinascita e all’immortalità sono
collegati i semi di zucca.
ZOOM - Alimentazione e sport: aspetti simbolici
L’alimentazione è un processo fisiologico complesso che presenta analogie
anche in campo cognitivo e affettivo.
Alimentarsi comporta una serie di operazioni:
ASSUMERE
SCOMPORRE
ASSORBIRE
RIUTILIZZARE
TRASFORMARE
ESPELLERE
Mettendo in correlazione il campo della conoscenza (cognitivo) con quello
dell’affettività (affettivo) troviamo alcune analogie.
AZIONI CONOSCENZA AFFETTIVITA’
Assumere imparare cose nuove favorire nuovi affetti
Scomporre analizzare i problemi conoscere se stessi e gli
altri
Assorbire trattenere le
informazioni utili
accettare e cercare
nuovi rapporti
Riutilizzare usare regole in
situazioni nuove
ripetere azioni
consolidate
Trasformare trovare soluzioni nuove essere flessibili nelle
situazioni affettive
Espellere accantonare problemi
nella memoria
lasciare o essere
lasciati, abbandonare o
essere abbandonati
9.2 Sapere e sapore
Riflettiamo sulla polisemia di alcune parole e di modi di dire sul cibo;
comprendiamo perché qualità cognitive sono di fatto legate ad aspetti
pratici e concreti.
Se cerchiamo in un dizionario etimologico la parola “sapere”, troviamo
nella sua famiglia di parole termini come : sapiente, sapienza, saccente,
saggio, savio, sapùto, consapevole, che si richiamano all’operazione
mentale della conoscenza ; ma troviamo anche un altro filone di significati:
sapore, sapidità, sapido, insipido, saporito... parole che ci riportano a livello
sensoriale del gusto.
Gustare è dunque anche sapere. Per le religioni degli antichi, attraverso il
cibo, il corpo poteva accedere ai misteri divini.
Molti sono i modi di dire entrati a far parte anche della nostra cultura che
evidenziano tale rapporto.
“ Non sa che acqua bere = non sa cosa fare.
Ha un’aria dolce = un aspetto dolce.
E’ un morto di fame = è povero.
Il cibo dello spirito = la parola di Dio.
Mangiar la foglia = capire subito.
Legare le viti con le salsicce = essere ricchi.
Dire pane al pane e vino al vino = essere sinceri.
E’ dolce come lo zucchero. E’ buono come il pane = ha un buon carattere.
Un detto popolare “salutista”: Poco cibo senza affanno, ti fa sano tutto
l’anno.
Sono metafore che incontriamo spesso nel linguaggio quotidiano e che ci
svelano l’aspetto simbolico dell’alimentazione .
Come sono nate queste associazioni ? Perché anticamente si collegava la
bontà d’animo con il pane, o la mansuetudine di carattere con lo zucchero ?
La spiegazione va ricercata nel substrato culturale delle diverse civiltà, che
mantengono una vitalità importante nello sviluppo della specie.
L’individuo informato e ricco di cultura generale si muove con maggior
consapevolezza in ogni ambito di attività.
ZOOM – Il sistema gustativo
L’organo di senso del gusto risiede nella lingua, che è una massa
muscolare rivestita da una membrana ricca di papille gustative e tattili.
Le papille gustative sono circonvallate, perché sono circondate da un
avvallamento e disposte a forma della lettera V aperta verso la punta. Sono
poche e grandi; ogni papilla gustativa contiene una quindicina di cellule
che si riproducono continuamente.
Altre papille sono dette fungiformi e sono sparse in tutta la mucosa
linguale; la loro forma ricorda quella di un fungo. Le sostanze alimentari,
una volta disciolte, vengono a contatto con i filamenti delle cellule e
producono le sensazioni dei vari sapori.
I sapori si distinguono in salato e acido, amaro e dolce. L’amaro si avverte
alla base della lingua e il dolce alla punta. Oltre a queste, si creano altre
sensazioni gustative, come i sapori aromatici o astringenti, perché entrano
in azione anche sensazioni tattili, termiche, dolorifiche. Pensiamo
all’alterazione dei sapori in caso di raffreddore e di certe malattie: non
riconosciamo più il sapore dei cibi che assumiamo normalmente. (Guyton)
9.3 Alimentazione e nutrizione
Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di nutrirsi per la loro sopravvivenza;
la qualità dell’alimentazione è collegata al benessere psicofisico, poiché
contribuisce alla massima espressione del proprio potenziale di crescita e di
sviluppo.
I fattori del processo nutritivo sono i componenti dei vari cibi. Per una
elementare classificazione si elencano:
- i macronutrienti, necessari per produrre energia e per favorire la crescita
dell’organismo; sono i protidi, i glucidi e i lipidi;
- i micronutrienti, anch’essi necessari per i processi vitali dell’organismo;
sono le vitamine, i sali minerali e gli oligoelementi.
Oltre questi, altri due elementi sono importanti:
- l’acqua;
- le fibre alimentari.
E’ risaputo che gli alimenti forniscono in quantità diversa l’energia, data
dalle calorie:
i grassi sviluppano 9 calorie per grammo;
i carboidrati e le proteine circa 4 calorie;
l’acqua e le fibre nessuna caloria.
Conosciamo in molti il tormento del computo di calorie negli alimenti agli
effetti delle diete: l’eccesso ingerito sarà trasformato in grassi di riserva; la
limitazione fa sì che l’organismo attinga al grasso delle riserve; il peso
corporeo dipende dal bilancio tra assunzione di energia ed energia spesa.
Ma non solo.
9.4 Il processo della digestione
La digestione serve a dividere gli alimenti che assumiamo in molecole
sempre più piccole, tali da essere facilmente assorbite dall’intestino. E’
importante conoscere il percorso del cibo nelle sue tappe.
I Tappa – Avviene nella bocca, dove il cibo viene masticato, triturato,
mescolato alla saliva e poi deglutito attraverso la laringe e giungere allo
stomaco. In bocca avviene la scissione dell’amido tramite un enzima: la
ptialina.
II Tappa – Il cibo trasformato in bolo è nello stomaco, dove si trovano i
succhi gastrici che provvedono a un’ulteriore separazione delle
macromolecole. Il bolo diviene liquido e si trasforma in chimo, che si
incanala nel piloro e poi nella parte terminale dello stomaco.
III Tappa - Passa poi nel duodeno, che è il primo tratto dell’intestino; qui
gli enzimi pancreatici operano la digestione dei vari elementi: proteine,
lipidi, glucidi.
IV Tappa – Le molecole sono ora nell’intestino tenue; dopo un ulteriore
scissione, diventano micro-molecole e possono essere assorbite dalle
cellule intestinali specializzate e dai vasi chiliferi. Gli elementi nutrizionali
entrano nel sangue o nella linfa e vengono distribuiti al fegato attraverso
capillari finissimi e poi alle cellule di tutto il corpo.
V Tappa – Il materiale che non è stato digerito e non è entrato in circolo,
perché impoverito, si convoglia verso il colon e infine viene espulso
dall’ano.
ATTIVITA’ – Inventario fisico/mentale
Segui virtualmente il viaggio di un alimento nel tuo corpo e registra le
sensazioni collegate.
Per concretizzare, puoi pensare a un cibo in particolare, a tua scelta: una
barretta di cioccolato, un frutto, una fetta di prosciutto…
Registra mentalmente le tue sensazioni, le percezioni, le tensioni. In
parallelo alle sensazioni del tuo corpo, analizza anche le percezioni a
livello mentale.
- Inizia dalle labbra: senti gli input tattili del cibo… sensazione di morbido,
duro, piacevole, freddo, scottante…
*Corrispondono alle sensazioni mentali parallele: a quale situazione
associ la morbidezza, la durezza, ecc.?
- Denti: verifica la differenza delle funzioni dei denti. Con i canini
rompiamo i pezzi duri, con gli incisivi tagliamo i più piccoli e soffici, con
i molari mastichiamo e tritiamo.
*Sensazioni, percezioni relative all’aggressività, all’istinto di rompere,
spezzare.
- Lingua e saliva: senti la mobilità della lingua, i vari gusti, la mucosa, le
ghiandole salivari.
Ti senti l’amaro in bocca? Si verificano momenti di secchezza?
*Ricorda in quali situazioni provi tali sensazioni: nei momenti di ansia, di
imbarazzo….
- Focalizza il momento in cui ingoi il boccone.
Deve passare attraverso un lungo e stretto canale. Immagina di essere tu il
boccone…
Incontri l’aria che passa dalla trachea mentre respiri, senti un leggero
rumore provocato dalle corde vocali nella laringe…
La discesa è agevole? Ti sembra di provare difficoltà a ingoiare?
*Provi a volte la sensazione di non poter “mandar giù” certe situazioni o
certi comportamenti?
-Passi il diaframma e finalmente (dopo 6 o 7 secondi) giungi allo stomaco,
raggiungendo altri bocconi, e lì ti trovi sballottato fra le pareti lisce e gli
acidi emessi dai succhi gastrici.
Hai presente questa situazione quando mangi? Mangi in fretta o mastichi il
cibo contando fino a 30?
Quali alimenti vanno ad aggiungersi a quelli già presenti nello stomaco?
*Accatasti un impegno sull’altro? Ti rendi conto di non essere padrone del
tuo volere e del tuo tempo? Ti senti manipolato?
- Il cibo resta nello stomaco un paio d’ore. Poi procede dal piloro al
duodeno e infine all’intestino. Durante questo percorso viene trasformato
via via in poltiglia sempre più liquida.
Senti acidità? Percepisci quali sostanze ti disturbano?
* Allo stesso modo, riconosci le situazioni che non riesci a digerire?
- Non riusciamo ad assimilare le sostanze grasse… dobbiamo convogliarle
nel sacchetto di scarto, nella bile.
* Hai delle situazioni che devi evitare? Riesci a fare pulizia nelle tue
relazioni?
- Ma siamo giunti con le sostanze, ormai ridotte allo stato liquido, al
canale intestinale, dove avviene un ulteriore filtro. Le sostanze sono ormai
così solubili da poter passare attraverso la membrana mucosa di cui è
rivestito l’intestino e poi nel sangue, il quale le trasporta nei vari organi
per essere usate, trasformate, immagazzinate.
*Da che cosa ti fai penetrare a livello emozionale? Che cosa invece non
riesci ad accettare?
- Gli scarti del cibo che non viene assimilato si addensano, diventano una
dura e compatta massa fecale, non possono restare a lungo, devono essere
eliminati attraverso il muscolo sfinterico dell’ano, posto all’estremità
dell’intestino retto.
*Sai cogliere il momento per espellere dalla tua mente i pensieri molesti?
Come espelli ciò che rifiuti?
P.M. Sei giunto al temine del viaggio di accompagnamento di un boccone
di cibo.
Hai anche la possibilità di operare il collegamento mente-corpo e riflettere
a livello psicologico.
9.5 Profumi e ricordi
Sempre rimanendo sul piano della simbologia, va considerata l’importanza
dell’odore nel cibo; infatti il centro olfattivo del cervello è collegato a due
regioni cerebrali : l’amigdala, che regola la percezione e l’espressione delle
emozioni e l’ippocampo, che presiede all’immagazzinamento dei ricordi.
Perciò le preferenze per un cibo o l’altro dipendono anche dagli odori e
dalle percezioni che scatenano (come il ricordo dell’odore del latte della
mamma...).
Per la medicina cinese, l’odore ha una funzione stimolante, avvia il
processo dell’alimentazione e favorisce l’assorbimento della parte più
attiva del cibo.
Anche la cromoterapia prende in considerazione aspetti particolari del cibo;
gli alimenti sono la materializzazione dei colori attuata dalle piante
attraverso la fotosintesi per trasformali in prodotti alimentari.
Una teoria afferma che ci deve essere un equilibrio tra raggi rossi e raggi
blu. Per dimagrire, ad esempio, usiamo cibi rossi, gialli, arancione...; per
ingrassare, usiamo cibi con raggi blu...
Ancora per i cinesi, l’alimentazione era collegata con la respirazione, la
ginnastica e le regole di vita : un tutt’uno, formato da sapori, odori, colori...
Il ruolo del cibo era quello dell’apporto di materia e di apporto spirituale. Il
significato simbolico è evidenziato dal fatto che, in certi periodi di
purificazione spirituale, occorreva astenersi da alcuni cibi o assumerne altri
specifici, riconoscendo che la psiche è costituita anche da ciò che viene
ingerito e metabolizzato.
In questa ottica rientra anche la raccomandazione di sintonizzare
l’alimentazione con i ritmi stagionali : ogni periodo dell’anno offre
alimenti che vengono a maturazione e vengono raccolti in quel periodo e
che è giusto e salutare consumare freschi.
Ogni stagione, oltre che i suoi alimenti, presenta anche una simbologia
precisa per l’uomo e per le piante : la primavera è vissuta come momento
di rinascita e di rinnovamento; l’inverno come raccoglimento e riposo;
l’estate come dispendio di energie ed esplosione di tossine; l’autunno come
momento di raccolta delle idee, dopo la frenesia delle vacanze.
ZOOM – Il sistema olfattivo
L’organo di senso dell’olfatto risiede nella parte interna delle fosse nasali
che è rivestita da una membrana mucosa, la pituitaria. Qui si trovano i
neuroni olfattivi che hanno due prolungamenti, uno dei quali è la
continuazione del nervo olfattivo (il primo paio dei nervi cranici), mentre
l’altro termina con un ciuffo di ciglia che ricevono gli stimoli.
I neuroni bipolari vanno incontro a un ciclo continuo di crescita, ma anche
di degenerazione e di sostituzione; questo processo diventa più lento con
l’avanzare dell’età, tanto che il senso dell’olfatto diminuisce negli anziani.
Le eccitazioni provengono dalle sostanze odorose e aderiscono alla
mucosa nasale; esiste un’infinità di odori che possono risultare grati o
ingrati, a seconda del gradimento personale.
L’olfatto è molto più sviluppato in certi animali rispetto all’uomo. E’ uno
dei sensi più primitivo: mentre nei pesci ricopre un’area molto ampia e nei
cani un terzo dell’area totale, nell’uomo solo un ventesimo.
Una classificazione recente distingue sette tipi di odori: di canfora, di
muschio, di menta, floreale, etereo, pungente, putrido.
L’olfatto varia da soggetto a soggetto e, nello stesso soggetto, da momento
a momento in base allo stato emozionale e psicologico della persona.
(Guyton)
ATTIVITA’ – Un test per l’olfatto
Puoi fare questa semplice prova.
Preparati prima con la respirazione alternata da una narice all’altra. Devi
chiudere la narice destra e aspirare con la sinistra..
Cambia poi narice, chiudi la sinistra e aspira con la destra. Prova questo
esercizio alcune volte, in modo da avvertire le differenze di respirazione.
Procurati del caffè macinato e rifai l’esercizio, aspirando prima con una
narice, poi con l’altra.
Avverti l’aroma con la stessa intensità? Oppure è più forte quando respiri
con la destra, o con la sinistra?
Segnati il risultato prima di provare con un altro odore.
In un secondo momento, annusa cioccolato in polvere, sempre prima con
una narice, poi con l’altra.
Avverti l’aroma con la stessa intensità? Oppure è più forte quando respiri
con la destra, o con la sinistra?
Segnati il risultato prima di provare con un altro odore.
Puoi trovare un altro odore forte a tuo piacimento e riprovare.
Al termine del sondaggio, verifica.
Se la diminuzione di odore avviene solo da una parte, si parla di anosmia,
poco riconosciuta nell’uso di vita quotidiana.
Se invece si riscontra nel tempo una perdita di odorato da entrambe le
narici, allora spesso viene avvertita, anche perché in contemporanea si
avverte meno il sapore del cibo.
Infatti i due sistemi, olfattivo e gustativo, sono in stretta correlazione fra
loro.
ZOOM - Sapore e Gusto
La percezione dei sapori è molto complessa, poiché si avvale dall’apporto
di almeno due input sensoriali: il gusto e l’olfatto.
Il sapore di un alimento è percepito per mezzo dei recettori posti sulla
lingua; ai 4 sapori già detti, possiamo aggiungere anche un quinto sapore,
che percepisce ad esempio il glutammato presente nei prodotti stagionati
(detto umami).
Il gusto è dato da un insieme di stimoli che provengono, oltre che dalle
papille gustative, anche dal profumo, dalle sensazioni tattili, dalle uditive
(il gusto di sentire scroc scroc) e anche dalla visione di ciò che mangiamo
(una pietanza preparata con cura, abbellimenti e colori attira
maggiormente).
La funzione del gusto è collegata anche alla memoria conservata da
esperienze precedenti; ricordiamo se un cibo era buono e lo desideriamo
per rinnovare quella sensazione, oltre che per servircene come
ricompensa psicologica per momenti di frustrazioni, di fatica, di
depressione.(Neri)
9.6 Peccati di gola : tipi dolci e tipi salati
Tutti i gusti sono gusti: modo di dire per rivendicare la massima libertà
nell’alimentazione, poi passato ad altri campi. Oggi la scelta del cibo si
discosta dai bisogni nutrizionali indicati dalla biologia ed è regolata da
mediazioni di natura culturale e psicologica. Quindi le scelte alimentari
riflettono anche la nostra psicologia individuale, lo stile di vita, il tipo di
organizzazione della nostra personalità.
In uno studio, pubblicato alcuni anni fa da Fernando Dogana, sono illustrati
i risultati di alcune ricerche sul campo.
In realtà, non siamo totalmente svincolati dalle imposizioni biologiche del
nostro organismo: notiamo cambiamenti di gusto nel raffreddore, nella
donna in gravidanza ; sappiamo che gli atleti di alto livello “sentono” gli
elementi di cui difettano, come sodio, potassio, magnesio e vanno alla
ricerca dei cibi che li contengono.
Inoltre, i neonati sembrano predisposti in positivo per il dolce (collegato
con alimenti energetici e nutritivi) e in negativo per l’amaro e l’acido
(associato al gusto di sostanze tossiche).
Pensiamo alle connotazioni simboliche attribuite ai termini usati per i cibi :
un cibo dolce – sta per un individuo buono, caldo, consolatorio, tenero,
mite, gradevole...;
piccante – sta per stimolante, energico, sferzante, mordace...;
salato – sta per salace, aggressivo, acido, caustico, tagliente, corrosivo...;
amaro – sta per spiacevole, sgradevole, triste, doloroso, penoso, cocente...;
molle - sta per debole, fiacco, moscio, passivo, scivoloso, influenzabile...;
duro - sta per aggressivo, riluttante, spietato, insensibile, rigido, severo,
rigoroso, rude, inflessibile, ostinato, irremovibile...
E’ però vero che tali preferenze possono cambiare in virtù delle influenze
ambientali e psicologiche.
Dalle ricerche sull’argomento, emerge il valore relazionale ed affettivo del
cibo.
In sintesi, sembra vero che la preferenza dolce o salato si associ a tratti di
personalità e stili di vita differenziati.
Si dice che la persona con preferenza per il salato ha energia, dinamismo,
estroversione, intraprendenza, ha un rapporto funzionale con
alimentazione, vuole sensazioni forti, pungenti, vivaci ; ha personalità
decisa, sicura di sé, autonoma, franca, brusca...
La personalità con preferenza per il dolce mostra affiliazione, dipendenza,
ricerca di protezione, fa regali dolci, è introversa, ricerca consolazione,
attribuisce valenza emozionale al cibo, è portata verso la trasgressione, la
regressione infantile...
Le abitudini di consumo dei cibi dolci e salati mostrano anche una struttura
differenziata per il contesto relazionale.
I cibi dolci tendono a essere consumati più da soli, i salati con amici e in
famiglia.
Si suppone un carattere regressivo dell’assunzione dei dolci, abbinato a
certe manifestazioni: chiusura in se stessi, auto-gratificazione solitaria e
consolatoria, senso di colpa per golosità infantile.
Chi ama il salato, predilige cibi duri, da assumere in compagnia ; chi ama il
dolce vuole cibi da sciogliere, da consumare preferibilmente da solo (come
auto-gratificazione consolatoria).
In relazione all’umore, i cibi dolci sarebbero connessi all’umore depresso;
l’umore allegro invece non discriminerebbe tra dolce e salato. Il
condizionale è d’obbligo.
ZOOM - Dolce o salato?
Alcuni anni fa si è svolto un dibattito interdisciplinare per processare il
“dolce”, con accusatori e difensori psicologi, scienziati di varie estrazioni,
dietologi, dentisti, campioni sportivi.
Lo psicologo Bonaiuto ha affermato che il dolce è una categoria
fondamentale dell’esperienza, ricorda la percezione del latte materno e
questo influisce sui significati successivi del dolce, come anche sui modi di
dire, sugli aggettivi...
Il dolce avrebbe un’azione anti-stress, anti-aggressività, anti-depressione;
favorirebbe l’accettazione della realtà, il carattere festoso,
l’apprendimento dei limiti, lo sviluppo della sublimazione necessaria a
superare la fatica (pensiamo ai maratoneti!)
Donare un dolce è essere materni, privare del dolce è indice di
aggressività. Il dolce è festa.
Una affermata nuotatrice presente al dibattito ha difeso il dolce, in quanto
favorente azione antiansia nell’imminenza della gara.
9.7 Disordini e disturbi alimentari: anoressia nervosa e bulimia nervosa
Abbiamo visto che certi cibi sono collegati a fame di affetto, a desiderio di
dipendenza, a solitudine, al bisogno di riempire i vuoti della vita; in
religione il cibo ha un alto valore simbolico, ci sono rituali relativi al pane e
alla lievitazione, al digiuno; hanno importanza il profumo e il colore degli
alimenti; il pane è collegato al ritrovamento della strada di casa, come nella
fiaba di Pollicino.
I disordini alimentari sono associati, oltre che a cause organiche, a disturbi
emotivi manifestati in forma simbolica.
Il DSM-IV considera come principali disturbi dell’alimentazione
l’anoressia mentale e la bulimia.
L’anoressia e la bulimia sono strettamente collegate fra loro. Sono disturbi
dell’alimentazione in aumento negli ultimi tempi, coinvolgendo anche il
mondo dello sport e del fitness; diagnosticati fino a poco tempo fa in
prevalenza per le femmine, ora si riscontrano anche fra i soggetti maschi.
L’anoressia (dal greco an-privativo e oréksis-appetito, alla lettera: perdita
dell’appetito) è un disturbo della propria immagine corporea che ha come
obiettivo la magrezza fino a raggiungere uno stato di inedia.
I modelli sociali aiutano la diffusione della malattia con la spinta alle diete,
all’esercizio fisico esasperato, al mantenimento della linea. Il soggetto
anoressico si vede sempre grasso, non accetta il cibo preparato da altri per
timore di aggiunta di grassi, non va a mangiare al ristorante, non è
consapevole del disturbo serio di cui è vittima, non crede alle conseguenze
negative, non accetta di farsi curare.
La tipologia dell’anoressico è delineata chiaramente dalla Medicina:
- Perdita di peso con esclusione di cibi calorici.
- Vomito autoindotto, abuso di lassativi e medicinali diuretici.
- Attività fisica esasperata.
- Terrore di ingrassare, anche quando è sottopeso.
- Si vede sempre grasso.
- Disfunzioni ormonali.
Le manifestazioni di personalità sono:
- Scarsa autostima.
- Difficili relazioni interpersonali.
- Isolamento.
- Paura di crescere.
- Conflitto fra autonomia e dipendenza.
- Senso di colpa.
- Sensazione di vuoto e di impotenza.
La bulimia (da bous-bue e limòs- fame , alla lettera fame da bue) è un
disturbo dell’alimentazione con episodi di abbuffate, con sensazioni di
perdita di controllo sulla quantità di cibo che si mangia e su che cosa si
mangia. Spesso è seguita da sensi di colpa, vergogna, tentativi di
nasconderla, per cui si ricorre ad autoinduzione di vomito, a lassativi,
oppure al digiuno successivo e all’eccesso di esercizio fisico. E’ spesso
preceduta da diete rigide e da anoressia nervosa.
Si riscontra bulimia con condotte di eliminazione e senza condotte di
eliminazione.
Le condotte caratterizzanti la bulimia sono:
- Ricorrenti abbuffate: mangiare in un breve periodo un’ enorme quantità di
cibo.
- Non riuscire a controllare la qualità del cibo che si mangia.
- Vomito auto-indotto.
- Abuso di lassativi, diuretici e altri farmaci.
- Digiuno periodico.
- Ricerca di consumare calorie con attività fisiche esasperate.
Le manifestazioni psicologiche sono:
- Mancanza di volontà, impotenza, non riuscire a smettere di mangiare.
- Perdita o aumento di autostima in relazione al peso.
Le conseguenze di questi disturbi sul fisico e sulla psiche sono gravi:
- disturbo dell’immagine corporea che assume le connotazioni del delirio;
- amenorrea in conseguenza del calo del peso legata a bassi livelli di
estrogeni per la diminuita secrezione di ormoni FSH e LH ipofisari;
- sintomi ossessivo-compulsivi rivolti all’attenzione a tutto ciò che
riguarda il cibo (composizione, ricette);
- nascono sentimenti di inadeguatezza, bisogno di controllare tutto in casa e
fuori, rigidità mentale, mancanza di iniziativa, affettività repressa,
irritabilità, insonnia, disturbi nella sessualità con disinteresse negli
anoressici e iperattività nei bulimici, abusi di sostanze come alcool e
stupefacenti nei bulimici.
ZOOM – Casi clinici
La letteratura presenta nel dettaglio gli aspetti simbolici relativi ad alcuni
casi clinici.
Soggetto A : Corrispondenza tra sfera alimentare e sessuale. Il partner è
vissuto come alimento; interrompe la relazione sessuale e il rapporto col
cibo, poi ritorna ad assumere cibo in quantità e ritorna col partner.
Soggetto B: Affonda in un corpo obeso. Aggressione contro l’intestino che
immagina di tagliare (intestino come cordone ombelicale).
Soggetto C: Obesa a 4 anni. Cibo come dipendenza dai genitori, richiesta
di affetto.
Soggetto D: Raptus da frigorifero. Fame confusa con altre tensioni
psichiche. Simbologia del ventre : scatola magica, contenitore.
Il ruolo della madre è quello di fornire il cibo con amore per soddisfare i
bisogni del neonato e per incidere sullo sviluppo della sua futura
personalità.
Dunque i disordini alimentari sono associati, oltre che a cause organiche,
a disturbi emotivi manifestati in forma simbolica.
9.8 Le abitudini familiari
Il soggetto anoressico, sia esso femmina o maschio, esibisce un
atteggiamento verso il cibo e la nutrizione in genere con una duplice
motivazione alterata. Da un lato, esibisce una convinzione di onnipotenza,
nel senso di poter disporre del proprio corpo in autonomia, dall’altro è alla
disperata ricerca di attenzioni da parte di un appoggio affettivo, regredendo
di fatto a livello di età infantile.
Il soggetto bulimico ingoia una quantità incontrollata di cibo, manifestando
in parallelo un’enorme fame di emozioni , di affetti, di sentimenti che non
ha soddisfatto da piccolo. Il problema è che sia il troppo cibo, che non può
essere assimilato, sia l’ingorgo di emozioni che si accavallano
confusamente, saranno eliminati con continui episodi di vomito indotto.
Si svuota così il corpo, ma anche psicologicamente si torna al vuoto
esistenziale.
Diversi studi dicono che questi disturbi alimentari possono essere l’effetto
di una mancata armonia affettiva fra genitori (entrambi o uno solo) e figli,
che tuttavia non fanno mancare niente a livello di bisogni concreti e
materiali.
I genitori che hanno eccessive aspettative verso i figli, che manifestano i
propri problemi (si fa l’esempio di un lutto) inconsapevolmente
trasmettono un carico emotivo troppo pesante.
E’ il caso della madre che, anziché accudire la figlia, cerca da lei
comprensione e sollievo ai propri problemi di adulta, capovolgendo di fatto
il naturale evolversi del rapporto.
E’ anche il caso del rapporto allenatore-atleta, quando è basato solo sugli
aspetti tecnici e non anche sull’attenzione alle componenti socio-affettive
legate alla personalità del ragazzo che fa sport.
Sarebbero proprio queste dinamiche relazionali alla base dell’insorgenza di
disturbi del Comportamento Alimentare negli adolescenti; impossibilitati
ad affrontare stati emotivi troppo pesanti, si orientano piuttosto sul
controllo del proprio corpo. La conseguenza è anche l’incapacità di
autoregolare le proprie emozioni; si parla di ipo-regolazione per i casi di
anoressia e di iper-regolazione per i casi di bulimia, con lo spostamento, in
entrambi i casi, dal livelli emozionale al livello corporeo.
Un iter di interventi preventivi deve tener conto di alcuni aspetti:
- grande attenzione nell’individuare carenze relazionali;
- intervenire con incontri e colloqui per i ragazzi e per i genitori;
- aiutare a riconoscere i presupposti del disturbo alimentare;
- focalizzare metodi per aiutare a riconoscere le proprie emozioni;
- gestire le situazioni a rischio sul piano degli affetti e delle emozioni
con strumenti terapeutici specifici;
- evitare interventi diretti e pesantemente condizionanti con
rimostranze e drastici divieti.
TESTIMONIANZA – Dialogo col proprio corpo
Dal diario di una ragazza anoressica:
Caro corpo…
Mangio di nascosto…
Perché non mi vedano…
Altrimenti mi arrabbio dentro…
Ma vorrei che mi vedessero…
Perché mi dicessero :”Basta!”…
Ma se lo dicono…
Poi mi arrabbio fuori…
Però poi mi vergogno e mi fermo…
TESTIMONIANZA – Tempo perso
Lettera a un amico.
Storia di una giornata.
Mi sveglio con il solito pensiero fisso che mi riempie la testa: il cibo. Che
cosa inventerò per non mangiare?
A pranzo: lui è lì che ti guarda, il tuo corpo ha bisogno di nutrirsi, ti invita
a mangiare per il suo bene… ma dall’altra parte c’è la mente che inizia a
contare le calorie!
Mangiare tutto? No, iniziamo dai cibi poco calorici, la verdura, rinuncio
alla carne, ma davanti ai miei occhi c’è il pane, che avevo bandito per
troppe calorie.
Cedo un attimo e… è fatta! Mangio tutto il pane, cerco nella dispensa i
biscotti, la pasta avanzata, il gelato nel frigor… ingoio ogni cosa… tanto
so che il prossimo appuntamento è il bagno…
Due dita in gola… faccio uscire dallo stomaco tutto quello che non doveva
entrare.
Poi… il vuoto. Mi sento vuota. Una sensazione di annullamento totale.
Freddo.
Mi guardo allo specchio, schifata.
Ma poi ricomincia. Al primo boccone: abbuffata e poi vomito.
E’ questa, amico mio, la vita che per circa tre anni mi ha accompagnato.
Tempo perso. Ricordati che è tempo perso, il mio, quello della mia vita!
9.9 Sport e alimentazione
A completamento di questo excursus sull’alimentazione, vogliamo
ribadire tutti i risvolti connessi: alimentarsi per uno sportivo non può
ridursi esclusivamente a un problema di equilibrio chimico, ma coinvolge
anche aspetti psicologici del profondo.
Durante le sedute di rilassamento e di autostima con atleti, emergono
problemi relativi all’attenzione, alla chiarezza nel formulare obiettivi a
medio e a lungo termine, alla determinazione a perseguirli, alle
motivazioni, all’ansia pre-gara, alla paura dell’insuccesso, al blocco
derivante dal timore di non ripetere il successo e di deludere allenatori,
genitori, tifosi ; molto spesso, tutti questi elementi si coagulano attorno
all’atteggiamento verso il cibo e alle abitudini alimentari e si manifestano
con sintomi di malessere generale, di insoddisfazione, di confusione e di
disistima.
Non esistono molti studi e pubblicazioni su questo ultimo tema, l’aspetto
psicologico dell’alimentazione nello sport; in molti libri che si occupano
delle varie discipline, e sono tanti, soprattutto manuali pratici (come
imparare a nuotare, a tirare con l’arco, ad andare in bicicletta...) si parla a
lungo e dettagliatamente della dieta da seguire nei vari momenti
dell’allenamento, nel pre-gara, nel dopo-gara ; qualche categoria di atleti
conosce a menadito la composizione di tutti gli alimenti e sa gestire la
propria alimentazione secondo i canoni della dietetica ; per contro, in altri
sport, non esiste questa cultura e l’atleta non sa quasi niente della
composizione degli alimenti.
In questi testi, dopo la disquisizione sui cibi e sulle ricette, troviamo un
paragrafetto sugli aspetti psicologici dell’alimentazione, poche righe per
trattare un argomento molto importante.
Non ci stanchiamo di ripetere che l’atleta, chi fa sport o attività motoria, è
innanzi tutto una persona normale, con i suoi gusti, le sue preferenze, le sue
specifiche esigenze.
L’atleta risponde ai criteri sull’alimentazione col corpo e con la mente uniti
nella concezione psicosomatica.
L’approccio psicosomatico ha una visione del corpo in cui gli organi
manifestano un linguaggio simbolico ricco di significati. Uno di questi è
rappresentato dal legame tra cibo e affettività. Ci si riempie di cibo per
coprire un vuoto affettivo; se qualcosa che non va nel nostro stile di vita,
blocchiamo le emozioni, non coltiviamo un buon rapporto con noi stessi e
con l’ambiente... Introduciamo più calorie del necessario nei momenti di
vuoto esistenziale, di disagio, di angoscia.
Quale vuoto vogliamo riempire ?
A volte è sufficiente porsi questa semplice domanda per modificare
l’approccio al cibo.
9.10 Aspetti psicologici dell’alimentazione nello sport
Lo sportivo, più di un altro, deve stare attento a conservare uno stile di vita
particolarmente rigoroso; ad esso contribuiscono diverse abitudini salutari :
- un buon sonno;
- una colazione equilibrata;
- la regolarità dei pasti;
- non indulgere in fuori pasto;
- il controllo del peso;
- non fumare e non bere alcolici;
- svolgere un’attività fisica regolare.
Come si vede, sono abitudini consigliate alla totalità delle persone ; ma per
chi pratica attività motoria e sport il loro rispetto è decisivo. Molte di
queste raccomandazioni riguardano l’alimentazione, intesa non solo come
composizione di alimenti, ma anche come attenzione ai fattori psicologici
che si attivano nel rapporto col cibo.
E’ importante praticare attività motoria per stare magri, ma anche per
trovare un rapporto soddisfacente col proprio corpo e con la propria mente.
Questa semplice raccomandazione acquista un rilievo determinante se
prendiamo il caso di anoressia.
Preceduta in genere da una dieta dimagrante, i rapporti interpersonali dei
soggetti peggiorano, vanno verso l’isolamento, i risultati scolastici possono
essere soddisfacenti, ma più si dimagrisce, più le risposte fisiche e
psichiche peggiorano ; spesso l’unico momento di svago è lo sport o
l’attività in palestra, praticata fino allo sfinimento, nella speranza di
bruciare calorie e di raggiungere la forma fisica desiderata, quando sembra
di avere mangiato “troppo”. Invece conta la qualità più che la quantità per
impostare un rapporto col corpo e del corpo con l’universo.
Nell’attività fisica, per mantenersi agili e scattanti, non è sufficiente il moto
fine a se stesso : non porta a dimagrire, e neanche a garantire quei benefici
in campo di prestazione sportiva che si vorrebbero.
Occorre creare uno spazio mentale diverso:
- curare la respirazione;
- trovare lo sport adatto alle proprie possibilità;
- sviluppare il proprio talento naturale;
- allenarsi con ritmi e tempi adeguati al proprio fisico;
- coltivare un giusto rapporto col cibo...
TESTIMONIANZA - Alimentazione per nuovi atleti
Osservando attentamente le gare di ciclismo, è abbastanza evidente di
come stiano cambiando le conformazioni fisiche degli atleti. Sono sempre
più magri, filiformi, ma leggeri e performanti.
Assomigliano sempre più a dei maratoneti. Magrissimi e apparentemente
“innocui”.
Eppure sono micidiali, sia in salita sia a cronometro!
In atletica, alcuni ragazzi con queste caratteristiche fisiche addirittura
hanno ottenuto risultati importanti nelle specialità “veloci” come i 100mt e
i 200mt.
Le esigenze prestazionali e fisiche si ripercuotono sugli atleti a livello
psicologico e possono portare dei disturbi alimentari anche gravi.
Sappiamo che il bisogno di alimentarsi (fame e sete) è fisiologico, ma che
ha conseguenze psicologiche che si traducono in pulsioni vere e proprie. In
virtù del suo significato simbolico, il cibo diventa spesso fonte di numerosi
conflitti psichici: se il divieto alimentare diventa una modalità
comportamentale di un individuo, specie di un atleta, si giunge a forme di
disagi e disturbi.
In questi ultimi tempi si sono approfonditi numerosi studi al riguardo.
Con il termine Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) si fa
riferimento a un disturbo o disagio caratterizzato da un alterato rapporto
con il cibo e con il proprio corpo: si parla di alimentazione con
caratteristiche assai disordinate, caotiche, ossessive e ritualistiche che non
prevedono l’abitudine di consumare un pasto normale, sia per qualità,
quantità e momenti.
Se, oltre all’alterazione del comportamento alimentare, si instaura anche
una alterata valutazione del corpo e delle sue forme, questa condizione può
fortemente influenzare la propria autostima.
Una classificazione dei disturbi alimentari comprende diverse forme e
gradi, fino a giungere a vere e proprie patologie, quali l’anoressia
nervosa, la bulimia nervosa e altri disturbi non altrimenti specificati (nella
terminologia inglese definiti come EDNOS: Eating Disorders Not
Otherwise Specified).
Vanno considerate anche LE NUOVE PATOLOGIE ALIMENTARI. Non
sempre il mangiare esagerato porta con sé sensi di colpa che inducono al
vomito. In alcuni casi assistiamo ad “abbuffate compensative”, fatte in
modo consapevole.
Si stanno diffondendo due nuove patologie i cui effetti sono altrettanto
devastanti quanto anoressia e bulimia nervosa: la Binge eating, cioè
mangiare fino a scoppiare senza rigettare forzatamente il cibo e la Night
eating che consiste nello svuotare di notte il frigorifero.
Per molti mangiare può essere un momento di piacere! Molti atleti, prima
di una gara, riescono a mangiare tantissimo per accumulare energia.
L'importante, però, è il risultato della gara e non fare a gara a chi mangia
più piatti di pasta, con il rischio di trovarsi a soffrire per non avere
digerito!
Come comportarsi? Il consiglio è di riuscire a mantenere un equilibrio e di
essere presenti a se stessi nei momenti di voglia di trasgressione!
9.11 La dieta ideale: la piramide dell’alimentazione
Esiste il cibo che fa andare più forte?
Molti atleti se lo chiedono, all’eterna ricerca di una dieta ideale: ognuno
pensa che un cibo o una sostanza particolari possano migliorare le
prestazioni sportive.
Al riguardo permangono molti pregiudizi, credenze, superstizioni. A questi
aggiungiamo la pubblicità che spinge molto nel creare aspettative
risolutive ; le suggestioni moderne e le mode hanno avuto per oggetto,
alternativamente nel tempo, vari alimenti: le zollette di zucchero, le
vitamine a profusione, i sali minerali specifici, l’olio di germe di grano, le
barrette, i carboidrati solubili: tutti alimenti validi, se presi nel giusto
equilibrio.
Gli atleti sono facilmente vulnerabili sul piano psicologico per il clima
emotivo proprio dell’allenamento e della gara. L’aiuto della psico-
pedagogia serve a dare una corretta coscienza psicologica e alimentare agli
atleti ; questo obiettivo deve essere comune a tecnici, allenatori, dietologi
per orientare e sfatare false credenze.
Soprattutto il dietologo deve tener conto nel fare una dieta del singolo
atleta e capire che certe resistenze derivano dalla permanenza affettiva nel
clima infantile e nell’affidamento ai poteri magici, in questo caso
dell’alimento.
Non esiste un cibo che di per se stesso faccia andare più forte ; è vero il
contrario, ci guadagnano in prestigio le case produttrici di quel prodotto.
La dieta ideale dello sportivo, oltre a non provocare disturbi in gara e in
allenamento, deve anche dargli benessere in ogni momento della giornata.
Quindi i principi dietologici “normali” valgono anche per l’atleta, poiché le
reazioni psicologiche verso il cibo sono fondamentalmente identiche a
quelle di una persona che non pratica sport.
Possiamo però dire che, nel caso di uno sportivo, tutto è più accentuato,
con una sensibilità al problema più fine, come dimostrano le interviste agli
atleti interrogati sul loro regime alimentare.
9.12 I tabu dell’ alimentazione sportiva
All’inizio della carriera un giovane atleta deve, per prima cosa, affrontare il
problema del peso: sembra sempre grasso, il plicometro è implacabile;
quindi dieta nel senso di privazione di cibo e dieta nella scelta degli
alimenti: al bando quelli che piacciono di più ai giovani.
Qualcuno ci riesce, sia per la forza di volontà, sia per il metabolismo che lo
favorisce. La maggior parte è in continua lotta con la bilancia, attribuisce
successi o insuccessi sportivi alla dieta, con una sequenza di
comportamenti che può portare all’anoressia nervosa e alla bulimia
nervosa.
Quello che segue ricalca un diario immaginario in 20 punti di un giovane
atleta quando entra nella morsa dei disturbi alimentari.
1 – Il Medico Sportivo mi ha detto che sono su di peso: devo calare, devo
mangiare poco e bene.
2 – Non riesco a calare di peso, mangio troppo, sono troppo pesante.
3 – Essere grasso mi danneggia negli allenamenti.
4 – E’ inutile allenarmi, tanto non mangio bene.
5 – In gara, parto, mi fermo subito, non gliela faccio a finire.
6 – Così mangio fuori orario, vado al bar a divorare dolci.
7 – Poi mi pento e cerco di vomitare.
8 – Mi caccio due dita in gola e vuoto lo stomaco.
9 – Questa sera non mangio per rimediare al danno che ho fatto...
10 – ... ma di notte mi alzo, apro il frigorifero e mando giù tutto quello che
trovo: fette biscottate, succo d’arancia, tortine, tronchetto, biscotti, latte.
11 – La mattina successiva ho un’altra gara, ma non faccio colazione
perché ho esagerato durante la notte.
12 – In gara non vado, sono senza forze, avrei bisogno di “aiuti”.
13 – Mi fermo e ricomincia il “girone”: mi strafogo di tutto, paste, pizzette,
bomboloni.
14 – Questa vita non fa per me, smetto di fare sport.
15 – La sera esco con gli amici, mangio di tutto perché ho voglia di
trasgredire.
16 – Tanto poi posso rimettere tutto.
17 – A volte sento la voglia di vomitare, anche se non ho mangiato molto.
18 – Lo faccio, tanto per farlo.
19 – Non riesco più a controllare il mio corpo.
20 – Il mio corpo si ribella, fa quello che vuole, anche se la mente mi dice
che mi faccio del male.
La sequenza che porta all’anoressia e alla bulimia parte quasi sempre dalla
dieta che il giovane atleta deve osservare, passa attraverso momenti
alternanti di comportamento e di conflitto interiore, per poi giungere
all’impotenza di non sapere gestire la propria vita sportiva e quotidiana.
TESTIMONIANZA - Parlano gli interessati
La consapevolezza dei condizionamenti psicologici in campo alimentare
varia di molto da soggetto a soggetto e da sport a sport.
Molte persone, giovani, adulti, anziani, che si impegnano in un’attività
sportiva per passione, per emergere, o più in generale per il proprio
benessere fisico, seguono un regime dietetico standardizzato. Sanno che
deve essere completo il più possibile (carboidrati, proteine, sali
minerali...), qualcuno si forza , altri seguono il proprio istinto e le proprie
preferenze.
Dice un maratoneta :
“Fra di noi è di moda lo “spaghetti party” . Il giorno della gara molti si
svegliano all’alba, e consumano per colazione i carboidrati, gli spaghetti
(...perché non maccheroni o altra pasta ?). Io ho provato una volta... ma
non sono andato bene... Il mio fisico non è abituato a questi cibi alla
mattina, è una forzatura. Psicologicamente sono portato a consumare la
colazione di sempre...”
Si lamenta Ilaria, giocatrice di pallavolo :
“La mamma mi vuole costringere a mangiare certe cose perché dice che
mi fanno bene. Io non voglio, ma lei insiste, lei mi vuole addirittura
imboccare, insiste, insiste, finché cedo, ma poi sto male...”
Racconta un ciclista che corre le Granfondo : “Nella Granfondo del
Trasimeno, dopo due ore di corsa, in un ristoro, mi diedero un quadretto di
marmellata, di quelli che mangiavo per merenda da bambino.
Mangiandolo, provai una soddisfazione immensa, mi diede vitalità.
Tornato a casa, per mesi, cercai quei quadretti, convinto che mi facessero
bene..”
Un altro ciclista :
”Alla Maratona delle Dolomiti, Granfondo di ciclismo in salita di circa
170 chilometri, alla mattina volevo mangiare gli spaghetti ; gentilmente
l’albergo li preparò, ma li condì con l’aglio, come è abitudine da quelle
parti... Una sofferenza per me, non abituato...”
Marilisa, patita di palestra e di nuoto :
“Non appena mangio un po’ di più, mi gonfio, corro in palestra per
consumare le calorie in eccesso, oppure vado in piscina e faccio 20, 30
vasche; allora mi sento meglio, in pace con me stessa”.
Per gli atleti di alto livello, professionisti, c’è un rapporto col cibo più
complesso ed attento anche alle implicazioni psicologiche.
Dice il ciclista professionista :
“Nell’alimentazione io cerco di trovare un equilibrio nel mio corpo. Per
questo mi servono moltissimo gli esercizi di rilassamento che facciamo
insieme, con il richiamo di certi simboli collegati all’alimentazione. E’
molto importante capire quello che manca... Con l’inventario corporeo
(una fase della tecnica distensiva) ascolto il mio corpo. Non credo alle
diete standardizzate, che vanno seguite come base, però io credo che si
debba mangiare quello che si desidera mangiare...”
Per molti è presente comunque l’effetto placebo.
Vediamo quanti rituali compiono gli atleti prima della gara o in gara. Fra
questi inseriamo anche alcune abitudini alimentari.
Ricordiamo il caso della nuotatrice che ammette: “Nell’attesa prima della
gara – dice - si consumano energie, che reintegro in questo modo (col
miele) ; ma questa abitudine è un potente strumento di soddisfazione
immediata, di carica psicologica”.
Gli allenatori e i direttori sportivi conoscono bene questi meccanismi
mentali dei loro atleti .
Racconta un D.S. di ciclismo che cura una squadra di giovani (Dilettanti e
Junior) :
“Condizionamenti psicologici ? Posso raccontarne tanti.
Un corridore si dà del profumo sulla spalla, si annusa di tanto intanto, per
ritrovare il senso di sé.
Un altro non riusciva mai a prendere la borraccia o il sacchetto del
rifornimento al volo, come fanno tutti i corridori ed entrava regolarmente
in crisi di fame.
Un altro ancora, prima di una salita impegnativa, vuole mangiare una
barretta perché pensa : - Ora ho mangiato, mi sento più forte, gliela farò
certamente.
E’ vero che ha messo benzina nel corpo, ma l’effetto più immediato è
certamente quello psicologico, di autoconvinzione e di stima nelle proprie
capacità”.
TESTIMONIANZA – Amnesia da tavola
Per molti atleti questo periodo è il periodo peggiore dell’anno: i pranzi e le
cene sono inevitabili, il lavoro e il freddo non permettono di fare tutta
l’attività fisica che si vorrebbe (almeno per smaltire i banchetti!) e gli
obiettivi stagionali per molti sport, tranne quelli invernali, sono ancora
così lontani da “spingerci” a sacrificare i buoni propositi per qualche
festa in famiglia. In questo periodo si cade in una vera e propria “amnesia
da tavola”, nel senso che, una volta seduti e messi di fronte a ogni ben di
Dio, dimentichiamo tutto: le lotte per mantenere il peso, gli allenamenti a
temperature polari o il rischio di asfissia di certe palestre male aerate e
troppo affollate. Per alcuni è difficile persino ricordare cosa e quanto si è
mangiato e bevuto!
Il senso di colpa che ne consegue può fare anche più danni: chi digiuna
completamente, chi salta almeno un pasto e chi trova riparo in alcune
super-diete su internet…
Gli iper-attivi invece sono portati a sovraccaricarsi con allenamenti
impossibili, attività fisiche mai provate prima (col rischio di infortuni
anche gravi) o di estenuanti sessioni di saune o bagno turco.
Ultimamente mi è capitato di essere a contatto con alcuni ciclisti
professionisti e per molti di loro il problema del peso è determinante.
Crescere di sei o sette chili può compromettere tutta la stagione agonistica.
Questi ragazzi, alcuni dei quali sono molto giovani, sono ancora in una
fase di crescita e sono ancora alla ricerca del loro equilibrio psico-fisico.
Credo che il punto fondamentale sia proprio questo: l’equilibrio.
Se anche ci capita di esagerare a tavola, l’importante è ritornare presto
alla normalità, magari prediligendo cibi freschi e disintossicanti come le
verdure a pranzo e minestroni o zuppe calde la sera; cioè mangiando a
livello bilanciato un po’ di tutto: pasta, carne, pesce e formaggi.
I dolci? Sarebbe meglio evitarli e, visto che verranno comunque regalati
nelle varie ceste natalizie, si potrebbe mangiare qualcosa durante gli
allenamenti al posto delle “solite” barrette.
Il nostro metabolismo è un sistema sofisticato e intelligente, che si
organizza in base al nostro comportamento. Più siamo equilibrati nello
stile di vita e nell’alimentazione, più, nel caso di un evento eccezionale
come una cena natalizia, saprà scartare le calorie in eccesso non
assimilando tutto ciò che si manda giù. Inoltre, è una buona abitudine
camminare per almeno trenta minuti dopo ogni pasto, per evitare la
sensazione di pesantezza e per mantenere il metabolismo equilibrato.
Infine è bene sapere che il tempo di trasformazione degli zuccheri ingeriti
in grassi è quantificabile in circa 48 ore, quindi possiamo tranquillamente
“correre ai ripari” senza eccessi alimentari o fisici irreversibili.
Uno degli obiettivi dello sport è quello di trovare l’equilibrio tra dare e
avere, portando quindi il fisico a perdere progressivamente peso
superfluo, favorendo così lo stato di salute psicofisica e l’ autostima.
CAP.10 LA PROGRAMMAZIONE DELL’ATTIVITA’
SPORTIVA
“Ci sono due cose da cui dipende la riuscita di ogni rapporto.
La prima è definire esattamente gli scopi dell’attività.
La seconda è compiere le azioni adatte per il raggiungimento della meta.”
(Aristotele, filosofo greco, 384-322 a.C.)
10.1 Programmare
Quando vogliamo riuscire in un'impresa che ci sta a cuore, in genere
pensiamo a lungo alla sua organizzazione, programmiamo ogni momento
nei minimi particolari.
Non ci riferiamo solo a "imprese storiche" come può essere la conquista di
una cima o la traversata della Manica, ma anche a piccoli eventi della
nostra vita quotidiana.
Se dobbiamo recarci in una città sconosciuta o fare un viaggio di piacere,
studiamo la carta geografica per memorizzare il percorso, consideriamo la
distanza, il tempo presumibile, il mezzo di trasporto più consono.
Se vogliamo preparare una cena per amici in casa, stiliamo il menu, poi,
pietanza per pietanza, acquistiamo l'occorrente in base alla ricetta da
realizzare e seguiamo le istruzioni passo per passo.
Se siamo insegnanti o istruttori, non andiamo in classe o in palestra
improvvisando tutto, ma prepariamo in anticipo la lezione, tenendo conto
di aspetti inerenti la materia e la capacità di apprendimento dei soggetti a
cui ci rivolgiamo.
Insomma, possiamo affermare che l'attività di programmazione
accompagna, più o meno consapevolmente, ogni momento delle nostre
giornate.
Allo stesso modo, e in forma più precisa, per ottenere buoni risultati
nell'attività sportiva occorre abituarsi a considerare una serie di fattori e a
programmare attentamente ogni aspetto.
10.2 Dal programma alla programmazione individuale
Per la verità, gli atleti possono trovare modelli di programmazione in varie
pubblicazioni; giornali quotidiani e periodici ripropongono saltuariamente
particolareggiate tabelle di allenamento o di avvicinamento alla gara. Si
tratta di programmi generali e rappresentano un validissimo punto di
partenza, anche se rivolto all’atleta “tipo”, ideale e virtuale.
Ma, affinché possano divenire veramente utili, occorre che le loro linee
generali siano personalizzate da ciascun atleta.
Passare dal programma generale alla programmazione individuale significa
tener conto del contesto, renderlo concreto rispettando le esigenze e le
caratteristiche personali; tutto questo si può imparare, come s’impara
un’altra qualsiasi abilità: andare in bicicletta, guidare un automezzo,
nuotare…
Mentre il programma è un documento prescrittivo, prefissato e statico, la
programmazione è dinamica, poiché è data da un’azione creativa che tiene
conto dell’insieme dei mezzi, dei modi, delle occasioni con i quali
predisponiamo, in modo intenzionale, la nostra attività motoria in ogni sua
fase.
La programmazione può avvenire a diversi livelli: un conto è il piano di
lavoro dell’atleta singolo, un altro è il programma di una squadra.
In quest’ultimo caso, gli elementi da considerare sono relativi alle
aspettative degli sponsor, alla gestione di un gruppo di atleti eterogenei,
all’organizzazione generale dello staff (quindi allenatori, massaggiatori,
altre figure).
Il tutto deve essere riportato all’unitarietà, poiché ogni componente, pur
nella specificità del suo ruolo, deve concorrere a raggiungere gli stessi
obiettivi.
In fase preparatoria della stagione e durante l’attività, si convocano incontri
collegiali o settoriali per fare un primo quadro generale di programmazione
e per riadattare gli obiettivi periodicamente.
Quando invece a programmare è l’atleta singolo, le “voci” sono altre e sono
rivolte agli aspetti fisiologici e psicologici personali: le fasi di allenamento,
le strategie di preparazione mentale, il comportamento in gara, i propri
obiettivi personali.
Non c’è niente di più deleterio di una programmazione statica, fissata
all’inizio, senza possibilità o capacità di modifica.
La programmazione deve essere flessibile e adattabile ad ogni evenienza
che capiti in corso di attività, sulla base del rendimento del singolo, di
infortuni, di variazioni di ogni genere.
Riassumendo, il Programma può essere generale, anche generico in
quanto si rivolge a più persone interessate.
La Programmazione individuale è certamente particolare e specifica,
poiché assume carattere strettamente personale.
Ci sono poi diversi livelli di programmi e di programmazioni. Possono
essere destinati a una squadra di atleti, all’attività dello staff, alla
preparazione specifica di un atleta o di una gara.
TESTIMONIANZA - Le tabelle non pensano.
Sono diversi gli amatori che seguono tabelle di allenamento compilate da
esperti preparatori o consigliate da amici o trovate sul web.
Il problema grosso è che … le tabelle non pensano! Non sono in grado di
dirci qual è il nostro grado di affaticamento al momento dell’allenamento,
specie non spiegano qual è l’obiettivo di un esercizio specifico.
Abbiamo bisogno che qualcuno ci dica quando stiamo cominciando a fare
fatica? O che siamo stanchi? O che mi fanno male le gambe?
Qualcuno vive con l’ansia di non perdere neanche un giorno scritto nella
“sacra” tabella, come se rischiasse una “scomunica” da tutte le
classifiche agonistiche e sociali!
Non è così: se ho male alle gambe, allora riposo, recupero.
Non neghiamo l’aiuto delle tecnologie che ci possono affiancare e aiutare,
ma ricordiamo che non si possono sostituire a noi, alle nostre percezioni,
alle nostre sensazioni.
10.3 I momenti della programmazione
Prendiamo in prestito dalla Pedagogia e dalla Didattica uno schema che
può aiutarci nella programmazione della nostra attività sportiva, sia essa
amatoriale o di alto livello.
Individuiamo i momenti irrinunciabili della programmazione e
analizziamoli:
1 - l'analisi della situazione iniziale;
2 - la definizione degli obiettivi;
3 - la determinazione dei contenuti specifici dell'attività sportiva;
4 - l'utilizzazione dei materiali, degli strumenti, della metodologia;
5 - la verifica dell'attività svolta e la valutazione;
6 - il feed-back e le strategie per il recupero e il miglioramento.
Dobbiamo immaginare il procedimento di programmazione con andamento
circolare e non come un processo lineare che inizia da un punto e termina
all'ultimo punto: è importante considerare tutti gli aspetti e riprendere il
percorso di analisi ogni volta che si conclude una prestazione.
10.4 La situazione iniziale
Per predisporre un piano programmatico occorre analizzare fattori della
situazione iniziale, che sono molteplici e soggettivi.
Consideriamo fra questi:
- le attitudini personali e le capacità;
- il tempo che si può e si vuole dedicare allo sport;
- lo spazio lasciato dalla famiglia e dagli altri impegni;
- l'appoggio e le aspettative della società;
- le facilitazioni o i disagi derivati dall'ambiente naturale e sociale;
- l'attrezzatura a disposizione.
Un atleta deve saper riconoscere in ogni momento lo stato di preparazione
fisica e mentale in cui si trova e, di conseguenza, avere consapevolezza dei
risultati che può, in quel momento, raggiungere.
Occorre analizzare punto per punto ogni aspetto che può incidere, fare una
sorta di inventario e tirare le somme per allenarsi e migliorare in base alle
sensazioni relative al corpo e alla mente; necessita un continuo
monitoraggio relativo alle condizioni fisiche: un atleta “sente buone
sensazioni” quando è in forma e, di conseguenza, si impegna per dare e
ottenere il massimo.
Tutto comunque è relativo, perché la disponibilità verso un tipo di gara
rispetto a un’altra è determinata anche da attitudini e capacità personali: un
Analisi della situazione
Finalità e obiettivi
Contenuti
Strumenti metodi
materiali
Misurazione verifica
valutazione
Feedback
ciclista si sente scalatore, un altro preferisce i circuiti veloci, un altro
ancora si definisce un passista, e via di seguito.
Un’analisi obiettiva va fatta anche per gli aspetti tecnici: l’attrezzatura di
cui si dispone, che può essere in stato ottimale oppure avere bisogno di
aggiustamenti.
Quante volte succede che una prestazione va male o s’interrompe per
“incidenti tecnici”: un cambio che salta nella bici, le scarpe del podista non
adatte al tipo di terreno, l’arco non controllato prima della gara, la sciolina
non giusta…
Altro elemento da considerare sono le condizioni ambientali naturali che
determinano la frequenza delle uscite per l’allenamento o la partecipazione
agli avvenimenti sportivi. Conosciamo le differenze climatiche che
contraddistinguono il nostro paese. Allenarsi all’aperto, al Nord con neve
invernale, al Sud con il sole e il bel tempo, comporta diverse frequenze e
diverse condizioni e, ancora, diversi atteggiamenti e disponibilità. Pochi
sono invogliati a uscire a piedi o in bicicletta se piove o se è caldo afoso;
anche una forte determinazione viene messa alla prova dagli innegabili
disagi fisici da affrontare.
Il fattore tempo influisce sull’allenamento: quanto tempo possiamo
dedicarvi? Quanto tempo sarebbe invece necessario? L’atleta amatoriale
risente fortemente delle limitazioni temporali: il lavoro, la famiglia, le
incombenze domestiche lasciano a volte poco tempo per lo sport preferito,
producono sensi di colpa che costringono a mediare fra i doveri e il proprio
piacere.
Non è il caso del professionista che dispone di tutti gli spazi utili per
rispettare le proprie tabelle di allenamento. In questo caso però a volte
interviene il fattore “demotivazione” e lo sport è considerato solo un
“lavoro” con tutte le connotazioni negative.
Di tutti i fattori elencati si tiene conto in fase di analisi della situazione di
base.
Per riassumere: gli elementi utili per effettuare l’ analisi della situazione
iniziale sono:
- le attitudini e le capacità;
- il tempo a disposizione;
- gli strumenti e l’attrezzatura;
- le condizioni ambientali.
TESTIMONIANZA – Il mio stato fisico
Ogni anno che passa, quando sto per riprendere l’allenamento per
prepararmi alla prossima stagione, mi chiedo: “Come sono messo col
fisico?”
Per verificarlo, faccio la visita dal medico sportivo col solito programma:
spirometria, prova sotto sforzo, esame del sangue e delle urine, visita
cardiologica, rimedi per dolori vari…
Certo è passato un anno, io vorrei ripetere le prestazioni dell’anno passato
e anche migliorarle; poi il medico mi riporta alla realtà, determina la
“soglia” che non dovrei superare.
Per un giovane è possibile, io mi accontento di mantenere elastica la mia
muscolatura e anche la mente…
Io vivo collina, devo allenarmi in palestra, perché le condizioni
meteorologiche (pioggia, neve, nebbia) impediscono le uscite.
Se abitassi in riviera o al Sud, potrei allenarmi all’aria aperta per tutto
l’anno.
In compenso, non mi abbandona mai la voglia di fare il mio sport e la mia
famiglia mi lascia libero di dedicarvi tutto il tempo che desidero, anche
perché sono in pensione.
Sono fortunato, ma chi lavora deve fare i conti con tempi ristretti, sfruttare
intervalli, festività e allora la famiglia rivendica attenzione… tempo in
meno per l’allenamento!
Non sono isolato; la mia società fa una convenzione con una palestra, per
cui possiamo andare di sera a tirare con l’arco…
A proposito di arco, controllo sempre lo stato delle corde, le frecce, il
mirino; sono molto curioso di provare il nuovo attrezzo, questo mi motiva
molto per vincere la noia dell’allenamento.
Voglio farmi trovare pronto alla prima gara.
10.5 Obiettivi realistici
Dall'analisi della situazione iniziale derivano le indicazioni sugli obiettivi
realistici da perseguire.
Non esiste un unico tipo di programmazione; essa si differenzia secondo
criteri relativi al livello e al tempo.
Il piano di un manager di una società sportiva è di largo raggio perché deve
tener conto di elementi interni ed esterni alla squadra: gli atleti, gli sponsor,
i rapporti con le istituzioni. Il programma dell'atleta professionista si
focalizza su un livello più individuale, con visualità ristretta a se stesso e ai
rapporti con compagni e superiori.
Il programma di un amatore tiene conto di altre finalità, di come investire il
proprio tempo libero, del rapporto con gli impegni familiari e lavorativi,
dell’età, dello stato di salute.
Si tratta quindi di livelli diversi, a ciascuno dei quali appartengono
contenuti propri.
Rispetto al tempo invece, gli obiettivi possono essere:
a breve termine;
a medio termine;
a lungo termine.
Un ciclista predispone il piano delle corse alle quali partecipare nella
stagione; un maratoneta distribuisce nell'anno solare le occasioni nelle quali
cimentarsi; un giocatore di calcio, di basket, di volley si attiene al
calendario delle partite di un anno: sono tutti avvenimenti per i quali si
parla di programmazione a lungo termine.
A lunghissimo termine sono gli obiettivi che riguardano occasioni
pluriennali, come le Olimpiadi, i campionati mondiali in certe specialità o
che sono relativi ad atleti infortunati che devono affrontare una lunga
riabilitazione prima di riprendere l’attività.
Ma è bene anche soffermarsi su impegni più ravvicinati, alla prima parte
della stagione, ad esempio, per distribuire meglio la preparazione e per
avere modo di porre riparo ad eventuali insufficienze; in questo caso ci
prefiguriamo obiettivi a medio termine.
Poi giungiamo alla gara specifica, all'obiettivo di breve o brevissimo
termine, per il quale non è possibile rimediare a ritardi o problemi
insorgenti in un periodo ristretto: se ci si trova in prossimità di una gara in
condizioni tecniche e psicologiche non ottimali, è d'uopo porsi traguardi
realistici anche se ridotti.
Quanto detto non deve sembrare un'operazione inutile e difficile.
Per la definizione pratica degli obiettivi si parte da un interrogativo:
"Quali obiettivi voglio raggiungere in questa stagione, o in questa
manifestazione sportiva?"
Ci esprimiamo in termini comportamentali, parlando semplicemente di
azioni, usando parole che per noi abbiano e mantengano un significato
immediato, con un linguaggio chiaro e preciso.
Alcuni esempi possono chiarire i concetti espressi.
Obiettivo a lungo termine:
“ Voglio riconfermare la stagione dello scorso anno”.
”Devo migliorare il mio rapporto col cibo, fare attenzione ai mesi
invernali”.
Obiettivo a medio termine:
“Devo prepararmi per la Granfondo di maggio, ho due mesi di tempo per
fare una preparazione graduale”.
“Voglio trovare delle motivazioni valide per affrontare la fatica degli
allenamenti”.
Obiettivo a breve termine: “Per la gara di domenica non sono ancora
pronto, quindi la utilizzo come allenamento”. “Devo abituarmi a sopportare
la frustrazione di una gara andata male senza abbattermi o pensare di
abbandonare”.
Negli esempi sono riportate situazioni che riguardano aspetti relativi alla
condizione fisica e alla condizione mentale, poiché entrambe vanno
programmate con attenzione.
TESTIMONIANZA A ciascuno i suoi chilometri
L’abitudine di calcolare e riportare i chilometri fatti quotidianamente era
molto usata una decina di anni fa dai ciclisti di tutte le categorie ed età.
Oggi la tecnologia è venuta in soccorso agli atleti (specie ai professionisti)
con software di organizzazione dei report di gare e allenamenti, tipo i
cardiofrequenzimetri e i misuratori di potenza espressa in watt.
Ma un punto resta in discussione, oggi come ieri: è giusto basare la
preparazione sulla quantità dei chilometri?
Oppure è meglio verificarne la qualità e i cambiamenti apportati con le
tabelle d’allenamento?
Ovviamente la qualità ha la priorità, ma è molto difficile smantellare la
sensazione di sentirsi “più bravi” perché si è stati capaci di fare, ad
esempio, 40.000 km all’anno.
Da professionista è abbastanza facile: si corre per 100 giorni all’anno e si
fa una media di 180 km a gara.
Lo stesso non vale per gli amatori che dovrebbero fare un’analisi della
qualità e, soprattutto, capire la motivazione che li spinge. L’allenamento
lungo serve a due scopi fondamentali: a perdere il peso in eccesso e ad
aumentare la capacità di resistenza alle gare lunghe come le Gran Fondo.
A livello mentale poi, si riscontra che gli allenamenti di endurance
provocano veri e propri stati di dipendenza e di tolleranza al dolore: più si
riesce a sopportare la fatica e più si è portati a definire obiettivi
maggiormente gravosi.
Questo per effetto delle endorfine, i trasmettitori chimici endogeni
coinvolti nella percezione di sensazioni come il dolore, l’ansia e il piacere.
Ma c’è un altro aspetto da considerare: l bisogno dell’uomo di voler
superare i propri limiti attraverso l’attività fisica estrema, quali le gare di
Ironman, le imprese solitarie, le scalate in alta quota, le traversate
oceaniche…
Ciascun atleta deve conoscere le proprie condizioni fisiche e mentali e
correre gli adeguati rischi consapevolmente.
ZOOM – Schema obiettivi
Obiettivi rispetto ai livelli ------------ atleta individuale
allenatore, direttore sportivo
team manager
società sportiva
Obiettivi rispetto al tempo ---------- a breve termine
a medio termine
a lungo termine
a lunghissimo termine
ATTIVITA’ - La programmazione globale
Scheda riepilogativa degli obiettivi relativi a tutti i livelli: sponsor,
squadra, staff, atleti. Gli obiettivi possono essere a lungo termine, a medio
termine, a breve termine.
Va compilata periodicamente.
Obiettivi Lungo
T.
Obiettivi Medio
T.
Obiettivi Breve
T.
Squadra
Staff
Atleti:
1
2
3
……………………..
ATTIVITA’ - Autovalutazione : i miei obiettivi
Atleta ....................................................... nato il ......................
Sport praticato …………………………………………………..
Elenca gli obiettivi che ti poni a lungo, medio, breve termine.
Obiettivi a L.T. (1 anno)
................................................................................………………........
Obiettivi a M.T. (3 mesi)
......................................................................................……………….
Obiettivi a B.T. (prossima gara)
......................................................................................………………
Data di compilazione degli obiettivi ................................................……
Verifica: Quali obiettivi ho raggiunto?
……………………………………………….
Quali obiettivi non ho raggiunto? Perché?............................................
-----------------------------------------------------------------------------------------
Data della verifica .........................................
Il resoconto dell’attività va discusso con altri referenti, in modo da
approfondire i concetti.
10.6 La determinazione dei contenuti
Sulla base dei risultati dell’analisi iniziale, si possono definire i contenuti
corrispondenti.
Il contenuto dell’attività sportiva è dato dal tipo di disciplina (ciclismo,
tennis, canoa..), ma anche da tutte le conoscenze sulla materia ricavate da
studi, letture di libri e articoli, da incontri e colloqui con esperti, da
informazioni ed esperienze a seguito di contatti con altri atleti e
appassionati di sport.
Fanno parte dei contenuti anche la scelta del tipo di allenamento, il
calendario, le attività di squadra, l’organizzazione dei tempi e degli spazi,
l’aggiornamento sulle attrezzature.
Tutti questi elementi, conoscenze, organizzazione, metodi, concorrono a
definire con chiarezza e a circoscrivere il campo di applicazione
dell’attività sportiva, al quale corrispondono le capacità atletiche richieste
per l’obiettivo.
Se è indubbio che ciò che conta per il successo in un’impresa sono le
abilità, è però altrettanto vero che senza un contenuto valido la capacità
rimane vuota esercitazione.
Rispetto ai contenuti, la programmazione può essere centrata:
- sulle conoscenze personali;
- sullo sport praticato e quindi sulle caratteristiche di quella disciplina in
generale;
- sulle esperienze di altri atleti.
Per ottenere un’utilità dalla determinazione dei contenuti è comunque
opportuno integrare i tre livelli, tenendo conto sia delle proprie esigenze,
sia della struttura della disciplina sportiva in oggetto, sia degli apporti
ricavati da testimonianze e dal confronto con prestazioni di altri.
I contenuti sono in stretto rapporto con gli obiettivi; si parla di contenuti
efficaci quando rispondono a tre caratteristiche: devono essere validi,
significativi e interessanti.
Contenuti validi: se si vuole raggiungere una determinata performance, si
deve scegliere un’occasione ad essa inerente (esistono maratone che, per le
caratteristiche del percorso, si prestano più di altre a consentire di ottenere
un tempo record).
Contenuti significativi: devono essere fondamentali per una specifica
occasione e non marginali, approssimativi o generici (non tutte le gare sono
importanti e prestigiose allo stesso modo, quindi la partecipazione va
programmata nel tempo).
Contenuti interessanti: devono essere consoni agli interessi degli sportivi,
alla motivazione, alla voglia di essere presenti all’evento “mitico”(la
maratona di New York per un podista, la maratona delle Dolomiti per un
ciclista amatore, il Mondiale di pattinaggio…)
In definitiva, se si vuole imparare a praticare uno sport a livelli qualificanti
(questo è l’obiettivo), è utile analizzarne le caratteristiche sotto tutti i punti
di vista, curare gli aspetti organizzativi, conoscere la terminologia inerente,
raccogliere informazioni supplementari, comprendere i concetti e i principi
di base, saper applicare regole e procedimenti.
Un esempio “scolastico” può aiutare a semplificare l’argomento dei
contenuti:
Se l’obiettivo è l’acquisizione del concetto di misurazione, allora il
contenuto specifico è dato dalla conoscenza delle unità di misura (metro,
litro, grammo, ecc.) e dall’attività pratica del misurare.
Quindi, se l’obiettivo è praticare lo sport del basket, il contenuto è
rappresentato dal bagaglio di conoscenze tecniche su quello sport.
ZOOM – I contenuti
I contenuti possono essere centrati:
- sul soggetto,
- sulla disciplina sportiva,
- su altri contributi.
Le principali caratteristiche dei contenuti sono:
- la validità,
- la significatività,
- l’interesse verso quella materia.
TESTIMONIANZA – Mi interesso di…
Ho partecipato a un incontro nel quale un esperto parlava di sport. Gli
argomenti trattati erano stimolanti, a me però interessava capire alcuni
concetti.
Era come una lezione di scuola… io però avrei voluto fare tante domande.
Il professore parlava della necessità di percepire il sé corporeo. Come si fa
a percepire le proprie sensazioni, a distinguerle.
E poi… è necessario controllare la propria postura… qui ho recepito come
fare alcuni esercizi.
L’argomento più interessante per me è stato la coordinazione occhio-mano
perché è proprio inerente al mio sport (sono un arciere).
Quindi è importante l’esercizio della motricità distale, che è la destrezza,
poi anche il rapporto delle varie parti del corpo, cioè come coordinarle.
Inoltre sviluppare la capacità di mira, controllando l’equilibrio generale.
Tutte le osservazioni fatte durante l’incontro mi sono servite per capire che
ogni sport ha una serie di argomenti che vanno approfonditi, sia per
migliorare il risultato, sia per una conoscenza più allargata, anche solo a
livello di studio.
10.7 L’attrezzatura dello sportivo
Nella pratica sportiva essere aggiornati è un obiettivo irrinunciabile; oggi
giorno proliferano studi, monitoraggi, invenzioni che portano a soluzioni
sempre più efficaci. Materiali leggeri, con caratteristiche tecniche studiate
per ogni esigenza e per ogni occasione, strumenti perfetti e accattivanti
nell’aspetto e nei colori sono ormai bagaglio di molti sportivi, in campo
professionistico ma anche amatoriale.
Ogni anno c’è sempre una novità, c’è qualcosa da cambiare, da migliorare,
dalla maglietta alle scarpe, dalla bicicletta alle racchette, agli sci; questo
succede per ottenere maggiore sicurezza nell’attività, ma anche per un
motivo di prestigio personale e per curare l’aspetto estetico.
Un atleta attento è colui che per la revisione dell’attrezzatura si affida a
esperti nel settore, ma non dimentica mai di controllarne lo stato di persona
al momento dell’uso: il cambio della bicicletta, il mirino dell’arco, il
modello delle scarpe, ecc.
La conoscenza degli strumenti e degli attrezzi, che ci accompagnano
nell’attività sportiva e che sono parte integrante della prestazione, è molto
importante; si deve sempre essere in grado di utilizzarli al meglio, di deve
saper risolvere eventuali problemi (guasti, dimenticanze) che possono
sorgere nei momenti meno opportuni, prima della gara, in gara.
Tutti gli strumenti (bicicletta, arco, canoa, motocicletta, sci, stecche per il
biliardo, palloni e quant’altro) devono essere tenuti in perfetto ordine e
rispondere ad alcuni requisiti:
- che siano fruibili con padronanza;
- che siano in perfetta efficienza e stato ottimale;
- che quindi siano controllati frequentemente;
- avere carattere dinamico, aperti a diverse soluzioni;
- che possano essere integrabili nelle loro varie parti.
10.8 I metodi di allenamento
E’ difficile separare il metodo utilizzato per l’allenamento dagli altri
elementi della programmazione sportiva; esso è correlato al
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Sulla stampa specializzata troviamo tabelle di allenamento riferite a ogni
sport e a ogni periodo dell’anno: come prepararsi alla maratona, quante
volte uscire in bicicletta, la velocità da tenere, come prepararsi in palestra
durante l’inverno e via di seguito.
Ciascuno, tramite letture, incontri, fotografie, filmati, schede, schemi,
confronti, aderisce ai principi generali, poi si crea una propria metodologia
personale, che tiene conto della situazione di partenza e dei requisiti
iniziali.
Va sfumata la polemica sul metodo migliore o peggiore, poiché ogni
metodo può essere considerato valido, se porta al raggiungimento
dell’obiettivo voluto.
La scelta del percorso da seguire, oltre che personale, può essere anche
affidata a un esperto preposto a tale compito, un personal trainer, un
allenatore, un direttore sportivo, un mental trainer.
Non sempre è possibile seguire passo per passo le indicazioni teoriche, un
po’ per scarsa convinzione, un po’ per impedimenti contingenti.
Un metodo sicuro è sperimentare alcune soluzioni, trovare il proprio ideale
sistema di allenamento e seguirlo poi con costanza, in modo da giungere
alle gare con saldi principi, interiorizzati a tal punto da poterli applicare
istintivamente in gara e nei momenti di difficoltà.
Se, ad esempio, abbiamo seguito un corso di respirazione, ciò che abbiamo
appreso verrà richiamato al momento opportuno; se abbiamo svolto
esercitazioni di visualizzazione del movimento, avremo benefici nella
precisione dei tiri liberi nel volley, nel basket…
Le Tabelle di allenamento sono da consultare, da adattare alle proprie
caratteristiche, da verificare in base ai risultati ottenuti ed, eventualmente
da modificare o sostituire.
10.9 Verifica e valutazione
Il percorso della programmazione non è ancora terminato, perché dopo
ogni seduta di allenamento o al termine di ogni gara si attua una verifica di
quanto è avvenuto e si giunge alla valutazione.
All’atleta viene naturale la domanda: “Come sono andato?”. Interroghiamo
noi stessi, chiediamo il parere dei familiari, dell’allenatore, degli amici.
Prima di dare rilievo alle risposte, ricordiamo che la verifica e la
valutazione sono due momenti distinti.
La verifica, integrata da misurazioni oggettive e da test, precede la
valutazione e non viceversa.
Succede invece che tante volte esprimiamo un giudizio affrettato, magari
negativo, o leggiamo come tale un rilievo espresso da altri su quanto è
avvenuto durante una gara, senza considerare obiettivamente gli elementi
che la hanno contraddistinta.
Ove non sia possibile utilizzare misurazioni con semplici strumenti ,
possono essere utili i dati (velocità, frequenza, ….) registrati su un diario
tenuto accuratamente dopo ogni allenamento e dopo ogni gara.
La valutazione consiste nel verificare le ipotesi di lavoro, nello stabilire,
sulla base dei dati forniti dalle misurazioni, se il raggiungimento
dell’obiettivo si è realizzato e in quale misura.
Tutto questo è possibile attraverso un’osservazione attenta e sistematica,
con oggettive, colloqui, autovalutazione.
Solo dopo l’analisi dei dati raccolti possiamo valutare nell’ambito
specifico: se una prova è andata male per motivi di ansia, siamo in ambito
emotivo; se invece si sono verificati incidenti, siamo in ambito tecnico.
Sono proprio queste indicazioni che creano le basi per una successiva
ripresa del lavoro.
10.10 - I criteri della valutazione
Per valutare, occorre definire prima i criteri adottati per la valutazione,
riassumibili in due modi:
- secondo criteri interni, facendo riferimento a se stessi e alle precedenti
performance;
- secondo criteri esterni, facendo riferimento al gruppo, ai partecipanti a
quella gara, alla posizione occupata nella graduatoria dei risultati.
L’uno non esclude l’altro, anzi essi vanno integrati, pur tenendo ben distinti
i due aspetti, personale e di confronto.
Evitiamo le interpretazioni unilaterali:
“Sono andato malissimo, non ho combinato nulla di buono” oppure: “Li ho
schiacciati tutti”, ma non ricorriamo abitualmente a scusanti e alibi:
”Non avevo mangiato bene…”, “I compagni con mi hanno aiutato…”
Dobbiamo anche soffermarci su un'altra variabile: ci orientiamo verso la
valutazione detta sommativa oppure verso la valutazione formativa?
Nel primo caso, consideriamo soltanto il risultato delle prestazioni (“Sono
arrivato decimo, terzo, trentesimo…”); nel secondo caso ci riferiamo, oltre
che al risultato, anche ai miglioramenti ottenuti dalle prime gare, alle
sensazioni provate, agli obiettivi e alle mete.
Non possiamo accontentarci di sommare i risultati numerici delle gare di
una stagione; l’utilità di una verifica risiede nella prospettiva di renderla
dinamica, cioè nel considerare passo per passo i miglioramenti ottenuti
procedendo verso le mete da raggiungere attraverso le tappe intermedie e di
orientare l’attività successiva.
In questo modo si rafforza il senso di sicurezza nelle proprie possibilità e la
fiducia in sé.
Queste considerazioni acquistano molta importanza nel caso di ragazzi e
adolescenti che fanno sport, particolarmente sensibili ai giudizi.
L’allenatore, il genitore, chi li segue, possono commettere un errore da
aspettativa quando dicono :”Mi aspetto questo risultato da te…” oppure:
“Questo non è un errore che dovevi fare”.
Al contrario, l’eccessiva benevolenza che giustifica qualsiasi risultato non è
un atteggiamento valutativo che porta a buoni esiti.
Quindi non adottiamo né autoritarismi, né eccessiva indulgenza, ma
facciamo un’obiettiva considerazione di tutti gli elementi e i fattori
dominanti in ogni specifica prestazione, caso per caso: questo vale anche
per se stessi, in situazione di autovalutazione.
Riassumendo, il processo di verifica si avvale di osservazioni, di
misurazioni, di test validi ed efficaci.
Il successivo momento di valutazione è effettuato con criteri interni se
riferito ai propri risultati precedenti, oppure con criteri esterni se si
confrontano ai risultati ottenuti da altri.
10.11 Feed-back e recupero
Finora abbiamo programmato obiettivi e metodi, abbiamo verificato e
valutato ogni performance e infine ci troviamo davanti a due prospettive:
1) i risultati sono soddisfacenti, pertanto ripartiamo con la
programmazione del prossimo obiettivo;
2) i risultati non sono stati all’altezza delle nostre aspettative e
vogliamo capire il perché, vogliamo renderci conto se abbiamo commesso
errori, in quale fase, che cosa abbiamo trascurato…
Entriamo nella fase del feed-back, cioè del ritorno indietro mentalmente.
Senza demoralizzarci, analizziamo i momenti della precedente
programmazione e dell’allenamento.
Avevamo fatto un programma adatto alle possibilità del momento?
Siamo stati costanti nell’applicarlo?
Abbiamo “caricato” troppo?
L’attrezzatura era a posto?
L’abbiamo controllata a dovere?
Ci sono state interferenze esterne, fattori climatici, fermi per malattie?
Siamo venuti a mancare sul piano psicologico?
Questi, e altri, interrogativi si affollano alla mente e a tutti possiamo dare la
“nostra” risposta, riavviando il percorso a spirale della programmazione al
fine di trovare i “correttivi” giusti.
L’operazione di feed-back ha come obiettivo quello di portare alla luce gli
elementi del recupero di tutti quegli aspetti che non hanno funzionato,
siano essi di carattere fisico, tecnico, psicologico.
Ricominciamo, dunque, dalla “nuova” situazione iniziale con le domande
da porre a se stessi.
Come mi sento?
Quanto tempo ho a disposizione prima della prossima gara?
Qual è lo stato della mia attrezzatura?
Quale lato del mio carattere devo rivedere?
Quale comportamento tenere?
Dopo aver risposto a questi interrogativi e aver adottato i rimedi per
colmare le lacune, siamo pronti per una nuova esaltante “impresa sportiva”.
In definitiva, effettuare sistematicamente il Feed back significa abituarsi a
ripensare alla propria prestazione, a individuare e recuperare le eventuali
lacune, a riprendere l’attività con gli adattamenti necessari e adeguati.
10.12 Il programma per la preparazione mentale
Quanto detto per la preparazione fisica, vale anche per l’allenamento
mentale.
Nella preparazione mentale dell’attività motoria e sportiva si prevedono
esercizi di respirazione, tecniche di rilassamento e di distensione
immaginativa, esercizi di posturologia, visualizzazione multisensoriale.
Trovano ampio spazio anche indicazioni per la conoscenza della propria
personalità, per l’orientamento, per lo stile di vita da seguire durante la
pratica motoria e sportiva, per l’autostima e la fiducia nelle proprie
potenzialità, per la scoperta e lo sviluppo del proprio talento, il tutto con le
dovute differenziazioni in base alle caratteristiche individuali.
Oltre agli incontri individuali, si svolgono lavori di gruppo, esercitazioni
pratiche, test, role playng, auto-percezione propriocettiva, autovalutazione.
In particolare, vengono considerati aspetti psicologici che intervengono
nell’attività motoria, come l’attenzione, l’ansia, la motivazione, la gestione
del successo, la frustrazione conseguente una prestazione scarsa o un
infortunio.
Vengono sviluppate anche strategie per lo sviluppo di rapporti positivi,
indispensabili nelle relazioni con altri: compagni, staff, dirigenti, sponsor.
Queste problematiche sono molto presenti negli sport di squadra o,
comunque, nei casi in cui si debba lavorare per un leader, svolgere attività
di supporto e di gregariato.
In questo campo, la modalità comunicativa acquista grande rilievo: deve
essere essenziale ed efficace.
Un maggior approfondimento è rivolto ad atleti agonisti in riferimento alle
esperienze ottimali da raggiungere, al superamento di periodi di infortunio
e di riposo forzato, al regime alimentare e al controllo del peso.
Si passa dalle linee generali a un programma individuale, poiché ciascuna
persona presenta caratteristiche specifiche che manifesta nell’impegno
sportivo e nel comportamento di tutti i giorni.
E’ auspicabile, in base all’esperienza e agli studi teorici, delineare un
programma di base dal quale partire per la preparazione mentale affiancata
alla preparazione fisica.
Gli argomenti vanno approfonditi a diversi livelli, a seconda dell’età (dal
giovane all’anziano), della tipologia dello sport praticato (ciclismo,
podismo, nuoto, volley, basket...), nonché del livello (dall’amatore
all’atleta di alto e altissimo livello).
Gli incontri si rivolgono ad atleti individualmente, a squadre, allo staff
tecnico, ai dirigenti e i team manager.
ZOOM - Argomenti di preparazione mentale
Il programma presenta i principali argomenti da approfondire in un corso
di preparazione psicofisica per l’attività motoria e sportiva.
La Respirazione: importanza e varie tecniche.
La Distensione immaginativa: imparare a rilassarsi.
Autostima e fiducia in sé: come ritrovarla, come mantenerla.
La motivazione all’allenamento, a fare attività motoria, a fare sport: come
mantenerla.
La capacità attentiva, la concentrazione, l’autopercezione.
L’ansia prima della prestazione e della gara.
La gestione del successo.
L’insuccesso e la frustrazione per una prestazione al di sotto delle
aspettative.
Gli aspetti relazionali negli sport individuali e di squadra.
La valutazione della prestazione (autovalutazione).
La comunicazione e le dinamiche di gruppo.
La gestione e la negoziazione dei conflitti.
La visualizzazione multisensoriale: rappresentazione mentale del
movimento.
Differenze e specificità nei diversi sport.
La capacità di sentire nel corpo la propria volontà e la propria forza.
Peak performance in atleti agonisti e amatori. Esperienze di flow
(esperienza ottimale).
Aspetti psicologici del processo riabilitativo nell’atleta infortunato.
Il disabile e l’attività motoria.
L’alimentazione: preferenze, simbologia del cibo.
Risvolti psicologici: la dipendenza, tendenze anoressiche e bulimiche.
ATTIVITA’ - Algoritmo dell’apprendimento
Leggi la sequenza di affermazioni.
Le condividi? Scrivi le tue considerazioni al riguardo.
Sono motivato
Osservo, ascolto, imito
Leggo, mi informo
Mi procuro le competenze tecniche
Agisco, sperimento
Interiorizzo le regole
Riprovo in situazioni simili
Applico quanto ho appreso in situazioni nuove
Ho appreso un comportamento
ATTIVITA’ - Comprensione dei concetti e soluzioni proposte.
1) LA PROGRAMMAZIONE
Per Programmazione curriculare si intende la programmazione delle
occasioni di apprendimento al fine di produrre cambiamenti nei soggetti e
al fine di accertare il grado in cui sono avvenuti.
Descrivi brevemente i fattori, i livelli e le fasi della programmazione
relativi all’insegnamento/apprendimento nell’ambito delle capacità
motorie.
2) LA PARTECIPAZIONE
Insegnante: “Ora facciamo questo
esercizio:……………………………………”
Alunno: “No, io non lo faccio, non ne ho
voglia………………………………… “
Questa è una situazione che a volte si presenta durante un intervento di
educazione motoria. L’istruttore propone al gruppo un esercizio, alcuni
ragazzi si rifiutano, si isolano, disturbano gli altri.
Indica almeno 5 strategie che utilizzeresti per convincerli a partecipare
all’attività collettiva o comunque a essere attivo.
10.13 I metodi di allenamento
E’ difficile separare il metodo utilizzato per l’allenamento dagli altri
elementi della programmazione sportiva; esso è correlato al
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Sulla stampa specializzata troviamo tabelle di allenamento riferite a ogni
sport e a ogni periodo dell’anno: come prepararsi alla maratona, quante
volte uscire in bicicletta, la velocità da tenere, come prepararsi in palestra
durante l’inverno e via di seguito.
Ciascuno, tramite letture, incontri, fotografie, filmati, schede, schemi,
confronti, aderisce ai principi generali, poi si crea una propria metodologia
personale, che tiene conto della situazione di partenza e dei requisiti
iniziali.
Va sfumata la polemica sul metodo migliore o peggiore, poiché ogni
metodo può essere considerato valido, se porta al raggiungimento
dell’obiettivo voluto.
La scelta del percorso da seguire, oltre che personale, può essere anche
affidata a un esperto preposto a tale compito, un personal trainer, un
allenatore, un direttore sportivo, un mental trainer.
Non sempre è possibile seguire passo per passo le indicazioni teoriche, un
po’ per scarsa convinzione, un po’ per impedimenti contingenti.
Un metodo sicuro è sperimentare alcune soluzioni, trovare il proprio ideale
sistema di allenamento e seguirlo poi con costanza in modo da giungere
alle gare con saldi principi, interiorizzati a tal punto da poterli applicare
istintivamente in gara e nei momenti di difficoltà.
Se, ad esempio, abbiamo seguito un corso di respirazione, ciò che abbiamo
appreso verrà richiamato al momento opportuno; se abbiamo svolto
esercitazioni di visualizzazione del movimento, avremo benefici nella
precisione dei tiri liberi nel volley, nel basket…
I concetti preliminari su cui fermarci, sia per chi allena altri, sia per chi si
allena con mezzi propri, riguardano la teoria dell’allenamento, le
componenti fisiologiche e biologiche dell’allenamento, i diversi mezzi e
metodi di allenamento, gli elementi della tecnica e della tattica sportiva, la
preparazione mentale e l’allenamento psicologico, i fattori della prestazione
sportiva.
In sintesi le tabelle di allenamento sono:
- da consultare;
- da adattare alle proprie caratteristiche;
- da verificare in base ai risultati;
- da aggiornare.
10.14 Di buona lena
L’etimologia del termine “allenare” ci riporta alla parola “lena” cioè fiato,
respiro, col significato di abituare la mente e il corpo ad assolvere
determinati compiti ; nello sport, a preparare un atleta a una gara, oppure a
prepararsi a una gara e tenersi in forma, nella doppia funzione transitiva e
riflessiva.
Possiamo ulteriormente riflettere sul fatto che lena deriva da “ anhelare”
(ansare, respirare), ma anche desiderare ardentemente qualcosa, appunto
anelare: non solo desiderare, ma aspirare a un successo, a un premio con
intensità, con ansia.
Nella pratica sportiva l’allenamento raccoglie il complesso degli esercizi
fisici e mentali utili per ottenere il maggior rendimento possibile, associato
anche all’emotività, alla partecipazione affettiva.
Dunque l’allenamento si coniuga con l’esercizio, cioè con la ripetuta
esecuzione di attività fisica o mentale, al fine di consolidare delle abilità
che serviranno al momento opportuno per economizzare lo sforzo e
ottenere il risultato ottimale. Si intendono le abilità senso-motorie che
richiedono una combinazione e un controllo multisensoriale, come
imparare ad andare in bicicletta, a fare canestro, ecc.; le abilità intellettuali,
come la flessibilità, la rapidità di apprendimento; le abilità sociali, come la
competenza, l’adeguatezza nelle varie situazioni, il fronteggiamento; le
abilità manuali che si realizzano nei più disparati atti e movimenti nei casi
di necessità contingente.
Allenarsi è apprendere di buona lena, con sacrificio, con costanza in ogni
settore della vita. Nello sport, il metodo di allenamento scelto è parte
importante del percorso che può svolgersi secondo una linea immaginaria
che mette ai due estremi da una parte l’atleta-persona, dall’altra l’atleta e
la vittoria.
Dall’applicazione di questi concetti discende la personale filosofia di
allenamento.
10.15 L’atteggiamento problematico Una buona abitudine mentale , nella vita quotidiana, come nell’attività sportiva, è quella di adottare un atteggiamento problematico che ci aiuta a individuare la strada per passare da una situazione iniziale alla meta che vogliamo raggiungere, sia essa un luogo, un bene, un risultato sportivo o professionale, o ancora una nuova conoscenza. Cercare il modo migliore per affrontare un problema non è certo quello di ancorarsi a comportamenti ripetitivi, o seguire sempre la stessa traccia di ragionamento. Dice Karl Popper(1937): “La crescita della conoscenza non deriva da un accumulo di osservazioni, ma si presenta come uno sviluppo che scaturisce da un problema (P1) a cui si tende a dare una soluzione mediante tentativi teorici (TT), oggetto di discussione critica per eliminare gli errori (EE)… per giungere infine non a una teoria, ma a un nuovo problema (P2)”.
10.16 Il Problem solving
Il Problem solving indica il processo cognitivo che si attiva per analizzare i dati di un problema e poi per trovare soluzioni ad esso. Problema è proporre, gettare innanzi. Il Problem Solving non è solo un concetto matematico ma si applica in diverse situazioni, prova ne sia che se ne interessano diversi ambiti teorici, quali la neurologia, la fisica, la matematica, l’informatica, la filosofia, oltre naturalmente la psicologia che studia i meccanismi della mente umana per la risoluzione dei problemi e cioè indaga quando nascono un’esigenza da soddisfare, un nodo da risolvere, un conflitto di qualsiasi genere, cognitivo, affettivo, comportamentale, motorio. Se non abbiamo chiari alcuni termini di un concetto, percepiamo in modo ambiguo degli stimoli, siamo incerti nei sentimenti: tutte queste sono situazioni conflittuali che vengono eliminate nel momento in cui risolviamo il problema.
Per il Problem Solving occorrono competenze trasversali che coinvolgono diverse operazioni cognitive in grado di contribuire a trovare la soluzione più efficace e valida per quel tipo di problema. Come per ogni processo mentale, anche la soluzione dei problemi va soggetta a riorganizzazione delle conoscenze, che si realizza secondo una sequenza di momenti prima descritta: analisi della situazione iniziale, definire gli obiettivi, chiarire i contenuti, scegliere i metodi e gli strumenti, verificare e valutare i risultati, operare il feedback. L’ultimo atto del Problem Solving è la decisione, cioè la scelta da adottare. Se si deve scegliere fra alcune alternative, non è sempre possibile attenersi ai risultati oggettivi perché incide la nostra personalità: la scelta non è solo economica e concreta, ma è anche influenzata dal calcolo delle probabilità di riuscita, dal sistema dei valori che ciascuno possiede. Un altro elemento che interviene spesso inconsciamente è il valore atteso di un risultato, che esula dalle reali possibilità di soluzione, che sono invece collocate nell’area del possibile, dell’auspicabile, del magico. 10.17 Le competenze Il Problem Solving è praticamente il momento finale della soluzione di un problema, per giungere alla quale si devono attivare competenze e capacità specifiche. - Capacità di percepire l’esistenza di un problema in una situazione, intuendola anche da segnali deboli e palesi (problem sensing). - Attivazione di ricerca di possibili problemi, non limitandosi ai problemi ricevuti e la cui soluzione viene richiesta, bensì trovarli (finding problem). - Costruire mappature di problemi, definire le priorità, formare aggregazioni- clusters inserire gli elementi di appartenenza e non, (mapping and shaping problem). - Definire il problema in termini di variabili in modo chiaro, trasmissibile, comunicabile (setting problem). - Possedere gli strumenti per svolgere un’analisi scientificamente valida e attendibile, sia quantitativa, sia qualitativa. - A questo punto del percorso si inserisce il Problem Solving propriamente detto che, attraverso le fasi descritte, è in grado di dare risposte e soluzioni al problema. - Seguono le fasi della decisione: decidere come agire in base alle risposte ottenute (Decision making); decidere di agire, di scegliere decisamente la strada, o l’obiettivo, o l’idea, verso cui indirizzarsi (decision taking).
Tutte queste competenze vanno acquisite e poi applicate nei vari momenti di ciascuna attività umana, compreso l’attività collegata allo sport, e nei vari livelli di programmazione.
ZOOM La metodologia dell’allenamento psico-fisico
Gli argomenti per una metodologia di allenamento: alcuni importanti
concetti da approfondire.
Concetto di Prestazione sportiva.
Pianificazione e organizzazione del processo di allenamento.
Preparazione alla gara: iter e fasi.
Definizione e classificazione dei diversi mezzi e metodi di allenamento.
Le capacità coordinative e condizionali.
Ruolo e fattori della forza.
Ruolo e fattori della velocità.
Ruolo e fattori della resistenza.
Elementi di tecnica e di tattica sportiva.
Allenamento psicologico e mentale.
TESTIMONIANZA - Switch-off
Switch-off, tradotto dall’inglese: spegnere, staccare.
Il termine è solitamente riferito alle apparecchiature elettroniche, ma per
lo sportivo si riferisce alla capacità di “bloccare” i messaggi provenienti
dal corpo che, durante lo sforzo fisico, possono essere anche molto
dolorosi e permettere all’atleta di continuare anche per molto tempo.
La New York Marathon è uno degli eventi sportivi più importanti del
mondo e va oltre la “semplice” prestazione sportiva.
Ma non è solo questo. Per un atleta come il ciclista vuol dire mettersi in
discussione in una disciplina sportiva diversa dalla sua abituale. Per una
persona normale può sembrare assurdo.
Che gusto c’è ad andare incontro ad un pugno in faccia?! La risposta si
legge nei più di 40 mila iscritti! Che non solo vogliono “farsi male”, ma lo
fanno con molto entusiasmo e col sorriso stampato in faccia!!
C’è chi lo fa per sfida personale, chi per scommessa, chi perché è
sopravvissuto al cancro, chi per ricordare una persona cara…
Da quando ho smesso di essere uno sportivo professionista, ho cercato di
sublimare la mancanza di obiettivi facendomi una lista di eventi (o meglio
di esperienze) ai quali partecipare: questo è il mio motivo per accettare
questa sfida…
Perché avere un obiettivo eleva. Addirittura risulta essere più importante
lo sforzo per raggiungere l’obiettivo, del raggiungimento dell’obiettivo
stesso. Infatti avere un obiettivo, distrae dai problemi minori, dall’ozio;
inoltre da un senso di gratificazione e concretezza in tutti i settori:
lavorativo, familiare e sentimentale.
Inoltre, per uno sportivo, cimentarsi in differenti sport significa
incrementare la propria performance generale e, non meno importante,
affrontare la propria preparazione fisica con un punto di vista diverso che
permette di poter migliorare anche l’allenamento dello sport (primario)
tradizionale.
Spesso infatti si finisce per fossilizzare i propri allenamenti in una routine
che non favorisce un incremento di prestazione. Perciò è importante
considerare che alternare e differenziare queste attività aiuta ad alzare il
livello di sopportazione della sofferenza e del dolore.
Quando siamo di fronte a impegni di questa portata, siamo costretti a
preparare la nostra mente ad uno stato di stress molto elevato da superare
nel migliore dei modi.
Ritengo che lo Switch-off sia il modo migliore e le tecniche di rilassamento
e di concentrazione permettono di raggiungerlo.
Un bravo psicologo con competenze nello sport può aiutarvi a ripetere
queste condizioni in un modo più calcolato e programmato, seguendo un
percorso introspettivo e sulla concentrazione.
L’evoluzione di questo stato è il flow. Altro non è che il classico stato di
grazia.
Sarà capitato a tutti di avere una giornata super. Un giorno in cui
l’esaltazione era tale da non far sentire la fatica, né il dolore fisico. La
trance agonistica è testimone di prestazioni straordinarie svolte nonostante
strappi muscolari e addirittura a fratture!
Se considerate che per molte religioni il dolore purifica … pensate a
quanto uno sportivo dovrebbe essere Santo!!
TESTIMONIANZA – Sempre pronti
Molto spesso mi sono trovato a pensare a cosa mi porta a sentirmi davvero
pronto per una gara oppure a subire percorso, avversari, imprevisti e
condizioni del tempo.
Lo stato mentale con cui ci si predispone fa la differenza!
Riuscire a gestire gli stati d’animo precedenti alla gara è, ed è stato,
motivo studi approfonditi da parte di psicologi e medici dello sport.
Il problema è saper gestire gli stati d’animo. A volte può essere pericoloso
anche essere troppo “carichi”, troppo euforici… in questi casi non è raro
andare incontro a cadute anche banali. D’altra parte partire poco
determinati, ci mette nella condizione di non saper gestire la fatica, di
trovarsi in testa al gruppo nei momenti peggiori e in fondo nei momenti
cruciali, o, peggio, di ritirarci(questa evenienza ci porta ad un gestione
particolare di cui parlerò in seguito).
Da qui e dalle numerose domande che i miei amici (amatori come me) mi
pongono sull'alimentazione, sulla tattica di corsa e su qualche trucco per
anticipare i punti critici del percorso.
Queste succinte note racchiudono un'analisi approfondita del mondo
amatoriale, in modo simpatico (spero), a volte un po' canzonatorio, ma
derivato da esperienze personali e filtrato da appassionati studi
psicologici.
Schema mentale:
Punto uno: La Bicicletta.
Qualcuno non ci crederà e qualcun altro arrossirà, ma talvolta è capitato
che si presentasse un ciclista senza bicicletta! Che brutta immagine!
Provate a pensare a un cavaliere senza cavallo!!
Più seriamente, mi chiedo quale livello di preparazione mentale alla
competizione/attività fisica aveva questo atleta?
Per il buon Freud non ci sarebbero dubbi: lapsus freudiano(quando non si
ha voglia di fare qualcosa, Il nostro corpo "sbaglia" irrazionalmente)...
Tecnicamente parlando, la bicicletta è composta da 3 parti fondamentali
da cui dipende la prestazione e tramite le quali si può trovare la
concentrazione. Infatti la cura del mezzo tecnico è una sorta di training
autogeno, ci porta a escludere dalla mente cose inutili e a prepararci alla
gara.
L’esercizio è quello di passare in rassegna le seguenti parti:
- Le ruote: stato delle gomme, centratura, scorrevolezza, pressione...
- La catena: fulcro della traduzione della forza in velocità...deve
essere pulita e ben oliata!
- Il cambio: farsi insegnare a registrarlo dal meccanico di fiducia, è
più facile di quello che si pensa e si può migliorare il suo funzionamento
anche poco prima della partenza.
Punto due: Il Rifornimento.
Come l’automobile ha bisogno di benzina, così l’atleta ha bisogno di bere
e nel caso di gare oltre le tre ore di durata di mangiare.
Borraccia/e ricordarsi di riempirle, con acqua, che rimane sempre il
miglior integratore.
Se la gara è lunga, riempirsene una con un composto di carboidrati e
aminoacidi...
Se fa caldo con sali minerali(rispettare le dosi o si rischia di finire la gara
in un bagno!).
E’ bene avere sempre in tasca un paio di bustine di zuccheri liquidi a
rapida assimilazione: evitano la crisi di fame.
Punto tre: la Borsa.
Dopo aver caricato la bici in macchina prima di partire da casa chiedersi:
ho preso tutto? La risposta deve comprendere questi tre elementi
fondamentali:
- scarpe,
- casco,
- licenza!
Con questi tre semplici oggetti siamo sicuri al 90% di gareggiare.
Comunque, ecco qualche consiglio sulla preparazione della borsa.
Una borsa che si rispetti deve essere pronta a tutte le condizioni
atmosferiche e prevedere dimenticanze. Il mio consiglio è quello di
preparare un borsino (40x20) , che chiameremo “borsino del freddo”, con:
- Scarpe di scorta (quelle usate l’anno scorso vanno benissimo),
- Mantellina anti-pioggia,
- Smanicato,
- Cappellino,
- Gambali,
- Manicotti,
- Occhiali a lente chiara (anche solo la lente),
- Guanti invernali,
- Copri-scarpe.
Il borsino del freddo non si usa quasi mai...ma è il fatto di averlo permette
di sentirsi pronti anche nel caso di un imprevisto cambio climatico o per la
rottura di un tacchetto dello scarpino da corsa.
Poi mettere almeno due o tre di ciascuno di questi accessori e indumenti:
- completino da corsa;
- paia di calzini;
- guantini;
- maglie tecniche(a rete o specifiche per non inzupparsi di sudore).
E’ buona norma riporre gli indumenti appena lavati e asciugati
direttamente nella borsa, piuttosto che metterli in un cassetto… si
risparmia tempo e anche se la borsa è un po’ più pesante garantisce di
non dimenticare mai nulla.
Infine, preparare un piccolo kit per le emergenze, con:
- brugole,
- forbici,
- fascette,
- nastro isolante,
- olio catena (con straccio),
- cacciaviti (a stella e a taglio).
Il tutto dovrebbe stare in una classica scatola da scarpe.
Se c’è una borsa con doppio fondo, si deve riuscire a tenere il kit
emergenze e borsina del freddo nella parte sotto.
Completare la borsa con tutto quello che pare: championchip,
winningtime, occhiali, amuleti e scaccia sfortuna, eccetera!
Punto quattro: Il Ritrovo di partenza.
Calcolare bene i tempi per raggiungere il ritrovo di partenza e se non si
viaggia soli, ma ci si incontra con qualche amico, fare attenzione a chi
considera il ritardo come una sorta di “dote”! Se ci sono ritardatari
incalliti, provare a dar loro appuntamento 30 minuti prima o a lasciarli a
piedi, almeno una volta: funziona!
Arrivati al ritrovo di partenza, normalmente si incontra una schiera di
persone.
È buona norma salutare tutti, gli avversari sono anche amici, ma senza
esagerare. Cercare un luogo leggermente appartato e silenzioso per poter
rispettare il proprio schema mentale di preparazione: le chiacchiere sono
meglio dopo corsa...magari davanti ad una birra!
Informarsi sull’ora della partenza, magari chiedendo a un giudice di gara,
non fidarsi dei volantini(a volte riportano anche differenze di ore!), poi
assicurarsi di quale sarà il luogo di ritrovo e che coincida con quello
individuato.
Punto cinque: Il Percorso.
L'abbiamo studiato? Nel caso che sia il solito percorso da anni, siamo
sicuri che non sia cambiato nulla?
Informarsi e provare almeno gli ultimi 10km, facendo attenzione
particolare all’ultimo chilometro. Cercare un punto di riferimento per
stabilire dove scattare per un eventuale volata: un cartello stradale, un
cassonetto o un particolare permanente e misurare col vostro ciclo
computer diffidando delle tabelle metriche messe a disposizione degli
organizzatori: ho misurato “dei 200mt” all’arrivo anche fino a 500 metri!
Verificare la direzione del vento e cercare di prendere dei punti di
riferimento per orientarsi meglio: ciò evita di essere vittima del percorso e
di trovarsi completamente spaesati.
Buona norma chiedere agli indigeni! Ci sono salite? Strappi? Discese
pericolose? Dove si è decisa la corsa l'anno prima?
Stabilire 2/3 punti critici sul percorso dove si dovrà assolutamente essere
davanti!
Avversari: scegliere 2/3 atleti di riferimento. Gli altri si lasciano perdere,
non si può seguire tutti! Informarsi: chi è più in forma e chi ha vinto
recentemente...
Respirare! Ogni volta che si sente arrivare la tensione del pre-gara,
oppure si soffre la partenza troppo veloce, oppure troppo nervosa.
Respirare. A lungo e continuamente...via ci si calma e si è più' pronti!
In bocca al lupo!!!
TESTIMONIANZA - Ritiri
Di recente ho avuto l’occasione di trovarmi in un hotel che ospitava ben
cinque squadre professionistiche e ho potuto vedere le differenze tra un
soggiorno di dieci giorni in una località esotica (o comunque dove non ci
sono problemi di freddo, maltempo o nebbia) fra il professionista e il
cicloamatore.
Il professionista affronta il primo ritiro stagionale (a poche settimana dal
debutto) con apprensione e ansia: cominciano i confronti con i colleghi e i
dirigenti emettono le prime sentenze; si prediligono allenamenti lunghi e
senza tratti di esagerata intensità.
Vengono fatti i programmi e assegnati ruoli (a volte ingiusti) e il corridore
comincia a sentirsi parte di una squadra, di una realtà.
Per alcuni sono momenti stressanti. È possibile che si debba condividere la
camera con una persona molto diversa, che parla un’altra lingua o che ha
abitudini incompatibili.
Oppure può succedere di star male fisicamente per un malanno o un
problema muscolare e in questi casi, lo splendido hotel in cui si soggiorna
si trasforma in un vero e proprio incubo!
I tempi della giornata sono scanditi da un’impressionante rigidità di orari
e di compiti da svolgere:
Ore 08:00. Sveglia. Ore 09:00. Allenamento.
Dalle ore 13:00 alle ore 15:00. Pranzo.
Alle 17:00. Massaggio. Alle 19:00. Meeting.
Alle 20:00. Cena. Alle 23:00. Dormire. Tutti i giorni per almeno dieci
giorni!
Per il cicloamatore, invece, si parla di vacanza. Un appuntamento segnato
in “rosso” sul calendario e programmato molti mesi prima, tanto che i
giorni lavorativi precedenti alla partenza sono vissuti con motivazione e
positività: persino con stati di euforia!
Il dover smontare la bicicletta, fare la valigia, preparare tutta la
famiglia… la sveglia alle 4 per prendere la navetta per l’aeroporto, il
viaggio e l’arrivo in hotel dopo quasi dodici ore di viaggio: niente! Solo
sorrisi!
Addirittura i più convinti riescono a uscire in bici nei pochi minuti di luce
solare rimasti…!
Le giornate per gli amatori sono così articolate:
Sveglia alle 7. Partenza alle 8, per dedicarsi alle famiglie nel pomeriggio.
Alle 13 (tassativo) pranzo, altrimenti il patto con i familiari si rompe ed è
una vera e propria “crisi di governo”!
Alle 15, in piscina coi bambini o in giro per centri commerciali.
Alle 19, cena poi al bar o fare due passi fino anche oltre la mezzanotte!
Da notare che il cicloamatore non è molto calcolatore e affronta ogni
uscita in bici come se fosse l’ultima: sempre a tutta!!
Credo che ad entrambe le categorie manchi qualcosa.
Per i professionisti i carichi psicologici sono pesanti e persistenti, tanto
che i meno equilibrati sentono il bisogno di evadere ogni tanto e di uscire
completamente fuori dagli schemi.
Inoltre dovrebbero recuperare quell’intensità, quella motivazione e quel
divertimento che contraddistingue il cicloamatore.
Il cicloamatore dovrebbe poter rispettare di più un programma di
allenamento e ricordarsi delle leggi del proprio corpo: alimentazione,
riposo, recupero sono fondamentali per chiunque svolga attività sportiva.
TESTIMONIANZA - Divagazioni sul tema
Quando si corre per lungo tempo , come per una maratona, a ritmi blandi
come i miei, io cerco sempre un dialogo con gli altri.
Quasi sempre riesco a fare un gruppetto di podisti molto variegato che , di
solito fino ai 30 km , resta unito e con la voglia di parlare .
Si toccano gli argomenti più svariati , ma ,di solito, si finisce col parlare
della nostra grande passione : Il Podismo.
Ogni corridore vede e sente la corsa in modo personale , le priorità
variano da podista a podista ,ma , dopo ore ed ore di discussioni , credo di
aver trovato tre regole che accomunano quasi tutti i runners .
La prima : Non esiste un allenamento ideale.
Se vuoi correre una maratona troverai riviste, libri, internet e conoscenti
che ti daranno un allenamento sicuro per finire una maratona.
Probabilmente quell'allenamento è ottimale per loro ma non per te .
Per creare un piano personale di preparazione alla maratona si può tenere
conto delle tabelle trovate, ma esse vanno adattate al nostro fisico , alla
nostra mentalità , ai percorsi che si prediligono , al periodo di forma
psicofisica.
La seconda : Molto allenamento può far male , poco allenamento fa
sicuramente male .
Se si affronta una prova importate come la maratona con poco
allenamento, è molto probabile che ci si ritrovi con danni fisici , sia
muscolari che articolari, ma soprattutto con danni psichici. Ho raccolto
testimonianze di corridori che, dopo una corsa, avevano fatto una tale
fatica fisica e mentale che per mesi non hanno più indossato le scarpe per
correre .
Se dopo una corsa presenti dei danni, hai sbagliato la preparazione.
Devi sempre presentarti preparato ad un appuntamento importante .
LA terza : per andare forte devi anche andare piano.
Spesso non si fanno gli allenamenti lunghi e lenti perché sono monotoni ed
il tempo è sempre poco.
Andare piano e a lungo, però, aiuta il muscolo a conformarsi per resistere
allo sforzo prolungato, lo rende più parsimonioso .
Inoltre, come diceva un vecchio maratoneta, con i lunghi lenti abitui tutto
l'organismo a stare in strada per delle ore.
Abitui gli organi addominali ad essere sballottati ad ogni passo , le
articolazioni a rinforzarsi ed a non indolenzirsi dopo poco tempo.
Ma la funzione più importate è quella di allenare la mente, di abituarla
alla monotonia e al silenzio della corsa lenta.
Viviamo in un mondo rumoroso e non siamo più abituati a passare delle
ore senza ascoltare radio o televisione o cellulare. Nella vita frenetica è
inconsueto restare in silenzio molto tempo .
Il lungo lento serve a questo. Ci abitua a stare soli con noi stessi . Ci
permette di conoscerci , di capire i nostri stai d'animo , il grado di forma
fisica , ci aiuta a trovare metodi personali per vincere la noia o per non
sentire la fatica.
Questo nelle corse lunghe ci permette di mantenere il ritmo alto. Nelle
maratone aiuta a non cedere dopo il trentesimo km e tener duro fino
all'ultimo.
III PARTE – L’ALLENAMENTO MENTALE E LA PERFORMANCE
ATLETICA
“Il viaggio alla scoperta di se stessi non è né breve, né facile…
e non è mai concluso”
(Alexander Lowen, Il linguaggio del corpo)
CAP.11 L’IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE
“ Il mondo respira in me,
io partecipo alla buona respirazione del mondo,
sono immerso in un mondo respirante.”
(G.Bachelard, La poetica della rêverie)
11.1 L’atto respiratorio
Per avviare un programma di preparazione mentale per lo sport,
occupiamoci innanzi tutto di respirazione: respirare è facile, il nostro corpo
sa ovviamente come respirare, fin dal momento della nascita, quando
dobbiamo lasciare l’ambiente liquido per passare al mondo aereo.
L’ambiente aria è ricco di odori e di essenze; li sentiamo intorno a noi, li
sentiamo su di noi, poiché caratterizzano la nostra identità, i nostri stati
d’animo e i nostri sentimenti. Eppure ci sono persone che a volte non
riescono a respirare rilassate, si spaventano, si fanno prendere dal panico e
dalla paura, il loro respiro si blocca (o hanno l’impressione che succeda
ciò) o viene reso concitato dall’agitazione.
Per queste ragioni, proponiamo di ripensare al ruolo di una buona
respirazione, come perno centrale della nostra vita.
La respirazione è un atto mentale, oltre che fisico; nell’atto respiratorio è
coinvolto non solo l’apparato respiratorio, ma partecipano anche altre parti
del corpo: si può respirare attraverso la pelle, le mani, i talloni; si può
respirare nei vari organi interni .
Non si tratta quindi di re-imparare a respirare, ma di diventare coscienti del
proprio schema respiratorio, di ri-abituarsi a prendere aria.
Pensiamo all’importanza che tale aspetto può assumere nei vari sport, come
il nuoto, il tiro con l’arco, la corsa (per citarne solo alcuni): abituarsi a una
respirazione rilassata, priva di sforzo, senza tensioni muscolari può
accrescere il livello della prestazione.
Di questo siamo tutti convinti, ma come fare?
Da dove iniziare?
Quanto tempo occorre per imparare?
Più che i discorsi teorici, valgono le esperienze; attingiamo spunti da vari
studi e contributi: yoga, rebirthing, distensione immaginativa …
Per riassumere, teniamo presente che la respirazione è insieme un atto
fisico e un atto mentale.
ATTIVITA’ – Dimmi come respiri
Prenditi alcuni minuti per rientrare in te stesso; cerca di isolarti dai
rumori che ti circondano e… ascoltati.
In questo momento stai respirando senza farci caso.
Cerca invece di ascoltare il tuo ritmo respiratorio.
Considera queste variabili e fai una crocetta vicino alla modalità in cui ti
riconosci.
RESPIRAZIONE IN DUE TEMPI
Il ritmo respiratorio è veloce, il torace si allarga.
Si inspira ed espira senza pausa intermedia.
RESPIRAZIONE IN TRE TEMPI
Il ritmo respiratorio è più lento, coinvolge torace e addome.
Si inspira ed espira, facendo una pausa successiva.
RESPIRAZIONE IN QUATTRO TEMPI
Il ritmo respiratorio è lento e rilassato.
Prevede il momento dell’ispirazione, una pausa tipo apnea, l’espirazione
lenta, una successiva pausa di riposo prima di ricominciare il ciclo.
Quale modalità usi abitualmente?..........................................................
La respirazione in 4 tempi è considerata completa. Ciascuna fase è
collegata alla simbologia della respirazione.
INSPIRAZIONE (I). Momento collegato al ricaricarsi, al ricevere, a
chiudersi in se stessi, a nascondersi.
PAUSA/APNEA (A). Momento dell’evocazione, dell’ascolto interiore, della
personalizzazione, del sé.
ESPIRAZIONE (E). Momento del dare, dello svuotarsi, del rischiare,
dell’affrontare, dell’esporsi.
PAUSA (P). Momento dell’attesa, del distacco, del riposo.
Fai attenzione alle fasi di un tuo atto respiratorio.
Quale ti riesce meglio? ………………………………………….
Durante le fasi avverti difficoltà o tensioni?...............................
Verifica la simbologia corrispondente.
P.M. Collegamento corpo-mente.
INSPIRA APNEA ESPIRA PAUSA
11.2 La scuola della respirazione
La tradizione orientale associa l’atto respiratorio al “non fare” e lo ritiene
un fatto naturale che deve avvenire con la massima spontaneità e con
attenzione alla postura del corpo per evitare irrigidimenti e tensioni.
Non siamo coscienti di ogni movimento in cui mettiamo in atto le
procedure per camminare, come mettere un piede dietro l’altro, prima il
destro poi il sinistro e via di seguito; eppure camminiamo senza pensarci
ogni momento e riusciamo a procedere senza problemi.
Allo stesso modo respiriamo, naturalmente, senza controllare ogni volta
l’aria che entra e l’aria che esce.
Il giapponese Tsuo Tsuda individua alcuni schemi di abitudini corporali
(taiheiki) collegate alla postura abituale in riferimento all’energia vitale,
ciascuno dei quali presenta una doppia connotazione: attiva e passiva, con
caratteristiche corporee e mentali specifiche.
Per qualcuno la contrazione corporea si instaura a livello di testa e collo,
per altri a livello pelvico e urinario, nel bacino, per altri ancora a livello
polmonare, poiché è interessata la respirazione. Sono questi i settori da
sbloccare tramite la respirazione e il movimento rigeneratore. Non
possiamo insegnare al sangue di circolare più o meno velocemente e
neanche al cuore di battere, ma possiamo farlo in modo parziale con la
respirazione.
Partiamo dunque proponendo una serie di semplici esercizi per sentire
com’è la nostra respirazione, per misurarne la “lunghezza”, per acquisire
consapevolezza dell’atto respiratorio, per sperimentare diversi tipi di
respirazione, il tutto orientato in particolar modo all’attività sportiva.
ATTIVITA’ –Il movimento rigeneratore
Con il movimento rigeneratore si ottiene una liberazione fisica e anche
mentale.
Si deve fare a coppie, a turno.
Le due persone si siedono uno dietro l’altro: chi è dietro è il “donatore” e
chi sta davanti è il “ricevitore”.
Il primo appoggia le mani sulla schiena della persona che sta davanti e lo
tocca dolcemente lungo la colonna vertebrale.
Questi si alza e inizia a fare una serie di movimenti liberi e spontanei.
Agitare le braccia. Muoverle a mulinello.
Muovere il bacino e le gambe.
Cantare, gridare, emettere vocalizzi.
Respirare liberamente, sospirare, sbuffare.
In seguito i ruoli possono essere invertiti e allora tocca al nuovo
“donatore” a mettere in moto il movimento spontaneo del “ricevitore”
tramite un semplice tocco al rachide.
E’ infine utile e bello condividere le reciproche sensazioni.
Sempre a coppie è possibile la respirazione per osmosi.
Si respira in sintonia attraverso il contatto corporeo, anche solo con le
mani. Inspirazione ed espirazione avvengono simultaneamente.
Con questi esercizi si prende confidenza con l’atto della respirazione.
P.M. Corpo e mente inseparabili
11.3 Il circuito dell’aria
Quante volte diciamo o pensiamo:
”Mi manca l’aria!”
“Qui dentro non si respira, devo uscire a prendere una boccata d’aria!”
“Ho il naso chiuso, non riesco a respirare!”
“Sono in debito di ossigeno!”.
Si tratta di condizioni di reale disagio fisico e, spesso, anche mentale,
quando siamo pervasi da un senso di impotenza, da confusione mentale, da
qualcosa che non riusciamo a comprendere.
In alcuni casi, inghiottiamo aria, quando ci riempiamo di surplus di
emozioni; in altri non respiriamo a fondo impedendo così il ricambio totale
dell’ossigeno nei polmoni.
E’ il caso di rivedere a grandi linee il circuito dell’aria all’interno del nostro
corpo, vista come nutrimento vitale, al pari del cibo. Se possiamo digiunare
e non assumere cibo per un lasso di tempo senza grosse conseguenze, non
possiamo dire altrettanto della mancanza d’aria, pena la cessazione di
vivere.
Il meccanismo della respirazione è costituito da due momenti che si
alternano:
- l’inspirazione, mediante il quale si introduce aria nei polmoni;
- l’espirazione, per cui l’aria viene espulsa.
Negli esercizi di respirazione richiameremo più volte queste funzioni,
anche attraverso la visualizzazione.
L’apparato respiratorio comprende:
- le fosse nasali,
- il cavo orale,
- la faringe e la laringe (vie aeree superiori).
Inoltre, a livello inferiore, comprende:
- la trachea,
- i bronchi,
- i polmoni circondati dalla membrana pleura.
Oltre questi, nell’atto respiratorio sono impegnati anche i muscoli e le ossa
del torace.
La respirazione assicura gli scambi di ossigeno e anidride carbonica tra
l’atmosfera e le cellule; questo scambio avviene nei polmoni, la sede in cui
i globuli rossi del sangue recuperano l’ossigeno.
La respirazione polmonare è controllata dai centri respiratori situati a
livello cerebrale; pur essendo un processo automatico, è tuttavia possibile
gestire e modificare il ritmo respiratorio anche volontariamente attraverso
esercizi.
ZOOM - Fisiologia della respirazione
In fase di ventilazione, l’aria entra nelle vie aeree perché i muscoli
inspiratori del torace si dilatano permettendo l’ingresso nella gabbia
toracica dell’aria .
Un importante muscolo respiratorio è il diaframma, che risulta incurvato a
riposo, ma che si distende quando avviene l’inspirazione, aumentando il
volume della gabbia toracica e dilatando i polmoni, pronti ad accogliere
l’aria.
Con l’espirazione tutto torna in situazione di riposo delle strutture
elastiche: il diaframma si solleva, la cavità toracica si restringe e l’aria
interna esce perché ha una pressione maggiore rispetto all’esterno.
Una volta penetrata negli alveoli polmonari, avviene lo scambio aria
(ormai rarefatta) con il sangue per mezzo di una sottile ed estesa
membrana: l’ossigeno lascia gli alveoli polmonari ed entra in circolo nel
sangue, mentre l’anidride carbonica passa dal sangue agli alveoli. Questa
è la fase dell’ematosi.
Se operiamo un confronto fra la composizione dell’aria che introduciamo e
quella che espiriamo, vediamo che appunto l’aria espirata contiene meno
ossigeno e più anidride carbonica nelle proporzioni:
ossigeno circa dal 20% al 16%
anidride carbonica circa dal 0,04% al 4%
azoto praticamente invariato.
ATTIVITA’ – Misura il tuo respiro
C’è un modo semplice per misurare la lunghezza del nostro respiro,
suggerito da tutti i testi specifici.
Metti il palmo della mano (meglio se inumidito) sotto le narici ed espira.
Allontana il palmo fin dove non percepisci più l’aria calda emessa e
calcola la distanza raggiunta.
Verifica poi come varia questa misura nelle diverse attività:
Mentre parli
Mentre canticchi
Se stai camminando
Se stai correndo .
Quando ti alleni
Quando sei in affanno
ATTIVITA’ - Allarga le narici
Prova a respirare allargando le narici, come fai quando odori una rosa o
un flaconcino di profumo.
Occorre operare una trazione dei muscoli delle narici come fossero imbuti
quando espiri, rilasciarli poi nell’espirazione:
puoi così, con pochi atti respiratori, renderti conto che con le narici
allargate l’aria entra in maggiore quantità e viene favorito il suo
assorbimento in tutti i livelli dell’apparato respiratorio.
Si ottiene maggiore consapevolezza del meccanismo della respirazione, che
diviene nel tempo più equilibrata.
Inoltre la circolazione sanguigna diviene più fluida, arricchita di ossigeno,
le cellule, i tessuti e gli organi funzionano meglio, corpo e mente si
armonizzano.
Se ti abitui a fare l’esercizio regolarmente, ti viene naturale provare anche
quando stai svolgendo la tua attività sportiva.
11.4 Rinascere con il respiro
Quando focalizziamo l’attenzione sul nostro respiro, anche se per brevi
istanti, diveniamo consapevoli del nostro “schema respiratorio” e cioè di
tutte le modalità dell’atto respiratorio e delle abitudini che si sono formate
lungo l’arco degli anni: se sospiriamo frequentemente, se sentiamo la
necessità di inspirare più profondamente, se e come percepiamo gli odori,
se il respiro si affanna quando facciamo uno sforzo anche modesto, se
entriamo in iperventilazione.
Il nostro schema respiratorio risente dell’influenza di fattori ambientali,
quali il clima, l’ambiente sociale, il tipo di educazione ricevuta. E’ risaputa
la diversità di considerazione in cui è tenuta la respirazione nella cultura
orientale rispetto a quella occidentale.
Un approccio interessante al tema della respirazione consapevole si ritrova
nel metodo del Rebirthing che significa proprio “rinascita”, volto verso la
riscoperta dell’armonizzazione di mente, corpo ed energia che si può
realizzare attraverso la respirazione naturale.
Pensiamo al doppio significato del termine “inspirare”: non è solo l’atto
compiuto continuamente e inavvertitamente di immettere aria nei polmoni,
cioè dare all’organismo molta più aria di quanta ne riceve abitualmente;
ma può essere inteso anche come “portare in sé lo spirito”, cioè l’energia
vitale.
Occorre quindi imparare a liberare il respiro, non trattenerlo, non forzarlo.
ATTIVITA’ – INSPIRAZIONE PROFONDA E RILASSATA
Inspirare in modo profondo ma rilassato non appare facile.
Cerca di analizzare la tua modalità respiratoria. A quale dei seguenti
modelli di comportamento ti sembra di assomigliare?
1 – E’ uno sforzo troppo grande inspirare profondamente. Mi fa male a
livello del torace, non riesco ad aprirlo e ad allargarlo.
2 – Sono convinto di respirare profondamente, ma duro poco, dopo poche
inspirazioni devo fermarmi perché mi sento oppresso.
3 – Quando inizio le respirazioni, le faccio una dietro l’altra senza
fermarmi… mi accorgo che mi gira la testa, vado in iperventilazione e
allora mi spavento.
Prova anche tu la respirazione profonda.
Ti identifichi con uno dei casi precedenti?
Quali sono le tue sensazioni?
Tieni un breve diario sulla tua modalità di respirazione, poi aggiornalo
ogni mese, dopo aver fatto gli esercizi di respirazione.
Confrontando le sensazioni riportate, verifica le differenze.
11.5 Il respiro e le emozioni
Consideriamo la tematica del respiro non solo dal punto di vista fisiologico,
ma con un’ottica più allargata e di reciproca influenza. Infatti l’atto
respiratorio è condizionato da momenti emotivi durante le attività della
giornata, ma nello stesso tempo è in grado di influenzare tutte le funzioni
mentali e corporee.
Emozioni e respiro sono quindi in costante collegamento. Restiamo senza
respiro nei momenti di paura e panico, rallentiamo la respirazione quando
siamo rilassati, non la controlliamo quando la rabbia ha il sopravvento,
acceleriamo spasmodicamente il ritmo nelle fasi di eccitazione, sospiriamo
per esprimere la tristezza e la malinconia.
Certi disturbi della respirazione sono riconducibili a stati inconsci di
emozioni represse, come il manifestarsi di contrazione e alterazione del
diaframma nei soggetti ansiosi.
Avvertire i cambiamenti di ritmo del nostro respiro ci aiuta quindi a
renderci conto di stati d’animo inconsci.
In certi casi si può utilizzare una specifica pratica respiratoria per
conoscere meglio le nostre emozioni: è il breathwork, cioè la metodologia
che propone un vero e proprio lavoro con sequenze di esercizi di
respirazione profonda e circolare/continua.
Quando facciamo giungere maggior ossigeno alle parti del corpo, il
risultato è una accresciuta sensazione di benessere: stimoliamo la
circolazione sanguigna, i tessuti e gli organi risentono del beneficio di
maggior ricambio cellulare, si elimina lo stato di stress e ottiene maggior
relax.
ZOOM – La respirazione emozionale
La percezione degli odori è collegata alle emozioni, collegate a loro volta
ai ritmi respiratori.
Studi per indagare su eventuale relazione tra la frequenza respiratoria e
l’ansia di tratto negli atleti durante l’ansia anticipatoria hanno confermato
una correlazione positiva.
Altri studi hanno rivelato il ruolo dell’amigdala nelle emozioni negative e
la respirazione con la tecnica di neuroimaging, una metodica non invasiva
che consente una mappatura funzionale del cervello.
Altri studi hanno dimostrato che il bisogno di respirare nei momenti di
disagio emotivo, manifestato con dispnea e affanno, fa rilevare attività nel
sistema limbico.
Certi odori sgradevoli fanno aumentare la frequenza degli atti respiratori e
rendono la respirazione superficiale, mentre gli odori gradevoli inducono
la respirazione profonda.(Pancheri)
ATTIVITA’ - Respira con la pancia
Steso a terra supino sul materassino con le ginocchia piegate, appoggia
bene la pianta dei piedi sul pavimento.
Metti le mani sul ventre.
I fase - Inizia a respirare a bocca aperta e senti la pancia che si gonfia
quando inspiri e si sgonfia quando espiri.
Fai una serie di respirazioni, se ci riesci fino a quasi un minuto.
Riposati, lascia che il respiro e i pensieri fluiscano liberamente.
II fase – Ritorna nella posizione iniziale: ginocchia piegate, piedi
appoggiati, mani sul ventre.
Accompagna la respirazione con leggeri movimenti delle pelvi.
Inspira e piega le pelvi indietro; espira e portale in avanti.
Aumenta gradatamente l’ampiezza dei movimenti e prosegui almeno per un
minuto e oltre fin quando te la senti.
Non esagerare con la respirazione per non sovraccaricare il tuo corpo.
P.M. Per sbloccare le tensioni emotive.
11.6 La respirazione nello sport
Quanto espresso finora è applicabile a qualsiasi persona , qualunque sia il
suo stato, la sua condizione, la sua attività, il suo comportamento, la sua
filosofia di vita.
E’ innegabile: il pianto della nascita può essere interpretato come
l'espressione del primo respiro.
Abbiamo analizzato inoltre diverse tematiche collegate alla respirazione: la
spontaneità del respiro, il suo ritmo, la possibilità di imparare a gestire e
modificare il respiro.
Nell’attività sportiva è particolarmente importante, e spesso determinante
per la riuscita della performance, conoscere le condizioni della propria
respirazione e imparare a gestirla a seconda dei contesti e delle necessità.
Per questo nel programma di Preparazione Mentale per l’atleta ha un posto
preminente la Respirazione, prima di affrontare la Distensione e il
Rilassamento.
Gli esercizi che proponiamo precedono o accompagnano le fasi del
rilassamento e vanno eseguiti gradualmente, così come sono proposti.
Si parte dall’esercizio base in tre tempi attivi e un quarto tempo di pausa.
Una volta appresa questa semplice tecnica, si passa alle variazioni che
presentiamo, con l’avvertenza che possono esserne inventate diverse altre a
discrezione di chi le applica, facendo leva sull’abitudine acquisita con
l’esercizio e sulla creatività e immaginazione individuale.
Se possibile, eseguire gli esercizi in posizione supina, mettendo in questo
modo tutte le parti del corpo alla stessa altezza: il capo non avrà più un
ruolo preminente rispetto agli altri organi, non comanda sugli altri e con
esso la mente per un attimo si zittisce.
Un altro avvertimento: per le prime volte si chiede di contare mentalmente
in modo da cacciare altri pensieri e tenere la mente libera. All’inizio,
questo compito è svolto dalla voce di chi accompagna l’apprendimento
della tecnica.
L’obiettivo è insegnare/imparare a “giocare con il respiro”, in modo da far
interiorizzare il metodo e rendere autonomi nella sua applicazione, nei
tempi e nei modi necessari a ciascuna persona.
ATTIVITA’ –RESPIRA IN 4 TEMPI. ESERCIZIO BASE.
Cerca la posizione del corpo più corretta, che vale per tutti gli esercizi di
respirazione:
- la colonna vertebrale dritta;
- il corpo comodo con i punti di appoggio stabili;
- gli occhi chiusi.
Le fasi sono: inspira, trattieni, espira, pausa.
1) Comincia a mettere dentro l’aria (inspirazione) lentamente e
costantemente, contando mentalmente fino a 4 (all’inizio, poi si potrà
prolungare il tempo).
2)Trattieni il respiro, contando mentalmente fino a 2 (in seguito puoi
prolungare l’apnea).
3) Lentamente, molto lentamente, inizia a mettere fuori l’aria (espirazione)
con la bocca socchiusa contando fino a 4 o anche oltre se l’aria non è stata
espulsa del tutto.
4) Fai una pausa per riposarti e riprendi la sequenza quando sei pronto.
Ripeti poi la sequenza tre volte, interiorizzando questo ritmo.
Tale esercizio serve a rientrare in se stessi, qualunque sia la situazione in
cui ci si trova: molto utile per la prestazione che dura nel tempo, come
maratona, partita di tennis…
ATTIVITA’ - RESPIRA LUNGO LA COLONNA VERTEBRALE
Cerca la posizione del corpo più corretta, che vale per tutti gli esercizi di
respirazione:
- la colonna vertebrale dritta;
- il corpo comodo con i punti di appoggio stabili;
- gli occhi chiusi.
Le fasi sono: inspira, trattieni, espira, pausa.
Prima di inspirare, porta l’attenzione alla base della colonna vertebrale
(puoi immaginare una piccola luce in questo punto, che si muoverà con la
respirazione).
Inspira, immaginando che l’aria (o la piccola luce) salga dal basso verso
l’alto lungo la colonna vertebrale, lungo la schiena, la nuca, fino al
cervello.
Trattieni il respiro contando fino a 4.
Inizia l’espirazione.
Durante l’espirazione, l’aria scende lungo la colonna fino al sacro.
Ottieni uno stato di rilassamento profondo, con la mente concentrata sulla
respirazione.
Oltre che in senso verticale, puoi respirare in senso orizzontale,
immaginando che a ogni respirazione il corpo si dilati, poi si contragga
come se fosse una fisarmonica.
P.M. Prima di ogni gara, negli intervalli, fai questo esercizio: ti aiuterà a
risolvere ansia e disagi fisici.
ATTIVITA’ – PROVA LA RESPIRAZIONE ALTERNATA
Consiste nell’inspirare ed espirare con una narice per volta, bloccando
con la pressione di un dito l’altra narice.
Uno schema può semplificare la comprensione di questo semplice esercizio
di respirazione.
Inspira con la narice SINISTRA - Espira con la narice DESTRA.
Inspira con la narice DESTRA - Espira con la narice SINISTRA.
Inspira con la narice SINISTRA - Espira con la narice DESTRA.
Inspira con la narice DESTRA - Espira con la narice SINISTRA...
Continua con questo schema per alcune volte.
Oltre che a liberare le narici e a far passare l’aria all’interno dall’una
all’altra, l’esercizio serve ad alleviare tensioni e mal di testa e ad
equilibrare il flusso dell’aria nelle due narici.
Sono sufficienti poche respirazioni per ritrovare energie e motivazioni a
continuare uno sforzo atletico.
ATTIVITA’– RESPIRA A TAPPO
Parti dall’inspirazione allo stesso modo degli esercizi precedenti.
In fase di espirazione, emetti di botto e a bocca aperta l’aria inspirata e
trattenuta; fai come se dovessi stappare una bottiglia di spumante (o
liberare una forte pressione interna).
Ripetendolo almeno tre volte, raccogli nell’inspirazione tutte le tensioni
che senti nel corpo e nella mente e ...PUFFFFF... le espelli.
Puoi anche, in un secondo momento, emettere l’aria vigorosamente, come
con leggeri colpi di tosse, fino al completo svuotamento dei polmoni.
Dopo una prova particolarmente faticosa, un tratto di salita dura in
bicicletta, un arrivo veloce, una corsa affannosa, emetti l’aria a tappo per
riequilibrare il ritmo respiratorio.
ATTIVITA’ - RESPIRA CON IL RITMO
E’ un esercizio di livello superiore, perché presuppone, oltre alla capacità
di concentrazione, la consapevolezza del battito del cuore.
Si tratta, infatti, di coordinare il ritmo cardiaco con quello del respiro.
Puoi sentire il tuo polso.
Conta 3 battiti e intanto inspira; poi conta 6 battiti e nel frattempo espira.
Ripeti la serie per alcune volte.
La respirazione è centrata sul corpo, si ottengono concentrazione e calma,
si allontanano tensioni e pensieri: è quindi di fondamentale importanza
nelle situazioni in cui è necessario raggiungere il massimo rilassamento in
breve tempo e, inoltre, nell’insonnia, nel pre-gara, negli esami...
Il programma per la respirazione ritmata si può svolgere seguendo queste
fasi.
I FASE
*Orienta la tua mente sui battiti del cuore o sulle pulsazioni del sangue.
Eventualmente, conta i battiti del polso con il pollice.
* Quando percepisci i battiti chiaramente, sincronizza il ritmo cardiaco
con quello respiratorio:
- conta due battiti mentre inspiri;
. conta 4 battiti mentre espiri.
* Allunga progressivamente la respirazione:
- 3 battiti - inspirazione
- 6 battiti - espirazione,
poi allunga ancora: 4 -8 e così di seguito.
Ti accorgerai che la respirazione ritmata assorbe il mentale, rilassa,
calma.
II FASE
Ora introduciamo la ritenzione del respiro.
Inspira per 4 pulsazioni o battiti.
Trattieni per 8 pulsazioni o battiti.
Espira per 8 pulsazioni o battiti.
III FASE
Inspira, trattieni, espira alternativamente con la narice destra e poi
sinistra, poi ancora con la sinistra e infine con la destra.
Fai l’esercizio con naturalezza, senza fatica.
Importante è mantenere il ritmo e sentire i battiti.
L’esercizio va provato in situazione di riposo, in modo da assimilare il
concetto di ritmo respiro/battito. Si ottiene la consapevolezza di perfetta
sincronicità tra respiro e battito; l’atleta avverte sensazioni propriocettive
(interne) rassicuranti.
11.7 LA RESPIRAZIONE “CREATIVA”
Dopo questi esercizi basilari sulla respirazione, possiamo lasciare spazio
alla creatività e all’inventiva personali.
Impariamo in seguito a orientare il respiro verso gli organi interni e i
muscoli per alleviare punti di tensione.
Localizzato il disagio del momento attraverso l’inventario corporeo
(tecnica illustrata nelle pagine successive), orientiamo la mente proprio su
un punto specifico (una gamba, un piede, il gomito, la schiena…).
Iniziamo poi le nostre respirazioni, continuando fino a quando sentiamo il
beneficio del rilassamento, che, occorre ricordarlo, avviene in
concomitanza dell’espirazione.
ATTIVITA’ – Respirazione dinamica
Mettiti comodo, seduto con i piedi che toccano terra.
Poni le mani sul grembo, una sull’altra, con le palme verso l’alto.
Tieni la colonna vertebrale ben dritta.
Inspira lentamente, le braccia accompagnano il respiro sollevandosi verso
l’alto.
Senti la gabbia toracica che si allarga e lascia spazio ai polmoni che si
dilatano.
I polmoni si riempiono d’aria completamente.
Fermati un attimo, poi riporta le braccia sul ventre mentre fai
l’espirazione.
Il movimento delle braccia e le fasi della respirazione (in 4 tempi) sono
sincronizzati.
Ora si può pensare di inserire alcune varianti creative rivolte a vari
organi.
Le mani percorrono il corpo via via che si procede con la respirazione,
iniziando dal basso ventre.
Ad esempio, contrarre i muscoli dell’ano, contrarre i muscoli addominali,
spingere a livello di diaframma.
Durante l’espirazione, intanto che i polmoni si riempiono, i gomiti si
allargano per favorire la totale espansione del torace, fino a giungere
all’altezza delle clavicole, con le braccia parallele al terreno.
La creatività consiste nello sperimentare nuove posizioni e nuove
sensazioni.
- Si possono staccare le mani dal corpo e alzare le braccia al cielo con un
senso di liberazione;
- oppure muovere le braccia alternativamente nell’aria come per volare
(osserviamo il volo degli uccelli!);
- oppure ruotarle come fossero pale di un mulino a vento…
Questi sono solo alcuni esempi. La creatività personale non ha limiti.
Dopo questi momenti di esaltazione dinamica e di rilassamento mentale,
non dimentichiamo di eseguire correttamente la fase di espirazione.
Posiamo le braccia al corpo, abbassiamo i gomiti e scendiamo verso la
posizione iniziale, cioè con le mani sul ventre.
In questa fase, sarebbe utile visualizzare lo svuotamento lento e
progressivo degli alvei polmonari.
Li immaginiamo come piccole celle che a una a una di svuotano.
P.M. Questo esercizio fisio-psichico è risolutivo in caso di crampi, di
eccessivo affaticamento fisico e mentale. Utile anche nelle terapie
antifumo.
11.8 Il respiro e i colori
Particolarmente piacevole è la pratica della respirazione con i colori, la
Cromoterapia, che sfrutta i principi attivi del colore. Il nostro corpo
assorbe la luce attraverso gli occhi e la pelle.
Il colore non è altro che una frazione della luce, una stretta porzione della
quarantanovesima vibrazione; ogni colore ha una sua lunghezza d’onda e
una frequenza specifica in una gamma di limiti. Al di sopra e al di sotto di
questi limiti, le onde non sono percepibili dall’occhio medio; sono le onde
ultraviolette e le onde infrarosse.
Trovata la tonalità che piace in quel momento, nella quale vorremmo
immergerci (verde, rosso...), visualizziamo mentalmente il colore per
qualche minuto, contempliamolo a occhi chiusi, poi inaliamo l’aria colorata
orientandola verso il punto del nostro corpo che vogliamo inondare. La
cromoterapia ci insegna che, a seconda del colore prescelto, si ottengono
effetti piacevoli ed efficaci.
Il colore risulta dalla percezione di una ristretta banda di onde
elettromagnetiche che colpiscono la retina dell’occhio.
A puro titolo indicativo, ricordiamo che i colori si dividono in due grandi
gruppi: i colori caldi e i colori freddi. I colori caldi sono il giallo, il rosso e
l’arancione con le relative sfumature.
I colori freddi sono l’azzurro, il blu, il viola, l’indaco con le relative
sfumature.
Mentre ai primi si attribuisce un ruolo attivo e positivo, l’azione dei
secondi risulta passiva e negativa.
Un collegamento delle caratteristiche dei colori con i risvolti psicologici ci
presenta il colore rosso come eccitante, il giallo stimolante, il verde
equilibrato, l’azzurro scuro deprimente, il nero come negativo, il bianco
monotono, il grigio neutro e così via.
Il colore è una forma di energia che ha effetti sul nostro corpo e sulla nostra
psiche a diversi livelli: fisico, mentale, emozionale, spirituale, affettivo,
sensuale.
Proponendo gli esercizi di respirazione nel colore, si allarga il concetto di
creatività personale agli effetti di una maggiore fruizione, sia come numero
di esperienze, sia come occasione di autoconoscenza.
ATTIVITA’ – RESPIRA NEL COLORE
Mettiti comodo, sdraiato o seduto in posizione comoda.
Inizia le respirazioni dell’esercizio base, in 4 tempi.
Dopo aver fatto almeno 3 cicli a occhi chiusi, ti senti rilassato…
Lascia correre il tuo pensiero liberamente.
Non devi fare niente, ti puoi lasciare andare…
Inizia a immaginare… di entrare in una stanza… sei abbagliata dalla luce
che la riempie.
E’ una luce bianca che inizia pian piano a colorarsi…
Puoi scegliere tu il colore… prima alle pareti, al soffitto, poi il colore si
sparge nell’ambiente e riempie tutta la stanza.
Ti lasci circondare dalla piacevole atmosfera colorata, senti il colore sulla
pelle, senti il calore…
Hai scelto il colore che ti fa sentire a tuo agio?
Se è così, puoi rimanere a lungo, respirando l’aria e facendola penetrare
nei tuoi organi.
Nel cervello…
Nel petto e nel cuore…
Nella pancia, nel pube…
Nelle gambe…
Se senti disagi e tensioni, è il momento di cambiare colore… da un colore
freddo a un colore caldo, a tuo piacere.
Respira e rilassati.
Quando sei pronto, abbandona la stanza dei colori, ma portati dietro le
sensazioni e le percezioni provate.
Puoi richiamare il respiro colorato ogni volta che ne senti il beneficio.
11.9 Il respiro e gli aromi
L’aroma è una sostanza di odore e sapore gradevole; è un profumo
emanato da una fonte, è una fragranza naturale o creata artificialmente.
Abbiamo piante aromatiche, come la menta, la cannella, e composti
chimici aromatici che contengono un nucleo di benzene.
Consideriamo una delle tante piante che profumano, ad esempio la
mentuccia; in passeggiata lungo i fossi si scorgono molte piante
aromatiche, fra le quali spiccano le foglie verde smeraldo che attirano per il
profumo; ci fermiamo a odorare, ne prendiamo alcune e le schiacciamo
leggermente fra le dita.
Ci assale una piacevole sensazione di odore gradevole che ci accompagna a
lungo; lo tratteniamo fra le dita e lo portiamo al naso per annusare; ne
emergiamo rivitalizzati, più felici e ottimisti.
La fragranza della menta è in realtà il suo olio essenziale; è la sua forza
vitale, la sua anima.
Gli oli essenziali sono molto concentrati; basta una piccola goccia,
opportunamente diluita, per produrre un aroma riconoscibile e avvertibile,
in virtù delle onde che emana e che colpiscono il nostro sistema olfattivo.
ZOOM – Le note dei profumi
Le tecniche per ottenere gli oli essenziali sono diverse:
- la spremitura manuale, limitata ad agrumi e bucce; l’olio era prima
raccolto in una spugna, poi strizzato in un recipiente (oggi questa
operazione si fa con macchine apposite);
- l’enfleurage, per estrarre gli oli essenziali dai fiori, che venivano adagiati
su uno strato di grasso purificato e sostituiti con fiori freschi fino a quando
il grasso ne era impregnato (pomata). Oggi si completa il procedimento
con l’alcol;
- la macerazione, con la quale i fiori e le foglie sono schiacciati per fare
uscire l’olio dalle cellule oleifere, per poi lavorarlo con altre fasi;
- la distillazione a vapore, che sfrutta la volatilità degli oli essenziali e il
fatto che non sono solubili in acqua, per cui l’olio sarà facilmente
ricavabile.
Una volta ottenuti, gli oli essenziali mantengono un elevato grado di
volatilità e di sensibilità alla luce, pertanto vanno conservati in recipienti
chiusi ermeticamente e in un luogo asciutto, fresco e buio.
“Esistono profumi che durano decenni. Un armadio strofinato con
muschio, un pezzo di cuoio imbevuto d’olio di cannella, uno gnocco
d’ambra, una cassettina di legno di cedro mantengono l’odore quasi in
eterno.
Altri invece – olio di limoncello, bergamotto, estratti di narciso e di
tuberosa – si dileguano già dopo qualche ora, se sono esposti all’aria pura
e liberi.
Il profumiere affronta questa fatale circostanza quando vincola i profumi
troppo volatili con quelli duraturi, cioè impone a essi per così dire delle
catene che ne regolino l’impulso di libertà, e in tal caso l’arte consiste
nell’allentare le catene quel tanto che basta perché il profumo vincolato
mantenga in apparenza la sua libertà, e nello stringerlo quel tanto che
basta perché il profumo non possa svanire”.
(P. Suskind, Il Profumo)
11.10 - L’aromaterapia
L’esperienza del profumo è puramente soggettiva: alcuni profumi ci
attraggono, altri ci sono indifferenti, altri ancora ci respingono; in ogni
caso, scatenano in ciascuno sensazioni, ricordi ed emozioni legate
all’affettività.
L’aromaterapia ha radici che risalgono a tempi antichissimi, sia per curare
malattie come l’inalazione a base di eucalipto, sia per scopi religiosi, come
l’uso dell’incenso nelle cerimonie.
Le modalità di utilizzazione sono numerose; le più comuni sono:
- l’uso interno, cioè l’ingestione di oli essenziali sciolti in un liquido che
può essere acqua o anche vino, con l’avvertenza di aggiungere miele per
attutire il sapore a volte sgradevole; oppure si possono fare the con
l’aggiunta di qualche goccia di oli essenziali; o ancora tisane e infusi;
- i bagni, in vasca con l’aggiunta di alcune gocce di oli essenziali
nell’acqua calda, in cui sostare piacevolmente un tempo abbastanza
prolungato in pieno relax;
- per pediluvi e bagni alle mani in acqua calda;
- gli impacchi, con pezzi di tela imbevuta di oli essenziali diluiti in acqua
tiepida, da applicare localmente sulle parti doloranti;
- le inalazioni, metodo rapido per assorbire gli effetti benefici
dell’aromaterapia.
E’ questo il metodo che più di altri ha punti in comune con la terapia della
respirazione.
ATTIVITA’ La respirazione con gli odori.
Ciascun di noi è sensibile a odori particolari: partiamo da questi,
combinando le respirazioni alle essenze aromatiche.
Scegli l’aroma che in quel momenti ti ispira.
Se credi, collegalo a un disturbo che vuoi curare.
Se ti senti particolarmente teso o hai mal di testa da sinusite, puoi
utilizzare olio essenziale di basilico, eucalipto, lavanda, menta piperita.
Una prima fase consiste nell’annusare aromi naturali.
In questa fase, si privilegia il momento dell’inspirazione.
Imbevi un fazzoletto di carta o di cotone versando 10 gocce di olio
essenziale e procedi con il momento dell’ispirazione.
Trattieni il respiro profumato per alcuni secondi.
Quali sensazioni provi? Quali emozioni ti scatena il profumo?
Ti ricorda qualche episodio o una persona in particolare?
Inizia poi la fase dell’espirazione, allontana la fonte del profumo e godi
delle sensazioni provate.
Fai il momento di pausa, gratificata dalle sensazioni provate.
Ripeti l’esperienza per alcune volte.
Puoi tenere il fazzoletto così imbevuto anche la notte, sul cuscino.
Respirare odori aiuta a rilassarsi, a superare momenti di crisi, a vivere
momenti consolatori.
ATTIVITA’ - Immersione negli effluvi
Versa alcune gocce di oli essenziali, a seconda del problema che vuoi
risolvere, in un recipiente pieno d’acqua molto calda, bollente.
Vedrai che si sviluppa un vapore profumato che sale dal recipiente e
colpisce il sistema olfattivo.
Per godere al massimo dei benefici, copriti con un telo ampio o una
tovaglia e mettiti sopra il recipiente fumante (attento alle scottature!).
Esegui gli esercizi base di respirazione in 4 tempi. Respira
alternativamente con il naso e con la bocca aperta.
Partecipa mentalmente. Visualizza il percorso del vapore profumato che
mette in circolazione i principi degli aromi.
Respira orientando la tua mente alle sensazioni specifiche provate in
collegamento a quel profumo.
Un’altra soluzione per inalare è quella del bagno in vasca.
Riempi la vasca da bagno con acqua calda, versa diverse gocce della
tintura madre prescelta… e immergiti…
Usufruisci nel contempo di inalazione e di contatto globale con la pelle del
corpo.
Resta finché la temperatura dell’acqua lo consente, poi avvolgiti nel telo
che hai avuto cura di scaldare.
La sensazione è veramente gratificante.
TESTIMONIANZA In profumeria senza fretta
Quando si va in profumeria non ci vuole fretta; qui la parola “relax” è di
casa.
Il profumo è un accessorio che ti fa sentire in linea, come delle belle
scarpe... La spruzzata finale del profumo ti fa percepire di essere più in
ordine per la giornata...
Parto sempre dall’idea che chi entra vuole in qualche modo sentirsi più
bello e più sicuro di sé.
Dopo un breve scambio di informazioni pratiche, inizio col proporre una
linea per il bagno, possibilmente in vasca, e alcuni prodotti per il corpo.
La sosta in acqua va prolungata quanto si desidera per coccolarsi e per
rilassarsi; poi si massaggia il corpo con una crema, se la pelle è secca,
oppure con un fluido, quando la pelle è mista.
Ciascuno di noi ha una bellezza interna, che dobbiamo far emergere.
Consiglio il massaggio al viso con creme che danno luminosità alla pelle,
toccando i punti shiatsu che rilassano.
Ora dedichiamo un po’ di tempo al trucco, che deve essere leggero e
rendere la pelle omogenea, senza punti chiari o rossi, usando un semplice
fondo tinta.
Questa operazione è molto delicata; io metto a disposizione della clientela
la mia esperienza e quella del personale per “insegnare” a truccarsi.
Abbiamo un angolo qui in profumeria in cui si può fare questo, lontano
dagli occhi indiscreti, in modo da far sentire a proprio agio la persona.
Il fatto che si faccia toccare, vuol dire che mi accetta e che ho conquistato
la sua fiducia.
Il momento più importante è quello della scelta del profumo. Invito a fare
respirazioni profonde per assaporare gli aromi.
Se ho davanti una persona stressata, che subisce, che non sa imporsi (lo
capisco dalle confidenze e dal suo comportamento), le consiglio un
profumo che si senta, che la renda visibile, che attiri l’attenzione... e quindi
con fragranze forti e importanti.
Se è una signora romantica, allora le propongo un profumo classico,
avvolgente, che esprima grande femminilità.
Se è giovane, ci vuole un profumo meno forte, ma frizzante, che metta
allegria e cacci tristi pensieri.
(Titolare di Profumeria)
ZOOM Un esame per il respiro: la spirometria
Tra le prove richieste per ottenere l’idoneità alla pratica di attività
sportive c’è la Spirometria. Si tratta di un esame non invasivo, specifico
per verificare la funzione respiratoria, attuato tramite uno strumento
computerizzato chiamato spirometro.
Viene chiesto all’individuo di fare una profonda inspirazione per mettere
dentro più aria possibile e poi procedere soffiando energicamente e per un
tempo non inferiore ai 6 secondi essendo collegati alla bocca di questo
strumento.
Vengono registrati i valori relativi alla capacità polmonare, l’apertura dei
bronchi; il risultato viene classificato in base a una scala di indici:
normale, ostruttiva, restrittiva e mista che permettono di individuare
eventuali problemi patologici.
L’esame spirometrico va integrato con la visita medica e altre indagini, fra
cui la rilevazione di alcuni dati come il sesso, l’età, l’altezza e il peso che
serviranno a inserire la prestazione in un quadro normativo di confronto
con i parametri dei valori teorici.
CAP.12 SCIENZE E TECNICHE DI RILASSAMENTO
“Il corpo è qualcosa di più di un’altra macchina…
… esso è anche il ricettacolo del senso individuale del Sé,
dei propri sentimenti e aspirazioni più personali…”
(Howard Gardner, Formae Mentis)
12.1 Tecniche di rilassamento
Molte persone si dichiarano “stressate” al termine di una giornata di attività
lavorativa o di una gara sportiva o di un allenamento, oppure in particolari
periodi della vita; altre sono in costante stato di stress, anche in condizioni
normali, quando non sono al lavoro, quando escono con amici per
divertirsi, quando non riescono a prendere sonno; esprimono quindi il
desiderio e la necessità di essere più rilassate nel lavoro, nello studio, nello
sport, in famiglia.
Lo stato di stress si può vincere; si può imparare a rilassarsi per perseguire
il proprio benessere psicofisico attraverso specifiche tecniche di
rilassamento.
Anche in ambito sportivo, l’atleta si trova a dover fronteggiare situazioni
che creano ansia e stress; la pratica di tecniche di rilassamento è molto
indicata come aiuto per ristabilire uno stato di de-tensione, indispensabile
per affrontare la competizione al massimo delle proprie capacità.
Vengono individuate due grandi linee di interventi, che possono essere
integrate fra di loro:
1) il rilassamento con regolazione da muscoli a mente;
2) il rilassamento di autoregolazione da mente a muscoli.
Fra le prime ricordiamo le tecniche di respirazione rilassata ( che abbiamo
presentato nel capitolo precedente) e il Rilassamento Muscolare
progressivo.
Fra le seconde annoveriamo il Training Autogeno, la Visualizzazione o
Imagery, la Meditazione.
Esistono inoltre diverse tecniche integrative che prendono spunti da
entrambe le proposte; sono tecniche che agiscono su modificazioni del
comportamento e tecniche di carattere preminentemente psicologico, come
ad esempio l’uso del self-talk.
Sappiamo che i fattori emozionali incidono negativamente o
positivamente sulla funzionalità del corpo: è questo l’assunto che sta alla
base della concezione psicosomatica, superando il dualismo cartesiano che
separava la mente dal corpo e teneva distinti i due settori.
L’uomo viene ora considerato come un’unità, nella quale il corpo manifesta
una malattia attraverso i sintomi relativi e la mente esprime un disagio
psichico.
Se lasciamo parlare il corpo, impariamo ad ascoltare quanto i suoi organi
segnalano attraverso la somatizzazione.
Uno dei campi di intervento in cui potersi muovere a livello congiunto di
psiche e soma è quello delle tecniche di rilassamento. Molti sono i metodi
sviluppati; qui proponiamo quelli a “mediazione corporea”, poiché
crediamo fortemente nel collegamento mente-corpo e nella reciproca
influenza.
La scelta verso cui orientarsi viene effettuata in base alla personalità del
soggetto, alla sua ricettività, ai suoi interessi, alle sue preferenze e alla
fiducia per l’uno o l’altro approccio.
12.2 Il Rilassamento Muscolare Progressivo (RMP)
Il Rilassamento Muscolare Progressivo è stato ideato da Edmund Jacobson,
medico e psico-fisiologo statunitense; è fondato sull’alternanza di fasi di
contrazione e di decontrazione muscolare volontaria. Lo illustriamo a
grandi linee.
Si inizia con momenti di contrazione mediante un input volontario, seguiti
dalla percezione delle sensazioni provate e dalla successiva distensione
muscolare. Si deve fare attenzione ai cambiamenti avvertiti a livello fisico
durante l’esecuzione, che all’inizio conviene effettuare sotto la guida di
personale esperto. Il metodo è adatto a qualsiasi età, dai ragazzi e
adolescenti alle persone adulte, con alcune condizioni: il “paziente” deve
riuscire a mantenere un buon livello di attenzione sullo stato dei propri
muscoli, comprendere come creare la tensione nei muscoli e
successivamente riuscire ad allentarla; non ultimo, essere sorretto da una
forte motivazione e determinazione nel rifare gli esercizi come “compito a
casa”.
La buona riuscita dipende dall’impegno e dalla fiducia nel metodo e nelle
proprie possibilità; un obiettivo importante è ridurre la tensione durante il
trattamento, ma altrettanto importante è acquisire la sicurezza e la voglia di
sperimentare autonomamente quanto appreso.
Buona abitudine è tenere un diario per fissare i progressi e i dubbi, sia a
livello tecnico (ad esempio, come svolgere un esercizio), sia a livello di
sensazioni (ad esempio, verificare la diminuzione degli stati di ansia).
ZOOM – RMP di Jacobson
Il principio della tecnica del Rilassamento Muscolare Progressivo ideato
da Edmund Jacobson è incentrato sulla presa di coscienza da parte del
soggetto dello stato di tensione dei vari muscoli del corpo.
Il metodo Jacobson si concentra su un solo muscolo per seduta, fino a
raggiungere la sua detensione; ciò significa che, per ottenere qualche
risultato di rilassamento e completare l’apprendimento, occorrono molto
tempo, anche un anno, e un’applicazione molto frequente nella settimana.
La motivazione che ha ispirato Jacobson si ritrova già nel precedente
lavoro di Alexander, che affermava che non c’è separazione fra mente e
corpo e che tutto si traduce in tensione muscolare, sia che si tratti di
problemi fisici, sia mentali o spirituali.
A questi principi si sono ispirati altri autori, introducendo varianti, come
movimenti, stiramenti e respirazione profonda.
In particolare Wolpe utilizza i principi del metodo Jacobson, con la finalità
di contrastare i vari tipi di ansia attraverso il rilassamento, riducendolo
però a sei lezioni e facendo leva sulla suggestione del terapeuta.
Un’ulteriore variante viene proposta dalla tecnica di Rilassamento statico-
dinamico, ispirata alle opere di Ajuriaguerra e abbinata all’esercizio di
Schultz sulla pesantezza (1° esercizio).
Questo breve excursus fa capire che le tecniche per ottenere uno stato di
relax sono in continua evoluzione; è molto importante che siano svolte da
operatori altamente qualificati e, soprattutto, che perseguano l’intento di
“insegnare” come rilassarsi per consentire di utilizzare le indicazioni in
modo autonomo, e non al contrario di tenere in terapia a lungo una
persona, creando di fatto una dipendenza.
Jacobson insiste sull’effetto delle emozioni sul corpo. Ritiene, ad esempio,
che, se si avverte una tensione negli arti inferiori, ciò sia collegato al
timore di immobilità affettiva, all’incapacità di saper attendere in silenzio,
di saper stare soli con se stessi.
La paura di lasciarsi andare alla propria sessualità si riscontra nella
tensione a livello del bacino, mentre tutto quanto riguarda l’affettività, i
sentimenti dell’amore e dell’amicizia, si colloca nel petto.
La tensione alle spalle e alla nuca corrisponde alla difficoltà di controllare
tutte le situazioni e di prendere le decisioni giuste, nonché al timore
dell’autorità, alla dipendenza dal “capo”.
ATTIVITA’ - Rilassamento delle braccia
Mettiti in posizione supina, braccia lungo il corpo appoggiate al
pavimento.
Stendi la mano e solleva le dita in alto.
Senti la tensione lungo tutto l’avambraccio.
Mantieni la posizione per alcuni attimi.
Riporta la mano lentamente fino a toccare il pavimento.
Fai una pausa
Riprendi le fasi dell’esercizio anche con l’altra mano.
Successivamente rifai gli esercizi con gli altri muscoli degli arti superiori e
poi di quelli inferiori.
Gli altri settori muscolari per il rilassamento prevedono anche i muscoli
relativi a testa- regione occhi, regione della bocca, dorso-addome-torace.
12.3 - La Distensione CORPOMENTE*
Il metodo di Preparazione Mentale che presentiamo nei dettagli è
ampiamente utilizzato nelle sedute con atleti di svariate discipline sportive.
Raccoglie spunti da diverse teorie ed è frutto di integrazione e di studi
specifici.
Descriviamo in succinto in che cosa consiste.
La tecnica di Distensione Immaginativa utilizza il rilassamento muscolare
per stimolare particolari forme di attività immaginativa.
E’ indicata in particolare per:
- soluzione di stress e ansia;
- rafforzamento autostima e fiducia in sé;
- esaltazione delle proprie potenzialità (concentrazione, attenzione,
motivazione, determinazione...) ;
- controllo ipertensione e cefalea;
- disturbi del comportamento alimentare;
- disturbi psicosomatici riconducibili ai vari apparati.
Inoltre, rappresenta un’utile integrazione rispetto a terapie mediche di vario
genere, poiché l’impostazione psicosomatica coglie nella manifestazione di
una patologia una rottura di equilibrio nell’armonico sviluppo delle
funzioni dell’organismo.
Da qui la necessità di individuare un campo di intervento in cui muoversi
contemporaneamente a livello di psiche e soma, cioè di mente e corpo.
Nel campo specifico dello Sport, la capacità di rilassarsi nei momenti di
maggiore tensione, quando si è da soli o in pubblico, in attesa dell’avvio di
una gara, risulta determinante e vincente.
Descriviamo i punti principali del metodo che presentiamo poi nel dettaglio
delle varie fasi.
Il rilassamento attraverso la Distensione Immaginativa si avvale di specifici
esercizi di rilassamento corporeo e dell’attivazione di una produzione
immaginativa personale correlata al corpo. La tecnica di distensione consta
di tre fasi fondamentali:
1) la contrazione/distensione da agire, imperniata su una serie alternata di
attività e inattività a livello muscolo-corporeo ;
2) la contrazione/distensione da immaginare, durante la quale si rimane
inattivi a livello muscolare volontario e si “immaginano” soltanto i
movimenti ;
3) l’inventario corporeo, realizzato orientando la mente sul proprio corpo al
fine di cogliere sensazioni, percezioni, immagini correlate alle varie parti di
esso.
Si applica inoltre la “terapia breve” che riassume le varie fasi.
A ogni fase segue una verbalizzazione dell’esperienza, che può essere
effettuata singolarmente o in gruppo.
Gli esercizi che seguono hanno carattere puramente indicativo, in quanto
per la completa comprensione dei passaggi occorrerebbe l’intervento
diretto del conduttore del corso. Tuttavia vengono presentate al fine di
fornire un primo momento di conoscenza, con l’invito a sperimentare in
proprio e ad annotare le sensazioni provate.
Durante lo svolgimento dell’esperienza guidata di rilassamento, vengono
utilizzati gli esercizi di respirazione precedentemente illustrati.
ATTIVITA’ – DISTENSIONE CORPOMENTE*– Prima fase : CONTRAI E
RILASSA
Prendi una mezzora di tempo tutta per te. Mettiti in posizione comoda.
Nessuno può disturbare: spegni il telefonino. Chiudi gli occhi.
Inizia pensando ai punti di appoggio del tuo corpo sul materassino o sulla
poltrona , senti il contatto ed elencali a voce alta: la nuca, le spalle, le
braccia, la schiena, i glutei, le cosce, i polpacci, i talloni; tutto il corpo è
accolto e sostenuto dalla superficie di appoggio.
Ora fai tre respirazioni profonde, come hai imparato a fare con gli esercizi
precedenti.
Inizia poi a contrarre i muscoli del corpo, iniziando dai piedi e via via fino
alla testa, seguendo questa procedura:
Contrai i muscoli di una gamba, sollevandola un po’…
Senti la tensione… conta mentalmente 1…2…3…, poi lascia andare!
Non fare nulla, non devi fare nulla! Conta mentalmente 1…2…3…4…5…
Concediti il tempo per verificare l’effetto del rilassamento nelle parti del
corpo.
Segui questo schema di contrazione/rilassamento per tutto il corpo (gambe,
glutei, pancia, schiena, spalle, braccia, nuca) inserendo di tanto in tanto
una respirazione profonda.
Imparerai ad “ascoltare” il tuo corpo, che ti invia segnali sullo stato delle
sue parti, ad avvertire dove sono localizzate le tensioni muscolari per
riuscire ad alleviarle attraverso la respirazione e il rilassamento.
Al termine della seduta, ripercorri i punti di appoggio del tuo corpo, dai
piedi al capo e riattiva i movimenti gradualmente.
Chiediti: dove ho sentito maggiore tensione? In quali parti: gambe,
schiena, collo? Ora sono più rilassate?
Hai dedicato a te stesso qualche minuto di attenzione; si è ristabilito il
contatto col tuo corpo che potrai ritrovare in altri momenti della giornata,
in altri luoghi o circostanze.
Nello sport, i momenti migliori per fare questo esercizio sono la
preparazione invernale e dopo ogni gara.
12.4 Generare immagini
Durante le fasi di Distensione richiamiamo la capacità di generare
immagini con la mente. Tale abilità varia da persona a persona, ma tutti
hanno in sé la potenzialità di immaginare, anche se non tutti ci riescono
subito.
Infatti, pur partendo da una stessa parola, ognuno riesce a produrre
immagini diverse; possono essere immagini singole, cioè relative a una sola
rappresentazione; oppure immagini interattive, formate da più elementi
associati all’immagine principale.
Di fronte alla difficoltà di un atleta a staccarsi dalla visione concreta della
realtà e a produrre immagini collegate, ad esempio al proprio corpo, è bene
spiegare che le immagini mentali si riferiscono alla memoria di oggetti
reali, ma anche a rappresentazioni costruite con elementi immaginari,
Quindi, quando vogliamo immaginare un movimento, lo vediamo
rappresentato con la mente come fossimo davanti a uno schermo e ne
acquisiamo la consapevolezza percependolo con tutti i sensi.
Chi si accosta per la prima volta alla Mental Imagery può riscontrare una
difficoltà notevole nel comprendere di che cosa si tratta: “In definitiva, che
cos’è l’immagine mentale? Di che cosa è fatta?”
Una prima definizione può orientare: “L’immagine è una rappresentazione
mentale di qualcosa in assenza quel qualcosa concreto”. Posso immaginare
un cavallo bianco senza avere davanti il cavallo; posso agire mentalmente
con l’animale, posso provare sensazioni.
Sto usando la capacità di poter rappresentarmi mentalmente degli oggetti,
delle persone, delle situazioni, degli affetti, dei bisogni, senza limiti di
tempo e di spazio; possono essere immagini statiche, ma anche
aggregazioni dinamiche, quindi in evoluzione.
L’analogia con il sogno è evidente e anche con lo stato ipnotico; tuttavia se
ne differenzia perché si parla piuttosto di uno stato che non è veglia e non è
sonno, ma profondo rilassamento.
ZOOM Mental Imagery o Imagerie mentale (M.I.)
La M.I. è per eccellenza una metodologia che si basa sul rapporto Corpo-
Mente, poiché consente, attraverso le procedure per il rilassamento
corporeo, l’abbandono di atteggiamenti mentali iper-critici e razionali.
Il metodo che utilizza l’immaginazione mentale è relativamente recente
come applicazione, ma ha origini lontane nel tempo. La terminologia si fa
risalire a Francis Galton , uno psicologo inglese, nella seconda metà del
1800; si può definire come il metodo per far scaturire immagini mentali,
spontanee o indotte, corrispondenti a sensazioni e stati di coscienza.
Occorrono alcune condizioni; in primo luogo uno stato di rilassamento
fisico e calma vegetativa, poi la capacità di ripulire l’attenzione da altri
stimoli e di creare così un vuoto mentale nel quale potranno trovare posto
le fantasie latenti a livello simbolico.
Galton mise a punto il test di associazione verbale, che consiste in una
successione di parole, di pensieri, di segni, di simboli che affiorano alla
mente spontaneamente o a partire da uno stimolo.
In seguito, l’Imagerie Mentale fu ripresa e approfondita da numerosi
studiosi( Janet, Binet, Clark, Srthus, Happich, Anna Freud, Jung, Schulz,
Desoille) con applicazioni diversificate.
La funzione richiamata con questa tecnica è l’immaginazione, cioè la
capacità di rappresentare, come detto, qualcosa che non è presente, sia
esso un oggetto o una scena, un movimento.
L’immaginazione è una facoltà innata e può essere sviluppata con
l’esercizio. Un esempio è dato dalla straordinaria capacità dei bambini di
produrre immagini con la fantasia, specialmente durante il gioco.
Per gli adulti, l’immaginazione svolge la funzione di difesa contro l’ansia,
di controllo degli istinti e di compensazione della realtà frustrante.
12.5 Gli occhi della mente
Utilizziamo una metafora per significare che gli occhi della mente sono in
grado di generare una rappresentazione interna di un oggetto, attivando lo
stato di Mental Imagery, cioè producendo una serie di fantasticherie che
possono essere completamente spontanee, oppure guidate da un operatore
esterno, suggerite come immagini iniziali, lasciate poi libere di fluire.
Condizione primaria per la M.I. è uno stato di rilassamento fisico e
mentale. Quando ci troviamo in uno stato intermedio tra veglia e sonno, la
nostra vigilanza critica è abbassata; questa è la situazione ideale,
particolarmente favorevole al susseguirsi di sensazioni, percezioni e
immagini dal contenuto altamente simbolico.
Bachelard descrive lo stato di rêverie come un atteggiamento in cui il
soggetto si trova in un momento di grazia e può abbandonarsi
all’immaginazione fantastica in piena libertà. Le immagini prodotte sono
dinamiche; non si tratta di spiegarle, ma di utilizzarle, modificarle,
manipolarle. Così a livello immaginario si può gustare l’ebbrezza del volo
e la leggerezza del movimento, fare sogni di volontà crescente.
Un semplice esperimento aiuta a scoprire il potere della nostra mente; ad
esempio, immaginare a occhi chiusi di ruotare il busto fino al massimo
possibile, per poi verificare che il movimento, eseguito per davvero,
diviene più fluido.
Nell’avviarci alla produzione di Immagini Mentali, prevista nel secondo
esercizio di DISTENSIONE CORPOMENTE*, possiamo seguire un iter
metodologico che non deve essere necessariamente prescrittivo, poiché
dipende dalla dinamica che si crea fra conduttore e soggetto.
Riassumendo.
Finalità: Ottenere uno stato di rilassamento corporeo.
Metodo: Formazione di un’immagine-base, che emerge spontaneamente o è
suggerita.
Sviluppo mentale dell’immagine (colore, forma, condizioni…) e
dinamizzazione (contesto in cui la collochiamo, stato, azioni possibili…)
Allontanamento graduale dalle immagini prodotto e verbalizzazione
dell’esperienza.
ATTIVITA’ - DISTENSIONE CORPOMENTE* – Seconda fase :
IMMAGINA IL TUO RILASSAMENTO
Con il Rilassamento immaginato si raggiunge uno stato di distensione più
profonda e si realizza un rapporto più stretto e intimo tra mente e corpo.
L’inizio è identico a quello del Rilassamento agito: posizione comoda,
tempo a disposizione, isolamento. Chiudi gli occhi.
Pensa mentalmente ai punti di appoggio del tuo corpo con la superficie che
ti sorregge, dalla nuca ai piedi.
Fai le respirazioni profonde che ti servono per essere pronto a iniziare.
Ora immagina, immagina solamente di contrarre i muscoli delle
gambe…1…2…3…
Poi lascia andare… 1…2 3…4 5… Ascolta le sensazioni che provi
collegate alle tue gambe.
Ora immagina, immagina solamente di contrarre i glutei. 1… 2… 3…
Poi lascia andare… 1…2…3…4…5… sensazioni collegate ai tuoi glutei.
Immagina, immagina solamente di portare in dentro la pancia…1…2…3…
Poi lascia andare… 1…2…3…4…5… sensazioni collegate alla tua
pancia…
Immagina, immagina solamente di contrarre i muscoli della
schiena…1…2…3…
Poi lascia andare… 1…2…3…4…5… sensazioni collegate alla tua
schiena.
Immagina, immagina solamente di contrarre le spalle… 1…2…3…
Lascia andare… 1…2…3…4…5… sensazioni collegate alle tue spalle.
Immagina, immagina solamente di contrarre i muscoli delle braccia,
immagina di lasciarle fluttuare nell’acqua o al vento…1…2…3…
Poi lascia andare…1…2…3…4…5…
Alterna gli esercizi con respirazioni profonde. Al termine, ripensa ai punti
di appoggio, dai piedi alla nuca, e attiva il risveglio con movimenti lenti.
Annota le sensazioni provate relativamente alle parti del corpo rilassate.
Questo esercizio risulta particolarmente utile in tutte quelle situazioni
sportive in cui non puoi fare la distensione agita: quindi durante una gara
in movimento, in mezzo alla folla.
TESTIMONIANZA – Fase di verbalizzazione
Durante una seduta di DISTENSIONE CORPOREA* in fase immaginativa
, un’atleta che si era infortunata esprime a voce alta le proprie
associazioni mentali.
“Mi sono rilassata, come al mare… quando facevo i respiri…
Quando pensavo alle spalle e alla nuca, ho pensato al mio ragazzo.
Mi vedo con le spalle piccole, ho del peso: il mio ragazzo, un altro, la
paura del futuro…
E’ una sensazione opprimente… me stessa, il mio sport… sapermi
organizzare… tutti i pensieri…
Alle mani invece ho pensato a una rondine… un po’ di tensione… pensieri
ogni tanto.
Quando immaginavo di stringere gli occhi, alla mia gatta. Ero molto
rilassata, come quando sono al mare--- al mare mi sento bene, sotto il sole,
il calore…
Non so nuotare… Sdraiata sulla sabbia, è bellissimo con le onde che vanno
e che vengono, non avere limite… Mi guardo da sola… sensazione di gioia,
di tranquillità… onde… sul bagnasciuga (lunga pausa)
Ora ho paura della profondità, ho paura di sprofondare…
Non so come aiutarmi… non mi viene in mente niente…
Un salvagente colorato.
Mi piacerebbe essere una rondine sul mare.
Sì, perché le rondini volano in alto e in basso, sempre in volo, posso
andare dove voglio, ritornare l’anno dopo…
Ho un punto di riferimento, riconosco il luogo precedente dove ho fatto il
nido… non so se ritorno…
Mi piace girare al tramonto, sfiorare il grano, risalire…
Non sono sola, sono nel gruppo, non sono vicinissimi…
Incontrarsi, ma solo a volte…
Ora sto bene, vedo la rondine senza pensieri…
E’ importante volare, non stare fermi, volare…
12.6 IL CORPO E GLI ORGANI INTERNI
ATTIVITA’ - DISTENSIONE CORPOMENTE* – Terza fase : RIVISITA IL
TUO CORPO
Questa fase propone una specie di inventario corporeo e può essere
effettuata solo dopo aver assimilato le precedenti. L’avvio prevede ancora
l’isolamento, il tempo a disposizione senza essere interrotti, la posizione
comoda.
Chiudi gli occhi e orienta la tua mente sui punti di contatto del tuo corpo
sulla superficie che ti sostiene.
Inizia a orientare la mente sulle varie parti del corpo, in modo analitico.
Orienta la mente sulle dita del piede, sul dorso del piede, sulla sua pianta,
sulle caviglie, sul piede intero, con la sua forma…
Sensazioni, percezioni, immagini collegate ai tuoi piedi…
Pensa poi alle gambe, ai polpacci, alle ginocchia con la loro forma
rotonda, alle cosce, alle gambe intere…
immagini collegate ad esse…
Poi ripercorri con la mente la pancia, la tua pancia, la sua forma…
I fianchi… il petto… la schiena…
E ancora pensa alle sensazioni, alle percezioni, alle immagini collegate a
ciascun punto…
… la testa… i capelli… il viso: fronte, occhi, naso, labbra…
sensazioni… percezioni… immagini collegate…
Inserisci sempre la respirazione nei punti che avverti particolarmente tesi.
(La tecnica prevede anche l’inventario dello stato dei vari organi interni;
questa parte va, più delle precedenti, affrontata sotto la guida di un
operatore qualificato.)
Segue la ripresa di contatto con i punti di appoggio del corpo, la
respirazione a tappo, il movimento risvegliante del corpo.
L’atleta deve in ogni momento conoscere lo stato dei suoi muscoli e dei
propri organi interni. Con questo esercizio si raggiunge la piena
consapevolezza del proprio corpo.
ATTIVITA’ - SCACCIA L’ANSIA CON IL RESPIRO
Quando siamo in preda dell’ansia, ci preoccupiamo del futuro, al punto
tale da non stare mai bene nel presente e non godere degli aspetti positivi
del presente.
Se ti succede questo, accetta i momenti di ansia senza opporre resistenza.
Come fare?
Innanzi tutto, pensa al tuo corpo.
La postura del corpo è importante; chiediti sempre:
”Il mio corpo è comodo o avverto dei disagi?”
Se non sei a tuo agio, fa’ qualcosa per cambiare la situazione: alzati,
spostati, girati…
Cerca di rilassarti il più possibile, in un ambiente amico, in una posizione
comoda...
Orienta il tuo pensiero sul tuo corpo, percorrendolo con la mente dalla
testa ai piedi e dai piedi alla testa.
Cerca i segni dell’ansia, fai una respirazione profonda pensando proprio a
quel punto… continua con le respirazioni e visualizza …
... l’ansia va via dai piedi e dalle gambe... ora sono più leggere;
... via dalla pancia, ora più morbida e rilassata;
... via dalla schiena, non più rigida;
... via dalle spalle che cedono e si abbassano, non più costrette a sostenere
il capo...
... via dalle braccia e dalle mani...
... via dalla testa e dalla mente...
Al termine, ti senti più libero, pronto a godere la calma del momento
presente, ovunque tu sia... in stato di relax.
12.7 - DISTENSIONE CORPOMENTE* e respiro
Durante la seduta di rilassamento, un ruolo preminente è dato alla
respirazione, da attuare secondo i principi e le modalità esposti in
precedenza. Si allontana la vigilanza critica, ci si lascia invadere da
emozioni, affetti, fantasie, pensieri che affiorano dall’inconscio, senza
freno, passando dal riso al pianto.
Dopo le prime esperienze di visualizzazione, i soggetti allenati possono
raggiungere lo stato di rilassamento e accedere facilmente a immagini in
proprio, in luoghi e momenti diversi.
Questo risultato è molto utile nello sport, perché consente all’atleta di
richiamare immagini di rilassamento direttamente in pre-gara, in gara, ogni
volta che ne sente la necessità.
ATTIVITA’ - Respira per rilassarti
Dopo aver assimilato le tre fasi precedenti, è possibile utilizzare un
“percorso breve” che lascia spazio alla produzione spontanea di immagini
in condizione di rilassamento.
Sistemati comodamente… Isolati dall’ambiente esterno, dai suoi rumori e
suoni… Pensa ai punti di appoggio del tuo corpo…
Orienta la tua mente sulla respirazione, sul tuo corpo che respira…
L’aria che entra… l’aria che esce… l’aria che entra… l’aria che esce…
Mentre l’aria entra, tutto il tuo corpo si espande;
mentre l’aria esce, il tuo corpo si abbandona, si rilassa.
E così succede per tutte le parti del corpo, ogni volta che respiri:
- una respirazione per i piedi,
- una per le gambe,
- una per i glutei,
- una per la pancia,
- una per la schiena,
- una per le spalle,
- una per le braccia,
- una per il capo…
Ogni volta che inspiri, immagina che ciascuna parte si dilati; ogni volta
che espiri, si abbandona.
Ti ritrovi in uno stato di rilassamento profondo, tra la veglia e il sonno.
Lascia che il tuo respiro vada liberamente… e col tuo respiro lascia liberi i
tuoi pensieri, senza contrastarli o indirizzarli.
Pensa di trovarti in un luogo piacevole; pensa ai particolari: colori,
suoni… lascia affiorare immagini spontanee…
resta in questa condizione per qualche tempo… non devi fare niente… non
c’è bisogno di fare nulla… il tuo corpo è sorretto e sostenuto, puoi lasciarti
andare…
Pian piano, lascia che l’immagine si dissolva… preparati a separartene,
ma sai che potrai ritrovare questo stato quando lo vorrai, quando avrai
bisogno.
In fase conclusiva, orienta la tua mente sui punti di appoggio, comincia a
muovere il tuo corpo, riprendi contatto con la realtà e con il luogo in cui ti
trovi.
L’esercizio prepara a risolvere ansie e stati emotivi nel pre-gara, nei
momenti di affanno, di ansia, di panico.
ATTIVITA’ - Relax per disorientamento e panico
Non perdiamo solo l’orientamento spaziale in situazione di deprivazione
sensoriale, ma spesso perdiamo proprio quello personale del vivere
quotidiano, nelle relazioni di lavoro, nella vita affettiva.
“Non so più chi sono, non mi riconosco, non so che cosa voglio” sentiamo
spesso dire.
Il risultato è uno stato d’animo confuso, teso, per niente rilassato.
Ci occorre un faro per tracciare la rotta della nostra esistenza e ritrovare
una mappa per orientarci verso il nostro benessere.
Questa batteria di esercizi può aiutare.
I esercizio
Fai una serie di respiri profondi in 4 tempi:
inspira (conta mentalmente fino a 5);
apnea – stasi (conta mentalmente fino a 3);
espira (apri di poco le labbra e conta mentalmente fino a 5);
riposa (riprendi da capo dopo una pausa, quando sarai pronto).
In un secondo momento, quando hai assimilato tale ritmo, fai le
respirazioni orientando la mente sul tuo corpo.
Immagina che l’aria come un’onda calda salga dai piedi fino alla testa
durante l’inspirazione, poi discenda rilassando il corpo, mentre tutto dalla
testa ai piedi si rilassa e si abbandona.
II esercizio
Chiudi gli occhi e orienta la tua mente e il tuo respiro sul cuore.
Inspira... pausa... espira... pausa...
Senti il tuo cuore che pulsa... ascolta i suoi battiti, solo quelli...
Pian piano tutto quello che ti circonda non conta più...
Sei in collegamento con il ritmo del tuo respiro e del tuo cuore...
Sei in collegamento con te stesso e con il tuo relax...
III esercizio
Quando sei “collegato” con te stesso, con il tuo profondo essere, orienta la
tua mente e il tuo respiro sulla tua pancia.
L’addome si solleva e si abbassa a ogni tuo respiro...
Continua con l’esercizio di respirazione in 4 tempi fino a quando ti senti
rilassato.
In questo stato di relax, affiorano ricordi di situazioni passate.
Pensa a un episodio della tua vita durante il quale ti sei sentito sicuro di te,
di quando vedevi con chiarezza quello che dovevi fare, la strada da
imboccare per risolvere un conflitto nella vita relazionale, affettiva o
professionale.
Visualizza quei momenti nei particolari:
- il luogo dove ti trovavi;
- i colori, i suoni, i rumori, i silenzi;
- le persone che erano con te;
- le tue sensazioni e le tue emozioni di allora.
In questo modo puoi rivivere, in stato di completo relax, il ricordo
dell’episodio della tua vita in cui hai fatto la scelta giusta.
IV esercizio
Con l’esercizio precedente riesci ad ottenere uno stato di relax profondo e
di autostima.
Trattieniti in questa condizione e ascoltati.
Come ti senti? Caldo, leggero, tranquillo...
C’è ancora qualche tensione nel tuo corpo e nella tua mente?
Consolida l’esperienza di sicurezza con questi pensieri.
“Il mio corpo ora è rilassato, tutto il mio corpo”.
Pensa in particolare alla tua pancia, alla zona attorno al tuo ombelico.
Sempre a occhi chiusi, immagina di trasferire l’energia e la calma con una
linea dall’ombelico fino alla fronte.
Ritrova qui una sensazione di pace e la sicurezza di poter mettere ordine
nei tuoi pensieri.
Ritrova la strada da percorrere per essere te stesso, per occuparsi di te.
Assapora questa sensazione di benessere ancora per qualche attimo, per
quanto ti serve, a mani unite, come in una preghiera.
Ritornerai nel presente più fortificato...
Puoi ora ascoltare una musica evocativa che ti aiuterà a perpetuare le
buone sensazioni.
ATTIVITA’ – Esperienza multisensoriale indotta
Trova un momento solo per te… spegni il telefono… nessuno può
disturbarti.
Metti il tuo corpo in situazione comoda…
Senti i punti di appoggio sulla poltrona o sul materassino…
Chiudi gli occhi… fai qualche respirazione profonda in 4 tempi…
Inspira… apnea… espira… pausa.
Ascolta il tuo corpo. Se avverti dei disagi in qualche punto, rilassati,
orienta il respiro in quel punto… elimina la tensione… trova il
rilassamento.
Quando ti senti completamento a tuo agio, solo in quel momento, puoi
iniziare a immaginare…
Qui con me, ora, immagina di trovarti ai margini di un bosco…
C’è un sentiero… ti inoltri… vedi alberi intorno a te… possono essere
bassi o altissimi…
Percezione dell’alto e del basso.
… gli alberi possono essere radi… lasciare filtrare la luce… oppure essere
fitti… c’è penombra…
Percezione del buio e della luce.
Provi all’inizio un leggero senso di inquietudine, avanzi, trovi un punto in
cui fermarti… ai piedi di un albero… ti fermi… la paura pian piano
svanisce… sei contento…
Sensazione di paura e di gioia.
Ora guardati intorno… usa gli occhi della mente… vedi dei particolari che
ti erano sfuggiti… elencali con il pensiero… soffermati su elementi che ti
piacciono… fiori… altri oggetti…
Percezione visiva globale e analitica.
Cogli i rumori… un grido… un canto… lo stormire delle fronde… acqua
che scorre… il silenzio…
Percezioni e sensazioni uditive.
Immagina i profumi… annusa… cogli un aroma particolare che ti ricorda
qualcosa di antico…
Percezioni e sensazioni olfattive.
Immagina l’erba ai tuoi piedi… tastala… sensazione di freschezza… è
soffice… ora la corteccia dell’albero…il ruvido e il liscio.
Percezioni e sensazioni con il senso del tatto.
Ricerca e ritrova il sapore di un frutto di bosco… il dolce… l’aspro…
Percezioni e sensazioni collegate al gusto.
Ora sei tranquillo, in pace. Ti incammini per uscire dal bosco con un po’
di rimpianto per il distacco dalla sensazione di serenità raggiunta e dalla
consapevolezza del tuo benessere.
Ma sai che una volta prodotte puoi ritrovare sensazioni simili quando lo
vorrai… devi solo volerlo.
Esci dal bosco, alla luce… riporta la tua mente sul tuo corpo…
Senti i punti di contatto con la superficie che ti ha sostenuto finora.
Fai qualche respirazione a tappo e lentamente comincia a muovere le parti
del tuo corpo riattivando la circolazione.
Riapri gli occhi e riprendi contatto con la reale situazione in cui ti trovi,
nel qui e ora.
Ascoltati: come ti senti?
Se vuoi, puoi seguire questo percorso da solo, scegliendo il tuo luogo
ideale da cui partire.
12.8 La visualizzazione
Una delle applicazioni della tecnica che utilizza la Mental Imagery
nell’ambito sportivo è la rappresentazione mentale del movimento.
Abbiamo detto che visualizzare significa, alla lettera, rendere visibile; nel
senso più esteso, vuol dire rappresentare con immagini, rendere con
immagini mentali. Pensiamo per analogia alle “parole visuali” dei Futuristi,
cioè alle parole delle loro poesie percepite come immagini .
La visualizzazione è dunque un processo mentale basato sulla costruzione
volontaria di una rappresentazione che non si limita solo all’aspetto visivo,
e quindi all’immagine, ma è realizzabile anche con elementi uditivi e di
altri sensi.
Possiamo sviluppare la capacità di immaginare un oggetto solido visto in
prospettive diverse o addirittura tridimensionale, con spostamenti delle
parti.
Perché saper visualizzare è così importante?
Perché si impara a creare un’immagine-simbolo che viene assimilata e
riutilizzata per operare un cambiamento nelle nostre emozioni.
Le immagini-relax possono modificarsi col passar del tempo, essere
sostituite da altre più attuali.
Se ci troviamo in bicicletta, su una canoa, sul tappeto, in campo, viviamo
un’esperienza reale, utilizziamo tutti i sensi, richiamiamo gli schemi fissati
in memoria per portare a termine l’azione.
Nel processo di visualizzazione del movimento, dobbiamo invece
richiamare gli aspetti motori con il pensiero e fare affidamento sulla
capacità di imagerie, sulla fantasia, sulle tracce delle esperienze rimaste in
memoria.
L’ itinerario per la visualizzazione del movimento può essere fornito,
ancora una volta, dalla percezione sensoriale.
Riportiamo alla mente le sensazioni visive, tattili, olfattive, uditive e
gustative relative alla situazione motoria che vogliamo apprendere,
richiamare, ricordare, fissare come schema in memoria, per poi riprodurla
in modo agito e reale.
La visualizzazione, in quanto rappresentazione mentale del movimento,
deve tendere a ritrovare le caratteristiche del movimento e delle sue fasi,
basandosi su alcune qualità come la chiarezza, la completezza, la
vividezza; le immagini prodotte dovrebbero risultare nitide e precise nei
particolari.
Le ricerche hanno dimostrato che apprendere e utilizzare le tecniche di
visualizzazione risulta utile soprattutto per alcuni aspetti:
- aiuta a controllare il livello di ansia da competizione;
- rappresenta un grosso incentivo per potenziare l’autostima e la fiducia in
sé;
- si riflette sulle caratteristiche di personalità, come l’estroversione e
l’introversione.
ZOOM – Strumenti di indagine
Da Francis Galton in poi si sono succedute costruzioni di scale di
valutazione dell’attività immaginativa.
Nel 1909 Betts preparò un test con 150 item, ridimensionato poi da
Sheenan in 35 item, che misuravano la nitidezza delle immagini in base a
modalità sensoriali.
Ad esempio: immaginare il suono di un clacson, oppure il sapore di un
frutto, o l’odore di una crema…
Il Questionario costruito da Marks chiede di immaginare quattro scene
base ( una volta a occhi aperti e l’altra a occhi chiusi) e di valutarne la
vividezza.
Altro tentativo di misurare la capacità dei soggetti di manipolare le
proprie immagini visive viene fatto dal test di Gordon; sembra tuttavia
difficile un riscontro reale sulla oggettività dei risultati.
Si sono anche prodotte scale per verificare la correlazione positiva fra le
produzioni di immagini e gli stati ipnotici.
Dagli studi e dalle ricerche si evince che la produzione delle immagini
influenza i processi della memoria, l’attività di pensiero e la capacità di
programmazione di azione e di comportamenti.
ATTIVITA’ – La visualizzazione di un oggetto
Per fare un’esperienza di visualizzazione devi trovare una mezzora di
tranquillità: niente rumori, telefono, persone intorno.
A occhi chiusi, pensa a un oggetto a te familiare ( una racchetta, una sedia,
una ruota, un pallone ovale…)
Scelto l’oggetto, porta la sua immagine nella tua mente, a grandezza
naturale…
Aspetta alcuni secondi… se non riesci subito, riprova… finché la sua
immagine si è formata…
Ora l’immagine è completa, ne vedi i particolari… l’hai di fronte a te…
Prova poi a pensare all’oggetto visto dall’alto, da sopra… cambia la
prospettiva, vedi un altro aspetto, altri volumi… se fosse una ruota, ad
esempio, dall’alto vedi la linea sottile dei tubolari…
Fissa l’immagine… poi sposta punti di visione… ora vedi l’oggetto da
sotto… cosa cambia?
Poi di fianco… cosa cambia?
Sempre con l’immaginazione, puoi giocare con le dimensioni dell’oggetto.
Riduci l’immagine… Ingrandiscila…
E dopo pensa al colore che le vuoi dare… e lo immagini così trasformato…
Cambia ancora colore…
Prova a deformare l’oggetto nella tua mente, costruisci l’immagine
creativa.
In seguito puoi descrivere le varie fasi, disegnare l’oggetto …
P.M. Hai usato la flessibilità mentale per imparare a visualizzare.
ATTIVITA’ – La visualizzazione in movimento
Segui la procedura dell’esercizio precedente.
…devi trovare una mezzora di tranquillità: niente rumori, telefono, persone
intorno.
A occhi chiusi pensa a un oggetto a te familiare. Scelto l’oggetto, porta la
sua immagine nella tua mente, a grandezza naturale…
Aspetta alcuni secondi… se non riesci subito, riprova… finché la sua
immagine si è formata…
Con la mente, puoi rendere dinamica l’immagine che si è formata…. Farla
muovere a varie velocità.
Per iniziare, cerca di spostarla lentamente di poco, come al rallentatore…
Pensala mentre va avanti e indietro nel piccolo spazio.
La fermi e poi falla ruotare su se stessa : un quarto, 180° così ne immagini
il retro, 360° e ritorna in posizione iniziale.
Pensa di fare una rotazione prima in senso orario, come le lancette
dell’orologio; lo stesso movimento si effettua anche in senso contrario,
antiorario.
Sono esercizi mentali che richiedono concentrazione e flessibilità creativa.
Serviranno molto in seguito, quando vorrai applicarli al movimento fisico.
Un altro approccio mentale, sempre di visualizzazione sensoriale, riguarda
il tatto.
Pensa di toccare l’oggetto immaginario e di percepire tutte le sensazioni
del contatto tattile.
Immagina anche gli odori collegati all’oggetto da visualizzare. Rivedi gli
esercizi di esperienza sensoriale tattile.
Poi immagina quali rumori potrà provocare l’oggetto immaginato… Il
fruscio della freccia scoccata…
Il tonfo del pallone quando tocca il terreno, se è prato erboso… se è terra
rossa dei campi da tennis, se è un tamburello su cui la palla rimbalza…
Puoi immaginare che sapore avrà il tuo oggetto? Potresti provare ad
assaggiarlo mentalmente?
P.M. Visualizzazione sensoriale
ATTIVITA’ – L’immagine al contrario
Un esercizio da fare quando ci siamo fissati in un pensiero e non riusciamo
a toglierlo dalla mente.
Rilassati, fai qualche respirazione, lascia il pensiero vagare liberamente.
Quando si presenta il pensiero molesto, accoglilo e trasformalo in
un’immagine.
Provi rabbia per un’ingiustizia subita? Fallo diventare una fiamma che
arde.
Sei deluso dal comportamento di un amico? Fallo diventare una lavagna
nera.
Sei oppresso dalla gelosia? E’ come un punteruolo che incide.
In un secondo momento, quando l’immagine negativa si è formata, inizia a
creare il suo contrario.
La fiamma che arde sono i tuoi propositi di vendetta che ti tormentano
giorno e notte.
Immagina che la fiamma pian piano si spenga. Restano solo carboni accesi
che covano sotto la cenere.
La lavagna nera si dinamizza, compaiono delle scritte… da nera diviene
grigia o azzurrina.
La punta si arrotonda, non può far male.
Puoi procedere con il capovolgimento delle immagini mentali anche con
altre caratteristiche.
Un oggetto di marmo è freddo al tatto. Capovolgi l’immagine da gelato
diviene via via tiepida e infine bollente.
Puoi anche trasformare le situazioni creando immagini di forme rigide per
poi trasformarle in altre immagini dalla consistenza dura a una più molle e
docile.
Il punteruolo può diventare una stecca di liquerizia o una cordicella
elastica.
P.M. Oltre che fare esercizio per svegliare la mente, questi esercizi
servono per affrontare diverse situazioni di disagio e prepararsi al coping.
12.9 L’allenamento ideomotorio
Sul versante fisico, ci alleniamo ripetendo più volte un movimento fino a
trovare la perfezione e l’economia tecnica, o maciniamo chilometri e
chilometri per le gare ciclistiche e podistiche.
Allo stesso modo, con lo stesso impegno, dobbiamo farlo anche sul
versante psicologico applicando le tecniche specifiche: praticare
l’allenamento ideomotorio tramite la visualizzazione.
La rappresentazione mentale dello svolgimento ottimale dell’azione
richiede un allenamento adeguato.
Ogni atleta impara a rappresentarsi l’esecuzione dei movimenti richiesti
dal suo sport .
“Più esatta e dettagliata è la rappresentazione mentale del movimento, più
precisa e sicura sarà l’esecuzione dell’azione”(Kratzer).
In un primo tempo, l’allenamento ideomotorio avviene a occhi chiusi, in
situazione di rilassamento . In un momento successivo, quando la tecnica è
appresa, conviene tenere aperti gli occhi per evitare problemi di
adattamento nel passaggio dal buio alla luce.
L’allenamento ideomotorio basato sulla rappresentazione mentale del
movimento e sulla sua visualizzazione si completa quando si è in grado di
eseguire automaticamente i movimenti atletici in modo perfetto.
Questo stato ottimale può essere compromesso dalla fatica fisica e da un
carico psichico eccessivo; il movimento peggiora, la precisione diminuisce,
così come la coordinazione senso-motoria e l’attenzione . Si comprende
quindi l’importanza della tecnica di allenamento ideomotorio, che,
ricordiamo, presuppone l’esecuzione di esercizi di respirazione e di
rilassamento e sviluppa la produzione di immagini e la rappresentazione
mentale del movimento.
Le fasi dell’allenamento ideomotorio sono:
a) Visualizzare il movimento nei minimi dettagli.
b) Rappresentare mentalmente più volte il movimento: fase della Mental
Imagery.
c) Eseguire mentalmente il movimento: fase dell’Imagery cinestesica
durante la quale l’immaginazione è più attiva e la percezione è più
realistica.
TESTIMONIANZA – L’automatismo dei gesti
Questa testimonianza è fornita dalle riflessioni di un ciclista:
“ Ho un ottimo rapporto con le parti del mio corpo; anche in corsa riesco
a mettermi il casco, mi tasto una gamba; solo quando prendo la borraccia
e la rimetto in sede, mi accorgo che il mio gesto non è più sicuro, non trovo
subito il porta-borraccia, faccio alcuni tentativi a vuoto, mi sbilancio…
sento che non ho automatizzato questo gesto specifico”.
Un esempio degli effetti positivi dell’allenamento ideomotorio è dato
dall’atleta di tiro con l’arco, che può esprimere il suo gesto atletico anche
a occhi chiusi, se si trova in perfetta sintonia con il suo attrezzo e con la
sequenza dei micromovimenti da seguire, tanto è vero che preferisce dire
“tiro l’arco” piuttosto che “tiro con l’arco” per sottolineare il rapporto
diretto fra il suo corpo, la sua mente e l’attrezzo.
Non è raro vedere un arciere compiere il gesto di tendere l’arco con le
braccia anche senza l’arco nei luoghi più impensati, a passeggio, al
cinema, in casa…
ATTIVITA’ - L’allenamento mentale del movimento
L’insieme degli esercizi che seguono può essere eseguito in momenti
diversi: in fase preparatoria, in allenamento, nelle pause di gara, durante
la gara; la sequenza segue un filo di logica successione, ma può essere
adattata secondo i ritmi e i tempi personali.
Inizia ogni sessione eseguendo le sequenze di respirazione in tre tempi più
la pausa finale, fino a raggiungere la consapevolezza di te stesso, del tuo
stato interiore.
Senti il tuo corpo, per rilassarlo esegui qualche esercizio di distensione
immaginata.
Formula mentalmente i movimenti che devi svolgere nell’atto della tua
attività sportiva… richiama l’ambiente in cui si svolge… l’attrezzatura… la
postura corretta.
Rappresenta mentalmente i movimenti che devi svolgere… con calma…
respira… rilassato…
Ripercorri i gesti preparatori il più esattamente possibile… rivedi tutti i
particolari.
Sempre mentalmente, rappresenta l’esecuzione globale del movimento… il
movimento viene eseguito in modo ottimale perché è ancora virtuale…
E’ in questo momento che si deve ricercare la massima precisione, per
averne benefici in fase di gara.
Ricorda gli aspetti tecnici del movimento, come li hai appresi…
Alla base di ogni disciplina sportiva esistono modalità specifiche di
movimento, la pedalata… la camminata… la marcia… la corsa…. le
sequenze motorie del salto in lungo o in alto… la nuotata nei diversi stili…
la pagaiata…ecc...
Esegui gli esercizi di respirazione.
Sei pronto per l’esecuzione del movimento reale.
ATTIVITA’ – Valuta la tua capacità immaginativa
Un semplice questionario da svolgere in 2 tempi:
I) Per controllare lo Stato iniziale delle tue convinzioni: prima di iniziare
gli esercizi di Imagery
II) Per verificare l’esito dell’allenamento immaginativo: al termine di una
congrua sessione di Imagery.
Verifica i cambiamenti avvenuti fra l’inizio e il termine.
Leggi le domande e rispondi Sì o No
1 – Riesci a immaginare un ragazzo ai bordi di un campo di calcio che
lancia il pallone all’altra parte del campo?
2 – Riesci a vedere lo stesso ragazzo con un’altra divisa?
3 – Riesci a immaginare di udire il fischio dell’arbitro che dà il via a una
partita?
4 – Riesci a sentire lo stesso suono prodotto da una campana?
5 – Riesci a immaginare di sentire le sensazioni tattili nel toccare una palla
da tennis?
6 – Riesci ora ad avvertire la sensazione che si prova toccando una palla
da biliardo?
7 – Riesci a immaginare di sentire il movimento dei tuoi muscoli mentre
lanci una palla con forza?
8 – Riesci a immaginare di avvertire gli stessi muscoli mentre sei
impegnato a lanciare lentamente una palla di gomma per giocare con un
bambino?
9 – Riesci a immaginare di seguire il tragitto di una freccia dall’arco al
centro posto a 90 metri?
10 – Riesci a immaginare il tuo corpo che si tuffa in acqua, affonda e poi
emerge?
ATTIVITA’ - Il potere dell’immaginazione
Costruisci nella tua mente un’immagine precisa: può essere quella di un
oggetto caro, oppure di un paesaggio di montagna o di mare, di un fiore, di
un albero, di un animale, di un volto, ma anche una musica, un sapore, un
odore.
Va bene qualsiasi tipo di immagine, purché rivesta per te un significato
emotivo intenso e si colleghi a una situazione piacevole e gratificante.
Trova la tua immagine-relax e fissala bene nella mente, con tutti i
particolari; deve contribuire ad arrecarti benessere, tranquillità,
rilassamento.
Puoi fare questo esercizio alla sera, prima di addormentarti.
In seguito, utilizza l’immagine visualizzata e fatta tua in qualsiasi luogo ti
trovi, per ritrovare la sensazione piacevole legata ad essa.
Sperimenta il potere di un’immagine sul tuo umore; se hai visualizzato la
sensazione della sabbia calda sul tuo corpo al sole, al solo richiamo
mentale riproverai la stessa percezione di rilassamento.
Anche la visualizzazione di una frase aiuta il rilassamento.
Pensa a una frase che riassuma un tuo obiettivo, come “Vado forte”
oppure “Sono determinato”.
Puoi anche focalizzare l’attenzione su una sola parola, per te fortemente
evocativa, come ad esempio “Mare”, “Verde”, “Libertà”...
Ripeti la frase o la parola diverse volte, ad alta voce o mentalmente.
Ascolta le sensazioni che provi mentre la ripeti; fissa nella mente le
immagini sgorgate, le associazioni, ma anche le distrazioni e le difficoltà
che incontri.
Analizza come ti senti nella prima fase di questo esercizio, che è quella
della ripetizione volontaria.
Quando passi alla seconda fase, la ripetizione diventa automatica, senza
un tuo impegno preciso.
Ti devi abbandonare alle sensazioni spontanee, che giungono
dall’inconscio, innescando un processo di benessere e di relax profondo.
ATTIVITA’ – Per il riposo
A occhi chiusi, disteso o seduto, senti il tuo corpo stabilmente appoggiato,
dalla testa ai piedi.
Puoi anche eseguire l’esercizio seduto sul letto, con un cuscino grosso
dietro la nuca, due cuscini ai fianchi e le gambe penzoloni nel vuoto dal
bordo del letto.
Respira normalmente, immaginando che l’aria sia come un filo che sale
dai piedi lungo la colonna vertebrale (inspirazione).
Immagina un filo molto sottile... facendo attenzione a non spezzarlo.
Mentre l’aria esce (espirazione), il filo sottile scende lungo la colonna
vertebrale fino ai piedi.
Immagina il percorso di questo esile filo: mentre tu inspiri, sale; mentre tu
espiri, scende.
Traccia delle linee immaginarie, come per costruire una ragnatela, linee
che si intersecano... una sull’altra, come in un reticolato.
Tocca i punti principali del tuo corpo
Segui con la mente questa costruzione, mentre tu respiri e non pensi ad
altro, abbandonando i tuoi problemi.
Al termine, se avrai eseguito l’esercizio disteso, avvertirai la sensazione
che il tuo corpo sia sprofondato nel materasso, con un piacevole senso di
relax, ideale per addormentarsi.
12.10 Il Training autogeno
Il neurologo tedesco Schultz nel 1932 elaborò una tecnica di auto-
distensione psichica e somatica con la finalità di aiutare a ricomporre
alterazioni di equilibri funzionali. Ancora oggi viene applicata a largo
raggio in diversi campi, dal professionale allo sportivo.
Si basa su autosuggestioni, da indurre prima dietro suggerimento del
terapeuta, poi in proprio, autonomamente.
Attraverso l’auto-ipnosi si apprende una serie di esercizi graduali che
modificano il tono muscolare, la funzionalità vascolare, l’attività cardiaca e
polmonare, per giungere all’equilibrio neurovegetativo e allo stato di
coscienza in clima di passività assoluta.
Questo atteggiamento porta a modificazioni psichiche e somatiche per
ridurre le tensioni, gli stati d’ansia e di stress.
Agli esercizi di base orientati sul corpo, seguono esercizi di livello
superiore; una volta che i primi siano appresi, si passa ad altre procedure
per contrastare una serie di turbe funzionali e organiche, da praticare sotto
la guida di specialisti.
Con il T.A. si affrontano problemi di psicosomatica; questo metodo viene
utilizzato per migliorare la preparazione psicofisica nello sport.
Il metodo in atto prevede primo luogo di ricreare la sensazione di peso e
quella di calore con esercizi brevi.
La sensazione di peso va indotta con l’immaginazione, partendo con
gradualità;
ad es. il mio braccio destro è pesante...
la mia gamba è pesante... e via di seguito.
Ogni esercizio inizia con la frase: ”Io sono calmo” come stimolo per
provocare una risposta di rilassamento.
E’ un allenamento (training), quindi occorre esercitarsi regolarmente
durante la giornata se si vuole che i benefici, una volta appresa la tecnica, si
ripropongano dall’interno, inconsciamente, a ogni richiamo (per questo è
chiamato autogeno).
Per avvicinarsi a questa tecnica, occorrono alcune qualità di base:
- avere perseveranza;
- possedere la volontà di riorganizzare la propria vita;
- mostrare affidabilità nell’assolvere i compiti;
- essere forti di mente.
Un esempio di sequenza degli esercizi:
1 – Il mio corpo è pesante.
2 – Il mio corpo è caldo.
3 – Il mio cuore batte calmo e regolare.
4 – Io respiro tranquillamente.
5 – Il mio plesso solare è caldo.
6 – La mia fronte è fresca.
L’esercizio n.1 mira a promuovere una sensazione di pesantezza agli arti.
L’esercizio n.2 mira a promuovere una sensazione di calore agli arti.
L’esercizio n.3 regola il ritmo cardiaco.
L’esercizio n.4 agisce sull’attività respiratoria.
L’esercizio n.5 promuove una sensazione di calore nella zona del plesso
solare (addome superiore).
L’esercizio n.6 mira a produrre sensazioni di freschezza alla fronte.
ATTIVITA’ Esercizi di Training Autogeno
Cercati un luogo tranquillo e un momento in cui certamente non sarai
disturbato (niente telefono, campanello, visite...)
La temperatura è ideale (né troppo caldo, né troppo freddo);
l’abbigliamento è comodo (niente cinture, orologi...).
Stenditi su una superficie comoda (letto, tappetino, plaid), in posizione
supina, sulla schiena, braccia e gambe leggermente divaricate.
Mentalmente ripeti una frase:
”Sono calmo, sono assolutamente calmo”.
Ripeti fino a quando tutti gli altri pensieri sono scomparsi e avverti un
senso di tranquillità nel corpo.
Primo esercizio - Pesantezza
In posizione supina, concentrati sul braccio destro e ripeti mentalmente la
frase:
”Il mio braccio destro è molto pesante”.
Rimani in questa situazione per il tempo necessario.
Ricomincia con il braccio sinistro
Ripeti l’esercizio tre volte al giorno. Solo dopo aver avvertito la
pesantezza, puoi prolungare l’esercizio per il tempo che vuoi.
Secondo esercizio - Calore
Stessa situazione: massima tranquillità e comodità.
Ripeti la procedura, ma questa volta la frase di autosuggestione è:
”Il mio braccio destro è caldo”.
Aspetta che si produca la sensazione di caldo.
Una volta ottenuta, puoi allungare i tempi dell’esercizio.
Rifai l’esercizio con il braccio sinistro.
Ripeti il tutto tre volte al giorno.
Terzo esercizio
Scegli momenti di tranquillità e di comodità, poi orienta la tua
immaginazione sul cuore e sui suoi battiti.
Ripeti mentalmente:
”Il mio cuore batte tranquillamente”.
Non avere fretta, aspetta che il battito del cuore si regolarizzi
naturalmente.
Quarto esercizio
Ascolta il tuo respiro e ripeti mentalmente per alcuni secondi:
”Il mio respiro è assolutamente tranquillo”.
Aspetta senza forzare che il respiro si calmi.
Quinto esercizio
Immagina di avvertire una fonte di calore a livello del plesso solare e ripeti
mentalmente:
”Il mio plesso solare irradia un dolce calore”.
Attendi che questa sensazione si produca spontaneamente.
Sesto esercizio
Ripeti per un minuto o due la frase:
”La mia fronte è fresca”.
Immagina una sensazione di piacevole frescura sulla fronte, come una
brezza leggera che avvolge il capo.
Ripresa
Al termine di ogni seduta è necessario riportare l’attenzione sul tuo corpo,
ora rilassato.
Piega e tendi le braccia con forza per tre volte; respira profondamente;
riapri gli occhi e rialzati.
La sequenza
Indicativamente, gli esercizi vanno ripetuti seguendo questa sequenza:
I settimana: eseguire il Primo esercizio per tre volte al giorno.
II settimana: Primo e Secondo esercizio per tre volte al giorno.
III settimana: I primi tre esercizi in sequenza per tre volte al giorno.
IV settimana: I quattro esercizi in sequenza per tre volte al giorno.
V settimana: I cinque esercizi in sequenza per tre volte al giorno.
VI settimana: I sei esercizi in sequenza per tre volte al giorno.
12.11 Le discipline orientali – Il Tai Chi
Per sbloccare le tensioni, ritrovare la serenità e rendere il corpo più
elastico, possiamo rivolgerci a una delle numerose discipline di origine
orientale, che hanno una grande attrattiva, perché sono basate su movimenti
armoniosi, come al rallentatore; con i gesti morbidi si allenta anche il flusso
dei pensieri affannosi e scompaiono le rigidità nel fisico e nella mente.
Ciascuna di queste discipline vanta una letteratura vastissima e una rete di
applicazione capillare.
Qui ci limitiamo ad alcuni cenni, desunti dalla nostra diretta esperienza, per
segnalare la loro efficacia per il relax.
Intraprendere una ricerca rivolta a uno di questi settori è risolutivo per
ottenere il rilassamento desiderato, oltre all’arricchimento personale e
culturale.
Secondo la tradizione cinese, il Thai Chi, l’antica arte di origine taoista,
indica la via che porta all’armonia del corpo, dello spirito e dell’anima.
Viene paragonato a una perpetua danza della vita; è allo stesso tempo una
ginnastica, un metodo di autodifesa, una forma di meditazione.
Il corpo è reso agile e forte; assume una leggerezza che deriva dalla
lentezza e dalla circolarità dei movimenti, fino ad ottenere uno stato di
equilibrio della mente.
Gli esercizi classici, piacevoli e facili da imparare, si basano su 8 posizioni
e 5 passi o fasi. Le posizioni fondamentali da assumere lentamente sono:
- parare;
- andare indietro;
- premere;
- spingere;
- tirare indietro;
- dividere;
- gomitata;
- spallata.
I 5 passi, detti anche fasi, cancelli, sono:
- avanzata;
- ritirata;
- volgersi a sinistra;
- volgersi a destra;
- equilibrio.
Nell’eseguire una sequenza di Tai Chi si assumono diverse posizioni, che si
rifanno alle 8 posizioni e ai 5 passi e che vengono chiamate con esotici
nomi di fantasia, fortemente simbolici.
Alcuni esempi: suonare la chitarra, abbracciare la tigre, tornare alla
montagna, mani come nuvole, accarezzare il cavallo in alto, colpire la
scimmia, tirare l’arco, ecc.
Gli esercizi vanno appresi sotto la guida del maestro che mostra la
posizione corretta e invita l’allievo all’imitazione.
Queste scarse notizie hanno lo scopo di invogliare ad approfondire la
materia, perché la via del Tai Chi porta all’equilibrio interno e al vero
relax.
Il movimento è fluido e costante, non c’è rigidità nelle membra, la
respirazione non è forzata, ma diviene naturale e profonda con le posizioni.
Quando pratichi il Tai Chi e fai uno dei suoi esercizi, non coinvolgi solo il
fisico, ma anche il livello psicologico; non è possibile assumere col corpo
posizioni o movenze rilassate se all’interno sei teso, se porti rancore, se
vivi un conflitto con te stesso o con altri.
TESTIMONIANZA - Un’esperienza con il maestro di Tai Chi
E’ necessario imparare gli esercizi direttamente da un maestro per
assumere le posizioni corrette e comprendere i principi del Tai Chi.
Eravamo in sei, disposti a cerchio, all’aperto, in un parco verde da alberi
in compagnia del maestro, in perfetta quiete.
Il maestro ha iniziato a muoversi lentamente, senza interruzione, con gesti
dolci e armoniosi, io con molta timidezza cercavo di imitarlo.
Ci ha insegnato la posizione di inizio: ginocchia leggermente piegate,
corpo molle.
Il primo movimento era: sollevare le braccia all’altezza del petto e
spingere le mani in basso. Lentamente ruotare le mani verso l’alto. Il
difficile era eseguire con movimenti continui, come in una danza
lentissima.
Mi è piaciuto molto il movimento detto : Prendi la luna
Sempre a ginocchia leggermente piegate, si trattava di portare le braccia
verso l’alto come se dovessimo acchiappare la luna in cielo e tenerla fra le
braccia. Sempre con la luna fra le braccia, si doveva abbassare le mani
con un gesto largo, senza interrompere mai il movimento.
Poi sono seguiti altri esercizi, tutti con nomi molto originali. Questi alcuni
esempi.
- Mettere acqua nella scodella come per raccogliere acqua e riempire una
ciotola.
- Difendersi dai nemici
Ginocchia piegate, mani a pugno, braccia piegate. Spingere con forza in
avanti il braccio destro allargando la mano, portare il braccio sinistro
indietro mantenendo il pugno chiuso. Poi fare lo stesso con l’altro braccio.
-Prendere l’energia con le braccia sollevate verso l’alto.
Si stringono i pugni e con forza si spingono le braccia verso il basso,
all’altezza del bacino, sempre con i pugni chiusi.
- Bello l’esercizio che si chiama: Scaccia la tigre! Sempre con le ginocchia
piegate, braccia piegate con le mani a pugno. Spingere un braccio con
forza in avanti, mentre l’altro rimane in posizione. Riportare indietro il
braccio e spingere in avanti l’altro.
- Anche la posizione chiamata Tirare l’arco mi è piaciuta molto, perché ho
ricordato le sensazioni provate quando ho fatto quello sport.
Si sta in una posizione molto elegante e aperta, fare un passo avanti con la
gamba sinistra, poi allungare tutte e due le braccia. Portare il peso sulla
gamba destra, quella rimasta ferma, e mimare la posizione del tiro con
l’arco, un braccio avanti steso e l’altro ancora piegato.
Poi si inverte la posizione: gamba destra in avanti, peso sulla sinistra, tiro
con l’arco. Ritornare alla posizione di partenza.
ATTIVITA’ Lo zen e l’arco
Il tiro con l’arco non è solo una disciplina sportiva, non è costituito solo da
abilità tecnica che si raggiunge con esercizi fisici; è un rito che si svolge
attraverso esercizi spirituali e al quale accedono coloro che sono di cuore
puro.
Questo affermano i grandi maestri della filosofia zen, l’arte di insegnare
praticando la meditazione.
Per chi pratica il tiro con l’arco, ricordiamo alcuni insegnamenti da
applicare:
Per tirare la corda dell’arco, non impiegare tutta la tua forza…
I muscoli delle braccia e delle spalle devono essere rilassati…
Impara a lasciare alle mani il compito di compiere il lavoro…
Cura la respirazione. Inspira spingendo il fiato verso l’addome e trattienilo
lì per una breve pausa.
Espira lentamente e regolarmente.
Scomponi mentalmente il gesto di tirare con l’arco in diversi momenti ai
quali presti la massima attenzione:
- afferra l’arco;
- incocca la freccia;
- solleva l’arco;
- tendi la corda;
- portala alla massima tensione;
- tira la freccia;
- resta ancora in posizione, prima di abbassare l’arco.
Accompagna ciascuna fase con la sequenza degli atti respiratori.
Non forzare, impara la giusta attesa prima di scoccare la freccia.
Staccati da te stesso, con l’aiuto della respirazione.
Raggiungi il rilassamento fisico e la libertà spirituale.
E’ giunto il momento di lasciare andare la freccia. Il colpo parte da solo.
Ad ogni tiro, realizzi un momento di meditazione.
Dicono i maestri d’arco:
“Con l’estremità superiore dell’arco, l’arciere fora il cielo…
All’estremità inferiore è appesa la terra fissata con un filo di seta…
L’uomo resta irrimediabilmente nello spazio intermedio, tra il cielo e la
terra.”
12.12 Shiatsu e Autoshiatsu
Inseriamo in questa carrellata di tecniche di rilassamento anche la pratica
dello Shiatsu.
Lo shiatsu (dal giapponese shi= dita, atsu = pressione) è il massaggio
giapponese che ha l’effetto di eliminare le tensioni, recuperare le energie
fisiche e mentali, alleviare gli stati d’ansia.
Si pratica con il tocco dei pollici, delle dita, del palmo della mano su punti
specifici di tutto il corpo, ben conosciuti dagli operatori specializzati.
Favorisce il contatto fra il corpo e la mente e quindi porta a un rilassamento
profondo.
E’ considerato una forma di conoscenza del proprio corpo e di esercizio
meditativo, soprattutto se applicato su se stessi.
Nel nostro corpo ci sono dei punti particolarmente sensibili al tocco.
I più importanti sono otto: sulle spalle, in alto alle scapole, in mezzo alle
scapole, sotto le ascelle, nell’avvallamento del pollice, sopra le natiche, ai
gomiti, nell’incavo delle ginocchia.
Per gli approfondimenti rimandiamo alle indicazioni dei testi in
bibliografia.
In questa sede presentiamo una sequenza di auto-shiatsu particolarmente
indicata per i problemi di insonnia.
ATTIVITA’ – A coppia o da soli
Se hai problemi di insonnia, puoi prendere l’abitudine di fare
un’esperienza di shiatsu, toccando con una leggera pressione alcuni punti
in particolare:
- la sommità della testa,
- la base del cranio,
- i muscoli del collo,
- i muscoli delle spalle,
- il fondo schiena,
- i punti sull’addome.
Vediamo in particolare come puoi fare il trattamento delle spalle.
- Posizione seduto. Piedi ben appoggiati a terra. Piega il braccio sinistro
per allungare la mano sinistra dietro la spalla destra.
Inizia le pressioni, percorrendo tutta l’area che riesci a raggiungere, dalla
parte alta vicino alla nuca, via via scendendo verso la schiena.
Finita la sequenza delle mini-pressioni, riposa il braccio.
- Ripeti il tutto per la spalla sinistra. Posizione seduto. Piedi ben
appoggiati a terra. Piega il braccio destro per allungare la mano destra
dietro la spalla sinistra.
Inizia le pressioni, percorrendo tutta l’area che riesci a raggiungere, dalla
parte alta vicino alla nuca, via via scendendo verso la schiena.
Finita la sequenza delle mini-pressioni, riposa il braccio.
Puoi completare l’esperienza massaggiando mani e piedi: è sempre molto
piacevole e gratificante! Il massaggio può essere svolto in coppia,
reciprocamente.
12.13 Le tecniche di meditazione
La parola meditazione richiama ambienti silenziosi e bui, solitari momenti
di immobilità, celle di monasteri buddisti; tutte situazioni che sembrano
lontanissime dalla vita di oggi, sempre alla rincorsa di velocità e di
compagnia.
Eppure, testimoniano gli esperti, sta nascendo una voglia di guardarsi
dentro, per ritrovare se stessi e le proprie radici.
Molte persone, anche giovani, avvertono un senso di vuoto, nonostante che
siano gratificate sul lavoro, in amore, nelle amicizie, nell’aspetto: vivono
una sorta di “deprivazione spirituale”.
Per riemergere da questo stato e avvicinarsi ai principi della meditazione,
all’inizio è bene frequentare un centro serio per impadronirsi delle tecniche
sotto la guida di maestri, per poi continuare da soli autonomamente.
La tecnica della meditazione provoca una modifica nella coscienza che si
ottiene con la ripetizione di alcuni esercizi mentali in sequenza e
convogliando l’attenzione su uno stimolo in modo fisso e senza deviazioni
di pensiero; può essere un fonema, una parola, un suono.
Uno dei risultati importanti è il controllo sul proprio respiro, oltre che sulla
propria mente.
Pur mantenendo l’ancoraggio su un punto, con la meditazione si ottiene
un’espansione della coscienza, quasi a raggiungere uno stato di autoipnosi.
La meditazione crea queste situazioni:
- allontana i sentimenti negativi, come il rancore, l’invidia, la gelosia, che
avvelenano ogni rapporto;
- fa affrontare la paura e l’ansia;
- apporta pensieri positivi;
- insegna a vivere nel presente, a dilazionare gli stimoli, ad attendere senza
fretta.
Gli esercizi di meditazione non sono attuabili solo nelle condizioni
ambientali descritte all’inizio, ma in ogni ambiente e in ogni momento in
cui gli effetti negativi dello stress impediscono di essere felici e liberi.
In casa, in ufficio, in albergo, in viaggio, all’aria aperta, quando ne
sentiamo il bisogno, si può fare il vuoto nella mente, allontanare i pensieri
negativi e molesti, fare ricorso a una parola, una frase, una musica o
visualizzare una situazione piacevole, per superare i momenti di
disperazione e di dolore.
Proponiamo due esercizi attinti dalle meditazioni tradizionali, da una parte
lo yoga, basato sulla religione indù, dall’altra dallo zen, basato sul
buddismo cinese e giapponese.
Dai successivi approfondimenti si comprende l’efficacia che può assumere
questa tecnica di rilassamento applicata all’attività sportiva.
ATTIVITA’ – Meditazione in movimento
Lascia perdere le vecchie idee sulla meditazione: non è solo stare seduti in
posizione yoga sotto un albero fare meditazione…
Puoi fare una straordinaria esperienza di meditazione … correndo.
Ti piace correre al mattino presto… molti ancora dormono…
Un chilometro… poi due… poi ancora avanti…
L’aria è fresca e frizzante… la natura si sta risvegliando…
Assapori con tutti i sensi il momento che stai vivendo…
Ti senti vivo… il tuo corpo, la tua mente, il tuo spirito sono tutt’uno con
l’ambiente…
All’improvviso ti senti proiettato in un’altra dimensione, la “quarta
dimensione”…
Non lo avverti razionalmente, eppure ti trovi immerso in questo stato di
esaltazione…
È l’equivalente del momento della meditazione…
Ci sono tanto altri modi…
Cammina a piedi nudi sull’erba… o sulla sabbia… senti la frescura--- o il
calore…
Percepisci le energie che fluiscono dal suolo… in armonia con la terra…
Prova ancora con il nuoto… sei nel tuo ambiente preferito… scivoli
nell’acqua…
Una bracciata dietro l’altra… galleggi… sei animale acquatico al pari dei
pesci…
Ne emergi ritemprato… corpo, mente e spirito in sintonia con se stessi e
con il mondo.
La meditazione è nel movimento, è giocosa.
TESTIMONIANZA – Abbraccia l’albero
Il mio maestro di shiatsu mi ha insegnato un modo naturale per riattivare
le energie quando mi sento particolarmente giù di tono.
Si può eseguire durante una passeggiata in un bosco e più semplicemente
nel giardino di casa, entrando in sintonia con la natura circostante.
Nel mio parco ho diversi alberi adatti a questo esercizio: il cedro, i pini, il
tiglio, gli ontani, la magnolia, le robinie. Ciascuno è legato a un preciso
momento, a un episodio, a una persona cara e anche a una simbologia.
Così ho preso l’abitudine di entrare in contatto con l’anima di un albero,
cioè la sua linfa.
Ho scelto l’ontano, piantato tempo fa da mio padre, che ha avuto un rapido
sviluppo e svolto diverse funzioni: una fresca ombra, fogliame folto verde
scuro, riparo a una coppia di gufi reali, reminiscenze poetiche.
In simbologia, l’ontano è associato alla forza interiore e alla volontà.
Per un primo contatto, ho abbracciato il tronco facendo aderire il mio
corpo quanto più possibile: l’apertura delle mie braccia non riesce a
circondarlo interamente, ma è stata una sensazione forte, come fosse una
“cosa” viva.
Poi mi sono girata e ho appoggiato la schiena, come aveva suggerito il
maestro di shiatsu.
In questa posizione, ho visualizzato il lento movimento della linfa
all’interno dell’albero, ponendolo mentalmente in simbiosi con la mia
colonna vertebrale.
Sono rimasta in queste situazioni per diversi attimi, mettendo da parte ogni
pensiero e assorbendo la tranquillità e il potere della “creatura” vegetale.
Ho pensato: questa è la mia meditazione.
In seguito ho visitato gli altri alberi per i miei abbracci e i miei contatti,
cercando di percepire il senso delle specifiche sensazioni provate, diverse
una dall’altra perché ciascun albero ha il proprio linguaggio, oltre a
ricavarne un costante messaggio di benessere psico-fisico.
CAP. 13 COMPETIZIONE E PERFORMANCE ATLETICA
“Una prestazione abile dev’essere sottoposta di continuo al controllo dei
recettori, e dev’essere iniziata e diretta dai segnali che si raccolgono
dall’ambiente in combinazione con altri segnali interni al corpo, che
forniscono informazioni sui movimenti mentre si compiono.”
(Frederic Bartlet, Thinking)
13.1 Il modello di forma perfetta
Si assiste sempre più all’accentuarsi del culto esasperato della forma fisica,
che non sempre è sinonimo di benessere fisio-psichico. Dalle fonti più
svariate prolificano consigli e prescrizioni su come comportarsi nel tempo
libero, in ufficio, a tavola; è di moda frequentare palestre, centri di fitness,
di wellness, praticare jogging, fare ogni tipo di ginnastica e di diete; si fa
attività sportiva allo scopo di raggiungere quei modelli di perfezione che ci
guardano dalle riviste patinate, belli, sprizzanti salute e forza fisica.
La tendenza a emulare modelli di perfezione non riguarda solo l’amatore
di sport che cerca in tutti i modi di imitare il proprio idolo comprando la
bicicletta, le scarpe, la maglietta, il copricapo, la racchetta della stessa
marca.
Anche il professionista, chi fa sport con serietà e impegno, ha dei modelli a
cui rifarsi, a volte concretizzati nella persona di un campione reale, a volte
ispirati a una somma di qualità astratte e ai parametri caratterizzanti quella
disciplina.
In un continuo lavoro di auto-osservazione, pone la sua attenzione su se
stesso, cerca la sua identità nel proprio corpo e nel perfetto funzionamento
di tutti gli organi. Il certi casi, il corpo non è il mezzo per ottenere risultati
nell’attività sportiva, bensì il fine: ottenere un corpo armonioso e
muscoloso è l’obiettivo primario.
Chi vuole ottenere la forma perfetta si impegna negli esercizi, cura i minimi
particolari, costruisce e modella il proprio corpo.
13.2 Agonismo e spirito di competizione
Il termine competere (dal latino cum –con + petere- cercare) apre un
ventaglio di significati: misurare le proprie capacità con quelle di altri; una
persona competente è quella che ha capacità e conoscenze, e nello stesso
tempo vuole confrontarsi, ma è anche la persona a cui spetta un diritto.
In questa società largamente caratterizzata in senso competitivo ci si chiede
se ci sia spazio per vedere valorizzate le qualità individuali impostate
secondo valori positivi.
E’ utile tentare di rispondere a questo interrogativo per capire come si può
raggiungere l’equilibrio personale in un campo, quello dello sport, molto
condizionato da sollecitazioni esterne e da forti bisogni individuali.
La competitività (competitivness), la qualità di chi possiede un carattere
competitivo, è la molla principale dell’attività sportiva, peraltro presente in
tutte le vicende umane.
Amare la competizione significa essere portato per le sfide, per gareggiare
con altri e con i propri limiti psicofisici, per misurare le proprie capacità
con quelle degli altri, per mettersi in concorrenza.
L’intensità della motivazione trasforma la competizione a volte in scambio
amichevole di prestazioni, a volte, al limite opposto, in accanimento a voler
raggiungere certi risultati con metodi distruttivi per sé e per gli avversari.
Il comportamento eccessivamente competitivo può anche nascondere un
forte senso di inferiorità e di impotenza nei confronti di ideali troppo
elevati e faticosi da raggiungere.
La competitività si associa al concetto di agonismo (dal greco agon, gara)
che si riferisce allo spirito di competizione attivato per promuovere e
accrescere i livelli individuali di rendimento in situazione di competizione.
L’agonismo può assumere le forme di scambio amichevole come nel gioco
e nello sport, ma può anche divenire un elemento distruttivo nei rapporti
con gli altri e con se stessi.
Una sana competitività parte da un bisogno dell’uomo di misurarsi; entra
nel campo di gara (in senso lato, non solo sportivo), l’antico agone, e si
impegna al massimo.
Se osserviamo i bambini mentre giocano, rileviamo l’aspetto positivo dello
spirito agonistico, come passaggio fondamentale dello sviluppo della
personalità. Attraverso l’agonismo, avviene la sublimazione di istinti
aggressivi. Così avviene nello sport.
13.3 Stili competitivi
Nella pratica sportiva, e nella vita, si registrano due stili competitivi
principali:
1 – lo stile competitivo centrato sul compito
2 – lo stile competitivo centrato sulla vittoria.
Nel primo caso è predominante la voglia di fare “una bella prestazione” e
di accontentarsi del risultato, di qualsiasi livello esso sia, purché ottenuto
dando il massimo delle proprie risorse.
Nel secondo caso si punta alla vittoria, concentrandosi al superamento
dell’avversario con ogni mezzo possibile.
Lo stile competitivo, oltre che dalla personalità di un atleta, dipende anche
dalle caratteristiche strutturali di una disciplina.
Alcuni sport, come, ad esempio, il golf o il tiro con l’arco, prevedono un
confronto indiretto con l’avversario: ogni giocatore svolge la propria gara
perseguendo i propri obiettivi, quelli di fare lanci perfetti, di fare entrare la
pallina nella buca, di fare centro, seguendo i propri ritmi e i propri tempi.
L’atleta centrato sul compito si concentra sulla perfezione del proprio
gesto, sulla coordinazione ottimale tra percezione, forza e movimento in un
contesto in cui il diretto avversario non è presente ed è, in quel momento,
marginale. La competitività è sfumata e differita. L’atleta deve possedere
una propria strategia, di attacco o di difesa, che coniughi flessibilità, colpo
d’occhio, capacità di monitorare tempestivamente ogni situazione.
Adottare uno stile competitivo piuttosto che un altro dipende da tendenze
personali, ma incide anche sullo sviluppo stesso della personalità.
E’ verificato da diversi studi che possedere la capacità di sapersi
concentrare sul compito da svolgere, nella vita quotidiana, nello studio,
nello sport, porta ad affrontare meglio l’ansia di un eventuale fallimento, a
superare la delusione di un insuccesso, a ricaricarsi celermente per
perseguire l’azione, a valutare realisticamente il proprio iter.
Quando invece si persegue solo la vittoria, più facilmente si rimane preda
della delusione profonda, si accampano scusanti al di fuori della propria
responsabilità.
Si entra nella zona d’ombra dell’ansia nata dalla consapevolezza, o anche
solo dal timore, di fallire: una prestazione poco soddisfacente, alla lunga,
crea un senso di disistima nelle proprie capacità e mina alla radice il
proprio senso di auto-efficacia (self-efficacy).
La vittoria mancata e il rimpianto per l’occasione perduta, provocano un
senso di impotenza che porta al disorientamento: non si sa più perché e per
che cosa ci si debba allenare, si debba soffrire, si debbano fare rinunce.
In questi casi si può parlare di agonismo sbagliato, esasperato, che è stato
costruito con eccessiva aggressività, con trucchi e furbizia, sotto l’effetto
dell’ansia e dello stress.
13.4 Cooperazione e competitività
Non è sempre vero che le prestazioni aumentano quando cerchiamo di
superare qualcuno: molti studi lo confermano, nel mondo del lavoro e, per
estensione, in altri campi ove ci sia competizione.
Sono stati considerati alcuni tratti di personalità, come la competenza,
l’attaccamento al compito, la competitività nei confronti del successo:
ebbene è stata riscontrata una correlazione inversa fra competitività e
riuscita.
Si è verificato che l’ambiente fortemente competitivo genera stress e riduce
la qualità della vita, rendendo ostili e sospettosi; al contrario, se alla
competizione uno contro l’altro si sostituisce la collaborazione, si
ottengono risultati più sicuri e continuativi. Lavorare, giocare, fare sport in
situazioni meno esasperate riduce le cause di ansia e, di conseguenza,
aumenta lo stato di benessere psico-fisico.
Questo concetto vale per ogni tipo di attività, sia che si tratti di guadagni, di
lavoro, di trofei sportivi, di rendimento scolastico: l’eventuale perdita o lo
smacco provocano uno stato psicologico alterato e uno stato emotivo che
influiscono negativamente sul rendimento.
Nella situazione competitiva, la motivazione si basa più sulle conseguenze
dell’azione (battere l’avversario) che sul compito da affrontare.
Quando invece ci si basa sulla cooperazione, il compito è affrontato
collettivamente: negli sport di squadra il risultato dipende dagli sforzi
comuni, il successo di uno è di tutti.
Occorre considerare anche un altro aspetto della competizione: eventuali
esperienze di insuccesso avvenute in età precoce o all’inizio della carriera
sportiva possono indurre molti allo scoraggiamento e all’abbandono.
Si rischia di distruggere la passione per lo sport e di ridurre l’impegno alla
conquista di medaglie, attestati, riconoscimenti, piccoli privilegi ottenuti
per eccellere sugli altri e non per se stessi.
Vincere è importante, ma non è la sola cosa che conta nello sport, se
veramente l’obiettivo è l’auto-affermazione.
L’atteggiamento competitivo di considerare la vittoria come unico obiettivo
importante può portare a stati di insoddisfazione tali da ricercare il successo
con mezzi che favoriscono risultati oltre le proprie reali possibilità.
TESTIMONIANZA La Performance dei “fuoriserie”
Ai tempi di Coppi e Bartali era diverso …
Il ciclismo era visto come uno sport per pochi e, tra quei pochi, c’era una
decina di “fuoriserie” che lottavano per dividersi i posti d’onore.
L’evoluzione dello sport, derivata dalla conoscenza di meccanismi
fisiologici dell’uomo e dell’atleta, ha sviluppato delle tecniche di
preparazione fisica sempre più specifiche ed efficaci che hanno innalzato i
limiti conosciuti.
Ad oggi, se prendiamo in considerazione una gara di professionisti,
abbiamo duecento atleti con un livello di performance superiore ad atleti
di primo piano rispetto a una ventina d’anni fa. Tutto ciò è derivato, per la
verità, non solo dallo sviluppo atletico, ma anche da quello tecnico della
bicicletta e dei suoi componenti, ormai arrivato a miglioramenti sempre
più irrisori e limitati da nuovi regolamenti.
Anche i mezzi di misurazione che il ciclista ha a disposizione sono
estremamente miglioranti. Il calcolo della potenza (in WATT) sembra
ormai uno strumento essenziale per monitorare allenamenti e persino le
competizioni.
L’applicazione scientifica ha portato sì un innalzamento generale della
performance, ma di conseguenza ha creato un livellamento generale, tant’è
che perfino i campioni devono sempre più selezionare gli appuntamenti e
accorciare il periodo di massima condizione ottimale, tra l’altro non
permettendosi alcun tipo di errore.
Mai come in questi tempi risulta determinante la componente mentale e in
particolare quella motivazionale.
Un atleta motivato a restare fra i primi venti riesce ad essere più
determinato ed efficiente nel momento cruciale della gara: prima di una
salita, di un tratto di pavé o nella preparazione di una volata di gruppo.
Basta pensare al distacco che si crea tra un corridore nelle prime
posizioni e uno che si trova nella coda di un gruppo lanciato a 50 km/h in
fila indiana: può risultare anche superiore al minuto!
Riuscire a gestire questi meccanismi richiede una metodologia di
preparazione che è ancora sottovalutata e per la maggior parte dei
fortunati che riescono ad usarla è fortuita o quasi casuale. Se si considera
che in una stagione vengono affrontate un’ottantina di gare, il fatto di
partire motivato significherebbe esserne protagonista per più della metà:
cosa ormai impossibile!
Eppure gli psicologi ancora non fanno parte dei team professionistici e
solo a livello individuale c’è chi ha capito l’importanza della loro
presenza. Quindi i dati numerici hanno sicuramente un valore che possono
essere apprezzati dai matematici, ma nello sport viene apprezzato chi
riesce a superare le proprie quotazioni con un’impresa memorabile e
inaspettata!
13.5 Agonismo nello sport
L’atleta maturo entra nell’agone con lo spirito di competizione giusto per
accrescere i suoi livelli di rendimento, non per annientare fisicamente
l’avversario.
Qualche cenno storico può aiutare a ricondurre nei giusti limiti il
significato di una parola e il concetto relativo.
L’agone era la gara solenne presso gli antichi Greci e Romani per celebrare
feste nazionali con ogni specie di competizioni: esercizi ginnici, lotta,
prove d’ingegno. Sinonimo di gara, di contesa, di tenzone, il termine
divenne il nome del luogo in cui si tenevano i giochi, il campo di
combattimento. Piazza Navona, per fare un esempio, si chiamava Circo
Agonale, antico stadio di Domiziano nel quale si celebravano le Feste
Agonali in onore del dio Giano.
L’agonarca era il presidente dei giochi; l’agonoteta proclamava i vincitori,
distribuiva i premi, componeva i dissidi (oggi sarebbe coadiuvato dalla
moviola, dal fotofinish).
L’agonistica era una vera e propria arte degli atleti antichi, mentre l’atleta
che combatteva era detto agonista.
L’agonismo dunque è dato dall’impegno degli atleti durante la
competizione e dallo spirito di emulazione per cui una gara può essere
caratterizzata da scarso o acceso agonismo.
L’atleta che viene definito un agonistico è un forte lottatore, aggressivo,
competitivo, combattivo e battagliero fino allo stremo delle sue forze.
L’agonismo è insito nella natura umana e aiuta a scaricare l’istinto di
aggressione e di morte proprio dell’uomo (fa pensare che i termini
agonismo e agonia abbiano la stessa matrice etimologica). In psicologia
l’agonismo si riferisce allo spirito di competizione che incentiva
l’accrescimento del proprio rendimento.
Oggi lo sport agonistico si contraddistingue dal dilettantismo per l’alto
impegno e per la connotazione di professione remunerata; ma è opportuno
ricordare l’antica etimologia, per mantenere i valori morali del disegno
originario e per ribadire che l’aggressione gratuita e la violenza in gara
niente hanno a che fare con il concetto di sport.
13.6 Dall’aggressività all’agonismo
Fra aggressività e agonismo c’è l’idea di intenzionalità.
L’aggressività è un istinto innato della specie animale, compreso l’uomo;
solo se viene educata fin dalle prime manifestazioni di carattere può essere
convogliata verso mete socialmente e individualmente accettabili e utili.
Senza una buona dose di aggressività non c’è agonismo, ma mai deve
prevalere sulla pratica agonistica.
Possiamo dunque condividere l’affermazione che l’aggressività funge da
energia che stimola l’agonismo e che questo, a sua volta, si concretizza in
un comportamento che soddisfa il bisogno di auto-realizzazione di ogni
individuo.
Con la pratica dello sport fin dall’adolescenza è possibile insegnare a
utilizzare la propria aggressività per scopi ben precisi; se questo non viene
compreso, tutta l’energia vitale verrà dispersa e non servirà altro che a
stressare e a peggiorare le proprie prestazioni in campo sportivo, di studio,
di vita.
Possiamo supporre una sequenza di fasi per una didattica dell’agonismo.
Di fronte a una pulsione aggressiva nel gioco e nello sport occorre :
- rendere consapevoli dei valori di correttezza e di lealtà da applicare;
- saper differenziare nel tempo il desiderio di vincere subito o di
ottenere un risultato immediato;
- trasformare l’impulso aggressivo in un’azione che tenga conto anche
del punto di vista altrui;
- sapere che il contesto della gara è un luogo temporale e spaziale
particolare, nel quale e durante il quale ciò che conta è la propria
prestazione;
- sapere che ci si muove entro regole sportive molto precise che vanno
rispettate ad ogni costo.
L’agonismo presuppone una personalità matura, già con un codice morale
formato. L’attività agonistica introdotta in un periodo della pre-adolescenza
può non trovare sempre un terreno adatto, a causa dell’instabilità
psicologica dell’età, del conflitto irrisolto fra dipendenza e autonomia,
dell’incertezza emotiva, della non ancora formata identità sessuale, del
pericolo di indurre uno stress competitivo, causa poi di abbandoni
dell’attività.
13.7 Famiglie, sport e agonismo
Le testimonianze riportate offrono lo spunto per comprendere situazioni
che incontriamo giornalmente sui campi di allenamento e di gara, quando si
tratta di giovani atleti. I genitori sono i primi tifosi dei figli, ma non devono
trasformarsi in allenatori o giudici di gara.
Sono al traguardo o in campo per assolvere alla funzione affettiva, per
accogliere a braccia aperta il ragazzo prima ancora di commentare il
risultato.
Lo sport agonistico ha regole molto dure, sia per il fisico sia per lo stress
psichico; al ragazzo richiede molti sacrifici; egli perde contatti con gli
amici, con i passatempi dei coetanei, con i problemi di vita quotidiana,
perché allenamento e gara portano via molto tempo e forze.
Pur incitati e indirizzati dai genitori e dall’ambiente verso la pratica
agonistica, sono solo i ragazzi che devono decidere se fare sport agonistico
o amatoriale: deve essere una loro scelta e non un’imposizione.
Nelle parole che abbiamo riportato possiamo riscontrare gli elementi di
situazioni tipiche. Emerge soprattutto la condizione di ansia che si crea
nell’atleta e nei genitori.
Per l’atleta l’ansia di prestazione parte dal timore di non essere all’altezza,
di trovarsi in un ruolo non proprio, al di sopra delle proprie possibilità.
I genitori sono a loro volta ansiosi e apprensivi, con aspettative elevate.
Ma i figli hanno bisogno solo di essere accettati per quello che sanno fare,
di essere elogiati per quello che fanno; richiedono affetto e attenzione,
punti di riferimento per le decisioni importanti della loro vita sportiva.
La famiglia-risorsa nello sport è quella che si attiva perché i momenti
dell’impegno sportivo diventino momenti di crescita di valori, di
formazione della personalità equilibrata in tutte le sue componenti, morale,
intellettiva, affettiva.
TESTIMONIANZA - L’influenza della famiglia
La storia dello sport è densa di casi di giovani atleti che praticano
agonismo spinti dai genitori.
Ascoltiamoli parlare.
“A 11 anni fui notato da una squadra di calcio del Nord che mi “comprò”
per tanti milioni, una cifra che alla mia famiglia povera fece molto
comodo. A me piaceva giocare a calcio, era la mia passione: potevo darmi
delle arie con i miei compagni, avevo persino un procuratore che curava i
miei affari.
Rimanevo per lunghi periodi lontano da casa, troppo lontano, in una città
sempre fredda e piena di nebbia rispetto alla mia sempre piena di sole.
Volevo tornare a casa, soprattutto avevo nostalgia della mamma e del
babbo, ma loro pensavano al mio avvenire, volevano procurarmi contratti
migliori, anche se a me importava poco.
Non gliel’ho fatta; a 14 anni ho chiesto di tornare vicino a casa, in una
squadra inferiore. I miei genitori non capirono la mia scelta, ma io almeno
ero nel mio ambiente, con i miei amici e le mie abitudini. So che li ho
delusi.”
“Da quando avevo 10 anni ho fatto gare di sci agonistico. Gare proprio
no, perché ero brava in allenamento, ma poi mi bloccavo e non combinavo
più niente.
Il momento più brutto era quando dovevo affrontare mamma e papà,
perché chiedevano spiegazioni su cosa mi succedeva, e più cercavano di
capire, più io mi innervosivo e loro si disperavano. Temevo di non essere
all’altezza; nel tempo ho capito che loro avevano molte aspettative sulla
mia riuscita, mentre per me era ancora solo un gioco.”
“Mio padre mi diceva sempre che il nuoto è lo sport più completo, io
volevo giocare a calcio, ma lui mi portava in piscina.
Poi ci fu la svolta. Un’estate al mare eravamo andati al largo in pattino. Io
mi tuffai e mio padre vicino a me, pronto ad aiutarmi; nuotammo a lungo
insieme...
E’ lui che ha avuto ragione, non ho più lasciato il nuoto. Nelle gare è in
tribuna, a incitarmi e fare il tifo per me. So che si emoziona per le mie
vittorie.”
Questa la confessione di una mamma:
“ Mia figlia è una brava tennista. Io e mio marito la seguiamo molto, la
incitiamo, la acclamiamo quando vince... lei dice che io la stresso con la
mia presenza. Ma non siamo noi a obbligarla a fare le gare, lei vuole
continuare.
Quando fa così, mi fa spazientire, mi scappa anche qualche brutta parola,
ma poi passa. Se la vedo delusa per la prestazione, mi fa stare male, mi fa
piangere. Riconosco che ho puntato molto su di lei, forse le chiedo più di
quello che può fare.”
“ Ho cominciato a praticare sport da piccolissimo, perché i miei genitori
avevano l’esigenza di tenere impegnato un bambino iperattivo come tanti.
Così mi sono trovato a passare dal nuoto, alla corsa a piedi…dal tennis al
calcio e, finalmente, a 14 anni ho provato la bici e mi sono innamorato.
Comunque tutti questi sport mi hanno sicuramente formato fisicamente”.
13.8 Le buone sensazioni
Un atleta, interrogato sulla sua condizione in vista di una prova importante,
risponde: “Ho buone sensazioni…” prefigurando, con questo modo di dire
suggestivo, un mondo tutto suo, nel quale gli altri non possono entrare, se
non come spettatori.
Da che cosa derivano queste sensazioni soggettive?
Da quali elementi sono costituite?
E’ possibile un “allenamento” alle sensazioni positive?
Le sensazioni sono provocate da stimoli esterni che agiscono sugli organi
sensoriali, Tutti noi riceviamo durante ogni momento della giornata
un’infinità di stimoli, dall’ambiente che ci circonda, dalle persone con le
quali veniamo in contatto.
Sarebbe impossibile trattenere ed elaborare tutte queste informazioni
sensoriali: visive, acustiche, tattili, termiche, dolorifiche, olfattorie,
gustative… Dobbiamo operare una selezione, trattenere solo le
informazioni che in quel dato momento ci interessano, che si presentano
con intensità particolare, che rispondono ai bisogni specifici.
Ma non parliamo solo di sensazioni che derivano da elementi esterni come
il freddo, il caldo, il rumore, il colore; ci riferiamo a “sensazioni interne”
che provengono da noi stessi, dal nostro corpo.
Inoltre, consideriamo anche gli aspetti psicologici che rientrano nel quadro
globale di reazione a una sensazione fisica.
L’atleta che rassicura di avere buone sensazioni si riferisce al suo stato
psicofisico generale, all’umore del momento, ai risultati rispetto alle sue
aspettative, alle motivazioni trainanti verso il successo, al raggiungimento
della forma fisica.
13.9 Percezione e sensazione
Tutta questa gamma di esperienze e di conoscenze va gestita nel miglior
modo possibile.
La raccolta e la selezione delle informazioni sensoriali sono compito e
opera della percezione, mentre alla sensazione si attribuisce il significato di
risposta specifica a una stimolazione isolata.
Non è possibile, di fatto, tenere distinti i due processi.
Infatti la percezione permette all’organismo di ricevere informazioni
sull’ambiente grazie all’azione di organi specializzati quali la vista, l’udito,
l’olfatto, il gusto, il tatto. Oltre alle sensazioni esterne, possiamo
raccogliere informazioni sullo stato del nostro corpo tramite le sensazioni
propriocettive e interocettive.
La sensibilità profonda o propriocettiva proviene dai recettori situati nei
muscoli, nei tendini, nei legamenti, nelle articolazioni, nelle ossa, mentre la
sensibilità interocettiva proviene dai recettori situati nei visceri e nelle
pareti dei vasi sanguigni. Si comprende l’importanza di imparare a
“cogliere” le sensazioni provenienti dal proprio corpo e di farle emergere
dal livello inconscio al livello conscio.
Per un atleta, in special modo, rappresenta un punto di vantaggio
approfondire la conoscenza del proprio corpo, ascoltare le proprie
sensazioni durante la preparazione e la gara, nei momenti di sforzo, in fase
di analisi della prestazione.
Quindi la percezione, rispetto alla sensazione, è un processo più complesso
che elabora tutti gli stimoli provenienti dall’ambiente e dal proprio corpo.
ATTIVITA’ – Selettività della percezione
Alla lettera, percepire (dal latino capere) significa cogliere con i sensi o
con la mente, avvertire, individuare e anche ricevere, prendere. La
percezione è la presa di coscienza di una sensazione; è costituita
dall’insieme di funzioni psicologiche che consentono di cogliere gli input
esterni ed esterni al proprio corpo.
Lo studio classico sulla percezione si rifà al noto schema S/R, cioè che
dato uno stimolo, c’è una risposta. Il modello non è così semplificabile, la
percezione di un elemento non è una semplice somma di sensazioni
elementari; infatti studi approfonditi evidenziano l’impatto emozionale, il
livello organizzativo, l’intenzionalità, il livello della conoscenza.
La percezione è selettiva, poiché ciascuno reagisce solo ad alcuni stimoli,
differenziandosi dalla modalità percettiva di altri.
Dalla teoria passiamo alla pratica
L’esperimento classico può essere riprodotto facilmente: mettiamoci
insieme ad altre due o tre persone in un ambiente rumoroso, un
supermercato, oppure uno stadio, osserviamo e restiamo in ascolto per
qualche minuto.
Scriviamo poi separatamente o esprimiamo a turno dieci elementi che
abbiamo percepito, sia a livello visivo, sia uditivo o altro.
Annotiamo poi le differenze delle risposte.
In seguito, mettiamoci di nuovo in situazione simile e “allarghiamo” la
nostra capacità percettiva, anche in base agli input che sono stati colti
dagli altri.
13.10 L’oggetto della percezione
L’oggetto delle nostre percezioni, sia esso elemento singolo o situazione
allargata, viene isolato secondo delle leggi:
a) la relazione figura/sfondo;
b) la segmentazione del campo visivo.
Se ci poniamo in un ambito specifico di osservazione, risulta più facile
comprendere. Immaginiamo un campo da tennis, due giocatori, il pubblico.
La percezione del giocatore isola alcuni elementi determinanti: il
movimento della palla, le posizioni dell’avversario; non sparisce lo sfondo,
ma la figura/oggetto emerge da esso.
Per fare ciò, deve applicare una suddivisione del campo visivo per
organizzare il suo oggetto percettivo sulla base di alcune qualità
dell’oggetto: la continuità di direzione dell’oggetto, la familiarità
dell’oggetto derivata da esperienze passate.
Lo stesso si può dire di qualsiasi altra attività.
Per restare nel mondo dello sport, pensiamo al ciclista che si trova in volata
nel gruppo e nello stesso tempo è concentrato sulla sua posizione, sulla sua
ruota; oppure al pugile in combattimento, o all’arciere che focalizza il
centro di bersaglio.
Questo è reso possibile dal principio della costanza percettiva, nel senso
che la grandezza e la forma del percepito non variano; riconosciamo una
persona familiare da lontano e da vicino; riconosciamo la forma di un
oggetto indipendentemente alla sua grandezza (un tondo grande o piccolo);
percepiamo la velocità di un oggetto sulla base della luminosità,
dell’orientamento, del contesto.
13.11 Percezione e personalità
Se finora abbiamo evidenziato la presenza dello stimolo, non
dimentichiamo che la percezione dipende in gran parte dalla personalità del
percepente.
Infatti conosciamo persone che sono più o meno portate a percepire le
differenze, mentre altre tendono a livellare la varietà degli stimoli.
Gli accentuatori percettivi non amano le vie di mezzo e il grigio, ma
tendono a limitarsi a due posizioni: vero/falso, bello/brutto, buono/cattivo;
sono a disagio in situazioni “aperte” e preferiscono ambienti chiusi.
I livellatori invece non esprimono percezioni così nette, ma tendono a
esprimersi in termini più vaghi e flessibili.
Altre differenze si rilevano fra le personalità dipendenti dal campo, che si
fermano alle percezioni di un solo settore, ad esempio il campo visivo, e le
personalità indipendenti dal campo, che tengono conto della propria
posizione e non si fanno influenzare; i secondi sono più sicuri di se stessi,
hanno maggiore autostima rispetto ai primi.
L’influenza del contesto sociale sulla modalità percettiva è stata provata da
diversi esperimenti che dimostrano come un individuo cambia le proprie
percezioni per adeguarsi allo standard del gruppo o per aderire al volere del
capo.
13.12 Provare sensazioni
La “sensazione” ha la sua radice in “senso” (gli organi di senso), e si
riferisce a tutte le funzioni che trasmettono al centro nervoso gli stimoli
esterni. Fin da bambini impariamo che gli organi di senso sono cinque: la
vista, l’udito, il gusto, l’odorato e il tatto. Si parla anche di sesto senso, cioè
della facoltà di percepire qualcosa non tramite uno dei sensi, ma in modo
extrasensoriale, come ad esempio un pericolo incombente.
Molte sfaccettature sono collegate al concetto di senso; svenire è perdere i
sensi, essere schiavi dei sensi, i sensi ingannano.
Il senso è anche riferito al sentire più spirituale, oppure essere una persona
sensata, agire con buon senso, trovare il senso di una frase o di una parola,
comprendere il doppio senso di una frase.
Provare una sensazione è allo stesso tempo un atto fisiologico e un moto
interno a ciascuno di noi. E’ uno stato di coscienza provocato dai sensi, ma
anche risultato di uno stato d’animo.
Provare una sensazione deriva quindi dal complesso di condizioni
illustrate; si dice di qualcuno che è sensibile quando mostra sensibilità di
fronte a casi bisognosi.
La sensazione è quindi un fenomeno psichico derivato dalla stimolazione
degli organi di senso e dagli organi della sensibilità interna.
La gamma delle sensazioni è ampia. Avremo quindi sensazioni scaturite da
percezioni visive, compreso il colore; le sensazioni uditive derivano dalle
onde sonore in base all’altezza e al timbro dei suoni prodotti; altre
sensazioni sono originate dai recettori tattili sulla pelle, le sensazioni
gustative dalle papille gustative, le sensazioni olfattive dai suoi recettori
posti nella mucosa nasale.
Oltre a queste, proviamo sensazioni che provengono da stimoli interni:
sensazioni termiche collegate alla temperatura, alle sue variazioni, alla
sensazione di bruciore.
Anche il dolore è una sensazione interna, che varia da individuo a
individuo: da alcuni sono tollerate maggiormente che altri.
Ricordiamo anche i recettori dell’equilibrio, che ci informano sulla
posizione assunta dal nostro corpo in ogni momento: possiamo stare fermi
oppure essere in movimento.
Come visto, il concetto di sensazione è strettamente collegato alla
percezione; ma rileviamo anche la differenza. Con le sensazioni riceviamo
principalmente le impressioni che provengono direttamente dall’esterno;
con la percezioni operiamo già un’elaborazione del materiale attraverso gli
stimoli, lo organizziamo, lo integriamo; diventa dunque un’operazione più
complessa, che sarà la base del primo livello di conoscenza.
ZOOM – Le sinestesie
Vi è mai successo che guardando l’immagine di una rosa vi sembra di
percepirne il profumo? Oppure di avvertire la sensazione di dolce mentre
toccate una superficie vellutata?
Sono fenomeni di sinestesia ( sensazioni insieme), per cui le sensazioni
proprie di uno dei sensi sono unite a fenomeni di un altro senso, come ad
esempio un colore (vista) e un sapore (gusto).
Senza che ce ne rendiamo conto, siamo bersagliati da input sinestesici
attivati in campo pubblicitario, sia per le immagini, sia per le parole che le
accompagnano.
La sinestesia è chiamata anche “sensazione secondaria”.
Si parla di sinopsia quando accanto a una sensazione uditiva si prova
anche una sensazione visiva; di verbocromia se alcune parole richiamano
sensazioni di colore; di fotismo quando il colore accompagna sensazioni di
altri sensi, come caldo, freddo…
Secondo qualche studioso, la sinestesia può dipendere da una certa
confusione della sensorialità; per altri si basa sul principio integrativo
dell’esperienza percettiva.
In sede di distensione immaginativa, raggiungere una sensazione
sinestesica rappresenta un piacevole allargamento della capacità
percettiva.
TESTIMONIANZA – Spirito di adattamento
Di casi di atleti che hanno saputo ottenere buoni risultati anche in altre
discipline sportive o in specialità contigue, ce ne sono parecchi. Nel nuoto,
ad esempio, capita abbastanza spesso che si passi dalle specialità più corte
a quelle più lunghe o ad entrambe.
Tali atleti, attraverso l’allenamento fisico e la visualizzazione, assimilano
poi attuano schemi motori via via sempre più complessi, mostrando una
flessibilità non solo fisica, ma anche psichica. Una personalità capace di
cogliere una situazione sia analiticamente, sia globalmente, possiede doti
di adattabilità molteplici e diversificate.
Dal punto di vista psicologico, questo tipo di adattamento risulta piuttosto
elaborato e dispendioso, soprattutto se si gareggia in percorsi insidiosi,
dove il tatticismo può essere determinante e dove si è costretti a correre in
uno stato di tensione e attivazione più alte del solito.
Infatti, entrano in gioco diversi aspetti mentali quali:
- la gestione dell’insuccesso: un risultato insoddisfacente o una caduta,
potrebbero compromettere il resto della stagione ;
– oppure la gestione del successo: un risultato superiore alle aspettative,
potrebbe far abbassare il grado di concentrazione per gli appuntamenti
successivi, togliendo così precisione e determinazione.
13.13 La mentalità personale
La mentalità è formata dall’insieme di disposizioni psicologiche e
intellettive, di abitudini che caratterizzano un individuo o un gruppo; nasce
da sensazioni e percezioni, si traduce in comportamenti, modi di vivere e di
pensare.
La mentalità personale è dunque una struttura complessiva che comprende
tutte le nostre credenze, le aspettative, le ipotesi, gli atteggiamenti
riguardanti la realtà fisica e sociale, se stessi e i rapporti interpersonali.
Questi elementi rappresentano lo schema di riferimento del nostro
comportamento, delle modalità di comprensione, del modo di agire.
Per comprendere la struttura della mentalità occorre considerare alcuni
fattori che si intrecciano.
Un primo fattore è dato da due sistemi: il sistema delle credenze positive e
quello delle credenze negative.
Le credenze positive sono tutte le credenze, le aspettative, le ipotesi che
ogni individuo accetta come vere, in modo più o meno consapevole.
Le credenze negative sono invece quelle che la persona ritiene false e che
quindi rigetta immediatamente.
Quando coesistono i due tipi di credenze contraddittorie, riscontriamo
conflitti di personalità.
Un altro modello considera la mentalità personale organizzata secondo
strati concentrici, a seconda del carattere più o meno primitivo delle
credenze. Ci sono credenze che si formano più precocemente nella vita e la
cui validità non si pone in discussione; riguardano la realtà fisica, la natura,
il mondo sociale, se stessi.
Altro tipo di credenze riguarda il rapporto con l’autorità; ci si affida
all’autorità secondo due alternative fondamentali che portano al formarsi di
un’ideologia alla quale l’individuo si assoggetta:
- In modo critico, razionale, provvisorio;
- In modo irrazionale, acritico, definitivo.
Il sistema delle credenze è messo alla prova quando giungono nuove
informazioni da vagliare; riuscire ad assimilarle senza distorcerle e senza
rimaneggiarle rappresenta una modalità individuale di grande efficacia.
La terza dimensione lungo la quale si organizza la mentalità personale è la
prospettiva temporale, che si riferisce alle credenze circa il passato, il
presente e il futuro.
La prospettiva temporale è ampia quando passato, presente e futuro sono
visti in interrelazione; è ristretta quando una persona si fissa su uno di
questi, vive uno dei tre momenti senza considerare gli altri due.
Al termine di questa disamina, possiamo completare il concetto di
mentalità.
La mentalità di un individuo è vista come una struttura d’insieme, come
una configurazione unitaria derivante dalle dimensioni descritte: le
credenze, il rapporto con l’autorità e la conseguente tolleranza o
intolleranza di essa, la dimensione temporale.
La loro combinazione porta alla strutturazione di due tipi fondamentali di
mentalità:
- la mentalità aperta, non dogmatica;
- la mentalità chiusa, dogmatica.
13. 14 La mentalità aperta
Nella formazione della mentalità individuale hanno un ruolo importante le
motivazioni riconducibili ai bisogni specifici che abbiamo illustrato.
Ci sono bisogno cognitivi, tesi a esplorare, a raccogliere informazioni, a
costruirsi una mappa della realtà esauriente da utilizzare come schema di
riferimento per comprendere il mondo e la collocazione di se stessi in esso.
Più forti sono questi bisogni, maggiore risulta la possibilità di contrapporli
a bisogni esterni contrastanti.
Aggiungiamo i bisogni difensivi, che ruotano attorno all’esigenza di evitare
quegli aspetti della realtà che possono creare ansia, che portano alla
disistima, che confondono anziché aiutare e chiarire.
L’immagine collegabile al concetto di mentalità è dunque quella di una
mappa nella quale si leggono:
- le conoscenze di una persona;
- le credenze;
- i ricordi;
- la concezione del passato;
- le aspettative future.
La mappa mentale che l’atleta si forma durante la sua attività sportiva è
supportata dal concetto che ha di se stesso, della realtà in cui opera, della
stima e della fiducia nelle proprie potenzialità atletiche e mentali.
In base alla sua mappa mentale, l’atleta in ogni momento dell’attività
compie certe operazioni mentali:
- valutare le alternative;
- orientarsi fra le possibili scelte;
- decidere il grado di attivazione;
- rapportarsi con il proprio compito atletico.
Per riassumere, gli elementi di una mappa mentale sono le conoscenze, le
credenze, la memoria, la concezione del passato, le aspettative future.
13.15 La mentalità vincente nello sport
La mentalità vincente nello sport è la mentalità aperta, che ha la tendenza
verso il successo in tutte le attività in cui si applica e in ogni stadio della
preparazione e della gara, che sa gestire i momenti fortunati e reagire a
eventuali insuccessi.
L’atleta in possesso di tale mentalità percepisce il legame tra corpo e
mente, avverte i segnali reciproci di disagio o di benessere, ha fiducia nelle
proprie capacità, ha un’aspettativa di auto-efficienza che lo rende capace di
fronteggiare gli stati di apatia e di ansia.
Altra caratteristica è una notevole forza di volontà, perseveranza e
risolutezza, unite al coraggio di accettare e intraprendere nuove strade e
alla determinazione a conservare i vantaggi ottenuti.
L’atleta con mentalità vincente vede la vita con la lente dell’ottimismo, sa
mettere a frutto i propri talenti, trasforma la motivazione verso il proprio
sport in entusiasmo che non si spegne alle prime difficoltà.
In questo, è aiutato da una grossa dose di creatività, intesa come sistema di
vita applicata ai settori della conoscenza, degli affetti e dei bisogni.
La visione vincente è propria dell’atleta che sa raggiungere la sua zona di
funzionamento fisico e psicologico ottimale per realizzare prestazioni
eccellenti. Questa consapevolezza non può riferirsi solo all’atleta, ma
riguarda una serie di elementi di contorno: lo staff, l’attrezzatura, le
istituzioni.
In sintesi, gli elementi della mentalità vincente nello sport sono: apertura
mentale, percezione corporea, motivazione e autostima, volontà, coraggio,
ottimismo, talento e creatività, senso di efficacia e successivo
funzionamento ottimale.
13.16 Vincere è un’attitudine
“Vincere è un’attitudine mentale”: questa frase campeggia sui giornali per
pubblicizzare un’attività nel settore sportivo e non si può non esserne
colpiti. Al di là dell’evidente effetto delle parole sull’immaginario
collettivo, dobbiamo dire che inducono a riflettere: sembrano quasi
sottintendere che esiste una predisposizione al successo che porta un
individuo verso la vittoria.
Che cosa si intende per attitudine?
E’ la potenziale capacità che rende l’individuo adatta a una determinata
attività. In genere, si rivela precocemente e viene prima
dell’apprendimento; ma se non si può esprimere, potrebbe non manifestarsi
per tutta la vita.
Oltre le attitudini fisiche, che comprendono capacità sensoriali e motorie
(precisione, resistenza, velocità di reazione, coordinazione del movimento)
, vanno considerate le attitudini psichiche (percezione, memoria,
ragionamento, elaborazione, comprensione).
Si ritiene che le attitudini siano determinate dalla combinazione di fattori
innati e fattori acquisiti; in particolare, che le attitudini di carattere
percettivo e motorio presentino una componente fortemente innata, mentre
le attitudini intellettive possano risentire maggiormente di opere di
apprendimento.
Possiamo chiederci: da che cosa è data l’attitudine al successo?
Quali elementi della personalità entrano in gioco?
Tale attitudine può essere sviluppata, e in che modo?
Quale significato dare alla parola “vittoria”?
13.17 La motivazione al successo
Ottenere una vittoria e raggiungere il successo vuol dire cogliere gli
obiettivi dell’azione intrapresa; tale risultato, qualunque sia la meta
raggiunta, incide positivamente sul comportamento futuro, sulla
motivazione e sulla personalità.
Il successo va inteso non in senso assoluto, non come portatore di fama
universale, ma riferito alla piena realizzazione delle proprie potenzialità, in
quello specifico evento.
E’ un successo vincere un campionato per un atleta professionista, è un
successo portare a termine un’impresa sportiva di minore importanza per
un amatore, è un successo anche solo migliorare le proprie prestazioni
precedenti.
Le persone con una forte motivazione al successo fanno poco conto sulla
fortuna e molto conto sui propri mezzi:
- conoscono bene le proprie potenzialità, sanno dove possono arrivare;
- seguono il proprio istinto facendosi guidare dalla loro vera natura;
- si comportano con umiltà e condividono con altri le esperienze;
- sono aperte a punti di vista diversi, che possono offrire nuovi spunti;
- non hanno fretta di raggiungere il traguardo finale, vivendo i traguardi
intermedi come importanti mete di avvicinamento.
13.18 Verso la mentalità vincente
Come si conquista la mentalità vincente?
L’itinerario che abbiamo svolto nei capitoli precedenti porta a delineare le
caratteristiche della mentalità vincente: autostima, motivazione, gestione
dell’ansia, attivazione, capacità di programmazione…
Nella nostra concezione, la mentalità vincente è correlata al benessere
psico-fisico. Il concetto di base è quello di mente e corpo collegati e di
forma fisica e mentale che vanno di pari passo. Naturalmente si sviluppano
abilità specifiche per ogni tipo di disciplina sportiva.
Un primo aiuto proviene dalla capacità di programmare nei minimi
particolari la preparazione psicofisica con obiettivi realistici, facilmente
raggiungibili, ma posti gradualmente sopra il massimo che si pensa di poter
realizzare.
Altro strumento è la tecnica di DISTENSIONE CORPOMENTE* , basata
sulla contrazione-distensione muscolare e sugli esercizi di respirazione. Si
formano le basi per l’allenamento ideomotorio e la rappresentazione
mentale del movimento.
In campo più strettamente psicologico, occorre ritrovare e mantenere
l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità, riscoprire e sviluppare il
talento che è in noi.
Un grande ruolo nello sport è ricoperto dalle motivazioni, dalla gestione
delle emozioni come la paura e l’ansia.
Per ottenere le “buone sensazioni” che garantiscono il rendimento
dell’atleta, occorre sviluppare, tra l’altro, la capacità attentiva e la
concentrazione; è importante inoltre saper fronteggiare la fatica fisica e la
fatica mentale.
ZOOM – Mentalità vincente di gruppo
SOGGETTI FATTORI
ATLETA Elevata motivazione ad allenarsi
Aspettativa di successo
Obiettivo adeguato e raggiungibile
ALLENATORE Grandi qualità di leader
Entusiasmo per lo sport
Attenzione alla personalità dell’atleta
ATTREZZATURA La migliore possibile
Sempre in ordine e pronta
Personalizzata
GRUPPO ATLETI Buon clima di gruppo
Disponibilità ad aiutarsi a vicenda
Soddisfazione collettiva per successi individuali
FAMIGLIA Sostiene la carriera sportiva
Fiducia nella Società Sportiva
Ambizioni adeguate alle reali capacità atletiche del
familiare
INTERESSI EXTRA L’interesse principale è lo sport
Se ci sono altri interessi, non interferiscono
La rinuncia agli interessi extra non è difficile
COMPETIZIONE Preparazione molto accurata della gara
Inizio positivo e soddisfacente
Non arrendersi alle prime difficoltà
TESTIMONIANZA - Il Cronoman
Un ciclista che merita una menzione speciale è il cronoman.
Essere un cronoman oggi per un professionista significa avere un valore
aggiunto. In più, dagli anni ’90 la crono è diventata determinante ai fini
della classifica generale nei grandi giri a tappe.
Cronometrista si nasce o si diventa?
Sicuramente qualche dote innata è necessaria, ma ultimamente si sono visti
esempi che mostrano ciclisti in grado di fare cose incredibili pur non
avendo né la struttura, né i trascorsi.
Il segreto è nella programmazione e nella cura dei dettagli, determinanti
più che in ogni altra specialità ciclistica.
In primo luogo bisogna trovare la bici giusta. Cioè deve essere: di misura
adeguata (a volte può essere di misura completamente diversa da quella da
strada, sia in lunghezza sia in altezza), di concezione recente (altrimenti è
meglio usare quella da strada) e con delle ruote performanti (una
lenticolare dietro è d’obbligo, mentre davanti dipende dal vento e
dall’abilità del ciclista).
Aerodinamica, sì, ma non solo. L’equazione perfetta risponde a questo
semplice calcolo:
Aerodinamica * Rendimento (Confort + Guidabilità + Facilità di
Respirazione) = Performance.
Per completare la programmazione mentale, prima della gara è bene
studiare il percorso. Per molti la cronometro non è un percorso da
“studiare”. Spesso si svolge in strade in pianura, senza curve e senza
grosse sorprese, ma è importante registrare lo scenario della prossima
azione.
Non basta. E’ importante annotarsi l’ora di partenza (magari
sincronizzando l’orologio con quello dell’organizzazione), controllare chi
partirà prima di noi e poi la direzione del vento e tutti gli agenti esterni che
possono favorire o sfavorire la prestazione.
Oltre alle specifiche qualità fisiche, la performance si può migliorare
curando alcuni aspetti di carattere psicologico. Innanzi tutto la capacità di
concentrazione, intesa come l’attenzione orientata verso informazioni e
sensazioni propriocettive, il controllo delle emozioni, l’attivazione del self
talk soprattutto prima della partenza, la persistenza della motivazione.
Infine, per essere veramente concentrati per la gara, è necessario
suddividere il percorso in tanti piccoli punti di riferimento. Tanti piccoli
traguardi.
Una casa, un cassonetto, un albero, una curva, ecc… l’importante è
circoscrivere lo sforzo in serie da 2/3 minuti l’uno. Al di là di quello che si
pensi, la cronometro non è per regolaristi. Chi va regolare finisce fuori
dalle prime quindici posizioni e, magari, dopo l’arrivo dice: “non sono poi
così stanco…” . Per fare la differenza bisogna andare oltre i propri limiti
e, per far sì che la testa sopporti quel tipo di fatica, bisogna trovare dei
metodi come quello descritto. Avere dei traguardi intermedi significa fare
delle progressioni al limite massimo del proprio sforzo ad ogni punto
prestabilito.
Può risultare davvero faticoso, ma è un metodo per spostare più avanti la
sopportazione del dolore. Come facevano i fachiri che si sdraiavano sul
letto di chiodi: un chiodo alla volta e… diventavano insensibili al dolore.
In fondo avrebbero anche potuto diventare ottimi atleti!
13.19 La prestazione eccellente
Quando un atleta ottiene un risultato buono, la sua prestazione sportiva
eccellente, che si colloca a un livello più elevato del suo solito, si dice che
ha realizzato una Peak Performance, alla lettera una prestazione ad
altissimo livello, un “picco”.
Questa eventualità si concretizza se l’atleta si trova in uno stato di forma
ottimale, se il suo corpo e la sua mente sono talmente integrati da tendere
all’unisono verso il top: si combinano quindi forma atletica, tecnica e
tattica con i processi psichici.
La Peak Performance è valutata in modo soggettivo, in relazione alle
individuali potenzialità. Si raggiunge principalmente quando si svolge
un’attività che piace, appagante, sorretta da una motivazione molto forte.
Le testimonianze di atleti di vario livello riportate in seguito a gare di
successo sono il risultato di riflessioni e di autoanalisi sul ruolo delle
proprie emozioni nello svolgimento delle attività. Una gara andata
particolarmente bene, un risultato positivo, un punteggio elevato sono tutti
elementi che si intrecciano uno con l’altro e formano la base della Peak
Performance.
Ma perché questa singolare condizione si avveri, occorre anche un ulteriore
elemento determinante: un particolare stato psicologico, il Flow.
Riassumendo, la Peak Performance è un picco di prestazione ottenuto con
stato di forma ottimale, integrazione corpo-mente e stato di flow.
TESTIMONIANZA - Momenti esaltanti
Le dichiarazioni che seguono sono testimonianze di momenti esaltanti
vissuti in gara e coronati da successi.
(Dalla stampa e da interviste dirette)
“Quando ti tuffi, ti sembra di avere il controllo totale sulle leggi della
fisica”.
“Sono salito in pedana convinto di poter giocare le mie carte”.
“Il sapore di un oro olimpico? Bisogna vincere per saperlo descrivere.
Posso solo dire che non cambierei la gioia di Sidney con dieci titoli
mondiali”.
Negli ultimi chilometri ero lucidissimo: sapevo di combattere una sfida fra
le mie possibilità e le difficoltà della gara, vedevo con la massima
chiarezza l’obiettivo: il traguardo, la vittoria. Ero come fuori dal tempo, in
uno stato di esaltazione totale: è stata un’esperienza molto appagante!” .
“Che finale, sembrava l’ultima pagina di un libro, i miei genitori erano lì,
io giocavo benissimo, un match perfetto. Anche se rivincessi, non potrei
mai riavvicinarmi a quella sensazione di completezza assoluta” .
13.20 Il funzionamento ottimale: IZOF
L’atleta che percorre l’iter giusto di allenamento è consapevole dei suoi
miglioramenti e sa gestire la sua attivazione, poiché si avvale anche di
strumenti psicologici come il consolidamento della propria autostima, la
frequentazione di tecniche di rilassamento, gli esercizi mentali, il dialogo
con se stesso a sfondo positivo e incoraggiante.
Solo dopo aver raggiunto la consapevolezza di essere in piena forma fisica
e psichica, può sentire di essere entrato nella sua zona di funzionamento
ottimale, indicata con la sigla IZOF (Individual Zone of Optimal
Functioning).
Si parla di uno stato non solo fisico, ma anche mentale che è stato studiato
secondo un modello e che parte da un’indagine su soggetti relativamente al
loro stato emozionale.
In primo luogo, l’atleta in situazione di rilassamento ricorda lo stato
emozionale in cui si trovava prima di una gara, richiamando le sensazioni
ed elencando le emozioni positive e le emozioni negative , per poi
valutarne l’intensità tramite un test di auto-valutazione.
E’ in grado di distinguere le emozioni, negative e positive, che favoriscono
la prestazione e anche le emozioni, negative e positive, che invece
interferiscono con la prestazione, limitandone il risultato o addirittura
impedendola. L’atleta ottiene così una mappa delle proprie reazioni
emotive riferite alle situazioni di vita personale e sportiva, con possibilità
di focalizzare l’attenzione sui propri punti forti e i propri punti deboli e
adottare adeguati correttivi.
ATTIVITA’ – Le fasi dell’IZOF
Leggi attentamente la premessa e prova ad applicare le fasi del metodo,
tramite la tua autoanalisi.
Con la sigla IZOF (Individual Zone of Optimal Functioning) s’intende un
campo di valori, cioè un insieme di livelli dell’ansia entro la quale la
prestazione è favorita e al di fuori dei quali invece la prestazione decade.
(Hanin)
Il modello IZOF permette di analizzare l’esperienza emozionale dell’atleta
nella sua prestazione sportiva e individuare le emozioni positive e negative
che la possono influenzare.
Quindi permette all’atleta di migliorare la sua consapevolezza nel
comprendere come le emozioni possono interagire con la sua prestazione
e, di conseguenza, consente di individuare le strategie per migliorare il
livello del gesto atletico e di mantenerlo stabile in situazioni diverse.
APPLICAZIONE
Il modello IZOF può essere applicato attraverso 3 momenti di valutazione
soggettiva:
1) RETROSPETTIVA: la valutazione retrospettiva riguarda l’ansia
provata in gare già disputate.
2) ATTUALE: la valutazione attuale riguarda i livelli di ansia colti
nell’immediato.
3) FUTURA: la valutazione futura si riferisce ai livelli di ansia previsti
per gare ancora da affrontare.
METODO
I FASE - L’atleta elenca le emozioni positive (es. gioia) e le emozioni
negative (es. paura) provate in situazioni passate di pre-gara. Costituisce
quindi la sua griglia di item personalizzati.
II FASE - L’atleta valuta l’intensità delle emozioni provate applicando una
scala da 0 (nessun segnale) a 10 (massimo di intensità) con una tappa
intermedia per il valore 5 (appena avvertibile).
III FASE - In seguito distingue le emozioni positive da quelle negative e
formula 4 classi di emozioni:
P+ emozioni posit
ive che favoriscono la prestazione.
N+ emozioni negative che favoriscono la prestazione
P- emozioni positive che interferiscono con la prestazione
N- emozioni negative che interferiscono con la prestazione.
IV FASE - Si passa poi alla valutazione funzionale da parte dell’atleta
riguardante l’impatto delle emozioni positive e negative che facilitano la
prestazione e quello delle emozioni positive e negative che limitano in
qualche modo la prestazione.
RAPPORTO EMOZIONI/INTERFERENZA
13.21 - L’esperienza del Flow
Secondo la definizione corrente, il Flow o flusso di coscienza corrisponde
allo stato psicologico ottimale, cioè a una sorta di stato di grazia in cui le
condizioni mentali sono le più favorevoli per ottenere una prestazione
ottimale.
La Psicologia dello Sport assume il modello del Flow per analizzare le
condizioni della prestazione eccellente, la Peak performance, durante la
quale un atleta si realizza sopra del suo standard abituale.
Quindi l’esperienza del Flow prepara la performance e genera la peak
performance.
EMOZIONI FAVORISCONO CONTRASTANO
Emozioni positive
(gioia
………………………….
………………………….
………………………….
……………………………….
……………………………….
……………………………….
Emozioni negative
(dolore, ansia
………………………….
………………………….
………………………….
……………………………….
……………………………….
………………………………
L’atleta che riesce a mantenere lo stato di Flow ha maggiori possibilità di
sfruttare al meglio le proprie potenzialità, sa mantenere il giusto equilibrio
tra le difficoltà del compito e le proprie abilità.
Se saprà analizzare il proprio vissuto durante le esperienze di flow, otterrà
informazioni utili per il proseguimento dell’allenamento proprio
monitorando la propria condizione psico-fisica in occasione di episodi di
così elevato e gratificante rendimento.
Consideriamo lo stato di flow come momento privilegiato di integrazione
fra mente e corpo; può essere necessario migliorare l’attenzione e la
concentrazione, oppure richiamare gli obiettivi o riformularli, sfruttare
meglio le tecniche psicocorporee che conosce, come la distensione, gli
esercizi di respirazione e di autostima.
Più il soggetto riesce a percepire e potenziare le condizioni di Flow,
tenendo conto delle condizioni dell'ambiente esterno e dei propri stati
psichici, maggiori saranno le probabilità di realizzare una prestazione
ottimale.
In seguito, il flusso è stato considerato la massima espressione
dell'intelligenza emotiva (Goleman).
TESTIMONIANZA – Il concetto di felicità
Mihaly Csikszentmihalyi è lo studioso di psicologia che ha “inventato” il
concetto di flow.
Ne descrive la nascita con parole molto coinvolgenti ed emozionanti.
Infatti dice di essersi interessato al concetto di felicità, ricordando che al
termine della seconda guerra mondiale le persone erano distrutte anche
psicologicamente. “Molti avevano perso i figli, altri tutti i loro beni”.
Tuttavia, pur fra tanto sfacelo, c’erano persone che erano riuscite a
mantenere intatto il loro coraggio, che continuavano ad aiutare gli altri e a
dare un senso alla propria vita. Ammirato da queste reazioni, da psicologo
si è dedicato a cercare di capire quale era il loro segreto: “…come si può
vivere la vita come un opera d'arte e non come una serie di risposte
caotiche ad eventi esterni".
Secondo lo studioso, ognuno è sempre alla ricerca della felicità e mette in
atto dei comportamenti per raggiungerla. Non sono i beni materiali e le
speciali opportunità che possono renderci felici, ma l’atteggiamento di
equilibrio interiore da mantenere nelle varie circostanze della vita.
13.21 Le condizioni del Flow
Comprendere il concetto di Flow acquista una rilevanza essenziale
nell’ambito dell’attività sportiva.
Sono state individuate le condizioni in base alle quali si realizza uno stato
di Flow.
- Bilanciamento tra sfida e capacità. Occorre impegnarsi in compiti né
troppo facili che annoiano, né troppo difficili che frustrano; il
bilanciamento consiste proprio in prestazioni che comportino una sfida e
che mettano a dura prova le proprie capacità
- Integrazione tra azione e consapevolezza .Sviluppare la massima
concentrazione e il massimo impegno: isolarsi dagli stimoli esterni.
Occorre una attività mentale molto disciplinata e l’applicazione massima
delle proprie capacità.
- Avere sempre chiarezza di obiettivi che si vogliono raggiungere. E’
necessario definirli con la massima precisione e tenerli presenti durante
l’esecuzione dell’attività.
- Effettuare un Feedback immediato e inequivocabile per renderci conto
se, e in quale misura, stiamo procedendo verso il nostro obiettivo. E’ bene
effettuare il feedback proprio durante l’esperienza di Flow, anche se ha
una durata breve poiché è contemporaneo all’azione.
- Si è parlato di concentrazione che deve essere totalmente rivolta al
compito. Il flow avviene nel “qui e ora”, con corpo e mente collegati per
fornire condizioni utili allo svolgimento dell’azione.
- Nel flow si mette in conto l’eventuale perdita di controllo, poiché ci si
immedesima talmente nel compito che non ci si preoccupa per l’eventuale
perdita di esso.
- Può riscontrarsi anche la perdita del senso di sé, nel senso non si agisce
per un pubblico di spettatori, ma solo per se stessi. Non c’è giudizio, non
c’è osservazione critica dall’esterno; solo noi siamo parte dell’azione,
siamo dentro al flow.
- Spesso avviene la perdita del senso del tempo. Il tempo vola via, scorre
senza essere percepito. Nel flow sembra che ci sia un’altra dimensione
temporale.
- L’esperienza del Flow è fine a se stessa (è autotelica) nel senso che chi la
prova è concentrato sulla realizzazione della attività stessa; prova inoltre
piacere nel momento in cui la fa, poiché la motivazione nasce da un
bisogno interiore e non da eventuali premi o riconoscimenti.
TESTIMONIANZA - Essere nel Flow
Sentivo di essere completamente coinvolto, focalizzato, concentrato.
Sapevo che l'impresa è fattibile e che le abilità che possiedo sono adeguate
allo scopo e saranno utilizzate al massimo ma non oltre (non c'è ansia né
noia).
Sentivo di essere fuori dalla realtà ordinaria, non avvertivo più i bisogni
fisici, non notavo più il passare del tempo (come quasi in "estasi").
Ero focalizzato sul presente ( nel "Qui ed Ora").
Avvertivo una grande chiarezza interiore, sapevo cosa è necessario fare e
in che modo.
Ero ottimista e mi dicevo: L'attività andrà bene.
Avvertivo un senso di "serenità": nessuna paura né difesa ; avevo la
sensazione di andare oltre e trascendere il mio ego, di fare parte di un
sistema più grande, di muovermi in armonia, come dentro una corrente, un
flusso inarrestabile.
Sentivo una motivazione intrinseca all'azione: lo stato di Flow era la
ricompensa.
TESTIMONIANZA - I ritorni
Con quale stato d’animo gli atleti tornano alle gare dopo un lungo stop?
Cosa li ha spinti ad allenarsi tutti i giorni con costanza, pur sapendo di
non poter partecipare ad alcuna competizione?
L’atleta è un uomo che non è maturato sulle esperienze adolescenziali e
post-adolescienziali. È il prodotto di continue pressioni e correzioni
comportamentali esercitate da un’entità astratta (chimerica) che è
rappresentata dal dover essere un atleta perfetto!
Un esempio esemplificativo sono le frasi ricorrenti: fare vita da atleti,
dieta da atleta, ecc …
Il ragazzino che segue questo ideale possiede una fede che può essere
invidiata da tutte le religioni, anche le più attiviste! L’abnegazione e i
sacrifici che vengono fatti sono spesso sorprendenti quanto, purtroppo,
inquietanti. La mancanza di esperienza scolastica (spesso) o lavorativa
(ancora più spesso) mette a rischio il ragazzo che non è in grado di
produrre, ma neanche di pensare, alternative di vita. L’atleta fermato da
una squalifica, come da un infortunio, vive questo momento come se fosse
invalido.
Si può parlare di un vero e proprio “lutto”, cioè dello stato psicologico in
cui viene a trovarsi la persona che subisce la perdita di un “oggetto”
significativo su cui ha investito gran parte del tempo, delle energie e delle
emozioni vissute fino ad allora.
Per un ciclista, non poter gareggiare o usare la bici vuol dire amputare il
suo unico modo di auto produrre benessere e soddisfazione. Se per qualche
motivo viene a trovarsi in tale situazione, c’è una vera e propria caduta
emotiva, di autostima e di motivazione.
Il ritorno può significare “rivincita”. Le motivazioni e la voglia di rivalsa
sono fortissime, ma il dispendio energetico a livello psico-fisico non può
essere considerato in secondo piano. Giorni e giorni passati ad
immaginarsi impegnati ad affrontare nuove imprese sportive, come il
pensare di affrontare l’impatto mediatico o dell’opinione pubblica portano
ad un lento logoramento che può essere alleggerito solo da chi può capire
questi stati d’animo. Per uscirne, occorre attivare un processo di
elaborazione con l’aiuto dello psicologo, la cui attività di counseling
risulta la più adeguata ed efficace; ma serve anche un ambiente familiare
stabile ed equilibrato che sostenga l’atleta, soprattutto come uomo,
evitandogli cadute depressive e autolesionistiche.
ATTIVITA’ - Descrivi la tua occasione di Flow
Occasione (data e descrizione) -
………………………………………………………….
Elementi presenti durante il flow e scala di autovalutazione da 0 (minimo)
a 10 (massimo)
0…………10
Ero consapevole dell’equilibrio tra sfida e abilità
(challenge - skill balance)
Ero consapevole dell’unione tra la mia azione e la
coscienza di quanto stavo facendo
Avevo sempre chiare le mete perseguite (clear goals)
Avevo un continuo feed back immediato
Mi sentivo concentrato
Avvertivo vigile il senso di controllo
Avvertivo la perdita di coscienza
Percepivo la trasformazione del tempo
E’ stata un’esperienza appagante
TESTIMONIANZA Esaltazione!
Sono partito alle 20,20.
Aria fresca, cielo terso!
Una tonnellata di stelle sopra.
Parto finalmente. Cauto e attento ai segnali.
Controllo respiro e battiti. Aumento.
Al 4° km viaggio a 4 e 20.
Nessun dolore. Solo scricchiolii di assestamento.
Mi sono imposto di non esagerare al 5° km. Torno.
Giro a ritmo di gara: 4 e 50/5 ma mi imballo.
Faccio fatica ad allungare il passo.
Mi controllo ma a stento. Sto bene.
Si fa buio. Tolgo il cappellino: ora vedo le stelle, tolgono il fiato.
Rispetto e ringrazio per lo spettacolo e allungo ancora! poi ancora!
4 e 20 4 e 10 e volata fino al cartello del paese!
Poi recupero e allungo ancora un po’.
Passo dal mare. In fondo, sull’acqua, una palla abnorme, arancio scuro…
E’ la luna che nasce dall’acqua…
Prima di staccarsi dalla linea dell’orizzonte, si allunga e sembra un fungo
sinistro.
Mi fermo. Registro l’attimo.
Poi scelgo la canzone per gli ultimi minuti.
Foofighers. Tre pretender.
4 e 30
4 e 20
4 e 10
Faccio il ponte e allungo ancora.
3 e 40
3 e 20.
Non sento le gambe né il respiro. Sono in flow!
Aumento e do tutto: 2 e 50!!
Poi rallento e torno sui 5.
Recupero. Stretching. Qualche dolore. Perfetto!
Questo sono io!
CAP. 14 I FATTORI PSICOLOGICI DELLA PERFORMANCE
“ Il linguaggio degli organi è una lettura dell’unità mente-corpo.
Il corpo è espressione visibile della mente,
la mente è espressione razionale del corpo.”
(Anna Zanardi, Il linguaggio degli organi)
14.1 I processi della mente
In premessa abbiamo evidenziato l’assunto di avere sempre presente che
prima dell’atleta c’è la persona, con la propria storia, la propria personalità,
la propria individualità. Lo riprendiamo ora per approfondire le modalità
relative ai processi mentali, comuni agli uomini nelle linee generali, ma
particolari come modalità soggettiva.
E’ un percorso psicologico affascinante nelle varie manifestazioni della
nostra mente che è costantemente all’opera per ricevere informazioni,
elaborarle, trasmetterle: è la base della conoscenza.
Gli psicologi Moates e Schumacher definiscono i processi cognitivi come
attività mentali che si manifestano nell’ambito della visione,
dell’attenzione, nel ricordo, nel linguaggio, nella soluzione di problemi,
nell’apprendimento delle abilità motorie; praticamente in ogni momento
della nostra vita in cui si rivela la nostra identità di uomini, qualunque
siano i nostri interessi, la nostra posizione, il nostro comportamento
individuale e sociale.
L’attività intellettiva presenta aspetti trasversali e interdisciplinari; si snoda
in un percorso unificatore che va da una prima percezione degli stimoli e
dalla focalizzazione dell’attenzione su quelli più stimolanti e significativi
all’immagazzinamento delle informazioni nuove, al recupero di quelle già
acquisite, onde fissarle nella memoria in modo permanente, alla formazione
dei concetti, alla soluzione di problemi, alla conquista delle abilità motorie
e linguistiche.
Ogni qualvolta affrontiamo una performance, questi processi si attivano; a
maggior ragione risultano importanti nel caso della performance atletica,
nella quale necessita un grado di attivazione particolarmente elevato,
preciso, efficace.
Posto che i processi cognitivi non sono meccanismi isolati e indipendenti,
bensì facenti parte di un tutto organico e interattivo fra loro e con
l’ambiente, per meglio conoscerli li analizziamo separatamente, con
particolare riferimento all’obiettivo di questo studio: vincere con la mente
nello sport e nella vita.
ZOOM - I processi dinamici
Oltre ai processi mentali che descriveremo ( e cioè la percezione,
l’attenzione, la memoria, la concettualizzazione, la problematizzazione, la
motoria, il linguaggio) abbiamo altri processi che non sono riconducibili a
processi fisiologici, ma che sono presenti nella conoscenza e nel
comportamento di una persona.
Pensiamo ai tanti elementi che formano la personalità di un individuo e la
distinguono dagli altri: sono i bisogni, le pulsioni, i legami affettivi, le
motivazioni.
Di tutti questi abbiamo ampiamente parlato, quindi rimandiamo ai capitoli
specifici.
Vogliamo però riprendere i concetti, inseriti nella tematica dei processi
mentali.
Consideriamo il bisogno come uno stato di tensione anche forte che
risponde a diverse esigenze fisiologiche e psicologiche, consce o inconsce,
che sono ritenute necessarie per autorealizzarsi.
Siamo anche soggetti a subire pulsioni che la psicoanalisi descrive come
stati di eccitazione verso un oggetto-meta da raggiungere o da soddisfare.
Anche il legame affettivo che si manifesta con l’attaccamento a una
persona, a un oggetto, a un ambiente diventa un processo mentale che trova
la sua forma principale nella diade figlio/madre durante l’infanzia del
bambino.
Appartengono a questa area le emozioni, intese come reazioni affettive a
stimoli particolarmente intensi, avvertibili anche grazie a modificazioni
psicosomatiche, come rossori, palpitazioni.
Abbiamo analizzato il concetto della motivazione nel capitolo dedicato;
ricordiamo qui il panorama delle motivazioni: possono essere consapevoli
o inconsce, semplici o complesse, fisiologiche, socioculturali,
psicologiche.
La motivazione verso l’autorealizzazione è una motivazione di carattere
superiore, ideale.
14.2 Il laboratorio della mente
Percezione, attenzione, memoria, concettualizzazione, soluzione dei
problemi, schemi motori, linguaggio: come detto, non sono elencati in
ordine di importanza poiché intervengono globalmente e spesso
simultaneamente; tuttavia proviamo a immaginare di selezionare ciascuno
di questi processi, come davanti a un computer, richiamiamo la griglia
corrispondente; apprestiamo le applicazioni adeguate, prepariamo gli
stimoli e le occasioni più consone allo sviluppo di ciascuna abilità.
Per rendere comprensibile tutto l’iter, usiamo l’immaginazione e la
creatività, per le quali siamo attrezzati con gli esercizi di visualizzazione.
SITUAZIONE: UNA GARA.
Tasto selezionato: PERCEZIONE
Scelta di alcuni campi di indagine.
Modalità percettiva utilizzata (vista, udito…).
Selezione degli stimoli e confronto con le informazioni da precedenti
stimoli percettivi.
Precisione, osservazione particolari, quadro d’insieme.
Tasto selezionato: ATTENZIONE
Grado di attenzione nelle varie fasi: partenza, svolgimento.
Modalità di scelta delle informazioni utili.
Tipologia di stimoli oggetto di attenzione: evidenti, nascosti, ripetuti,
contrastanti.
Tasto selezionato: MEMORIA
Successione delle condizioni che si presentano.
Particolari da ricordare: sequenza delle azioni, nomi, contatti in atto.
Capacità di collegamento con sensazioni precedenti.
Tasto selezionato: CONCETTUALIZZAZIONE
Elaborazione e verifica del contesto.
Rapporti di causalità (se succede questo, allora mi comporto in questo
modo).
Lucidità in fase di verifica.
Capacità di giudizio.
Feedback (se avessi agito in altro modo… se avessi avuto altre
possibilità…).
Tasto selezionato: PROBLEMATIZZAZIONE
Problemi da risolvere per avere una buona prestazione.
Natura dei problemi, fisica, psicologica, pratica.
Come li risolvo o come altri li risolverebbero.
Come spiegare la natura dei problemi per ottenere aiuto.
Tasto selezionati: SCHEMI MOTORI
Livello di preparazione fisica.
Capacità di orientarsi temporalmente.
Orientamento spaziale: conoscenza e analisi del percorso.
Definizione degli schemi motori nelle fasi della performance.
Tasto selezionato: LINGUAGGIO
Immaginazione della “trama” della gara.
Comprensione del contesto.
Reazione a stimoli verbali e non verbali.
Come esprimersi: verbalizzazione razionale dei pensieri, delle aspettative,
dei vissuti.
ATTIVITA’ – Diario di un evento
Scegli un evento recente e descrivilo seguendo lo schema delineato nel
paragrafo precedente.
Può essere un momento della tua attività sportiva, come una seduta di
allenamento o lo svolgimento di una gara, oppure un viaggio, una gita, una
visita ad amici; o ancora una situazione lavorativa.
Sforzati di applicare le varie operazioni mentali al contesto che scegli.
1) Momento della percezione
…………………………………………………………………………………………
………………………………………….
2) Particolari attenzioni riservate
…………………………………………………………………………………………
………………………………………….
3) Ricordi che sono scaturiti
…………………………………………………………………………………………
………………………………………….
4) Concetti, pensieri e giudizi
…………………………………………………………………………………………
………………………………………….
5) Problemi da risolvere e risolti
…………………………………………………………………………………………
………………………………………….
6) Abilità motorie e modalità di attivazione
…………………………………………………………………………………………
……………………………………………
7) Linguaggio e comunicazione
…………………………………………………………………………………………
…………………………………………..
14.3 I processi mentali: Percezione e attenzione
Nel capitolo precedente, abbiamo illustrato i fattori della percezione come
processo attraverso il quale raccogliamo gli stimoli che ci giungono.
Nel momento in cui percepiamo, attiviamo anche un’altra operazione
mentale: l’attenzione. Come prima condizione per un qualsiasi
apprendimento, sia esso cognitivo o motorio, questi due processi si
integrano a vicenda e costituiscono la base per i mattoni della memoria.
Le vie sensitive preposte alla percezione hanno il compito di attivare la
sensibilità, cioè quello di registrare gli stimoli di natura diversa, che
possono derivare dal proprio interno o dall’ambiente: le informazioni
raccolte da cellule speciali, i recettori, sono convogliate verso il Sistema
Nervoso Centrale.
Le vie sensitive si distinguono in:
- vie sensitive speciali, che sono responsabili della sensibilità visiva,
acustica, olfattiva, gustativa e dell’equilibrio;
- vie sensitive somatiche, collegate alla sensibilità generale della cute e
degli organi dell’apparato locomotore e quindi ai muscoli, ai legamenti e
alle articolazioni; sono responsabili dell’esecuzione dei movimenti
volontari, che possono anche essere ripetitivi, per i quali intervengono i
neuroni generatori di schemi motori;
- vie sensitive viscerali, che sono responsabili della sensibilità generale dei
visceri, dell’apparato gastro-intestinale.
La tabella illustra i tipi di sensazioni, le varie modalità sensoriali, che
possono essere coscienti o incoscienti, e gli organi corrispondenti.
ZOOM – La sensibilità
TABELLA – TIPI DI SENSAZIONI
Tipi di sensazioni Modalità sensoriale Organi innervati
Coscienti
somatiche
Telecezione Organi di senso
specializzati.
Occhio, orecchio
Esterocezione Cute, territorio
nervo trigemino
Propriocezione Muscoli,
articolazioni
Coscienti viscerali Enterocezione(viscerocezione) Visceri
Incoscienti
somatiche
Propriocezione Muscoli,
articolazioni
Incoscienti viscerali Enterocezione(viscerocezione) Visceri
(Cozzi, Granato, Merighi. Neuroanatomia dell’uomo)
14.4 L’attenzione
In ogni momento della nostra vita riceviamo un numero infinito di
informazioni elementari; i nostri organi sono costantemente all’opera per
recepirle, ma è anche necessario filtrarle; a questa operazione provvede
l’attenzione.
William James, lo psicologo statunitense, scriveva nel 1890:
“Ognuno di noi sa cosa è l’attenzione. Essa è il prendere possesso con la
mente, in maniera chiara, di uno tra tanti possibili oggetti o treni di pensieri
che ci si presentano simultaneamente. Le capacità di focalizzazione o di
concentrazione sono la sua essenza. Essa implica la distrazione verso
alcune cose per confrontarsi in modo efficace con altre. E’ il reale opposto
dello stato confusionale.”
L’attenzione ( da attendere, tendere verso… rivolgere l’animo …) è il
processo di scelta dei compiti su cui concentrare l’attività mentale, è la
capacità di focalizzare gli stimoli e di selezionare le informazioni utili in
base ai bisogni, alle aspettative; si orienta sulle valenze, positive o
negative, che lo stimolo riveste per i propri interessi.
L’attenzione può essere promossa da stimoli provenienti dall’esterno,
oppure da stimoli interni.
Riflettiamo su alcune situazioni quotidiane: durante una conversazione in
un ambiente rumoroso, isoliamo la voce di chi parla con noi, ignorando le
altre; alla stazione, ascoltiamo gli annunci relativi alle partenze dei treni,
pur nel rumore diffuso; in campo, durante una partita, sentiamo la voce
dell’allenatore sopra tutte le altre e gettiamo un’occhiata veloce al tabellone
con i risultati, evitando tutti gli altri numerosi stimoli visivi; durante una
gara ciclistica recepiamo l’incitamento di una voce familiare fra la folla.
Con un procedimento simile alla messa a fuoco, l’oggetto dell’attenzione,
una volta scelto, appare più evidente, più chiaro, più definito nei particolari.
L’attenzione viene attirata da stimoli intensi che vengono ripetuti più volte,
che non sono uniformi e usuali, che sono portatori di novità, di contrasto, di
conflitto.
In questo campo si aprono molte strade di ricerca: le informazioni che non
vengono considerate o scelte si perdono o vengono accantonate per essere
in seguito elaborate?
In quale momento avviene la prima selezione? Quanto incide il tipo di
compito da svolgere?
Qual è il rapporto tra attenzione e obiettivi da raggiungere?
Si comprende quale rilevanza assuma lo sviluppo della capacità attentiva in
fase di allenamento di un atleta, specialmente giovane, nella successiva
condotta di gara e, soprattutto, nell’apprendimento degli schemi motori.
All’attenzione è collegata la capacità di immagazzinare le informazioni nei
depositi della memoria per un breve periodo oppure a lungo termine,
influenzando così l’efficienza della vigilanza durante le prestazioni.
ZOOM - Lo stile attentivo
Per studiare e migliorare lo stile attentivo sono stati individuate alcune
procedure:
- la verbalizzazione, in base alla quale ogni individuo si rende disponibile
a descrivere le sue abitudini relative ai momenti in cui necessita
particolarmente di fare attenzione in ciò che si sta facendo;
- l’analisi del comportamento attentivo e l’autovalutazione in situazioni di
vita quotidiana, anche con l’uso di test specifici.
In campo sportivo si studiano tipo e grado di attenzione inerente alle
caratteristiche delle varie discipline.
Per la valutazione dello stile attentivo viene usato il TAIS, il Test di Stile
Attentivo e Interpersonale, inventato dallo psicologo Robert Nideffer
osservando le prestazioni di atleti di alto livello in fase di Peak
Performance; il test è composto da 144 item strutturati in modo da
verificare la percezione immediata dell’ambiente, l’abilità di analisi e la
capacità di perseguire i propri obiettivi.
Le voci principali delle scale del TAIS sono:
- la consapevolezza dell’ambiente esterno e l’abilità a comprendere ogni
tipo di segnale;
- la formazione di concetti e la risoluzione dei problemi;
- la focalizzazione di un dettaglio e la concentrazione su di esso;
- il grado di distraibilità dall’esterno e dall’interno;
- la flessibilità creativa.
Il test inoltre, se usato correttamente, apre una finestra su alcune abilità
interpersonali, quali l’impulsività, l’autostima, la decisionalità, la tendenza
all’estroversione o all’introversione.
ATTIVITA’ - Valutazione dello stile attentivo
Leggi attentamente le affermazioni e descrivi le tue convinzioni e i tuoi
comportamenti graduandoli da 0 ( per niente) a 4 (al massimo).
Considera poi i punteggi finali per ciascuna sezione per verificare qual è il
tuo stile attentivo predominante.
BET (Focus attentivo esterno ampio)
1 - Sono bravo all’analizzare rapidamente situazioni
complesse come ad es. lo svolgimento della gara in
gruppo (tattica, fuga, volata...)
0 1 2 3 4
2 - In gruppo in gara, mi rendo conto di ciò che ognuno
sta facendo
0 1 2 3 4
Totale BET ………………..
OET (Sovraccarico di stimoli esterni)
1 - Quando la gente mi parla, mi scopro distratto dai
suoni e dalle cose che mi circondano
0 1 2 3 4
2 - Mi confondo quando cerco di seguire attentamente
attività complesse dove accadono molte cose
contemporaneamente
0 1 2 3 4
Totale OET ………………..
BIT (Focus attentivo interno ampio)
1 - Mi bastano poche informazioni per elaborare un
gran numero di idee
0 1 2 3 4
2 - Mi risulta facile associare tra loro idee appartenenti
a diversi campi
0 1 2 3 4
Totale BIT ………………..
OIT ( Sovraccarico di stimoli interni)
1 - Quando la gente mi parla, mi scopro distratto dai
miei pensieri e dalle mie idee
0 1 2 3 4
2 - Ho talmente tante cose in testa che mi confondo e
divento smemorato
0 1 2 3 4
Totale OIT ………………..
NAR ( Focus attentivo ristretto)
1 –Mi riesce semplice impedire ai miei pensieri di
interferire con ciò che sto ascoltando o guardando
0 1 2 3 4
2 –Mi riesce semplice evitare che suoni e immagini
interferiscano con i miei pensieri
0 1 2 3 4
Totale NAR ………………..
RED ( Focus attentivo ridotto)
1 – Trovo difficoltà a sgombrare la mia mente da un
pensiero o da un’idea
0 1 2 3 4
2 - In gara, commetto degli errori perché mi metto ad
osservare un solo atleta e dimentico gli altri
0 1 2 3 4
Totale RED ………………..
Nome e Cognome ________________________________ Data __
Attività
____________________________________________________________
_
14.5 Tipi di attenzione
Dobbiamo convenire che possediamo una caratteristica molto utile, anche
se frustrante per il nostro ego: esiste un limite al numero di ciò che
possiamo fare simultaneamente. Naturalmente questo varia da persona a
persona e anche da momento a momento della vita. Troppi stimoli
impediscono un buon svolgimento delle azioni che stiamo compiendo;
dobbiamo fare delle scelte, eliminare, ad esempio, la telefonata al cellulare
se siamo in bicicletta in una strada trafficata per non rischiare di cadere.
La scelta dei compiti su cui fissarsi è la chiave del concetto di attenzione e
della molteplicità delle sue manifestazioni.
Riscontriamo un’attenzione spontanea, o involontaria, quando siamo
richiamati da uno stimolo forte verso il quale orientiamo la nostra mente
senza alcun sforzo. Possiamo invece controllare volontariamente la
direzione della nostra attenzione verso l’oggetto o la situazione motivante.
Abbiamo già presentato la necessità di una scelta, alla quale provvede
l’attenzione selettiva, che è rivolta verso un aspetto specifico, che richiede
concentrazione e che dà luogo a comportamenti efficienti e a rapidità di
reazione.
Numerosi studi dedicati agli aspetti dell’attenzione selettiva hanno
individuato il così detto fenomeno del cocktail party, cioè della situazione
in cui una persona è immersa in una situazione comunicativa in cui sono in
tanti a vociferare, come in una festa; in tali contesti, pur frastornati, siamo
in grado di sentire se qualcuno dice il nostro nome.
A tutti è capitato almeno una volta nella vita di non aver prestato la dovuta
attenzione, con conseguenze più o meno gravi.
I disturbi più frequenti sono:
- la disattenzione, che è un fenomeno temporaneo, dovuto a stanchezza
fisica o mentale;
- la distrazione, che si verifica quando si è attratti da stimoli estranei a ciò
che si sta facendo in quel momento; ad esempio, se stiamo per effettuare un
lancio a canestro e siamo distratti da uno stimolo disturbante dal pubblico,
oppure se siamo immersi in fantasticherie e sbagliamo strada a un incrocio;
- quando invece la distrazione diventa uno stato usuale con tendenza a
ripetersi in ogni momento e in ogni situazione, allora parliamo di
condizione di distraibilità costante.
TESTIMONIANZA – Il mio stile attentivo
Ho avuto modo di verificare la mia capacità di attenzione con un test. E’
importante per me abituarmi a fare più attenzione quando gareggio.
Io faccio motociclismo ed è importante rimanere attento per tutta la gara.
Invece mi distraggo e faccio errori banali.
Ho tutta una serie di piccoli gesti da fare ogni volta che mi preparo a
prendere una curva, non devo sbagliare niente.
Il risultato del test mi ha fatto riflettere e modificare alcune abitudini.
Credo di essere molto bravo ad adeguarmi a nuove situazioni, come un
cambiamento di situazione meteorologica o nelle volate di gruppo.
Riesco anche bene a mettere in secondo piano i miei pensieri quando devo
concentrarmi su qualcosa del mio sport.
Ho capito però che mi danno fastidio tante cose dette insieme o tante cose
che devo fare, quando ho tutte queste idee in testa vado in confusione, mi
dimentico la metà delle cose che devo fare; se le faccio controvoglia, le
faccio male, senza attenzione…
(Un motociclista)
14.6 La capacità attentiva nello sport
Abbiamo rilevato che percepiamo molte informazioni, ma non di tutte
possiamo essere coscienti contemporaneamente. Viceversa, a volte siamo
colpiti da input a livello inconscio che ci influenzano, senza che noi ne
siamo consapevoli.
Su questo fenomeno si basa, ad esempio, la pubblicità con immagini che
appaiono e scompaiono subitaneamente o con segnali acustici al di sotto
della soglia uditiva: sono i così detti “stimoli subliminali”.
Nell’attività sportiva, in situazione di gara, ai blocchi di partenza, in campo
per una partita, al via di una corsa, l’atleta percepisce voci, rumori, musiche
, ma apparentemente non ci fa caso.
E’ provato che selezioniamo le informazioni con l’attenzione rivolta ai
particolari che in quel contesto ci interessano, ma in realtà teniamo aperto
anche un secondo canale per cogliere “lo sfondo” le cui caratteristiche
unitarie possono emergere alternativamente .
Oltre alla vigilanza dovuta all’attenzione prestata in allenamento, in gara,
in ogni momento dell’attività sportiva, consideriamo la regolazione motoria
di anticipazione del movimento.
Facciamo l’esempio del tennis da tavolo nel quale la velocissima messa in
atto del comportamento da attivare deve avvenire prima che il giocatore
possa iniziarla coscientemente: in questo caso entra in azione anche un
processo pre-attentivo che è determinante per la riuscita del movimento
successivo.
Il meccanismo descritto si ritrova in molte discipline sportive, come nel
tennis, nella boxe, nella lotta, nel karate.
Studiare e conoscere i meccanismi dei processi dell’attenzione, accrescere
le capacità attentiva rientra nelle voci dell’allenamento tecnico-tattile e
psichico ai fini del successo nella prestazione.
Alcuni test per valutare l’attenzione sono:
- Test di vigilanza, cioè di reazione rapida a uno stimolo dato, considerando
i tempi di reazione semplici e i tempi di reazione a scelta continua.
- Test di attenzione: accoppiamento segno-numero, test delle matrici, test
des deux barrages, apprendimento motorio invertito.
ATTIVITA’ – Prova la tua attenzione
Puoi valutare il tuo grado di attenzione con semplici esercizi.
Considera queste situazioni e rispondi alle domande.
1) Sei in un luogo affollato, in un’ampia sala.
Gira lo sguardo tutto intorno. Che cosa noti per primo? Descrivilo.
a) Un particolare ………………………………………………………………….
b) Il quadro d’insieme
………………………………………………………………….
c) Il colore di un
oggetto….………………………………………………………………
d) Il colore dominante
…………………………………………………………………
e) Una voce o un suono
………………………………………………………………….
f) Il rumore diffuso
……………………………………………………………………
(Le domande a,c,e si riferiscono all’attenzione selettiva, mentre b,d,f
all’attenzione globale.)
2) Posa gli occhi su un’area ben delimitata, una scrivania, una tavola
imbandita, una vetrina.
Distogli poi lo sguardo e cerca di ricordare quali e quanti oggetti hai
notato. Scrivili.
……………………………………………………………
……………………………………………………………
……………………………………………………………
…………………………………………………………
……………………………………………………………
…………………………..……………………………….
Poi riguarda l’area che avevi osservato e controlla il tuo risultato.
Quanti oggetti hai ricordato?
Quanti oggetti non avevi notato prima?
ATTIVITA’ – Verifica la tua attenzione selettiva
Puoi svolgere questo esercizio in qualsiasi luogo e situazione in cui ti trovi.
Guarda intorno a te…
Fra tutto ciò che vedi, nota le cose di un certo colore, ad esempio il verde.
Guarda bene, cerca ancora…
Ora chiudi gli occhi e ricorda gli oggetti verdi che hai notato.
Elencali mentalmente.
Sempre a occhi chiusi, cerca di ricordare se hai visto cose di un altro
colore… ad esempio, del colore rosso.
Elencale mentalmente… pensaci bene.
Riapri gli occhi e controlla le cose rosse che sono presenti…
Forse sono di più di quelle che ricordavi, forse non le avevi nemmeno
notate…Ne scopri delle nuove di colore rosso…
Questo semplice esercizio fa capire quanto la nostra attenzione possa
essere selettiva o superficiale, condizionata dall’interesse del momento;
sarebbe da eseguire giornalmente per allargare la tua capacità attentiva.
ZOOM – La fisiologia dell’attenzione
Leggiamo nel Dizionario di Biologia che alcuni studiosi hanno scoperto
che c’è un’area del cervello nella quale avviene la facalizzazione
dell’attenzione visiva, dove le informazioni ricevute vengono elaborate.
Si tratterebbe del lobo frontale destro, noto come Frontal eye fields,
responsabile anche per i movimenti oculari.
Nella mappa di Brodmann, il neurologo tedesco a cui si deve la
suddivisione delle aree della corteccia cerebrale, è collocato nell’area n.8.
Gli stimoli sensoriali sono trasportati al cervello mediante vie neuronali
che passano dal sistema reticolare e poi sono dirette al talamo.
E’ proprio da queste strutture che il segnale viene inviato alla corteccia
prefrontale, che sembra svolgere una funzione rilevante per l’attenzione.
14.7 La concentrazione
Collegato all’attenzione è il concetto di concentrazione che si può definire
come un’attenzione orientata verso particolari informazioni, eventi,
sensazioni. L’etimologia del termine riporta al significato di centro nel vero
senso della parola (dal greco kéntron, pungiglione e poi punto centrale di
un circolo).
Concentrarsi comporta organizzare i contenuti della realtà e destinare le
proprie energie cognitive, emotive, pratiche verso un punto ristretto.
Riuscire a farlo fa parte delle condizioni essenziali di ogni attività: studio,
sport, lavoro. Il livello di concentrazione può dipendere da fattori di
carattere fisiologico e anche psicologico.
Abbiamo difficoltà a concentrarci se siamo troppo stanchi o nervosi, se
siamo in preda a emozioni, se stiamo vivendo una particolare situazione
personale.
In questi casi, viene a mancare l’interesse per ciò che stiamo facendo,
abbiamo scarse motivazioni per impegnarci, cadiamo in stati di incertezza,
insicurezza, ansia, instabilità emotiva: tutte condizioni che contrastano con
la natura della concentrazione.
Come fare a evitare la dispersione o la stasi dell’attività e delle idee?
In primo luogo, occorre saper distogliere l’attenzione da elementi esterni e
abituarsi ad ascoltare se stessi.
Abbiamo detto “distogliere l’attenzione” che apparentemente suona come il
contrario di quello che si chiede di fare, cioè orientare l’impegno verso un
compito preciso. Ma ribadiamo che è proprio necessario fare prima il
vuoto, cancellare dalla lavagna mentale ogni frase scritta; è solo nello stato
di silenzio mentale che riusciamo a sentire noi stessi, i nostri bisogni, le
nostre motivazioni, la fiducia nelle nostre possibilità.
Quali sono, in sintesi, i maggiori impedimenti alla concentrazione?
Sono tutti i conflitti da sciogliere:
- i conflitti emotivi;
- i conflitti tra potere e volere;
- la contrapposizione tra desiderio di autonomia e bisogno di dipendenza;
- lo stato di carenza e di abbandono di motivazioni e di interessi, che
impegna molte delle nostre energie e sottrae potenziale di attenzione;
- l’ansia e lo stress;
- la mancanza di tempo;
- l’indulgere in lamentazioni continue;
- non saper vivere nel presente, ma restare ancorati al passato o proiettati
verso impegni futuri;
- la stanchezza fisica che si trasforma in stanchezza mentale;
- l’atteggiamento teso a volere tutto e subito;
- la mancanza di pazienza nel creare le condizioni ottimali per perseguire
un risultato;
- non saper reggere alle frustrazioni di un risultato parziale poco
soddisfacente;
Coltivare la capacità di concentrarsi presuppone un allenamento, come per
qualsiasi altra conquista; è necessario tenere sempre la mente pronta a
individuare ostacoli e rimuoverli.
L’atteggiamento positivo è dato dalla fiducia nelle proprie potenzialità,
dalla volontà di non essere apatici e succubi delle circostanze, dal pensiero
dominante di poter trasformare una situazione che si presenta come ostile
in un’occasione favorevole: in ultima analisi, si assume una mentalità
vincente.
ZOOM – Misurare la concentrazione
I vari livelli di concentrazione si possono misurare tramite dei test,
effettuati in particolari condizioni di calma individuale e ambientale.
Ricordiamo il test di Pauli, che consiste in prove di operazioni aritmetiche
da eseguire in un determinato tempo (ad esempio, eseguire addizioni e
sottrazioni).
Si usano anche dei test di cancellazione, ad esempio cancellare delle
lettere contrassegnate.
Altre prove sono compiti di selezione, in cui occorre scegliere e ordinare
dei dati in classi.
Occorre precisare che tali prove non misurano la concentrazione in
situazioni di vita quotidiana, nel traffico, durante una gara sportiva,
nell’ambiente di lavoro, e neanche quanto stabile nel tempo sia la facoltà
della concentrazione.
ATTIVITA’ – Dirigi la tua mente
Assicurati di non essere disturbato durante l’esercizio (niente telefonate,
niente musica, nessuna presenza attorno a te).
Fai un profondo respiro… ancora uno… ancora un altro…
Chiudi gli occhi e immagina di avere davanti a te solo una lavagna nera…
Quando questa immagine si è formata nella tua mente, immagina di
prendere un gessetto e di scrivere una lettera dell’alfabeto, con il carattere
che vuoi… stampato, corsivo…
Scrivi la lettera che desideri…
Fissala per un attimo… poi cancellala…
Ora hai di nuovo la lavagna nera davanti… fissala ancora…
Scrivi la stessa lettera e fissala per un attimo…
Cancellala e hai di nuovo la lavagna nera…
Continua così, alternando mentalmente l’attenzione sulla lettera scritta e
sulla lavagna nera…
Alterna l’atto di scrivere all’atto di cancellare.
Continua l’esercizio fino a quando ti riuscirà agevole.
Puoi scrivere anche cifre sulla “lavagna mentale”
Puoi anche immaginare disegni semplici, linee, figure…
Puoi eseguire l’esercizio anche fissando un oggetto, poi chiudi gli occhi
contando fino a tre, poi rifissa l’oggetto e chiudi di nuovo gli occhi,
facendo una pausa fra le due azioni.
P.M. Questo esercizio rafforza il potere di concentrazione; all’occorrenza,
puoi dirigere la mente e renderla flessibile, dare ordini alla tua attenzione.
TESTIMONIANZA -Filosofia di allenamento
Il ciclismo è uno sport complesso e l’allenamento richiesto è simile a
quello di un decatleta: richiede potenza e agilità, forza resistente e forza
esplosiva, resistenza alle alte velocità e resistenza da passista, scatto,
accelerazione e fondo…!
La mia filosofia di allenamento?
Parto dal presupposto che l’allenamento è uno stimolo. È un messaggio
che inviamo al nostro corpo: devi poter sostenere questo! Si possono
suddividere gli allenamenti specifici in tanti micro settori.
- Allenamento come concentrazione: i grandi riescono ad estraniarsi
dall’ambiente e da chi hanno vicino e riescono ad allenarsi secondo le
loro sensazioni. E’ l’allenamento basato sull’ introspezione.
- Il recupero: far diventare gli stimoli occasioni di
accrescimento…altrimenti è distruzione! Capire gli stadi del recupero deve
essere alla base di ogni sforzo fisico.
Un vecchio ciclista diceva ai giovani: allenati finché non stanchi la
bicicletta. Per dire che non è mai abbastanza … era un grandissimo
preparatore di sé stesso … riusciva ad allenarsi di più proprio del periodo
in cui gli altri cominciavano a perdere colpi…!
Ricordo altri esempi: qualcuno si preparava molto bene in anticipo
sull’inizio della stagione. Quando cominciava ad andare forte, faceva i
test su una salitella durissima… lottavamo per stargli a ruota!!!
Un altro era anche capace di fare 7 ore senza nemmeno la borraccia per
bere! Ho visto anche chi era capace di fare 7/8 ore di allenamento tutti i
giorni per una settimana, mangiando solo una mela come pranzo … la
cosa buffa era quando, intenzionato a rendere l’allenamento lungo un po’
meno noioso, gli raccontavo qualche barzelletta e lui mi diceva:” solo una
che dobbiamo lavorare!” … Un vero e proprio cyborg!
In realtà ho imparato a selezionare meglio il tempo dell’allenamento e ho
riscoperto l’introspezione e la concentrazione. Il tempo a disposizione è
quello che è e bisogna cercare di ottimizzarlo cercando di fare il più
possibile, senza esagerare con l’intensità e con i tipi di allenamento.
Il frequenzimetro, l’SRM sono tutti oggetti che possono aiutarti a capirti,
ma non possono darti gli stimoli.
La tabella d’allenamento deve essere filtrata dalla predisposizioni del
nostro corpo e della nostra mente verso a quel lavoro …infatti la
motivazione è il fattore aggiuntivo per l’allenamento.
ATTIVITA’- Valutate la vostra concentrazione
Istruzioni : chiedete ad un amico di cronometrarvi per 3 minuti.
Durante questo tempo, iniziando dalle cifre 00, mettete un segno sui
numeri consecutivi, seguendo l’ordine di seriazione (00. 01.02...)
Segnate qui il numero a cui siete giunti dopo il tempo assegnato. _____
84 27 51 78 59 52 13 85 61 55
28 60 92 04 97 90 31 57 29 33
32 96 65 39 80 77 49 86 18 70
76 87 71 95 98 81 01 46 88 00
48 82 89 47 35 17 10 42 62 34
44 67 93 11 07 43 72 94 69 56
53 79 05 22 54 74 58 14 91 02
06 68 99 75 26 15 41 66 20 40
50 09 64 08 38 30 36 45 83 24
03 73 21 23 16 37 25 19 12 63
Nome e Cognome ________________________________________
Attività ___________________________ Data ________________
14.8 I processi mentali: La memoria
“Devo imparare a memoria una poesia, le tabelline, l’elenco dei nomi dei
nervi cranici…”.
Quante volte, a scuola, siamo stati alle prese con l’apprendimento forzato
di una materia; c’è chi ha facilità, chi invece fa fatica a ricordare. La
memoria è un processo cognitivo molto complesso e molto studiato.
Molte e diverse sono le sue definizioni. Leggiamo che la memoria è una
funzione psichica che riproduce nella mente un'esperienza passata
(immagini, sensazioni, informazioni), le riconosce e le localizza nel proprio
vissuto.
L’etimologia del termine, dal latino memor, ha antiche testimonianze nel
sanscrito, dalla radice “smer” cioè ricordo, e anche col significato di amore,
di cura e sollecitudine, fino ad affanno, martire, testimone, colui che
rammenta.
Quale che sia l’approccio teorico allo studio della memoria, questa facoltà
ci permette di conservare le tracce e di ricordare ciò che siamo, che
pensiamo, che facciamo.
La capacità della memoria ci permette quindi:
- di crearci un’identità;
- di ricordare nomi, eventi, immagini;
- di formare concetti;
- di parlare, di produrre frasi e discorsi;
- di apprendere e capire una lingua.
Ma anche questa facoltà non è infinita: l’estensione della memoria umana è
limitata, dipende dalla facilità o dalla difficoltà di un compito, dalla
familiarità o meno di un’informazione che vogliamo ricordare.
Abbiamo provato tutti, almeno una volta nella vita, che la memoria può
giocare brutti scherzi:
- prima di affrontare un esame, ci sembra di avere un vuoto di memoria…
- abbiamo una parola sulla punta della lingua, ma non viene…
- crediamo di aver terminato un compito, ma siamo stati distratti da altro…
Gli studiosi parlano di memoria temporanea e memoria permanente.
Per quanto attiene alla memoria temporanea, siamo aiutati dalla capacità di
operare raggruppamenti e di ripetere per fissare un’informazione;
ricordiamo più facilmente un numero di telefono o una targa raggruppando
le cifre a due o a tre; di fronte a una serie di movimenti da ricordare o da
riprodurre in sequenze, formiamo dei “treni” di azioni creando
collegamenti fra loro (come nel caso di apprendimento di sequenze motorie
nella danza classica, nella ginnastica, nel pattinaggio artistico).
La memoria permanente si forma principalmente in base a due tipi di
processi:
a) prima immagazziniamo le informazioni;
b) in seguito le recuperiamo ogni volta che si presenta il bisogno per una
nuova conoscenza, per un consolidamento. Una volta acquisite, le strutture
mnestiche restano fissate nella mente e possono essere richiamate per
essere rielaborate e riutilizzate.
Ricordiamo meglio gli eventi piacevoli che quelli spiacevoli; inoltre se
sono emotivamente neutri, poiché quelli che hanno generato ansia sono
soggetti a essere relegati nell’amnesia.
In campo sportivo, verifichiamo che molte abilità motorie, una volta
apprese e consolidate, restano fissate: non disimpariamo di andare in
bicicletta o di nuotare anche col passare del tempo o col progredire dell’età.
14.9 Gli studi sulla memoria
La memoria viene studiata sotto vari indirizzi di ricerca: in neurologia, in
biochimica; si individuano vari approcci: la reintegrazione, la rievocazione,
il riconoscimento, il riapprendimento; si considerano diversi stati: la
registrazione, la ritenzione, il consolidamento, il recupero; si distinguono i
livelli: memoria a breve termine e a lungo termine; si analizzano i vari
fenomeni, come tutti i tipi di amnesie e le varie alterazioni, come la
reminiscenza, il falso riconoscimento (dejà vu) o il misconoscimento
(jamais vu).
In medicina, la memoria è definita come l’attività che permette di
conservare, riconoscere, classificare, localizzare e riproporre fatti ed
esperienze psichiche antecedenti.
In psicologia, si pone l’accento sulla capacità di un organismo vivente di
conservare tracce della propria esperienza passata e di riutilizzarle nei vari
rapporti interpersonali e nell’affrontare eventi futuri.
La funzione della memoria si esprime con il ricordo, mentre la perdita
temporanea viene definita con oblio, o amnesia se provoca anche disturbi
comportamentali.
ATTIVITA’ - Vizi e virtù della memoria
Mnenosine e Lete, memoria e oblio; nell’antica Grecia si trovavano due
fonti, alle quali dovevano bere coloro che si recavano per consultare un
oracolo: la fonte della Memoria e la fonte dell’Oblio, per ricordare e per
dimenticare. Sono i due aspetti che indicano quanto labile sia la linea di
divisione fra questi due opposti e come si debba parlare di utilità o danno,
virtù e vizi della memoria.
Alla fonte dell’oblio troviamo tutti gli aspetti e le manifestazioni che
possono essere identificati come vizi; questi derivano dagli errori indotti
dal desiderio di travisare un ricordo spiacevole, o dal semplificarlo
tralasciando particolari importanti, o dal sovrapporre un pensiero positivo
alla realtà più sgradevole.
Alla fonte della memoria troviamo le sue virtù, con il ruolo di costruire
l’identità personale, per il mantenimento delle motivazioni, della fiducia in
sé, di leit motiv della personalità individuale.
Proposta. Per analizzare le tue capacità di memorizzare o la propensione a
dimenticare, puoi iniziare a tenere il Diario della Memoria, elencando
periodicamente gli eventi, i pensieri, le realizzazioni della tua vita
quotidiana, suddividendo in due settori le tue modalità mnemoniche:
episodi che ricordo, episodi che dimentico.
EPISODI CHE RICORDO EPISODI CHE DIMENTICO
………………………………………….
.
………………………………………….
.
………………………………………….
…………………………………………
….
…………………………………………
….
…………………………………………
….
P.M. Per conoscerti meglio
14.10 Il recupero dei ricordi
Un’importante fase del processo della memoria è quella del recupero dei
ricordi attraverso gli indizi relativi.
E’ interessante la metafora usata dallo studioso Schacter:
“Gli indizi per il recupero sono un po’ come i metal detector usati per
recuperare le monete in spiaggia. Se sono nascoste sotto la sabbia, ci vuole
un metal detector per scovarle. Ma se non ce ne sono, anche l’apparecchio
più potente si rivelerà inutile”.
Dunque, troviamo certi ricordi disseminati nel nostro cervello se abbiamo
indizi da utilizzare nella ricerca.
Un esperimento effettuato con studenti di un college dimostra che le
caratteristiche di un indizio di recupero sono importanti per la riuscita della
rievocazione.
L’esperimento consisteva nel guardare foto di persone e, nel contempo,
nell’ascoltare le loro voci che potevano essere o gradevoli o irritanti.
Si è poi chiesto di assegnare la voce al rispettivo volto. Gli studenti erano
portati ad assegnare la voce calma al visi sorridente e le voci stridule alle
espressioni imbronciate. L’unico indizio che avevano avuto era il tono
della voce e quello è stato usato per rievocare le immagini dei visi.
Più indizi possediamo, maggior sarà il riconoscimento della situazione che
vogliamo rievocare.
ATTIVITA’ Costruisci gli indizi
Osserva tutti i particolari di una persona che incontri per la prima volta.
L’aspetto fisico: statura ……………………
Colore capelli………………..
Colore occhi…………………..
Abbigliamento………………….
Tono della voce……………..
Di che cosa parla …………….
Continua con altri particolari che noti. Prova anche ad attribuirgli il nome
che, secondo te, gli si addice, poi confrontalo col suo nome vero, se riesci a
conoscerlo.
ZOOM – Neurofisiologia della memoria
Durante il processo di recupero di un’informazione, il cervello si impegna
in un atto di «costruzione».
La teoria del neurologo Antonio Damasio sulle modalità del ricordo
seguite dal cervello offre una valida illustrazione.
Secondo Damasio e altri studiosi non esiste un’unica collocazione o zona
cerebrale che contenga l’engramma di una determinata esperienza
passata.
Le regioni posteriori della corteccia che presiedono all’analisi percettiva
trattengono i frammenti dell’esperienza sensoriale, che possono essere
immagini, suoni, parole.
Secondo Damasio, il ricordo nasce quando i segnali provenienti dalle zone
di convergenza innescano l’attivazione simultanea dei frammenti sensoriali
già collegati.
Il ricordo recuperato è una costruzione cui hanno collaborato in tanti
elementi.
14.11 La memoria e le emozioni
I nostri ricordi sono collegati a particolari stati emozionali; le emozioni
interferiscono e ci aiutano a ricordare particolari dettagli, ma ci inducono
anche a dimenticarne altri meno gradevoli.
Tutti abbiamo dei ricordi che ci portiamo dietro con il passar degli anni,
che sono rimasti indelebilmente fissati nella nostra mente, sia che
riguardino questioni personali, sia che siano collegati a eventi che per la
loro straordinarietà suscitano forti emozioni collettive.
Possono essere date importanti della propria vita intima, una cerimonia,
una performance eccezionale, l’inizio di un’attività, il raggiungimento di un
sogno a lungo coltivato… di questi ricordiamo i particolari, le nostre
sensazioni, le emozioni.
Al contrario, la memoria può fallire quando si è in preda a una forte
emozione negativa, di rabbia, paura, terrore... In questi casi i ricordi sono
abbastanza confusi e imprecisi, si incorre in amnesia post-traumatica, che è
una forma di autodifesa e di autoprotezione; non tollerando il ricordo
dell’evento spiacevole, ci si viene a trovare disorientati, come in un vuoto
di memoria.
Lo stesso si può dire anche per piccole dimenticanze di cui siamo vittime
durante lo svolgimento delle normali mansioni, in casa, sul lavoro, nel
tempo libero, come pure i lapsus: potrebbero essere l’espressione di
desideri inconsci che non riusciamo a realizzare, ma che possono provenire
da stati emozionali particolari.
E’ certamente determinante, per il ricordo, il contesto in cui avviene
l’episodio da ricordare; rivediamo gli elementi gradevoli di un soggiorno in
un particolare ambiente, ad esso colleghiamo le emozioni di felicità e di
benessere provate , o viceversa la sgradevolezza di certe esperienze.
Per riassumere, abbiamo visto che i principali fattori che favoriscono la
memoria sono l’interesse verso qualcosa, l’attenzione che si presta, le
emozioni, il contesto, le proprietà del materiale da ricordare, le differenze
individuali.
TESTIMONIANZA – Perdita della memoria
Quando si inizia a perdere la memoria ci si preoccupa di perdere il
controllo della nostra autonomia; lo stato di stress, l’arrabbiatura,
l’insicurezza peggiorano la situazione.
Le risposte alla domanda di come ci si sente in caso di dimenticanze
testimoniano modalità di reazione realistiche.
“ Cerco di dare poca importanza a questi inconvenienti… capita…”
“ Credo che sia dovuto all’età.. sto imparando ad accettare il mio stato di
memoria.”
“ Non mi fido più tanto della mia memoria… Scrivo tutto, così sto
tranquillo.”
“Non si devono fare troppe cose alla volta…”
“Devo concentrarmi di più… “
“Sbaglio a prendere delle cose che mi servono… ci rido sopra!”
“Non ricordo dove ho messo gli occhiali, li cerco e non ci sono… poi
ricompaiono proprio al loro posto… ci rimango male.”
14.12 La memoria del gesto
Se è indubitabile che un atleta svolge la propria attività con la fluidità fisica
e mentale offerta dal suo talento, è però altrettanto vero che c’è bisogno di
apprendimento specifico dei vari gesti atletici… e se c’è apprendimento, ci
deve essere memorizzazione.
Un’immagine, un’azione, una sequenza possono essere percepite , ma non
apprese; oppure possono essere percepite, apprese, ma poi dimenticate; o
ancora possono essere percepite, apprese e ricordate, ma in vari modi e vari
livelli di consapevolezza.
Lo stesso vale per le attività motorie: un movimento può essere imitato,
riprodotto, poi dimenticato; se invece viene riprodotto consapevolmente,
vuol dire che è stato memorizzato e può essere reso quanto più possibile
simile all’originario.
Se la somiglianza è perfetta e se l’esperienza originaria è stata riprodotto al
cento per cento, allora si può dire che il soggetto possiede capacità e
motivazione per continuare nella prestazione: è il tipo di memoria eidetica,
cioè la capacità di riproduzione fedele e realistica.
Tale tipo di memoria va sviluppata nell’atleta per i vantaggi che ne può
trarre; pensiamo, ad esempio, ai gesti preparatori del tiro con l’arco, al
momento del tiro del rigore nel calcio, all’esecuzione dei tiri liberi nel
basket.
I tre meccanismi della memoria sono indicati come le tre R: Registrare,
Ritenere, Recuperare.
Per ottimizzare la memoria occorre curare con attenzione e essere precisi
nelle tre fasi.
Consideriamo i fattori relativi ai tre momenti.
1 - Una Registrazione efficace si basa su un atteggiamento fiducioso nelle
proprie capacità. “Sono capace di imparare a fare questo”.
Si basa anche sul grado di interesse che si ha verso la materia da
apprendere e sulle motivazioni che ci muovono.
“Voglio migliorare, devo fare bella figura in una gara, mi interessa
raggiungere lo scopo prefisso”.
L’attenzione aiuta a concentrarsi verso un obiettivo.
“Attivo tutti i sensi per cogliere bene il procedimento che devo imparare”.
Infine, tutto l’impegno è vanificato se non abbiamo una buona capacità
organizzativa. Il nostro cervello fissa le informazioni ricevute con successo
se evitiamo delle credenze negative, come non avere fiducia di ricordare,
non avere interesse, essere distratti da altro, essere stressati e nervosi, non
avere chiari alcuni passaggi.
2 - Dopo una buona registrazione, si attiva la fase della Ritenzione, cioè di
archiviare le nozioni apprese. Sappiamo che esiste una memoria a breve
termine o temporanea e una memoria a lungo termine o permanente. La
prima è immediata ed è facilmente disturbabile da stimoli presenti, oltre ad
avere una capacità limitata: in una sequenza di nove passaggi, ne
ricordiamo meglio se li suddividiamo in gruppi limitati.
Un fattore importante è la ripetizione che mantiene l’informazione più a
lungo e giunge alla memoria a lungo termine. Questa si organizza
associando elementi, costruendo riferimenti personali.
3 - L’operazione conclusiva del processo di memorizzazione è il momento
del Recupero, quando si deve trovare un elemento nella propria memoria.
Sappiamo di avere in memoria una nozione, una mossa, un’immagine… il
problema è ripescarle (è il fenomeno della “punta della lingua”). Per
ottenerle, si ricorre all’atteggiamento di fiducia e di calma, alle associazioni
e ai collegamenti creati in precedenza. Spesso è l’inconscio che fa
emergere il dato che vogliamo ricordare; questo succede per ricordare un
nome o un’informazione, ma anche per riappropriarsi di una modalità di
attività motorie.
14.13 Attività fisica e memoria
Il collegamento tra la memoria, che è un processo cognitivo, e l’attività
fisica risulta chiaro a qualsiasi età e a qualsiasi livello. Chi fa regolare
attività fisica ha anche un miglioramento nelle capacità mnestiche.
L’esercizio fisico migliora la memoria, dà risultati eccellenti anche solo
con camminare, nuotare, fare yoga, ballare, fare giardinaggio, curare la
postura del corpo; ne traggono benefici il livello di vigilanza mentale ed
energetico, il senso di benessere generale, il rilassamento, la fiducia e
l’autostima.
Lo stile di vita è collegato alla lucidità mentale. Importante è mantenere la
costante consapevolezza della propria unicità, ed è proprio la memoria che
ci tiene collegati al nostro passato, a quanto abbiamo appreso e realizzato,
ma ci tiene anche ben ancorati al presente per ricordare chi siamo, che cosa
stiamo vivendo, che cosa progettiamo per il futuro.
Richiamarsi in qualsiasi momento, rientrare i se stessi, è un’operazione
mentale che ci salva dall’indifferenza e dall’oblio.
ATTIVITA’ – Chiama il tuo nome
Questo esercizio va fatto in situazione di massima tranquillità, quindi
occorre scegliere un momento in cui si è da soli, avendo una mezzora in
cui non si è disturbati.
Sdraiati e metti il tuo corpo in situazione di massima comodità. Senti bene
l’appoggio di ogni parte del corpo sul materassino. Elencale con la mente
e ascoltale.
Inizia dalla testa e dalla nuca… senti se è appoggiata bene… avverti se ci
sono tensioni…
Così fai con le spalle… con la schiena…
Scendi sempre con il pensiero fino ai glutei… senti il loro appoggio sul
materassino…
Poi stendi bene le gambe e pensa alla parte posteriore delle cosce… ai
polpacci… ai talloni…
Ogni volta che pensi a una parte del tuo corpo sorretta da un punto
d’appoggio e avverti una tensione, fermati e fai una respirazione profonda,
orientando il respiro su quel punto…
Non affrettarti… devi raggiungere un stato di reale rilassamento in cui sei
sicuro che ti puoi lasciare andare…
Sei sostenuto e sorretto… non devi fare nulla…
Lascia libero il pensiero di vagare… pensa a immagini rilassanti… a
episodi belli della tua vita…
Pian piano, scendi verso il periodo della tua infanzia…
Ora è giunto il momento di ricordare la tua identità…
Immagina che qualcuno ti chiami per nome…
Chi ti chiama? Com’è la voce?
Quali emozioni ti suscita sentire il tuo nome dalla voce interna? Quale
episodio ti ricorda?
Da quanto tempo non ti sentivi chiamato in questo modo?
In quel richiamo trovi te stesso, come eri e come sei ancora dentro…
Si può scatenare un’emozione forte, a volte anche una meraviglia o un
disagio…
Accettala…resta con lei per un po’ di tempo, prendila come un’occasione
per vivere il “qui e ora” con le tue piene potenzialità.
Al termine dell’esercizio, esegui qualche respirazione a tappo, riprendi la
sensibilità delle parti del tuo corpo…
Ripercorri con la mente il percorso sul tuo corpo: dai talloni, ai polpacci e
via via fino alla nuca.
Riattiva le funzioni corporee e riprendi contatto con l’ambiente intorno a
te.
14.14 Cadute e craniate
Una particolare attenzione agli effetti di certi eventi sulla memoria va
riservata alle competizioni sportive, soprattutto nelle discipline che
prevedono urti o accidentali cadute.
E’ il caso del calcio, in cui spesso il calciatore colpisce di testa il pallone.
Uno studio svolto da un gruppo di ricercatori su una squadra di football ha
dimostrato che, in caso di colpo forte alla testa, il giocatore ricordava
immediatamente quello che era successo, per poi dimenticarlo subito dopo.
Da questo hanno dedotto che con gravi lesioni alla testa le persone non
ricordano l’incidente e non recuperano poi il ricordo di quanto accaduto.
Non ci sarà memoria a lungo termine, come invece avviene per ricordi di
eventi non traumatici.
Ci sarebbero quindi due tipi di consolidamento dei ricordi immediati, a
seconda del contesto e dell’impatto emotivo.
La craniata nel calcio, la caduta senza casco in bicicletta, il colpo nella
boxe sono chiamati in causa per eventuali problemi relativi all’assenza di
ricordi.
14.15 La memoria e il sogno
Studi sul collegamento del sonno con il consolidamento dei ricordi rivelano
che, durante i sogni, il cervello, libero dagli innumerevoli stimoli della
giornata, rivede le esperienze della giornata e fissa particolari che erano
sfuggiti.
Da sempre i sogni hanno affascinato e turbato l’uomo. Con la scoperta del
sonno REM e degli eventi onirici da parte di Dement e Kleitman, si è reso
possibile studiare l’attività mentale durante sonno con il risveglio del
soggetto dormiente durante la registrazione in fase REM, durante la quale
l’attività onirica è maggiore.
Il sogno è considerato come un’attività mentale con contenuti di tipo
prevalentemente visivo, ma anche uditivo e cinestesico, senza stretti legami
spazio-temporali. Riescono a ricordare un evento appena sognato circa
l’80% dei soggetti risvegliati durante il sonno REM, mentre, se il risveglio
avviene durante una fase NREM, i soggetti ricordano il contenuto del
sogno solo al 20%. Generalmente al risveglio mattutino si perde
rapidamente , e talora completamente, il ricordo di ciò che si è sognato,
anche se rimane la sensazione di avere sognato.
Esistono tuttavia i “sognatori lucidi”, in grado di prendere coscienza di
stare sognando; senza risvegliarsi del tutto, riescono a modificare il sogno.
Il parziale risveglio consente di memorizzare il contenuto dell’attività
onirica, proprio come succede al momento del risveglio mattutino
spontaneo. Appena svegli, si scrivono i ricordi del sogno avendo pronti
notes e matita.
ZOOM – Le fasi del sonno
La sequenza dei diversi stadi del sonno determina il profilo del sonno,
costituito da veglia, sonno NREM e sonno REM. Fu Aserinsky che rilevò il
fenomeno REM osservando il sonno del figlio e scoprendo che anche
durante il sonno la nostra mente è attiva.
Quando si sogna si manifestano movimenti oculari rapidi ben visibili sotto
le palpebre; infatti REM deriva da rapid eye moviments, tanto che è
chiamato anche sonno paradosso. Molto facile osservare il fenomeno
guardando un gattino che dorme!
In una notte il sonno presenta diversi cicli di sonno REM e NREM, ognuno
dei quali dura circa 90 minuti. Le due fasi si alternano con tempi diversi da
individuo a individuo. Per approfondimenti, vedere “Dormire bene” di
G.Dragoni e D.Zanon.
ATTIVITA’ – Svegliarsi bene
Il benessere della giornata inizia dal… risveglio mattutino!
Spesso ci si sveglia di malumore, ci si prepara in fretta per il lavoro e gli
impegni che assillano, il corpo non è pronto a rimettersi in posizione
eretta… a volte si fa una colazione veloce o si beve anche solo un caffè…
Non è questo comportamento che favorisce il benessere della giornata.
Ecco alcuni suggerimenti da sperimentare.
Una delle prime cose da fare al risveglio è… ridere, ridere dei pensieri
inopportuni, dei propri timori, delle rimostranze degli altri.
Se la tristezza di una situazione è molto forte, prova almeno a sorridere!
Rifai il letto picchiando forte sul cuscino per scaricarti dalle tensioni;
svegliati al suono di musica, fai alcuni passi di danza, bevi un sorso
d’acqua pronta sul comodino, canta o anche solo vocalizza in modo da
aprire la gola e muovere le corde vocali…
Un altro consiglio è quello di sfruttare la prima luce del mattino per
ricaricarti.
Apri la finestra e inizia a fare delle inspirazioni ed espirazioni, orientando
la mente su questo pensiero: “Inspirando, prendo dentro di me la luce…
espirando, caccio fuori dal mio corpo il buio…”
Ti sentirai allo stesso tempo rilassato e attivo.
Se ne hai la possibilità, cerca di individuare il punto in cui sorge il sole per
dargli il primo saluto…
Fai una breve passeggiata, anche pochi passi, aprendo i sensi: guarda,
ascolta, annusa, tocca, gusta…
In questo modo ti prepari alla giornata con il corpo e con la mente liberi,
pronto ad accogliere nuovi stimoli.
14.16 La memoria autobiografica
Tenere un diario non è solo una romantica abitudine delle ragazze di un
tempo; diventa uno strumento molto utile per qualsiasi professionista e
sportivo in vista dell’analisi dei progressi e dei feed back.
Fidarsi solo della memoria autobiografica non dà il quadro esatto delle
esperienze passate.
Gli studi al riguardo presentano tre tipi di conoscenza autobiografica:
- il livello più alto, per i lunghi periodi della vita;
- il livello intermedio, riferito a tempi più limitati;
- il livello più basso per i particolari di ogni singolo evento.
Quando una persona, un atleta ad esempio, viene interrogato su un ricordo,
preferisce parlare della carriera in generale:” Ricordo i miei anni di
scuola… quando facevo ginnastica… Ho partecipato ai campionati di
calcio… ho corso al Giro d’Italia…”
Sembra che i ricordi per episodi specifici della propria vita siano accurati
fino a circa un anno di distanza e che in seguito si perdano particolari.
La memoria autobiografica è una costruzione complessa, come lo è la
nostra vita; si rafforza con la ripetizione e con la scrittura, fattori che
servono a fissare la propria storia.
Ovviamente non è necessario essere scrittori raffinati; il diario personale
può essere costituito da pensieri immediati, da intuizioni, da ripensamenti,
da tabelle, da tutti gli strumenti che potranno essere utili in fase di revisione
del proprio operato.
ATTIVITA’- Ricordi e dimenticanze
Uno studio sulla memoria elenca una serie di cose che si ricordano
facilmente e altre che invece si dimenticano.
Controlla il tuo stato e segna vicino a ogni affermazione: VERO - NON
VERO
Ricordo facilmente:
- i nomi delle persone di famiglia
- gli appuntamenti graditi
- i racconti e le poesie del passato
- la mia data di nascita
- il pagamento delle bollette
- la trama di un libro
- come fare certe cose
- le mie abitudini
Dimentico facilmente:
- dove metto le cose
- un cambiamento della routine quotidiana
- le cose che non ho voglia di fare
- i nomi delle persone
- le informazioni che mi turbano
- le date
- in che giorno siamo
- quello che sono convinto di non ricordare.
ATTIVITA – Un test per la memoria
Ti presentiamo uno dei numerosi test per verificare la capacità di
ricordare vocaboli. Segui attentamente le istruzioni! Esegui in pochi
minuti.
Sono due parti. Prima di iniziare con la prima parte, copri con un foglio la
seconda parte.
PRIMA PARTE
- Consegna: leggi a voce alta i seguenti vocaboli, lentamente.
tavolo
bandiera
doccia
bar
serpente
proteina
trapano
volare
tuttavia
idea
scure
miele
amore
casco
sigaretta
enciclopedia
vela
computer
- Rileggi nuovamente l’intera lista.
- Conta i vocaboli per verificarne il numero.
- Ora scopri la seconda parte.
SECONDA PARTE
Seguendo le istruzioni precedenti, hai avuto la possibilità di vedere 2 volte
la lista, hai sentito 2 volte le parole lette a voce alta, e hai contato i
vocaboli.
Ora sei pronto a riscrivere l’elenco nello stesso ordine. Copri la prima
parte.
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________
________
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________
________
________
________
- Verifica l’esattezza delle parole, contando solo quelle scritte nello stesso
ordine:
Se hai raggiunto il risultato da 15 a 18: o sei un genio o sai usare le
tecniche mnemonice.
Da 10 a 14: molto bene, la tua memoria è particolarmente efficiente, puoi
ancora migliorare con le tecniche mnemoniche.
Da 4 a 9:il risultato è normale. Puoi fare meglio applicando il metodo
delle associazioni.
Da 0 a 3: oltre alle tecniche, devi avere maggiore fiducia nella tua
memoria.
14.17 I processi mentali: concettualizzazione
Oltre a percezione, attenzione e memoria, delle quali ci siamo occupati, ci
sono altre attività mentali che hanno rispondenza pratica non solo nella
conoscenza, ma anche nei comportamenti: la concettualizzazione, la
problematizzazione, il linguaggio.
La formazione dei concetti, la soluzione di problemi, le regole del
linguaggio presentano aspetti trasversali che vengono convogliati
nell’acquisizione delle abilità motorie.
Consideriamo la concettualizzazione. Quando contiamo, quando misuriamo
il tempo, quando suddividiamo del materiale in categorie e classi
utilizziamo rappresentazioni e simboli che riassumono delle caratteristiche
e dei significati; se non possedessimo questa facoltà, non sapremmo
riconoscere gli oggetti che ci circondano, non metteremmo in relazione
elementi fra loro, non distingueremmo le immagini, ignoreremmo le
differenze, non agiremmo…
Ricordiamo i riferimenti etimologici del termine “concetto”. Deriva da
concepire (cum capere, cioè prendere con, prendere insieme). Formare
concetti significa saper raggruppare le esperienze in categorie sulla base di
tratti comuni agli elementi. Il concetto è la struttura mentale con cui
rappresentiamo una intera classe e non un solo elemento (in matematica è il
concetto di insieme).
Per formare e apprendere un concetto occorre sviluppare alcune capacità:
- dato un insieme di elementi (di qualsiasi natura), imparare a scoprire gli
attributi comuni e permanenti. Se sul tavolo abbiamo una quantità di
oggetti di ogni tipo: banana, libro, palla, mela, matita , vaso…e tanti altri,
possiamo raggruppare gli elementi che sono simili per un qualche attributo
(mela e banana hanno in comune “essere frutta”); ma possiamo anche
mettere insieme mela e palla perché sono “oggetti tondi”.
- trovare la regola per la quale gli elementi possono essere in relazione fra
loro e rappresentabili tramite la classificazione;
- saper ragionare a livello di concetti.
La formazione dei concetti è favorita con lo sviluppo della capacità di
distinguere gli aspetti dell’esperienza ; viene al contrario impedita quando
abbiamo poche occasioni di fare esperienze, quando c’è confusione nei
vissuti, quando siamo scarsamente recettivi o viviamo distrattamente.
ZOOM – Piaget
Il grande studioso del pensiero e della formazione dei concetti illustra le
tappe della formazione degli strumenti che portano alla conoscenza nel
bambino.
Secondo Piaget la conoscenza avviene tramite due meccanismi
fondamentali:
- l’assimilazione, cioè l’acquisizione di contenuti di varie conoscenze negli
schemi mentali;
- l’accomodamento che avviene negli schemi mentali già posseduti quando
si presentano nuovi elementi, nuovi input di vario genere.
Avviene quindi una relazione attiva fra ambiente e pensiero, attraverso la
selezione opportunamente operata per cogliere gli stimoli utili a procedere
nella formazione dei concetti.
Si procede per categorie che organizzano i contenuti della conoscenza con
modalità di astrazione di attributi sistemati gerarchicamente.
Possiamo riferirci, ad esempio, al gesto dell’afferrare che il bambino
impara e poi perfeziona.
Verso i cinque mesi il bambino afferra cose intorno a sé, ad esempio la
copertina del suo letto; poi impara ad afferrare una palla (per
assimilazione) con una serie di insuccessi e successi; infine è in grado di
afferrare oggetti di qualsiasi forma perché adatta lo schema del movimento
alla nuove situazioni (fase di adattamento).
Gli stadi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget sono:
- lo stadio senso-motorio, dalla nascita fino a due anni circa, dominato
dall’egocentrismo radicale e dalla formazione di schemi mentali;
- lo stadio pre-operatorio, fino ai 6/7 anni, con il momento della
simbolizzazione, soprattutto attraverso il gioco ;
- lo stadio delle operazioni concrete, fino verso gli 11 anni, in cui il
bambino inizia a manipolare i simboli e a fare ragionamenti logici ;
- lo stadio delle operazioni formali, dai 12 anni in poi, quando il ragazzo
riesce a formulare pensieri astratti e fare dei ragionamenti ipotetici.
La suddivisione non avviene così rigidamente e anche i limiti d’età sono
indicativi, soprattutto per questi ultimi tempi, in cui i bambini e poi i
ragazzi di oggi sono subissati da diversi e svariati stimoli.
14.18 La formazione dei concetti
La concettualizzazione aiuta la conoscenza poiché riduce la quantità dei
dati da apprendere; ad esempio, non devo avere davanti tutte le biciclette
per conoscerne il funzionamento, ma solo una che rappresenta tutta la
categoria.
Inoltre la conoscenza si estende ad altri settori attraverso le inferenze;
posso collegare l’oggetto bicicletta ad altri attrezzi con le stesse
caratteristiche (due ruote, pedali, manubrio), alle possibili passeggiate, al
tempo libero.
Infine posso mettere insieme le varie inferenze e formare concetti più
complessi; ad esempio dal binomio bicicletta + gara ciclistica al concetto
di velocità.
Le recenti teorie si scostano dal concetto rigidamente costituito dagli
attributi salienti e dalle regole, poiché spesso la rilevanza di certi attributi
cambia a seconda del contesto .
Inoltre ciascuno di noi si fa un’idea di qualcosa in base alla propria
esperienza relativa al funzionamento di un oggetto. Verifichiamo
quotidianamente che uno stesso concetto può differire da una persona
all’altra. I nostri stessi concetti vanno soggetti a continue revisioni in base
ai processi di elaborazione delle informazioni e della successiva verifica.
La nostra capacità di giudizio si basa molto sui rapporti di causalità e sul
feed back.
Ogni volta che ci accingiamo a fare qualcosa, ci prepariamo pensando: se
succede questa cosa, allora io mi comporto così…
E dopo un’esperienza, ci chiediamo: se avessi agito in un altro modo, avrei
avuto maggiori risultati?
ATTIVITA’ - La classificazione
Fai esercizio di raggruppamenti concettuali e di flessibilità mentale. Leggi
gli enunciati e continua.
Il “concetto relativo ai mezzi di trasporto” consiste in una
rappresentazione il cui è essenziale la caratteristica di consentire uno
spostamento, che è un attributo comune a bicicletta, autocarro…
Continua l’elenco
…………………………………………………………………………………………
……………………
Il concetto di “contenitore” si riferisce a tutti gli oggetti che, con forma,
colore, materiali diversi hanno la funzione di raccogliere e contenere
elementi di ogni genere.
Sono contenitori le scatole, le borse…
Continua l’elenco
…………………………………………………………………………………………
…………
…………………………………………………………………………………………
……………………………………………………
14.19 I processi mentali: problematizzazione
Nella vita quotidiana affrontiamo sempre situazioni che pongono problemi:
come vestirci, con quale mezzo andare al lavoro, come comportarci con
quella persona…
Anche senza volerlo, adottiamo un atteggiamento problematico che ci aiuta
a individuare la strada per passare da uno stato iniziale alla meta che
vogliamo raggiungere, sia essa un luogo, una lettera, un risultato sportivo.
Cerchiamo sempre il modo migliore per affrontare un problema; non è
certo quello di ancorarsi a comportamenti ripetitivi, o seguire sempre la
stessa traccia di ragionamento, o restare nella fissità.
Anche se i contesti sono diversi da caso a caso, tuttavia sono utili alcune
indicazioni di fronte ai problemi di comportamento e di apprendimento:
a) variare la rappresentazione del problema cercando di costruire nuovi
collegamenti fra le informazioni possedute;
b) allargare la conoscenza generale del problema con nuovi particolari;
c) pensare il problema a voce alta, parlandone anche con altri, confrontare
le proprie idee;
d) attendere, temporeggiare: prima o poi arriva un’illuminazione, un’idea,
una conoscenza che fino ad allora non si era considerata.
14.20 La soluzione dei problemi (problem solving)
Partiamo dal significato etimologico del termine : Problema da proporre,
gettare innanzi. Abbiamo quindi un’esigenza da soddisfare, un nodo da
risolvere, e lo mettiamo davanti a ogni altro aspetto, perché abbiamo un
conflitto, che può essere di tipo cognitivo, affettivo, comportamentale,
motorio. Non abbiamo chiari alcuni termini di un concetto, percepiamo in
modo ambiguo degli stimoli, siamo incerti nei sentimenti: tutte queste sono
situazioni conflittuali che vengono eliminate nel momento in cui risolviamo
i problemi.
Possiamo trovare soluzioni convergenti, dando risposte sicure e
standardizzate, oppure risposte divergenti, che aprono nuovi ambiti di
conoscenza, altamente creativi.
In ogni caso, cerchiamo soluzioni appropriate ai problemi attraverso un
primo momento di spiegazione, poi facciamo previsioni su come è meglio
agire, e ancora con l’ideazione di soluzioni alternative a seconda del
problema e della nostra personalità.
Come per ogni processo mentale, anche la soluzione dei problemi è
personale, va soggetta a riorganizzazione delle conoscenze.
L’ultimo atto del problem solving è la decisione, cioè la scelta da adottare.
Se si deve scegliere fra alcune alternative, interviene la nostra personalità:
la scelta non è solo economica e concreta, ma è anche influenzata dal
calcolo delle probabilità di riuscita, dal sistema dei valori che ciascuno
possiede.
Un altro elemento che interviene spesso inconsciamente è il valore atteso
di un risultato, che esula dalle reali possibilità di soluzione, che sono invece
collocate nell’area del possibile, dell’auspicabile.
ZOOM - La gatta e lo scimpanzé
Una disputa sulle procedure per risolvere i problemi si svolse tra due
scuole psicologiche, il comportamentismo e la psicologia della Gestalt, e
vide come protagonisti la gatta di Thorndike e Sultan, lo scimpanzé di
Köhler.
La gatta, dopo alcuni tentativi, riuscì ad aprire la porta della gabbia per
prendere il cibo che le spettava. Successivamente i tentativi diminuirono
perché si era consolidato in lei l’apprendimento, che era avvenuto tramite
“prove ed errori”.
Sultan invece doveva prendere il cibo fissato in alto. A disposizione
c’erano bastoni e cassetta. Lui si organizzò subito spostando le cassette e
salendovi sopra e dimostrando che occorre modificare una situazione data
in una struttura nuova, sulla base di un’intuizione, un lampo.
Il problem solving si avvale del processo di ristrutturazione in tutti i campi
della conoscenza.
Un esempio noto a tutti è un problema matematico. Per dimostrare che la
superficie del parallelogramma è equivalente alla superficie del rettangolo
con la stessa base e la stessa altezza si sposta una parte il triangolo in più
e si colloca sul versante opposto. Si dimostra così l’equi-superficie delle
due figure.
Gli studi e gli esperimenti sul Problem solving sono giunti ai giorni d’oggi
con diverse teorie, fino al concetto di Intelligenza Artificiale; con l’aiuto
dei calcolatori si possono analizzare i passaggi della soluzione dei
problemi da parte dell’intelligenza umana.
ATTIVITA’ – Sai risolvere i problemi?
Leggi attentamente le domande che seguono e scrivi a lato se si tratta di
situazioni in cui ti riconosci rispondendo Sì o No
1 - Quando hai un problema, utilizzi una strategia per raccogliere
informazioni utili alla sua definizione?.......................................
2 – Raccogli una serie di alternative utili alla soluzione del problema?
Quali? …………………………………………………………..
3 – Se hai le idee confuse di fronte alla soluzione di un problema, lo
definisci meglio trasformandolo in termini concreti e specifici?
Come fai? ……………………………………………………..
4 – Quando hai un’incertezza per come agire, ti fermi a riflettere prima di
compiere il passo successivo?
Per quanto tempo e come resisti ad attendere?
……………………………………
5 – Quando ti impegni per risolvere un problema, sei sicuro di riuscirvi?
Da che cosa deriva la tua sicurezza?
……………………………………………..
6 – Come ti comporti di fronte a problemi nuovi o difficili?
Elenca le tue strategie
……………………………………………………………….
ATTIVITA’ - La capacità decisionale
Capacità decisionale: abilità di fissare una linea di condotta e di compiere
scelte in modo tempestivo e coerente.
Consegna: Dopo aver letto attentamente le affermazioni, contrassegna la
risposta per te giusta, sulla scala da Mai a Sempre.
Mai talvolta
spesso sempre
1) Prima di ogni decisione, sono in grado di definire le
alternative che ho a disposizione ..... ..... .....
.....
2) So valutare in anticipo quando una decisione è
importante e quando non lo è ..... .....
..... .....
3) Quando decido, ho già raccolto le informazioni necessarie
per evitare conseguenze dannose ..... .....
..... .....
4) Nel prendere una decisione, considero più significativi
i possibili futuri effetti in termini di vantaggi e di svantaggi ..... .....
..... .....
5) Quando una decisione è rilevante per i suoi effetti, metto
in atto accorgimenti per una sua verifica futura ..... .....
..... .....
6) Nelle decisioni collegiali, mi sento coinvolto allo stesso
modo delle decisioni che prendo individualmente ..... .....
..... .....
7) Appena giungono i risultati, effettuo un’analisi delle
conseguenze delle decisioni prese ..... .....
..... .....
8) Assumere delle responsabilità mi fa sentire coinvolto ..... .....
..... .....
9) Se ci sono le condizioni per farlo, delego ad altri la
possibilità di decidere pur assumendomene la responsabilità ..... .....
..... .....
10) Una decisione difficile mi stimola e mi appassiona ..... .....
..... .....
Nome e Cognome ............................................................ Data
.............................
Attività
...................................................................................................................
14.21 Coping
Avere un problema da risolvere, fronteggiarlo, risolverlo: siamo
nell’ambito del coping.
Il termine coping deriva dagli studi dello psicologo Lazarus ed è
strettamente connesso al concetto di stress. E’ tradotto con fronteggiamento
o gestione attiva e indica l’insieme delle strategie mentali e
comportamentali che un soggetto adotta per fronteggiare una situazione
stressogena (che porta stress) in qualsiasi campo: nel lavoro, nello studio,
nella vita affettiva, nella malattia e, naturalmente, anche nello sport.
L’individuo può sviluppare una reazione passiva, quando subisce l’evento
e ne rimane succube, ma può anche avere una reazione attiva quando agisce
per risolvere il problema.
La specificità delle risposte è dipendente dalle caratteristiche personali
(coping style), cioè dai meccanismi di difesa attivati nei confronti
dell’ansia suscitata dall’evento stressogeno.
Nel caso di gestione attiva dello stress, si compiono due tipi di operazioni:
1) la valutazione;
2) il fronteggiamento.
Dopo un primo momento di analisi della situazione, durante il quale ci si
chiede che cosa è possibile fare per superare o prevenire un danno,
interviene la valutazione delle possibili strategie da adottare.
Si studia, si prendono in considerazioni diverse alternative, si sceglie la
strada da seguire.
In seguito si passa al fronteggiamento vero e proprio, che si concretizza
nell’attivazione delle strategie e nella soluzione del problema.
Come ben si intuisce, le abilità di coping sono molto importanti nello sport
e sono applicabili in diversi momenti dell’attività sportiva e agonistica, a
livello individuale e di squadra. Ecco alcuni esempi:
- quando una partita di calcio sta andando male e si deve reagire;
- quando al biliardo si deve decidere l’ultima mossa;
- quando durante la volata si perde la ruota buona;
- quando si è sotto nel punteggio in una partita di tennis;
- quando nella pallavolo la squadra sta cedendo per la supremazia degli
avversari;
- quando si presenta un ostacolo improvviso sul proprio cammino, sia esso
materiale o cognitivo o affettivo, e tutto sembra perduto...
Le abilità di coping si apprendono e sono quindi oggetto di insegnamento
su due fronti:
- emozionale, in riferimento alle emozioni che insorgono di fronte a una
situazione stressogena;
- cognitivo, in riferimento alla capacità di risolvere i problemi.
Le strategie di coping più utilizzate per affrontare un problema o un
ostacolo sono diverse; si tratta di sviluppare fin da piccoli una serie di
capacità:
- la capacità di “distrazione”, cioè di spostare l’attenzione dalla situazione
negativa ad altra più gratificante (nello sportivo emerge l’importanza della
tecnica di Mental Imagery);
- la volontà di impegnarsi in attività mentali o concrete piacevoli;
- la capacità di rilassarsi, di rafforzare l’autostima, di mantenere le
motivazioni;
- la ricerca di soluzione del problema con azioni e comportamenti diretti
allo scopo;
- la ridefinizione della situazione, per evitare di dare troppa importanza agli
aspetti negativi del problema e di ignorarne altri positivi;
- la ricerca del supporto della famiglia, delle istituzioni sociali e sportive, in
grado di fornire una base di sicurezza e di condivisione.
14.22 I processi mentali: attività motorie
Le abilità motorie sono tutte le azioni che sono apprese e consolidate,
anche attraverso la ripetizione, e che sono riprodotte in modo automatico.
Maggiore è il numero delle esperienze motorie, maggiori saranno l’abilità
motoria evoluta e il grado di coordinazione; perciò è molto importante che
siano sviluppate fin dall’infanzia; se un bambino perde questa occasione in
chiave ludica, non riesce poi a recuperare totalmente la capacità motoria
adeguata alla sua età.
Le attività motorie comprendono non solo le specifiche attività di
movimento, come correre, saltare, lanciare… ma tutte le innumerevoli
attività svolte in stato di veglia, compreso il pensiero: c’è quindi una
continuità tra le abilità motorie e gli altri processi cognitivi.
Le abilità motorie posseggono alcune specifiche proprietà:
- la continuità del movimento nello spazio e nel tempo;
. la coerenza, cioè la presenza di schemi regolari nel movimento;
. la complessità, data dal numero di stimoli e di risposte che entrano in
gioco nell’abilità motoria;
- la specificità rispetto agli altri processi mentali.
Nell’apprendimento delle abilità motorie è presente l’elaborazione delle
informazioni, come in tutti i processi della conoscenza, al pari della
percezione, dell’attenzione, della memoria; si formano ragionamenti e
concetti, si devono affrontare continuamente problemi e si mettono in atto
le soluzioni più adeguate.
Tutti i processi mentali entrano quindi in gioco e servono all’atleta per
sviluppare in pieno le proprie potenzialità in tutte le fasi:
nell’apprendimento dei gesti e delle regole basi di una disciplina,
nell’allenamento, nella prestazione agonistica, nel successivo recupero.
Realizzare una buona prestazione, giungere all’ottimazione del gesto
atletico, essere nell’eccellenza in piena armonia psicofisica: sono obiettivi
che presuppongono l’approccio multisensoriale della realtà, la capacità
percettiva allargata e in grado di cogliere finemente i dettagli, l’attenzione
vigile, il flessibile richiamo degli schemi della memoria, la capacità
ragionativa e la veloce soluzione dei problemi.
14.22 Il feedback motorio
Il processo di apprendimento necessita di feedback sensoriale per
controllare la correttezza dell’esecuzione di un’azione.
Possiamo utilizzare informazioni derivate da tutti i 5 sensi, compreso
l’equilibrio e la propriocezione; se stiamo alzando un braccio per lanciare
la palla, sono i recettori delle articolazioni che ci informano sulla posizione
di tutti i muscoli attivati. Il feedback deriva anche da elementi esterni; le
fonti dell’input sono di vari tipi, un campanello che avverte , un osservatore
che incita a dà il tempo esatto per lanciare, i compagni di squadra con i loro
richiami.
E’ possibile correggere un gesto mentre avviene, migliorandone quindi
l’esito finale.
Ripetendo l’atto motorio in base alle indicazioni del feedback si ottengono
diversi vantaggi: maggiore coordinazione temporale e spaziale, velocità
nell’esecuzione, precisione nei singoli movimenti con conseguente
risparmio di energia.
Sappiamo che un programma di sequenze motorie è uno schema che
ciascun atleta apprende e realizza. Abbiamo fatto esempi che riguardavano
l’atto del lancio della palla nel volley; non è la stessa cosa per il lancio
della pallina nel tennis o nel ping pong; per l’azione di lancio si deve
adattare uno schema preesistente a ogni situazione motoria diversa.
Il feedback ci dice se l’atto è eseguito correttamente, se andrà a buon fine;
un tennista si rende conto se il servizio è buono o no prima ancora che il
gesto sia terminato; utilizza tutti i processi mentali che conosciamo: innanzi
tutto, la percezione e l’attenzione, ma anche la memoria dello schema
acquisito, la concettualizzazione e la capacità di risolvere i vari
microproblemi che si presentano.
14.23 Abilità motorie e Arousal
Parlando di capacità attentiva, abbiamo visto che lo stato di attivazione
psicofisiologica (arousal) è un importante fattore per la riuscita della
prestazione sportiva.
Presente nell’apprendimento delle abilità motorie, l’arousal deve essere
attivato in dosi equilibrate, non spostate verso la acquiescenza né verso
l’eccessiva eccitazione.
Se dobbiamo svolgere attività complesse, come sport di situazione in cui è
necessario un ragionamento lucido, allora lo stato di attivazione deve
volgere verso livelli bassi; viceversa per gli sport di esplosione il picco
avviene quando l’arousal salta alle stelle.
Un’altra discriminante è rappresentata dal contesto e dalla difficoltà del
gesto motorio.
Si fa l’esempio di un giocatore di volley agli inizi; il controllo della palla,
la velocità da imprimere, la traiettoria sono gesti in cui l’attivazione
psicologica e fisica è al massimo e coinvolge tutta l’attenzione.
Non è così per lo stesso tipo di attività motoria per un atleta già esperto,
che ha già automatizzato la complessità motoria e quindi il suo arousal è ai
minimi termini.
Un ulteriore aspetto interessante da approfondire riguarda la capacità di
anticipare gli elementi dell’azione motoria che si andrà a eseguire.
Si parla di anticipazione spaziale se si prevede, ad esempio, dove andrà la
palla; mentre l’anticipazione temporale consente di essere un passo avanti
nei tempi e sapere che cosa accadrà prima degli altri. Riguarda anche le
proprie azioni, non solo la previsione di quelle degli altri; si mette in atto
un processo decisionale grazie al quale si prepara la postura giusta o lo
schema mentale per un lancio, si attua immediatamente un dovuto
assestamento.
Tutti gli atleti conoscono l’arte delle finte e controfinte, proprio per
annullare le aspettative dell’avversario.
TESTIMONIANZA – Furbizie sportive
Sono un appassionato di sport e adoro guardare tutti gli sport, capirne le
regole, i segreti e apprezzare le gesta dei protagonisti: in positivo e in
negativo.
Oltre alla prestazione sportiva riesco ad apprezzare l’aspetto tattico.
Ammiro coloro che riescono a risolvere una partita o una gara con
un’invenzione, con un qualcosa di imprevisto!
Nel calcio ci sono molti esempi: Pelè, Maradona, Baggio…ieri. Oggi a
causa dell’aumentata velocità del gioco ci sono meno esempi, ma Messi e
Cassano hanno comunque dimostrato di avere quel qualcosa in più. In altri
sport magari è meno evidente, ma pensiamo a Valentino Rossi e come
riesca a inventare sorpassi impossibili… oppure ad alcuni colpi di Fedrer
o di Tiger Woods…
Il ciclismo è uno dei pochi sport (forse l’unico!) dove si può pianificare
una strategia, stravolgerla e poi inventare ancora qualcosa: una fuga da
lontano, un attacco a sorpresa, o una volata “lunga”… ma soprattutto lo
possono fare tutti, perché nel ciclismo non è detto che vinca il favorito o il
più forte.
Infatti mentre gli esempi che ho fatto prima si riferiscono a personaggi di
primo livello nel mondo dello sport - atleti con caratteristiche simili: estro,
coraggio, eccellenti doti naturali – nel ciclismo può capitare che un
corridore di secondo piano possa vincere o essere protagonista in una
gara, una tappa di un grande giro o anche un campionato mondiale.
Oltre a questi ce ne sono tanti altri e anche nelle gare amatoriali si
possono ammirare alcuni colpi tattici che stravolgono le attese e vedono
vincere atleti assolutamente non favoriti.
Anche a me è capitato di fare il “furbo”.
Al Giro di Svezia nel ’97. Prima tappa. Ci sganciamo in tre nel finale…
uno di loro è un belga della Lotto: è di sicuro il più forte. A tre chilometri
dall’arrivo capisco che il gruppo non può riprenderci e “tiro” sempre
meno… il belga s’innervosisce e lavora ancora di più! A quel punto cerco
di metterlo in difficoltà: quando passo davanti aumento la velocità
bruscamente e resto poco in testa. In questo modo lui resta in prima
posizione più a lungo ed è anche costretto a variare la velocità. All’ultimo
chilometro do il cambio, mi faccio sfilare di una decina di metri e scatto!
Mi è andata bene!
La capacità di analisi della situazione, degli avversari, dell’ambiente può
risultare molto difficile se ci sono delle pressioni psicologiche date
dall’ansia da prestazione, da obiettivi irraggiungibili o da imprevisti quali
forature, cadute, maltempo …
La preparazione psicologica ad una competizione mi ha fornito un
ventaglio di eventi possibili sui quali applicare diverse strategie. E’ stato
importante non curare solo la preparazione atletica, ma allenare la
concentrazione e gli schemi mentali coinvolti durante la gara.
CAP. 15 IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE DELLA
COMUNICAZIONE
“…una comprensione migliore della comunicazione ci insegna una nuova
visione dei problemi umani, ci costringe anche a riesaminare i nostri
vecchi
modi di trattare tali problemi.”
(Watzlawick,P., Il linguaggio del cambiamento).
15.1 I processi mentali: il linguaggio
Diversi aspetti dei processi mentali analizzati finora, come il feedback, il
self talk, il coping, richiamano un altro processo mentale peculiare
dell’uomo: il linguaggio. La conquista del linguaggio nelle tappe di
evoluzione del bambino rappresenta una pietra miliare per uscire dal suo
isolamento e per affermarsi come individuo. Appena ne è capace, il
bambino diventa un chiacchierino instancabile, con l’esigenza di
conoscere, sapere, fare domande, comunicare le proprie esperienze.
Anche in età adulta, parliamo con noi stessi, comunichiamo con altri per
confrontarci, apprendiamo attraverso parole, frasi, ordini, incitamenti.
Usiamo il linguaggio verbale (orale e scritto) e il linguaggio non verbale
Il linguaggio verbale è certamente il mezzo comunicativo più efficace usato
per esprimerci. Esso si esplica attraverso un codice, il codice linguistico,
che non può essere considerato a se stante, bensì in collegamento con altri
codici ai quali offre vantaggi e completezza e dai quali riceve contributi in
un’ottica di integrazione.
Il linguaggio verbale presenta due proprietà costitutive, in apparente
antitesi fra loro: la creatività e le regole.
Secondo Chomsky, una lingua ha potenzialità di sviluppo infinite;
possiamo combinare fra loro una quantità enorme di suoni e di lettere,
creare nuove frasi, trovare nuovi vocaboli. Se in una conversazione usiamo
in media 180 parole, la nostra mente ne contiene fino a centomila.
E’ tuttavia necessario governare la libera creatività con regole per
consentire una condivisione di significati.
Ogni lingua, dalla più evoluta alla più semplice, possiede un insieme di
regole rigorose e nello stesso tempo flessibili; infatti, anche solo
disponendo le parole in un ordine diverso, o con un’altra punteggiatura, il
significato cambia.
“Andiamo a fare una partita di tennis domani, se non piove ci divertiamo.
Andiamo a fare una partita di tennis, domani se non piove ci divertiamo”.
Altrettanto importante è il linguaggio non verbale; è formato da tutto
quanto esprimiamo senza parlare o scrivere, da tutti i segnali che riceviamo
ed emettiamo come i gesti, le espressioni, la postura del corpo.
Dobbiamo riservare molta attenzione ai processi comunicativi per entrare
in empatia con gli altri e per esprimere le nostre più profonde emozioni.
15.2 Le caratteristiche del linguaggio
Abbiamo già accennato a due caratteristiche fondamentali del linguaggio:
la creatività e le regole, ossia la forma.
Ad esse dobbiamo aggiungere la facoltà di comprensione del contenuto e le
modalità di uso del linguaggio.
I suoni che ci permettono di parlare sono piccole unità che si chiamano
fonemi, costituiti dalle lettere singole, ma anche dalla combinazione di due
lettere: è un fonema il gruppo gn, ad esempio.
I fonemi compongono il morfema, cioè la minima unità grammaticale con
significato proprio.
Ricordiamo dagli studi scolastici che la loro combinazione attiene alla
morfologia, mentre la combinazione per formare frasi e discorsi fa parte
della sintassi.
Si può rappresentare l’apprendimento del linguaggio nell’infanzia con
questo schema:
- 0-3 mesi – prima emissione di suoni vocali;
- 4-6 mesi – uso di espressioni facciali negative e positive con inizio della
lallazione;
- 6-9 mesi – ricerca della sorgente del dialogo, pronunciazione di
gorgheggi,
lallazione abbondante, uso dell'indice per indicare un oggetto (pointing);
- 9-12 mesi – risposta al richiamo del proprio nome, emissione dei bisillabi,
messaggi
di sguardo e ripetizione dei messaggi falliti per renderli più efficaci;
- 12-13 mesi – prime parole di suono comune come mamma e papà;
- 14-18 mesi – vengono composte le prime frasi semplici;
- 18-24 mesi – si arricchisce il vocabolario, la metà delle consonanti
pronunciate è
corretta e il linguaggio diviene predominante rispetto ai gesti;
- 24-36 mesi – il 70% delle consonanti è prodotto correttamente e sorge
l'uso dei
pronomi (io/tu, me/te);
- 3-5 anni – il discorso è comprensibile nella sua interezza. Possono però
essere
presenti difficoltà nei fonemi "r" "v" e gruppi consonantici;
- 6-11 anni – sviluppo grammaticale completo e arricchimento del
linguaggio con la
scolarizzazione.
ZOOM – Le aree del linguaggio
Gli studi di neurofisiologia hanno individuato le aree della corteccia
cerebrale che presiedono al linguaggio: sono principalmente due.
L’area di Broca si trova nella circonvoluzione frontale inferiore e
precisamente nelle aree 44 e 45 di Brodmann. E’ il luogo dove risiede il
programma motorio del linguaggio, cioè l’area deputata al “dire ciò che
si capisce”. Infatti in caso di problemi, l’individuo ha un’afasia,
accompagnata da difficoltà nel parlare.
L’altra area è detta di Wernicke, (area 22, situata nella circonvoluzione
temporale superiore), dove risiede la comprensione ; si percepiscono le
parole, si “capisce ciò che si dice”. In caso di problemi in questa area, il
parlare è molto fluente, ma non è controllato e non è corretto.
15.3 L’arte di comunicare
L’attuale società è caratterizzata da una globalizzazione dei rapporti
interpersonali; nel lavoro, a scuola, nello sport, in famiglia, nella coppia,
fra amici, nella vita quotidiana sono svariate le occasioni che ci vedono
impegnati in atti comunicativi tesi a stabilire un contatto con gli altri.
Essere padroni delle strategie di comunicazione è determinante per creare il
clima di fiducia e di collaborazione in comunità.
Accade a volte che le migliori intenzioni vengano fraintese, ci sentiamo
insoddisfatti del modo con cui ci esprimiamo, l’imbarazzo e la timidezza ci
bloccano: la nostra comunicazione non è efficace, non è essenziale, non è
felice.
Le emozioni, i disagi affettivi, i disturbi psicosomatici incidono in maniera
decisiva sul comportamento comunicativo. Al fine di rendere la
comunicazione efficace e adeguata allo scopo, è importante che tutti gli
elementi siano esenti da imperfezioni e ambiguità.
Come detto, noi comunichiamo verbalmente con parole o messaggi scritti...
... ma anche attraverso il tono della voce, la gestualità, il linguaggio del
corpo. Nell’atto comunicativo possiamo inferire e capire più di quanto ci
venga detto.
Ci sono conoscenze condivise fra parlante e ascoltatore: sono le
presupposizioni.
Ci sono informazioni non dette, ma che servono per comprendere il
significato nascosto: sono le implicature.
Per coglierle dobbiamo assumere un atteggiamento cooperativo e
ricostruire i passaggi mancanti usando le inferenze.
Secondo Roman Jacobson occorre quindi trovare un personale stile
comunicativo, aperto alle varie funzioni linguistiche, verbali e non verbali.
Vediamo le caratteristiche delle funzioni linguistiche.
- Funzione espressiva: centrata sull’emittente, sui sentimenti, stati d’animo,
atteggiamenti di chi parla.
- Funzione conativa: centrata sul destinatario, per influire su di lui, per
convincerlo, come nella pubblicità.
- Funzione informativa o referenziale: centrata sulla realtà esterna, sul
contesto, per dare informazioni obiettive, come nelle scienze.
- Funzione fàtica o di contatto: centrata sul canale, per instaurare un
contatto superficiale o per verificare che non ci siano ostacoli nella
comunicazione (“Pronto… mi ascolti?... bella giornata!...)
- Funzione poetica: centrata sul messaggio in quanto tale, per attirare
l’attenzione verso di sé, con l’uso di figure retoriche, per far capire
significati simbolici.
- Funzione metalinguistica: centrata sul codice, per parlare della lingua ,
come in grammatica.
Lo studio completo della comunicazione verbale comprende:
- il lessico, con approccio di tipo storico-culturale, tipo il dialetto con le
varie inflessioni, la polisemia e l’uso di sinonimi, ecc.;
- la grammatica (morfologia e sintassi), con le conoscenze e le regole
linguistiche comuni al gruppo di appartenenza;
- l’ortografia e la correttezza formale delle parole.
Le funzioni linguistiche assumono molta importanza per il buon
inserimento nel team; spesso in una squadra di ciclismo o di calcio sono
presenti atleti di varie provenienze e vari idiomi, collegati ad usi e costumi
particolari. La reciproca conoscenza, anche a livello linguistico, aiuta a
evitare conflitti, malumori, rotture che si riflettono sul rendimento
individuale e generale.
ZOOM - Lingua scritta e orale.
La lingua scritta non riproduce i suoni della lingua parlata, ma nuovi
segni; è un codice diverso, con proprie regole e caratteristiche.
Nella lingua orale, le parole si susseguono nel tempo;
nella scritta si susseguono nello spazio.
Quindi nella scrittura i segni durano nel tempo, possono essere usati più
volte, devono essere maggiormente meditati, sono adatti alla
comunicazione a distanza, occorrono segni di punteggiatura o di
interpunzione, si deve rispettare l’ortografia.
La fonetica studia i suoni e come si producono.
La fonologia è la scienza che studia come si usano i suoni per produrre dei
significati.
I fonemi sono i suoni che originano le parole; sono le unità più piccole che
permettono di differenziare i significati.
La prosodia studia i diversi modi di pronunciare i messaggi linguistici.
Parlando, si eseguono i fonemi su note di diversa altezza, in base
all’intonazione.
Si inseriscono pause di diversa lunghezza, in base al ritmo.
Si ottengono effetti particolari in base al volume, al tono della voce, agli
accenti.
15.4 La comunicazione del corpo
“ Che il corpo abbia un ricco ventaglio espressivo e sappia dire, senza
parole, l’amore e l’odio, la rabbia e la paura, l’accoglienza e il rifiuto, è una
realtà che non ha bisogno di dimostrazioni. Esiste un linguaggio delle
posizioni del corpo, dei modi di camminare, di restare immobili…”
Condividiamo i concetti espressi dalla psicologa Gianna Schelotto.
La comunicazione verbale è dunque integrata dalla comunicazione non
verbale, fatta di espressioni del volto, di atteggiamenti, di posture: un tipico
esempio di comunicazione esclusivamente non verbale è rappresentata dal
mimo, per il quale determinante è il codice gestuale.
Molto spesso, quando la comunicazione vuole esprimere la funzione
emotiva, è proprio il codice non verbale che è privilegiato: il rossore, le
lacrime, il sorriso, le smorfie, il corrugare la fronte, il toccarsi il naso
dicono molto di più di frasi studiate e contorte.
Ebbene, è proprio il linguaggio non verbale la modalità comunicativa per
eccellenza usata dal corpo, sia nei confronti di altri, sia per dialogare con
noi stessi: corpo biologico e corpo psicologico si parlano, si ascoltano,
sostituendo alle parole altri simboli.
Succede che il corpo mandi dei segnali per manifestare un disagio non solo
fisico, ma psicologico; prurito, nausea, cefalea, colite possono nascondere
somatizzazioni di un disturbo nella sfera affettiva o relazionale.
Si comprende quindi quanto importante sia possedere gli strumenti per
avvertire i segnali che mente e corpo s’inviano, e quanto questi incidano
sulla vita quotidiana, nei vari settori del lavoro, nelle relazioni personali,
nel tempo libero, nell’attività motoria, nello sport.
ZOOM - Differenze fra il linguaggio verbale e quello gestuale
Verbale (orale e scritta) :
- ha delle regole precise;
- combina dei suoni e dei segni;
- specifico e preciso nel significato;
- complesso nella struttura.
Gestuale:
- è più libero;
- ogni gesto ha un solo significato;
- può essere più vago;
- più semplice.
15.5 Obiettivo comunicazione
La comunicazione è un argomento immenso che coinvolge ogni settore
della nostra vita e ogni età, dalle prime forme non verbali dell’infanzia alle
varie funzioni della comunicazione: l’arte di comunicare diventa l’arte di
comprendersi, soprattutto a livello generazionale.
Indagini sulle modalità comunicative ci informano che per il 51% dei
genitori italiani, di età compresa tra i 30 ed i 55 anni, con figli tra gli 0 ed i
14 anni, uno dei problemi principali nel rapporto con i figli e nella loro
educazione è rappresentato dalla difficoltà di farsi ascoltare, cui segue la
mancanza di rispetto del loro ruolo (il 41%), quasi come se la figura di
genitori stesse perdendo autorità.
Diventa una questione di come comunicare, in primo luogo.
Ci possiamo rifare, brevemente, alla classica teoria della comunicazione,
costituita da alcuni punti fermi. La comunicazione può essere vista come
l’atto di passare il testimone nella staffetta.
Quando stabiliamo un contatto con altri, mandiamo un messaggio, sia esso
esplicito o implicito, tramite delle frasi, ma anche dei gesti e delle
espressioni. Più il messaggio è inviato in modo chiaro, più avrà possibilità
di essere ricevuto nel suo vero senso.
Ci sono dunque un emittente, o trasmittente e, dall’altra parte, un
ricevente.
Affinché il contatto comunicativo possa andare a buon fine, occorre parlare
la stessa lingua, cioè avere un codice comune per dare alle parole lo stesso
significato. Il canale può essere scelto fra i tanti mezzi di comunicazione:
tutti i sensi rappresentano un canale comunicativo.
Tuttavia non sempre la comunicazione va a buon fine. Capita a volte che
qualcosa non funzioni: diciamo una parola e viene male interpretata, non ci
capiamo, non riusciamo a esprimerci come vorremmo… perciò si parla di
“disturbo” nella comunicazione.
Che cosa può essere successo? Ridondanza. Distorsione. Perdite.
Interferenze.
ZOOM – La teoria dell’Informazione
SHANNON e WEAVER hanno formulato la Teoria dell’informazione, che
permette di misurare la quantità media dell’informazione espressa in bit
(binary digit) che un canale può permettere (materia di cibernetica). Dalla
radiotelegrafia alla psicologia per studiare percezione, memoria,
intelligenza, comunicazione.
TEORIA DELL’INFORMAZIONE DI C.SHANNON-W.WEAVER
CODICE
EMITTENTE RICEVENTE
fonte trasmittente CANALE ricevitore
destinatario
segnale
MESSAGGIO
MESSAGGIO
RUMORE
Legenda.
Codice – sistema che stabilisce un repertorio di simboli e le loro regole di
combinazione.
Fonte – generatore di messaggio.
Trasmittente – converte il messaggio in segnale attraverso la sua
codificazione. Il segnale quindi è il messaggio codificato.
Segnale – E’ il messaggio codificato e fisicamente trasmesso.
Rumore – disturbo che può alterare, distorcere, deformare il segnale.
Ricevitore – riconverte il segnale nel messaggio attuando quindi la sua
decodifica.
Destinatario – il soggetto a cui l’informazione è stata inviata.
Claude Shannon – Scienziato, giocoliere, matematico, ingegnere.
Elementi della Teoria Informazione: livelli di comunicazione,
informazione, disturbo, ridondanza, processo stocastico, markoviano,
ergodico.
TEORIA DELL’INFORMAZIONE: THE C.SHANNON-W.WEAVER MODEL
NOISE
FEEDBACK
Legenda.
SOURCE generatore di messaggio
ENCODER converte il messaggio in segnale attraverso la sua codificazione.
SOURCE
ENCODER
CHANNEL
RECEIVER
DECODER
Il segnale quindi è il messaggio codificato.
CHANNEL/MESSAGE è il messaggio codificato e fisicamente trasmesso
NOISE disturbo che può alterare, distorcere, deformare il segnale.
DECODER riconverte il segnale nel messaggio attuando quindi la sua decodifica
RECEIVER
il soggetto a cui l’informazione è stata inviata.
La teoria dell’informazione. Fonte: The Mathematical Theory of Communication W.Weaver-C.E.Shannon
15.6 Saper dialogare
Abbiamo visto che ci sono molte difficoltà di rapporto fra genitori e figlio,
che possiamo estendere anche fra adulto e giovane, fra allenatore e atleta,
soprattutto in alcuni passaggi del percorso, come nell’adolescenza, quando
si vive il conflitto fra obbedienza al genitore o all’adulto e il bisogno di
autonomia.
Le qualità per una buona comunicazione sono tante, ma soprattutto deve
avere questi requisiti:
- deve essere efficace, cioè che faccia effetto, che vada a buon fine (da
effetto);
- deve essere diretta verso un obiettivo, cioè volta a un determinato esito
(da dirigere);
- deve essere essenziale, cioè usare un linguaggio semplice, conciso, cioè
che costituisce l’essenza di una cosa (da essere).
Se manteniamo queste caratteristiche, possiamo assegnare alle modalità
comunicative finalità altamente formative:
- per prima cosa, veicola la conoscenza e aiuta quindi lo sviluppo
cognitivo;
- da questo deriva l’autostima che rafforza e quindi favorisce anche il fine
primario che è quello di spingere verso l’autorealizzazione.
Quando succede che il modo di parlarsi fra adulti e giovani non è
produttivo?
Quando il ragazzo percepisce che non c’è coerenza, che ci sono
atteggiamenti discordanti, allora si disorienta, non sviluppa autostima…
Analizziamo alcuni stili educativi.
- Lo stile autoritario si distingue per la rigidità, l’essere inflessibile, dare
ordini… La percezione del ragazzo è quella di essere in presenza di
carabinieri (intesi come legge ineluttabile). Se sottoposto fin da piccolo a
regime rigido, le possibili conseguenze possono portare ad atteggiamenti di
ribellione o al contrario a compiacenza, e comunque di diffidenza e
asocialità.
- Lo stile permissivo, fatto di compiacenza e rispetto per ogni volere del
ragazzo, ma anche di eccessiva protezione, in realtà può portare
all’egocentrismo, al ritardo nella crescita relazionale e alla difficoltà di
responsabilizzazione, dando al ragazzo l’illusione che a lui tutto è dovuto.
- Lo stile della problematizzazione è adottato da genitori che sanno essere
per i figli una guida indiretta, senza rinunciare al ruolo di genitore, un
genitore che ha in sé apertura, curiosità, interessi e li sa infondere nel figlio.
Questo atteggiamento aiuta a sviluppare il senso critico, la creatività,
l’intraprendenza, il pieno sviluppo delle proprie potenzialità.
La componente affettiva riesce a orientare i genitori verso l’approccio più
utile.
Per questo si ricorre al concetto di empatia, che si articola in tre punti:
- la capacità di identificarsi con l’altro e di capire le sue sensazioni;
- la disponibilità a considerare il punto di vista dell’altro;
- infine la consapevolezza di entrambi i punti di vista.
15.7 Gli stili comunicativi
Dopo aver visto i principali stili educativi, vediamo ora anche gli stili
comunicativi.
Ci sono modi di dire e atteggiamenti che rivelano i vari “registri” della
comunicazione.
Due persone che non si conoscono, si incontrano e si parlano usano uno
stile formale…
Se invece sono amiche, hanno una conversazione amichevole, con lo stile
informale…
Poi ci sono anche altre modalità che vengono usate saltuariamente, ma che
possono essere consuete in certe persone: aggressività, arroganza,
atteggiamenti e parole che intimidiscono.
Come visto, la parola che ci distingue come persone può avere molte
funzioni a seconda dei casi: per dare informazioni, per esprimere
sentimenti, o anche solo per stabilire un primo contatto…
Sono tutte altrettanto valide, usate secondo i contesti giusti.
C’è invece un tipo di comunicazione che è dannosa, soprattutto se viene
adottata verso i bambini, i ragazzi, i giovani: la comunicazione
manipolatrice, quella che vuole prevaricare sul volere dell’altro in modo
spesso sotterraneo, anche se usata inconsapevolmente.
La riconosciamo dalle sue frasi caratteristiche :
- si avverte ambiguità ( Se proprio vuoi andare,… però…);
- si sente adulazione ( Tu che sei bravo….);
- c’è imposizione latente( Vero che ti piace? Fallo per me…)
Queste frasi ne sono esempi; se usate regolarmente, inducono
comportamenti simili e soprattutto un senso di impotenza.
15.8 Saper ascoltare
Il linguaggio ha molte funzioni. Abbiamo visto finora che esistono alcune
modalità di comunicazione, ciascuna con caratteristiche proprie. Allo
stesso modo ci sono diversi atteggiamenti nell’ascolto. Una prima
suddivisione può essere fra ascolto attivo e ascolto passivo.
L’ascolto attivo ha come modalità di riassumere i concetti che chi parla ha
esposto, riformula con altre parole, può sottolineare i punti chiave, ripete
per avere conferma di avere compreso bene.
In questo modo si dà la sensazione di ascoltare, di partecipare e offrire
comprensione.
Altrettanto valido è l’atteggiamento dell’ascolto passivo, se però non scade
nell’indifferenza. Siamo nel campo della comunicazione non strettamente
verbale, e quindi ci saranno gesti di contatto, sorrisi, sguardo vigile,
apertura corporea, incoraggiamento a dire.
15.9 Mimica e prossemica
Nel parlare, molta rilevanza acquistano anche la mimica e la prossemica.
La mimica è costituita dai gesti, dai cenni del capo, dalle espressioni del
volto, dai movimenti degli occhi...
La prossemica è costituita dagli atteggiamenti e dalle posizioni del corpo.
Il modo di parlare varia in relazione a certi fattori:
- numero e tipo di interlocutori (situazioni formali o informali);
- scopo della comunicazione;
- luogo in cui ci si trova;
- tempo a disposizione;
- argomento affrontato;
- momenti particolari.
A questi diversi modi di comunicare corrispondono i registri della
comunicazione:
- familiare,
- quotidiano,
- medio,
- alto,
- formale,
- ufficiale.
Si determina così lo stile comunicativo, cioè l’insieme delle caratteristiche
che contraddistinguono il modo di esprimersi.
15.10 La prossemica
E’ la disciplina che studia l’organizzazione dello spazio come sistema di
comunicazione.
Lo spazio è un canale di comunicazione, ma è anche organizzatore di
comunicazione col variare della distanza fra soggetti.
Vediamo tre tipi di organizzazione spaziale:
a) spazio preordinato, con confini precisi;
b) semi-ordinato, con confini ma anche con zone funzionali flessibili e
occasionali:
c) informale, gestito dalle persone variamente.
In questo ambito si distinguono 4 tipi di distanza:
- intima,
- personale,
- sociale,
- pubblica.
I fattori della distanza sono vicinanza-lontananza e contatto-non contatto.
I confini, le zone, le strutture spaziali variano da persona a persona e nelle
varie società.
.
DISTANZA INTIMA – La presenza dell’altro è coinvolgente; il tutto è
ingigantito dall’intensificarsi degli apporti sensoriali.
DISTANZA INTIMA
FASE DI VICINANZA
E’ la distanza della lotta e
dell’amplesso, del conforto e della
protezione. Contatto fisico.
DISTANZA INTIMA
FASE DI LONTANANZA
Da 15 cm a 45 cm. Si colgono il
calore e l’odore del respiro
dell’altro. In pubblico, in metrò, in
autobus affollati le persone estranee
entrano in rapporti intimi anche se
non lo desiderano. I muscoli della
superficie di contatto sono tesi.
DISTANZA PERSONALE. Separa fra loro i membri di una specie – non
contatto. E’ come una sfera protettiva fra sé e gli altri.
DISTANZA PERSONALE
FASE DI VICINANZA
Da 45 cm a 75 cm. Si entra in
rapporto mediante le estremità, si
può trattenere e afferrare. Rapporti
sociali o di sentimenti reciproci.
DISTANZA PERSONALE
FASE DI LONTANANZA
Da 75 cm a 120 cm. Due persone
possono toccarsi le dita allungando
ciascuno il braccio. Nessun calore
corporeo od odore sono percepibili.
DISTANZA SOCIALE – Non c’è contatto fisico, i dettagli del viso non si
percepiscono. E’ il limite di dominio.
DISTANZA SOCIALE
FASE DI VICINANZA
Da 120 cm a 210 cm. Si trattano
affari impersonali. E’ la distanza
delle persone che lavorano insieme,
che si incontrano occasionalmente.
DISTANZA SOCIALE
FASE DI LONTANANZA
Da 210 cm a 360 cm. Carattere
molto formale degli incontri. Il
comportamento prossemico è
condizionato dall’ambiente
culturale. La voce è più alta.
DISTANZA PUBBLICA. Non c’è coinvolgimento fra le persone.
DISTANZA PUBBLICA
FASE DI VICINANZA
Da 360 cm a 750 cm. Permettere la
fuga o l’azione difensiva, se c’è
minaccia. Si coglie l’intera figura.
Si vedono altri soggetti.
DISTANZA PUBBLICA
FASE DI LONTANANZA
Oltre i 750 cm – 7 metri e mezzo.
E’ lo spazio tenuto attorno a
personaggi pubblici. Si notano i
gesti e la postura. Stile congelato fra
persone che devono restare
estranee.
15.11 - PNL- Programmazione NeuroLinguistica
E’ lo studio dell’esperienza soggettiva. Descrive tutti i passaggi che
compongono le sequenze comportamentali.
Quali sono i significati della sigla PNL?
P come Programmazione: modo di comporre le sequenze adatte a ottenere
risultati specifici.
N come Neuro: indica che il comportamento è il risultato di un processo
neurologico.
L come Linguistica: perché la composizione e la disposizione dei processi
mentali sono codificate attraverso i linguaggi.
Nella comunicazione sono importanti:
- il contenuto,
- il tipo di relazione.
Uno studio di analisi sulle frequenze tipologiche dei livelli della
comunicazione indica queste percentuali:
comunicazione verbale (parole) 7%,
comunicazione paraverbale (qualità della voce, come timbro, volume, tono
ritmo, velocità) 38%,
comunicazione non verbale (atteggiamento del corpo, postura, movimenti,
respirazione, colorito della pelle) 55%.
ATTIVITA’ - Autoanalisi - I livelli logici
Esperienza vissuta a cui ci si riferisce.
.........................................................................................................................
................
CONTESTO: dove sono? (luogo, tempo, con chi)
.........................................................................................................................
................
COMPORTAMENTO: cosa faccio?
.........................................................................................................................
................
ABILITA’. RISORSE: come lo faccio?
.........................................................................................................................
................
CONVINZIONI: di che cosa sono convinto?
.........................................................................................................................
................
VALORI: che cosa è importante per me, qui e ora?
.........................................................................................................................
................
IDENTITA’: io chi penso di essere, qui e ora?
.........................................................................................................................
................
NOME ....................................................
DATA......................................................
15.12 Il modellamento
Analizziamo le abilità di una persona secondo l’evoluzione dalla incapacità
alla capacità.
- Prima fase: incompetenza inconscia (non avere nessuna capacità e
nessuna consapevolezza di non essere capace);
- Seconda fase: incompetenza conscia (sapere che la capacità esiste, ma di
non possederla);
Terza fase: competenza conscia (apprendere la capacità, imitare un
modello);
Quarta fase: competenza inconscia (agire senza pensare, possedere
l’automatismo della capacità).
Per fare questo tipo di analisi, teniamo conto dei canali sensoriali che
l’uomo utilizza.
sistemi rappresentazionali canali sensoriali
V – visivo vista
A – auditivo udito
K – cenestesico o propriocettivo sensazioni tattili
O – olfattivo olfatto
G – gustativo gusto
Fra le persone in genere si riscontrano le seguenti percentuali : 40% visivi,
20% uditivi, 40% cenestesici.
Possiamo così fare un quadro delle varie tipologie della persona sulla base
dei personali sistemi di rappresentazione mettendoli in relazione con altri
parametri: la postura, la respirazione, la qualità della voce. Questo dato può
essere molto utile in fase di apprendimento, nello specifico di questo studio
proprio per le abilità motorie.
TIPOLOGIA DELLE PERSONE
POSTURA RESPIRAZIONE
QUALITA’VOCE
VISIVO corpo eretto
gestualità verso l’alto
movimenti ampi
alta, toracica
breve, rapida
acuta, variabile
veloce
AUDITIVO testa inclinata
braccia conserte
mani al viso
media, tra torace e
addome lunga
espirazione
modulata
armoniosa
ritmo costante
CENESTESICO sguardo basso
muscolatura rilassata
mani al torace e a
stomaco movimenti
lenti
addominale
molto profonda bassa, profonda
ritmo lento
pause
difficoltà ad esprimersi.
ATTIVITA’ - Sistema di rappresentazione preferito
Scegli la frase che pronunceresti se tu ti trovassi nelle 6 situazioni adattate
anche al mondo dello sport. Rispondi con immediatezza.
1 - Sei in riunione pre-gara col Direttore sportivo e ti rivolgi a lui con una
di queste frasi:
a) Illustro il mio progetto di gara
b) Spiego il mio progetto di gara
c) Parlo del mio progetto
d) Racconto il mio progetto.
2 – Sei al ristorante e ti rivolgi al cameriere con una di queste frasi:
a) Che piatto mi suggerisce?
b) Cosa c’è di buono?
c) Mi fa vedere il menu?
d) Cosa mi farà assaporare?
3 – In una discussione fra compagni di squadra, quale frase dici di solito?
a) Non sono affatto d’accordo!
b) Il mio punto di vista è totalmente diverso dal tuo!
c) Secondo me, sei in errore!
d) Quello che dici non mi suona bene!
4 – Consigliando un amico, quale frasi usi di solito?
a) Per fare presa, dovrai essere deciso!
b) Per emergere, dovrai essere deciso!
c) Per apparire, dovrai essere deciso!
d) Per richiamare l’attenzione, dovrai essere deciso!
5 – Se sei in un’agenzia di viaggi per un piano di soggiorno sportivo, con
quale frase inizi?
a) Mi faccia vedere qualche depliant.
b) Mi dica che viaggi organizzate.
c) Mi faccia capire i vantaggi delle vostre offerte.
d) Mi illustri i vostri viaggi.
6 – Quando rifletti su un problema che può sorgere durante una gara,
quale frase dici fra te e te?
a) Guarda un po’ che problema.
b) Lo vedo come un problema.
c) Mi suona come un problema.
d) Lo sento come un problema.
(Fonte G. Granata, PNL la programmazione neurolinguistica – Adatt. G.
Dragonì)
ATTIVITA’ - Esercitazioni comunicazione verbale
La comunicazione deve essere efficace, diretta, essenziale.
Consegne: Fare una domanda a una persona, invitarla a esprimere
un’opinione.
Scrivere la risposta.
Chiedere a un’altra di ripetere quanto detto.
Siamo stati attenti?
Ora metti il corpo comodo....
Stai nel presente...
Occhi chiusi . Chiamati per nome...
Ascolta il silenzio.
Di’ qualcosa a un vicino.
Elimina questi elementi comunicativi:
- gli intercalari,
- le ripetizioni,
- il termine io,
- le domande manipolatorie,
- le risposte inutili,
- i giudizi.
ATTIVITA’ - Esercitazioni sulla comunicazione non verbale
Il corpo è un luogo inviolabile, mutevole. Possiamo dire qualcosa senza
parole, solo con i suoni.
Ascolta i suoni del corpo:
- nella testa,
- nel petto,
- nella pancia.
Fai un esercizio di vocalizzazione, emettendo dei suoni come dalle
indicazioni.
Dal pianto al riso e viceversa:
Respira in 4 tempi.
Fai uscire un suono triste immaginando che esca dal petto
Respira in 4 tempi
Sposta il suono nella pancia.
Respira in 4 tempi.
Invia il suono in altro, nella testa.
Respira in 4 tempi.
Riporta il suono nella pancia.
Respira in 4 tempi.
Fallo diventare riso.
Respira e rilassati.
15.13 Trappole della comunicazione
Parlare e ascoltare sono quindi due aspetti della comunicazione ugualmente
importanti .
Può essere interessante approfondire le cosiddette “trappole comunicative”.
Possiamo riconoscerle durante un dialogo o una discussione, perché sono
capaci di deviare il vero significato di un messaggio. Ecco alcuni esempi.
- Il Ragionamento Tutto/Nulla… Sempre/Mai… Si generalizza una
situazione particolare.
- Il Filtro Mentale: si dà importanza solo al dettaglio negativo fra i tanti
positivi, oppure si svaluta sistematicamente l’aspetto positivo.
- Si salta alle conclusioni mentalmente o si dà per scontato che tutto andrà
male.
- L’effetto cannocchiale si usa quando si esagerano i difetti e, al contrario,
si minimizzano le buone qualità.
- Il ragionamento sull’onda di un’ emozione che ci prende e ci impedisce
di essere obiettivi (emozioni e sentimenti come amore, contentezza, ma
anche rabbia, rancore).
- Allo stesso modo è una trappola attribuire e attribuirsi etichette: “Tanto
sono una frana!”.
- Dare e subire ordini e imperativi. Non c’è bisogno. Pensiamo a che cosa
succede con un cane: se lo sgridi, scappa e ritorna solo se cambi tono della
voce e atteggiamento.
- La personalizzazione, con la quale si è portati a fare o subire il confronto
con il proprio vissuto, senza tener conto che le situazioni riguardano altri.
Tutte queste trappole fanno parte della comunicazione manipolatrice che,
come abbiamo visto, non dà risultati.
E’ invece il dialogo costruttivo quello che apre le porte alla vera
comunicazione, cioè la problematizzazione attraverso le sue fasi:
1) definire il problema , con la maggiore chiarezza possibile;
2) valutare insieme le possibili soluzioni;
3) fare un accordo, una specie di contratto che coinvolga le due parti;
4) attenersi a quanto concordato per realizzare la soluzione;
5) non dimenticare di verificare l’esito attraverso il feedback.
15.14 La comunicazione ecologica
La comunicazione arrogante e aggressiva è il sintomo della nostra
incapacità a gestire un equilibrio.
Lascia tracce indelebili nell’altro.
Frasi come: “Non ti sopporto più! Combini sempre dei guai! Mi farai
impazzire! Quanto sei stupido!” mostrano un disequilibrio in chi le dice e
scarso rispetto per gli altri.
Tutto ciò viene ingigantito se ci si rivolge a bambini, perché si riflette sulla
loro capacità di autostima.
Una buona comunicazione fa bene a noi e agli altri:
- Serve ad analizzare meglio le problematiche.
- Trasforma i problemi in risorse.
- Ci aiuta a non giudicare.
- Trasforma i giudizi negativi in pensieri e linguaggi costruttivi.
- Aiuta a restare nel presente e nel concreto della situazione.
Come cambiare? Consideriamo la proposta della Comunicazione ecologica
di Liss.
PRIMO PASSO . La consapevolezza: sapere ciò che vogliamo.
Trasformare le valutazioni sull’altro in una manifestazione dei proprio
bisogni.
Piuttosto che dire: “Tu sei un completo fallimento!”, dire invece: “Mi
sento a disagio per ciò che hai fatto”.
SECONDO PASSO. Ascolto dell’altro. Non pensare di avere sempre
ragione.
Rispettare e approfondire le opinioni dell’altro.
Attribuire un significato di crescita e non di conflitto.
Permettere agli altri di manifestare il proprio parere. L’obiettivo non è “chi
ha ragione” ma “cerchiamo di capirci”.
TERZO PASSO. Da autoritarismo ad assertività. Rispettare le potenzialità
di ogni persona.
Riflettere sugli errori cercando alternative e soluzioni, invece di lamentele e
negatività, o fare scaricabarile sull’altro ed eludere le proprie
responsabilità.
TESTIMONIANZA - La “Testa” del Gruppo
Il ciclismo è da sempre considerato uno sport di grande fatica e di grande
sacrificio, ma fino a poco tempo fa era anche accreditato come indice di
persone senza una grande preparazione scolastica, né di grosse facoltà
intellettive… Il ricordo di impietose interviste in TV riecheggia ancora
nelle mie orecchie… “Sono contento di essere arrivato UNO!”
Questi esempi, risalenti a vecchie pellicole ingiallite, stanno lasciando il
passo ad una nuova generazione di atleti. La maggior parte dei ciclisti
professionisti oggi possiede almeno un diploma e alcuni sono anche
laureati!
Oltre tutto, la globalizzazione del calendario di gara ha portato molti atleti
a incontrare culture e lingue diverse e, in qualche caso, con ottimi
risultati!
La mia inclinazione è sempre stata quella del lavoro di gruppo e del
coinvolgimento di tutta la squadra e ho sempre faticato a sostenere la
pressione della gara. Occorreva una notevole capacità comunicativa,
cogliere i momenti giusti per dialogare, essere anche assertivi, ascoltare i
problemi di tutti i compagni di squadra.
TESTIMONIANZA – Comunicazione autoritaria
La modalità con cui viene comunicata all’atleta l’esclusione da una gara
importante spesso risulta inadatta e demoralizzante.
Lo stato psicologico dell’atleta, a cui viene negata la partecipazione ad
una gara alla quale teneva, o peggio, se viene dirottato su gare di poca
importanza, può provocare un forte stato di demotivazione e di frustrazione
che può compromettere il rendimento anche per il resto della stagione.
In questi casi, è fondamentale la capacità di adattamento (o di
fronteggiamento: COPING), ma molti atleti, non essendo supportati dalle
squadre e non avendo un aiuto psicologico, non riescono a riformulare
nuovi obiettivi sui quali basare la preparazione fisica.
Per quanto concerne la comunicazione tra direttori sportivi e ciclisti, è
consigliabile l’uso della COMUNICAZIONE ASSERTIVA, cioè che tenga
conto della partecipazione alle scelte salvaguardando la reciproca fiducia.
La mia esperienza mi ha portato ad avere contatti con molti direttori
sportivi, purtroppo spesso carenti dal punto di vista umano.
ATTIVITA’ – Comunicare e convincere.
Leggi la serie di indicazioni utili per assicurarsi di praticare una
comunicazione efficace.
Metti una crocetta vicino alle affermazioni e ai suggerimenti che
corrispondono al tuo comportamento.
- Tenete sempre presente l’obiettivo.
- Acquisite la fiducia in voi stessi.
- Preparatevi con precisione.
- Esponete con passione l’argomento.
- Delimitate l’argomento.
- Personalizzate con esempi, dialoghi, immagini.
- Enunciate con chiarezza il concetto principale.
- Rendete partecipi gli ascoltatori.
- Tenete conto degli interessi dell’interlocutore.
- Fate un discorso breve se volete una risposta.
Se il discorso è informativo:
- dosate il tempo;
- ordinate i punti in sequenze;
- evitate termini troppo tecnici o che non conoscete bene.
Se il discorso è improvvisato:
- preparatevi psicologicamente a dover dire qualcosa;
- iniziate con un esempio informale;
- qui e ora: parlate dei presenti, soffermatevi sull’occasione
(cerimonia, riunione...), esprimete apprezzamenti su quanto accaduto o
detto fino a quel momento.
IN OGNI CASO, SIATE VOI STESSI!
15.16 La comunicazione nello Sport.
Abbiamo passato in rassegna gli aspetti del linguaggio e della
comunicazione che riguardano la nostra vita dalla nascita alla morte, in tutti
i contesti, in ogni momento della nostra esistenza.
Il mondo dello sport è parte del sistema comunicativo, che si esprime con
un linguaggio settoriale, al pari del linguaggio della pubblicità, della
scienza e della tecnica, della critica letteraria e artistica.
La presenza dei vocaboli stranieri è diffusa nello scritto e nel linguaggio
orale.
Chi non conosce e usa parole come sprint, forcing, goal, pivot, tie-break,
stopper, play, voleé, set ball… e via dicendo.
Anche nei termini italiani c’è stata una diffusione e un allargamento di
significato. Prendiamo la parola “campo”: campo elettrico, campo di
battaglia, campo di gioco… Si scende in campo nello sport come in
politica!
Pittoresche sono le metafore usate dalla stampa quando descrivono un
avvenimento sportivo: lotta corpo a corpo per lo scudetto, mettere alla
corda, testa a testa in volata sul traguardo…
Ogni atleta utilizza i diversi approcci linguistici proprio nell’esercizio della
sua attività, a livello individuale e sociale. Usa il self talk, comunica con i
compagni, si esprime con il linguaggio orale e scritto, con il linguaggio non
verbale, con l’infinita gamma di gesti ed espressioni del viso, del corpo,
della postura.
Gli allenatori, i direttori sportivi, i dirigenti, la stampa, i tifosi fanno parte
di una stessa comunità attorno a ogni atleta che gareggia; devono fare
attenzione alla sensibilità dell’individuo e dare voce ai valori dello sport
utilizzando atti comunicativi corretti ed efficaci.
15.17 La comunicazione e le istituzioni sportive. Le Scuole di Sport
Dopo la famiglia e la scuola, il ragazzo che vuole fare sport incontra sul
suo iniziale cammino le istituzioni ufficiali operanti in campo sportivo,
come il CONI e le Federazioni Sportive Nazionali (oltre a quelle
internazionali) che hanno organismi territoriali di primo contatto.
Esse rivestono una grande importanza, perché determinano le regole,
gestiscono strutture, favoriscono l’attività sportiva a tutti i livelli e sono il
punto di riferimento delle squadre e dei team, degli operatori dello sport,
delle scuole di sport, della medicina sportiva.
La comunicazione e il coordinamento fra le istituzioni sono dunque
determinanti, poiché sono gli agenti che gestiscono tutte le situazioni
quotidiane con una rete fittissima di rapporti..
All’interno delle istituzioni sportive si trovano anche le Scuole federali
dello sport, alle quali sembra logico rivolgere molte speranze per
l’educazione dell’atleta.
Queste scuole si avvalgono dell’apporto di diverse professionalità, in esse
si insegnano nozioni di tecnica e di tattica specifiche per ogni disciplina
sportiva. A tali aspetti vanno aggiunti altri obiettivi di educazione e
formazione, con nozioni scientifiche, di psicologia, sociologia ecc.
Le scuole federali favoriscono anche la formazione di quadri e
l’aggiornamento per tecnici e dirigenti sportivi, realizzabile mediante
contatti con l’Università e con professionisti di comprovato valore e di
accertata competenza educativa.
Si sta inoltre avverando una proliferazione di iniziative private o
sponsorizzate da ditte per fini anche commerciali che partono, a volte,
senza precisi programmi scientifici e senza garanzie di formazione,
soprattutto se rivolte a giovani che si affacciano sulla scena dello sport. Si
contano scuole di sci, di tennis, di ciclismo, di calcio, di nuoto, di atletica
leggera, di vela nautica... e via discorrendo.
Attirati dal nome di atleti di prestigio, i genitori affidano a mani sicure
l’avvenire sportivo dei figli. Ottima cosa che ex atleti mettano a
disposizione le loro conoscenze e la loro tecnica per i giovani, ma questo
non basta: lo staff deve comprendere anche altre figure professionali per
garantire una formazione completa della “persona che fa sport”.
L’attività sportiva è vincente se l’atleta è una persona che possiede
competenze tecniche e tattiche, ma anche doti morali, determinazione,
coraggio, capacità di gestire situazioni di conflitto, di agonismo...
Il termine “scuola” evoca il compito di educazione e di formazione. Se di
scuola si tratta, sia pure in tono ludico e non con fini competitivi, allora
deve essere presente, oltre al tecnico di settore, anche uno Psicologo e un
Pedagogista (Scienze dell’educazione) con competenze didattico-educative,
in grado di coordinare gli interventi dei singoli operatori e controllare gli
effetti nello stadio delicato di evoluzione psico-fisica del ragazzo che si
accinge a entrare nel mondo dello sport.
15.18 I media: la comunicazione sportiva
Anche la carta stampata, con i giornalisti del settore e gli inviati speciali, la
televisione, con giornalisti TV, opinionisti, commentatori, ospiti d’onore
che popolano quotidianamente le reti televisive, fanno parte del “mondo
dello sport”.
Parole scritte e dette possono determinare, influire, modificare l’opinione
pubblica e quindi devono essere utilizzate come importante risorsa
nell’informazione.
Le pagine di sport sono fatte di resoconti, di commenti e di personaggi.
Proprio queste figure servono da esempio per i giovani, che sono attratti dal
racconto della vita dei loro eroi, da imitare come modelli.
Per chi legge o ascolta, assistere all’alternanza fra l’esaltazione di un
giorno e il biasimo del giorno successivo è disorientante, soprattutto
quando, a distanza di poco tempo, le imprese dello stesso atleta vengono
accolte con entusiasmo, senza far più cenno all’ombra creatasi nella sua
moralità.
C’è un codice deontologico per i soggetti della comunicazione, al quale
devono rifarsi i giornalisti. Già da più parti si pone l’accento sulla
delicatezza dei compiti di informazione che non vanno lasciati in mano a
personaggi privi di preparazione specifica.
Vanno ricordati gli esempi di buon approccio allo sport.
Vanno menzionate le iniziative tese a “catturare” i bambini verso l’attività
motoria, all’interno delle quali essi apprendono lo spirito del sano esercizio
fisico all’insegna del divertimento prima e poi dell’agonismo.
15.19 Gli slogan dei tifosi
Parallelamente allo sport attivo c’è lo sport seguito e sorretto dalla folla dei
tifosi che riempiono gli stadi di calcio, che si ritrovano sulle cime dei passi
creando quell’ala di appassionati al passaggio dei ciclisti. Essi, con la loro
presenza, esaltano la competizione sportiva.
Purtroppo spesso salgono alla cronaca per le intemperanze e, con i loro
comportamenti deplorevoli, con urla, ingiurie, incitamenti alla violenza,
creano un clima di aggressività nel quale l’atleta è portato al superamento
dei suoi limiti fisici e a sorvolare sui suoi principi morali, con le
conseguenze deleterie.
I fatti sono sotto gli occhi di tutti: basta ricordare alcuni episodi di violenza,
atti di vandalismo, incidenti di vario tipo. E’ cronaca di guerra:
“Una partita di calcio è degenerata in guerra aperta: molti feriti lasciati sul
campo.”
“Si assiste a un incremento della violenza nei campi di calcio e nelle
vicinanze: un giovane spettatore ucciso davanti allo stadio durante i
tafferugli scatenati dalla decisione dell’arbitro.”
“Polizia in stato di assedio, con scontri fra sostenitori delle due squadre e in
campo: quale esempio traggono i giovani vedendo i loro idoli comportarsi
in quel modo?”
“La violenza si sta estendendo anche sui campi da tennis, durante le
partite...”
“Al passaggio del gruppo di ciclisti, un tifoso ha preso di mira un corridore
avversario del suo idolo e gli ha sputato in faccia...”
E’ vero che le schiere di tifosi sono accessori esterni al mondo dello sport,
ma è altrettanto vero che senza di essi lo sport morirebbe. C’è un legame
molto stretto fra l’atleta e il suo supporter, i comportamenti si influenzano
reciprocamente, essi devono essere accomunati dalla passione sportiva, dal
culto della prestazione, dalla gioia e dalla spensieratezza, dalla ritualità.
Occorre ricreare quella cultura sportiva, che prevede un reciproco rispetto,
un’adesione ai principi umanistici e tecnici dello sport, nella sua accezione
di puro, educativo, pacifico, civile, portatore di istanze nobili.
TESTIMONIANZA - Una giornata di riposo al Giro d’Italia
Evviva il Giro - Passa il Giro d’Italia e, come ogni anno, voglio assistere
a una tappa: mi piace immergermi in quell’atmosfera gioiosa e colorata,
per vedere da vicino i “grandi” della bicicletta, per ammirare le bici e i
meccanici al lavoro. Per me e i miei compagni, la giornata migliore è
sempre stata la giornata di riposo del Giro: quest’anno andiamo alle
Terme Euganee.
Fiuto da detective – Ci mettiamo alla ricerca di alberghi ove poter
riscontrare qualche parvenza della carovana: automobili con scritte,
motorhome e ammiraglie, bici al rimessaggio...
Scopriamo solo alla fine della giornata che esiste “Il libro del Giro” con
tutte le notizie relative alla logistica, e cioè dove sono alloggiate le
squadre, dov’è il quartiere generale, dov’è esattamente la partenza...
L’occhio esperto del cicloamatore scopre ben presto qualche indizio.
Nell’albergo a 5 stelle, meglio collocato rispetto alla partenza della tappa
successiva, riposano due squadre importanti, evidentemente con un ricco
badget: i campioni vanno trattati bene! Le altre squadre sono disseminate
in tutta la zona.
I primi incontri - E’ proprio nell’albergo a 5 stelle che vediamo il Team
Manager di una squadra che gode dei pronostici di vittoria finale. Al
nostro richiamo, gentilmente ci saluta, ci dà la mano, ci chiede come
stiamo... allora azzardiamo: ”Possiamo vederci per un minuto?” ma
riceviamo una risposta vaga :”Ora no, non posso, magari dopo...” e
capiamo che è molto impegnato.
Intanto facciamo il giro della hall dell’albergo, vediamo in sala da pranzo
una tavolata con presidenti e organizzatori del ciclismo : ”Guarda, c’è
anche il tale...”, poi sgattaioliamo fuori, senza ovviamente fermarci ad
attendere il T.M, anche se ci sarebbe piaciuto fare due chiacchiere,
prendere un caffè insieme, farci presentare qualche corridore, magari
avere un appuntamento per la serata...Avremmo avuto tante cose da
chiedere, tante considerazioni da porre... Ma lì, in quel momento e in quel
contesto, nel loro mondo frenetico, non siamo niente, le nostre idee e le
nostre opinioni non interessano, possiamo solo essere spettatori.
Continuiamo la nostra full immersion di “amanti del ciclismo” e
individuiamo la dislocazione di quasi tutte le squadre.
Il quartier generale - Ci soffermiamo a lungo nella zona del quartier
generale, capitando nei momenti più significativi: è lì il clou della
giornata!
Entriamo nella grande sala allestita per la stampa (con la scusa di cercare
alcuni giornalisti che conosciamo): il colpo d’occhio è grandioso.
Giornalisti al computer a scrivere i loro articoli o al telefono a dettarli...
personalità in divisa con borse zeppe di documenti... qualche notizia
captata qua e là... tutto interessante, finché un grosso addetto ci invita a
uscire, anche se, come noi usciamo, altri entrano.
Ai piani alti c’è una riunione ristretta alla quale sono ammessi pochi e
selezionati personaggi (dirigenti, cronisti, giuria). Prima di uscire,
chiediamo alla segreteria quale sia il punto esatto di partenza per il giorno
successivo, ma riceviamo almeno quattro risposte diverse: nonostante
l’imponente organizzazione, aleggia un’aria di provvisorietà e di
indifferenza, quasi non sia poi così importante mettere punti fermi, tanto
tutto al momento giusto si metterà in moto regolarmente, come un vero
carrozzone.
Uscendo, incontriamo un giornalista, la persona più disponibile e umana
della giornata. Alla solita domanda: ”Da dove parte esattamente la tappa
domani?”, rimane un attimo spiazzato, poi si attiva per cercare
l’informazione e ci dà finalmente la risposta desiderata.
Gentile! Lo seguiremo, leggendolo sulle pagine della sua testata.
I corridori e i tifosi – Sostiamo ancora nei paraggi perché iniziano a
giungere i corridori per la riunione indetta dal loro rappresentante al fine
di prendere decisioni relative al codice “d’onore” da rispettare.
Ogni volta che li vedo, mi meraviglio di quanto siano giovani ed esili,
mentre in TV sembrano più adulti e maturi. I ragazzini chiedono autografi,
quando poi scende dall’auto il campione del momento, alto, imponente,
sicuro di sé, viene subito attorniato dai fan. Lui, quasi divo, firma serio i
fogli protesi per l’autografo, fermandosi poi in disparte a parlare
scherzosamente con due ragazze, forse addette al giro o conoscenti.
L’autografo - Non so perché, spinta da chissà quale motivazione, ma mi
viene voglia di chiedere un autografo; avvicinandomi, sento che non è il
momento opportuno, ma ormai sono lì, lui non si gira e allora mormoro
:”Scusa”, porgendogli la biro e il libro da firmare. La ragazza color
carota con la quale il campione parla si volta soffocando un risolino
(colpita da paranoia penso che stia ridendo di me) e lui, il “grande”
corridore che sa esaltare le folle, adempie al compitino, senza guardare me
e il libro, prende la biro, fa lo scarabocchio sul foglio... e io mi seppellirei,
mi sento un oggetto, trasparente ai suoi occhi.
Non ha detto mezza parola, meccanicamente il suo braccio ha fatto il
gesto, impersonale, distaccato, come un adempimento dovuto, senza
avvertire che di fronte a lui aveva una “persona”, con la sua passione per
il ciclismo, con la sua intelligenza, con il suo orgoglio. Ma perché mi è
venuta in mente questa bella idea? A me non importa poi tanto quella
firma, probabilmente fra qualche mese getterò il tutto.
Passa anche il suo “gregario”, nostro conterraneo, e io, per valorizzarlo,
lo faccio firmare vicino al capitano: compiaciuto, con lo stesso
atteggiamento di indifferenza, fa la sua firma e mi sembra che si dia la
stessa importanza del capo.
La giovane promessa - Mi ritiro in un angolo, consapevole del fatto che
per gli atleti sono fastidi a cui si assoggettano per dovere, mentre ai
“comuni mortali” non interessa poi tanto lo scarabocchio su un foglio di
carta, quanto un momento di contatto diretto con loro, uno scambio di
battute, uno sguardo diretto, un sorriso!
Viene da pensare che quando, inevitabilmente col passare tempo, verranno
a mancare ai corridori queste occasioni, essi crolleranno e la loro super-
autostima si trasformerà in depressione, perché della notorietà di folla,
una volta assaggiata, non se ne può fare a meno!
L’ultimo approccio lo faccio con un corridore “emergente”. Nel momento
in cui passa davanti a me, gli dico: ”Firma anche tu, giovane promessa!”
Rallenta, esita, fa un mezzo sorriso, poi scrive il suo autografo. Altri lo
fermano, stringendogli la mano e facendogli i complimenti,
incoraggiandolo. Se son rose, fioriranno...
Tante cose da dire - Decidiamo che può bastare e, con questi pensieri in
testa, mi allontano dalla scena dello spettacolo. Non sono fatta per
l’ammirazione fanatica, vedere o toccare un personaggio non è al culmine
delle mie aspirazioni, ma osservare da vicino i tipi e l’ambiente mi
interessa per le mie ricerche e per i miei studi.
Avrei voluto farmi conoscere, dire loro :”Io sono una psicologa che si
interessa di sport!” ma ai T.M, ai Direttori sportivi, agli atleti non
interessa quello che avrei loro da dire, chiusi come sono nel loro mondo,
nel loro ruolo e nei loro impegni.
Tanti sarebbero gli argomenti da approfondire: l’importanza della
determinazione nello sport, come tenere sempre alta la motivazione, avere
la chiarezza degli obiettivi, la concentrazione, come affrontare il
superamento della fatica fisica e mentale, come liberarsi dell’ansia, gli
effetti del successo, come reagire alle frustrazioni e all’insuccesso...
Essere al centro dell’attenzione è bello e inebriante; è come salire sempre
più in alto in una torre, da cui dominare gli altri. Ma più in alto si sale, più
il tonfo risulta disastroso, quando si cade.
Pazienza, sarà per un’altra volta! Spero che almeno leggano questo libro!
P.S. I personaggi sono (quasi) inventati.
Dott.ssa Graziella Dragoni –
Pesagogista. Psicologa. Psicopedagogia dello sport.
APPENDICE
PEDAGOGIA E PSICOLOGIA DELLO SPORT
Nascita ed evoluzione
PSICOLOGI E PEDAGOGISTI NELLO SPORT
Nell’ambito dell’attività di psicologi e pedagogisti dello sport, seguendo le linee del
pensiero nel corso dei secoli, estrapoliamo i temi che formano i principi dei possibili
interventi: l’aspetto ludico dello sport, il contatto con la natura e il rapporto con la
corporeità.
Innanzi tutto consideriamo lo sport come gioco, facendo risalire la nascita del concetto
di sport proprio al suo aspetto ludico. Nel gioco, come nello sport, troviamo movimento,
regole, creatività, tensione.
Nell’antichità gioco e mito di fondevano; molti sport hanno origini antiche, religiose e
mitiche. Ricordiamo i giochi di palla, in collegamento con l’origine della terra; già nelle
civiltà precolombiane si giocava lanciando la palla in verticale, una specie di
pallacanestro.
In Egitto erano diffuse molte attività sportive: corsa, lotta, canottaggio, esercizi fisici di
flessibilità collegati alle loro divinità.
In Oriente erano consuete le pratiche del corpo che tuttora sono praticate in tutto il
mondo: le posizioni che si assumono, collegate alla respirazione, servono a ottenere la
conoscenza e la padronanza del corpo, oltre che l’elevazione spirituale.
Chuang-tseu, filosofo cinese, disse duemilacinquecento anni fa: ”L’uomo vero respira
con i talloni, mentre la gente comune respira attraverso la gola”. La respirazione è
insieme vitalità, azione, amore, spirito di comunione, intuizione, premonizione,
movimento.
I VALORI
Le antiche tradizioni, come la danza in India, le arti marziali in Cina, ci tramandano i
valori fondamentali del rispetto, della rettitudine, della pazienza, del coraggio, della
disponibilità, indispensabili per la realizzazione di obiettivi.
Anche nella Grecia arcaica erano frequenti le manifestazioni sportive, alle quali si
attribuiva un valore educativo. Ai tempi di Sparta e Atene, pur con diversi metodi
educativi e diverse finalità, si organizzavano manifestazioni di giochi atletici.
L’educazione impartita ai bambini prevedeva prove di atletismo con l’obiettivo di dare
ai giovani un modello di regole da rispettare e di equilibrio psico-fisico da raggiungere.
Memorabile è la descrizione fatta da Omero dei giochi organizzati da Achille in onore
della morte di Patroclo.
…” E primamente alla corsa de’ cocchi il premio pose:
una leggiadra donzella a chi primier tocca la meta...
Una giumenta al secondo…
un lebéte intatto e bello al terzo auriga,
al quarto un doppio aureo talento
e al quinto una coppa dal fuoco ancor non tocca.”
(Omero, Iliade, Libro ventesimo terzo)
A parte l’originalità dei premi, come ai giorni nostri, la gara viene seguita con
partecipazione dal pubblico, che si appassiona alla corsa, fa congetture e predizioni
come le moderne scommesse.
Si procede poi alla gara del pugilato, o del cesto (così era chiamato il guantone
impugnato dai lottatori).
Segue il gioco della lotta; i due lottatori si abbrancano con le braccia nerborute, le ossa
scricchiolano, ai fianchi appaiono lividi(!). Si procede poi alla gara di corsa a piedi, alla
sfida della spada, al lancio del disco, alla prova dell’arco (crudele tiro a una colomba!)
e, infine, alla prova delle lance.
Nella Roma antica era la famiglia che educava il giovane e si dava importanza allo
sviluppo di capacità intellettuali, quali l’oratoria; l’addestramento del corpo era volto
alle abilità necessarie in campo militare, mentre invece erano molto sviluppati i giochi
circensi e la frequentazione delle terme, come luoghi di rilassamento fisico e mentale. In
realtà, lo sport era vissuto più nel ruolo di spettatore che come attività personale.
Durante il Medioevo l’educazione corporea non venne sviluppata; anzi, secondo il
principi del Cristianesimo, venivano condannati alcuni aspetti delle attività sportive, ad
esempio la nudità degli atleti, la crudeltà di certi scontri.
Dobbiamo ad Agostino l’opera pedagogica il De Magistro, nella quale viene
sottolineata l’importanza dell’esperienza per la conoscenza e quindi viene riconosciuto
il valore dell’educazione diretta.” Immagina che noi ora per la prima volta udiamo la
parola capo… se ci viene indicato un capo col dito, vistolo, comprendiamo il segno che
prima avevamo soltanto udito ma non mai conosciuto.”
Tommaso attribuisce pari dignità ad anima e corpo e indica la necessità di curarli
entrambi.
”… il rapporto fra anima razionale e corpo non va inteso come relazione fra contenente
e contenuto, in quanto le entità immateriali come l’anima controllano e organizzano
(gubernant et regent) la materia globalmente e non in modo localizzato, come invece
sostenevano i neo-Platonici.”
Al tempo dei cavalieri medioevali era una necessità essere agili e vigorosi, perciò essi
dedicavano molto tempo all’addestramento. La vita del futuro cavaliere iniziava con
l’apprendistato per apprendere i rudimenti dell'equitazione, della caccia e del maneggio
delle armi.
LA PEDAGOGIA E LA NATURA EDUCATRICE .
E’ solo nel 1400/500 che si può parlare di Pedagogia e di educazione fisica con
Vittorino da Feltre, il pedagogista che aprì una scuola per ragazzi di umili origini, “Ca’
Gioiosa”, con un curriculum educativo composto, oltre che dal trivio e dal quadrivio,
anche da filosofia ed educazione fisica, con il gioco e le gare all’aperto per la salute dei
ragazzi.
In Inghilterra, il primo a parlare di educazione fisica fu John Locke nei suoi “Pensieri
sull’educazione” del 1693.
Importante fu il contributo di un grande pensatore francese del Settecento, Jean Jacques
Rousseau, che tanta influenza ebbe nei secoli successivi; nel suo intento di riportare
l’uomo al contatto con la natura, favoriva l’attività motoria e l’affinamento dei sensi del
suo Emilio secondo principi di gradualità e modalità indirette, tramite la scoperta e
l’osservazione del mondo che circondava il fanciullo.
“Che Emilio corra la mattina a piedi nudi, in ogni stagione, per la camera, per le scale,
per il giardino… che egli impari a fare tutti i passi che favoriscono le evoluzioni del
corpo, a prendere in tutte le attitudini una posizione comoda e solida, che sappia saltare
in lungo, in alto, arrampicarsi su un albero, scavalcare un muro, trovare il suo equilibrio,
come poggiare il piede a terra, sentire se sta bene o male… Ne farei l’emulo di un
capriolo, piuttosto che un ballerino dell’Opera.”
Con l’Illuminismo, in continuità con il pensiero di Rousseau, diversi furono i pensatori
che coltivarono l’interesse per l’educazione fisica.
Si citano Basedow e Vieth come ideatori delle scuole di filantropia che apportarono
diverse innovazioni per l’educazione corporea:
- erano previste ore destinate a moto, danza, equitazione, scherma;
- si faceva formazione professionale per gli insegnanti di educazione fisica;
- ci si dedicava allo studio della fisiologia e dell’anatomia in relazione agli esercizi
motori.
Si chiedevano moderne strutture: uno stadio per la corsa, una sede attrezzata per i salti,
i volteggi e le arrampicate, una piscina, un maneggio e una palestra con due ampi locali
per la scherma e la danza.
Ricordiamo ancora Guts Muths che elaborò una pedagogia pratica dell’educazione
fisica; nel suo libro “Ginnastica per la gioventù” sostenne concetti importantissimi che
saranno ampiamente sviluppati in tempi attuali: l’unità fra corpo e spirito e l’importanza
della motivazione al movimento e all’esercizio fisico.
I METODI
Nel 1800, il secolo del Romanticismo, da Wolfgang Goethe a F. Schiller si rivendicò il
diritto di esprimere liberamente la propria natura, pur rispondendo a istanze di
formazione sociale. Schiller affermava che “l’uomo gioca soltanto quando egli è uomo
nel pieno significato della parola, ed è interamente uomo solo quando gioca”.
(Abbagnano-Visalberghi)
Si sviluppò l’interesse pedagogico per l’educazione fisica in vari paesi; sorsero scuole
di educazione fisica in Germania, Francia e in Svezia.
Fra le tante iniziative in Italia, ricordiamo l’attività di Ferrante Aporti che nel 1828
fondò a Cremona la prima scuola infantile a pagamento; non si trattava dei soliti asili di
custodia, ma, accanto agli insegnamenti linguistici di lettura e scrittura con il metodo
induttivo, erano praticati esercizi di ginnastica, giochi, canti.
Anche in Inghilterra, seguendo la filosofia del positivismo, Herbert Spencer con la sua
opera pedagogica “Sull’educazione intellettuale, morale e fisica” del 1861 segnalava
l’importanza di attività corporee per sviluppare i muscoli, raffinare le percezioni e il
senso critico.
In Italia, nella seconda metà del 1800, Aristide Gabelli scriveva:
” … tramite l’osservazione diretta si sviluppa quel prezioso “strumento testa”, senza il
quale l’uomo rimane per tutta la vita e in tutte le cose una barca senza timone, una
cannuccia che il vento piega ora in qua ora in là..”.
Dopo l’unità d’Italia, questo concetto era presente nell’opera dei positivisti come ad
esempio in Roberto Ardigò, il quale, a proposito di educazione, sosteneva:
”Impedire il gioco ai bambini sarebbe ucciderli moralmente… poiché è un bisogno
irresistibile… perché offre l’occasione di vedere, toccare gli oggetti, riconoscerne le
proprietà, le differenze e le somiglianze e tutti quei rapporti che costituiscono le
condizioni del sapere…”
Come possiamo notare, ci sono tutti gli elementi che tuttora vengono valorizzati,
partendo dal gioco per giungere alla pratica sportiva che sul gioco è basata.
Enrico Pestalozzi, il pedagogista svizzero, elaborò una teoria di educazione integrale,
nella quale avevano pari dignità “cuore, mente, corpo”, inventando un metodo completo
di ginnastica detta “analitica” in quanto basata sulla scomposizione dei movimenti delle
varie parti del corpo.“L’educazione è avviamento all’autonomia della vita morale”.
Anche August Froebel nei suoi “giardini d’infanzia” (kindergarten) favorì l’attività
motoria attraverso giochi di manipolazione e di movimento con un sistema di “doni”
pensati per le loro caratteristiche. Questi materiali, come i moderni sussidi didattici,
erano la palla e la sfera, che servivano alla percezione del movimento, il cubo per la sua
stabilità, il cilindro che assomma le qualità fisiche della palla e del cubo, un cubo
formato da tanti piccoli cubi, precursore dei giochi di costruzione.
ZOOM – I “doni”
La serie completa dei doni era costituita da:
1 - Una palla di stoffa, con sei palle minori dai colori dell’arcobaleno e un supporto
per farle dondolare.
2 – Una sfera, un cubo e un cilindro di legno, con diametro, spigoli, diametro e altezza
tutti della stessa misura.
3 – Un cubo scomponibile in otto piccoli cubi.
4 – Un cubo scomponibile in otto parallelepipedi o mattoncini.
5 – Un cubo scomponibile in 27 piccoli cubi.
6 – Un cubo scomponibile in 27 piccoli parallelepipedi.
Tali strutture, che oggi sono di uso comune, sono state pensare e inventate da
personaggi creativi in tempi passati.
Il tedesco Fiedrich Ludwig Jahn chiamò con il termine Turnen il tipo di ginnastica
tedesca che divulgava il culto esasperato del corpo per formare una gioventù adatta
alla vita in comune. Si deve a lui l’invenzione di diversi attrezzi da ginnastica, quali le
parallele, gli anelli, il cavalletto, mentre fu Adolf Spiess a proporre l’educazione fisica
per le donne.
Ad opera di Pierre Henrik Ling si sviluppò la ginnastica svedese, suddivisa in
ginnastica pedagogica, per l’equilibrio fra mente e corpo, la ginnastica estetica e la
ginnastica militare.
NASCITA DELLO SPORT MODERNO
Come anticipato, si fa risalire all’inglese Arnold la nascita dello sport moderno e del
professionismo atletico.
Thomas Arnold era preside delle scuole della cittadina inglese Rugby e in quella veste
apportò diverse innovazioni, anticipando la teorie del self-governement: i più grandi si
assumevano la responsabilità di controllare e aiutare gli scolari più piccoli per realizzare
l’obiettivo di “formare una società di uomini intelligenti, raffinati, attivi e tenere alto il
nome della scuola”. Siamo nel 1828!
La pratica sportiva rappresentò il mezzo per rafforzare il corpo e consolidare principi
morali. Secondo Arnold, lo sport praticato all’aria aperta, oltre allo sviluppo fisico,
aumentava la consapevolezza delle proprie forze, consolidava il senso di equilibrio nel
corpo e nella mente, impegnava nel self control e nella responsabilità per affrontare la
vita e contribuire allo sviluppo della società.
Le caratteristiche di quell’esperienza volte al concetto di sport in senso moderno furono
la competizione, il gioco e l’attività formativa. Soprattutto nella competizione si
imparava a rispettare le regole, a superare i propri limiti, a gestire il successo e la
sconfitta, a praticare il fair play e il self control.
Nelle Pubblic schools si faceva attività sportiva, nacquero i club sportivi, si stabilirono
regole nelle discipline, come le regole di Cambridge sul calcio, nel 1848-50.
“Presso l’Università di Cambridge, nel 1848, un gruppo di appassionati di calcio si
riunirono per stabilire alcune regole basilari da rispettare nel gioco del calcio. Dopo un
incontro assai vivace e lungo si decise che il pallone poteva essere toccato solo con i
piedi, mentre con le mani poteva essere toccato solo dal portiere e nei momenti in cui
doveva essere raccolto per effettuare un calcio di punizione. Queste regole furono
accettate da tutti i club presenti, tranne che dai rappresentanti del club dell’Università di
Rugby in favore di un gioco più fisicamente impegnativo, lasciando la possibilità di
toccare il pallone con le mani. Nacque così lo sport del rugby, appunto dal nome della
cittadina inglese.”
In Italia, fu Emilio Baumann a dare impulso all’educazione fisica nelle scuole. Fu
insegnante di ginnastica a Treviglio dove impartì la sua prima lezione di ginnastica agli
anelli; frequentò a Torino il primo corso di ginnastica magistrale nel 1861 tenuto da
Obermann. Divenuto medico, con la tesi “La ginnastica nei suoi rapporti con la
medicina e l’igiene”, proseguì la sua opera di sensibilizzazione introducendo la
ginnastica nelle scuole elementari. Fu tra i fondatori della Federazione delle Società
Ginnastiche Italiana nel 1868 e partecipò alla nascita della società che divenne poi la
storica Virtus Bologna di pallacanestro.
Durante gli anni della sua attività ideò diversi attrezzi: l’asse di equilibrio, gli appoggi, i
ceppi, le clavette, il saltometro e lo spirometro, a tutt’oggi utilizzati. Inoltre, con
anticipazioni moderne, si interessò del problema dello stress e del tempo libero,
occupandosi anche della formazione degli insegnanti.
Va ricordato anche Angelo Mosso, quale precursore della medicina sportiva moderna,
con i suoi studi sulla fatica e sulla respirazione e sulla educazione fisica femminile.
Sempre proseguendo la ricerca di spunti che sono riconducibili ai temi della psico-
pedagogia dello sport, troviamo ulteriori orientamenti relativi alla ginnastica.
In Francia George Herbert riprese Rousseau nel concetto dei movimenti naturali,
Francesco Delsarte si interessò della ginnastica adatta alle donne: la sua ginnastica pura
aveva lo scopo di favorire lo sviluppo psico-fisico dell’individuo, al pari della
ginnastica ritmica ideata dal musicista e pedagogo austriaco Jaques Dalcroze.
Sulla sua traccia, anche Rudolf von Laban vedeva l’importanza del “pensare in termini
di movimento” con lo scopo di orientare il mondo interiore delle persone e soddisfare le
pulsioni che sorgono dal desiderio di muoversi.
Rudolf Bode inventò la “ginnastica di espressione” attraverso il ritmo e la cura della
respirazione. Proprio Bode si interessò del rilasciamento e della distensione, in forma
assai moderna e attuale.
IL NOVECENTO
Lo sport nei regimi totalitari degli anni del Novecento, Russia, Germania, Italia, è al
servizio del patriottismo: la ginnastica e i successi dell’atleta devono servire a dare
lustro al regime.
Di altra tendenza è la pedagogia dei valori di Sergio Hessen, richiamando le esperienze
senso-motorie attraverso il gioco di Froebel e della Montessori.
Col ritorno delle Olimpiadi moderne, nel 1896, si definiscono le discipline sportive e i
loro principi. Le competizioni previste dal CIO furono 8: atletica leggera, ciclismo, lotta
greco-romana, nuoto, scherma, sollevamento pesi, tennis, tiro.
Pierre de Coubertin, al quale si attribuisce il motto “importante è partecipare, non
vincere”, sosteneva che il carattere del ragazzo si forma soprattutto per mezzo del corpo
e non solo dello spirito. Egli evidenziò l’universalità dello sport: ”Un record è il limite
che l’uomo raggiunge grazie alla forza ricevuta dalla natura che si è sviluppata dentro di
lui per l’energia del suo carattere. La sua situazione sociale, il nome, la fortuna che ha
ereditato dai suoi genitori non hanno peso sull’argomento…”
Dai primi anni del Novecento la Pedagogia si sviluppa, anche con i contributi delle altre
scienze come la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia e la sociologia.
Per John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense pragmatista, l’educazione deve
coinvolgere corpo e anima utilizzando i laboratori in cui si “impara facendo” (learning
by doing) e soddisfacendo gli interessi più spontanei. Dewey parla di creatività motoria,
poiché ogni attività motoria si avvale dell’immaginazione. Il credo pedagogico di
Dewey si basa sulla dottrina dell’interesse, quale elemento motore dell’apprendimento,
poi ripresa da W.Heard Kilpatrick.
Ai principi del “metodo dei progetti” si ispirarono pedagogisti ed educatori come
Carleton Washburne, Elena Parkhurst, rispettivamente con il sistema di Winnetka, zona
suburbana di Chicago, e il “piano Dalton” dal nome della cittadina americana. Le loro
scuole furono impostate secondo il sistema di insegnamento individualizzato e il
sistema dei progetti. Il loro contributo in merito alla Preparazione Mentale per lo sport,
anche se indiretto, è fondamentale per alcuni concetti applicabili all’allenamento.
Secondo Washburne si può stabilire un programma minimo di abilità e cognizioni
essenziali, scientificamente stabilito e controllato, che può essere assimilato da ciascun
individuo per traguardi successivi , secondo il proprio ritmo. Si prevedono tests di
avviamento e tests di controllo, sia per le proprie prestazioni, sia per le attività di gruppo
previste, fra cui anche le sportive.
Nelle scuole del piano Dalton ogni allievo compila un personale “progetto di studio”
definendone le tappe delle attività da svolgere in laboratorio, facendo quindi leva
sull’autogestione agli effetti dell’autorealizzazione.
Nei suoi stadi di sviluppo della vita psichica Jean Piaget, lo psicologo e pedagogista
svizzero, ampiamente conosciuto e seguito per l’importanza della sua opera, mette la
motricità alla base della sua teoria. In particolare parla di adattamento che si realizza
attraverso due momenti: assimilazione, cioè apprendimento di schemi, ed
accomodamento, cioè modifica di schemi esistenti e quindi nuovi apprendimenti.
LE SCUOLE NUOVE
In Italia troviamo Maria Montessori, la prima donna italiana laureata in medicina,
pedagogista; il suo metodo partiva dalla convinzione che nei primi tre anni di vita il
bambino ha la mente assorbente per tutto quanto lo circonda, compreso anche quanto
attiene la corporeità: “il movimento è fattore indispensabile”. Al suo nome sono ispirate
ancora molte scuole dell’infanzia, che utilizzano il materiale strutturato per lo sviluppo
sensoriale, peso, forma, colore.
Baden Powell organizzò nel 1907 lo scoutismo: le attività sono svolte all’aria aperta e
l’organizzazione in gruppi con un ragazzo più grande da tutore, secondo i principi di
amicizia, lealtà, rispetto per la natura e per gli altri anticipa il concetto di self-
government. Praticare uno sport serviva a sviluppare, oltre che il fisico, anche la
socialità, come avviene negli sport di squadra, nel calcio, nella pallacanestro.
Un grande impulso nel rinnovamento dei metodi didattici avvenne in Svizzera ad opera
di Adolfo Ferrière, sociologo ed educatore, che indicò i principi della “Scuola attiva” e
seguì le esperienze di attivismo in Europa basate sul “metodo del lavoro”. Ispirandosi
alla teoria di Bergson sullo slancio vitale, Ferrière sosteneva che la vita è energia
spontanea. La spontaneità del fanciullo si manifesta secondo le età: giochi, attività
costruttive, servizi. Quanto più il fanciullo troverà occasioni di giocare spontaneamente,
tanto meglio le sue molteplici facoltà saranno messe in azione e tanto meglio si
svilupperà.
Peccato che fra le attività delle scuole attive non rientri un programma di educazione
fisica: si parla di passeggiate finalizzate all’osservazione scientifica!
PEDAGOGIA SOCIALE IN FRANCIA
Si deve a Jean Le Bolch, medico ed educatore francese, la teoria della psicomotricità
funzionale che si oppone alla concezione dualistica della persona e valorizza l’aspetto
relazionale e l’interesse.
Prima di lui, lo psichiatra Julian de Ajuriaguerra sostenne l’unità psicosomatica
dell’individuo nella sua completezza di psiche e corpo.
Le Bolch si avvalse degli studi di Piaget sulle fasi di sviluppo prima ricordate; nello
stadio, operatorio concreto, si raggiunge la consapevolezza della propria motricità e del
proprio schema corporeo.
I temi della psicomotricità, nata in Francia, ebbero un largo sviluppo tra gli anni
1950/70 anche nella scuola italiana con le opere di Vayer, Acouturier, Lapierre.
I principi della pratica psicomotoria sono semplici e universali: il bambino si sviluppa
armonicamente attraverso il gioco spontaneo, il movimento, il piacere di comunicare il
proprio vissuto. Può così esprimere e sperimentare le proprie potenzialità creative e
motorie, secondo il rispetto dei propri tempi e modi. Viene concesso ampio spazio alla
verbalizzazione di quanto eseguito attraverso il disegno e il linguaggio, momento utile
per la verifica dell’apprendimento.
E’ proprio questo il suggerimento che risulterà utile all’atleta di qualsiasi disciplina
sportiva impegnato nell’allenamento in fase di verifica e successivo feedback.
Nel movimento dell’attivismo educativo spicca l’opera di Roger Cousinet, importante
soprattutto per quanto riguarda la formazione delle squadre spontanee per attivare
attività di gruppo, durante le quali spiccano le doti individuali di ciascun componente.
Osservando le dinamiche interne, emergono alcuni fenomeni ricorrenti, come la
leadership e l’outcasting (quarantena, messa al bando), situazioni che si riscontrano
tuttora negli sport di squadra. “… quando la vita sociale è più intensa, quando i gruppi
sono più stabili, si producono fluttuazioni che testimoniano quanto sia lento e difficile
l’apprendimento sociale.”
LE INTELLIGENZE
Giungiamo ai giorni nostri con i grandi pensatori, psicologi e pedagogisti.
Bruner condivide la teoria di Dewey e parla dell’apprendimento di strutture e non solo
di fatti isolati e della successiva utilizzazione attraverso il tranfert. Questo principio
vale per qualsiasi apprendimento, anche per la motricità e il gesto sportivo. Ribadisce il
valore dell’azione nell’educazione e dell’importanza del gioco.
“Chi ha provato a insegnare a qualcuno a giocare a tennis o a sciare, o a un bambino di
andare in bicicletta, sarà certo rimasto colpito dalla inutilità delle parole e dei
diagrammi ai fini di tale insegnamento.”
Per Bruner, il modo migliore per aiutare ad apprendere è basarsi sull’interesse.
“Lo sport è un esempio tipico di attività nella quale il giovane non ha bisogno di
incitamento per godere dei progressi che compie… in una scuola scozzese si era
stabilito un nuovo genere di competizione: gareggiare contro se stessi, per migliorare il
loro precedente record in una certa gara…”
Queste parole sono un chiaro riferimento al compito centrato su se stessi e non solo sul
confronto con gli altri!
Un ruolo importante ricoprono gli autori delle ricerche sociologiche e psicologiche che
influenzarono la Psico-pedagogia dello sport nell’ottica della conoscenza del mondo per
mezzo del corpo.
Parlebas ha affrontato il progetto di educazione attraverso lo sport, riprendendo ricerche
di Kurt Lewin.
Si deve a Lewin la terminologia di “dinamica di gruppo” e il concetto della “teoria di
campo”, individuato come l’ambiente delle complesse interazioni sociali. Altri concetti
sviluppati sono l’azione e l’influenza del leader (positivo e negativo), la presenza del
capro espiatorio, il gioco di squadra, che è costituito dai comportamenti dei singoli
relativamente alla forza, alla gestione del potere, al carattere di ciascuno, al gregariato;
inoltre, le finalità e le motivazioni del singolo che determinano una certa tonalità del
clima di squadra.
Su questi temi si basa lo psicologo francese Pierre Parlebas per analizzare i fattori del
gioco di squadra e le sue manifestazioni. Traccia un profilo di ogni componente e del
clima che si crea fra i giocatori, distingue la tipologia delle relazioni e dei ruoli assunti.
Parlebas individua le peculiarità di alcuni tipi di sport che hanno caratteristiche interne
diverse per quanto attiene il ruolo dei giocatori, nella loro prestazione, nello
svolgimento delle azioni sportive. In molti casi i ruoli sono differenziati in due versanti,
sia fra una disciplina e l’altra, sia all’interno del team. Nel gioco del calcio, ad esempio,
ciascuno ha un ruolo preciso (portiere, attaccante, ecc.), mentre nel basket c’è maggiore
scambio di ruoli.
A livello psicologico e pedagogico, sono valide le sue indicazioni sulla necessità di
verbalizzazione dopo la partita, sulla definizione degli schemi di gioco, sul rispetto
dell’inconscio motorio, cioè sulla necessità di tener conto delle spiccate predilezioni
verso una disciplina o un ruolo all’interno della squadra.
Un altro importante contributo proviene da Karl Rogers, psicologo e terapeuta, che
concorse a delineare un metodo centrato sul “cliente” e una terapia di gruppo “non
direttiva”, facendo perno sulla relazione empatica fra i soggetti, cioè sulla capacità di
immedesimarsi nell’altro e nelle sue sensazioni. I suoi insegnamenti sono alla base della
formazione sulla Preparazione mentale per lo sport e delle relative attuazioni.
Jacob Levy Moreno, psicologo e psicoterapeuta, si dedicò all’insegnamento; è noto
soprattutto per l’invenzione del metodo sociometrico per l’analisi della struttura e delle
dinamiche di gruppo. Si basa sull’analisi delle scelte positive o negative all’interno di
un gruppo (classe, squadra) e aiuta a recepire le figure di leader, gli emarginati, le
simpatie reciproche.
Moreno ha ideato lo psicodramma e il sociodramma, basandosi sull’improvvisazione e
sullo scambio di ruolo tramite un processo individuale di personificazione, con possibile
applicazione nello sport di squadra.
All’uso dello Psicodramma si è dedicato anche Alfred Adler (Psicologia individuale)
che introduce alcune varianti e integrazioni; i partecipanti intervengono nell’azione,
molta importanza è data alla comunicazione con dialoghi e soliloqui, c’è un momento di
analisi intermedia, rendendo possibile l’attualizzazione di eventuali conflitti inconsci
giungendo così alla possibilità di catarsi, con conseguente scarico di emozioni, con atti e
parole spontaneamente prodotti, ai quali segue il momento del rilassamento e
dell’incontro individuale con il conduttore.
Diversi altri autori hanno avuto molta influenza nelle Teorie delle sport.
Uno di questi è Howard Gardner, che si ricorda per la teoria delle intelligenze multiple,
fra cui anche l’intelligenza corporeo-cinestesica. L’intelligenza è intesa in quanto
capacità di risolvere problemi o creare nuove applicazioni. Richiama la finalità di creare
armonia fra corpo e mente, approfondisce la complessità delle prestazioni motorie.
”L’operazione del sistema del movimento è terribilmente complessa, richiedendo la
coordinazione di una varietà estrema di componenti neurali e muscolari in modo
differenziato e integrato”
Si sviluppano studi sull’emotività con Daniel Goleman, sui bisogni con A.Maslow di
cui parliamo ampiamente nell’ambito della Psicologia dello sport.
Gli studi del settore si sviluppano sempre più verso la persona integrata. Nella lunga
storia del pensiero umano abbiamo rintracciato la linea di continuità che ci guida
nell’approccio al mondo dello sport e nella Preparazione Mentale.
Gli elementi che appaiono nella lunga Storia dello sport costituiscono la base del
concetto relativo al rapporto corpo-mente.
PSICOLOGIA PER LO SPORT
La Psicologia Sportiva studia i fattori mentali e psicologici attinenti alla prestazione e
all’attività fisica nello sport, in riferimento allo sviluppo e al benessere; è una disciplina
giovane che si pone come punto di incontro tra ricerca scientifica ed applicazione nel
settore; il suo bacino di utenza è costituito principalmente da allenatori, dirigenti, atleti,
arbitri, medici dello sport, tecnici, e da tutti coloro che operano ad ogni livello nel
campo dello sport.
La psicologia dello sport, nata come corrente di pensiero in cui sono confluite diverse
discipline (come la psicologia del lavoro e delle organizzazioni, la psichiatria, la
medicina, la sociologia, la pedagogia e l’educazione fisica), si pone come obiettivo la
comprensione a 360° dell’uomo e del suo essere atleta, analizzando i processi e le
conseguenze mentali dell’attività fisica e sportiva nei diversi contesti competitivo,
educativo, ricreativo, preventivo, riabilitativo, della disabilità.
Occorre risalire ai primi studi sulla Performance agonistica ad opera di Norman Triplett
(1897) per i suoi approfondimenti sulla produttività di gruppo e sul conseguente
miglioramento delle prestazioni.
Diversi anni più tardi Coleman Griffit istituì il primo laboratorio di Psicologia dello
Sport (1925) presso l’Università dell’Illinois e da allora in poi diversi contributi hanno
analizzato la materia.
In Italia, a Roma, nel 1965 si svolse il Primo Congresso Mondiale di Psicologia dello
Sport a cura dello psichiatra Ferruccio Antonelli, fondando poi l’International Society
of Sport Psycology.
Nel 1966 un gruppo di scienziati americani si incontrò a Chicago costituendo una
Società di Psicologia dello Sport che è divenuta nota col nome di North American
Society of Sport Psychology and Physical Activity (NASPSPA). Nel 1970 si istituì il
primo giornale dedicato,“The International Journal of Sport Psychology”, seguito, nel
1979 dal “Journal of Sport Psychology”.
L’aumento dell’interesse sulla psicologia al di fuori dei contesti didattici ha condotto
alla costituzione dell’Advancement of Apllied Sport Psychology (AAASP) nel 1985. La
Psicologia dello Sport diventa applicata e non più teorica.
Negli anni successivi sono stati affrontati diversi aspetti relativi alla pratica sportiva,
con l’istituzione di master e corsi universitari. Da ricordare gli studi sul miglioramento
della performance, sulla motivazione, su tecniche specifiche, sul controllo del
movimento.
Attualmente lo Psicologo Sportivo fornisce la propria consulenza a singoli atleti, a
società e federazione sportive, ad enti pubblici e privati, ad istituzioni con la finalità di
perseguire i seguenti obiettivi:
• offrire INFORMAZIONI sui fattori psicologici dello sport;
• migliorare l'APPRENDIMENTO dello sport;
• aiutare i GIOVANI a maturare con lo sport;
• preparare un programma di PREPARAZIONE MENTALE personalizzato;
• effettuare CONSULENZA per genitori e insegnanti;
• conoscere ed utilizzare le DINAMICHE DI GRUPPO;
• eseguire una VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA;
• mirare al BENESSERE psicofisico per ogni fascia di età.
Si comprende l’importanza dell’applicazione pedagogica e psicologica ai processi
mentali dell’atleta in quanto “persona”. Il principio da cui muovono queste scienze è
considerare l’allenamento mentale indissolubile dalla preparazione atletica e che
contribuisce alla piena realizzazione della prestazione.
A cura del Dott. Paolo Tirinnanzi
ZOOM – Indagini di personalità e uso di test
Il test serve per ottenere una misurazione obiettiva e standardizzata. Viene utilizzato
per analizzare certe reazioni psichiche dell’individuo, per confrontarle con quelle di
altri.
Criteri di un test.
- Deve essere valido, cioè misurare esattamente ciò che si vuole misurare (nel
contenuto, nella forma, …).
- Deve essere attendibile, cioè accurato, affidabile.
- Deve essere sensibile, cioè discriminante riguardo le diversità fra individuo e
individuo.
- Deve essere pratico, cioè facile nell’impiego.
- Deve essere economico, riguardo il costo, ma anche riguardo il tempo di applicazione
e la rapidità nello spoglio e nell’analisi.
Tipologie di test
1) Test di rendimento (di prestazione, di efficacia).
2) Test di personalità ( test obiettivi, test proiettivi).
1) Test di rendimento – Hanno lo scopo di valutare le funzioni psichiche, le attitudini.
Alcuni test sono descritti da Anastasi e Del Corno.
- Guilford test (divergenza-convergenza) sulla creatività.
- Test di cancellazione di Burdon per misurare l’attenzione.
- Scala di Ozeretzki per attività motoria.
- Speed-test per velocità di esecuzione di un compito.
- Prove di Nagel per distinguere i colori.
- Test clinico-diagnostici (es.velocità di risposta, comprensione…).
- Matrici progressive di Raven, per il ragionamento e la soluzione dei problemi.
2) Test di personalità – Hanno lo scopo di esplorare aspetti specifici (dominanza-
sottomissione, intro-estroversione, ansia, …)
Comprendono:
Test obiettivi standardizzati su modelli teorici su larga scala per patologie per
focalizzare le caratteristiche di una personalità.
Test proiettivi, non rigidamente strutturati, con risposte libere e produzione
immaginativa del soggetto, per scoprire aspetti inconsci della personalità.
Esempi.
- Il Blacky Pictures di Blum per vari aspetti.
- Il metodo delle favole di Luisa Duss.
- Il disegno della famiglia.
- Il disegno dell’albero.
- Il disegno della figura umana per la percezione di sé, dell’inconscio.
IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI - PREMESSE TEORICHE E PRINCIPI
ISPIRATORI
Possiamo rifarci al documento stilato dalle due parti, il MIUR (Ministero dell’istruzione
dell’Università e della ricerca) e il CONI (Comitato olimpico nazionale italiano, ora
CONI Servizi s.p.a), che indica le motivazioni allo sport, i principi ispiratori, i compiti
delle articolazioni centrali e territoriali in materia di attività sportiva nella scuola.
Se questi principi fossero applicati alla lettera, sarebbe tutto più facile.
Infatti fra le motivazioni teoriche di carattere generale, oltre a voler favorire la crescita
culturale, civile e sociale dei giovani, a superare i disagi giovanili, a promuovere
l’attività motoria, pre-sportiva e sportiva secondo i ritmi di sviluppo individuale,
troviamo quella di “concorrere a contrastare pratiche illecite e forme di violenza” nello
sport.
Come può la scuola, impegnata nei suoi compiti di istruzione e nel rispetto dei
programmi scolastici, attuare tutti questi importanti principi teorici?
Il protocollo di intesa ne indica le linee:
- adesione a strutture e forme di associazionismo culturale e sportivo;
- progetti mirati a formare una sana e permanente educazione sportiva;
- diversificazione di proposte e di attività motorie e pratica sportiva per ogni ordine di
età, con attenzione verso gli emarginati e i disabili.
Oltre il riassetto, occorre dare autonomia alle istituzioni scolastiche per l’arricchimento
e l’ampliamento dell’offerta formativa e per favorire il collegamento con le autonomie
locali che possono fornire, unitamente ad operatori qualificati, strutture moderne e
finanziamenti per la realizzazione di iniziative collegiali.
Un ulteriore livello di collaborazione prevede l’aggancio alle strutture universitarie con
il Corso di laurea in Scienze Motorie.
Come si vede, le linee di intervento sono descritte nei particolari, ma restano in gran
parte teoriche. Occorre trasferirle alla pratica, aderendo alle tappe dello sviluppo
evolutivo del ragazzo.
Nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare l’attività motoria deve avere
carattere ludico e formare l’abitudine e la gioia a muoversi, correre, saltare.
Nella scuola media il ragazzo deve essere guidato a conoscere le varie discipline
sportive e sperimentare le proprie capacità motorie.
Nella scuola secondaria si individuano le attitudini, le preferenze e le capacità, si
promuovono e diffondono occasioni sportive e si orienta l’adolescente verso specifiche
discipline sportive, scoprendo e coltivando il suo talento. Questo vale a maggior ragione
nelle Università, con l’organizzazione dei giochi Sportivi Studenteschi.
IL RUOLO DEGLI INSEGNANTI
Un altro aspetto da considerare è il ruolo degli insegnanti di “educazione fisica”: essi
accompagnano gli allievi nelle loro prime esperienze sportive, danno motivazione e
fiducia, intervengono nei momenti di depressione a seguito di insuccessi, si impegnano
a creare un clima comunicativo di collaborazione all’interno della squadra, a seguire i
ragazzi nelle delicate fasi di allenamento e di preparazione alla gara, a sostenerli durante
le prove e infine a gestire con loro i momenti successivi, sia che il ragazzo abbia
ottenuto un successo, sia che debba reggere la delusione di una prova finita male o non
all’altezza delle sue aspettative.
Quali sono le competenze richieste agli insegnanti?
Si richiedono operatori preparati sui metodi e sugli strumenti, col sicuro dominio della
materia non solo per i suoi aspetti teorici, ma anche per le applicazioni pratiche; si
sollecitano la competenza pedagogico-didattica, la conoscenza della psicologia dei
bisogni, l’applicazione del ruolo non solo tecnico, ma anche educativo e formativo di
valori sportivi.
A scorrere le avvertenze dei programmi delle prove d’esame per i futuri insegnanti di
Educazione fisica si ritrova una serie di requisiti culturali e professionali che essi
devono possedere. In particolare, le loro conoscenze e capacità devono vertere intorno
ad argomenti come:
- le tappe dell’accrescimento fisico, psichico e cognitivo e la loro relazione con l’attività
motoria, l’Educazione fisica e le attività sportive;
- l’educazione igienico-sanitaria, alimentare e ambientale per il miglioramento della
vita;
- la fisiologia del sistema nervoso, muscolare, cardiovascolare e respiratorio per quanto
concerne l’attività motoria;
- gli aspetti psicologici della costruzione dello schema corporeo e il valore del corpo;
- la connessione con altri saperi nell’ottica interdisciplinare;
- il passaggio dal gioco alle tecnica e alla tattica delle attività sportive scolastiche;
- il rapporto fra Educazione fisica, sport e scuola nel rispetto delle rispettive funzioni.
Con tali competenze richieste viene delineata la professionalità degli insegnanti: oltre a
questi requisiti, occorre inserire l’attenzione puntuale agli aspetti del mondo dello sport
moderno, la conoscenza della storia dello sport e dei personaggi significativi, dei
principi morali che devono reggere l’attività sportiva.
VINCERE CON LA MENTE – NOTE AUTRICE VINCERE CON LA MENTE è stato ampliato e aggiornato. E’ una nuova edizione ricca di proposte e di approfondimenti relativi agli aspetti psicologici e pedagogici dell’attività sportiva, oltre che a essere utilmente fruita dai vari settori della vita quotidiana, dallo studio al lavoro e al tempo libero. Si rivolge a “clienti” di ogni età, compreso genitori e operatori che si occupano dell’età evolutiva e della formazione del personale. Il libro è strutturato in 3 parti, ciascuna di 5 capitoli. All’interno di ogni capitolo, oltre ai paragrafi numerati, sono sviluppate 3 rubriche che sono evidenziate con caratteri diversi o bordi che ne permettono l’identificazione immediata: ZOOM, approfondimenti tecnici e scientifici per saperne di più; ATTIVITA’, proposte operative facilmente fruibili per concretizzare i concetti teorici; TESTIMONIANZA, una serie di racconti di vita vissuta per una piacevole e interessante lettura. Il testo è corredato da una consistente BIBLIOGRAFIA. Oltre all’INDICE GENERALE, sono presenti anche gli indici per ciascuna rubrica e l’INDICE ANALITICO, per rendere agevole la ricerca di ciascuna voce e la consultazione. L’Autrice Graziella Dragoni, Pedagogia e Psicologia.
VINCERE CON LA MENTE – Elenco ZOOM INTRODUZIONE Problemi psicosomatici degli atleti CAP.1 L’ATTIVITA’ MOTORIA E LO SPORT Sport e costume Discipline olimpiche Percezione cinestesica e percezione cenestesica Le tappe dello sviluppo motorio Il cervelletto Che cos’è una tassonomia La tassonomia di Anita Harrow Le capacità nello sport Che sport pratichi? CAP.2 LE BASI DELLA MOTIVAZIONE UMANA Indagini di personalità Tipologie di atleti CAP.3 IL PERCORSO DI AUTOREALIZZAZIONE La teoria biogenetica Teorie sul temperamento Teorie della personalità Il sistema nervoso autonomo Azioni del sistema nervoso autonomo Indagini di personalità e uso di test Identità confusa CAP.4 L’AUTOSTIMA E LA FIDUCIA IN SÉ
Le cause mentali Il bisogno di dipendenza La percezione della propria autoefficacia Gli evitanti Le sei virtù (hight six) I comportamenti rituali CAP.5 LA GESTIONE DELLE RISORSE PERSONALI ZOOM – Il talento e i giovani: futuro e opportunità CAP. 6 IN FORMA CON LA MENTE Terminologia Indagine preliminare Elenco test per la preparazione mentale dell’atleta Operazioni mentali CAP.7 ASPETTI PSICOLOGICI NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA Dal disturbo allo sport La monotonia sensoriale La struttura del sonno CAP.8 IL RUOLO DELLE EMOZIONI NELL’ATTIVITÀ SPORTIVA Uno studio sull’emozionalità Le reazioni emotive Il sistema endocrino Il concetto di stress Le sindromi psicosomatiche Classificazione dei disturbi dell’umore Iperattività Cause depressione L’aiuto della medicina Il coraggio e il fegato CAPITOLO 9 ALIMENTAZIONE E SIMBOLOGIA Alimentazione e sport Il sistema gustativo Sapore e gusto Dolce o salato? Casi clinici CAP.10 LA PROGRAMMAZIONE DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA Livelli di programmazione individuale Schema obiettivi Di che cosa si parla… Argomenti di Preparazione Mentale La metodologia dell’allenamento psico-fisico CAP.11 L’IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE Fisiologia della respirazione La respirazione emozionale Le note dei profumi Un esame per il respiro: la spirometria
CAP. 12 SCIENZE E TECNICHE DI RILASSAMETO RMP di Jacobson Mental Imagery Strumenti di indagine La visualizzazione in movimento CAP. 13 COMPETIZIONE E PERFORMANCE ATLETICA Le sinestesie Mentalità vincente di gruppo CAP.14 I FATTORI PSICOLOGICI DELLA PERFORMANCE I processi dinamici La sensibilità Lo stile attentivo La fisiologia dell’attenzione Misurare la concentrazione Neurofisiologia della memoria Le fasi del sonno Piaget La gatta e lo scimpanzé CAP.15 IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE DI COMUNICAZIONE Le aree del linguaggio Lingua scritta e orale Differenze fra il linguaggio verbale e quello gestuale La teoria dell’informazione APPENDICE - Pedagogia e psicologia dello sport I “doni”
ELENCO TESTIMONIANZE - ATTRIBUZIONI
INTRODUZIONE Gli argomenti che vorrei trattare- Autrice CAP.1 L’ATTIVITA’ MOTORIA E LO SPORT L’istinto e le false partenze – Gian Paolo Mondini Lo spettatore sportivo – Gian Paolo Mondini Il gruppo – Gian Paolo Mondini Quanti condiziona la vicinanza degli altri? – Gian Paolo Mondini Spettatori alla Maratona di New York – Autrice CAP 2 LE BASI DELLA MOTIVAZIONE UMANA La sofferenza tre istinto e follia – Gian Paolo Mondini Voglia di avventura – Autrice da “Nelle terre estreme” Bisogni primari – Gian Paolo Mondini A 40 anni – Carlo Del Zingaro Spensieratezza – Autrice Due atleti a confronto – Autrice CAP.3 IL PERCORSO DI AUTOREALIZZAZIONE Senso di inferiorità – Autrice CAP .4 L’AUTOSTIMA E LA FIDUCIA IN SE’ Propositi per l’autostima - Autrice Come superare un momento negativo - Autrice Caduta dell’autostima – Autrice CAP.5 LA GESTIONE DELLE RISORSE PERSONALI I campioni dello sport – Autrice Il talento e i giovani: futuro e opportunità – Autrice Variare i percorsi – Gian Paolo Mondini Il genitore Incoraggiante – Autrice Prova di flessibilità mentale - Autrice 6.1 LA CONSULENZA PSICOPEDAGOGICA NELLO SPORT Serve davvero la preparazione mentale? – Autrice Da scettico a convinto – Gian Paolo Mondini La fiducia conquistata – Autrice Atleti che utilizzano l’allenamento mentale – Autrice Piloti di formula 1 - Autrice CAP.7 ASPETTI PSICOLOGICI NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA Le abilità specifiche – Autrice La mano vuota – Giacomo Dragoni Che cosa mettere nello zainetto mentale – Autrice I miei passatempi in bici – Gian Paolo Mondini La salita e la sofferenza – Gian Paolo Mondini Il miraggio di Petra – Autrice La monotonia del bianco – Autrice da “Nelle terre estreme”
CAP 8 IL RUOLO DELLE EMOZIONI NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA Il pianto dei calciatori – Autrice Analisi delle emozioni di una atleta –Autrice Sesso e sport: la caduta dei tabù - Gian Paolo Mondini Le mie crisi di panico - Autrice Il Burnout nel ciclismo – Gia Paolo Mondini Inizio e fine carriera – Gian Paolo Mondini CAP. 9 ALIMENTAZIONE E SIMBOLOGIA Dialogo col proprio corpo – Autrice Tempo perso – Autrice Alimentazione per nuovi atleti – Gian Paolo Mondini Parlano gli interessati – Autrice Amnesia da tavola – Gian Paolo Mondini CAP.10 LA PROGRAMMAZIONE DELL’ATTIVITA’ SPORTIVA Le tabelle non pensano – Gian Paolo Mondini Il mio stato fisico – Autrice A ciascuno i suoi chilometri –Gian Paolo Mondini Mi interesso di… - Autrice Switch-off – Gia Paolo Mondini Sempre pronti! – Gian Paolo Mondini Ritiri – Gian Paolo Mondini Divagazioni sul tema – Carlo Del Zingaro CAP.11 L’IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE Il colore dei pensieri - Autrice In profumeria senza fretta – Silvana Silvestrini CAP.12 SCIENZE E TECNICHE DI RILASSAMENTO Fase di verbalizzazione – Autrice L’automatismo dei gesti – Autrice Un’esperienza con il maestro di Tai chi – Autrice Abbraccia l’albero - Autrice CAP.13 COMPETIZIONE E PERFORMANCE ATLETICA La performance dei “fuoriserie” – Gian Paolo Mondini L’influenza della famiglia – Autrice Il Cronoman – Gian Paolo Mondini Momenti esaltanti – Autrice Il concetto di felicità - Autrice Essere nel Flow – Autrice Esaltazione! – Gian Paolo Mondini CAP. 14 I FATTORI PSICOLOGICI DELLA PERFORMANCE Il mio stile attentivo – Autrice Filosofia di allenamento – Gian Paolo Mondini Perdita della memoria – Autrice
Furbizie sportive – Gian Paolo Mondini CAP. 15 IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE DELLA COMUNICAZIONE Comunicazione assertiva – Autrice La “testa” del gruppo – Gian Paolo Mondini
VINCERE CON LA MENTE – Elenco ATTIVITA’
INTRODUZIONE
Il risveglio
CAP.1 L’ATTIVITA’ MOTORIA E LO SPORT
Verifica le tue capacità coordinative
Il disegno della figura umana
Esercizi mimati
Test equilibrio
Verifica il tuo equilibrio
Nuoto – Gioca con l’acqua
Nuoto – Come un pesce
Nuoto – Galleggiamento
Giochi con la palla
Basket – Palla al canestro
Volley - Palla al volo
Rugby
Giochi con attrezzi
Questionari
Una tassonomia dei movimenti di base
Esercizi per la coordinazione del movimento
Per il movimento generale: cammina a gambe incrociate
Sulla pedana
Il cicloturismo: andare in bicicletta
Campo di intervento: tutela del proprio benessere
CAP.2 LE BASI DELLA MOTIVAZIONE UMANA
La fotografia
Test dell’albero
Attenzione al ritmo
Esercizi ritmici
Controlla la tua lateralizzazione
Faccio sport per
Rapporto Motivazione / Sport praticato
CAP.3 IL PERCORSO DI AUTOREALIZZAZIONE
Posizione Grounding
Sei globale o analitico?
Sei introverso o estroverso?
Un decalogo anti-ansia
CAP.4 L’AUTOSTIMA E LA FIDUCIA IN SÉ
Autovalutazione :Padronanza di se stessi
Eliminare i sensi di colpa
Trova il tuo grado di autostima
Che cosa credo di me
Il disegno del mio identikit
Come mi vedono gli altri?
Autoanalisi
Le mie credenze.
La tua forza di volontà
Sei riflessivo o istintivo?
Sei un perfezionista?
Sei ottimista o pessimista?
A chi assomigli?
CAP.5 LA GESTIONE DELLE RISORSE PERSONALI
Incontra il tuo talento
Che cosa fare in concreto?
Il talento nel cassetto
Lascia un segno
Dall’ordine al disordine e viceversa
Rovista nei ricordi
Prove di creatività
Scopri il tuo suono personale
Crea suoni onomatopeici
CAP. 6 IN FORMA CON LA MENTE
Mi presento
Profilo di prestazione dell’atleta
I suoni del corpo
Supera i cancelli
Cogli i segnali: Dal corpo alla mente
Cogli i segnali: Dalla mente al corpo
CAP.7 ASPETTI PSICOLOGICI NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA
Riconosci la fatica
CAP.8 IL RUOLO DELLE EMOZIONI NELL’ATTIVITÀ SPORTIVA
Autovalutazione : Emozioni negative e positive
Reazioni emotive/comportamentali in situazione
La spazzolata
Come aiutarti a risolvere l’ansia?
Consigli a un tennista
Qual è il livello della tua ansia?
Il rumore dell’aria
Sciogli i nodi
Libera la fantasia
Comunicare con l’aggressività
CAPITOLO 9 ALIMENTAZIONE E SIMBOLOGIA
Inventario fisico/mentale
Un test per l’olfatto
CAP.10 LA PROGRAMMAZIONE DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA
La programmazione globale
Autovalutazione: i miei obiettivi
Algoritmo dell’apprendimento
Comprensione dei concetti e soluzioni proposte.
Sempre pronti!
CAP.11 L’IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE
Dimmi come respiri
Il movimento rigeneratore
Misura il tuo respiro
Allarga le narici
Inspirazione profonda e rilassata
Respira con la pancia
Respira in 4 tempi. Esercizio Base
Respira lungo la colonna vertebrale
Prova la respirazione alternata
Respira a tappo
Respira con il ritmo
Respirazione dinamica
Respira nel colore
La respirazione con gli odori
Immersione degli effluvi
CAP. 12 SCIENZE E TECNICHE DI RILASSAMETO
Rilassamento delle braccia
DISTENSIONE CORPOMENTE* Prima fase - Contrai e rilassa
DISTENSIONE CORPOMENTE* Seconda fase - Immagina il tuo rilassamento
DISTENSIONE CORPOMENTE* Terza Fase - Rivisita il tuo corpo
Scaccia l’ansia con il respiro
Respira per rilassarti
Relax per disorientamento e panico
Esperienza multisensoriale indotta
La visualizzazione di un oggetto
L’immagine al contrario
L’allenamento mentale del movimento
Valuta la tua capacità immaginativa
Il potere dell’immaginazione
Per il riposo
Esercizi di Training Autogeno
Meditazione in movimento
Lo zen e l’arco.
CAP. 13 COMPETIZIONE E PERFORMANCE ATLETICA
Selettività della percezione
Le fasi dell’IZOF
Descrivi la tua occasione di Flow
CAP.14 I FATTORI PSICOLOGICI DELLA PERFORMANCE
Diario di un evento
Valutazione dello stile attentivo
Prova la tua attenzione
Verifica la tua attenzione selettiva
Dirigi la tua mente
Valutate la vostra concentrazione
Vizi e virtù della memoria
Chiama il tuo nome
Svegliarsi bene
Ricordi e dimenticanze
Un test per la memoria
CAP.15 IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE DI COMUNICAZIONE
Autoanalisi : I livello logici
Schema di rappresentazione preferito
Esercitazioni comunicazione verbale
Esercitazioni sulla comunicazione non verbale
Comunicare e convincere
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Cap.12 - Howard Gardner, Formae Mentis, Feltrinelli, Milano 2010
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Cap.14 - Anna Zanardi, Il linguaggio degli organi, Ed. Tecniche Nuove, Milano, 2001
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VINCERE CON LA MENTE NUOVO - INDICE La Preparazione Mentale nello sport, nel lavoro, nello studio, nella vita. INTRODUZIONE PER UNA PSICOPEDAGOGIA DELLO SPORT Il mondo dello Sport Il concetto di sport La cultura sportiva Il programma di interventi ZOOM – Problemi psicosomatici degli atleti TESTIMONIANZA – Gli argomenti che vorrei trattare ATTIVITA’: Il risveglio I PARTE IL MOVIMENTO. IL CORPO. LA MENTE CAP.1 L’ATTIVITA’ MOTORIA E LO SPORT 1.1 L’uomo e lo sport: un legame antico e profondo TESTIMONIANZA – L’stinto e le false partenze ZOOM – Sport e costume 1.2 Collegamento CORPO-MENTE ZOOM - Discipline olimpiche 1.3 Passione sportiva TESTIMONIANZA – Lo spettatore sportivo TESTIMONIANZA – Maratona di New York: al Central Park TESTIMONIANZA – Euforia e disattenzione 1.4 Le discipline sportive e le loro caratteristiche TESTIMONIANZA – Il gruppo TESTIMONIANZA – Quanto condiziona la vicinanza degli altri? 1.5 I principi dell’attività motoria nelle varie età ZOOM – Le tappe dello sviluppo motorio 1.6 Inserimento nella pratica sportiva 1.7 Le competenze motorie ZOOM – Il controllo del movimento ZOOM – Il cervelletto ATTIVITA’ – Verifica le tue capacità coordinative 1.8 Lo schema corporeo ATTIVITA’ – Il disegno della figura umana ATTIVITA’ – Esercizi mimati ATTIVITA’- Test equilibrio ATTIVITA’ – Verifica il tuo equilibrio ATTIVITA’ – Nuoto – Gioca con l’acqua ATTIVITA’ – Nuoto – Come un pesce ATTIVITA’ – Nuoto – Galleggiamento ATTIVITA’ - Giochi con la palla ATTIVITA’ – Basket – Palla al canestro ATTIVITA’ – Volley - Palla al volo ATTIVITA’ - Rugby ATTIVITA’ - Giochi con attrezzi ATTIVITA’ – Questionari sugli sport 1.9 Gli obiettivi psicomotori ZOOM – Che cos’è una tassonomia 1.10 Gli sviluppi delle tassonomie
ZOOM – La tassonomia di Anita Harrow ATTIVITA’ – Una tassonomia dei movimenti di base ATTIVITA’- Esercizi per la coordinazione del movimento ATTIVITA’ – Per il movimento generale: cammina a gambe incrociate ATTIVITA’ – Sulla pedana 1.11 Il concetto di benessere 1.12 Benessere e attività fisica ZOOM – Le capacità nello sport ZOOM – Che sport pratichi? ATTIVITA’ – Il cicloturismo: andare in bicicletta ATTIVITA’ – Campo di intervento: tutela del proprio benessere CAP.2 LE BASI DELLA MOTIVAZIONE UMANA 2.1 La motivazione nella vita 2.2 Gli obiettivi-meta 2.3 Istinto e Pulsione TESTIMONIANZA – La sofferenza tra istinto e follia 2.4 I bisogni fondamentali TESTIMONIANZA – Bisogni primari 2.5 Dai bisogni alla motivazione ZOOM – Indagini di personalità ATTIVITA’ – La fotografia ATTIVITA’ – Test dell’albero 2.6 Le motivazioni dell’attività sportiva TESTIMONIANZA – Voglia di avventura 2.7 Dal bisogno di movimento alla socialità ATTIVITA’ – Attenzione al ritmo ATTIVITA’ – Esercizi ritmici 2.8 La dominanza funzionale ATTIVITA’ - Controlla la tua lateralizzazione 2.9 L’orientamento della motivazione TESTIMONIANZA – A 40 anni… ZOOM – Tipologie di atleti ATTIVITA’ – Faccio sport per… TESTIMONIANZA – Spensieratezza TESTIMONIANZA- Due atleti a confronto ATTIVITA’ – Rapporto Motivazione / Sport praticato CAP.3 IL PERCORSO DI AUTOREALIZZAZIONE 3.1 Il temperamento e il carattere ZOOM – La teoria biogenetica ATTIVITA’ – Posizione Grounding 3.2 Tipologie di comportamento ZOOM . Teorie sul temperamento ATTIVITA’ – Sei globale o analitico? ATTIVITA’- Sei introverso o estroverso? 3.3 I tratti di personalità 3.4 Le componenti e i disturbi di personalità ATTIVITA’ – Un decalogo anti-ansia 3.5 Grandiosità ed emotività ZOOM – Teorie della personalità 3.6 La personalità dell’atleta 3.7 Instabilità affettiva
ZOOM – Il sistema nervoso autonomo ZOOM – Azioni del sistema nervoso autonomo 3.8 Sentimento di inferiorità 3.9 Il senso di autoefficacia 3.10 Mancata percezione di efficacia 3.11 Il principio di realtà 3.12 Crisi di identità ZOOM – Identità confusa 3.13 Il senso di colpa 3.14 La vergogna e la sospettosità TESTIMONIANZA – Senso di inferiorità 3.15 Il percorso: dal complesso di inferiorità all’insicurezza 3.16 Sentimento di inferiorità e narcisismo 3.17 Verso l’autostima APPROFONDIMENTO - Le slides del percorso: dal sentimenti di inferiorità all’autostima CAP.4 L’AUTOSTIMA E LA FIDUCIA IN SÈ 4.1 Perseguire il benessere 4.2 Efficacia e autostima ZOOM - Le cause mentali 4.3 Incontrare l’autostima ATTIVITA’ – Autoanalisi sull’Autostima 4.4 Vivere il presente nella vita e nello sport 4.5 L’approvazione degli altri ZOOM – Il bisogno di dipendenza ATTIVITA’ - Autovalutazione :Padronanza di se stessi 4.6 Sensi di colpa ATTIVITA’ – Eliminare i sensi di colpa ATTIVITA’ - Trova il tuo grado di autostima ATTIVITA’ – Che cosa credo di me ATTIVITA’- Il disegno del mio identikit ATTIVITA’- Come mi vedono gli altri? TESTIMONIANZA – Propositi per l’ autostima TESTIMONIANZA - Come superare un momento negativo 4.7 Dipendenza dall’autorità nello sport ZOOM – La percezione della propria autoefficacia TESTIMONIANZA – Caduta dell’autostima ZOOM - Gli evitanti ATTIVITA’ – Autoanalisi e Self-talk 4.8 La volontà 4.9 Rafforzare la volontà ATTIVITA’ – La tua forza di volontà 4.10 La determinazione ATTIVITA’ – Sei riflessivo o istintivo? ATTIVITA’ – Sei un perfezionista? 4.11 L’ottimismo ATTIVITA’ – Sei ottimista o pessimista? 4.12 Psicoregolazione e self talk ZOOM –Le sei virtù (hight six) ATTIVITA’ – A chi assomigli? ZOOM – I comportamenti rituali
CAP.5 LA GESTIONE DELLE RISORSE PERSONALI
5.1 Dall’autostima alla scoperta del talento ATTIVITA’ – Incontra il tuo talento 5.2 Il talento e lo sport TESTIMONIANZE – I campioni dello sport 5.3 I fattori del talento sportivo 5.4 Le competenze motorie 5.5 I valori dominanti 5.6 La trasgressione 5.7 I valori nello sport 5.8 La scoperta del talento ZOOM – Il talento e i giovani: futuro e opportunità ATTIVITA’ Che cosa fare in concreto? 5.9 Il “seme” che cresce ATTIVITA’ – Il talento nel cassetto ATTIVITA’ – Lascia un segno ATTIVITA’ – Dall’ordine al disordine e viceversa ATTIVITA’ – Rovista nei ricordi 5.10 La creatività dell’autorealizzazione TESTIMONIANZA - Variare i percorsi 5.11 La creatività impedita TESTIMONIANZA– Il genitore incoraggiante ATTIVITA’ - Prove di creatività TESTIMONIANZA – Prova di flessibilità mentale 5.12 Il talento creativo ATTIVITA’- Scopri il tuo suono personale ATTIVITA’ – Crea suoni onomatopeici II PARTE LA PREPARAZIONE MENTALE NELL’ATTIVITÀ MOTORIA E SPORTIVA CAP. 6 IN FORMA CON LA MENTE 6.1 La consulenza psicopedagogica nello sport TESTIMONIANZA – Serve davvero la preparazione mentale? 6.2 Di che cosa si tratta ZOOM – Terminologia TESTIMONIANZA – Da scettico a convinto 6.3 Dalla parte dello psicologo 6.4 Dalla parte dell’atleta 6.5 I punti fondamentali ZOOM – Indagine preliminare 6.6 Il primo colloquio ATTIVITA’ – Mi presento ZOOM - Elenco test per la preparazione mentale dell’atleta ATTIVITA’ - Profilo di prestazione dell’atleta 6.7 L’alleanza di lavoro TESTIMONIANZA – La fiducia conquistata 6.8 Il ruolo del Preparatore Mentale 6.9 L’attività motoria come operazione mentale ZOOM - Operazioni mentali 6.10 Corpo biologico e corpo psicologico 6.11 L’armatura corporea ATTIVITA’ – I suoni del corpo ATTIVITA’ – Supera i cancelli 6.12 La Forma fisica e la forma mentale
6.13 Il collegamento Mente/Corpo ATTIVITA’ – Cogli i segnali: Dal corpo alla mente ATTIVITA’ – Cogli i segnali: Dalla mente al corpo TESTIMONIANZE – Atleti che utilizzano l’allenamento mentale TESTIMONIANZA – Piloti di formula UNO CAP.7 ASPETTI PSICOLOGICI NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA 7.1 Dimmi quale sport pratichi… 7.2 Le abilità specifiche delle prestazioni sportive TESTIMONIANZA – Le abilità’ specifiche TESTIMONIANZA – La mano vuota 7.3 A ciascuno il suo sport ZOOM – Dal disturbo allo sport 7.4 Sport individuali o sport di squadra? 7.5 Differenze e specificità nelle attività sportive 7.6 La prestazione prolungata 7.7 Fare sport in situazione di deprivazione sensoriale ZOOM – La monotonia sensoriale TESTIMONIANZA Che cosa mettere nello zainetto mentale TESTIMONIANZA – I miei passatempi in bici 7.8 Fatica fisica e fatica mentale TESTIMONIANZA – La salita e la sofferenza 7.9 Fatica e personalità ATTIVITA’ – Riconosci la fatica 7.10 Fatica e dolore TESTIMONIANZA – Il miraggio di Petra TESTIMONIANZA – La monotonia del bianco 7.11 Ciclo del sonno e della veglia 7.12 Il sonno e le sue fasi 7.13 L’insonnia ZOOM – La struttura del sonno CAP.8 IL RUOLO DELLE EMOZIONI NELL’ATTIVITÀ SPORTIVA 8.1 Emotività ZOOM – Uno studio sull’emozionalità 8.2 Le reazioni alle emozioni ATTIVITA’ - Autovalutazione : Emozioni negative e positive ATTIVITA’ - Reazioni emotive/comportamentali in situazione TESTIMONIANZA – Il pianto dei calciatori TESTIMONIANZA – Analisi delle emozioni di una atleta ZOOM - Le reazioni emotive TESTIMONIANZA- Sesso e sport: caduta di un tabù 8.3 Lo stress e i suoi aspetti 8.4 Le manifestazioni dello stress TESTIMONIANZA- Stressati! 8.5 Stress e ansia ZOOM – Quadro d’ansia ZOOM – Il sistema endocrino 8.6 L’ansia nell’attività sportiva ATTIVITA’ – La spazzolata 8.7 L’ansia competitiva 8.8 Paura e ansia nello sport: la prova di coraggio ATTIVITA’ - Come aiutarti a risolvere l’ansia?
ATTIVITA’ – Consigli a un tennista 8.9 I livelli dell’ansia ATTIVITA’ – Qual è il livello della tua ansia? TESTIMONIANZA – le mie crisi di panico ATTIVITA’ – Il rumore dell’aria ATTIVITA’ – Sciogli i nodi ATTIVITA’ – Libera la fantasia 8.10 La condizione di stress ZOOM –Il concetto di stress ZOOM – Le sindromi psicosomatiche 8.11 Il tono dell’umore ZOOM – Classificazione dei disturbi dell’umore 8.12 Problemi relazionali 8.13 Il sentimento di frustrazione 8.14 La collera 8.15 Le risposte aggressive 8.16 Aggressività 8.17 Gestire l’aggressività 8.18 L’aggressività in età evolutiva ATTIVITA’ Comunicare con l’aggressività. 8.19 Prevenire è meglio che curare ZOOM- Iperattività 8.20 Il clima emotivo in famiglia 8.21 La depressione ZOOM – Cause depressione ZOOM – L’aiuto della medicina ZOOM – Il coraggio e il fegato TESTIMONIANZA – Il Burn out nel ciclismo 8.22 L’attivazione necessaria TESTIMONIANZA – Inizio e fine carriera CAPITOLO 9 ALIMENTAZIONE E SIMBOLOGIA 9.1 Il valore simbolico del cibo ZOOM – Alimentazione e sport: aspetti simbolici 9.2 Sapere e sapore ZOOM – Il sistema gustativo 9.3 Alimentazione e nutrizione 9.4 Il processo della digestione ATTIVITA’ – Inventario fisico/mentale 9.5 Profumi e ricordi ZOOM – Il sistema olfattivo ATTIVITA’ . Un test per l’olfatto ZOOM – Sapore e gusto 9.6 Peccati di gola :Tipi dolci e tipi salati ZOOM- Dolce o salato? 9.7 Disordini e disturbi alimentari: Anoressia e bulimia nervosa Zoom – Casi clinici 9.8 Le abitudini familiari TESTIMONIANZA – Dialogo col proprio corpo TESTIMONIANZA – Tempo perso 9.9 Sport e alimentazione 9.10 Aspetti psicologici dell’alimentazione nello sport TESTIMONIANZA – Alimentazione per nuovi atleti
9.11 La dieta ideale : la piramide dell’alimentazione 9.12 I tabù dell’alimentazione sportiva TESTIMONIANZA - Parlano gli interessati TESTIMONIANZA – Amnesia da tavola CAP.10 LA PROGRAMMAZIONE DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA 10.1 Programmare 10.2 Dal programma alla programmazione individuale TESTIMONIANZA – le tabelle non pensano 10.3 I momenti della programmazione 10.4 La situazione iniziale TESTIMONIANZA Il mio stato fisico 10.5 Obiettivi realistici TESTIMONIANZA - A ciascuno i suoi chilometri ZOOM – Schema obiettivi ATTIVITA’ - La programmazione globale ATTIVITA’- Autovalutazione: i miei obiettivi 10.6 La determinazione dei contenuti ZOOM – I contenuti TESTIMONIANZA - Mi interesso di… 10.7 L’attrezzatura dello sportivo 10.8 I metodi di allenamento 10.9 Verifica e valutazione 10.10 I criteri della valutazione 10.11 Feed-back e recupero 10.12 Il programma per la preparazione mentale ZOOM - Argomenti di Preparazione Mentale ATTIVITA’ – Algoritmo dell’apprendimento ATTIVITA’ - Comprensione dei concetti e soluzioni proposte. 10.13 I metodi di allenamento 10.14 Di buona lena 10.15 L’atteggiamento problematico 10.16 Il problem-solving 10.17 Le competenze ZOOM La metodologia dell’allenamento psico-fisico TESTIMONIANZA- Switch off ATTIVITA’ – Sempre pronti! TESTIMONIANZA – Ritiri TESTIMONIANZA – Divagazioni sul tema III PARTE L’ALLENAMENTO MENTALE E LA PERFORMANCE ATLETICA
CAP.11 L’IMPORTANZA DELLA RESPIRAZIONE 11.1 L’atto respiratorio ATTIVITA’ – Dimmi come respiri 11.2 La scuola della respirazione ATTIVITA’ –Il movimento rigeneratore 11.3 Il circuito dell’aria ZOOM Fisiologia della respirazione ATTIVITA’ - Misura il tuo respiro ATTIVITA’ - Allarga le narici 11.4 Rinascere con il respiro ATTIVITA’ - Inspirazione profonda e rilassata
11.5 Il respiro e le emozioni ZOOM La respirazione emozionale ATTIVITA’ - Respira con la pancia 11.6 La respirazione nello sport ATTIVITA’ - Respira in 4 tempi. Esercizio Base ATTIVITA’ - Respira lungo la colonna vertebrale ATTIVITA’ - Prova la respirazione alternata ATTIVITA’ - Respira a tappo ATTIVITA’ - Respira con il ritmo 11.7 La respirazione creativa ATTIVITA’ - Respirazione dinamica 11.8 Il respiro e i colori ATTIVITA’ - Respira nel colore 11.9 Il respiro e gli aromi ZOOM - Le note dei profumi 11.10 L’aromaterapia ATTIVITA’ - La respirazione con gli odori ATTIVITA’- Immersione degli effluvi TESTIMONIANZA - In profumeria senza fretta ZOOM - Un esame per il respiro: la spirometria CAP. 12 SCIENZE E TECNICHE DI RILASSAMETO 12.1 Tecniche di rilassamento 12.2 Il rilassamento Muscolare Progressivo (RMP) ZOOM – RMP di Jacobson ATTIVITA’ – Rilassamento delle braccia 12.3 La DISTENSIONE CORPOMENTE* ATTIVITA’ –DISTENSIONE CORPOMENTE* Prima fase - Contrai e rilassa 12.4 Generare Immagini ZOOM – Mental Imagery 12.5 Gli occhi della mente ATTIVITA’ –DISTENSIONE CORPOMENTE* Seconda fase - Immagina il tuo rilassamento TESTIMONIANZA – Fase di verbalizzazione 12.6 Il corpo e gli organi interni ATTIVITA’ –DISTENSIONE CORPOMENTE* Terza Fase - Rivisita il tuo corpo ATTIVITA’ – Scaccia l’ansia con il respiro 12.7 DISTENSIONE CORPOMENTE* e respiro ATTIVITA’ – Respira per rilassarti ATTIVITA’ – Relax per disorientamento e panico ATTIVITA’ – Esperienza multisensoriale indotta 12.8 La visualizzazione ZOOM Strumenti di indagine ATTIVITA’ – La visualizzazione di un oggetto ZOOM – La visualizzazione in movimento ATTIVITA’ – L’immagine al contrario 12.9 L’allenamento ideomotorio TESTIMONIANZA – L’automatismo dei gesti ATTIVITA’ – L’allenamento mentale del movimento ATTIVITA’ – Valuta la tua capacità immaginativa ATTIVITA’ – Il potere dell’immaginazione ATTIVITA’ – Per il riposo 12.10 Il Training autogeno ATTIVITA’ – Esercizi di Training Autogeno 12.11 Le discipline orientali – il Thai Chi
TESTIMONIANZA – Un’esperienza col maestro di Thai Chi ATTIVITA’ – Lo zen e l’arco 12.12 Shiatsu e Atoshiatsu ATTIVITA’ – A coppia o da soli 12.13 Le tecniche di meditazione ATTIVITA’ – Meditazione in movimento TESTIMONIANZA – Abbraccia l’albero CAP. 13 COMPETIZIONE E PERFORMANCE ATLETICA 13.1 Il modello di forma perfetta 13.2 Agonismo e spirito di competizione 13.3 Stili competitivi 13.4 Cooperazione e competitività TESTIMONIANZA – La performance dei “fuoriserie” 13.5 Agonismo nello sport 13.6 Dall’aggressività all’agonismo 13.7 Famiglie, sport e agonismo TESTIMONIANZE – L’influenza della famiglia 13.8 Le buone sensazioni 13.9 Percezione e sensazione ATTIVITA’ – Selettività della percezione 13.10 L’oggetto della percezione 13.11 Percezione e personalità 13.12 Provare sensazioni ZOOM – Le sinestesie TESTIMONIANZA – Spirito di adattamento 13.13 La mentalità personale 13.14 La mentalità aperta 13.15 La mentalità vincente nello sport 13.16 Vincere è un’attitudine 13.17 La motivazione al successo 13.18 Verso la mentalità vincente ZOOM – Mentalità vincente di gruppo TESTIMONIANZA – Il Cronoman 13.19 La prestazione eccellente TESTIMONIANZE – Momenti esaltanti 13.20 Il funzionamento ottimale: IZOF ATTIVITA’ – Le fasi dell’IZOF 13.21 L’esperienza del Flow TESTIMONIANZA – Il concetto di felicità 13.22 Le condizioni del Flow TESTIMONIANZA – Essere nel Flow TESTIMONIANZA – I ritorni ATTIVITA’ – Descrivi la tua occasione di Flow TESTIMONIANZA – Esaltazione! CAP.14 I FATTORI PSICOLOGICI DELLA PERFORMANCE 14.1 I processi della mente ZOOM – I processi dinamici 14.2 Il laboratorio della mente ATTIVITA’ – Diario di un evento 14.3 I processi mentali: Percezione e attenzione ZOOM – La sensibilità
14.4 L’attenzione ZOOM – Lo stile attentivo ATTIVITA’ – Valutazione dello stile attentivo 14.5 Tipi di attenzione TESTIMONIANZA – Il mio stile attentivo 14.6 La capacità attentiva nello sport ATTIVITA’- Prova la tua attenzione ATTIVITA’ – Verifica la tua attenzione selettiva ZOOM –La fisiologia dell’attenzione 14.7 La concentrazione ZOOM – Misurare la concentrazione ATTIVITA’ – Dirigi la tua mente TESTIMONIANZA – Filosofia di allenamento ATTIVITA’ – Valutate la vostra concentrazione 14.8 I processi mentali: La memoria 14.9 Gli studi sulla memoria ATTIVITA’ – Vizi e virtù della memoria 14.10 Il recupero dei ricordi ATTIVITA’ – Costruisci gli indizi ZOOM – Neurofisiologia della memoria 14.11 La memoria e le emozioni TESTIMONIANZA – Perdita della memoria 14.12 La memoria del gesto 14.13 Attività fisica e memoria ATTIVITA’ – Chiama il tuo nome 14.14 Cadute e craniate 14.15 La memoria e il sogno ZOOM – Le fasi del sonno ATTIVITA’ – Svegliarsi bene 14.16 La memoria autobiografica ATTIVITA’ – Ricordi e dimenticanze ATTIVITA’ – Un test per la memoria 14.17 I processi mentali: concettualizzazione ZOOM – Piaget 14.18 La formazione dei concetti ATTIVITA’ – La classificazione 14.19 I processi mentali: problematizzazione 14.20 La soluzione dei problemi (problem solving) ZOOM La gatta e lo scimpanzé ATTIVITA’ – Sai risolvere i problemi? ATTIVITA’ – La capacità decisionale 14.21 Coping 14.22 I processi mentali: attività motorie 14.22 Il feedback motorio 14.23 Abilità motorie e Arousal TESTIMONIANZE – Furbizie sportive CAP.15 IL LINGUAGGIO E LE STRATEGIE DI COMUNICAZIONE 15.1 I processi mentali : il linguaggio 15.2 Le caratteristiche del linguaggio ZOOM – Le aree del linguaggio 15.3 L’arte di comunicare ZOOM – Lingua scritta e orale 15.4 La comunicazione del corpo
ZOOM – Differenze fra il linguaggio verbale e quello gestuale 15.5 Obiettivo Comunicazione ZOOM – La teoria dell’informazione 15.6 Saper dialogare 15.7 Gli stili comunicativi 15.8 Saper ascoltare 15.9 Mimica e prossemica 15.10 La prossemica 15.11 PNL – Programmazione Neurolinguistica ATTIVITA’ – Autoanalisi : I livello logici 15.12 Il modellamento ATTIVITA’- Schema di rappresentazione preferito ATTIVITA’ – Esercitazioni comunicazione verbale ATTIVITA’ – Esercitazioni sulla comunicazione non verbale 15.13 Trappole della comunicazione 15..15 La comunicazione ecologica TESTIMONIANZA – La testa del gruppo TESTIMONIANZA – Comunicazione autoritaria ATTIVITA’ – Comunicare e convincere 15.16 La comunicazione nello sport 15.17 La comunicazione e le istituzioni sportive. Le Scuole di sport 15.18 I media: La comunicazione sportiva 15.19 Gli slogan dei tifosi TESTIMONIANZA – Una giornata di riposo al Giro d’Italia APPENDICE - Pedagogia e psicologia dello sport Psicologi e pedagogisti nello sport I valori La pedagogia e la natura educatrice I metodi ZOOM – I “doni” Nascita dello sport moderno Il Novecento Le scuole nuove Pedagogia sociale in Francia Le intelligenze Psicologia per lo sport ZOOM – Indagini di personalità e uso di test Il ruolo delle istituzioni - Premesse teoriche e principi Il ruolo degli insegnanti