Tenacia, amicizia, mentalità vincente, gioia: Ermanno ......Tenacia, amicizia, mentalità vincente,...

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VENERDÌ 19 FEBBRAIO 2016 Settegiorni Alto Milanese Sport Sport 57 Alla «Social Basket Cup» si gioca Bologna-Legnano LEGNANO (pmu) C’è un altro «campiona- to» al quale sta partecipando Legnano: la Social Bakset Cup. Per vincere gli Knights hanno bisogno che i tifosi si colleghino sulla apposita pagina di Facebook ed esprimano preferenze in merito alla pa- gina social del club. In questi giorni e sino all’8 marzo, Legnano sta disputando la «partita» valida per gli Ottavi di finale: avversaria è la Fortitudo Bologna. Nei Sedicesimi di finale Legnano ha superato Jesi col punteggio di 20-11. Tenacia, amicizia, mentalità vincente, gioia: Ermanno Ponzelletti, «icona» del Legnano La moglie: «Per lui la pallacanestro era tutto» STORIE... ... ED EROI LEGNANO (tms) Come spiegar- ti cos’è lo sforzo, se mai ti sei buttato sul parquet e ti sei riempito di lividi per recupe- rare un pallone? Come spiegarti cos’è l’ami- cizia, se non hai mai fatto un assist? Come spiegarti cos’è il pia- cere se mai hai vinto una par- tita all'ultimo millesimo di se- condo? Come spiegarti cos’è la gioia vera, profonda, infinita se mai hai vinto un campionato? E, ancora, come spiegarti cos’è il sacrificio se non co- nosci la storia di Ermanno Ponzelletti? Ma, soprattutto, come spie- garti la pallacanestro se non hai mai visto, nè sentito par- lare di Ermanno? Ermanno Ponzelletti è un personaggio assolutamente iconico nel panorama del ba- sket legnanese avendone se- gnato almeno quattro decadi durante le quali ha ricoperto tutti i ruoli possibili immagi- nabili: giovane promessa, gio- catore affermato, «stella» da esportazione, amatissimo fi- gliol prodigo di ritorno, capi- tano e guida di un gruppo di «pioneri», allenatore vincente e, infine, dirigente attento e illuminato. In quattro parole: un pezzo da novanta. Dovendo descriverlo, però, non si può non cominciare dalla logica del sacrificio che ha caratterizzato la sua vita di uomo e giocatore. «Ermanno - racconta la ve- dova Vittorina Cozzi, donna energica e di pari carattere - era un uomo animato a ritmo continuo dallo spirito del gio- co. Per lui lo sport era tutto, ma la pallacanestro era ancora qualcosa di più. Per Ermanno che veniva da una famiglia nu- merosa, non esattamente agia- ta, il basket oltre a soddisfare un’insaziabile fame di compe- tizione, aveva diversi altri, fon- damentali, significati: riscatto, desiderio di affermazione, pre- stigio sociale, autonomia. E per centrare tutti questi obiet- tivi, alcuni evidenti, altri più nascosti, si sottopose a sacri- fici mostruosi. Cose che a rac- contarle adesso non ci si cre- de». Per esempio? «Ti racconto una sua gior- nata tipo partendo, però, dalle 17. Così tutti possono capire meglio cosa intendo. Alle cin- que del pomeriggio Ermanno usciva dall’azienda dove lavo- rava: la Pensotti Caldaie. Dopo una veloce pedalata nel giro di pochi minuti era in stazione per prendere al volo il treno diretto a Novara. Da lì, altro treno, direzione Biella. Sul tre- no sbocconcellava un paio di panini, giusto per stare in pie- di. Arrivato in stazione a Biella altra corsa, stavolta a piedi, per arrivare in tempo all’allena- mento. Due ore di fatica, in- sieme a compagni ovviamente più freschi e riposati, e agli ordini di un allenatore severo ed esigente come Bonali. Poi, alla fine dell’al l ena me nto, stracco morto andava a dor- mire in una camera messa a disposizione della Libertas Biella. Il mattino seguente, alle 5, la sveglia inesorabile suo- nava per ricordargli il tragitto al contrario perché alle 8 do- veva essere regolarmente al suo posto in ufficio. Così per sei giorni la settimana perché al mio Ermanno gli toccava lavorare anche il sabato per recuperare l’ora che perdeva tutti i giorni per uscire prima, ed essere puntuale al treno. Il tutto per le ottantamila lire al mese pattuite nel contratto con Biella: un cifra neanche male, in particolare se rappor- tata alle 130.000 lire che por- tava a casa col suo stipendio mensile. Eppure, nonostante i sacrifici, malgrado le fatiche e, in qualche occasione, le pri- vazioni, Ermanno ricordava il periodo biellese come il più bello e significativo della sua vita». Dai racconti fatti dai com- pagni di squadra e dai suoi giocatori emerge il ritratto di un uomo molto duro ed esigente… «Fin troppo... Fin troppo... Ermanno non si smollava mai. Non amava troppo parlare e, di solito, gli bastava uno sguardo per fulminarti. Io lo chiamo «lo sguardo dei Ponzelletti». Ieri l'aveva Ermanno, oggi l'hanno Carlo e mio nipote Pietro. Per Ermanno le famose 50 sfuma- ture potevano variare dal nero al nero opaco al nero acceso. I “grigi” non facevano parte del- la sua tavolozza di colori. Mai. Nemmeno in casa. Anche fra le mura domestiche era sempre troppo serio. Sempre troppo preso nella parte. Così a me toccavano sempre due cose: dispensare qualche sorriso e la parte della grande mediatri- ce». Allenatore e dirigente: la vita intorno ad un pallone da basket... «Normale che fosse così, vi- sta la sua enorme passione e visto che, come si usa dire, da giocatore era il classico un al- lenatore in campo. Il ruolo di- rigenziale invece mi piaceva un po' meno. Rubava tempo, risorse economiche ed energie fisiche ad Ermanno che, in- vece, stante la durezza del suo lavoro, avrebbe avuto bisogno di riposare. Lui, serafico, re- plicava dicendomi: «La palla- canestro e la città mi hanno dato tanto. Adesso che ho del tempo da dedicare, adesso ho qualche possibilità finanziaria in più mi sembra giusto, do- veroso e bello restituire qual- cosa. E d'altra parte, qualcuno dovrà pur sostenerla 'sta be- nedetta pallacanestro»...». Il ricordo di Ermanno, in un circolo virtuoso, passa nelle mani di Carlo Ponzelletti, il figlio con lo stesso sguardo. Dal papà ha ereditato anche un'altra caratteristica: è uno tosto. Duro, di poche parole, spesso secche come sentenze, e molti fatti. Carlo è, oggi, Pre- sidente del Basket Sangiorge- se, formazione che da anni se la gioca alla grande in Serie B2. Quindi, non fosse altro che ra- gioni di derby, «ex-nemico» storico e giurato della Palla- canestro Legnano. Ma anche, per ragioni di intelligenza e cuore, protagonista assoluto insieme al collega Marco Ta- jana, del miracolo-ABA: un bellissimo fiore della pallaca- nestro giovanile sbocciato in una zona neutra che, prima di loro due, nessuna aveva mai pensato di dissodare, semina- re e coltivare con amore. «Amore penso sia la parola perfetta perchè racchiude le tante prospettive che, parlan- do di pallacanestro, mio padre mi ha passato. Amore per il gioco, prima di tutto. Mio pa- dre amava la pallacanestro alla follia e aveva un grandissimo rispetto per il gioco. Chiunque lo praticasse. ln particolare se il basket era giocato dai gio- vani. Infatti, il primo ricordo che ho di papà sotto il profilo cestistico risale a quando svol- geva, con grandissima passio- ne, il ruolo di responsabile tec- nico e organizzativo del settore giovanile della Pallacanestro Legnano. Mio padre, insieme ai suoi collaboratori dell'epo- ca, lavorò tantissimo sia in se- de, sia in fase di reclutamento, per far crescere il settore gio- vanile. Non a caso alcuni dei giocatori più importanti della Pielle - Gatti e Rotondi per tutti - arrivarono a Legnano proprio per sua iniziativa». Già le due dimensioni tec- niche. Prima giocatore, poi allenatore: quali le tue istantanee al riguardo? «Ho visto Ermanno in pan- taloncini e canottiera nelle ul- time fasi della sua carriera ed il ricordo, molto vivo, è quello di un giocatore grintoso, vero agonista del quale, più che i gesti tecnici che allora capivo poco, apprezzavo la voce sul campo. Ecco, mio padre sul parquet si sentiva. Molto... La stessa voce che mio padre tra- sferì in panchina nel corso del- la sua carriera da allenatore nelle categorie senior. Un per- corso tutto sommato breve, ma più che soddisfacente dal momento che con papà alla guida la Pielle centrò comun- que la sua prima promozione in un campionato nazionale: la Serie C». Il basket seniores per tuo padre si coniugò con due abbandoni alla famiglia Pielle: cosa mi sai dire al proposito? «Innanzitutto rispondo che è vero: il rapporto con l'am- biente della prima squadra gli procurò un paio di delusioni cocenti alle quali reagì con sbattendo la porta e uscendo di casa due volte. La prima, nel 1977, quando venne ingiusta- mente licenziato come allena- tore della prima squadra e ri- tenuto unico responsabile del fallimento di un gruppo che, a giudizio unanime, era molto male assortito. Ermanno se nè andò e dalle parti di via D'A- zeglio nessuno lo vide più per cinque anni. Rientrò, dopo molte pressioni, nell'82 occu- pandosi, come ho già detto, solo di settore giovanile. Il se- condo allontanamento, questa volta definitivo, avvenne qual- che anno dopo, credo fosse il 1986, a seguito di uno screzio con coach Bruno Brumana. Ermanno, a seguito di questo scambio di vedute abbastanza acceso, fu invitato dall'inge- gner Colombo a farsi da parte per le questioni che riguarda- vano la prima squadra. Mio padre, che faceva parte del consiglio direttivo della socie- tà, non prese bene questo «in- vito» e lasciò immediatamente la Pallacanestro Legnano sen- za farvi più ritorno. In quel preciso istante la Pielle sparì per sempre dai suoi pensieri e non volle saperne più nulla». L'ultimo ricordo-ritratto di questo grande uomo e cam- pione è di Paolo, il secondo figlio: «Con papà ho sempre avuto un ottimo rapporto che nel tempo si è consolidato an- che perchè, col passare degli anni, aveva addolcito alcuni tratti un po' ispidi del suo ca- rattere. Era interessante par- lare con lui di tutto, ma in par- ticolare di pallacanestro, argo- mento che immediatamente gli faceva scattare una luce di- versa negli occhi. Bastavano pochi secondi per capire che il basket rappresentava la sua passione assoluta. Di papà, co- me giocatore, ricordo poco. Qualcosa di più mi è rimasto della sua figura di allenatore: gli ordini secchi, che non am- mettevano repliche, la risolu- tezza nel prendere decisioni, la concentrazione che metteva nel ruolo e, anche, le «pap- pine» che tirava a qualche gio- catore un po' indolente. E, a fine gara, le critiche. Papà ri- cordava e analizzava la partita fotogramma per fotogramma e quasi per ogni azione, anche quelle che si chiudevano po- sitivamente, riusciva a trovare un difettuccio, qualcosa che si sarebbe potuto fare meglio. Tuttavia, da ex-regista, era più indulgente verso gli errori commessi dai playmaker. Una piccola, comprensibile, dolce, umana debolezza...». Massimo Turconi © RIPRODUZIONE RISERVATA VITTORINA COZZI: «FACEVA SACRIFICI INCREDIBILI» IL FIGLIO CARLO: «MI HA TRASMESSO IL GRANDE AMORE PER IL BASKET» IL FIGLIO PAOLO: «QUANDO NE PARLAVA GLI OCCHI SI ILLUMINAVANO» Una foto riferita all’anno 1971-1972: Ponzelletti è il capitano della squadra di serie D. Riconoscibile col numero 12, è l’ultimo accosciato in basso a destra. Di fianco al titolo Ermanno Ponzelletti giocatore Foto a sinistra: è il 1957 Ponzelletti in maglia Franco Tosi. E’ il quinto da sinistra in piedi. Foto a destra: l’anno è il 1960. Il giocatore legnanese in posa con la maglia numero 8 (quinto da sinistra) quandio militava nella Libertas Biella Ermanno Ponzelletti nella lunga militanza alla Pallacanestro Legnano è stato anche allenatore. Nella stagione 1973-1974 diresse la squadra Cadetti composta da ragazzi delle classi 1957-1958

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VENERDÌ 19 FEBBRAIO 2 01 6

Settegiorni Alto Milanese Sport Sport 57

Alla «Social Basket Cup»si gioca Bologna-Legnano

LEGNANO (pmu) C’è un altro «campiona-to» al quale sta partecipando Legnano: laSocial Bakset Cup. Per vincere gli Knightshanno bisogno che i tifosi si colleghino

sulla apposita pagina di Facebook edesprimano preferenze in merito alla pa-gina social del club. In questi giorni e sinoa l l’8 marzo, Legnano sta disputando la

«partita» valida per gli Ottavi di �nale:avversaria è la Fortitudo Bologna. NeiSedicesimi di �nale Legnano ha superatoJesi col punteggio di 20-11.

Tenacia, amicizia, mentalità vincente, gioia:Ermanno Ponzelletti, «icona» del LegnanoLa moglie: «Per lui la pallacanestro era tutto»

S TO R I E . . .

... ED EROI

LEGNANO (tms) Come spiegar-ti cos’è lo sforzo, se mai ti seibuttato sul parquet e ti seiriempito di lividi per recupe-rare un pallone?

Come spiegarti cos’è l’ami-cizia, se non hai mai fatto una ssi st ?

Come spiegarti cos’è il pia-cere se mai hai vinto una par-tita all'ultimo millesimo di se-condo?

Come spiegarti cos’è la gioiavera, profonda, in�nita se maihai vinto un campionato?

E, ancora, come spiegartic o s’è il sacri�cio se non co-nosci la storia di Ermann oPonz elletti?

Ma, soprattutto, come spie-garti la pallacanestro se nonhai mai visto, nè sentito par-lare di Ermanno?

Ermanno Ponzelletti è unpersonaggio assolutamenteiconico nel panorama del ba-sket legnanese avendone se-gnato almeno quattro decadidurante le quali ha ricopertotutti i ruoli possibili immagi-nabili: giovane promessa, gio-catore a�ermato, «stella» daesportazione, amatissimo �-gliol prodigo di ritorno, capi-tano e guida di un gruppo di«pioneri», allenatore vincentee, in�ne, dirigente attento ei l l u m i nato.

In quattro parole: un pezzoda novanta.

Dovendo descriverlo, però,non si può non cominciaredalla logica del sacri�cio cheha caratterizzato la sua vita diuomo e giocatore.

«Ermanno - racconta la ve-dova Vittorina Cozzi, donnaenergica e di pari carattere -era un uomo animato a ritmocontinuo dallo spirito del gio-co. Per lui lo sport era tutto, mala pallacanestro era ancoraqualcosa di più. Per Ermannoche veniva da una famiglia nu-merosa, non esattamente agia-ta, il basket oltre a soddisfareun’insaziabile fame di compe-tizione, aveva diversi altri, fon-damentali, signi�cati: riscatto,desiderio di a�ermazione, pre-stigio sociale, autonomia. Eper centrare tutti questi obiet-tivi, alcuni evidenti, altri piùnascosti, si sottopose a sacri-�ci mostruosi. Cose che a rac-contarle adesso non ci si cre-de».

Per esempio?«Ti racconto una sua gior-

nata tipo partendo, però, dalle17. Così tutti possono capiremeglio cosa intendo. Alle cin-que del pomeriggio Ermannousciva dall’azienda dove lavo-rava: la Pensotti Caldaie. Dopouna veloce pedalata nel giro dipochi minuti era in stazioneper prendere al volo il trenodiretto a Novara. Da lì, altrotreno, direzione Biella. Sul tre-no sbocconcellava un paio dipanini, giusto per stare in pie-di. Arrivato in stazione a Biella

altra corsa, stavolta a piedi, perarrivare in tempo all’a ll ena-mento. Due ore di fatica, in-sieme a compagni ovviamentepiù freschi e riposati, e agliordini di un allenatore severoed esigente come B onali. Poi,alla �ne dell ’al l ena me nto,stracco morto andava a dor-mire in una camera messa adisposizione della LibertasBiella. Il mattino seguente, alle5, la sveglia inesorabile suo-nava per ricordargli il tragittoal contrario perché alle 8 do-veva essere regolarmente alsuo posto in u�cio. Così persei giorni la settimana perchéal mio Ermanno gli toccavalavorare anche il sabato perrecuperare l’ora che perdevatutti i giorni per uscire prima,ed essere puntuale al treno. Iltutto per le ottantamila lire almese pattuite nel contrattocon Biella: un cifra neanchemale, in particolare se rappor-tata alle 130.000 lire che por-tava a casa col suo stipendiomensile. Eppure, nonostante isacri�ci, malgrado le fatiche e,in qualche occasione, le pri-vazioni, Ermanno ricordava ilperiodo biellese come il piùbello e signi�cativo della suavita».

Dai racconti fatti dai com-

pagni di squadra e dai suoigiocatori emerge il ritrattodi un uomo molto duro edesig ente…«Fin troppo... Fin troppo...

Ermanno non si smollava mai.Non amava troppo parlare e, disolito, gli bastava uno sguardoper fulminarti. Io lo chiamo «losguardo dei Ponzelletti». Ieril'aveva Ermanno, oggi l'hannoCarlo e mio nipote Pietro. PerErmanno le famose 50 sfuma-ture potevano variare dal neroal nero opaco al nero acceso. I“gr igi” non facevano parte del-la sua tavolozza di colori. Mai.Nemmeno in casa. Anche fra lemura domestiche era sempretroppo serio. Sempre troppopreso nella parte. Così a metoccavano sempre due cose:dispensare qualche sorriso e laparte della grande mediatri-ce».

Allenatore e dirigente: lavita intorno ad un palloneda basket...«Normale che fosse così, vi-

sta la sua enorme passione evisto che, come si usa dire, dagiocatore era il classico un al-lenatore in campo. Il ruolo di-rigenziale invece mi piacevaun po' meno. Rubava tempo,risorse economiche ed energie�siche ad Ermanno che, in-

vece, stante la durezza del suolavoro, avrebbe avuto bisognodi riposare. Lui, sera�co, re-plicava dicendomi: «La palla-canestro e la città mi hannodato tanto. Adesso che ho deltempo da dedicare, adesso hoqualche possibilità �nanziariain più mi sembra giusto, do-veroso e bello restituire qual-cosa. E d'altra parte, qualcunodovrà pur sostenerla 'sta be-nedetta pallacanestro»...».

Il ricordo di Ermanno, in uncircolo virtuoso, passa nellemani di Carlo Ponzelletti, il�glio con lo stesso sguardo.Dal papà ha ereditato ancheun'altra caratteristica: è unotosto. Duro, di poche parole,spesso secche come sentenze,e molti fatti. Carlo è, oggi, Pre-sidente del Basket Sangiorge-se, formazione che da anni sela gioca alla grande in Serie B2.Quindi, non fosse altro che ra-gioni di derby, «ex-nemico»storico e giurato della Palla-canestro Legnano. Ma anche,per ragioni di intelligenza ecuore, protagonista assolutoinsieme al collega Marco Ta-ja na, del miracolo-ABA: unbellissimo �ore della pallaca-nestro giovanile sbocciato inuna zona neutra che, prima diloro due, nessuna aveva mai

pensato di dissodare, semina-re e coltivare con amore.

«Amore penso sia la parolaperfetta perchè racchiude letante prospettive che, parlan-do di pallacanestro, mio padremi ha passato. Amore per ilgioco, prima di tutto. Mio pa-dre amava la pallacanestro allafollia e aveva un grandissimorispetto per il gioco. Chiunquelo praticasse. ln particolare seil basket era giocato dai gio-vani. Infatti, il primo ricordoche ho di papà sotto il pro�locestistico risale a quando svol-geva, con grandissima passio-ne, il ruolo di responsabile tec-nico e organizzativo del settoregiovanile della PallacanestroLegnano. Mio padre, insiemeai suoi collaboratori dell'epo-ca, lavorò tantissimo sia in se-de, sia in fase di reclutamento,per far crescere il settore gio-vanile. Non a caso alcuni deigiocatori più importanti dellaPielle - G atti e Roton d i p ertutti - arrivarono a Legnanoproprio per sua iniziativa».

Già le due dimensioni tec-niche. Prima giocatore, poiallenatore: quali le tueistantanee al riguardo?«Ho visto Ermanno in pan-

taloncini e canottiera nelle ul-time fasi della sua carriera ed ilricordo, molto vivo, è quello diun giocatore grintoso, veroagonista del quale, più che igesti tecnici che allora capivopoco, apprezzavo la voce sulcampo. Ecco, mio padre sulparquet si sentiva. Molto... Lastessa voce che mio padre tra-sferì in panchina nel corso del-la sua carriera da allenatorenelle categorie senior. Un per-corso tutto sommato breve,ma più che soddisfacente dalmomento che con papà allaguida la Pielle centrò comun-que la sua prima promozionein un campionato nazionale: laSerie C».

Il basket seniores per tuopadre si coniugò con dueabbandoni alla famigliaPielle: cosa mi sai dire alprop osito?

«Innanzitutto rispondo cheè vero: il rapporto con l'am-biente della prima squadra gliprocurò un paio di delusionicocenti alle quali reagì consbattendo la porta e uscendodi casa due volte. La prima, nel1977, quando venne ingiusta-mente licenziato come allena-tore della prima squadra e ri-tenuto unico responsabile delfallimento di un gruppo che, agiudizio unanime, era moltomale assortito. Ermanno se nèandò e dalle parti di via D'A-zeglio nessuno lo vide più percinque anni. Rientrò, dopomolte pressioni, nell'82 occu-pandosi, come ho già detto,solo di settore giovanile. Il se-condo allontanamento, questavolta de�nitivo, avvenne qual-che anno dopo, credo fosse il1986, a seguito di uno screziocon coach Bruno Brumana.Ermanno, a seguito di questoscambio di vedute abbastanzaacceso, fu invitato dall'inge-gner Colomb o a farsi da parteper le questioni che riguarda-vano la prima squadra. Miopadre, che faceva parte delconsiglio direttivo della socie-tà, non prese bene questo «in-vito» e lasciò immediatamentela Pallacanestro Legnano sen-za farvi più ritorno. In quelpreciso istante la Pielle sparìper sempre dai suoi pensieri enon volle saperne più nulla».

L'ultimo ricordo-ritratto diquesto grande uomo e cam-pione è di Pa olo, il secondo�glio: «Con papà ho sempreavuto un ottimo rapporto chenel tempo si è consolidato an-che perchè, col passare deglianni, aveva addolcito alcunitratti un po' ispidi del suo ca-rattere. Era interessante par-lare con lui di tutto, ma in par-ticolare di pallacanestro, argo-mento che immediatamentegli faceva scattare una luce di-versa negli occhi. Bastavanopochi secondi per capire che ilbasket rappresentava la suapassione assoluta. Di papà, co-me giocatore, ricordo poco.Qualcosa di più mi è rimastodella sua �gura di allenatore:gli ordini secchi, che non am-mettevano repliche, la risolu-tezza nel prendere decisioni, laconcentrazione che mettevanel ruolo e, anche, le «pap-pine» che tirava a qualche gio-catore un po' indolente. E, a�ne gara, le critiche. Papà ri-cordava e analizzava la partitafotogramma per fotogramma equasi per ogni azione, anchequelle che si chiudevano po-sitivamente, riusciva a trovareun difettuccio, qualcosa che sisarebbe potuto fare meglio.Tuttavia, da ex-regista, era piùindulgente verso gli erroricommessi dai playmaker. Unapiccola, comprensibile, dolce,umana debolezza...».

Massimo Turconi© RIPRODUZIONE RISERVATA

VITTORINA COZZI:«FACEVA SACRIFICIINCREDIBILI»IL FIGLIO CARLO:«MI HA TRASMESSOIL GRANDE AMOREPER IL BASKET»IL FIGLIO PAOLO:«QUANDO NEPA R L AVAGLI OCCHI SII L L U M I N AVA N O »

Una fotori fe ri t aall’anno19 7 1- 19 7 2 :Po n ze l l e tt iè il capitanodella squadradi serie D.Riconoscibilecol numero 12,è l’ultimoa c c o s c i a toin bassoa destra.Di �ancoal titoloE rm a n n oPo n ze l l e tt ig i o c a to re

Foto a sinistra:è il 1957

Po n ze l l e tt iin maglia

Franco Tosi.E’ il quinto

da sinistra in piedi.Foto a destra:

l’anno è il 1960.Il giocatore legnanese

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nella Libertas Biella

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Nella stagione19 7 3 - 19 74

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