San Francesco e il Crocifisso di San Damiano

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San Francesco d’Assisi e il Crocifisso di San Damiano Schede per approfondire e riflettere

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Riflessioni su San francesco e sull'icona del Crocifisso di San Damiano

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San Francesco d’Assisi e il Crocifisso di San Damiano

Schede per approfondire e riflettere

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La Storia del Crocifisso di San Damiano Il Crocifisso di san Damiano è un’icona, dipinta da un anonimo artista (probabilmente un monaco che viveva nella zona di Assisi) tra il 1000 e il 1050 d.C., prendendo ispirazione dai Vangeli canonici e dalla tradizione della Chiesa. Quella croce venne poi collocata nella chiesetta di san Damiano, fuori le mura di Assisi. Davanti a quella croce il giovane Francesco pregava: “Altissimo glorioso Dio, / illumina le tenebre de lo core mio / e damme fede retta, speranza certa e caritade perfetta, / senno e cognoscemento, Signore/ che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen” (FF 276) Davanti a quella croce, nel 1206 il giovane Francesco d’Assisi percepì l’invito a “riparare la sua casa”. Il Crocifisso rimase a san Damiano contemplato, custodito e invocato da Chiara e dalle sue sorelle, finché visse santa Chiara (1253). Quando, nel 1257, le clarisse si trasferirono all’interno delle mura di Assisi, il crocifisso venne portato in città, nella basilica di santa Chiara, dove si trova tutt’ora.

Nella Settimana Santa del 1957 venne mostrato al pubblico per la prima volta sopra il nuovo altare nella cappella di San Giorgio nella Basilica di Santa Chiara d'Assisi. Da allora questa immagine ha avuto una diffusione imprevedibile e straordinaria.

L'Icona del Cristo L’icona non è un’immagine decorativa qualsiasi, ma una autentica raffigurazione visibile del mistero invisibile. È una forma di presenza che aiuta a vivere l’incontro salvifico con Dio. Essa mette in contatto col mistero attraverso la via della bellezza. Nel dipingere l’icona l’iconografo presta la sua arte a Dio e si fa docile strumento dello Spirito, perché l’immagine dipinta non sia affermazione dell’uomo ma dono di Dio. Infine per raffigurare il mistero, l’iconografo deve cercare di offrire una corrispondenza tra la verità

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di fede e l’immagine, restando sempre dentro il solco della tradizione della Chiesa. Per questo, prima di dipingere medita i testi della Parola di Dio, quelli della grande tradizione della Chiesa e quelli della Liturgia.

Anche l'icona di San Damiano permette di vivere questo incontro personale con il Cristo Figlio di Dio che si è fatto uomo, che ha condiviso la nostra vita, è entrato nel mistero della nostra morte per aprirci la via della vita di Dio, con Dio e in Dio. Il Crocifisso contiene la professione di fede pasquale nel Cristo che si è fatto obbediente fino alla morte di Croce, che è risorto ed è stato innalzato nella gloria del Padre.

Guardando il Crocifisso con uno sguardo d’insieme dall’alto in basso, possiamo immaginare il senso complessivo di quest’opera in un invito all’adorazione, che si ispira ai cantici che troviamo nella lettera di san Paolo ai Filippesi (2,9-10) e nell’Apocalisse (5,13). Poiché il Figlio di Dio si è incarnato, fatto servo e disceso nel mistero della morte, “per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9-10). In alto, gli angeli adorano il Cristo innalzato, che entra nella gloria del Padre. In basso coloro che sono morti adorano il Signore della vita che li richiama alla vita. Nella fascia centrale i personaggi della storia, che partecipano all’ora della crocifissione, adorano il Figlio obbediente, che morendo dona la vita. E noi che ci troviamo di fronte alla raffigurazione di questo mistero d’amore siamo invitati a fare altrettanto, a lasciarci coinvolgere in questo movimento di adorazione, a piegare le nostre ginocchia e riconoscere che senza la sua morte in croce la nostra vita e la nostra morte sarebbero senza speranza, mentre alla luce della sua morte e risurrezione diventano passaggio “da questo mondo al Padre”, un lasciare la dimora terrena per ricevere in dono quel posto che Gesù è andato a preparare per noi, per prenderci con sé per tutta l’eternità.

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Di fronte a questo Crocifisso anche noi siamo invitati a ravvivare la nostra fede, proprio come ha fatto San Francesco. Il Cristo in croce, è raffigurato nel suo mistero di amore per la Chiesa, che Egli ama come sua Sposa, per la quale dona la propria vita. Non è quindi sorprendente che quest'icona abbia rivolto al giovane Francesco d’Assisi un invito ad amare: "Non vedi che la mia casa cade? Va' e riparamela!"

Nella presentazione dell’icona viene seguita l’interpretazione di Mons. Crispino Valenziano, che analizza a fondo le fonti iconologiche (i testi biblici, patristici e liturgici) alle quali si è ispirato il pittore del Crocifisso di san Damiano. In parte viene seguita anche la lettura dell’icona di Tomas Jank.

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Ripara la mia casa Agli inizi della conversione di san Francesco troviamo tre incontri significativi: quello con il lebbroso, quello con il Crocifisso di san Damiano e quello con il Vangelo. In questo primo articolo ci fermiamo riflettere sull’incontro con il Crocifisso di san Damiano, avvenuto proprio 800 anni fa. Nella Basilica Superiore di san Francesco in Assisi possiamo ammirare una serie di episodi della vita del Serafico Padre, tratti dalla Leggenda Maggiore di san Bonaventura e magistralmente affrescati da Giotto. Tra questi troviamo l’episodio del colloquio con il Crocifisso di san Damiano. La chiesetta è raffigurata come semi diroccata, il giovane Francesco è in preghiera davanti al Crocifisso collocato proprio sopra l’altare. L’atteggiamento è estatico, come di chi sta accogliendo una parola speciale, una parola di chiamata. Un incontro che cambia la vita Che cosa avvenne realmente nell’autunno del 1205 o nella primavere del 1206 a san Damiano, fuori le mura di Assisi, davanti a quel Crocifisso? I biografi ci raccontano quell’incontro e quella chiamata collocandola al centro di altri due incontri, attraverso i quali si fa più chiaro nel cuore e nella mente di Francesco quale sia il senso profondo della sua vita e quale sia la proposta che l’ «altissimo, glorioso Dio» gli sta facendo. Con un linguaggio asciutto e privo di commenti la Leggenda dei tre compagni (FF 1407-1409) racconta anzitutto la vittoria del giovane sul proprio egoismo e sulle proprie paure. È la vittoria che avviene quando davanti al lebbroso, il giovane Francesco – anziché scappare come di consueto –si ferma, lo

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accoglie come persona, lo abbraccia iniziando una frequentazione che lo porterà al superamento dell’egoismo e a un profondo cambiamento interiore. Nel suo Testamento Francesco ricorderà quell’incontro come l’incontro decisivo, l’incontro della conversione, l’incontro che gli ha cambiato la vita (FF 110).

“Non vedi che la mia casa sta crollando?” Subito dopo l’autore della Tre Compagni racconta l’incontro con il Crocifisso di san Damiano (FF 1410-1411). È un incontro che avviene in un

clima di preghiera. Possiamo immaginare questo giovane poco più che ventenne, in ginocchio, proprio come ce lo raffigura Giotto, mentre interiormente ripete: “Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio”. Una preghiera che sgorga dal cuore e che affiora sulle labbra, ripetuta con insistenza e con fiducia profonda, nella certezza che una luce dall’Altissimo verrà. Una luce che illuminerà non solo il suo cuore ma tutta la sua vita, offrendogli un orientamento e una direzione sicura. Quanto durò quella preghiera? Non ci è dato saperlo. Sappiamo però che fu ascoltata e il Crocifisso gli aprì gli occhi e gli orecchi del cuore: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restaurala per me”. La risposta di Francesco fu pronta: “Lo farò volentieri, Signore”. Annota l’autore della Leggenda che il giovane “per quelle parole fu colmato di tanta gioia e inondato da tanta luce, che egli sentì nell’anima che era stato veramente il Cristo crocifisso a parlare con lui” (FF 1411). Questo incontro col Crocifisso non verrà ricordato da Francesco nel Testamento, vi farà invece allusione Chiara (FF 2826), che davanti a quel Crocifisso trascorrerà la propria vita, contemplandone il mistero

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e attingendovi luce e amore fino all’ultimo respiro. Quell’incontro sarà comunque importante per il giovane Francesco per iniziare a comprendere il senso della propria vita dentro il colloquio col Cristo che per amore nostro sì è donato interamente. E sarà importante per scoprire la chiamata di Dio come una realtà costruttiva e progressiva. Cominciando con il fare quel che aveva capito – vale a dire restaurare materialmente alcune chiese tra il deteriorato e il diroccato – Francesco pian piano capirà quel che realmente era chiamato a fare: dare il proprio contributo al rinnovamento della Chiesa. “Questo io desidero con tutte le mie forze!” Ed ecco allora il terzo incontro di capitale importanza, quello decisivo: l’incontro col Vangelo, durante la Messa alla Porziuncola (FF 1427-1428). Dopo aver ascoltato le parole di Gesù che invia i suoi discepoli ad annunciare il Vangelo, Francesco si immedesimerà in quelle parole: “È proprio quello che bramo realizzare con tutte le mie forze!”. Sarà quel vangelo a chiarirgli come dovrà riparare la Chiesa voluta dal Crocifisso, nata da quel costato trafitto, nata da quell’essersi fatto servo per riconciliare con Dio, nel proprio sangue, l’intero universo. Francesco diventerà perciò uomo di Vangelo e Vangelo vivente: povero come il Cristo e la madre sua poverella e gli apostoli, annunciatore di pace in opere e parole, costruttore di relazioni fraterne che nascono da un cuore riconciliato e dal lasciarsi attrarre dall’unico Signore, desiderando di piacere solo a Lui. Anche noi in preghiera davanti al Crocifisso Nel corso di quest’anno cercheremo di entrare sempre più nel mistero di quell’incontro avvenuto otto secoli fa, cercheremo di cogliere anche i contenuti spirituali di quel Crocifisso che ha così amabilmente colloquiato con Francesco. Cercheremo inoltre di metterci anche noi davanti a quel Crocifisso, con la stessa insistente preghiera: “Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio”. Con la stessa disponibilità a fare volentieri quel poco o quel tanto che il Crocifisso ci darà di comprendere! Un passo alla volta: per arrivare lontano, per trovare il nostro posto nel cuore di Dio, per

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dare il nostro contributo a riparare oggi la Chiesa in cui viviamo, per scoprire quello che il Crocifisso chiede a ciascuno di noi.

Ogni giorno ritagliati qualche minuto di preghiera silenziosa davanti all’immagine del Crocifisso di san Damiano e prega con fede: Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio e damme fede retta, speranza certa e carità perfetta, senno e conoscimento, Signore, che io faccia lo tuo santo e verace comandamento.

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Illumina el core mio La preghiera del giovane Francesco davanti al Crocifisso di san Damiano contiene un inizio di apertura al progetto di Dio e un itinerario di cammino spirituale. Gli spunti che offre ai credenti di ogni epoca sono utili anche per noi, per impostare su basi solide la nostra vita cristiana e le nostre scelte. L’antica biografia nota sotto il nome di “Leggenda dei Tre Compagni” – raccontando il cammino personale di ricerca del giovane Francesco – dice che egli “insisteva nella preghiera perché il Signore gli indicasse la propria vocazione” (3Comp 10, FF 1406). La medesima biografia ci ricorda che “mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, gli fu detto in ispirito di entrarvi a pregare. Andatoci, prese a fare orazione fervidamente davanti a un’immagine del Crocifisso …” (3Comp, 13, FF 1411). Le fonti ci tramandano anche la formula nella quale si condensava questa insistente preghiera al Signore, si tratta del più antico testo francescano giunto fino a noi e contenuto negli “Scritti” di san Francesco: “Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio e damme fede retta, speranza certa e carità perfetta, senno e conoscimento, Signore, che io faccia lo tuo santo e verace comandamento” (Preghiera davanti al Crocifisso: FF 276). Cosa significa questa preghiera? Che cosa stava chiedendo il giovane Francesco? E cosa può significare per noi oggi pregare con quelle stesse parole.

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Altissimo, glorioso, Dio Come ogni preghiera autentica anche questa prende avvio dalla contemplazione di Dio. Il giovane Francesco, pur essendo appena agli inizi della sua conversione, ha imparato a non rimanere ripiegato su se stesso e sul proprio io, ma ad alzare lo sguardo per fissarlo in Dio. È in questo modo che lo scopre di fronte a sé “altissimo e glorioso”, vale a dire infinitamente grande e luminoso. Ma è la grandezza e la luminosità del Crocifisso quella che sta contemplando! È la grandezza di chi si è umiliato fino a diventare il servo crocifisso ed è la luminosità dell’amore che arriva a donare la vita. Perciò si mette con fiducia e verità davanti a quel Crocifisso e prega: “illumina le tenebre de lo core mio”. È consapevole che non sarà in grado di superare l’oscurità in cui si trova senza la luce e l’aiuto che di lì promana. In quali tenebre si trova il giovane Francesco? Ce lo chiediamo più che legittimamente. Si tratta delle tenebre di chi sta cercando con tutto se stesso di comprendere qual è il significato profondo della sua vita? Certamente. Può trattarsi delle tenebre di chi desidera capire quale forma di vita è chiamato a scegliere? Sembra proprio di sì. Sono forse anche le tenebre di chi sta scoprendo il bisogno di una profonda purificazione del cuore e della vita, di chi ha bisogno di essere in qualche modo strappato dalle tenebre del peccato? Probabilmente anche di questo, dato che lo stesso Francesco avrà sempre una viva percezione che la sua chiamata è stata l’esemplare chiamata a conversione di un peccatore nel quale Dio ha voluto manifestare la sua misericordia (Fioretti 10, FF 1838). Fede, speranza e carità Subito dopo aver chiesto luce, Francesco chiede in dono le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Sono virtù che Dio infonde nel cuore dei fedeli come dono di grazia attraverso il battesimo e la partecipazione del dono dello Spirito santo. Il giovane orante le chiede qualificandole però con tre aggettivi estremamente significativi. La fede richiesta è una fede retta, vale a dire quella fede che viene trasmessa all’interno della Chiesa e permette di incontrare Cristo e il suo Vangelo in modo autentico, senza deviazioni, senza

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interruzioni e senza impoverimenti. La speranza è una speranza certa, cioè la speranza cristiana, quella che si fonda sulla certezza data dal Cristo crocifisso e risorto, promessa e primizia della pienezza di vita che anche a noi è donata fin dal battesimo ed è premessa di vita eterna e risurrezione. La carità è perfetta, ossia un amore di totale pienezza e gratuità, un amore che arriva fino al dono di sé, fino al perdono del nemico, fino al recupero del peccatore: ancora una volta si tratta dell’amore manifestato proprio dal Cristo in croce. Senno e cognoscimento Le ultime richieste contenute nella preghiera davanti al Crocifisso riguardano il “senno e conoscimento” per fare il “santo e verace comandamento” di Dio. Che cosa significano? Secondo fra Daris Schiopetto, studioso di spiritualità francescana ("Va' e ripara la mia casa...". Lettura spirituale dell'itinerario vocazionale di Francesco d'Assisi, L.I.E.F., 2005) sono meglio comprensibili se lette come un “completamento”, da parte del giovane Francesco, della preghiera davanti al Crocifisso dopo aver ricevuto la chiamata a riparare la chiesa. Cosa significherebbero allora? Che dopo aver ricevuto l’invito a riparare la casa del Signore e aver dato la propria generosa disponibilità, Francesco chiede una maggior capacità di passare da un’adesione interiore alla chiamata di Dio a un’adesione vitale, esistenziale e pratica. È come se il giovane Francesco – nel suo intimo dialogo col Signore – gli stesse dicendo: “Farò molto volentieri quello che tu mi chiedi, Signore, e tu aiutami a capire bene quel che mi stai chiedendo e a farlo concretamente”. Proviamo a fare nostra la stessa preghiera Dopo aver riflettuto sulla preghiera del giovane Francesco e sul significato che poteva avere in quel preciso momento della sua vita è

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bene che ci chiediamo che significato può avere per noi pregare con le stesse parole. Anche per noi – pur nella sua brevità – questa formula di preghiera è molto educativa:

1. Ci pone davanti a Dio insegnandoci che per pregare bene occorre fissare lo sguardo su Dio e cogliere qualche tratto del suo volto (“Altissimo, glorioso”, poi – maturando – lo scopriremo anche “onnipotente, eterno, giusto e misericordioso” oppure “altissimo, onnipotente e buono” o ancora “santissimo Padre nostro”).

2. Ci pone davanti a Dio così come siamo in verità, con il nostro cuore tenebroso, con le nostre zone d’ombra bisognose di una luce spirituale capace di purificarci, di orientarci, di aiutarci a capire cosa siamo chiamati a fare nella vita e della vita.

3. Ci pone davanti a Dio con richieste essenziali per vivere un’autentica vita cristiana: fede retta in una cultura della fede “fai da te”, speranza certa in un tempo di oblìo della speranza e carità perfetta in un mondo che privilegia il perfetto egoismo.

4. Ci pone davanti a Dio con un costante orientamento esistenziale e pratico, per cui non ci basta più capire quel che Dio vuole, ma vogliamo viverlo, farlo, realizzarlo.

Se entriamo nello spirito di questa piccola e semplice preghiera impariamo a sottoporre alla luce di Dio anche i nostri progetti e desideri, smettiamo di strumentalizzarLo perché ci faccia raggiungere i nostri obiettivi e impariamo che la vita è apertura all’imprevisto e all’imprevedibile. È apertura al sogno di Dio! E allora anche noi possiamo cominciare a rimboccarci le maniche per restaurare la Chiesa di Dio della quale siamo parte.

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Con la tua santa croce hai redento il mondo. Dopo aver colto il contesto di vita e di preghiera in cui avviene il colloquio tra il Crocifisso di san Damiano e il giovane Francesco d’Assisi è giunto il momento di cominciare a “leggere” i significati contenuti in questa particolare raffigurazione della croce. Essa fu dipinta con la tecnica dell’icona verso il 1050 d.C. da un anonimo artista, probabilmente un monaco, e presenta una meditazione profonda e articolata del mistero pasquale di nostro Signore Gesù Cristo. Da questo momento san Francesco porterà sempre nel cuore questo mistero d’amore, e col dono delle stimmate (settembre 1224) lo porterà – indelebile – anche nella carne. Per affrontare in modo adeguato i significati del crocifisso di san Damiano è utile richiamare brevemente che cos’è un’icona sacra. È un’immagine che viene dipinta da un artista con l’intenzione di trasmettere in modo autentico qualche aspetto della fede della Chiesa, per aiutarci a pregare, meditare e vivere con fede. L’icona ha lo scopo di aprire una finestra sul mistero del Dio invisibile, a partire dal fatto che Egli si è reso visibile in Gesù Cristo. In un modo tutto speciale vuole perciò metterci alla presenza del mistero di Dio, perché ci possiamo accostare a Lui passando dalla percezione sensibile alla percezione del cuore. Chi dipinge un’icona sacra, sa di essere un semplice strumento nelle mani dello Spirito Santo, che guiderà la sua mano, perché attraverso quell’immagine possa trasparire qualche tratto del volto invisibile di Dio, qualche raggio della sua bellezza meravigliosa e trasformante. Perciò prima di dipingere un’icona sacra, occorre mettersi in preghiera, meditare sui testi sacri, cercare la via della docilità allo Spirito. Lo stesso vale per chi si mette di fronte all’icona: ne coglierà il senso solo se sarà disposto a pregare in modo prolungato lo Spirito, a meditare sui testi sacri e sui misteri raffigurati. Nella riflessione che seguirà ci fermiamo sulla figura del Cristo, che occupa il centro del crocifisso e attira immediatamente il nostro sguardo.

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Bilancia del grande riscatto Ciò che immediatamente colpisce chi si ferma a contemplare questa immagine, è il volto di Gesù sereno e disteso, i suoi occhi aperti e grandi. Perché questi occhi grandi che ci guardano? Si tratta di un modo molto antico di raffigurare il volto di Gesù, elaborato dai cristiani dell’Egitto, che hanno voluto rappresentare così il buon pastore dagli occhi grandi, che veglia sul suo gregge, che dà la vita per le sue pecore ed è al tempo stesso il giudice che tutto conosce e giudica con una misericordia straordinaria, frutto dell’aver condiviso la nostra vita fino in fondo. Le braccia di Gesù sono dipinte in modo tale da fare del suo corpo crocifisso la “bilancia del grande riscatto, che tolse la preda all’inferno” (Venanzio Fortunato, sec. VI), l’occhio sinistro di Gesù è l’ago della bilancia e le sue mani i piatti della medesima. Col dono di sé per amore nostro e del Padre suo, continuamente Gesù riporta equilibrio nella nostra vita, perché il male ed il peccato non abbiano mai un peso maggiore del bene e dell’amore. Ecco in cosa consiste il suo giudicare con misericordia, ecco in cosa consiste la “giustizia di Dio” o “il giudizio che giustifica”. Quel volto poi è coronato da un’aureola particolare: è piena e dorata, per indicare la sua divinità; al suo interno è tracciata una croce, per dirci che si tratta del Figlio divenuto servo sofferente, umiliato fino alla morte di croce per caricarsi i nostri peccati e salvarci; e all’interno della croce contiene un simbolo geometrico (quincus) ripetuto tre volte, tipico della regalità, per dire che è il Messia venuto a inaugurare il Regno di Dio. Infine sei ciocche di capelli poggiano sulle spalle del Crocifisso, per

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ricordarci i sei giorni della creazione: nel mistero della croce di Gesù è tutto il creato ad essere rinnovato, comincia un mondo nuovo, una nuova creazione, cieli e terra nuova, una nuova umanità. Sorgente di vita nuova Guardando ancora a quel corpo appeso in croce veniamo colpiti da tanta abbondanza di sangue che esce dalle ferite alle mani ed ai piedi, come pure da quella sorgente di acqua e sangue che si apre sul lato destro del costato di Gesù. Se vogliamo comprendere la ricchezza di questo simbolismo occorre che leggiamo con attenzione il vangelo secondo Giovanni, specialmente il capitolo 19, che ci parla della crocifissione di Gesù, ma anche i richiami ad altri passi dello stesso vangelo e dei Profeti, che quel capitolo evoca. Scopriamo allora che dal costato trafitto di Gesù escono sangue ed acqua, con tutto ciò che l’acqua e il sangue indicano nella Scrittura e in san Giovanni. Evocano il “rinascere dall’acqua e dallo Spirito” e la “sorgente dello Spirito”, cioè il dono del battesimo e dello Spirito che ci risanano e ci fanno rinascere figli di Dio. Evocano il sangue di Gesù che è “vera bevanda”, che è il vino nuovo e sovrabbondante delle nozze messianiche, delle nozze dell’Agnello immolato, cioè il dono dell’Eucaristia. Il costato aperto evoca inoltre – secondo Giovanni – il mistero del Re innalzato che attira tutti a sé e il mistero dell’Agnello pasquale, al quale non viene spezzato alcun osso. Evoca ancora il costato aperto del primo Adamo, dal quale viene tratta la Donna sua sposa, e così nel mistero della croce, dal costato aperto di Gesù Cristo viene tratta la nuova Eva, la Chiesa, madre dei credenti, la Sposa del Cristo. Nascita della Chiesa, dono dei sacramenti, tutta la vita cristiana sgorga dal mistero pasquale, dal mistero di Gesù che dona tutto se stesso per amore. E, contemplando quel costato aperto e meditando e pregando, possiamo scoprirvi molti altri significati per la nostra vita…

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Servo obbediente Portiamo poi il nostro sguardo sul “gonnellino” che cinge i fianchi del Crocifisso, retto da una cordicella. Che cos’è? Cosa significa? Ancora una volta viene in nostro aiuto san Giovanni, ricordandoci che, durante l’ultima cena Gesù si alzò da tavola, si cinse un grembiule-asciugatoio e cominciò a lavare i piedi dei discepoli (Gv 13). Quel grembiule, indossato nell’ultima cena, identifica in Gesù il Servo del Signore, intravisto e annunciato dal libro di Isaia. Quel grembiule, indossato nell’ultima cena e rimasto come unica veste del Crocifisso, è il segno inequivocabile che il servizio di Gesù consiste nel dare la vita per noi, il suo “lavare i nostri piedi” è un farsi carico delle nostre infermità e dei nostri peccati, delle nostre fragilità e di ogni nostro male, prendendo tutto su di sé e inchiodando per sempre sul legno della croce, tutto ciò che abbruttisce la nostra vita. Alla luce di questo Crocifisso comprendiamo perciò cosa vuol dire il Nuovo Testamento (Lettera agli Ebrei) quando dichiara che Gesù è il Sommo Sacerdote, che ha compiuto una volta per sempre l’espiazione per i peccati, non col sangue di animali morti, ma col proprio sangue, cioè col dono della propria vita. E ora e per sempre Egli intercede per noi presso il Padre. Così attraverso questa raffigurazione ci vien detto che l’autentico servizio cristiano comporta il donare la vita e il donare la vita si può realizzare in gesti quotidiani di servizio.

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Per trasformare la riflessione in preghiera Prova anche tu a vivere l’incontro con questa icona del Crocifisso come un’occasione preziosa, che ti viene donata, per lasciarti raggiungere dal volto buono e misericordioso di Gesù, dal flusso benefico e vitale che sgorga dalle sue stimmate, dall’invito al servizio che Lui incarna. ü Mettiti anzitutto in un atteggiamento di preghiera, invoca lo Spirito

e ripeti interiormente “Il tuo volto, Signore, io cerco, mostrami il tuo volto”.

ü Sottoponi allo sguardo buono e dolce di Gesù misericordioso tutto ciò che ti pesa, tutto il male che avverti presente in te e attorno a te, le fragilità, il peccato. E al tempo stesso adoralo, riconosci in Lui il Figlio di Dio, il tuo Salvatore, il tuo Signore.

ü Contemplando il costato trafitto, ravviva la memoria del tuo battesimo, della tua cresima, del dono dell’Eucaristia e chiedi al Signore di saperli apprezzare in tutto il loro valore. Ravviva anche la memoria del tuo matrimonio e chiedi la grazia di saperlo vivere come amore autentico, fedele, fecondo, concreto nel dare la vita.

ü Contemplando Gesù servo, lasciati riempire il cuore di riconoscenza e chiedi anche tu la grazia di saper amare dando la vita e di dare la vita servendo in modo umile, come Gesù.

ü Prega con san Francesco (Test 5, FF 111): Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

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Davanti a Lui ogni ginocchio si pieghi Completiamo in questo numero la lettura dell’immagine di Gesù in croce, cogliendo quanto ci viene detto attraverso le scene collocate ai piedi della croce e nella parte alta, nonché attraverso alcuni elementi decorativi a carattere simbolico come i cirri delle viti e le foglie di acanto che circondano la croce. La volta scorsa abbiamo cercato di leggere e interpretare qualche aspetto della figura del Crocifisso, soffermandoci sul volto, coronato della gloria divina, sul corpo divenuto la bilancia del nostro riscatto, sul costato aperto e le altre stimmate, sulla veste del servo che dona la vita per amore. È questa evidentemente la figura centrale, quella che occupa il posto principale, la più grande e quindi la più importante. Sopra il capo di Gesù è collocato inoltre il “Titulus” cioè l’iscrizione che porta il motivo della condanna: “Gesù Nazareno, Re dei Giudei”. Per Pilato quella scritta è una beffa ai danni del Sinedrio, per i membri del Sinedrio è causa di irritazione, per noi costituisce la paradossale proclamazione della regalità del Crocifisso. Ai lati inferire e superiore del Crocifisso troviamo due scene che gettano una luce ulteriore e rendono ancor più esplicito il significato di quella morte e dell’investitura regale che quella morte in realtà è. Colui che discende negli abissi della morte… Cominciamo con la scena collocata alla base del Crocifisso. Allo stato attuale è una scena piuttosto rovinata, dove è possibile scorgere a malapena le sagome di un paio di personaggi. È anche una scena fisicamente rovinata, in quanto la tavola – in basso – è stata segata ed accorciata. Non sappiamo quando, non sappiamo da chi. Che cosa vi era raffigurato all’origine? Basandosi sulla logica d’insieme di quanto questo crocifisso ci vuol raccontare, uno dei massimi studiosi di arte sacra in Italia, mons. Crispino Valenziano, sostiene che lì era quasi certamente raffigurata la discesa di Gesù agli inferi.

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È il mistero che noi professiamo nel Simbolo apostolico (“discese agli inferi”) e che celebriamo nel Sabato Santo. È il mistero al quale allude san Pietro quando dice che Gesù nella sua morte “in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,19). Così fin dall’antichità – all’inizio a Gerusalemme, poi in tutto l’Oriente cristiano e pian piano anche in Occidente – si cominciò a immaginare (e poi a raffigurare) la discesa agli inferi di Gesù, dipingendolo nell’atto di scardinare, calpestandole, le porte della morte e nell’atto di prendere per mano Adamo, Eva e i Patriarchi per richiamarli alla vita e introdurli nel Paradiso perduto. In modo ancor più semplice qualche altro artista cominciò a raffigurare la croce piantata sopra un colle (il Golgota) ai piedi dei quali si trova una grotta, la tomba di Adamo, stilizzato nel teschio. E così questi artisti ci dicono che la morte in croce di Gesù ha un valore universale, che raggiunge l’intera umanità, dal primo all’ultimo uomo. Attraverso la scena della discesa agli inferi ci vien detto che le porte degli inferi sono state scardinate, che Gesù è entrato nel mistero umano del morire per liberare tutti noi dalla morte e introdurci nella vita stessa di Dio. … e ci porta con sé nella gloria Alla scena in basso corrisponde, naturalmente, una scena in alto. Vediamo infatti, sopra la scritta “Gesù Nazareno, Re dei Giudei”, un

cerchio (simbolo della gloria), all’interno del quale è collocato il Cristo e dal quale il Cristo fuoriesce. Le vesti del Cristo sono bianche, perché sono le vesti candide dell’Agnello immolato e risorto, dal quale dalle vesti bianchissime e luminose della luce

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della risurrezione. La sua corona porta inscritta la Croce, perché è il crocifisso risorto e innalzato nella gloria. Porta con sé la croce, non più come strumento di supplizio ma come segno di vittoria. La posizione delle gambe richiama il Salmo 18,6 che descrive il Sole “come sposo che esce dalla stanza nuziale, e come prode che esulta mentre percorre la via”. Attorno al Crocifisso risorto e innalzato, le schiere degli angeli lo accolgono nella gloria del cielo e lo adorano. Ancora più in alto una lunetta contiene una mano con indice e medio protesi, è la mano del Padre che guida tutta la storia della salvezza, tutto questo straordinario piano attraverso il quale ha mandato il suo Figlio ha condividere la nostra vita e la nostra morte per liberare noi dalla morte e introdurci nella vita. È il Padre, che nel mistero della Pasqua, dopo averci donato il suo Figlio e averlo ora innalzato alla sua destra, ci dona lo Spirito Santo (il “dito della destra del Padre” come cantiamo nel “Veni Creator”) perché la Pasqua si compia anche in noi, nel creato e nella storia, e finalmente Dio possa essere tutto in tutti e tutto e tutti possano vivere la pienezza della vita in Lui. In quella scena in alto, contemplando il Cristo in gloria e il dono dello Spirito, contempliamo allora la mèta della nostra vita: se Gesù è disceso negli inferi del nostro umano morire è per dischiudere a noi le porte della casa del Padre, la pienezza della vita, la comunione beatificante dell’amore. Ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra Guardando il Crocifisso con uno sguardo d’insieme dall’alto in basso, possiamo allora immaginare il senso complessivo di quest’opera in un invito all’adorazione, che si ispira ai cantici che troviamo nella lettera di san Paolo ai Filippesi (2,9-10) e nell’Apocalisse (5,13). Perché il Figlio di Dio si è incarnato, fatto servo e disceso nel mistero della morte, “per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,9-10).

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In alto, gli angeli adorano il Cristo innalzato, che entra nella gloria del Padre. In basso coloro che sono morti adorano il Signore della vita che li richiama alla vita. Nella fascia centrale i personaggi della storia, che partecipano all’ora della crocifissione, adorano il Figlio obbediente, che morendo dona la vita. E noi che ci troviamo di fronte alla raffigurazione di questo mistero d’amore siamo invitati a fare altrettanto, a lasciarci coinvolgere in questo movimento di adorazione, a piegare le nostre ginocchia e riconoscere che senza la sua morte in croce la nostra vita e la nostra morte sarebbero senza speranza, mentre alla luce della sua morte e risurrezione diventano passaggio “da questo mondo al Padre”, un lasciare la dimora terrena per ricevere in dono quel posto che Gesù è andato a preparare per noi, per prenderci con sé per tutta l’eternità.

A completare questo messaggio, sul Crocifisso di san Damiano, troviamo alcuni elementi decorativi: i cirri della

vite, che richiamano la nostra unione a Gesù “vera vite”; la cornice raffigurante le foglie di acanto, che stanno a simboleggiare la redenzione attraverso la risurrezione, perché – nella mitologia antica – il cardo spinoso, si muta in acanto senza spine; infine il gallo o – forse – la fenice a lato della gamba destra del Crocifisso, emblema rispettivamente del sorgere del sole e della risurrezione. In questa croce straordinaria, tutto ci parla perciò di quel paradosso cristiano che è la Pasqua: la vita che scaturisce

copiosa dal chicco di frumento che accetta di morire nel terreno della storia, per portare frutto nella gloria. Contemplando questo Crocifisso cresce davvero la nostra fede, si fortifica la nostra speranza e matura la nostra capacità di amare.

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Per trasformare la riflessione in preghiera Sosta ancora in preghiera davanti al Crocifisso e contemplalo nel suo duplice significato, quello dell’estremo abbassamento, fino a condividere del nostro vivere anche il nostro morire e quello del massimo innalzamento, che porta anche noi nella gloria della vita divina. ü Mettiti anzitutto in un atteggiamento di preghiera, invoca lo Spirito

e ripeti interiormente “Nelle tue mani, Signore, affido la mia vita”. ü Chiedi a Gesù di entrare negli inferi del tuo cuore e di ogni cuore

per portare apertura alla misericordia, alla vita e alla speranza. Affida al Signore qualche persona che conosci e che sta vivendo una prova difficile per la perdita di una persona cara o per la prossimità con la morte.

ü Medita sul senso del vivere e del morire alla luce di quello che ci sta dicendo il Crocifisso di san Damiano.

ü Prega con san Francesco (LFed 61-62; FF 202): A colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro, a Dio, ogni creatura che è nei cieli, sulla terra, nel mare e negli abissi, renda lode, gloria, onore e benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la nostra fortezza, lui che solo è buono, solo altissimo, solo onnipotente, ammirabile, glorioso e solo è santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.

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Stavano presso la croce di Gesù Dopo aver esaminato la figura del Cristo in Croce possiamo cominciare a interpretare i personaggi che si trovano ai lati del Crocifisso, cominciando da Maria e Giovanni. In un certo senso essi ci rappresentano e ci aiutano ad assumere l’atteggiamento del discepolo, del testimone e del credente. Le relazioni tra i personaggi e il Crocifisso ci aiutano anche ad approfondire il significato dell’essere Chiesa. La Madre presso la croce L’evangelista Giovanni ci racconta (cfr. Gv 19,25ss.) che presso la croce di Gesù si trovano la Madre, la sorella di sua madre (Maria di Cleofa) e Maria di Magdala, accanto alla madre si trova anche Giovanni, il discepolo amato. Quando parla di Maria l’evangelista non ne riporta mai il nome, ma la qualifica con un titolo oltremodo solenne: “la Madre”. Quando invece è Gesù a rivolgerle la parola viene chiamata in modo altrettanto solenne: “Donna”. Evidentemente all’evangelista sta a cuore presentarci il valore profondo di Maria di Nazaret, il significato che riveste sul piano della fede: quello di essere la Madre del Verbo incarnato (la Chiesa la saluterà come Madre di Dio) e quello di essere la nuova Eva, il principio della Chiesa, dalla quale nascerà l’umanità nuova. L’autore del Crocifisso di san Damiano, pur ispirandosi al vangelo di Giovanni, la identifica anche col nome, infatti sotto il personaggio leggiamo “Sancta Maria”. Le mani di Maria sono posizionate in modo significativo: la mano sinistra sotto il mento indica che sta meditando il mistero del Figlio crocifisso mentre la mano destra è protesa ad indicarlo, perché il nostro sguardo corra immediatamente verso di Lui. Lo sguardo di Maria è dialogante con lo sguardo di san Giovanni. Dipingendo la Madonna in questa posizione il nostro

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iconografo richiama in modo sobrio quello che i vangeli ci dicono di Maria: nel Vangelo di Luca ci viene presentata come colei che conserva nel cuore e medita i misteri di Dio manifestati nel suo Figlio (cfr. Lc 1-2), nel vangelo di Giovanni ci viene descritta come colei invita i servi a rivolgersi al Figlio fidandosi della sua parola (cfr. Gv 2); è in questo modo che Maria – alle nozze di Cana – anticipa la fede dei discepoli e apre la strada alla fede dei discepoli. E lì accanto il discepolo amato Quando l’Evangelista racconta la crocifissione di Gesù, descrive la scena e il breve dialogo: “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,26-27). Nemmeno san Giovanni viene chiamato per nome, evidentemente per le stesse ragioni per cui non viene chiamata per nome Maria. Attraverso l’espressione “discepolo amato” ci viene detto qualcosa di ogni discepolo di Gesù, ci viene detto che essere discepoli di Gesù significa anzitutto essere amati da Lui, con tutto ciò che significa “amare” per l’evangelista Giovanni. Amare è dare la vita, aveva detto Gesù ai suoi durante l’ultima cena, ed ora, sulla croce il Maestro vive questo suo insegnamento e dona la vita fino all’ultima goccia del proprio sangue. L’autore del Crocifisso di san Damiano ha voluto raffigurare san Giovanni nell’atto di chi indica (cfr. il gesto indicativo della mano destra) l’amore che Lui ha potuto vedere con i propri occhi e del quale ora dà testimonianza (cfr. 1Gv). La mano sinistra stringe invece un lembo del mantello ed esprime in questo modo la sofferenza per la morte di Gesù, si tratta infatti di una morte reale, non di una messa in scena. Infine lo sguardo di Giovanni si specchia nello sguardo di Maria, che da quel momento entra a far parte in modo stabile della sua vita. “Ecco tuo figlio” “Ecco tua madre” Sotto la croce, Maria e Giovanni non sono posizionati per conto proprio e disgiunti, ma sono collocati insieme e in relazione (la

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reciprocità dello sguardo è inequivocabile). Ed è proprio questo il messaggio che ci dà l’evangelista. Con uno sguardo che comprende sia Maria che Giovanni, Gesù dice alla propria madre: “Donna, ecco tuo figlio”, e – immediatamente – al discepolo amato: “Ecco la tua madre!” Dopo questo duplice e reciproco affidamento l’evangelista annota che per Gesù “tutto è compiuto” (Gv 19,28). Inoltre nella raffigurazione del Crocifisso di san Damiano Maria e Giovanni si trovano proprio sotto il costato aperto di Gesù dal quale sgorga sangue ed acqua. Qual è il senso di questa immagine e di questo reciproco affidamento? È un’immagine della Chiesa intesa come nuova famiglia di Gesù e in modo universale come nuova umanità. Dalla croce Gesù condivide con noi sua madre. Rendendoci figli di sua madre ne dilata la maternità e ci “adotta” come fratelli, con tutto ciò che significa: Maria vedrà in ciascuno di noi il volto del suo figlio Gesù, ma al tempo stesso Gesù vedrà nel volto di ognuno di noi il volto di un fratello. Donandoci sua madre e chiedendoci di accoglierla come parte della nostra vita ci invita ad accogliere in lei, come fratello, ogni altro discepolo amato, nel quale Lui si identifica e riconosce. Tutto questo sotto un costato aperto, da cui sgorga sangue ed acqua: il dono di una nuova nascita dall’acqua e dallo Spirito, il dono di una vita nuova frutto della comunione al suo Corpo ed al suo Sangue. Meditare e indicare il mistero dell’amore, realizzare con Maria la famiglia di Gesù Tenendo conto di quanto abbiamo semplicemente accennato nel tentativo di lettura dell’icona del Crocifisso, è bene che tiriamo qualche conclusione che orienti il nostro cammino. Sostando in preghiera e contemplazione davanti all’immagine di Maria e Giovanni sotto la croce siamo invitati a interiorizzare gli atteggiamenti espressi da questi due personaggi: la riconoscenza di chi si sente amato da Gesù che dona se stesso sulla croce, la capacità di meditare e indicare ad altri questo mistero nel quale si esprime che “Dio è amore” (1Gv 4,8.16.), il “com-patire” col Cristo sofferente cioè il sentirlo accanto nella sofferenza e il sentirsi accanto a Lui e ad

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ogni sofferente, il fare dell’amore manifestato nel Crocifisso l’oggetto della propria conversazione come Maria e Giovanni. Sempre soffermandoci in preghiera su questa scena, sentiamo sgorgare dal cuore anche altri sentimenti: la gioia di far parte di una Chiesa che non è fredda organizzazione burocratica, ma famiglia nella quale – oltre al Padre celeste – c’è una madre, Maria; c’è un fratello maggiore, Gesù, che si è fatto servo fino a dare la vita per i suoi amici; ci sono tanti altri fratelli e sorelle, quanti sono coloro che vengono raggiunti da quel sangue e da quell’acqua che sgorgano dal costato aperto del Figlio.

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione sosta davanti al Crocifisso contemplando la scena che comprende Gesù, Maria e Giovanni.

ü Esprimi tutta la tua riconoscenza per i doni che questa scena rappresenta (il dono della Madre, il dono della Chiesa, il dono della fraternità, il dono dell’umanità nuova…).

ü Chiedi a Gesù di imprimere nel tuo cuore questo mistero di amore, perché diventi esperienza viva, oggetto della tua meditazione e della tua conversazione.

ü Chiedi la grazia di saper essere testimone del dono di Gesù, dell’umanità nuova, di una Chiesa che è famiglia e fraternità.

ü Prega con san Francesco (Sal Virg 1-5; FF 259): Ave Signora, santa regina, santa genitrice di Dio, Maria, che sei vergine fatta Chiesa ed eletta dal santissimo Padre celeste, che ti ha consacrata insieme col santissimo suo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito; tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia ed ogni bene. Ave, suo palazzo, ave, suo tabernacolo, ave, sua casa. Ave, suo vestimento, ave, sua ancella, ave, sua Madre.

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Lo avevano seguito fin dalla Galilea Attraverso le figure della Maddalena e di Maria madre di Giacomo, anche noi ci mettiamo davanti al Crocifisso consapevoli di quanto sia centrale nella nostra vita l’incontro con Gesù: è nell’incontro con Lui che anche noi siamo liberati dal male che ci portiamo dentro; è nel seguirlo sulla via del servizio che la nostra vita trova un senso; è nel sentirci chiamati per nome da Lui Risorto e vivo per sempre, che le nostre lacrime lasciano il posto alla gioia e alla speranza; è nel lasciarci mandare da Lui ad annunciarlo risorto che la nostra vita si trasforma in missione, in testimonianza. Sul fianco sinistro di Gesù incontriamo una seconda serie di personaggi che ci aiutano a comprendere il significato della glorificazione del Cristo crocifisso, si tratta di Maria Maddalena, di Maria madre di Giacomo, del Centurione e di una folla di persone che sbucano proprio dietro la spalla sinistra del Centurione. Altri due personaggi raffigurati in scala ancor più ridotta si trovano ai lati estremi: un soldato romano di nome Longino e un servitore del tempio che la tradizione successiva chiamerà Stefanato. Sia Giovanni sia i Sinottici (Matteo, Marco e Luca) ci parlano delle donne presenti alla crocifissione di Gesù. Le donne nominate esplicitamente in Giovanni sono “la madre di Gesù, la sorella di sua madre Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (Gv 19,25); anche san Marco parla delle donne presenti alla crocifissione, seppur “da lontano” sono quelle stesse donne che lo avevano seguito e servito fin dalla Galilea ed erano salite con Gesù a Gerusalemme: del gruppo fanno parte “Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e

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di Ioses, e Salome” (Mc 15,40), Luca ricorda che erano quelle “che lo avevano seguito fin dalla Galilea” (Lc 23,49). Vogliamo scoprire il volto di due di queste donne per imparare anche da loro qualcosa di importante e significativo per la nostra vita di discepoli del Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto che ci apre la via alla comunione col Padre. Maria di Magdala Dopo la madre di Gesù, Maria di Magdala è certamente la più famosa delle “Marie” dei vangeli, al punto che talvolta viene confusa con altri personaggi femminili, ad esempio con Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta (Lc 10,38ss; Gv 11,1) e con la peccatrice che incontra Gesù in casa di Simone il fariseo (Lc 7,37). Chi era in realtà questa donna? Dal nome stesso sappiamo che era originaria di Magdala, un paese della Galilea. Leggendo i testi scopriamo che era divenuta discepola di Gesù dopo essere stata da Lui “liberata da sette demòni” (Lc 8,2; Mc 16,9), era stata cioè guarita da una qualche forma di malattia (fisica, psichica o spirituale) molto grave. Doveva essere piuttosto benestante, perché durante il ministero pubblico di Gesù, lo assiste con i propri beni, assieme ad altre donne. È sicuramente una donna dal cuore grande e animata da una grande riconoscenza e da un grande amore nei confronti di Gesù, al punto da compiere i gesti familiari della sepoltura (Mc 16,1) e da non rassegnarsi alla perdita del suo Maestro e Signore (20,1). Le sue lacrime sono la manifestazione del grande affetto che prova per Gesù e sono anche le prime ad essere asciugate dal Risorto, quando la chiama per nome e si fa riconoscere; sono le prime lacrime a tramutarsi in gioia incontenibile e contagiosa. È infatti la prima on solo ad incontrare Gesù risorto ma anche ad essere esplicitamente chiamata ad annunciarlo, nientemeno che agli apostoli (Gv 20,18). Maria di Giacomo L’altro personaggio femminile raffigurato sul Crocifisso di san Damiano è Maria di Giacomo. La tradizione dei vangeli sinottici ricorda che anch’essa fa parte del gruppo di donne che seguivano Gesù, lo sostenevano economicamente e collaboravano nel servizio (Mt 27,56; Mc 15,40-41; Lc 8,2-3), le uniche che sono state capaci di

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seguirlo fin sotto la croce. Marco aggiunge un particolare interessante, ci fa capire che Maria madre di Giacomo il minore era “sorella” della madre di Gesù (Mc 6,3), infatti quando cita i nomi dei “fratelli di Gesù”, questi stessi nomi corrispondono a quelli dei figli di Maria madre di Giacomo. Per la tradizione di Giovanni questa donna va identificata probabilmente con Maria di Cleofa (Gv 19,25), in questo caso Cleofa è il nome del marito. La troviamo infine nel gruppo di donne che si recano al sepolcro di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, per completare le operazioni di sepoltura del corpo di Gesù (Mc 16,1; Lc 24,10). Queste donne sono le prime a ricevere l’annuncio della risurrezione e sono le prime – seppur non credute – a trasmettere la testimonianza della risurrezione di Gesù. Insieme alla sequela di Gesù Sull’icona del Crocifisso di san Damiano Maria Maddalena e Maria di Giacomo sono collocate l’una di fronte all’altra, e i loro sguardi dialogano, come quelli della Madonna e di san Giovanni. Due gesti aiutano a capire il posto occupato dalla Maddalena, ha la mano sinistra appoggiata sotto il mento, per esprimere l’atteggiamento della contemplazione e della meditazione, stringe nella mano destra un lembo del proprio mantello, per esprimere la sofferenza per quella perdita e per quella morte. Con questi due semplici gesti, attraverso la sua figura, ci viene detto che è necessario sostare in contemplazione davanti al Crocifisso per non banalizzare il significato di questa morte. Ci viene anche implicitamente ricordato il pianto di Maria di Magdala davanti alla tomba vuota nel mattino di Pasqua, quando il Signore Risorto la chiama per nome e la fa diventare la prima missionaria. La figura di Maria di Giacomo è invece raffigurata nel gesto dello stupore, anche lei sta contemplando Gesù che muore in croce e rimane sorpresa dall’amore che quel morire rivela; anche lei, donna del seguire e del servire, rimane lì, presso la croce e contempla il Figlio di Dio che si è fatto servo fino a dare la vita per noi. Attraverso le figure della Maddalena e di Maria madre di Giacomo, anche noi ci mettiamo davanti al Crocifisso consapevoli di quanto sia centrale nella nostra vita l’incontro con Gesù: è nell’incontro con Lui che anche noi siamo liberati dal male che ci portiamo dentro; è nel

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seguirlo sulla via del servizio che la nostra vita trova un senso; è nel sentirci chiamati per nome da Lui Risorto e vivo per sempre, che le nostre lacrime lasciano il posto alla gioia e alla speranza; è nel lasciarci mandare da Lui ad annunciarlo risorto che la nostra vita si trasforma in missione, in testimonianza.

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione sosta davanti al Crocifisso contemplando la scena che comprende Gesù, Maria di Magdala e Maria di Giacomo.

ü Chiedi la grazia di saper contemplare il Crocifisso e di saper interpretare la tua vita secondo la sapienza della croce, che è la sapienza dell’amore più grande, la sapienza del dare la vita.

ü Chiedi a Gesù di imprimere nel tuo cuore la capacità di com-patire, cioè di soffrire insieme con Lui, imparando a piangere con chi piange, perché sia Lui a rischiarare ogni pianto con la luce di Pasqua.

ü Chiedi la grazia di saper essere testimone della speranza che può trasmettere solo chi ha incontrato Gesù risorto e vivo per sempre. Chiedigli di saper trasmettere questa speranza negli ambienti di vita quotidiana.

ü Prega con san Francesco (Par. Pat. 5; FF 270): Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra: affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, indirizzando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e i sensi dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché amiamo i nostri prossimi come noi stessi, attirando tutti secondo le nostre forze al tuo amore, godendo dei beni altrui come fossero nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando alcuna offesa a nessuno.

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Sotto la croce per scoprire chi è Gesù Sotto la croce troviamo un personaggio particolarmente significativo, il centurione romano che per primo va oltre la superficie dei fatti e riconosce chi è quel condannato a morte, che passa sotto il nome di Gesù di Nazaret: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”. Dietro la spalla sinistra del Centurione quattro teste mettono in scena in forma stilizzata le folle rimaste sullo sfondo come spettatrici della crocifissione. Esse stesse sono trasformate da quell’evento e tornano a casa percuotendosi il petto, cioè sperimentando la conversione come cambiamento del cuore. Il Centurione. Oltre alla presenza delle donne, di Maria e di Giovanni, i vangeli raccontano che presso la croce si trova anche un centurione romano, identificabile con l’ufficiale di guardia che viene poi interpellato dallo stesso Pilato circa la morte di Gesù (cfr. Mc 15,44). È un personaggio tutt’altro che secondario, se consideriamo che nel racconto di Marco è l’unico a fare una piena e chiara professione di fede in Gesù: “Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Una professione di fede che nasce dall’aver visto Gesù “morire in quel

modo”. La postura del Centurione nell’icona di san Damiano è particolarmente importante e significativa: sta guardano il Cristo in croce, ha la mano destra in una posizione che va spiegata, sotto il braccio sinistro tiene un oggetto da identificare. Proviamo a entrare nel merito di questi particolari: guardando il Cristo in croce il Centurione

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appartiene al numero di quelle persone che Gesù comincia ad attirare a sé, nell’ora in cui viene innalzato sulla croce, come aveva profetizzato Egli stesso (Gv 12,32). Inoltre, come annota san Marco (cfr. Mc 15,39), è proprio “vedendo Gesù morire in quel modo” che il Centurione riconosce: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Occorre perciò avere il coraggio di stare sotto la croce con lo sguardo rivolto a Gesù, e occorre andare oltre uno sguardo superficiale, per cogliere il significato di quella morte e l’identità profonda di quel Crocifisso. Il senso delle parole del Centurione è poi chiarito dalla posizione della mano destra, che esprime in modo simbolico la professione di fede cristiana e trinitaria. Infatti con il mignolo e l’anulare ripiegati viene espressa la fede in Gesù vero Dio e vero uomo, con le altre tre dita aperte viene espressa la fede nel Dio Trinitario, che si manifesta in modo speciale proprio nella pasqua di Gesù. Sotto il braccio sinistro il centurione tiene qualcosa, per qualche interprete tiene in mano un mattone (Picard), per qualche altro (Gallant), più verosimilmente, tiene in mano il rotolo con la sentenza di morte. Se –seguendo la tradizione antica –identifichiamo il nostro ufficiale romano con il centurione di Cafarnao, che aveva costruito la sinagoga del villaggio ed al quale Gesù aveva guarito il servitore in virtù della sua fede limpida (“Non sono degno che tu entri nella mia casa, ma di’ soltanto una parola…” cfr. Lc 7,1-10) siamo ancora in presenza di un personaggio che rappresenta la fede: fede nella parola di Gesù, fede in Gesù vero Dio e vero uomo, fede che sa reggere alla prova della croce. Proprio come le donne collocate ai piedi del Crocifisso, anche il Centurione rappresenta perciò una dimensione ecclesiale fondamentale, quella della Chiesa che professa la propria fede nel Cristo crocifisso e che annuncia lo scandalo della croce consapevole che lì si manifesta la sapienza di Dio e la potenza di Dio. Il Centurione ci indica anche l’apertura della Chiesa ai pagani, tema che ritornerà attraverso la figura di un altro soldato raffigurato sul crocifisso di san Damiano: Longino.

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Le folle accorse Dietro la spalla del Centurione vediamo una sequenza di teste, la prima è ben delineata e rivolge lo sguardo verso Gesù in croce, le altre tre testoline sono semplicemente stilizzate. Di chi si tratta? Si tratta delle folle che accompagnano un po’ tutta la vita pubblica di Gesù, inizialmente accolgono la sua predicazione con entusiasmo (cfr. Lc 5,15), al suo arrivo a Gerusalemme lo salutano festanti (Lc 19,35-38), poi tornano in scena al momento della condanna (Lc 23,4), seguono Gesù sulla via del Calvario, se ne restano a guardare da lontano e tornano a casa percuotendosi il petto (Lc 23,27.48.). Potremmo definire le folle come un personaggio corale; per certi aspetti rappresentano l’ambiguità del seguire Gesù come parte di un gruppo, ma senza un’adesione personale profonda. Ora però questi personaggi cercano di capire il significato di quella morte in croce e cominciano a sperimentare un cambiamento interiore autentico, ecco perché torneranno a casa percuotendosi il petto. In una lettura ecclesiale, le folle ci ricordano che la Chiesa è anche il luogo in cui prendiamo coscienza di quanto sia ambiguo il nostro seguire Gesù, finché non accettiamo il confronto con la durezza della croce. Ci ricordano anche che la fede in Gesù non è una “scelta di gruppo” ma un’adesione personale. In una lettura più personale, ci ricordano l’ambiguità della nostra individuale sequela, e ci aiutano a capire che dobbiamo mettere a fuoco il nostro sguardo per lasciarci raggiungere dalla luce che promana dalla croce, in modo tale che quel dono d’amore cominci a trasformare il nostro cuore di pietra in un cuore autenticamente umano. Saper rivolgere lo sguardo al Crocifisso Prendendo spunto dal Centurione romano e dalle folle, anche noi siamo invitati a sostare sotto la croce, a innalzare il nostro sguardo verso di Lui, a professare la nostra fede in Lui andando oltre le adesioni dettate da facili entusiasmi ed emozioni superficiali. È

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solamente stando sotto la croce che la nostra fede matura, e così la nostra adesione a Gesù diventa anche pubblica professione di fede. Stando sotto la croce impariamo anche a entrare in un dinamismo di continua conversione: siamo ben consapevoli della nostra fragilità, dell’incostanza e dell’ambiguità con cui aderiamo al Cristo. Eppure il Crocifisso continua a operare nell’intimo del nostro cuore, attraverso il dono dello Spirito Santo, e continua il suo faticoso lavoro per trasformare il nostro cuore e la nostra vita. Così, oggi stiamo con Lui sotto la Sua croce, domani, staremo con Lui nella “gloria”, cioè partecipando alla vita stessa di Dio, in quella dimora del Padre, dove Gesù ci ha preceduti per prepararci un posto (Gv 14,2).

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione sosta davanti al Crocifisso contemplando il Centurione e le folle. ü Chiedi la grazia di saper approfondire e maturare la tua fede

proprio riuscendo a stare con lo sguardo rivolto al Crocifisso, e chiedi di saper trasformare la tua adesione a Gesù in professione di fede e in testimonianza.

ü Chiedi a Gesù la grazia della conversione del cuore, il dono del cuore nuovo, così da non rimanere imprigionato in un’adesione superficiale e discontinua.

ü Prega con santa Chiara (2Let Agn. 21-23; FF 2280): Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi, e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita e diverrà famoso tra gli uomini. Perciò possederai per tutta l'eternità e per tutti secoli la gloria del regno celeste, in luogo degli onori terreni così caduchi; parteciperai dei beni eterni, invece che dei beni perituri e vivrai per tutti i secoli.

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Cristo è la nostra pace Due personaggi più piccoli, Longino e Stefanato, sono collocati ai lati dei personaggi maggiori raccolti sotto la croce e che abbiamo contemplato nei precedenti numeri. Per l’autore dell’icona sono certamente personaggi minori, ed è per questo che li dipinge piccolini e laterali, eppure il loro significato è oltremodo profondo, essi hanno probabilmente ispirato qualche tratto del cammino e della proposta spirituale di san Francesco e possono avere una grande carica di attualità anche per noi. Longino e Stefanato Sul crocifisso di san Damiano, rispettivamente sul lato sinistro e destro di chi guarda, accanto a Maria e al Centurione, troviamo due piccoli personaggi, uno vestito da soldato romano e con la lancia in mano, l’altro coi tratti distintivi dell’ebreo, all’origine aveva a sua

volta una canna in mano, con in cima una spugna e nell’altra mano il secchiello dell’aceto. Si tratta dei due personaggi che in Gv 19 svolgono rispettivamente il ruolo di chi disseta Gesù con l’aceto e di chi lo trafigge per accertarne la morte. La tradizione apocrifa (Apocrifo di Nicodemo) identifica il soldato che trafisse il costato di Gesù e lo chiama Longino. Secondo la stessa fonte, si tratta di un soldato gravemente ammalato agli occhi, che – nel momento in cui

viene raggiunto dal sangue che esce dal costato di Cristo – riacquista la vista. Immagine molto bella per dire che, solamente se ci lasciamo raggiungere dal sangue di Cristo crocifisso, cominciamo a vederci chiaro nella vita. È la vista come metafora della fede. Vale anche il contrario: finché non ci lasciamo raggiungere da quel sangue, cioè da quella vita donata, anche se ci illudiamo di aver capito tutto, in realtà siamo ciechi.

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L’ Apocrifo di Nicodemo identifica anche il personaggio vestito d’azzurro e lo chiama Stefanato. Si tratterebbe di un servitore del tempio di Gerusalemme, che – inconsapevolmente – nel momento in cui disseta Gesù compie un gesto di servizio verso il nuovo tempio, come lo stesso Gesù aveva definito il proprio corpo fin dai primi capitoli del vangelo secondo Giovanni (Gv 2,19). Incontrarsi ai piedi del Crocifisso Entrambe i personaggi (un ebreo e un romano) hanno lo sguardo rivolto verso Gesù e i loro sguardi si incontrano nello sguardo di Gesù. Siamo ancora di fronte a un’immagine ecclesiale di grande forza, che riecheggia l’insegnamento di san Paolo sul Cristo nostra pace che ha unito in un solo corpo il popolo della Prima Alleanza e le genti pagane: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia… Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (cfr. Ef 2,14-18). Sotto la croce c’è posto per tutti i popoli, per tutte le lingue, per tutte le culture. La Chiesa che nasce dalla croce non può essere una chiesa “etnica” ma solo una Chiesa “cattolica” cioè che abbraccia l’intera umanità. Sotto la croce non c’è posto per i muri che separano, ma solo per ponti che ci fanno incontrare nello sguardo di Gesù, attraverso la fede e il servizio. Francesco: un po’ Longino e un po’ Stefanato Ai tempi del giovane Francesco d’Assisi la storia di Longino e Stefanato era nota, i due personaggi comparivano di frequente sulle raffigurazioni della crocifissione, la loro storia veniva raccontata dai predicatori e perfino cantata attraverso componimenti religiosi in versi. È certamente suggestivo immaginare che il giovane Francesco si sia dapprima identificato nel soldato Longino, la cui vista è guarita proprio dal sangue del Crocifisso. In fondo è quello che chiede anche

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il nostro Santo nel momento in cui prega: “Illumina le tenebre de lo core mio” aggiungendo poco dopo: “damme fede retta”. E la guarigione della vista spirituale di Francesco coinciderà – paradossalmente – con la perdita progressiva della vista fisica. Morirà cieco, ma ormai purificato nel cuore, capace di vedere e adorare continuamente il Dio vivente, capace di guardare con sguardo puro ogni uomo, ogni donna, ogni creatura. Anche Stefanato, servitore del tempio, diventerà per lui fonte di ispirazione: dovendo qualificare la propria missione, in più di un’occasione il poverello d’Assisi si definirà “ministro e servo”, ispirandosi certo all’episodio della lavanda dei piedi, ma anche – forse – a questo piccolo personaggio del Crocifisso di san Damiano. E parlando di sé amerà definirsi “frate Francesco piccolino”, collocandosi accanto a questi personaggi “minori”. Anche la sua costante tensione al dialogo e alla pace, dentro la città come pure tra i popoli, non nasce forse dall’intuizione che siamo tutti chiamati a lasciarci attirare da “colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro” ? (FF202). Lasciamoci attirare anche noi Come Longino e Stefanato, come Francesco d’Assisi, collochiamoci anche noi ai piedi del Crocifisso, così come siamo, nella nostra piccolezza. Con fiducia chiediamo di essere guariti della cecità spirituale che ci affligge e chiediamo il dono di un cuore puro, di una fede retta. Di una semplicità profonda. Anche noi facciamoci servitori di Gesù, nuovo e definitivo tempio nel quale è possibile adorare il Padre in Spirito e verità. Anche noi diventiamo con gioia parte di quel popolo di Dio che raccoglie tutti i popoli, che non si lascia imprigionare né da gelosie campanilistiche, né da pregiudizi etnici o razziali: Gesù continua ad abbattere muri, per fare dell’intera umanità un’unica famiglia, quella dei figli di Dio.

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Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione mettiti ai piedi del Crocifisso con fiducia. ü Chiedi la grazia di un cuore puro per poter vedere la tua vita, le

persone, il mondo con gli occhi stessi di Dio e per poter vedere e adorare Dio continuamente.

ü Chiedi a Gesù la grazia di poterti mettere al suo servizio dissetandolo in chi ha sete…

ü Chiedi di poter gustare il dono di appartenere a quel popolo universale che è la Chiesa, superando anche nella vita di tutti i giorni le tentazioni campaniliste o razziste.

ü Medita le parole di san Francesco (LetOrd 12-13; FF 217): Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con quella carità di cui sono capace, che prestiate tutta la riverenza e tutto l'onore che vi sarà possibile al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale le cose che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente.

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Il mistero grande dell’amore di Cristo per la Chiesa Gli angeli da una parte e dall’altra delle braccia di Gesù, sulle due estremità laterali del crocifisso, ci richiamano il “mistero grande”, cioè l’amore sponsale di Gesù per la Chiesa, un amore così grande che lo porta a donare la propria vita per Lei. Testimoni privilegiati di questo amore e di queste nozze, sono – per la tradizione cristiana antica – proprio gli angeli, coloro che per primi annunceranno il compiersi della Pasqua di Gesù. Gli angeli attorno alle braccia del Crocifisso

Alle estremità delle braccia della croce, attorno a ciascuna mano di Gesù crocifisso possiamo osservare la presenza di tre angeli. I loro volti non sono tristi o piangenti, ma sostanzialmente sereni e attenti a quanto sta accadendo. Due stanno colloquiando e con le mani indicano il Cristo in croce, il terzo angelo osserva e indica il Crocifisso. Qual è il significato di questi angeli? Un autore del IV secolo, san Gregorio di Nissa, nel suo Commento al Cantico dei Cantici dice che gli angeli esultano, per essere stati chiamati ad assistere alle nozze di Cristo con la Chiesa. Sono lì presenti e lodano e ringraziano Dio, perché nel momento in cui Gesù ha manifestato l’amore più grande, dando la sua vita sulla croce, in quel momento anche gli angeli, che sono puri

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spiriti, hanno potuto sperimentare cosa significa avere un cuore, cosa significa provare il sentimento dell’amore e della gioia. Nella lettera di san Paolo agli Efesini possiamo trovare la pagina biblica alla quale fare riferimento per comprendere le nozze di Cristo con la Chiesa. San Paolo, proprio lì dove parla della bellezza e della grandezza del matrimonio cristiano e dello “sposarsi nel Signore”, afferma: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,25-32) L’amore di Cristo per la Chiesa è perciò anzitutto l’amore dello Sposo per la propria Sposa, e – di conseguenza – l’amore degli sposi cristiani partecipa di questo inesauribile amore e manifesta questo amore capace di trasformare e risanare il mondo. Ecco il “mistero grande” dell’amore di Cristo per la Chiesa ed ecco il “mistero grande” dell’amore e del matrimonio cristiano. La presenza degli angeli sul Crocifisso di san Damiano, non è decorativa, ma è un rinvio a questo “mistero grande”, a questo grandissimo amore, a questo sacramento pasquale. La Chiesa nuova Eva Un altro autore del IV secolo, san Giovanni Crisostomo, ricorda che la Chiesa è nata dal costato aperto di Gesù crocifisso, proprio come Eva era stata tolta dal costato di Adamo addormentato. E nel momento in cui viene aperto il costato di Cristo, da questa sorgente inesauribile scaturiscono sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, specialmente del battesimo e dell’Eucaristia. Sangue ed acqua che diventano la “dote”, il dono che il Cristo Sposo fa alla

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Chiesa sua Sposa (Valenziano). Anche in questo caso ci viene in aiuto un brano del Nuovo Testamento, più precisamente il racconto delle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-12). In quel brano si parla di una festa di nozze, si fa notare che a un certo punto viene a mancare il vino, viene descritta l’intercessione di Maria e il segno compiuto da Gesù, che non è solo la trasformazione dell’acqua in vino, ma è il dono di un vino abbondante e migliore, il vino promesso dai profeti per il banchetto nuziale alla venuta del Messia, il vino che sarebbe stato abbondante e ottimo nel Regno di Dio. Ebbene il vino che Gesù dona alle nozze di Cana – ci racconta san Giovanni – è solo un segno che anticipa il dono che Gesù farà quando “giungerà la sua ora”, cioè quando nella sua passione donerà il suo sangue “vera bevanda per la vita del mondo” (cfr. Gv 6,55). Gli angeli raffigurati sulla croce di san Damiano diventano – in un certo senso – i ministri di questo dono; nelle raffigurazioni della crocifissione dei secoli seguenti, questo tratto diventerà sempre più esplicito, vedremo infatti gli angeli, con un calice in mano raccogliere il sangue che sgorga dal costato aperto di Gesù. Ma anche in questo caso, quel che ci preme sottolineare, è che la morte in croce di Gesù non viene colta come la tragedia della sua condanna e della sua morte, ma come il dono d’amore della sua vita. Anche noi parte della Chiesa Sposa Contemplando il Crocifisso di san Damiano alla luce del Cantico dei Cantici, della Lettera agli Efesini e del Vangelo di san Giovanni, ci rendiamo conto che far parte della Chiesa significa far parte della Sposa amata da Cristo, tratta dal suo costato aperto, per la quale Gesù Crocifisso ha donato il vino nuovo, il proprio sangue, la propria vita fino all’ultima stilla. Contemplando il Crocifisso di san Damiano scopriamo che far parte della Chiesa significa vivere nei confronti di Gesù un amore sponsale, pieno di riconoscenza. Lo stesso san Francesco ci invita a fare questa esperienza, quando – scrivendo a tutti i fedeli – dice: “Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l'anima fedele si unisce a Gesù Cristo… Oh come è santo, splendido, bello e ammirabile avere un tale Sposo!” (LFed 51.55; FF 201). Per coloro che sono stati chiamati a vivere il matrimonio cristiano “sposandosi

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nel Signore”, l’icona del Crocifisso di san Damiano potrà essere un richiamo forte ad amare sempre, comunque e fino al dono della vita. Per coloro che sono chiamati a vocazioni di speciale consacrazione, questa stessa immagine, terrà viva la consapevolezza che la consacrazione non è la rinuncia all’amore sponsale, ma una manifestazione nel mondo e nella storia dell’amore della Chiesa per il suo Sposo.

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso. ü Chiedi la grazia di vivere dentro la Chiesa consapevole che fai

parte di una realtà che nasce dall’amore di Cristo, che è chiamata a rendere presente questo amore sponsale nel mondo e nella storia.

ü Chiedi a Gesù la grazia di riuscire a vivere la tua vocazione al matrimonio o alla vita consacrata in modo tale da rendere presente il grande mistero, che è il mistero dell’amore nuziale manifestato dal Cristo crocifisso.

ü Prega per color che faticano a vivere la propria vocazione al matrimonio o alla vita consacrata, e chiedi al Signore che ottengano la grazia di tornare alla sorgente: al costato aperto di Gesù, dal quale sgorgano i dono nuziali dell’acqua e del sangue.

ü Medita le parole di san Francesco (Rnb XXIII,55; FF 69): Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortezza, con tutta l’intelligenza, con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e le volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e dà tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti, e ci salverà per sua sola misericordia; Lui che ogni bene fece e fa a noi miserevoli e miseri, putridi e fetidi, ingrati e cattivi.

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Un crocifisso ecumenico Contemplando il Crocifisso di San Damiano, c’è un aspetto particolarmente attuale e suggestivo che emerge e sul quale non ci siamo finora soffermati ed è il richiamo forte all’ecumenismo. È stato Mons. Crispino Valenziano, il grande esperto di arte sacra e liturgia, ad applicare la definizione di “icona ecumenica” a questa croce. Ma perché icona ecumenica? Testimone della Chiesa unita Il primo motivo per cui questa icona può essere considerata ecumenica è di ordine storico. Quasi certamente la Croce di san Damiano è stata dipinta prima del grande scisma tra l’Oriente e l’Occidente cristiano, consumatosi nel 1054 attraverso la reciproca scomunica tra papa Leone IX e il patriarca di Costantinopoli Michele I Cerulario. Il Crocifisso di san Damiano è perciò portatore della spiritualità della Chiesa unita, è testimone di un’epoca in cui l’Oriente e l’Occidente cristiano, Roma e Costantinopoli potevano accostarsi alla medesima mensa eucaristica, pur usando già lingue diverse e pur avendo già sviluppato tradizioni liturgiche differenziate. Pregare davanti a questo Crocifisso ci riporta perciò a quel che ci unisce prima di ogni frattura e divisione: il mistero della Pasqua nel quale Gesù ha dato se stesso per noi, ha vinto la morte, ci ha donato lo Spirito, ha fatto nascere Chiesa,ci ha coinvolti nell’amore trinitario attraverso i sacramenti, ha rinnovato tutta la nostra vita, la storia e il creato… Sintesi della testimonianza della Chiesa indivisa Il secondo motivo di ecumenicità di questa icona lo ritroviamo nel fatto che tutti e cinque i patriarcati del primo millennio cristiano sono in qualche modo citati attraverso particolari di questo dipinto. I cinque Patriarcati erano le cinque “regioni” della Chiesa che erano nate dall’annuncio del vangelo a opera degli Apostoli e avevano beneficiato – quasi tutte – della predicazione di san Pietro: la prima comunità era naturalmente quella di Gerusalemme, poi quella di Antiochia di Siria (dove per la prima volta i discepoli erano stati

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chiamati cristiani), in terzo luogo Alessandria d’Egitto, quindi Roma dove san Pietro e san Paolo avevano subito il martirio, infine Costantinopoli, elevata al grado di patriarcato quando era divenuta capitale dell’Impero d’Oriente.

Ebbene, sulla nostra icona ci sono particolari tipici di tutte queste cinque grandi “tradizioni” della Chiesa indivisa: la scena della discesa agli inferi (Anastasi) collocata sotto i piedi del Crocifisso trova la sua origine nel patriarcato di Gerusalemme, l’assicella sulla quale sono inchiodati i piedi di Gesù (suppedaneum) appartiene alla tradizione pittorica costantinopolitana, il grembiule di lino che copre i fianchi di Gesù (linteum) e ce lo fa riconoscere come il Servo di Dio e servitore nostro, deriva dalla tradizione di Antiochia di Siria, gli occhi grandi del Cristo che tutto vede (panōpton) sono tipici della

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tradizione della chiesa di Alessandria d’Egitto, infine la raffigurazione del Cristo innalzato nella gloria, che troviamo nella parte alta del Crocifisso appartiene alla tradizione romana. Seguendo l’ispirazione divina, l’iconografo ha perciò raffigurato il mistero della Chiesa che nasce dalla Pasqua di Gesù, come un mistero di unità. E noi contemplando questa icona siamo in qualche modo stimolati a sentirci particolarmente in comunione con i cristiani di Gerusalemme, con quelli che vivono in Siria, Libano, Iraq e Iran, con i cristiani dell’Egitto e dell’Etiopia, con quelli che vivono nell’attuale Turchia e con i cristiani d’Occidente, che si sono poi a loro volta ulteriormente divisi a partire dal 1500. La preghiera per i cristiani delle antiche chiese del Medio e Vicino Oriente ha poi un significato ancor più forte in un tempo come il nostro nel quale quelle Chiese e quei cristiani rischiano di essere spazzati via dal fanatismo religioso di chi strumentalizza Dio e ne bestemmia la santità facendo ricorso alla violenza. Portatore di un messaggio di riparazione C’è anche una terza valenza ecumenica presente in questo crocifisso ed è quella che deriva dalla chiamata che rivolge al giovane Francesco: “Non vedi che la mia casa cade? Va dunque e restauramela!” È possibile leggere in questa chiamata un contenuto ecumenico? Penso di sì! Infatti tutta la missione evangelizzatrice di Francesco d’Assisi ruota attorno a una proposta continua di riconciliazione e di pace, che rifugge la polemica e propone di lasciarsi interiormente purificare, illuminare e accendere dal fuoco dello Spirito, per poter seguire Gesù e giungere così al Padre. Non è nemmeno un caso che il testo più ampiamente citato negli “Scritti” di Francesco sia la preghiera di Gesù per l’unità dei discepoli, che ritroviamo in Gv 17. Nel contesto attuale di rinnovato impegno ecumenico, accogliere l’invito del Crocifisso significa operare con amore, in modo positivo, perché la Chiesa, sposa del Cristo, famiglia che nasce sotto la croce, popolo che riunisce tutti i popoli ritrovi la via dell’unità nella carità. Per noi francescani diventa una provocazione a partecipare in modo attivo, convinto e perseverante alle iniziative di ecumenismo

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autentico. Significa soprattutto metterci in sintonia con la grande preghiera per l’unità della Chiesa elevata da Gesù nel cenacolo, preghiera che Gesù continua ora ad elevare al cospetto del Padre.

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso. ü Chiedi la grazia di vivere dentro la Chiesa l’impegno per l’unità di

tutti i battezzati e – attraverso di loro – di tutta l’umanità. Chiedi per tutti i cristiani e per l’umanità intera la docilità al soffio dello Spirito, che è Spirito di amore, di riconciliazione, di unità e di comunione.

ü Prega per i responsabili delle varie confessioni cristiane, perché operino al fine di far progredire concretamente il cammino verso la piena unità visibile di tutti i cristiani, affinché il mondo possa accogliere Gesù Cristo. Prega per i teologi perché facilitino le vie del dialogo. Prega per tutti i credenti, perché pratichino l’ecumenismo della vita nella reciproca accoglienza e nell’accoglienza dei doni che ogni tradizione cristiana porta con sé.

ü Medita e prega con le parole di san Francesco che riprendono la preghiera di Gesù per l’unità dei discepoli (Rnb XXII,41-55; FF 62): Teniamo dunque ferme le parole, la vita e l’insegnamento e il santo Vangelo di colui che si è degnato pregare per noi il Padre suo e manifestarci il nome di lui, dicendo: «Padre, ho manifestato il tuo nome agli uomini, che mi hai dato, perché le parole che tu hai dato a me, io le ho date a loro; ed essi le hanno accolte e hanno riconosciuto che io sono uscito da te ed hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai dato, perché sono tuoi, e tutto ciò che è mio è tuo. Padre santo, custodisci nel Nome tuo coloro che mi hai dato, affinché siano una cosa sola come noi. Questo io dico nel mondo, affinché abbiano la gioia in se stessi.

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ü Io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come non sono del mondo io. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal male. Rendili gloriosi nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo. E per loro io santifico me stesso, affinché anche loro siano santificati nella verità. Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola, affinché siano perfetti nell’unità, e il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amati, come hai amato me. E io renderò noto a loro il tuo Nome, affinché l’amore col quale tu hai amato me sia in loro ed io in loro. Padre, quelli che mi hai dato, voglio che dove sono io siano anch’essi con me, perché contemplino la tua gloria nel tuo regno» (Gv 17,6-26). Amen.

Un crocifisso da incarnare L’incontro con il Crocifisso ha segnato l’intera esistenza di san Francesco. Sulla via tra la Porziuncola e Rivotorto l’ha incontrato, abbracciato e servito nei lebbrosi; nella piccola chiesa di san Damiano l’ha contemplato nell’icona e si è lasciato coinvolgere dalla chiamata a riparare la sua casa; sul monte della Verna, due anni prima di morire, lo incontrerà in un’esperienza mistica

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straordinaria che lo trasformerà nell’immagine stessa del Crocifisso. È proprio su quest’ultimo incontro che si concentra ora la nostra riflessione. L’incontro col serafino crocifisso Diciotto anni dopo la sua conversione, all’età di 42 anni, Francesco sale sul monte della Verna per una quaresima in onore di S. Michele arcangelo, del quale era particolarmente devoto. I biografi raccontano che vive questi 40 giorni di preghiera e di contemplazione orientato dal messaggio del Crocifisso. È accompagnato da frate Leone, che è per lui un fratello, un amico e una madre. Le sue notti trascorrono nella preghiera. Non si tratta di preghiere verbose, ma di brevi invocazioni ripetute per ore e ore nell’arco della notte: “Chi sei Tu, dolcissimo Dio mio? E chi sono io piccolo vermiciattolo e servo inutile?” O ancora: “Ti chiedo due grazie, fammi sperimentare quello che hai sofferto nella tua passione e ancor di più fammi sperimentare quello straordinario amore che ti ha portato a soffrire e morire per noi”. È proprio in una di queste notti di orazione, quando ormai si sta avvicinando la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), che Francesco ha una visione, un’esperienza mistica di incontro col Cristo della Pasqua: “Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato” (1Cel 94; FF 484). Trasformato dall’amore

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L’effetto di questo incontro produce nella persona di Francesco una trasformazione, il suo stesso corpo viene segnato con i segni della passione: sul lato destro del suo costato si apre una ferita sanguinante, nelle sue mani e nei suoi piedi fioriscono escrescenze carnose e nere a forma di chiodi. Frate Leone, che si prende cura di Francesco, ne è il primo testimone e riporta questo fatto sulla pergamena sulla quale Francesco di suo pugno aveva scritto le “Lodi di Dio altissimo” e la “Benedizione a frate Leone”. Con parole di straordinaria efficacia san Bonaventura commenta: “Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l'amante nella immagine stessa dell'amato…” Quando Francesco discese dal monte “portava in sé l'effigie del Crocifisso, raffigurata non su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma disegnata nella sua carne dal dito del Dio vivente” (LMag XIII,5; FF 1228). Tu sei pazienza, tu sei bellezza… Questa esperienza di incontro col Crocifisso sofferente e al tempo stesso bellissimo risuona anche nella preghiera “Lodi di Dio altissimo” (FF 261). Attraverso il Serafino della Verna, Francesco ha contemplato e sperimentato misticamente le opere meravigliose che Dio Padre ha compiuto nel mistero della Pasqua, donando suo Figlio per noi. Contemplando il Cristo della Pasqua Francesco percepisce l’umiltà, la pazienza, l’amore di carità, la mansuetudine di Dio e al tempo stesso la pienezza del bene, la bellezza, la dolcezza, la pienezza della vita… Sulla Verna Francesco sperimenta ciò che molti anni prima aveva contemplato sostando in preghiera davanti al Crocifisso di san Damiano. E in quell’esperienza diventa una cosa sola con il Cristo della Pasqua, pronto a vivere con fiducia anche il proprio esodo da questo mondo al Padre. Cristo nella mente, nel cuore e nella carne Contemplando il Crocifisso di san Damiano anche noi siamo orientati verso l’incontro con il Serafino Crocifisso della Verna. Chiedendo all’Altissimo, glorioso Dio di illuminare le nostre tenebre, chiediamo – in realtà – che lo Spirito Santo imprima anche in tutta la

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nostra persona l’esperienza indelebile dell’incontro con Gesù che ha dato tutto se stesso per noi. Chiediamo qualcosa di straordinario e necessario: che il Cristo si incarni definitivamente in noi, che i segni della sua Pasqua si incidano indelebili nel nostro cuore, nella nostra mente, nelle nostre mani e nei nostri piedi, nelle nostre scelte e nelle nostre azioni, nella nostra vita e in tutta la nostra persona. Sappiamo che – quando questo avverrà – sarà un’esperienza di dolore e di gioia, di perdita della bellezza che passa e di acquisizione della bellezza stessa di Dio. Sappiamo che – quando questo avverrà – più nessuno potrà strapparci dalle mani il Crocifisso e più nessuno – soprattutto – potrà strapparci dalle mani del Crocifisso. Anche noi saremo pronti al nostro Esodo, maturi per la Pasqua, per vivere in Dio.

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso.

ü Fa tua la preghiera di san Francesco nelle notti della Verna: “Chi sei Tu, dolcissimo Dio mio? E chi sono io piccolo vermiciattolo e servo inutile?” “Ti chiedo due grazie, fammi sperimentare quello che hai sofferto nella tua passione e ancor di più fammi sperimentare quello straordinario amore che ti ha portato a soffrire e morire per noi”.

ü Rifletti sui modi concreti nei quali anche tu puoi portare le stimmate di Gesù – i segni della sua passione e del suo amore – nel tuo cuore, nella tua mente, nelle tue scelte e nelle tue azioni. Chiedi la grazia di saper vivere nella fede, nella speranza e nell’amore anche i momenti di sofferenza che fanno inevitabilmente parte della vita. Chiedi questa grazia non solo per te, ma anche per le persone che conosci, specie per quelle che si trovano segnate, stigmatizzate, da sofferenze fisiche, psichiche, morali e spirituali.

ü Medita e prega con le “Lodi di Dio altissimo” (FF 261): . Tu sei santo, Signore, Solo Dio, che operi cose meravigliose. Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo, Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.

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ü Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dei, Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza, Tu sei umiltà, Tu sei pazienza, Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete. Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei giustizia, Tu sei temperanza, Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza. Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine. Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore, Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.

Entrare in sintonia con il Crocifisso di san Damiano Giunto al termine di queste brevi riflessioni sull’incontro tra il giovane Francesco d’Assisi e il Crocifisso di San Damiano, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione a partire dall’esperienza della peregrinatio. Sono stati due anni intensi di incontri con gente di tutte le età e con comunità cristiane di tutte le dimensioni. Sono stati due anni intensi di esperienza di Chiesa, di ritrovarsi cioè chiamati e convocati da Gesù, come suo corpo, come sua famiglia, come suo popolo: giovani e adulti, bambini ed anziani, sani e malati, sacerdoti, religiosi e laici, persone singole e famiglie… Tra i tanti incontri e le tante testimonianze desidero condividerne alcune. Mi pare che aiutino a comprendere cosa vuol dire entrare in sintonia col Crocifisso di san Damiano, col mistero della Pasqua che esso

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rende visibile, col mistero della Chiesa che nasce nella Pasqua e anche col mistero dell’impegno personale frutto riconoscente del sentirsi

accolti ed amati fino al dono della vita. L’esperienza di un incontro liberante Negli incontri di preparazione della peregrinatio in un decanato, avevo insistito più volte con i giovani della pastorale giovanile decanale, nel dire che questo è un crocifisso che “parla”, che ci permette di fare un’esperienza speciale dell’amore di Dio, che se anche solo una persona l’avesse ascoltato, avrebbe potuto mettere in moto qualcosa di straordinario – per la vita della Chiesa – proprio come otto secoli fa. Al termine di quella tappa della peregrinatio, mi ha scritto una giovane: “Come hai ricordato più volte «il Crocifisso di San Damiano parla» e forse non è così impensabile che qualche giovane trentino gli presti ascolto! Per quanto mi riguarda il Crocifisso mi ha insegnato a godere di quello che faccio senza tante preoccupazioni di successo…, mi ha fatto riscoprire un po' la gioia del servizio che svolgiamo con la segreteria. Prima di domenica la mia idea era quella di far notare ai miei compagni la loro ‘non-presenza’, ora invece quello che ho voglia di comunicare è la presenza di Gesù in mezzo a noi! Inoltre volevo ringraziarvi per essere stati molto attenti a quello che in decanato già c'era, cercando di coinvolgere e motivare i vari gruppi!” Accogliere la croce, che ci immerge nella Pasqua di Gesù, è fare questa esperienza liberante: non abbiamo affatto bisogno di farci trascinare nella logica del

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successo, è molto più importante (e liberante) imparare a godere della presenza di Gesù, della possibilità di comunicarlo e del fatto di essere Chiesa già ora, anche se ancora in cammino. La sintonia con il Crocifisso In un'altra tappa della peregrinatio ho avuto la possibilità di incontrare gli anziani della casa di riposo. Una signora – crocifissa alla carrozzella da un ictus – ha voluto fare un saluto alla croce a nome di tutti gli ospiti della casa: “Ti salutiamo o Croce Santa, che in questo momento hai voluto incontrare ognuno di noi. La nostra Croce si è incontrata con Te, abbiamo voluto condividere le nostre sofferenze con Te. In questo momento, pensandoci bene, la Tua passione si mescola con la nostra, per la salvezza del mondo intero”. Sono rimasto immediatamente colpito – mentre ascoltavo questa preghiera – dall’espressione “la Tua passione si mescola con la nostra, per la salvezza del mondo intero”. Sono parole che, dette una persona gravemente inferma, acquistano un significato molto forte, molto più forte di quello che possono avere quando predichiamo – da sani – su questo argomento. Un cristiano ammalato può veramente scoprire una sintonia profonda con il Crocifisso, e può dare un senso alla propria sofferenza, considerarla parte di una vocazione e di una missione per il bene del mondo intero, quando riesce a viverla insieme a Gesù. Non solo: ogni cristiano può scoprire che la sua vita sarà significativa solo se saprà “mescolare” il dono della sua vita al dono che Gesù ha fatto della propria.

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Un dono di gioia e di speranza Dopo il passaggio in un’altra zona del Trentino, mi ha scritto un sacerdote: “La gioia e la speranza che avete saputo portare nel nostro decanato rimarrà come segno nel cammino di fede di questa porzione di popolo di Dio”. Io rileggo questa frase in questo modo: la gioia e la speranza

che questa croce di san Damiano porta è un segno nel cammino di fede della Chiesa. Proprio perché è una croce capace di immergerci nel mistero della Pasqua e nella bellezza del far parte della Chiesa, questa croce porta gioia e speranza e rianima il cammino di fede delle persone e delle comunità. Non c’è gioia di più grande di quella che Gesù ci ha trasmesso e ci trasmette nell’ora in cui dona la sua vita per noi, e ancora adesso sta con le braccia aperte di fronte al Padre, supplicandolo perché la nostra gioia sia piena (Gv 17,13). Non c’è speranza al di fuori della Pasqua di Gesù, perché solo la sua vittoria sulla morte fonda una speranza solida. E non c’è nemmeno cammino ecclesiale e di fede se non a partire da ciò che Gesù ha compiuto nel mistero della sua passione, morte, risurrezione e senza il dono dello Spirito che ci viene comunicato dal Risorto. Abbracciare Gesù L’ultima testimonianza è un’immagine che mi si è impressa nella memoria durante la veglia di accoglienza della croce in un’altra Parrocchia. Dopo aver pregato, cantato e meditato, quando è stato il momento di accostarsi alla croce per venerarla, una bambina di quattro anni è “sfuggita” alla mano della mamma ed è salita di corsa verso la croce, ha abbracciato la parte inferiore del Crocifisso e l’ha baciato, poi di nuovo e di nuovo ancora. Mi pare una bellissima

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spiegazione di quel che Gesù insegna, quando dice che occorre diventare come bambini per entrare nel Regno dei cieli (Mt 18,3), o quando dice che i misteri del Regno dei cieli sono nascosti ai “sapienti” e sono rivelati ai “piccoli” (Mt 11,25). Mi pare una bellissima immagine di ciò che significa essere cristiani: abbracciare Gesù che per amore nostro ha dato tutto se stesso, accoglierlo con amore, perché ci possa portare a condividere la vita stessa della Trinità.

Per trasformare la riflessione in preghiera Prendendo spunto dalla riflessione mettiti in contemplazione del Crocifisso. ü Chiedi con fede di riuscire ad entrare in sintonia con il messaggio

della Pasqua raffigurato sul Crocifisso di san Damiano. Chiedi di entrare in sintonia con il Cristo crocifisso che apre a noi le porte del Regno dei cieli. Chiedi anche di entrare in sintonia con il mistero della sua passione, del suo farsi interamente dono anche nell’ora della sofferenza. Chiedi che si ravvivino in te la fede, la speranza, la carità e la gioia cristiana. Chiedi la grazia di scoprire la bellezza del far parte della Chiesa che nasce nella Pasqua.

ü Prega per i piccoli e per i giovani, perché imparino ad abbracciare Gesù ed a crescere cercando di scoprire quello che significa seguirlo e testimoniarlo con amore. Prega per gli ammalati e gli anziani, perché imparino a condividere le proprie sofferenze con il Crocifisso, per il bene della Chiesa e del mondo. Prega per gli adulti, perché nelle nostre comunità cristiane sappiano trasmettere la gioia e la speranza che nasce dall’incontro col Cristo e accompagnino il cammino di fede delle nuove generazioni. Prega per le comunità cristiane, perché in esse ci sia docilità alla voce dello Spirito santo che sta spingendoci a prendere il largo per annunciare nuovamente con forza il Vangelo di Gesù ai vicini e ai lontani.

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ü Medita e prega a partire dalle parole di san Francesco (Let Ord,28-29; FF 221): Guardate, fratelli, l'umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati. Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga colui che tutto a voi si offre.