N.8 Sulla via della pace 2007

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1 Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy 2007 Anno II n. 4 Anno II n. 4 - Ottobre-Dicembre 2007 - Trimestrale Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi Editoriale Editoriale Fiducia: antidoto alla paura Formazione Formazione Shalom: Meeting Internazionale Loreto Loreto Agorà dei giovani col Papa

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rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy

2007 Anno II n. 4A

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EditorialeEditorialeFiducia:antidoto alla paura

FormazioneFormazioneShalom:

Meeting Internazionale

LoretoLoretoAgorà dei giovani col Papa

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di Paolo Maino EditorialeEditoriale

Fiducia: antidoto alla paura

Negli anni Sessanta sembrava che ogni barriera di lingua, sesso, razza, religione e credo politico stesse per sgretolarsi. C’erano gli hippy, con i loro messaggi di pace e fratellanza universale. Si respirava un clima di cambiamento epocale.

Si pensava che la povertà potesse essere finalmente sconfitta e che la scienza fosse in grado di fornire cibo e benessere per tutti. Perfino i confini del mondo sembravano essere stati definitivamente superati dal primo passo dell’uomo sulla luna. Era un tempo di grande impegno, fatto di un misto di nobili ideali e di utopie, di slanci generosi e di semplificazioni pericolose. Iniziava un fenomeno di rottura e di rifiuto del passato.

Anche nella Chiesa si respirava un senso di libertà nuova; i capi delle varie confessioni religiose tornavano a riabbracciarsi dopo secoli di incomprensioni e la gen-

te si era abituata a credere che non fossero poi così importanti le differenze tra un

cristiano, un musulmano o un buddista.Ma ad un tratto calò il gelo della paura: guerra

fredda, bomba atomica, attentati terroristici. La paura ha avuto un’escalation paralizzante anche in questi nostri ultimi anni.

Di fronte al proliferare della droga ogni genitore teme per la sorte dei propri figli.

La diffusione dell’Aids costituisce un incubo per tutti. Le morti sull’asfalto sono all’ordine del giorno.

Dopo l’11 settembre 2001 ogni musulmano sem-bra avere i tratti del terrorista e molti fatti corroborano sentimenti di diffidenza e intolleranza.

Si avverte la possibilità che le centrali nucleari possano esplodere, che gli aerei possano cadere, che malattie di portata globale (pandemie) possano portare morte e distruzione come nei secoli bui che pensavamo di esserci ormai lasciati alle spalle. Si teme che il clima possa impazzire ed ucciderci tutti; le distruzioni del re-cente tsunami hanno gettato nello sgomento un’intera generazione.

Si vorrebbe che almeno nel proprio paese o in casa propria ci fosse un nido di pace, ma incombe la paura del pedofilo o del malvivente che non si ferma neanche davanti ai più indifesi. E i tanti casi di violenza familiare, sbandierati dai media, dicono ai bambini che neanche dei genitori ci si può fidare. Mai come in questo tempo storico che si sta vivendo, l’uomo sta sperimentando la necessità di trovare un argine al dilagare della paura e sente lo smarrimento che gli deriva dal non potersi fidare più di nessuno.

In un clima come questo, nel quale continua-mente si sentono dai mass media annunci deliranti

di violenze fatte, o che si faranno, “in nome di Dio”, molte persone si stanno sempre più con-

vincendo che di Dio, forse, è il caso di farne a meno. La stes-

sa “educazione” non riesce più ad avere un ruolo

determinante negli stili di vita.

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Editoriale

Di paura si muore. Ma c’è un antidoto: la fiducia.

Di per sé la fiducia corrisponde all’essere più pro-fondo e universale dell’uomo. Non c’è dubbio, infatti, che non potrebbe esistere alcuna forma di convivenza, di scambio economico, di amicizia, di patto affettivo tra un uomo e una donna, se mancasse qualsiasi forma di affidamento nei confronti di un’altra persona.

Tutto orienta a pensare che sia proprio questa, per così dire, la struttura originaria dell’uomo. Alcuni studi sull’infanzia rilevano la presenza, non culturalmente trasmessa, di quello che viene chiamato Basic Trust, fiducia di base. Questa dimensione si configura come la capacità innata di cogliere, nel mondo che ci circonda, il senso di una promessa buona. In altri termini, siamo, prima di ogni altra cosa, “capaci” di fiducia, anche se, purtroppo, ci può certamente capitare di essere traditi o di tradire.

Con questo non voglio esaltare la fiducia ingenua e sprovveduta di chi nega che ci sia il male e il malvagio, ma quella forza e maturità interiore che sa intravedere in ogni uomo il volto di un proprio simile e sa trovare, anche in mezzo a tensioni e contraddizioni, i semi della fratellanza.

Contro la sempre più dilagante tendenza alla depressione, divenuta ormai la scomoda compagna di molte esistenze, occorre allora sviluppare una cultura della fiducia, in grado di condurre le persone alla loro autenticità. Più di ogni altra cosa si avverte l’urgen-za di “operatori di fiducia”, a tutti i livelli e in ogni settore della vita umana, capaci di far spiccare quel salto che apre alla speranza.

Racconta padre Sathya, un sacerdote indiano, amico e collaboratore dell’Associazione Comunità Shalom, che un giorno aveva invitato Madre Teresa di Calcutta per un meeting di giovani nella regione di Orissa. Lungo il percorso però c’erano assembramenti di fondamentalisti che volevano ucciderla. Madre Tere-sa volle andarci lo stesso. Quando la sua macchina si imbatté nel primo gruppo di fondamentalisti inferociti, disse all’autista di fermarsi, scese e amabilmente chiese come stessero le loro famiglie. In pochi minuti tutti si trovavano ai suoi piedi a chiederle una benedizione.

Potenza della fiducia, capace di fare emerge-re i lati migliori di ogni uomo; fiducia che si radica in un Amore più grande, capace di non fermarsi davanti a niente.

«Se non avrete fiducia,

non avrete stabilità» (Isaia 7,9)

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SOM

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Le attività di solidarietà promosse dalla Comunità Shalom sono gestite dallaAssociazione Shalom Solidarietà Internazionale - OnlusViale Trento, 10038066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. e fax [email protected]

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2 Editoriale

Informazione6 Giovani: viaggio-studio a Mostar

15 Filippine: parole e danze di pace

20 Echi di speranza dall’Est

22 In Bielorussia

Formazione5 Le sfide della vita

9 L’Areopago

10 Sessualità e crescita nella fede

12 Shalom: Meeting Internazionale

18 Il coraggio dell’umiltà

23 Il labirinto

24 Quanto amo la tua Parola, Signore

26 Carissimo...

La Comunità Shalom è un’Associazione Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica e membro della Fraternità Cattolica delle Associazioni e Comunità Carismatiche di Alleanza di Diritto Pontificio

SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno II - n. 4ottobre-dicembre 2007

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Equipe di redazionePaola AngerettiStefania Dal PontGregorio Vivaldelli (coordinamento)Ruggero Zanon

Progetto graficoFlavio Antolini

FotografieArchivio Associazione Shalom

EditoreAssociazione ShalomSolidarietà Internazionale - Onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. e fax +39.0464.555767

Impaginazione e stampa:Antolini Tipografia - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di settembre 2007

In copertina:Alcuni giovani dell’Associazione Comunità Shalom durante il viag-gio-studio a Mostar (Bosnia-Erze-govina)

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F. aspetta un figlio, il secondo. Il primo, mi dice con tristezza, l’ha perso per un cosiddetto “aborto terapeutico”. Non era normale, avrebbe avuto una vita difficile. Domani si sottoporrà alla villocentesi, per escludere che anche questo bambino non presenti anomalie cromosomiche. “Mio marito dice che esagero, che dovrei stare tranquilla; ma sa, dopo quello che ho passato…”.

La ascolto con partecipazione. La sua sofferenza, la paura profonda che leggo nei suoi occhi meritano tutto il mio rispetto. Ma provo un moto di ribellione. È questo che offriamo a chi vive la scelta più straordinaria e potente della storia umana, la generazione? L’illusione di poter avere un figlio perfetto? Certo, F. sa che, se il

suo primo bimbo fosse nato, avrebbe incontrato la disapprovazione

sociale: “con tutte le possi-bilità che ci sono oggi”, le avrebbero detto, “come si fa a mettere al mondo un essere condannato a soffrire?”.

La diagnosi pre-natale è la possibilità

di indagare la sa-lute dell’em-

brione e del feto a t t r a -

Venire al mondo

Le sfideLe sfidedella vitadella vita

di Maria Luisa Toller

formazione

verso tecniche non invasive, come l’ecografia, o invasive, come l’amniocentesi e la villocentesi, cioè il prelievo di cellule embrionali, alla ricerca di anomalie o difetti. Rara-mente le anomalie riscontrate possono essere curabili, ed anche in questi casi, come dimostrano drammatici fatti di cronaca, sempre più spesso i genitori scelgono la via dell’“aborto terapeutico”, come viene definito. Nella percezione della gente, le possibilità offerte dalle biotec-nologie sono vissute come reale possibilità di progresso senza limiti, e l’idea di una medicina “onnipotente” spinge a considerare la “verità” scientifica come unico riferimento etico. Dimenticando che la medicina non è assolutamen-te una scienza esatta, men che meno in questo delicato campo: molte tecniche forniscono solo delle probabilità, e sono documentati molti casi in cui alla nascita il bambino non presenta il difetto diagnosticato, oppure è ammalato anche se il test lo indicava sano. Si dimentica anche che le tecniche invasive, anche se correttamente eseguite, presentano un rischio di aborto di circa lo 0,5%: il che significa che in Italia, ad esempio, nel 2003 sono andati perduti oltre 500 bambini, sani, in seguito alle 100.000 amniocentesi eseguite.

Un figlio che nasce con anomalie richiederebbe tutte le risorse familiari e sociali per la sua accoglienza, mentre, nella maggior parte dei casi, la famiglia viene lasciata nell’angoscia e nella solitudine.

Oggi c’è una forte pressione per ricercare una “vita di qualità”. Viene così fomentata l’illusione di schivare le malattie e il dolore, e tutta la sostanza di una persona viene ridotta alla composizione dei suoi cromosomi, come se l’accoglienza, la cultura, l’educa-zione, le relazioni non fossero determinanti nel dare qualità alla vita.

Penso a L.: il figlio è risultato affetto da una raris-sima sindrome genetica, non ancora individuabile con i test prenatali, con un grave ritardo mentale.

Penso a G. e ai suoi due bimbi ammalati; a B., che vive nell’ansia di non poter accudire il figlio, cere-broleso per difficoltà durante il parto. Penso a M., che assiste il figlio totalmente paralizzato per un incidente stradale, e nessun test avrebbe potuto predire questo suo futuro.

Tutti costoro ci ricordano, come scrisse Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Salvifici doloris, “che la sofferenza, presente sotto tante forme diverse nel nostro

mondo umano, è presente anche per sprigionare nel-l’uomo l’amore, proprio quel dono disinteressato

del proprio «io» in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti. Il mondo dell’umana soffe-renza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano”.

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di Ruggero Zanon studio a Mostar

Parlando con don Ante Komadina - direttore della Caritas di una città che porta ancora i segni visibili della distruzione e del conflitto - emerge evidente come necessitino di essere ricostruiti non tanto gli edifici, le strutture - peraltro in gran parte ancora fatiscenti -, quanto piuttosto la dignità delle persone, la fiducia reciproca, la speranza.

In una società ancora fortemente segnata dal dramma della divisione la parola d’ordine sembra essere: ripartire dall’uomo.

Ecco allora il perché della creazione del “Centro Nazaret”, un centro diurno per disabili, nei quali i ragazzi ospitati hanno la possibilità di uscire dalle loro famiglie per scoprire quanto ognuno di loro abbia la possibilità di dare. Molteplici sono i laboratori dove i ragazzi sono stimolati ad utilizzare e potenziare le loro capacità.

Al piano superiore del medesimo edificio vi è poi il

Mostar, città simbolo del conflitto balcanico che ha funestato il cuore dell’Europa negli anni ’90, nell’immaginario collettivo viene associata allo storico ponte medievale, da sempre assurto ad emblema della convivenza e dell’integrazione fra le due anime della città: quella croato-cattolica da una parte e quella bosniaco-musulmana dall’altra.

Per un futuro di pace in Bosnia

Mostar: don Ante Komadina, Direttore della Caritas locale, con i giovani dell’Associazione Comunità Shalom nella Cattedrale dedi-cata a Maria Madre della Chiesa

Nel giugno scorso l’Associazione Comunità Shalom ha organizzato un viaggio-studio per giovani a Mostar, in Bosnia-Erzegovina. Un’occasione preziosa per fare esperienza diretta della difficile realtà di una zona che porta ancora le ferite del conflitto che ha afflitto i Balcani a cavallo degli anni Novanta.

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studio a Mostar“Centro Sacra Famiglia” che accoglie e ospita 17 ragazzi con gravi disabilità, molti dei quali rifiutati dalle famiglie di origine e che, in mancanza di questa struttura di accoglienza, non avrebbero diritto ad alcun genere di assistenza.

Durante il regime comunista i disabili venivano rinchiusi in centri di salute mentale che raccoglievano insieme persone con patologie molto diverse.

In una società postmoderna dove l’efficienza e la qualità della vita si misurano sempre più sul fare, la scelta di investire tempo e risorse su chi, agli occhi dei più, sembra costituire soltanto un peso, rappresenta una scelta in decisa controtendenza.

Ridare speranza significa pure investire sui giovani, sul futuro di questa terra martoriata, ma con un grande desiderio di riscatto, convinta di dover fondare il proprio avvenire sul rispetto reciproco, la fiducia e la riscoperta della propria identità.

Ed è in quest’ottica che si colloca il gemellaggio fra i giovani della Parrocchia di San Giovanni Battista, la più numerosa di Mostar – guidata da don Kresimir Pulic, già direttore della Caritas di Mostar nei critici anni

della guerra – ed i pari età dell’Associazione Comunità Shalom. Lo scambio culturale ha subito evidenziato uno spontaneo desiderio di comunione fra i ragazzi, vissuto all’insegna della gioia e della semplicità, in grado di in-frangere quelle sottili barriere culturali e linguistiche che apparentemente li dividevano: un gesto, uno sguardo, qualche parola abbozzata in un inglese stentato hanno reso manifesta la coscienza e la responsabilità del com-pito di poter costruire qualcosa assieme.

La situazione giovanile in città è purtroppo ancora fortemente segnata dagli strali del conflitto: la disoccupazione tocca punte del 55% e mancano centri e strutture sociali di base (scuole, centri culturali, centri giovanili, università), soprattutto per la minoranza croato-cattolica.

E lo stallo in cui versa la complessa situazione socio-politica non sembra lasciare intravedere cambia-menti per il futuro più prossimo.

Nella città, un tempo simbolo della pacifica convi-venza di diverse culture, gli equilibri consolidatisi nei secoli passati sembrano ora essersi disgregati e la minoranza croata, andata via via sempre più assottigliandosi durante e dopo il conflitto, si avverte ogni giorno più debole ed in balìa della maggioranza bosniaco-musulmana.

Pochi sanno che la Bosnia è tuttora sotto una sorta di protettorato dell’Unione Europea, priva di una sua reale autonomia, di fatto espropriata della propria sovranità per paura che i già precari equilibri possano far riesplodere gli odi per gran tempo sopiti. Né si scor-gono vie d’uscita a breve termine per una crisi che non sembra ormai più interessare nessuno.

Ancora una volta è la Chiesa a farsi carico degli ulti-mi, dei dimenticati, di coloro che sembrano solo essere un

In alto: i nostri giovani davanti al famoso ponte di Mostar.In basso: con suor Arcangela Kvesic.

Informazione

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peso per la società.La visita al campo profughi

di Tassovicici rende sorprendentemente vivo il dramma del recente conflitto e mostra le ripercus-sioni che esperienze del genere possono arrecare alle nuove generazioni che, pur non avendo provato direttamente la durezza di quegli anni, ne portano e subiscono, loro malgrado, tutte le conseguenze.

Eppure il clima che si respira è di fiducia e spe-ranza. Si avverte forte la spinta ad andare all’essenziale della vita, a ciò che conta.

Più ci si aggira fra le baracche del campo, fra condizioni igieniche e di vita al limite del sopportabile, più paradossalmente si incontrano volti gioiosi, a testi-monianza che la felicità non è un qualcosa di esterno all’uomo, che dipende da quanto e cosa si ha. I ragazzi di Shalom sono stupiti nel vedere trasparire dai volti di questa gente una sere-nità inspiegabile, considerate le tante sofferenze patite e gli innumerevoli disagi coi quali è costretta tuttora a convivere.

Suor Arcangela Kvesic - che per tutti gli anni del conflitto ha trascorso intere giornate al consultorio femminile ad ascol-tare storie di orribili violenze e soprusi - ci conduce da quelli che lei chiama “i poveri fra i poveri”: Ivan ed Ilka, due fratelli ultraottantenni. Vivono da soli in un locale di 6 metri quadrati senza finestre, acqua corrente e servizi igienici, nutrendosi solo di polenta e latte.

Il nero della caligine ha ormai reso la povera stanza - nella quale trovano a mala pena posto due

letti, un tavolino ed una stufa – una caverna scura, dove nemmeno una pallida lampadina riesce a rischia-rare la penetrante oscurità. Eppure nei loro volti, segnati dalle sofferenze di una vita, si legge nuovamente quella serenità per noi tanto in-consueta, maturata nella capacità di saper andare all’essenziale della vita, liberi dagli accadimenti esterni e dalle condizioni nelle quali ci si trova a dover vivere.

In una terra dove la ferita della guerra civile è ancora aperta, dove consi-

derevoli sono ancora le tensioni alimentate dalle divisioni etniche e culturali, e dove i riflettori dell’Europa si sono ormai spenti da tempo, la Chiesa continua a lavorare per gli ultimi, per i dimenticati, nella convinzione che questa popolazione potrà risollevarsi se avrà il coraggio di restituire dignità all’uomo. Solo in questo modo si potranno gettare le fondamenta di un futuro di pace e speranza per la terra bosniaca.

Al campo profughi di Tassovicici (Mostar).

Giovani: viaggio-studio a Mostar

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L’AreopagoL’Areopago

Attenti alla verità dell’uomo

di Walter Versini

formazione

Abbiamo visto, negli articoli precedenti, che nel-l’incontro del Cristianesimo con la cultura greca, nei primi secoli dopo Cristo, e con la cultura cinese, agli inizi del XVI secolo, giocò un ruolo determinante una caratteristica presente in entrambe queste culture, e cioè quell’orientamento che viene detto umanistico, nel senso che al centro della cultura sta l’interesse per l’uomo e per lo sviluppo armonioso della sua per-sonalità. Questo interesse è condiviso dal mondo cristiano il quale crede che l’uomo sia il grande oggetto di interes-se di Dio che, nella persona di Gesù, si è fatto lui stesso uomo. Per questo, scriveva Giovanni Paolo II, l’uomo “è la prima fondamentale via della Chiesa”, la prima strada che la Chiesa deve e vuole percorre-re, sull’esempio di Cristo.

Su questa strada il cri-stiano potrà avere un in-contro fraterno con tutti quelli che hanno veramente a cuore l’uomo. La sincera passione per l’uomo fortu-natamente non è rara, e già essa ha consentito, anche in tempi recenti, un dialogo con persone dalle convinzioni molto distanti. Quando que-sta passione può esser detta umanesimo? Forse quando, coerentemente, si traduce in alcuni atteggiamenti, tra i quali il primo è: una ricerca sincera della verità sull’uomo.

Non si tratta di un’idea, di una convinzione o dottrina, ma appunto di un atteggiamento: essere aperti a riconoscere alcuni aspetti caratteristici dell’uo-mo, della sua interiorità, della sua esperienza. Queste osservazioni costituiscono, per così dire, dei “dati”, delle

constatazioni, su cui si potrà basare la riflessione. Se si condivide questo approccio, vi sono grandi possibilità di comprensione e di intesa, altrimenti il dialogo diventa difficile. Forse la più evidente di queste “verità elementa-ri”, e perciò di questi terreni dell’incontro, è quella della grandezza e miseria dell’uomo. Il vero umanesimo, come mostrano i grandi esempi della storia, vede nell’uomo la compresenza di grandezza e limiti, capacità di bene e di male, grandi potenzialità e possibilità di gravi cadute. Il poeta greco Sofocle esclama: “Molte sono le cose mirabili, ma nulla è più mirabile dell’uomo”, usando una parola che significa non solo “prodigioso”, ma, ancor più, “terribile”. Allo stesso modo, come ha sottolineato il pensatore ebreo Heschel, nella Bibbia l’uomo esclama con meraviglia: “Io sono stato fatto in modo terribile e meraviglioso” (Sal 139,14; la traduzione italiana più comune dice: “come

un prodigio”). Ancora una volta, non ci stupisce che civiltà greca e rivelazione biblica abbiano potuto incontrarsi e capirsi: avevano in comune delle basi, semplici ma essenziali.

Al giorno d’oggi possia-mo invece notare che la cultura dominante, quella diffusa da televisione e giornali, tende prevalentemente a dare una visione dell’uomo limitata e appiattita, riduttiva: come un semplice animale, o anche meno, come “l’unico errore della natura”, o perfino come una macchina; o ancora, come un essere meschino, che cerca quasi unicamente il piacere, la massima comodità con il mi-nimo sforzo. È una tendenza anti-umanistica, preoccupante e pericolosa, perché questo disprezzo per l’uomo non può che finire per tradursi, prima o poi, nel disprezzo per le persone concrete.

C’è però una speranza: che le semplici verità sull’uomo, base comune per il dialogo, siano oggi come ieri accessibili a tutti, tramite l’osservazione onesta di se stessi e della propria esperienza. Dunque cercare il dialogo può significare anche stimolare chi abbiamo di fronte a riscoprire e va-lorizzare, da sé, queste verità semplici e fondamentali.

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di Tiziano Civettini e Maria Luisa Toller SessualitàSessualità e crescita nella fedeformazione

È chiaro che non si può più vivere il matrimonio e la sessualità quasi come un compromesso o addirittura come un impedimento a forme di vita ritenute più sublimi o spirituali; il matrimonio e il suo linguaggio sessuale è, per il cristianesimo, come una vocazione di spe-ciale consacrazione, con tutte le sfide che questo comporta.

La prima sfida consiste nel maturare un’opi-

nione positiva del sesso. Fra adulti è difficile che si abbia ancora un’idealizzazione della vita sessuale. Più probabile è che si sia delusi, che si confronti la propria realtà con l’immaginario proposto dai mezzi di comu-nicazione e ci si scoraggi. Spadroneggia la metafora del palloncino: appena acquistato fa la gioia del bambino, così teso verso l’alto, quasi magico nella sua capacità di volar via se non lo leghi. Il giorno dopo, già galleggia

a metà fra il pavimento e il soffitto, e il terzo giorno è diventato un deludente straccetto da buttare via.

In effetti le trasformazioni culturali che incidono profondamente sulla visione della sessualità sono ambi-valenti in quanto contengono aspetti positivi e negativi. Tra i primi: una visione più serena della sessualità; un crescente riconoscimento della dignità della donna; una maggiore consapevolezza delle responsabilità proprie dei genitori nel procreare e nell’educare i figli.

Contemporaneamente però, si è diffusa una concezione edonistica della sessualità che vede nel fare sesso un gioco, un comportamento fine a se stesso, privato di qualsiasi altro contenuto, un oggetto di con-sumo, e che del consumismo ha tutte le caratteristiche di effimera superficialità, la proposta di comportamenti standardizzati e convenzionali.

È il trionfo dello spontaneismo: ciò che è spon-taneo, nel senso di istintivo, è sempre bene. Bisogna comportarsi come ci si sente. “Nessuna legge deve essere imposta all’amore”, si dice.

Tutti siamo immersi in questa mentalità, la respi-riamo come respiriamo le “polveri sottili”, e rischiamo una dipendenza culturale che può farci dubitare della nostra “normalità” se non corrispondiamo ai canoni che ci vengono sbandierati.

La seconda sfida riguarda la problematica della fecondità, che non si lascia certo mettere da parte, volenti o nolenti.

La realtà mostra che tutti i tentativi di togliere di mezzo la fecondità in modo da poter vivere un sesso “spensierato” si sono rivelati fallimentari. Non c’è siste-ma anticoncezionale che non presenti lati problematici, difficoltà d’uso, costi, rischi per la salute, percentuali di errore. Nessuna coppia in età fertile può mai pensare di aver risolto una volta per tutte questo problema.

Tuttavia, quando si parla di “metodi naturali”, - unica proposta alternativa che permette di rispettare sesso e fecondità - scatta subito un meccanismo di difesa: sono, si dice, difficili, poco sicuri… In realtà, la fatica che due coniugi devono fare all’inizio per impararli correttamente è ripagata dalla tranquillità che aumenta col tempo e con l’esperienza, come testimoniano le

La corporeità e il suo

linguaggio

Tiziano Civettini (vice-presidente dell’Associazione Comunità Shalom) e sua moglie Maria Luisa sono stati re-centemente invitati a tenere un week-end per coppie di sposi al FAC (dal latino: “Fa’!”) di Roma, un centro culturale che ha come obiettivo il formare all’azione politica, sociale e religiosa.

Qui di seguito vi proponiamo una sintesi del tema da loro trattato.

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Sessualità e crescita nella fede

moltissime coppie che li usano, anche in situazioni in cui una gravidanza è seriamente controindicata.

Naturalmente parliamo di metodi scientifici e ap-plicati secondo le regole, non di pressapochistici “calcoli” immersi nella nebbia del sentito dire.

Una terza sfida rimanda ad un orientamento cul-turale più sottile, ma non per questo meno pericoloso, particolarmente evidente per una coppia giovane, ma in agguato per tutti noi: è il tentativo di omologazione dei sessi, il rifiuto della differenza. E non in senso teorico.

Ci sono precisi tentativi di stravolgere le basi della differenza sessuale, considerata un mero prodotto di condizionamento ambientale e culturale. Nel linguaggio corrente sembra che anche mamma e papà, le prime parole pronunciate da ogni bambino, non siano più po-liticamente corrette, ed anzi gravemente discriminatorie. Così, in Scozia, nelle linee guida del servizio sanitario, la mamma e il papà diventano il tutor o il guardian, mentre in Spagna si parla di genitore A e di genitore B. Anche nei documenti ufficiali delle agenzie internazionali e della Comunità Europea pare non si debba più parlare di

cita nella fede“Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi as-sistiamo, è ingannevole. L’eros degradato a puro sesso diventa merce, una semplice cosa che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell’uo-mo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espres-sione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L’apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cri-stiana, al contrario, ha considerato l’uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l’eros vuole sollevarci in estasi verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni”.

(Dall’Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI)

madre e di padre. Ma anche in medicina viene recepita questa istanza. Arriva dagli Stati Uniti la pillola anticiclo: un farmaco ormonale che, assunto quotidianamente, elimina la mestruazione. A quale scopo? Tranne pochi casi in cui può essere necessario sospendere tempo-raneamente il ciclo per gravi motivi di salute, la pillola anticiclo viene proposta per togliere alla donna i disagi e i problemi creati dalla mestruazione. Fortunatamente, da più parti si sono levate critiche: “Ci riporta ai tempi nei quali le mestruazioni erano qualcosa di umiliante, come accadeva nelle famiglie d’una volta dove le don-ne erano costrette a nasconderle sotto eufemismi o pseudonimi” .

“C’è un sospetto di omologazione fra maschi e femmine, di rifiuto del proprio essere che viene spac-ciato come progresso!” commentano esponenti del femminismo militante.

Non si può crescere nella fede (non si può cioè seguire il Cristo) senza le cose concrete della vita quo-tidiana, senza assumersi la responsabilità di rispondere alle sfide dell’oggi.

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Shalom: MeetingShalom: Meetingdi Gregorio Vivaldelli

Internazionaleformazione

Dal 5 all’11 agosto 2007 l’Associazione Comunità Shalom si è riunita per la consueta settimana annuale di spiritua-lità e formazione. Il Meeting Internazionale ha avuto luogo a Camposampiero (PD) ed aveva come titolo: “Servite il Signore nella gioia”.Significativa anche quest’anno la partecipazione di missionari e referenti per i progetti di solidarietà di Shalom, prove-nienti da diverse parti del mondo: padre Giuseppe Sathiya e suor Alangaram Santiago dall’India; padre Emmanuel Tusiime col suo collaboratore Prosper Imutebi dall’Uganda; il dott. Julian Ramirez Zuluaga dalla Colombia; padre Dimitri Gryshan (sacerdote di rito greco cattolico) con la moglie Inessa dalla Bielorussia; per contrattempi dell’ultima ora, è mancata invece la preannunciata partecipazione dell’Archimandrita Sergius Gajek.

Il serviziocome garanzia di libertà

Il servizio: questione di sguardo

Per la Bibbia il servizio è questione di sguardo. Il cambiamento da attuare consiste dall’avere occhi prigionieri ad avere occhi liberati.

I cambiamenti, le difficoltà, le incomprensioni confondono lo sguardo e spingono ad una lettura negativa degli eventi. L’occhio prigioniero rende l’altro insopportabile e non avvicinabile.

Al contrario, per poter servire secondo le esigenze del Vangelo è necessario avere occhi liberati. Secondo la Bibbia, infatti, per poter “servire” è indispensabile fare esperienza di libertà, sentirsi liberati da Dio. Si è chiamati a fare la stessa esperienza liberante vissuta dal popolo di Israele attestata nel libro dell’Esodo.

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Shalom: Meeting InternazionaleInternazionale

Israele pone all’inizio della propria storia proprio un evento di liberazione: il cammino dalla schiavitù in Egitto alla libertà di servire il Signore. “Servire” è addirittura il segno per antono-masia che dimostrerà a Mosé e agli Israeliti che il Liberatore è proprio Dio: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte» (Es 3,12).

La libertà di servire Dio: ecco la prova che per la Bibbia certifica che si è passati dalla schiavitù al ser-vizio, da uno sguardo prigioniero ad uno sguardo liberato e liberante. Senza tale libertà interiore è impossibile servire autenticamente l’uomo; anzi, il servizio può trasformarsi in un pericoloso (e col tempo “pericolante”) paravento dietro il quale nascondere le nostre schiavitù interiori.

Gesù è il Servo

Gli evangelisti sanno che gli uomini sono inclini ad at-tendere un Messia glorioso, che elimini le difficoltà della vita, che soddisfi la nostra sete di potere, di avere, di trionfare. Gesù invece si presenta come il Servo che prende su di sé le nostre malattie (cfr Mt 8,17), prende su di sé i nostri pesi abbassandosi al nostro livello.

Gesù esprime la sua radicale libertà da ogni schiavitù nell’affermazione che troviamo in Mc 10,42-45: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le do-minano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non

Padre Emmanuel Tusiime (Uganda)Responsabile del Rin-novamento Carisma-tico per l’Africa an-glofona“Sono grato per il grande senso di ap-par tenenza speri-mentato in questo Meeting: non mi sono sentito ospite, ma parte dell’Associazione Comunità Shalom”.

Suor Alangaram Santiago (India)Responsabi le del “Dispensario Sha-lom” a Ammanet-tai-Tanjavur nel Ta-mil Nadu“Ho sperimentato lo spirito di comunità che è unione e sacrificio, ma soprattutto servizio gli uni verso gli altri, iniziando sempre dagli ultimi”.

Prosper Imutebi (Uganda)Collaboratore di pa-dre Tusiime e respon-sabile della Comunità “Yesu Ahuriire” (Gesù Vivo)“Questa settimana vissuta con voi mi ha fatto rinnovare l’entu-siasmo ed il proposito di servire i miei fratelli in Uganda. La mia gente vi conosce per il progetto che ci ha donato l’acqua; ora io potrò farvi conoscere a loro per la stima che vi lega e che ci lega”.

Gli ospiti del Meeting Internazionale con i co-fondatori dell’Associazio-ne Comunità Shalom Paolo ed Eliana Maino e i diaconi Tiziano Civettini e Mario Fontana

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è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Lasciamoci provocare per un istante da queste parole di Gesù.

Fra voi però non è così. Gesù è chiarissimo: se tra i membri di una comunità cristiana regna la ricerca del potere semplicemente non c’è comunità cristiana. È qualcos’altro, ma certamente non il gruppo di persone radunate da Gesù di Nazaret, il Messia che dal potere degli uomini è stato sconfitto.

Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore. Gesù ci esorta a considerare come la logica del servizio, intesa come dono della propria vita, non possa mai essere messa in discussione. Per il Vangelo, infatti, i cristiani «devono porsi come obiettivo primario quello di eccellere nel servizio degli ultimi e rinnegare se stessi e accettare ogni sacrificio personale, fino a dare la propria vita per gli altri» (C. Mazzucco).

Lo sappiamo bene, opporsi alla mentalità del mondo non è facile per nessuno, eppure dobbiamo aiutarci a realiz-zare tale resistenza nella concretezza dei nostri particolari stati di vita, perché così fece il Maestro che desideriamo seguire lungo le strade della nostra quotidianità: Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

Dott. Julian Ramirez Zuluaga (Colombia)Responsabile dell’As-sociazione Comunità Shalom in Colombia“Ho sperimentato una profonda pace nel mio cuore e la liberazione da molte mie barriere e paure che mi impedivano di fare unità dentro di me. Ora sento veramente la chiamata e il mandato a servire la mia gente nella gioia”.

Padre Giuseppe Sathiya(India)Referente per tutti i progetti Shalom in India“Durante questa setti-mana ho avuto modo di far rivivere in me lo spirito di servizio im-parato da Madre Teresa di Calcutta con cui ho collaborato per sette anni. Lei mi insegnava che ‘non siamo nati per essere serviti, ma per servire’”.

Padre Dimitri Grishan e la moglie Inessa(Bielorussia)Collaboratore dell’Archiman-dr ita Sergjus Gajek“Abbiamo vissuto con gioia questa bella setti-mana che rafforza il legame di fraternità, già nato lo scorso anno. Grazie per averci dato l’opportunità di prega-re liberamente tutti insieme”.

Nella mattinata di lunedì 5 agosto la delegazione internazionale, accompa-gnata dai fondatori dell’Associazione Comunità Shalom, Eliana e Paolo Maino, dal vice-presidente Tiziano Civettini e da Claudia Carloni (membro del Direttivo) è stata accolta dall’Arcivescovo di Trento S.E. Mons. Luigi Bressan.

L’incontro, improntato a grande cordialità, è stata l’occasione per l’Ar-civescovo di incoraggiare l’Associazione a proseguire in queste relazioni internazionali.

Shalom: Meeting Internazionale

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Filippine: Filippine: parole e danze di paceparole e danze di pace

di di Paola Barlotti AngerettiPaola Barlotti Angeretti

informazione

Un pubblico numerosissimo ha partecipato all’atte-so incontro, il 19 giugno 2007, con suor Rosanna Fa-vero, la missionaria di Treviso che opera nelle Filippine.

È ormai nota in tutto il Trentino l’attenzione solidale dell’Associazione Comunità Shalom verso

le Filippine: nume-rosi i progetti già conclusi e quelli ancora in cor-so; specialmente

coinvolgente l’iniziativa del so-stegno a distanza, accolta e portata avanti da

circa 600 famiglie. Di tutto suor Rosanna è respon-sabile in loco.

Comprensibile, quindi, la presenza di un pubblico così numeroso, attento e spesso commosso da quan-to suor Rosanna, presente con tre giovani consorelle filippine (suor Clemens, suor Den Den, suor Roswyn) e quattro novizie birmane e indonesiane, andava raccon-tando e mostrando tramite filmati circa la situazione, tuttora pesante, delle isole in cui opera.

la nostra speranza ed il nostro incoraggiamento nei momenti in cui tutto sembra senza via d’uscita”, così racconta suor Rosanna.

Particolarmente attese erano le notizie dei bimbi sostenuti a distanza: le famiglie adottanti hanno apprezzato l’opportunità di colloqui individuali per conoscere informazioni dettagliate circa i “loro bimbi filippini”. A tutti suor Rosanna ha ribadito che l’unica speranza per le Filippine viene dal futuro dei giovani che, tramite il sostegno a distanza (vedi box a pag. se-guente) hanno la possibilità di nutrirsi, ma soprattutto di istruirsi e formarsi, aprendosi alla dimensione della solidarietà verso la loro gente. Ogni passo intrapreso dona uno spiraglio di luce e la speranza viene accesa nelle famiglie: grande è la loro gratitudine per l’Asso-ciazione Comunità Shalom.

“La povertà, la mancanza di servizi primari, la scarsità d’acqua, la penuria di scuole, i pericoli della guerriglia, le difficoltà di comunicazioni… sono pro-blemi tuttora attuali, ma i progetti realizzati e quelli in gestazione con l’Associazione Comunità Shalom sono

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Nella seconda parte della serata, dopo un breve concerto dell’Equipe del canto e della musica dell’Asso-ciazione Comunità Shalom, le giovani suore e le novizie si sono esibite in alcune loro danze tradizionali, suscitando l’entusiastico apprezzamento del pubblico presente.

Infine il presidente Paolo Maino, prendendo la parola per un pensiero conclusivo, ha sottolineato come “speranza sia la parola che ha fatto da filo conduttore della serata. Sembra che qui, in Europa, non ci sia più speranza: tutto intorno è buio, le giornate sono sempre più faticose. Ma è proprio da questi paesi che viene la speranza e, per quanto ci è possibile, vogliamo donare speranza, perché la speranza aiuta i po-poli, la speranza ci fa forti, la speranza accomuna i cuori”.

Filippine: parole

Il Sostegno a DistanzaIl Sostegno a DistanzaCon il contributo di € 26,00 al mese (€ 312,00 all’anno) si riesce a restituire dignità non solo ad un bambino povero, ma alla sua intera famiglia, provvedendo alle necessità più urgenti.Chi desiderasse avere ulteriori informazioni al riguardo può contattare la sede dell’Associazione Comunità Sha-lom al numero 0464-555767, o recarsi personalmente in Viale Trento, 100 a Riva del Garda, o visitare il sito web www.comunitashalom.org o scrivere all’indirizzo e-mail: [email protected]

Come è iniziata la tua collaborazione con l’Associazione Comunità Shalom?

Abbiamo conosciuto l’Associazione Comunità Shalom nel 1994, a seguito di una visita di Paolo ed Eliana nelle Filippine, indirizzati lì da suor Gemma, la nostra madre generale di allora, che essi conoscevano da tempo.

Paolo Maino, durante il suo soggiorno a Mindoro, intuì che era necessario “venire incontro alla carenza di istruzione di tanti bambini”. Iniziò così l’esperienza del sostegno a distanza con 10 bambini (ora sono 600), che si allargò poi a considerare altri progetti, molti dei quali già completati, altri appena iniziati ed altri ancora… nei nostri sogni.

Ci puoi descrivere la zona in cui ti trovi ad operare?Le Filippine sono un insieme di 7.100 isole anche

se solo 3.000 sono abitate. Mindoro è la quinta isola in ordine di grandezza e conta in totale 163 villaggi con 420.000 abitanti. È divisa in due parti: occidentale ed orientale, separate da una catena montuosa; noi operiamo in quella occidentale, l’altra è raggiungibile solo dal mare. Riusciamo a mantenere i contatti con 52 villaggi.

Quali sono le difficoltà maggiori?I villaggi vivono problemi con la guerriglia: la

New People Army; il governo ha militarizzato la zona e questo provoca frequenti scontri fra militari e guerriglieri, a scapito degli abitanti. Spesso vengono chiuse anche le scuole per motivi di sicurezza.

La povertà e la mancanza di servizi primari sono molto gravi: in tutta l’isola non esiste un ospedale;

il centro medico è a Manila o nell’isola di Batangas, posti raggiungibili con un viaggio di 17 ore, di cui 13 in barca e 4 in bus.

In alcune isole mancano l’acqua e l’elettricità.Un’altra difficoltà da superare è il far comprendere

agli indigeni, i Manyans, il valore dell’istruzione sco-lastica e convincere i genitori a mandare i figli a scuola regolarmente.

Oltre al sostegno a distanza, quali altri progetti sono sostenuti da Shalom nelle Filippine?

Nell’sola di Iling, completamente priva di acqua, sono stati realizzati 3 pozzi; prima competeva ai bambini camminare anche 2 ore per andare a prendere acqua!

Il sostegno alle scuole materne nei villaggi poveri, che comporta lavoro per gli insegnanti ed un pasto al giorno per i bambini, è di vitale importanza per la sopravvivenza di tali realtà.

Abbiamo chiesto a Suor Rosanna…

Suor Rosanna durante il suo intervento

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e danze di pace

Libertà religiosa in Myanmar (ex Birmania)

Emblematico della difficile situazione del Myanmar è il dissidio esistente sul nome stesso di quel Paese che fino a pochi anni fa era denominato Birmania e che i generali al potere hanno cambiato nel 1989, affermando che Birmania fosse il nome dato dai colonizzatori inglesi. Il regime militare governa il paese dal 1962 e da allora quasi un milione di birmani vivono in campi profughi negli stati limitrofi.

La violazione della libertà religiosa in Myanmar è siste-matica e colpisce in modo indistinto cristiani, musulmani e, in alcuni casi, anche i buddisti. La comunità cristiana più consisten-te vive nello stato Chin, nel nord-ovest del paese, dove conta il 90% della popolazione. I cristiani sono obbligati a versare una tassa annuale per sostenere la religione buddista e, se si con-vertono, ottengono privilegi quali: l’esenzione dai lavori forzati a servizio dell’esercito, ai quali sono costretti periodicamente, provviste extra di riso e l’opportunità di frequentare scuole pre-stigiose. Ai cristiani non è permesso di riunirsi in luoghi costruiti meno di 100 anni fa; nel 2001 sono state chiuse più di 80 chiese intorno alla capitale Yangon. I cristiani devono avere permessi dalle autorità locali per ogni raduno di oltre 5 persone diverso dalla messa domenicale. Dal 1994 tutte le richieste per costruire nuove chiese vengono negate.

Asianews denuncia come le autorità allontanino i bambini chin dalle famiglie offrendo loro una buona educazione; ma invece che in scuole i piccoli vengano portati in monasteri buddisti e costretti a diventare monaci. I bambini, tutti intorno agli 11 anni, a volte non rivedono più i loro parenti. Nello stato Chin è vietato stampare Bibbie; solo nel 2000 ne sono state sequestrate e bruciate circa 16 mila copie. L’utilizzo del lavoro forzato come mezzo per impedire la celebrazione di determinate festività religiose è documentato anche dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Le scuole cattoliche sono state confiscate dallo stato e i cristiani non possono accedere a ruoli dirigenti. L’attività di missionari stranieri è consentita solo in minima parte dalla metà degli anni Sessanta, quando il Governo espulse quasi tutti i missio-nari stranieri e nazionalizzò scuole e ospedali (fino a quel momento gestiti soprattutto da organizzazioni religiose cristiane).

È stato aperto, a Mani-la, un centro di accoglienza

“Shalom” che accoglie gli “ammalati di transito”, oppure coloro che devono affron-

tare controlli medici o genitori di bambini ricoverati in ospedale.

Un’altra realtà che si deve alla solidarietà Sha-lom è la Casa degli Angeli, la “Angel’s Home”. Vi si accolgono ragazze vittime di abusi, ragazze madri rifiutate dalle famiglie, senza un tetto per i loro piccoli e si cerca di riavvicinarle ai genitori per un reinserimen-

to o, almeno, di renderle in grado di costruirsi una vita. Questa casa è in fase di ampliamento per poter dare più accoglienza.

È stata avviata la costruzione di un capan-none coperto, come centro di aggregazione per i genitori dei ragazzi sostenuti a distanza, di for-mazione per giovani ed adulti, di apprendimento di un lavoro per le donne, di formazione per gli educatori.

Desidero dirvi che, in tutto questo, il vostro è un impegno economico, un aiuto insostituibile; ma,

soprattutto, noi sentiamo che voi tutti credete nel valore della fraternità e della solidarietà, donandoci coraggio e speranza.

Il popolo filippino ringrazia di cuore l’Associazio-ne Comunità Shalom.

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di Paolo Maino

Loreto: Agorà dei giovani col Papa

Il coraggioIl coraggio dell’umiltà

“Non temete! Non abbiate paura!”. Non ha smesso per un attimo di incoraggiare i cinquecentomila accorsi da tutta Italia nella Piana di Montorso (Loreto) per ascoltarlo l’1 e il 2 settembre 2007. In tal modo Benedetto XVI ha mostrato il suo volto di padre, di un padre che ben conosce i drammi, le sofferenze, i dubbi, ma anche i sogni e le speranze dei giovani.

Non si è nascosto dietro facili ammonimenti, ma ha voluto che giungesse il suo incoraggiamento a coloro che, nell’esordio del discorso della veglia, ha voluto coraggiosamente definire come “la speranza della Chiesa in Italia”.

Così come denso di speranza è stato il suo mes-saggio rivolto a chi - giunto nei pressi di Loreto per sem-plice curiosità o perché spinto da qualche amico o per intima convinzione – era comunque accomunato dalla ricerca di qualcosa: di una risposta ai propri interrogativi, di un incoraggiamento, di un timido primo approccio ad un cammino di fede.

A tutti il Papa ha voluto anzitutto dire: sono con voi, vi sono vicino, condivido “le vostre gioie e le vostre pene”, condivido “le speranze più intime che sono nel vostro animo e per ciascuno chiedo al Signore il dono di una vita piena e felice, una vita ricca di senso, una vita vera”.

Chi si aspettava richieste, raccomandazioni o addirittura richiami decisi è rimasto deluso.

“Non abbiate paura di sognare ad occhi aperti grandi progetti di bene, non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà” – ha ribadito il Pontefice: è Dio il primo ad avere fiducia in noi e a desiderare di poter realizzare ogni nostro più nobile ed alto sogno di autentica felicità.

Molti sono gli ostacoli che si frappongo quotidia-

namente tra le nostre aspirazioni e la realtà troppe volte amara della quotidianità. Di fronte a tanti fallimenti, tutti siamo tentati di pensare: “sono io migliore dei miei amici e dei miei parenti che hanno tentato e hanno fallito? Perché io, proprio io, dovrei riuscire là dove tanti si arrendono?”.

È quella paura che toglie il fiato, che taglia le gam-be e ci richiude in noi stessi. È quella notte profonda in grado di frenare anche gli spiriti più intrepidi. E di fronte alla paura, si sa, non c’è spiegazione che tenga. La pau-ra non risponde alla logica della razionalità. Ma alla logica dell’amore sì; alla logica della rassicurazione e dell’incoraggiamento sì. Quanti di noi, in una situazione di paura, di angoscia, di solitudine, hanno potuto speri-mentare come, in quei momenti, la presenza amorevole di una persona sia valsa più di tante parole a scacciare quella coltre che sembrava impenetrabile?

E così si è umilmente limitato a fare Benedetto XVI: “Non temete! Non abbiate paura! Lo Spirito Santo è con voi e non vi abbandona mai. A chi confida in Dio nulla è impossibile”.

Essere definito “speranza della Chiesa” per chi nutre mille dubbi sul proprio avvenire, per chi vive nel-l’incertezza più totale, rappresenta un atto di fiducia, di affidamento, davvero intrepido, e tale da sorprendere, ma al tempo stesso responsabilizzare, chi lo riceve.

Troppo spesso le cronache si limitano a parlare dei giovani come di un problema, una deriva cui dover mettere un freno, un “caso” da risolvere. E ciò porta molti di loro a percepirsi così.

Quanti al giorno d’oggi hanno il coraggio di scommettere realmente sui giovani? di mettersi nelle loro mani, di affidarsi ai loro sogni?

Eppure “Dio cerca cuori giovani, cerca giovani dal cuore grande, capaci di fare spazio a Lui nella loro vita per essere protagonisti della Nuova Alleanza”.

Per accogliere le sfide del presente, per lasciarsi affascinare dall’anticonformismo del messaggio evan-gelico “occorre essere giovani interiormente, capaci di lasciarsi interpellare dalla sua novità”: è questo il segreto per essere aperti ad intraprendere strade nuove, sentieri non ancora battuti.

Ecco allora l’invito del Santo Padre a lasciarsi coinvolgere nella vita che sgorga dall’incontro con Cristo, a lasciarsi sedurre dal coraggio dell’umiltà e a rifuggire tutto ciò che - dimentico dell’uomo - ci spinge a perseguire la via dell’arroganza, della violenza, della prepotenza, della prevaricazione.

La via dell’umiltà non nasconde un atteggiamento

formazione

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Il coraggio dell’umiltàdell’umiltà

di rinuncia, ma di coraggio: coraggio di andare controcor-rente, di non temere i giudizi severi, di apparire diversi.

È un vincere la propria tendenza naturale per riscoprire che di naturale, in essa, non vi è nulla. È una vittoria dell’amore, della vita, sull’egoismo. Del-l’essere sull’avere.

Troppe volte “un’esistenza piena e felice viene vi-sta da molti giovani come un sogno difficile… e qualche volta quasi irrealizzabile”. Tanti guardando con appren-sione al futuro “si chiedono preoccupati: come inserirsi

Si tratta di un percorso nazionale di speciale attenzione al mondo giovanile proposto dal Consiglio Permanente della CEI.Obiettivo dell’Agorà dei giovani italiani è favorire la realizzazione di tale percorso, promuovendo un nuovo slancio della pastorale giovanile, una sempre maggiore soggettività delle nuove generazioni nella missione della Chiesa ed un crescente coinvolgimento dei giovani nel cammino della Chiesa italiana.Il percorso, articolato in un triennio (2007-2008-2009), prevede:

– per il primo anno pastorale, appena conclusosi, una particolare attenzione all’ascolto del mondo giovanile, con conclu-sione all’incontro nazionale di Loreto;

– il secondo anno è dedicato alla dimensione interpersonale dell’evangelizzazione, con culmine nella Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney 2008;

– il terzo ed ultimo anno ha, invece, quale tema la dimensione culturale e sociale dell’evangelizzazione, con conclusio-ne dell’intero itinerario con un evento vissuto simultaneamente in ciascuna delle diocesi italiane, nelle piazze, nei santuari diocesani o in qualche “nuovo santuario” del nostro tempo (centri commerciali, stazioni, cinema, piazze, stadi, luoghi dell’emarginazione...).

in una società segnata da numerose e gravi ingiustizie e sofferenze? Come reagire all’egoismo e alla violenza che talora sembrano prevalere? Come dare un senso pieno alla vita?”.

A ciascuno il Papa ha voluto rivolgere questa parola: “Non abbiate timore, Cristo può colmare le aspira-zioni più intime del vostro cuore! Ci sono forse sogni irrealizzabili quando a suscitarli e a coltivarli nel cuore è lo Spirito di Dio? Nulla e nessuno (…) potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”.

La delegazione dell’La delegazione dell’Associazione Comunità ShalomAssociazione Comunità Shalom, , composta da una trentina di giovani, accorsa a Loreto per composta da una trentina di giovani, accorsa a Loreto per

ascoltare le parole di incoraggiamento di Benedetto XVIascoltare le parole di incoraggiamento di Benedetto XVI

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Echi di speranzaEchi di speranza dall’EstDimitri e Inessa

si raccontanoIncontrando Dimitri e Inessa si ha l’impressione di cogliere l’essenza della fede vissuta

nella quotidianità del matrimonio. Sorprendendo i loro reciproci sguardi – quello tenera-mente protettivo di Dimitri, ricambiato da quello fiducioso e sereno di Inessa – si è portati a pensare di scoprire l’essenza stessa dell’amore coniugale cristiano.

Le loro mani intrecciate, a stringersi come per trovare insieme il coraggio di affrontare un’intervista in una lingua nuova ed ancora tanto difficile, fa intuire che questo sia e sarà sempre il loro modo di fronteggiare tutto quanto la vita potrà proporre loro e ai loro tre figli: Alexi (6 anni), Katrin (4 anni) e Julia (2 anni).

Ma chi sono Dimitri e Inessa? e qual’è il loro rapporto con l’Associazione Comunità Shalom?

Come avete conosciuto l’Associazione Comunità Shalom?L’abbiamo conosciuta circa due anni fa attraverso il protogerarca

della nostra Chiesa greco-cattolica bielorussa, l’archimandrita Sergius Gajek, che si è fatto promotore di un progetto educativo con la Comunità, quello di seguire i lavori di ristrutturazione e amplia-mento di un vecchio edificio parrocchiale a Vitebsk e crearvi un centro di formazione per il dialogo interconfessionale e interculturale.

Il centro è già in funzione? Il centro Eirenaios, chiamato così perché significa “pacifico” in greco, è attivo dal 1° gennaio

2007. Accoglie studenti universitari ed altri giovani ed apre le porte a tutte le confessioni religiose (ortodossi, greco-cattolici, cattolici latini e protestanti). Cerchiamo di promuovere pace, riconcilia-zione ed amicizia tra i cristiani.

Hai parlato di Chiesa greco-cattolica, quella di cui fate parte; ce ne puoi fare un po’ la storia?

Prima del grande scisma del 1054 tutte le Chiese cristiane erano unite fra di loro. Dopo quel momento c’è stata la divisione tra Chiesa d’Occidente (chiamata poi cattolica) e Chiesa d’Oriente Bizantino (chiamata poi ortodossa). Più volte si

è cercata l’unione, ma invano.Il cristianesimo nelle terre bielorusse, specialmente nel Principato di

Polatsk, era arrivato prima dello scisma del 1054. Nel 1596 nella città di Brest Litovsk (sul territorio bielorusso) veniva conclusa l’unione ecclesiale fra la Chiesa Rutena (bielorusso-ucraina) e la Chiesa di Roma. Sarebbe, pertanto, più cor-retto parlare della ripresa (oppure del rinnovo) dell’unità esistente prima del grande scisma. Questa Chiesa è stata poi chiamata “greco-cattolica”, cioè cattolica di rito greco (bizantino).

La Chiesa greco-cattolica bielorussa fa parte delle grande famiglia delle Chiese orientali di tradizione liturgica bizantina legate a Roma.

Le Chiese orientali cattoliche sono del tutto unite alla Chiesa di Roma per quanto riguarda la dottrina dogmatica, ma completamente autonome

per la liturgia e per la disciplina canonica (ad esempio i sacerdoti possono es-sere sposati). La nostra Chiesa conserva l’antica liturgia bizantina, ma la celebra

in lingua bielorussa (cioè nella lingua del popolo). La Liturgia eucaristica (la Divina Liturgia) di solito viene interamente cantata, con una melodia

molto semplice, a volte anche a più voci.Tutti i vostri sacerdoti possono sposarsi?

Prima ci dev’essere il matrimonio, poi si può chiedere di diventare sacerdoti seguendo tutto l’iter previsto. Non può

avvenire il contrario. Inoltre il sacerdote sposato non può diventare vescovo, ma resterà sempre un parroco, men-

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Echi di speranza dall’Estdall’Est a cura di a cura di Stefania Dal PontStefania Dal Pont

Informazione

tre il sacerdote celibe può diventare vescovo. Ovvia-mente i monaci rimangono celibi e non possono essere sposati.

Quali sono le altre confessioni religiose pre-senti nella vostra terra?

La Bielorussia conta dieci milioni di abitanti. Sui giornali si può leggere che la maggior parte della popola-zione si dichiara ortodossa. Ma questo solo per tradi-zione, e non è praticante.

Infatti, e lo riconoscono anche le autorità civili, quasi la metà della popolazione non ha nessun contatto reale con una Chiesa. I cattolici di rito latino sono più di un milione. Esiste un certo numero di greco-cattolici (non sappiamo precisamente quanti, alcuni parlano di 15.000 – 30.000); una parte di loro è praticante. Vi è, inoltre, una certa presenza di protestanti, specialmente di neo-protestanti, cioè di battisti, evangelici, pentecostali. Presi insieme saranno forse 100.000, e sono molto attivi.

Avete difficoltà come chiesa? Potete riunirvi tranquillamente?

La piena libertà religiosa esiste solo per gli orto-dossi che ricevono anche degli aiuti dal governo. Per tutti gli altri esistono delle limitazioni. Per esempio è molto difficile ottenere il permesso per costruire una chiesa oppure per registrare una nuova parrocchia. Pe-raltro i fedeli delle parrocchie registrate possono riunirsi legalmente per il culto.

Quante persone fanno parte della vostra comunità parrocchiale?

Quando io e Inessa siamo arrivati a Vitebsk c’era solo una cappella e non vi era un sacerdote stabile. Perciò anche il numero dei fedeli che frequentavano le celebrazioni era limitato. Ora raggiungiamo un numero di circa 40 persone per le celebrazioni domenicali. Ma i greco-cattolici a Vitebsk sono molto più numerosi. Arrivare a tutti loro è un nostro grande impegno e programma.

Cosa significa per voi l’AssociazioneComunità Shalom?

Quando siamo arrivati tra voi l’anno scorso, per la prima volta, avevamo qualche timore per la lingua e la cul-tura diverse, ma voi non ci avete mai fatto sentire ospiti.

Ora sentiamo di essere membri di questa vostra famiglia, appartenenti totalmente a voi e proprio per questo ci sentiamo a nostro agio: abbiamo avuto la

possibilità di vedere la pace interiore, la gioia, la bontà e l’accoglienza che vi contraddistinguono.

La cosa che ci ha colpito maggiormente è stato il clima di fraternità che regna tra tutti voi: rappresentate una grande testimonianza di vita cristiana.

Come vedete il futuro assieme alla Comu-nità?

Pensiamo che il nostro incontrarci non sia stato fecondo solo perché da voi riceviamo degli aiuti mate-riali, ma siamo sicuri che le nostre relazioni di amicizia con voi possano approfondirsi e, quindi, far crescere uno scambio reciproco nella fede. Il Centro Eirenaios può servire come piattaforma di una collaborazione pluriforme.

La nostra Chiesa è giovane. Centocinquant’anni fa è stata soppressa dagli zar prima e dai comunisti poi. Verso gli anni ’90, subito dopo la caduta del muro di Berlino, è rinata grazie a Papa Giovanni Paolo II che ha avuto a cuore in modo particolare noi, popoli dove la tradizione cristiana è stata soppressa. Ora cerchiamo di portare tra le persone che avviciniamo la nostra testimo-nianza di cristiani di tradizione orientale e contempora-neamente uniti con la Chiesa Universale. La solidarietà spirituale di voi, cattolici d’Occidente di tradizione latina, con noi cattolici orientali è molto importante per noi.

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di Lorenzo Angeli

Informazione

In BielorussiaIn Bielorussia

Lo scorso giugno, dal 14 al 28, Lorenzo Angeli è stato inviato in Bielorussia dall’Associazione Comunità Shalom per tenere un corso intensivo di italiano de-stinato ad un piccolo gruppo di adulti di età compresa fra i 22 ed i 38 anni. Il corso si è svolto a Vitebsk, la seconda città della Bielorussia.

Questa iniziativa è stata fortemente voluta dal-l’Archimandrita padre Sergius Gajek, in accordo con il Direttivo dell’Associazione Comunità Shalom, allo scopo di favorire un incontro di amicizia con la realtà della Bielorussia.

Sedere allo stesso tavolo e scoprire l’esistenza di profondi valori comuni ha permesso di operare uno scambio umano, culturale e spirituale.

Il corso si è svolto presso il “Centro Eirenaios” (Centro della Pace) che l’Archimandrita Gajek preferisce chiamare “Eirenoion” (Luogo della Pace), luogo destinato al compimento di concreti atti di pace, nel tentativo di superare il rischio di limitarsi a che ciò rimanga solo un concetto astratto. Un semplice corso di italiano, fatto alla luce del giorno, può diventare l’occasione per far crescere una cultura di libertà e di speranza, fondata su un’amicizia in grado di abbattere quelle distanze, fisiche e culturali, che a prima vista sembrerebbero incolmabili.

Basta poco per rendersi conto che la Chiesa Cattolica, che in Bielorussia è prevalen-

temente di rito greco, è un vero e proprio “cantiere”, sia nel senso spirituale-pastorale, sia nel senso letterale del termine, visti i numerosi edifici di culto in costruzione.

Si avverte una Chiesa che, dopo due secoli di persecuzioni, sta iniziando a muovere i primi passi. La chiesa, il campanile, la croce costituiscono simboli importanti e fondamentali per persone che hanno bi-sogno di incontrarsi, ritrovarsi, ed avere qualcosa in cui identificarsi e credere.

Particolarmente ricca e solenne è la liturgia del rito greco-cattolico, che aiuta il fedele di rito latino (abituato ad un rito molto più semplice e sintetico) a riscoprire il senso del sacro e ad entrare in maniera pregnante nel mistero del divino.

A nessuno in Bielorussia manca l’essenziale per vivere (riscaldamento, cibo, mezzi di trasporto, energia, ecc.), ma tutto è meticolosamente misurato e nulla viene sprecato. Si avverte un palpabile senso di pre-carietà, come se la situazione dovesse precipitare im-provvisamente da un momento all’altro, e non è difficile scorgere sui volti delle persone tracce di stanchezza e di incertezza per il futuro.

Il corso d’italiano è stato un’occasione per rinsaldare i già forti legami di collaborazione e di amicizia dell’Associazione Comunità Shalom con il popolo bielorusso, prendendo coscienza di come an-

che le differenze culturali, religiose e sociali, molte volte apparentemente insormontabili, possano venire a ridimensionarsi, fino quasi a sparire, sotto la spinta dell’accoglienza e del prendersi cura gli uni degli altri.

Un corso di italiano per abbattere

le distanze

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Il labirintoIl labirintoformazione

Occhio alla TV

di Tiziano CivettiniIn Bielorussia

Il marxismo - ed altri prima di esso - teorizzava che il potere supremo del mondo si gioca attorno agli inte-ressi economici; Orson Welles, nel film “Quarto potere” (del 1941), rivela che c’è un altro potere, quello dei media, capace di “far pensare alla gente solo quello che io voglio che pensi”, come afferma il protagonista.

Ora ne siamo consapevoli e cresce il senso di inadeguatezza di genitori ed educatori, specialmente nei confronti del mezzo televisivo.

Fino a qualche tempo fa le cose sembravano tutto sommato semplici; c’era la tivù dei ragazzi, lo

Il problema è serio e non è risolvibile, mi pare, in maniera semplicistica, con le sole proibizioni. E non riguarda solo i bambini e gli adolescenti, ma anche gli adulti e, più ancora, gli anziani. Questi ultimi sono, forse, i più vulnerabili, perché non hanno gli “anticorpi” delle nuove generazioni e rischiano di farsi rubare il tempo, l’ultimo tempo della vita.

La televisione è pervasiva: non solo è lo specchio dei tempi, ma in qualche modo li anticipa, orienta at-teggiamenti, crea situazioni emotive, promuove idee, induce passioni forti, come l’amore e l’odio. In altre parole la televisione è formativa, anzi per-formativa, nel senso che opera a tutti i livelli: la conoscenza, le emozioni, gli affetti, i valori. È quindi un mezzo che va usato bene.

Per fare questo bisogna creare le condizioni favorevoli: per prima cosa non deve essere collocata a capotavola, altrimenti diventa il “capofamiglia” che

spartiacque del Carosello (piccoli sketch per pubbliciz-zare prodotti commerciali) e poi i programmi serali “per adulti”.

Le sale cinematografiche segnalavano sulle locan-dine: “film per tutti”, “per adulti”, “adulti con riserva”. Ognuno poteva sentirsi tutelato. Le eventuali incursioni di adolescenti nel mondo degli adulti (i film con qual-che riferimento al sesso) avevano il sapore della sana trasgressione e della voglia di crescere.

Ora però questo mondo non esiste più e non può essere riesumato. La situazione è questa: ognu-no, potenzialmente, a qualsiasi età, ha l’opportunità di accedere in qualunque momento a qualunque cosa venga trasmessa via etere.

ha diritto esclusivo di parola durante i pasti. Non do-vrebbe essere in camera dei figli, altrimenti diventa la padrona dei loro sogni (e dei loro incubi).

Non può essere l’unica fonte di informazione: la lettura di un buon giornale e di qualche libro può aiutarci ad essere più consapevoli e più liberi.

A proposito di libertà, la televisione offre uno strumento di forte impatto simbolico: il telecomando. Tutte le volte che accendo e navigo tra i cento e più programmi del satellite ho la sensazione di pilotare il mondo, mentre sono catturato e pilotato. Libertà è decidere quando accendere, cosa vedere e quando spegnere.

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formazione

Quanto amo Quanto amo

22Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Ge-rusalemme per offrirlo al Signore, 23come è scritto nella Legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”; 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. 25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone,

uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; 26lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. 27Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, 28lo prese tra le braccia e benedisse Dio: 29«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; 30perché i miei occhi han visto la tua salvezza, 31preparata da te davanti a tutti i popoli, 32luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». (Lc 2,22-31)

Abbracciareil proprio futuro

di Gregorio Vivaldelli la tua Parola, Signore

Questo numero di Sulla via della Pace ci accompagnerà fino a dicembre, mese nel quale la tradizione cristiana celebra il sorprendente mistero di un Dio che si fa bambino. Nel brano che ho scelto di commentare insieme a voi credo che potremo trovare qualche suggerimento utile per evitare di far parte di un triste gruppo musicale che non smette mai, purtroppo, di suonare certe litanie. Ma procediamo con ordine.

Il testo ci informa che un giorno Simeone si recò al tempio, come del resto avrà fatto molte altre volte essendo egli un uomo giusto e timorato di Dio. Stesse persone, stessi posti, stesse situazioni, stessi riti: c’è da rimanere vittime dell’abitudinarismo religioso, del tradizionalismo sacro.

Eppure, Simeone viene presentato come una persona “sensibile” all’azione dello Spirito di Dio: nel bel mezzo di un ambiente “scontato”, “conosciuto”, quindi racchiuso nelle proprie categorie mentali, Simeone riesce a scorgere la sconvolgente ed imprevedibile novità di Dio in un bambino nato appena quaranta giorni prima. Sarebbe interessante verificare quanto la nostra libertà interiore di saper cogliere le sorprese con le quali Dio vuole scuotere la nostra vita è condizionata negativamente da un nostro eventuale “professionismo” religioso o, paradossalmente, ateo…

Lo prese tra le braccia e benedisse Dio. Si tratta di uno dei momenti più dolci, delicati e profetici di tutto il Nuovo Testamento. Il gesto di Simeone di prendere in braccio il bambino Gesù, seguito dal desiderio di lodare Dio per il bambino, può essere letto, oltre che da un punto di vista squisitamente teologico (incontro tra la Legge e lo Spirito; l’Antico Testamento che accoglie il Nuovo Testamento; Gesù come il “ponte” tra Israele e l’umanità), anche da una prospettiva più strettamente esistenziale.

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Quanto amo la tua Parola, Signorela tua Parola, Signore

Lo prese tra le braccia e benedisse Dio. Riportando questo gesto e le parole di lode e di benedizione contenute nel cantico che la Chiesa invita a proclamare ogni sera prima di coricarsi, il Vangelo trasmette

tutta la commovente fiducia che un uomo anziano come Simeone ripone nel giovane Gesù. Veramente bella questa immagine. In particolar modo, se consideriamo la facilità con la quale

nella storia gli adulti/anziani hanno valutato i giovani quasi unicamente come un motivo per cui lamentarsi, sempre ed ovunque, creando così la più famosa sinfonia di cornamuse suonata dal-

l’umanità ed “eseguita” in ogni epoca con sorprendente naturalezza:

“La gioventù è ora un triste ciarpame. Non hanno più un gocciolo di buon umore, non fanno altro che protestare” (Walter von Vogelweide, 1200 d.C.); “La nostra gioventù vive nell’abbondanza, nel lusso. Maleducata, disprezza ogni autorità e non ha nessun rispetto davanti alla vecchiaia. I nostri figli sono veri egoisti,

che spesso si ribellano ai loro genitori” (Socrate, 420-395 a.C.); “Non ho più alcuna speranza per il futuro del nostro paese, quando la sventata

gioventù di oggi avrà in mano il potere di domani. Questa gioventù è indoma-bile, senza freno e presuntuosa” (Esiodo, 720 a.C.); “Il nostro mondo è arrivato a una svolta critica. I figli deridono i loro genitori, sono insubordinati e smaniosi di divertimento” (geroglifico del 2000 a.C. trovato nell’antico Egitto); “La nostra gioventù è corrotta fino all’interno ed è molto peggiore

delle generazioni passate; questa gioventù non sarà in grado di salvare la nostra cultura” (scritto cuneiforme del 3000 a.C.).

Lo prese tra le brac-cia e benedisse Dio. Riporre la

propria fiducia in un Dio che si è fatto bambino significa imparare ad

avere uno sguardo positivo sulla realtà, in modo particolare sul futuro di questa

realtà: i giovani. Non si tratta di diventare persone incapaci di vedere il dramma

del disagio giovanile, la sconcertante violenza prodotta da numerosi “branchi” giovanili da stadio, la banalità di cui si nutrono i giovani seguaci di internet, la tristezza di prendere a modello di vita riuscita e realizzata un calciatore o una velina. Mi piace pensare, inve-ce, che Simeone stia invitando ciascuno di noi a cercare di

valorizzare la novità presen-te in ogni giovane, magari proprio in quel giovane che

vive vicino a me.Il Vangelo possiede que-

sta capacità: ci aiuta ad uscire dal gruppo delle cornamuse della storia.

E anche questa è una bella notizia. Non solo per noi, ma anche per i giovani che

ci vivono accanto.

“Un vecchio ab-braccia un bambino, due generazioni si ab-bracciano e si passano la fiaccola. Abbrac-ciando il Bambino, Simeone sa di abbrac-ciare il proprio futuro. È contento della con-

tinuità della sua vita. La sua speranza è piccola

come un bambino, ma è anche piena di vitalità e di

avvenire come lo è un bambino. Simeone gioisce che altri continuino la sua opera, gioisce del fatto che nella propria de-cadenza vi sia un rinnovo, vi sia qualcosa che va avanti. Se il brano ci insegnasse anche solo questo, sarebbe già molto valido per la nostra vita. Non è facile infatti che il vecchio che è in noi accolga il bambino, cioè il nuovo che Dio ci dona, spesso anche in forma imprevista” (don Lorenzo Zani).

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Carissimo...Carissimo...di Eliana Aloisi Maino

Perdonarese stessi

formazione

Carissimo,tu scrivi: “Ok, cerco di fare quanto mi suggerisci,

cerco la mia positività, mi lascio accarezzare dai com-plimenti, cerco di aver cura della parte fragile di me e di non vergognarmene, ma… esperimento ancora, e con forza, sentimenti di invidia e gelosia. E mi arrabbio”.

Non mi meraviglia quanto scrivi: ci vuole un attimo per capire le cose e una vita per cambiarle. È probabile che tu veda e viva non solo sentimenti di invidia e gelosia, ma che tu veda anche, e con maggior lucidità, altri comportamenti sbagliati. È come se si fosse acceso un faro sì sul tuo bagaglio di doti, ma anche sui tuoi limiti, difetti, errori.

E ti accorgi di rispondere male alle persone che ami o di “incartare” la verità.

La reazione normale è la rabbia: rabbia verso di noi e verso chi, pensiamo, sia responsabile dei nostri errori. La rabbia è un isolante della sofferenza, ci impedisce di deprimerci. Ma ci impedisce anche di guardare con onestà i nostri sbagli e di cambiare.

Quando esperimento rabbia so che devo andare a cercare con chi sono arrabbiata. E il più delle volte scopro che sono arrabbiata con me stessa. Ho fatto qualcosa che ha infranto l’idea idilliaca e “sopra le righe” che ho di me o “friggo” per una brutta figura fatta. E mi sento colpevole.

I sentimenti, le emozioni sono dei sensori interiori: accendono una luce rossa sul nostro display interiore e indicano qualcosa che non va. Se quella luce rossa non si accendesse, il nostro uomo interiore si brucerebbe. Ma si brucia anche se la ignoriamo.

Allora mi trovo davanti ad un bivio: posso rimanere nella rabbia e nel senso di colpa e auto-punirmi (soprattutto con il ri-morso) o decidere di usare di quel fatto per migliorar-mi e lavorare sul mio carattere. Gli errori, gli sbagli, i peccati possono essere una chance eccezionale.

Impariamo di più dai nostri errori che non dalle cose giuste che facciamo. È una strada interessante e una via di autocoscienza incre-dibile. Ma è anche una via difficile perché tutto in noi si ribella all’idea che abbiamo sbagliato. Abbiamo bisogno di sentirci perfetti, di essere giusti, di fare tutto bene.

Allora quando mi accorgo di aver sbagliato, qualsiasi sbaglio io abbia commesso, dal bruciare

l’arrosto ad un alterco con un collega, dal tradire una promessa al prendere qualcosa che non è mio, che fare? Quando la parte emotiva-emozionale si è un po’ sgonfiata, cerco di rivisitare con più lucidità quanto è successo, di rivedere come si sono svolti i fatti, quali sono stati i miei sentimenti, quale la mia lettura. Normalmente mi imbatto con violenza in uno sbarramento dentro di me, uno sbarramento che mi grida che la colpa è tutta degli altri, che sono “gli altri” o “l’altro” responsabile di quanto è avvenuto, che io non c’entro, che io non ho sbagliato.

Se così fosse, non ci sarebbe niente da fare e sarei costantemente in balia degli altri e degli eventi.

Devo cercare la mia responsabilità, come io ho collaborato a costruire quella situazione. E quando la trovo, quando trovo il mio errore devo guardarlo con sincerità e verità, devo dire a me stessa: “Ho sbagliato”. Ma devo anche guardarlo e guardarmi con com-pas-sione: io non sono il male che ho fatto. Accetto la mia responsabilità, ringrazio Dio che me ne fa prendere coscienza, tiro delle conseguenze sul come evitarlo la prossima volta, decido se e come riparare e… mi perdo-no! Sì, proprio così: mi perdono! Perdono me stesso, perdono la mia fragilità, povertà, peccato. Io, come gli altri e forse prima degli altri, ho bisogno dell’elemosina della mia bontà.

Immagino la tua reazione: “Ma è troppo comodo! Capaci tutti di fare “casini” e poi, perdonarsi”. E allora provaci! Il perdono non è un’azione passiva, ma attiva, non è un’azione debole, ma incredibilmente forte. Ha in sé una forza di cambiamento. Ma di questo parleremo la prossima volta.

Buon lavoro mio caro e a presto.Tua Eliana

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Carissimo... Prendi notaPrendi notaAppuntamenti ed iniziative dell’Associazione Comunità Shalom

Tutti gli incontri si svolgono presso la sala dei Padri Verbiti a Varone di Riva del Garda (TN)

Venerdì 5 ottobre 2007ore 20.30Incontro di preghiera per i malatiDomenica 7 ottobre 2007ore 15.00Domenica di spiritualità e formazione“Il primato dato alla santità”Ruggero ZanonVenerdì 12 ottobre 2007Scuola della ParolaGregorio VivaldelliDomenica 14 ottobre 2007ore 20.30Concerto di solidarietàArco (Tn)Venerdì 19 ottobre 2007ore 20.30S. Messa

II CONFERENZA GE-NERALE EUROPEA“PACE ED UNITÀ IN CRISTO IN EUROPA”

Nei giorni dall’1 al 4 novembre 2007 l’Associazione Comu-nità Shalom parteci-perà ad Assisi alla II Conferenza Generale Europea della “Catho-lic Fraternity of Cha-r ismat ic Covenant Communities and Fel-lowships”.

CONGO: INAUGURAZIONE DEL CENTRO SANITARIO SHALOM “DON DOMENICO PINCELLI”

Il prossimo 9 dicembre 2007 verrà inaugurato a Sembè in Congo il “Cen-tro Sanitario Shalom” intitolato alla memoria di don Domenico Pincelli.

Nell’occasione saranno presenti il Nunzio Apostolico nella Repubblica del Congo Mons. Andrés Carrascosa Coso, oltre a due membri dell’Associazione Comunità Shalom.

Il Centro Sanitario, ormai funzionante a pieno ritmo in ogni reparto, è un punto di aggregazione fondamentale per tutto il nord del Congo: rappresenta, infatti, l’unica valida risposta ai problemi sanitari della regione. Il progetto origi-nario prevedeva la costruzione di un semplice “dispensario”che venisse incontro ai problemi più urgenti degli ammalati locali: la generosità di tutti coloro che hanno voluto onorare la memoria di don Domenico Pincelli ha permesso la realizzazione di una vera e propria struttura ospedaliera, dotata di tutte le apparecchiature più avanzate e considerata talmente all’avanguardia che nella capitale se ne parla come dell’ospedale più attrezzato di tutto il paese.

Venerdì 26 ottobre 2007ore 20.30Incontro di preghieraVenerdì 2 novembre 2007ore 20.30Incontro di preghieraVenerdì 9 novembre 2007Scuola della ParolaGregorio VivaldelliVenerdì 16 novembre 2007ore 20.30S. MessaDomenica 18 novembre 2007ore 15.00Domenica di spiritualità e formazione“La pace-shalom”Stefania Demurtas

Venerdì 23 novembre 2007ore 20.30Incontro di preghieraVenerdì 30 novembre 2007ore 20.30Incontro di preghieraVenerdì 7 dicembre 2007ore 20.30Incontro di preghieraper i malatiVenerdì 14 dicembre 2007ore 20.30Scuola della ParolaGregorio VivaldelliVenerdì 21 dicembre 2007ore 20.30S. Messa

Domenica 23 dicembre 2007ore 20.30Concerto di solidarietàSporminore (Tn)Lunedì 24 dicembre 2007ore 21.00Veglia di NataleVenerdì 28 dicembre 2007ore 20.30Incontro di preghieraLunedì 31 dicembre 2007ore 21.00Veglia di Capodanno

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Strumenti di Pace

Se di domenica la Parola. Anno Adi Gregorio VivaldelliPagine 232

Si tratta di un commento al Vangelo della domenica per l’anno liturgico 2007/2008. Il brano viene riproposto per intero per poi essere analizzato nei suoi passaggi principali con una lettura esegetica concreta e mai banale.Uno strumento caratterizzato da agilità e facilità di comprensione; pensato e realizzato dall’autore (Direttore dello Studio Teologico Accademico di Tren-to) per essere usato dai parroci come traccia per le omelie domenicali, ma soprattutto dai fedeli come preparazione e approfondimento della Parola. Tradotto in polacco.

La bellezza di essere cristiani I movimenti nella ChiesaPontificium Consilium Pro LaicisPagine 234

In questo vo-l u m e s o n o raccolti gli in-ter venti e le meditazioni che hanno scandito la celebrazione dei Vespri della vigilia di Penteco-ste, presieduta da Benedetto XVI in Piazza San Pietro il 3 giugno 2006 alla presenza dei membri di oltre un centinaio di movimenti ecclesiali e nuove comunità, oltreché gli atti del secondo Congresso mondiale che su iniziativa del Pontificio Consiglio per i Laici li ha riuniti a Rocca di Papa nei giorni imme-diatamente precedenti.“I movimenti e le nuove comunità ecclesiali sono la risposta, suscitata dallo Spirito San-to, alla drammatica sfida di fine millennio” (Giovanni Paolo II): otto anni dopo il discorso pronunciato da Papa Wojtyla alla vigilia di Pentecoste del 1998, il suo successore ha voluto ripartire da lì e riprendere il discorso con i movimenti e le nuove comunità, con-vocandoli nello stesso luogo e nella stessa ricorrenza.

Gesù di Nazaretdi Joseph Ratzinger (Benedetto XVI)Pagine 446

“Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio. Io sono convinto (…) che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostru-zioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente.Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiega la sua crocifissione e si spiega la sua efficacia. Già circa vent’anni dopo la morte di Gesù troviamo pienamente dispiegata nel grande inno a Cristo della Lettera ai Filippesi (2,6-11) una cristologia, in cui si dice che Gesù era uguale a Dio ma spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò fino alla morte sulla croce e che a Lui spet-ta l’omaggio del creato, l’adorazione che nel profeta Isaia (45,23) Dio aveva proclamata come dovuta a Lui solo.La ricerca critica si pone a buon diritto la domanda: che cosa è successo in questi vent’anni dalla crocifissione di Gesù? Come si è giunti a questa cristologia? Come mai dei raggruppamenti sconosciuti poterono essere così creativi, convincere e in tal modo imporsi? Non è più logico che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù abbia fatto saltare tutte le categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio?” (Joseph Ratzinger).