N.33 Sulla via della pace

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1 Anno IX - n. 1 - Gennaio-Marzo 2014 - Trimestrale - Contiene I.R. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi ® EDITORIALE: Abbracciare la fraternità CARISSIMO: chi giudica chi? EMERGENZA FILIPPINE

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Rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

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1 Anno IX - n. 1 - Gennaio-Marzo 2014 - Trimestrale - Contiene I.R.Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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EDITORIALE:Abbracciare la fraternitàCARISSIMO:chi giudica chi?

EMERGENZAFILIPPINE

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L’Associazione Via Pacis è un’Associazione Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica e membro della Fraternità Cattolica delle Associazioni e Comunità Carismatiche di Alleanza di Diritto Pontificio.

Le attività di solidarietà promosse dall’Associazione Via Pacis sono gestite dalla Associazione Via Pacis onlusViale Trento, 100 - 38066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. +39.0464.555767 - Fax +39.0464.562969 [email protected]

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SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno IX - n. 1 gennaio-marzo 2014

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN)(19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Direttore di redazioneRuggero Zanon

RedazioneTiziano CivettiniRuggero Zanon

CollaboratoriPaola AngerettiStefania Dal PontAnnalisa Zanin

Archivio FotograficoPatrizia Rigoni

Distribuzione e numeri arretratiGraziana Pedrotti

AmministrazioneRenato Demurtas

EditoreAssociazione Via Pacis onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. +39.0464.555767Fax +39.0464.562969

GraficaEmmanuele Pepè[email protected]

StampaAntolini Tipografia - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di dicembre 2013

In copertina:Filippine: si può ricominciare!(foto di Massimo Zarucco)

GARANZIA DI RISERVATEZZA Ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n° 196/2003 (tutela dati personali) si garantisce la massima riserv-atezza dei dati personali forniti dai lettori ad Associazione Via Pacis onlus e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione, o di opporsi al trattamento dei dati che li riguardano, rivolgendosi al Titolare del trattamento dati, Associazione Via Pacis onlus – viale Trento, 100 – 38066 Riva del Garda (TN) o scriv-endo al Responsabile Dati dell’Associazione Via Pacis onlus Paolo Maino anche via email all’indirizzo [email protected]. è possibile consultare l’informativa completa all’indirizzo www.viapacis.info/privacy.aspx

3 Editoriale • Abbracciare la fraternità4 EMERGENZA FILIPPINE10 India • Via Pacis India11 We hope for Haiti now14 I have a dream • Relazioni da accordare16 Checkpoint • Questione di prospettive18 La vita come scelta20 Con il Papa per le famiglie22 Don Domenico vive26 Quanto amo la tua parola • Parola di Dio

sorgente d'amore30 Testimonianze • I love Him so much31 Fraternity • In cammino32 Lasciar parlare la danza34 Areopago • Tutto intorno a me35 Carissimo • chi giudica chi?

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E D I T O R I A L E

Ovunque vi siano rapporti, relazioni, è normale che si creino tensioni e conflitti, che possono sfociare in

divisioni, maldicenze, chiacchiere inutili e giudicanti. Un rischio che – paradossalmente – cresce con l’aumentare dell’intensità e dell’intimità del rapporto: più siamo vicini, più ci feriamo, e maggiore è il dolore per la sofferenza che ne consegue; non solo: più forte è il legame di amicizia, di affetto, di amore, più è facile ferirsi anche per questioni marginali, soprattutto perché è facile lasciarsi sopraffare dall’emotività, mettendo all’angolo la ragione, dimenticando ciò che di bene e di bello in quella relazione c’è stato.

Viviamo immersi in un clima di sospetto, di omertà, di chiacchiera, del “ti dico, ma non dire”, che conduce a una cultura di morte: morte dei rapporti, dei cuori, della pace, dell’unità, della memoria, dimenticando il senso di gratitudine per quello che si è ricevuto in attenzioni, ascolto, aiuto, consolazione, consiglio.Di fronte a questa cultura ormai generalizzata non possiamo rimanere indifferenti, perché anche l’indifferenza è una presa di posizione, un lasciare che le cose vadano da sé; e con il mio silenzio, la mia mancata presa di posizione, non solo non contrasto il dilagare del male, ma ne divento complice,perché, non trovando resistenza, il male si espande.Tutti desideriamo rapporti sereni, pacificati, rapporti all’insegna della chiarezza e della verità, del dialogo e dell’apertura. Troppe volte, però, finiamo con l'usare la lingua come un’arma di difesa e di attacco, spargendo sospetto e diffidenza; inquinando le relazioni, rompendo l'armonia intorno a noi. Se restiamo radicati in questa modalità di relazione, continuiamo ad innalzare altari al dio del sospetto, della

bugia, della divisione, del male, della calunnia. Altari sui quali immolare l’altro come capro espiatorio.Esiste un’alternativa possibile? Esiste una cultura della vita alla quale valga la pena di sacrificare i nostri idoli? Il salto da compiere è abbandonare la logica dei diritti per la logica del dono; cercare di vedere la diversità dell'altro come una ricchezza anziché come un pericolo.Qualsiasi società, gruppo, comunità, si fonda sulla dipendenza reciproca: la vita di ciascuno dipende dagli altri. È quindi vitale uscire dalla ristrettezza del proprio io per scoprirsi parte di un unico corpo. Fare comunità, fare fraternità, riconoscere l’altro – chiunque esso sia – come fratello, ci obbliga a rivoluzionare il nostro modo di vivere l’alterità; significa abbracciare la cultura della fraternità, restituire all’altro quella dignità che noi possiamo aver minato o leso, riconoscersi al pari di chi ci sta accanto. Significa accettare e accogliere il diverso, perché anch’io sono diverso per l’altro e anch’io posso lasciarmi accogliere.Per fare comunità/fraternità occorre riconoscersi fratelli, entrare nella logica per cui ad essere al centro della relazione non sono più io o l'altro, ma la relazione stessa. E allora la pace verrà! L’uguaglianza nella diversità potrà contribuire a restituire dignità, sincerità nei rapporti, verità, stima.La grande sfida allo stile di vita oggi dominante, della polemica, del colpire prima di essere colpito è deciderci invece per il dialogo e la riconciliazione; scegliere la cultura della fraternità, quella cultura che ci impedisce di richiuderci in noi stessi, diffondendosi come fermento sociale e culturale. È optare per il bene comune, che non è mio o tuo, ma nostro. È decidere di percorrere una strada – quella della fraternità – che porta all’unità e alla pace. Cercare di vivere la fraternità nelle nostre realtà, nei nostri gruppi, nelle nostre comunità, è l’obiettivo fondamentale cui improntare il proprio agire, per una convivenza più pacifica e serena, che è il bene comune. Nell’unità sono finalmente libero di pensare al plurale.

Abbracciare la FRATERNITÀ

di Paolo Maino

ABBRACCIARE LA FRATERNITÀ

Foto di Emmanuele Pepè

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L’ennesimo tifone nelle Filippine, ed è emergenza assoluta! Nel novembre scorso il supertifone Haiyan si è abbattuto sull’arcipelago del sud est asiatico con una forza incredibile, lasciando dietro a sé devastazione, morte e disperazione. Riceviamo da suor Rosanna Favero, referente dell’Associazione Via Pacis per i progetti nelle Filippine, le notizie che giriamo:

“Carissimi, il tifone Haiyan è stata una cosa terribile.

La parte sud di Mindoro è stata colpita terribilmente. Una potenza mai sperimentata prima, per quello che vi posso dire, ha devastato interi villaggi. La prevenzione e l'obbligo per la gente di trasferirsi in scuole, chiese e strutture di cemento hanno contribuito a salvare le vite, ma il tifone ha distrutto ciò che è rimasto sulla sua via, comprese le piantagioni di riso pronte per il raccolto. La nostra casa, la nostra scuola e la struttura multiservizio sono affollate di famiglie... che non

sanno ciò che troveranno al rientro: è un momento molto duro.Non è solo Mindoro a sperimentare questa tragedia. I luoghi colpiti recentemente dal terremoto sono stati fra i primi ad essere colpiti ancora una volta. Davvero non ci sono risposte ai tanti “perché”, solo si cerca di incoraggiarsi a vicenda... Vi ringrazio per la vicinanza e vi prego di ringraziare quanti manifestano la loro solidarietà”.Nel riferire circa quei momenti terribili, scrive ancora: «La sera dell’8 novembre molte persone

si sono recate alla scuola (una delle poche costruzioni in cemento) cercando riparo, e hanno continuato ad arrivare fino al punto che non ci si poteva sedere, perché non c’era posto, ma almeno il luogo era più sicuro delle povere capanne».Violy, una giovane insegnate, racconta: ‘Ben presto il vento ha iniziato ad aumentare di potenza e si poteva udire la sua voce spaventosa, il rumore degli alberi che cercavano di resistere, gli oggetti che il vento raccoglieva e trasportava con sé. Anche il mare sembrava

Foto di Massimo Zarucco

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CARNE IN SCATOLA NORTE 200GSARDINE IN SCATOLA 155GMINESTRE IN SCATOLA 130GLATTE IN POLVERE 300 GCAFFÈ 100GZUCCHEROCONFEZIONI DI BISCOTTICIOCCOLATO IN POLVEREMONGGO (LEGUMI SECCHI)RISOCONTENITORE DI PLASTICASTUOIA (FAMILY SIZE)ASCIUGAMANICOPERTE LEGGERE

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LEGNO (COCO LUMBER)SAWALINIPAPALI LEGNO (POSTE)COMPENSATO (PLYWOOD)MAZZI DI BAMBÙ (KAWAYAN)CHIODI

Causale: Emergenza tifone Filippine Intestatario: Associazione Via Pacis onlus

CASSA RURALE ALTO GARDAIBAN: IT67C0801635320000002142146

53€

41€

310€

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gridare e si percepiva che le sue onde si facevano sempre più impetuose. Dentro la scuola, si pregava al buio: i più piccoli avevano paura e piangevano, le mamme cercavano di consolarli, ma anche nel loro cuore c’era la preoccupazione per gli altri familiari. Verso mezzanotte abbiamo temuto di non farcela: sentivamo il vento muovere il tetto ed ogni momento sembrava portarlo via. È durato alcune ore, ma è sembrato interminabile. Verso l’alba si è calmato e siamo uscite per vedere, senza riuscire a frenare le lacrime di consolazione e gratitudine a Dio per essere ancora in vita e di grande tristezza nel vedere la distruzione lasciata dal tifone Yolanda. La luce dell’alba ha permesso di vedere poco a poco un ambiente che non sembrava il nostro...". Un altro sopravvissuto racconta: "Per lunghe ore un vento potente ad una velocità di più di 250 km all’ora ha abbattuto alberi e le abitazioni costruite con materiale leggero, scoperchiato tetti, distrutto le piccole imbarcazioni di pescatori, portato via animali, grande ricchezza per le famiglie, distrutto le piantagioni di riso pronte per il raccolto. Ha impoverito i più poveri. Verso le prime ore dell’alba il vento si è calmato e la gente ha fatto pian piano

ritorno alle proprie abitazioni, raccogliendo e riordinando ciò che poteva servire per riparare o, perlomeno, rafforzare le parti insicure. Grande tristezza insieme alla consolazione di essere vivi".Di fronte a tante difficoltà e tragedie, che in modo particolare quest’anno hanno toccato le Filippine, non ci si può non chiedere perché queste calamità si ripetano così frequentemente. Non c’è risposta, ma anche in questi momenti c’è la consolazione di non essere soli e di imparare gli uni dagli altri ad affrontare il dolore con dignità e accettazione, e la speranza che dopo l’oscurità viene la luce.Grazie per essere luce, speranza e vita con il vostro affetto, preoccupazione, tenerezza e solidarietà”.

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La realizzazione di alcune case in muratura mira a scongiurare il ripetersi di fenomeni di distruzione e devastazione, con i quali è costretta a convivere la popolazione filippina a causa delle avverse condizioni climatiche e delle calamità atmosferiche che si verificano con una certa regolarità (tifoni, uragani, inondazioni). Solo detta tipologia di costruzioni è, infatti, in grado di garantire un minimo di sicurezza di fronte a fenomeni atmosferici di tale gravità.

Suor Rosanna scrive: “Ho pensato alla vostra proposta delle casette in cemento, proposta che non mi ha fatto dormire la notte immaginando tante vite rivestite di dignità... ho pensato che centinaia di persone hanno trovato riparo presso strutture che ci sono state offerte dalla costante solidarietà di tutti voi, ho sentito la consolazione di aver potuto provvedere subito al riso e pacchi alimentari per tante famiglie e di poter rispondere positivamente alle loro richieste di aiuto per il materiale necessario per riparare o ricostruire le capanne...”.

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Da anni Via Pacis riserva una speciale attenzione alla povertà delle famiglie e al sostegno dei bambini. Sente fortemente l'esigenza di offrire loro la possibilità di un futuro migliore, attraverso un percorso di formazione umana e scolastica. Dal '94 sono state attivate le adozioni a distanza, che consentono ai piccoli – rimanendo nella famiglia di origine – di frequentare scuole primarie, secondarie e di formazione professionale. Attraverso l'adozione si contribuisce alla sopravvivenza di tutto il nucleo familiare, fornendo generi alimentari, vestiario, beni di prima necessità.

Scrive suor Rosanna Favero: «L’isola di Mindoro è stata colpita, impoverita soprattutto là dove la sopravvivenza è fatica quotidiana, ma c’è motivo di ringraziare il Signore, perché non ci sono state vittime. Molti hanno scritto chiedendo notizie dei vostri ragazzi e delle loro famiglie. Vi posso assicurare che stanno tutti bene. Per tutti loro c’è ora la fatica di ricominciare, c’è il trauma della paura – soprattutto nei più piccoli e deboli –, ma anche la certezza che non sono soli, e la gratitudine per il dono della vita che non è stato tolto».

26€al mese

CIBO E VESTIARIO PER TUTTA LA FAMIGLIA

SPESE SCOLASTICHE

CURE MEDICHE

Presidente Via Pacis onlusRoberta RiccadonnaTel. +39 0464.555767

Cell. 347.9278272e-mail: [email protected]

www.viapacis.info/onlus/adozioniadistanza

P E R I N F O R M A Z I O N I

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Anche in questi momenti c'è la consolazione di non essere soli... e la speranza che, dopo

l'oscurità, viene la luce

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INDIANel novembre scorso ha avuto formalmente il via la prima Comunità Via Pacis in India. Nel corso del primo incontro c’è stata la benedizione del Vescovo di Kumbakonam, S.E. mons. Francis Antonysamy, che ha avuto parole di incoraggiamento per questa nuova realtà, unendosi alla preghiera dei membri. Erano presenti, fra gli altri, anche il parroco padre Martin De Porres, con il suo assistente padre James.La Comunità, affidata al delegato vescovile per i progetti, padre Adaykalasamy Erudayan, ha cominciato il suo percorso di formazione a Kumbakonam, nel Tamil Nadu.

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In alto a sinistra:S.E. Mons. Francis Antonysamy con alcuni membri di Via Pacis India.

In basso a sinistra:Il responsabile di Via Pacis India, Padre Adaykalasamy Erudayan, con i fondatori di Via Pacis.

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Prima di arrivare ad Haiti pensavo: cosa troverò? Perché Dio, tramite Via Pacis, vuole portarmi in questo luogo?

É stata l'occasione di aprirmi a una nuova cultura, ricordandomi che le frontiere le poniamo noi, ma agli occhi di Dio siamo tutti uguali, e quello che c i differenzia sono solo le abilità che abbiamo sviluppato.Il tragitto dall’aeroporto alla nostra destinazione è stato a dir poco impattante. Per le strade si vende di tutto: vestiario, scarpe, materassi, viveri, acqua. Le condizioni igieniche sono minime, con maiali, galline e capre che razzolano tra le immondizie per cercare cibo. La nostra base era la ‘Fondazione per la Ricostruzione e lo Sviluppo’ in una località chiamata Croix de Bouchet, presso i padri Scalabriniani. Padre Giuseppe Durante è il responsabile del progetto e della gestione degli aiuti; un uomo tenace, instancabile e pieno di carità. Si occupa di tutto: dall’incarico all’operaio fino alla comunicazione di avanzamento dei lavori ai vari enti che lo finanziano. Fanno capo alla Fondazione un ospedale e una scuola diretta dalle Missionarie Domenicane della Presentazione. La Fondazione ha anche una fabbrica di mattoni per la ricostruzione di edifici dignitosi, nei quali abiteranno a breve un centinaio di persone; infine, possiede un panificio, che genera occupazione, introiti e cibo sano.Particolarmente toccante è stato incontrare una gran quantità di missionari: italiani in maggioranza, ma anche spagnoli, colombiani,

cileni, francesi, a conferma che le frontiere sono solo nella nostra mente.Abbiamo avuto la possibilità di visitare varie parti della città, incontrando una dura realtà fatta di famiglie disastrate, ammassate in case minuscole, senza bagno, senz’acqua corrente e senza lavoro.La scuola diretta dalle suore è un luogo speciale, dove si cerca di cominciare a cambiare il paese con l’educazione, partendo dall’infanzia. Purtroppo lo studio non è appannaggio di tutti i bambini. Tuttavia ci dà molta gioia vedere bambine e bambini sorridenti e con uniformi pulite. È un presagio di speranza per loro e per tutto il paese. Attualmente sono 750 gli studenti che frequentano la scuola, ma ci sono anche corsi speciali per

bambini con problemi di handicap o con deficit di attenzione e corsi per i genitori che desiderano conseguire la licenza elementare.Ho pianto di gioia al pensiero dell’opportunità datami di conoscere tanta gente di qualità, di imparare a dar valore alla vita su di un piano più umano e meno materialista, pur non disprezzando le comodità di cui dispongo grazie a Dio e alla mia famiglia.Sono grato di aver conosciuto Via Pacis, il suo Fondatore e il Responsabile per la Colombia, che sono uomini di gran cuore, disposti a spendere la vita per gli altri, seguendo il mandato di Gesù. Grazie per aver potuto vivere questa esperienza, che mi ha fatto crescere come persona ed ha fortificato la mia fede.

dI Hernán Darío Restrepo

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Foto di Julian Ramirez Zuluaga

I N F O R M A Z I O N E

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dI Julian Ramirez Zuluaga

Subito dopo il terribile terremoto che ha investito Haiti nel gennaio 2010, l’Associazione

Via Pacis, in collaborazione

con la ditta Zampedri e altre associazioni ed enti provinciali – sia pubblici che privati – riuniti sotto il logo “We hope for Haiti now”, aveva promosso una raccolta fondi destinata ad alleviare la sofferenza immediata degli haitiani e a cooperare alla ricostruzione di un territorio quasi completamente distrutto. A tal fine nel 2010 a Riva del Garda erano stati organizzati due concerti dell’ensemble di Coro, Ballo e Orchestra del reparto aviazione dell’Armata Rossa di Mosca, il cui ricavato è stato interamente destinato al finanziamento di micro progetti in favore dei bambini di Port-au-Prince, la capitale di Haiti dove il terremoto aveva causato i danni peggiori.Dal 2010 ad oggi sono stati continui gli scambi di corrispondenza tra il referente locale del progetto

e l’Associazione Via Pacis, che in tre occasioni ha provveduto ad inviare un proprio rappresentante in loco al fine di verificare lo stato di avanzamento del progetto.Nell’ottobre scorso si è recato ad Haiti il Presidente e Fondatore di Via Pacis, Paolo Maino, insieme al responsabile dell’America Latina, Julian Ramirez, e a Hernan Restrepo, un giovane della comunità colombiana. È stata l’occasione per visitare personalmente la Scuola Secondaria “San Carlo Borromeo” a Croix-des-Bouquets, a 15 Km dalla capitale Port-au-Prince, costruita grazie alla raccolta di fondi dell’iniziativa “We hope for Haiti now”. Ad oggi è l’unica struttura della zona: accoglie 250 studenti e rappresenta l’unico centro di aggregazione per bambini e giovani, dove

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poter offrire una formazione di base a livello di alfabetizzazione primaria ed educazione sanitaria familiare. La scuola eccelle per la dignità che viene conferita ai suoi studenti, e rappresenta un prezioso contributo per l’educazione e la speranza delle nuove generazioni.La direttrice della scuola, suor Gloria Gonzales, riferisce: “Ringraziamo tutti i benefattori di questo progetto. Abbiamo ultimato la prima tappa, che ha visto la costruzione delle aule, dei bagni e del refettorio. Ora speriamo di poter realizzare quanto prima la seconda tappa: un ampliamento che permetterà di ospitare un numero maggiore di studenti e di avere una biblioteca nostra. In questa nazione, dopo una lunga storia di sofferenze culminate

con il recente terremoto, non vediamo altra via al di fuori dell’educazione per cambiare quei paradigmi che hanno mantenuto il popolo haitiano nella più terribile emarginazione umana e sociale”.Provare a descrivere la realtà di Haiti è tutt’altro che semplice: è una nazione politicamente divisa, con un’economia in crisi e un livello di disoccupazione che tocca punte del 70% per le persone in età lavorativa, e con indici di sviluppo molto inferiori rispetto agli standard dei paesi vicini. Il sistema educativo è di bassa qualità ed esclude un alto indice di popolazione, dato che le scuole sono per la maggioranza private e le poche scuole pubbliche mancano di risorse di base e non sono in grado di far fronte alle esigenze.

“La situazione che abbiamo trovato – commentano i tre visitatori – testimonia un progresso molto lento nella ricostruzione materiale e, soprattutto, del tessuto sociale. Fattori politici, economici, culturali, insieme all’inclemenza della natura, fanno sì che quella di Haiti non sia una tragedia superata, da gettare nel dimenticatoio”.Durante questa visita Paolo Maino ha anche incontrato l'arcivescovo di Port-au-Prince, Mons. Guire Poulard, che ha manifestato la sua immensa gratitudine per tutti coloro che stanno concorrendo alla ricostruzione, ed ha ribadito la necessità di continuare a promuovere programmi sociali ed educativi, di salute e di occupazione lavorativa, che non possono interrompersi una volta restaurati gli edifici crollati con il terremoto.

Foto di Karen Ballard

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Esiste uno stile di carità Via Pacis? Sì, è lo stile dell’incarnazione del Vangelo della riconciliazione che

Paolo, Eliana e don Domenico hanno esercitato – e continuano ad esercitare – giorno dopo giorno. Nella storia della Chiesa lo Spirito ha suscitato degli stili, che noi possiamo chiamare “spiritualità”, che, se vissuti, hanno la forza di realizzate tutto il Vangelo. Come realizzare il “sopportandovi a vicenda nell’amore” nello stile Via Pacis?Guardando ai fondatori è possibile scoprire in che modo Dio vuole che noi ci relazioniamo. Questo non significa scimmiottarli, non significa modificare la propria indole. Significa che nel loro modo di affrontare le situazioni di relazione c’è nascosto qualcosa di rivelativo del carisma.Osservando il loro stile di vita quotidiano, emergono i tratti caratteristici dello stile Via Pacis:• Pensa bene: questo criterio evangelico ha la capacità di far saltare i preconcetti e i pregiudizi

che partono alla carica quando andiamo in contrasto o in collisione con qualcuno. Il “pensa bene” è la disciplina dei pensieri: è sottomettere il pensiero al bene, a Dio, rinunciando ad essere io Dio, quindi rinunciando ad avere in tasca la soluzione perfetta, la cosa giusta da fare. Oltre a mettere il bene tra me e l’altro – e, quindi, a non mettere il male –, questa scelta di pensiero apre alla relazione. Il giudizio uccide, il “pensa bene” rianima.• Dare sempre una possibilità; cuore aperto, porta aperta: quanti di noi hanno sbagliato nel loro modo di affrontare relazioni, servizi, impegni comunitari? quanti di noi hanno giudicato? Nonostante i nostri attentati all’unità e all’amore fraterno, ci è sempre stata data una nuova possibilità. Chiediamoci allora: io do un’altra possibilità? In un Editoriale di questa rivista, Paolo Maino sottolineava come il mondo abbia bisogno di padri che sappiano “scommettere sulle debolezze dei figli”. Ciascuno di noi è quel figlio/a debole su cui Via Pacis non ha

smesso di scommettere! Noi siamo capaci di scommettere gli uni sugli altri? siamo capaci di dare un’altra possibilità? Com’è il mio cuore con quel fratello o quella sorella, con la quale ho avuto una discussione, una tensione, o dal quale mi sono allontanato per impegni familiari o di lavoro? Il mio cuore è aperto per lei/lui? Cuore aperto significa anche capacità di rispettare andate e ritorni, saper aspettare, saper rispettare, non mettere fretta e, contemporaneamente, proseguire con fedeltà nel cammino. • Filone aurifero: tutti abbiamo dentro di noi un filone aurifero e la nostra felicità sta proprio nel trafficare i tesori di questa sorgente. È tempo che diventiamo anche noi scopritori di questo filone in chi ci sta accanto; e, se non lo vediamo, non vuol dire che non ci sia: possono esserci gelosie che mi impediscono di vederlo, punti scoperti che hanno bisogno di pacificazione. Se l’altro mi provoca questi sentimenti, posso chiedermi da che cosa è causato questo malessere, e magari scoprire

di Claudia Carloni

RELAZIONIda accordare

I H A V E A D R E A M

Siamo capaci di

scommettere gli uni sugli

altri? Siamo capaci

di dare un'altra

possibilità?

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qualcosa di interessante su di me. Solo con uno sguardo bonificato dall’amore di Dio è possibile vedere in sé stessi e negli altri quel filone aurifero che ciascuno porta dentro di sé e che, molto spesso, è stato sotterrato dalla disistima, dalla paura e dal rifiuto.• Piccole attenzioni: non è finito il tempo delle piccole attenzioni! Sono questi gesti che dicono il nostro amore reciproco; sono – per dirlo con parole di Eliana – “affetto tonificante”. • Nella gioia, nel dolore: lo stile Via Pacis ci spinge a gioire con chi è nella gioia e a piangere con chi è nella sofferenza. La vita comunitaria ci spinge a non trattenere per noi né le gioie né le sofferenze, ma a condividerle.• Curare le relazioni, tempi e modi: fissarsi una cadenza. Le relazioni non crescono da sole, sono nelle nostre mani. Sta a me curarle,

sta a me investirci tempo ed energia, sta a me pianificare. • Senza paura del conflitto: Le relazioni difficili sono il luogo di maggior crescita. Una delle Parole

fondative del carisma è “amate i vostri nemici”. Non pensiamo subito a quelli fuori dalla comunità, fuori dalla Chiesa. La comunità non è preservata dal conflitto: per questo è così necessario e urgente scegliere di farsi liberamente prigionieri del

“sopportatevi a vicenda nell’amore”. Perché basta poco per rovinare il progetto di Dio. Dio ha messo nelle nostre mani, in vasi di cristallo, il carisma Via Pacis e vuole che lo viviamo prima di tutto tra di noi, nelle nostre comunità. I conflitti vanno gestiti, vanno affrontati (mai da soli): da essi possiamo imparare tanto. • Riconciliazione: siamo nel

cuore del carisma. Il “perdono permanente” va messo in circolo nella nostra quotidianità. Il perdono è uno stile di carità fraterna e non finiremo mai di comprenderlo in tutta la sua pienezza. Non siamo noi che facciamo gesti di carità (anche...): è la carità che agisce in noi, è il perdono che agisce, è Dio che agisce.Le relazioni costituiscono un vero e proprio momento epifanico, rivelativo dell’uomo e di Dio: si accoglie e si è accolti. La vera persona spirituale sa che solo tutto ciò che è assunto, accettato, accolto e donato “in” e “a” Dio, in Cristo e nello Spirito Santo, nel tempo presente, non andrà perso, ma fruttificherà e feconderà. È un incontro in forza della debolezza: le mie povertà e fragilità, il mio peccato non sono più ostacoli, ma occasioni per mettermi in gioco e camminare insieme ai fratelli.

RELAZIONI DA ACCORDARE

«Il pensa bene è sottomettere

il pensiero al bene, a Dio,

rinunciando ad essere

io Dio»

Foto di Marcello Cenedese

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C H E C K P O I N T

L’agenzia di viaggi più alla moda ed esclusiva prometteva la ricetta della felicità.La proposta era

allettante, ma esigente; il pacchetto vacanze prevedeva infatti regole molto rigide: durante il viaggio, bisognava camminare con la faccia all’indietro oppure – poiché questo

era assai scomodo – con uno specchietto retrovisore fissato sulla spalla destra.Era inoltre obbligatorio piangere sul latte versato, constatare che i bicchieri sono sempre mezzi vuoti, dichiarare che nessuna ciambella riesce mai col buco.Tutti lo dovevano fare, specialmente i giovani e i bambini, altrimenti potevano essere considerati un po’ strani. E questo era assolutamente da evitare.Solo che, così, tutti andavano a

sbattere contro gli alberi e non vedevano a un palmo dal loro naso; non vedevano più il futuro, i fiori, i colori. Anche i profumi scappavano via e, soprattutto, se ne andava via la gioia.In quel meraviglioso viaggio che è la nostra vita, molti ‘cattivi maestri’ ci stanno rubando la gioia di guardare avanti. Ci fanno pensare male: tutto è marcio, sporco, disonesto; non vale la pena impegnarsi su niente e con nessuno. Ci aggiriamo come solitari e patetici guerrieri in una

Questione di PROSPETTIVE

di Tiziano Civettini

Cosa fare per

contrastare chi ci ruba il futuro e la gioia?

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17QUESTIONE DI PROSPETTIVE

scenografia da fine del mondo, come ci mostra la maggioranza dei film attualmente di successo.E ci illudiamo che una via di fuga sia la nostalgia del passato: le vecchie canzoni, i vecchi miti, le vecchie liturgie, i vecchi giochi politici, le vecchie abitudini di dire, almeno tre volte al giorno (dopo i pasti): “ai miei tempi sì…ora invece…”.Cosa fare per contrastare chi ci ruba il futuro e la gioia? Via Pacis ha inventato una forma di baratto:“la rabbia, la delusione e il rimpianto,

contro la gioia e la speranza”.La cosa non è senza rischi: c’è infatti il pericolo che crollino le quotazioni in borsa del rimpianto, dell’odio e della tristezza!Il baratto dura una vita, ma può iniziare anche subito, se si vuole: dicendo ‘grazie’ per le piccole cose ricevute, in cambio del lamentarsi per quelle che non si hanno; rivolgendosi con gentilezza alla persona che mi fa lo scontrino in negozio, in cambio dell’aggressività e della fretta; facendo con cura

un lavoro o un compito di scuola, in cambio della recriminazione e dello sbuffare; dando un aiuto con semplicità quando serve, in cambio della mia pigrizia; regalando un sorriso, in cambio di una battuta cinica o di una critica alle spalle.Questo baratto è una ‘piccola via’ per stare insieme, per aiutarsi, per riconciliarsi con se stessi, col mondo e con Dio, per sperare in un mondo più bello e più buono. Non è una magia, è un cammino, una via: una ‘via pacis’.

Barattare la rabbia,

la delusione e il rimpianto,

con la gioia e la speranza

Foto di Emmanuele Pepè

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“La vita come scelta”. Questo il titolo degli appuntamenti con la

Divina Commedia promossi dall’Associazione Via Pacis e tenuti da Gregorio Vivaldelli. Due serate nella sala dei 1000 al Palacongressi di Riva del Garda (Tn), che hanno fatto registrare il tutto esaurito, con grande emozione e partecipazione

di Camilla Robol

Foto di Stefano Salvi

No choice, No Life

I N F O R M A Z I O N E

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delle scelte, da quelle quotidiane a quelle più importanti, è come prendere in mano la mia esistenza e non farla prendere in mano da altri, adattandomi alla massa, al “così fan tutti”. E mi obbliga a chiedermi: scelgo di studiare? scelgo di perdonare? scelgo di vivere?“Libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”: sono le parole con cui Virgilio presenta Dante a Catone, il custode del Purgatorio. Anch’io – ho pensato – sono alla ricerca della libertà. Ma cos’è la libertà? È poter fare ciò che voglio? È vivere senza regole e senza impegni? È vero, la libertà è la cosa più preziosa, perché è scoprire di essere amati, di ‘appartenere a Qualcuno’, e per questo si può scegliere di affrontare la propria vita, i propri timori e le proprie angosce con speranza.

da parte di tutto il variegato pubblico. Moltissimi i giovani, che hanno deciso di passare un sabato sera alternativo.Siamo stati introdotti nel mondo del Purgatorio di Dante, in un viaggio dentro noi stessi, un viaggio che ci ha portato a guardare in faccia il nostro male, il nostro ‘inferno’, ma sempre alzando lo sguardo al cielo, per salire verso il bene più grande. In quest’ottica il Purgatorio diventa, per noi giovani, un invito e una possibilità di liberarsi dalle proprie paure e dai propri incubi, spinti dal desiderio di bene, di bello, di vero: dal desiderio di Dio.Mi ha colpito specialmente che Dante abbia a cuore i temi della scelta e della libertà. Secondo il poeta chi non sceglie decide di non vivere: No scelta, no vita! Questo mi affascina molto. Scegliere non è una perdita di tempo. Scegliere è vivere! Fare

Foto di Stefano Salvi

Libertà va cercando ch’è sì cara,

come sa chi per lei

vita rifiuta

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Piazza San Pietro - Sabato, 26 ottobre 2013

Care famiglie! Buonasera e benvenute a Roma![...] Avete voluto chiamare questo momento “Famiglia, vivi la gioia della fede!”. [...] Come è possibile vivere la gioia della fede, oggi, in famiglia? [...] È possibile vivere questa gioia o non

è possibile?C’è una parola di Gesù, nel Vangelo di Matteo, che ci viene incontro: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). La vita spesso è faticosa, tante volte anche tragica! [...] Lavorare è fatica; cercare lavoro è fatica. E trovare lavoro oggi chiede tanta fatica! Ma quello che pesa di più nella vita [...] è la mancanza di amore. Pesa non ricevere un

sorriso, non essere accolti. Pesano certi silenzi, a volte anche in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli. Senza amore la fatica diventa più pesante, intollerabile. Penso agli anziani soli, alle famiglie che fanno fatica perché non sono aiutate a sostenere chi in casa ha bisogno di attenzioni speciali e di cure. «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi», dice Gesù. Care famiglie, il Signore conosce le nostre fatiche: le conosce! E conosce i pesi della nostra vita. Ma il Signore conosce anche il nostro profondo desiderio di trovare la gioia del ristoro! Ricordate? Gesù ha detto: «La vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Gesù vuole che la nostra gioia sia piena! Lo ha detto agli Apostoli e lo ripete oggi a noi. Allora questa è la prima cosa che stasera voglio condividere con voi, ed è una parola di Gesù: Venite a me, famiglie di tutto il mondo - dice Gesù - e io vi darò ristoro, affinché la vostra

Discorso di Papa Francesco alle Famiglie

Circa centomila persone, provenienti da tutto il mondo, si sono riunite in piazza San Pietro il 26 e 27 ottobre 2013 per la due giorni di "Famiglia, Vivi la gioia della fede! Pellegrinaggio delle Famiglie alla Tomba di San Pietro per l'Anno della Fede".All’evento era presente anche una delegazione dell’Associazione Via Pacis.

Con il Papa per le FAMIGLIE

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gioia sia piena. E questa Parola di Gesù portatela a casa, portatela nel cuore, condividetela in famiglia. Ci invita ad andare da Lui per darci, per dare a tutti la gioia.La seconda parola la prendo dal rito del Matrimonio. Chi si sposa nel Sacramento dice: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Gli sposi in quel momento non sanno cosa accadrà, non sanno quali gioie e quali dolori li attendono. Partono, come Abramo, si mettono in cammino insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme, mano nella mano, affidandosi alla grande mano del Signore. Mano nella mano, sempre e per tutta la vita! E non fare caso a questa cultura del provvisorio, che ci taglia la vita a pezzi!Con questa fiducia nella fedeltà di Dio si affronta tutto, senza paura, con responsabilità. Gli sposi cristiani non sono ingenui, conoscono i problemi e i pericoli della vita. Ma non hanno paura di assumersi la loro responsabilità, davanti a Dio e alla società. Senza scappare, senza isolarsi, senza rinunciare alla missione di formare una famiglia e di mettere al mondo dei figli. - Ma oggi, Padre, è difficile… -. Certo, è difficile. Per questo ci vuole la grazia, la grazia che ci dà il Sacramento! I Sacramenti non servono a decorare la vita - ma che bel matrimonio, che bella cerimonia, che bella festa!… - Ma quello non è il Sacramento, quella non è la grazia del Sacramento. Quella è una decorazione! E la grazia non è per decorare la vita, è per farci forti nella vita, per farci coraggiosi, per poter andare avanti! Senza isolarsi, sempre insieme. I cristiani si sposano nel Sacramento perché sono consapevoli di averne bisogno! Ne hanno bisogno per essere uniti tra loro e per compiere la missione di genitori. “Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. Così dicono gli sposi nel Sacramento e nel loro Matrimonio pregano insieme e con la comunità. Perché? Perché si usa fare così? No! Lo fanno perché ne hanno bisogno, per il lungo viaggio che devono fare insieme: un lungo viaggio che non è a pezzi, dura tutta la vita! E hanno bisogno dell’aiuto di Gesù, per

camminare insieme con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! E questo è importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti, tutti! Talvolta facciamo cose che non sono buone e fanno male agli altri. Avere il coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo… Alcune settimane fa, in questa piazza, ho detto che per portare avanti una famiglia è necessario usare tre parole. Voglio ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte - io dico - volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia! “Scusatemi”, ecco, e si

rincomincia di nuovo. Permesso, grazie, scusa! Lo diciamo insieme? Permesso, grazie e scusa! Facciamo queste tre parole in famiglia! Perdonarsi ogni giorno!Nella vita la famiglia sperimenta tanti momenti belli: il riposo, il pranzo insieme, l’uscita nel parco o in campagna, la visita ai nonni, la visita a una persona malata… Ma se manca l’amore manca la gioia, manca la festa, e l’amore ce lo dona sempre Gesù: Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà la sua Parola e ci dà il Pane della vita, perché la nostra gioia sia piena.[...] Care famiglie, anche voi siete parte del popolo di Dio. Camminate con gioia insieme a questo popolo. Rimanete sempre unite a Gesù e portatelo a tutti con la vostra testimonianza. Vi ringrazio di essere venute. Insieme, facciamo nostre le parole di san Pietro, che ci danno forza e ci daranno forza nei momenti difficili: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Con la grazia di Cristo, vivete la gioia della fede! Il Signore vi benedica e Maria, nostra Madre, vi custodisca e vi accompagni. Grazie!

Foto di Giovanna Fambri

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don Domenico VIVEIn occasione del decimo anniversario della morte di don Domenico Pincelli, co-fondatore dell’Associazione Via Pacis, il 18 ottobre 2013, presso l’auditorium dell’Oratorio San Gabriele di Arco (Tn), si è tenuta la serata “don Domenico Pincelli, ambasciatore di riconciliazione”.Nel corso dell’evento, i fondatori Paolo ed Eliana Maino hanno evidenziato alcuni tratti del carisma di questo uomo, che ha speso tutta la sua vita in favore dei più deboli e degli ammalati. Don Luigi Amadori, Decano e Parroco di Arco, ha invece sottolineato la figura del sacerdote. Infine, un film documentario ha raccolto le testimonianze di coloro che, in momenti particolarmente difficili della loro esistenza, hanno trovato in don Domenico un padre capace di accoglierli incondizionatamente e ridonare loro fiducia e speranza.

Eliana Aloisi Mainoco-fondatrice di Via Pacis

L'avventura di Paolo e mia con don Domenico è iniziata nel 1979, quando la strada di questo sacerdote si è incrociata con la nostra e ha dato origine a qualcosa che mai avremmo pensato ci avrebbe portato dove siamo adesso, dopo 35 anni.Noi e don Domenico eravamo

persone molto diverse per abitudini, età, carattere e stato di vita; mettere insieme una coppia di sposi e un sacerdote, non giovanissimo, sicuramente è stato un azzardo dello Spirito Santo.L'esperienza di convivenza è cominciata nel 1980 e così è nata la Comunità Shalom, diventata poi, Via Pacis. Quando don Domenico guardava con stupore questa nostra esperienza che si andava consolidando, diceva sempre che è il segno di Dio fare grandi cose con piccoli mezzi, magari anche inadeguati, come eravamo noi.Poco prima di morire don Domenico ci ha detto che in cielo avrebbe fatto molto di più di quanto aveva fatto su questa terra e ha mantenuto questa promessa perché in dieci anni, grazie alla sua potente intercessione, Via Pacis è presente attualmente in quattro continenti.Con l'età e la vita, il pensiero e la predicazione di don Domenico si

sono fatti sempre più essenziali e si sono enucleati attorno a tre parole che sono l'eredità che ci è rimasta: Ama, Prega, Perdona. Questa era la sua filosofia di vita; una filosofia che incarnava, perché lui viveva quello che diceva.È sempre stato un uomo di preghiera, da bambino in su, come anche ci hanno confermato i suoi compagni di seminario. Negli ultimi anni il Rosario era diventato sempre di più la sua preghiera preferita, la sua preghiera continua, perché scaturiva continuamente dal suo cuore.Lui pregava sempre, per tutti, sia per le persone che seguiva, sia per tutte le situazioni di cui sentiva parlare tramite i giornali o la televisione.Era una persona che amava molto e perdonava molto. Diceva che il perdono è la quintessenza dell'amore.Don Domenico ha vissuto il perdono

GRANDI COSE CON PICCOLI MEZZI

Foto di Anna Cavedon

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nella sua vita, perdonando sempre, perdonando tutto e tutti. È stata una persona che ha donato il perdono abbondantemente attraverso il Sacramento della Riconciliazione; ha passato la maggior parte della sua vita in confessionale, amministrando con abbondanza la misericordia di Dio.Dopo la sua morte ci sono arrivate tante testimonianze di cambiamenti di vita, di conversioni, di riconciliazioni con Dio Padre e con la figura del padre terreno.Don Domenico aveva la capacità di far incontrare l’amore di Dio. Questo era proprio un suo dono.Era convinto che la maggioranza delle malattie fisiche, psicologiche o spirituali, dipendessero dall’odio, dalla rabbia, dal risentimento e dal rancore, e per questo esortava a perdonare.Diceva che il perdono guarisce; lui lo viveva e sollecitava tutti coloro che incontrava a perdonare e a chiedere

perdono.Diceva di perdonare anche sé stessi, perché il più delle volte la persona con la quale siamo più arrabbiati siamo proprio noi, per tanti errori fatti nella vita.E poi diceva di perdonare il passato (le situazioni e le persone del passato) e il presente.Alle coppie ripeteva: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira. Se volete che il vostro matrimonio tenga, non andate a letto arrabbiati; può succedere che ci si arrabbi, ma prima di dormire, riconciliatevi”.Nell’ultima lettera che ha scritto a Paolo e a me diceva: “Non abbiate paura, non temete, io sarò sempre con voi, soprattutto nei momenti di difficoltà”.Penso che stasera don Domenico rivolga anche a voi le stesse parole: "Non abbiate paura, non temete, Dio è con voi e anch’io".

La vita di don Domenico è per noi un segno che la santità dei sacerdoti, come quella di tutti i cristiani, non è fare miracoli o realizzare grandi opere (parlo per me, che, come parroco, spesso vengo preso dalle tante preoccupazioni pastorali e dall’attivismo), ma è essere attenti alle piccole cose, è ascoltare le persone, è pregare insieme, è condividere la propria esistenza con gli altri. Don Domenico ci testimonia che la vera esperienza cristiana è vivere la comunione con Gesù: vivere di Lui, pensare e amare come Lui ha fatto, sempre nella gioia, nella salute come nella malattia.Oggi, in una Chiesa chiamata ad essere casa e scuola di comunità,

la testimonianza di don Domenico è quanto mai attuale per noi sacerdoti, che spesso – come dice Papa Francesco – corriamo il rischio di vivere da scapoli.Don Domenico, anche se spesso è stato criticato da noi sacerdoti, si è lasciato guidare dallo Spirito Santo e ha condiviso la sua vita con la giovane famiglia di Paolo ed Eliana, per realizzare insieme quella speciale comunità, che negli anni ha portato molto frutto, dando vita all’Associazione Via Pacis.L’unione dei due sacramenti, quello sponsale e quello sacerdotale, è stata un’intuizione carismatica che ha permesso di valorizzare i laici nella loro specifica vocazione all’interno della Chiesa, come completamento della vocazione e del ministero sacerdotale. Don Domenico, tuttavia, non ha voluto legare a sé le persone ed essere lui il fondatore della Comunità, ma tutto è scaturito da una profonda unità con dei laici.È stato bello per lui seguire il Signore vivendo in una casa, facendo vita di famiglia (noi preti andiamo nelle famiglie, ma poi facciamo famiglia a casa nostra); don Domenico, invece, ha fatto esperienza di far parte di una famiglia, e questo stile di vita si è poi allargato a tutta Via Pacis, e a tutti noi.

Don Luigi Amadoridecano e parroco di Arco

VALORIZZAREI LAICI

"Ama,prega,

perdona"

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Un aspetto importante dello stile di vita di don Domenico è il suo abbandono a Dio e alla Provvidenza. Si affidava a Dio in ogni circostanza, in ogni situazione, in ogni difficoltà. Diceva: "Affidiamoci a Colui che è più grande di noi, abbandoniamoci al Suo amore potente e non temiamo".Questo atteggiamento si incarnava non come una spiritualità astratta, ma in un vero distacco dalle cose materiali, dal denaro, dai beni, dal potere.Don Domenico era un amante dei poveri, un conoscitore dei poveri, ed era attento alle varie tipologie di povertà. Pensava ai milioni di persone che soffrono la fame, la malattia, l'esilio, ma anche alle povertà di sempre che sono attorno a noi e in noi. Così, era attento ai poveri perché ammalati (li accostava ogni giorno nelle corsie dell'ospedale); ai poveri perché senza senso esistenziale; ai poveri perché soli o anziani; ai poveri perché vuoti spiritualmente.In un mondo dilaniato dalla preoccupazione del denaro, del profitto, dell'arrivismo, del possedere, in un mondo dove tutto si misura a suon di quattrini, don Domenico, con le sue priorità di vita chiare, coraggiose e generose, ha saputo fare scuola di un saggio ed equilibrato rapporto con il denaro, ha saputo distaccare il cuore dall'avere, dal potere, e ha vissuto e trasmesso il senso della vera libertà.Ha saputo mettere in pratica la parola dell'evangelista Matteo: "Non accumulate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano; accumulate tesori nel cielo, perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,19). Ha saputo

testimoniare che la libertà – dal denaro, dal possedere, dal potere – pacifica il cuore, pacifica la vita.La sua continua generosità verso i poveri e il suo distacco dal denaro l'hanno portato ad uno stile di sobrietà; sobrietà non come sinonimo di rinuncia, ma come espressione di libertà: libertà di scelta e di pensiero, libertà che sa distinguere tra le necessità concrete e quelle imposte.In un mondo dove tutto si misura sulla quantità delle cose che si possiedono, Don Domenico ha saputo porre al centro del suo agire la persona, l'altro, indipendentemente dalla cultura, dal ceto sociale, dal colore della pelle, con un'attenzione particolare alla vita nascente, alle mamme incinta.L’attenzione alla persona nasce dall'amore verso Dio. Lui, infatti, era convinto che la fede non è autentica se non si fa grembo, accoglienza, attenzione. E la prova dell'amore a Dio è l'amore al prossimo.A dieci anni dalla sua scomparsa, fra le tante cose vissute con don Domenico, mi porto nel cuore il grande insegnamento degli ultimi giorni della sua vita: la morte non si improvvisa.Circa un mese prima di morire, con un volto sofferente, ma sereno, ci disse: "Ora sono pronto!". Con Eliana cercavamo di attutire queste parole, ma in quei suoi ultimi giorni di vita ho imparato che, sulla terra, non siamo spettatori, ma ciascuno ha il proprio dovere da compiere, con le attitudini, la personalità, il coraggio che sono propri di ognuno. E forse non è da uomo andarsene senza aver lasciato una qualche traccia positiva del proprio passaggio.La morte chiude il tempo delle possibilità: ciò che è stato fatto, è stato fatto. Solo quello che abbiamo dato si salva.Vivere è dare: dare senza sconti, come don Domenico ci ha insegnato. E allora non è importante se ho vissuto un anno in più, ma se ho vissuto pienamente.Grazie, don Domenico, della tua vita donata per tanti di noi!

Paolo MainoFondatore di Via Pacis

UNA VITADONATA

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Questa sera ci sono in me due sentimenti contrastanti: la gioia, perché siamo in tanti ad essere qui a ricordare don Domenico e la tristezza perché lui non è più tra noi.Lo stesso don Domenico esprimeva dei contrasti. Quando parlava, dai suoi occhi scaturiva una forza del tutto particolare, che proveniva dalla sua fede profonda e granitica, ma al contempo era una persona mite: aveva sempre parole dolci, accoglienti, mai prepotenti e non si poneva al centro dell’attenzione; spesso mi diceva che il Signore rispetta le nostre scelte, è paziente,

attende i nostri tempi, anche se silenziosamente lavora per condurci a Lui.Don Domenico era al tempo stesso ordinario e straordinario: ordinario per coloro che non hanno avuto l’occasione di parlare con lui,ma straordinario per tutti coloro che sono qui, che l'hanno conosciuto in profondità, che hanno avuto la fortuna di passare del tempo con lui.Molti lo ricordano nella cappella dell’ospedale, durante le lunghe ore d’attesa per confessarsi. Spesso, oltre ai peccati, era spontaneo

raccontargli anche debolezze, problemi e insicurezze. Ricordo, in particolare, il suo modo rispettoso e delicato di porsi con le persone. Spesso, anche a me, non dava consigli, ma semplicemente mi prendeva la mano e mi ritrovavo a pregare insieme a lui. Molti di noi, ancora, l’hanno conosciuto mentre andava a dare conforto agli ammalati e viveva con loro la malattia; era convinto, infatti, che una delle paure più grandi dell’uomo fosse il senso di abbandono e di solitudine, e lui lo riempiva con l’amore di Dio.

Non ho avuto il piacere di conoscere personalmente don Domenico, ma ho sentito vari racconti e ho letto tanto di lui sulla Rivista e sulla sua biografia. Questa sera ascoltare le testimonianze e i ricordi di molti mi ha fatto toccare con mano che don Domenico è stato una persona straordinaria, eppure portatrice di un messaggio semplice: l’ascolto e il sorriso. E quando sento questo, mi rincuoro. Colgo che la cosa più importante è creare una comunità che sappia essere solidale e

Massimo AccorsiPresidente del Consiglio

Comunale di Riva del Garda

ORDINARIO ESTRAORDINARIO

Alessandro BettaVice Sindaco reggente

del Comune di Arco

CREARECOMUNITÀ

generosa.Don Domenico ha affrontato la vita con coerenza e forza e questo è per noi un incoraggiamento a fare ogni giorno del nostro meglio.

DON DOMENICO VIVE

"Non abbiate paura, io sarò sempre con voi"

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Q U A N T O A M O L A T U A P A R O L A

Il Libro degli Atti degli Apostoli ci dice che lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola: se non si ascolta la Parola,

sembra quasi che lo Spirito Santo

non possa scendere nel cuore delle persone. Ciò che il testo vuole affermare è che se non abbiamo un atteggiamento di interiorità, che si manifesta in una frequentazione il più possibile regolare con la Parola di Dio, non è che lo Spirito non soffi – perché Lui soffia dove e quando vuole! –, ma scende senza che ce ne rendiamo conto. Pietro e gli altri si accorsero che lo Spirito scendeva perché “prima” decisero di stare con la Parola di Dio, di ascoltarla, di interiorizzarla per farla propria e tradurla in vita.La vita spirituale sta in piedi grazie all’attitudine dell’ascolto e dell’obbedienza alla Parola di Dio: “ascoltare” non è il semplice sentire, ma capacità di interiorità; “obbedire” non è la mera esecuzione di qualcosa che si è ascoltato, ma una forma alta di amore; si obbedisce per amore.La Parola di Dio è quella sorgente

di amore che permette agli uomini e alle donne di gustare e di vivere il dono dei doni che è lo Spirito Santo.

Ascoltare la volontà di DioL'ascolto della volontà di Dio è espresso in un modo molto bello quando l’evangelista Giovanni fa dire a Gesù: "Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera" (Gv 4,34). Gesù ascoltava, ma nel senso che aveva fame della volontà di Dio.Ascoltare, e poi obbedire alla Parola di Dio, è avere fame di questo nutrimento che condiziona il metabolismo della nostra vita spirituale.L’ascolto della Parola di Dio è quel desiderio, che il Signore mette nel nostro cuore, di cercare di vivere secondo la Sua volontà, ponendoci continuamente la domanda: cosa vuoi che io faccia, Signore? qual è la

PAROLA DI DIO sorgente d'amore“Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola”.(At 10,44)

di Gregorio Vivaldelli

L'obbedienzaè l'ascolto

che diventa vita

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tua volontà?Quando parliamo di ascolto della Parola di Dio intendiamo molto di più di una semplice meditazione della Bibbia: è un ascolto che permette di diventare uditori della voce di Dio. L’ascolto della Parola mi porta a desiderare sempre di più l'autenticità di me stesso.

Stretto rapporto tra ascolto e obbedienzaSpesso pensiamo all’ascolto e all’obbedienza come a fasi distinte. Al contrario, per la spiritualità biblica, l'ascolto e l'obbedienza sono un’unica realtà: chi ascolta, obbedisce; e chi obbedisce è perché ascolta.In greco, queste due parole sono “una dentro nell'altra”, si appartengono reciprocamente: akoé (ascolto) e hypakoé (obbedienza).

In pratica, con questi due termini, si cerca di spiegare un atteggiamento, uno stile di vita.Quando ascolto la Parola, già obbedisco alla Parola. Quando obbedisco, non faccio altro che porre in essere un ascolto in azione. L'obbedienza è l'ascolto che diventa vita. Non c’è ascolto senza obbedienza e non c’è obbedienza senza ascolto.

Ascoltare e obbedire alla Parola di Dio fa stare al passo coi tempiNel grande mercato delle parole, gli uomini e le donne hanno sete di una Parola eterna, di una Parola che sia stabile, consistente.Nel profondo, tutti noi

PAROLA DI DIO SORGENTE D'AMORE

desidereremmo dire, come Pietro: "Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68), quando siamo sballottati dal nostro carattere, dalle nostre idee, dal nostro quotidiano, dalle varie correnti di pensiero, dai mass-media...Ricordiamo che Pietro ha pronunciato la famosa frase "Tu hai parole di vita eterna" quando Gesù ha rivolto ai suoi discepoli la domanda se anche loro avessero intenzione di abbandonarlo come la folla.La folla – anche la “folla” che c'è nel nostro cuore – non vuole, infatti, parole eterne, ma parole “alla moda”, parole che vadano bene con il comune pensare. La Parola di Dio non segue la moda. Per la spiritualità biblica la Parola di Dio “è” la moda: è ciò che ci rende belli quando noi la indossiamo. Questa è la vera moda che dobbiamo seguire, perché la Parola di Dio ci rende sempre al passo con i tempi. I grandi uomini

Foto di Marcello Cenedese

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della storia della Chiesa sono stati coloro che hanno sempre cercato di vivere in radicalità la Parola di Dio e, in ogni fase della storia, riuscivano ad essere autenticamente contemporanei alle domande che il tempo poneva loro.

La scoperta di un Dio vivo e vero…Nella Seconda Lettera a Timoteo, san Paolo scrive: "Tutta la Scrittura, ispirata da Dio..." (Cfr 2Tm 3,16). L’espressione che viene tradotta con “ispirata da Dio” nel testo originale è un’unica parola (theopneustòs) che contiene insieme due vocaboli: Dio (Theos) e Spirito (Pneuma). Theopneustòs è una parola che possiede due significati: uno passivo, messo in luce dalle traduzioni moderne (la Sacra Scrittura è “ispirata da Dio”); il secondo significato, meno noto, è quello attivo (la Sacra Scrittura è “spirante Dio”, vale a dire che la Bibbia, quando viene letta e meditata, spira Dio, suscita Dio nel cuore del lettore).Nell’ascolto e obbedienza alla Parola di Dio, spesso, siamo troppo concentrati sul nostro sforzo di ascoltare e sul nostro impegno a obbedire; dovremmo, invece, metterci nella condizione di scoprire che è Dio che sta facendo tutto.

E allora scopriremmo che Dio non è più un’idea generata dal nostro agire e dal nostro pensare, ma il Vivente: "Egli è il Dio vivente!" (Ger 10,10); "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente" (Sal 42,2); "Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente" (Sal 84,3). Non vorremmo più saperne di dèi che non siano vivi, l'ascolto della Parola di Dio ci porterà a buttar via tutte quelle divinità prive di vita in grado però di far morire giorno dopo giorno la nostra vita spirituale, perché solo il Dio vivente fa scaturire nel cuore del lettore della Bibbia un liberante e gioioso senso di appartenenza:

"Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio" (Ez 36,28).

…per diventare persone vive e vereLa società in cui viviamo è totalmente estroflessa: l’attenzione è spostata fuori di noi. L'ascolto e l'obbedienza, invece, ci educano, piano piano, a diventare persone con una grande capacità di interiorità.Sant’Agostino diceva così: “Rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato

«Si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si

cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo

noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva!»

Papa Francesco

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estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori. Non conosci te stesso e cerchi Colui che ti ha creato. Rientra nel tuo cuore; lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l'immagine di Dio. Rientra in te stesso”1.Questa capacità di interiorità non è mero intimismo, ma disponibilità a diventare persone vere. La capacità di interiorità ha a che fare con la verità e l'autenticità di noi stessi.

Far vivere la Parola vivaConoscere la Parola di Dio non significa assolutamente essere degli esperti o dei tecnici delle Sacre Scritture, perché questo tipo di conoscenza può uccidere. San Francesco diceva ai suoi frati: “Sono uccisi dalla lettera, coloro che desiderano sapere soltanto parole, in modo da essere più sapienti degli altri. Sono uccisi dalla lettera quei frati che non vogliono seguire lo Spirito della Divina Scrittura, ma desiderano sapere solo parole per spiegarle agli altri”2.Quando ascoltiamo la Parola di Dio, essa ci nutre, ci fa vivere. Quando obbediamo alla Parola di Dio, è come se le dessimo vita nel mondo in cui viviamo. La Parola di Dio è data a noi per farla germogliare, per farla vivere, e la Parola di Dio “può vivere” nei nostri ambienti grazie al nostro desiderio di ascoltarla e di tradurla in azione. Ogni volta che cerchiamo di dare una parola buona, di perdonare qualcuno, di regalare un sorriso o uno sguardo di pace... noi obbediamo alla Parola di Dio ed essa vive nelle nostre relazioni quotidiane.L'ascolto ci fa camminare con la Parola, per la Parola e nella Parola; l’obbedienza fa camminare la Parola di Dio nel nostro cuore e nel mondo. Come ha detto Papa Francesco ad Assisi: “Si può andare alle periferie

solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva!”3.

Liberi di compiacere Dio e non gli uominiL’ascolto e l’obbedienza alla Parola di Dio ci liberano dalla sete di far sapere agli altri che stiamo ascoltando ed obbedendo.Il cardinal Newman, persona vera e assetata della Parola di Dio, scriveva: “Il fine della maggior parte degli uomini ritenuti coscienziosi e devoti, o di quelli solitamente definiti perbene, o integerrimi, a quanto pare, non è compiacere Dio, ma trovare il modo di compiacere sé stessi, senza dispiacere Dio. Il pericolo dell'uomo di fede è di ascoltare e osservare, ma in modo tale da compiacere se stesso, senza dispiacere Dio, senza offenderlo. Lo vediamo persino tra le persone molto impegnate a livello religioso. Fin troppo spesso il loro principale scopo è realizzare, comunque, un determinato fine, religioso, sì, ma

scelto da loro: non compiacere Dio e poi, in secondo piano, realizzarlo”. E ancora: “Nel loro sforzo di raggiungere obiettivi, le persone non si fanno guidare dalla volontà di Dio, ma da una serie di massime,

regole o criteri, magari giusti. Chi ama non agisce per calcolo o per ragionamento, non riflette, o parla, a mente fredda di quello che fa, come se si trattasse di un grande sacrificio, e ancor meno se ne vanta. Il fatto che una cosa sia vera non implica affatto che dobbiamo dirla, bensì, che dobbiamo farla, che dobbiamo agire alla luce di essa

e soprattutto che dobbiamo farla nostra e interiorizzarla”4. Ascoltare e obbedire alla parola di Dio significa camminare, muoversi, su una strada di verità e di autenticità. Se non ascoltiamo e non obbediamo alla Parola di Dio che ci viene offerta nelle varie occasioni del nostro cammino personale e comunitario è come se non avessimo i piedi: vorremmo muoverci, ma non ce la facciamo.

«Obbedire non è la mera esecuzione di

qualcosa che si è ascoltato,

ma una forma alta di amore»

«Il fatto che una cosa sia vera non

implica affatto che dobbiamo

dirla, bensì, che dobbiamo farla, che dobbiamo

agire alla luce di essa e soprattutto

che dobbiamo farla nostra e

interiorizzarla»J.H. Newman

1 S. AgoStino, Commento al Vangelo di Giovanni 18,10.2 S. FrAnceSco, Fonti Francescane, n. 156.3 PAPA FrAnceSco, Cattedrale di San Rufino, Assisi, 4 ottobre 2013.4 J.H. newmAn, Aprire il cuore alla verità, Torino 2010, pp. 60-61; 133.

«Ascoltare non è il semplice

sentire,ma capacità di

interiorità»

PAROLA DI DIO SORGENTE D'AMORE

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T E S T I M O N I A N Z E

I Love Him SO MUCH

Amo Gesù così tanto che, quando prego, mi sento felice, perché mi

sto incontrando con Gesù che mi ama molto, e io faccio altrettanto.

So che è là. Poiché mi ama, mi vuole anche consolare. Mi vuole dare pace. Tocca il mio cuore, la mia vita, e io non rimarrò sempre

lo stesso. Gli parlo liberamente, perché Lui è il mio miglior amico.

Lui capisce tutto. Non mi giudica. Mi perdona quando sbaglio, e

io perdono gli altri a suo motivo. Quando trovo difficile perdonare, Gli spiego che sono in difficoltà.

Lui mi insegna anche ciò che Lui vuole, così che io possa diventare più buono come Lui. Mi corregge quanto sbaglio, in modo da poter

essere una persona migliore. Mi dona il suo Spirito Santo, perché

mi possa guidare e rendermi capace di fare ogni cosa che si

aspetta da me.Lo ringrazio anche per ogni cosa che mi dona. Sono ciò che sono per grazia sua. Qualsiasi cosa io

ho la devo al suo amore. Lo lodo anche perché ne è degno: nessun

altro è morto per me; Lui è colui che è morto per me.

Quando non prego, sono io quello che perde qualcosa: perdo tante benedizioni, perdo tanto amore.

J O H N B O S C O M A T O V U

I love Jesus so much and when I am going in prayers I feel happy, because I am going to meet Jesus who loves me so much and I love him so much. I know he is there. Since he loves me he will console me. He will give me peace. He will touch me and I will never remain the same. I told them that I talk to him freely, because He is my best friend. He understands everything. He does not judge me. He forgives me where I am wrong. I also for forgives others because of him. Where I find it difficult to forgive, I explain to him that here I find it difficult. He teaches me also what he wants to teach me so that I become more good like him. He corrects me where I am wrong so that I will be better person. He gives me his Holy Spirit so that he will guide me and he will enable me to do everything I am supposed to do. I also try to thank him whatever he gives me. I am what I am because of him. Whatever I have it is because of his love. I also worship him because he is worthy. No one else who died for me. He is the one who died for me.When I do not go to pray I am the one who miss. I miss a lot of blessing. I miss a lot of love.

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Nel corso della tre giorni del Consiglio della Catholic Fraternity tenutasi ad Assisi dal 28 al 30 ottobre

2013, si è proceduto al rinnovo delle cariche di governo, con l’elezione del nuovo Presidente e del nuovo Esecutivo.Sono stati giorni di preghiera e riflessione, nei quali i delegati delle varie comunità, provenienti dai cinque Continenti, sono stati invitati a rinnovare il governo dell’associazione, voluta nel 1990 da Giovanni Paolo II per tutelare il valore della cattolicità all’interno del movimento di grazia rappresentato dal rinnovamento carismatico.Nel corso della giornata inaugurale, ha voluto portare il proprio saluto il sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Laici, Mons. Delgado Galindo. Nel ricordare come l’autorità nella Chiesa sia da intendersi come servizio, ha invitato a guardarsi dall’ambire a cariche nella Chiesa, come più volte richiamato da Papa Francesco. Ha poi ribadito come i movimenti siano grazie dello Spirito Santo e un dono per la Chiesa.Nel congedarsi Mons. Delgado ha lasciato alcuni spunti di riflessione per favorire il lavoro di confronto e condivisione in vista del rinnovo degli organi di governo; ha invitato quindi a meditare intorno al senso di appartenenza alla Catholic Fraternity, agli scopi dell’associazione, ai nuovi obiettivi da perseguire, alle prospettive future.Nel corso del dibattito seguitone,

è intervenuto anche il Fondatore di Via Pacis, Paolo Maino, il quale, ricordando come il governo sia essenzialmente l’arte di tessere relazioni, ha invitato i delegati a riflettere circa gli obiettivi e la direzione di detta associazione. Ha evidenziato in particolare come la Catholic Fraternity sia chiamata principalmente ad essere un laboratorio di pensiero per le grandi tematiche che accomunano le varie comunità aderenti, quali, ad esempio, la nuova evangelizzazione, la dimensione carismatica, la dimensione caritativa, il rapporto con la Chiesa particolare, il ruolo dei laici consacrati, il rinnovo generazionale, l’accoglienza delle persone che vivono situazioni coniugali o affettive

“di disordine” (divorziati risposati, separati, unioni dello stesso sesso).Maino, nell’esporre la propria visione dell’associazione come una struttura dinamica, che non abbisogna di un grande apparato, ha ricordato come il fine essenziale della Catholic Fraternity sia quello di favorire l’interscambio delle ricchezze rappresentate dalle varie realtà aderenti, ed essere gli uni per gli altri luogo di incontro, di fraternità, di comunione, di amicizia; un aiuto all’insegna della sussidiarietà, da darsi cioè nella misura in cui venga richiesto e sia necessario.Nel corso del Consiglio, è stato eletto quale nuovo Presidente Gilberto Gomes Barbosa.

InCAMMINO

POVERTÀ? NO, GRAZIE!

F R A T E R N I T Y

Foto di Ruggero Zanon

In alto: Paolo Maino con Luzia Santiago, co-fondatrice di Cancao Nova.In basso: il nuovo presidente della Catholich Fraternity Gilberto Barbosa,

mentre parla con Paolo Maino subito dopo la sua elezione

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F O R M A Z I O N E

L’urgenza di raggiungere le nuove generazioni con messaggi positivi impone di occuparsi del problema della

comunicabilità dei valori con linguaggi nuovi ed efficaci.Uno di questi linguaggi è senz’altro la danza. Ma parlare di danza in campo cattolico è spesso problematico. Ci si scontra spesso con attese, preoccupazioni e timori la cui portata va molto al di là del tema specifico. Il risultato è una certa resistenza culturale a questo mezzo espressivo. Per trarci d’impiccio si potrebbe cercare nella Sacra Scrittura qualche lume dirimente al riguardo, ma il rischio è di uscirne ancora più

disorientati: c’è infatti la bella danza di lode di Miriam e delle donne d’Israele dopo il passaggio del Mar Rosso, ma anche la malvagia e subdola danza di Erodiade che acceca la mente di Erode e provoca la feroce uccisione di Giovanni il Battista.Allora, la domanda cruciale è: il ballo è buono o cattivo? Eleva il cuore o fa venire ‘brutti pensieri’? Certamente la danza stimola quasi tutti i sensi: la vista, l’udito; tocca corde sensibili, emotive ed estetiche, giocando sul movimento del corpo, sulla musica e sul ritmo. Non può quindi essere valutato con criteri di staticità e distacco. Il ballo, volenti o nolenti, in un modo o nell’altro, ci coinvolge. In senso

Lasciar parlare la DANZA

di Tiziano Civettini

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33LASCIAR PARLARE LA DANZA

‘tecnico’ lo potremmo definire ‘sensuale’. Ma questo termine si colora subito di sfumature negative.Il punto cruciale è che abbiamo a che fare con la bellezza e con il corpo (femminile, più spesso). E con la bellezza e col corpo potremmo avere ancora un conto in sospeso. Non possiamo però risolverlo, credo, rifiutando per principio modalità e movimenti che attualmente i giovani vivono, perché ritenuti troppo allusivi o disinvolti. La danza ha un indiscusso valore

educativo: fa uscire da sé stessi, aiuta a vincere timidezze, ad accettare il proprio corpo, abitua a lavorare assieme, cercando il bello e l’armonia, permette di comunicarsi e di comunicare. Una ragazza impegnata nell’Equipe Musicale Via Pacis così riflette: “Il mio corpo – ma anche la mia mente e tutto ciò che mi caratterizza e mi rende sostanzialmente me stessa – viene reso visibile attraverso il movimento e l’espressione del viso. È come se fosse un vero e proprio linguaggio verbale, anzi, molto di più, perché quando balla il corpo, balla anche l’anima ed insieme s’intrecciano formando un’armonia perfetta”.Ma la danza può parlare anche di Dio?Chiariamo prima un equivoco: la danza, per parlare di Dio, per

comunicare la gioia di averlo incontrato e di sentirsi amati come figli e figlie, non dev’essere per forza ‘liturgica’ e da fare in chiesa. È invece uno strumento per parlare di Dio al mondo, fuori dalle chiese, proprio a chi, forse, in chiesa non

metterebbe piede. Non è un risultato automatico; ci vogliono il cuore e l’atteggiamento giusti, che vanno formati. È quanto

cerca di fare l’Associazione Via Pacis, con la sua Equipe musicale che – come appare sulla brochure di presentazione – “offre ai giovani una formazione ai valori della pace-riconciliazione, della fraternità e della solidarietà attraverso percorsi didattici di musica e danza moderna, perché si è compreso come la musica e il canto abbiano una particolare forza nell’elevare gli animi, nel toccare i cuori, nel risvegliare ideali e nel conciliare situazioni complesse, trasformando l’emozione in un’azione che coinvolge l’uomo nella sua interezza. Allo stesso modo, la danza rappresenta uno strumento valido ed appassionante per la formazione umana e spirituale delle nuove generazioni, perché vissuto in una dimensione comunitaria, lontano dall’individualismo esibizionista. La danza ha la capacità di trasmettere armonia e unità nel rispetto del proprio corpo, favorendo la collaborazione reciproca ed il senso di responsabilità. Questo percorso permette di accrescere l’autostima, prendendo coscienza delle proprie doti e capacità ed acquisendo la fiducia in sé stessi, nella costruzione di rapporti di pace con gli altri, con il mondo e con Dio”.

La danza fa uscire

da sé stessi, abitua a lavorare assieme,

permette di comunicarsi

e di comunicare

«La danza ha la capacità di trasmettere armonia e

unità»

Foto di Silvia Sommadossi

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Tutto intorno a ME

di Walter Versini

La crisi attuale, ormai è chiaro, ha radici profonde e intricate. Un ruolo l’ha avuto anche il nostro modo

di vivere, nel periodo di benessere materiale di cui abbiamo goduto. Come insegna il Salmo 49: “Nella prosperità l’uomo non comprende”. La crisi ci spinge all’essenziale, a riscoprire la serietà della vita.Fino a pochi anni fa la storia sembrava procedere nel senso di un progresso indefinito; la guerra sembrava lontana, la democrazia un bene acquisito, la tecnologia assicurava un benessere sempre maggiore. Spesso l’uomo occidentale, cullato da questa convinzione, si è seduto, distratto, disperso. La vita sembrava andare avanti quasi da sola. Si poteva dedicare tempo ed energia a tante cose, oltre al lavoro. Forse anche noi credenti ci siamo lasciati contagiare da questa mentalità. In un generale annacquamento dell’impegno e della passione per le cose grandi, talvolta l’essere cristiani si è ridotto quasi a faccenda del tempo libero; a impiego delle risorse residue, non passione quotidiana che orienta i gusti, le scelte, i pensieri. Un ornamento, non la direzione dell’intera esistenza.

Adesso tante illusioni sono cadute. È più facile vedere anche nel nostro paese il diffondersi della povertà e della violenza, le persecuzioni contro i cristiani, le minacce alla libertà di coscienza e di parola. Ci rendiamo conto che la vita è drammatica, una sfida in cui ci si gioca il tutto per tutto. Non ci si può risparmiare, tirarsi indietro.Rilassamento e distrazione, in sé, sono solo superficialità involontarie, ma sono pericolosamente vicine ad un atteggiamento più negativo: l’accentramento di ogni interesse su sé stessi, il narcisismo. Oggi promosso da correnti culturali e forze economiche, a livello psicologico esso è tra le principali radici della crisi. Il teologo Pierangelo Sequeri sostiene che responsabile della deviazione dell’Occidente moderno verso l’idolatria è il “principio di autorealizzazione”: puntare tutta l’attenzione e le energie al soddisfacimento dei propri desideri e all’accrescimento della propria vita, perdendo invece la “passione per la generazione”, cioè per il dare vita, per il prendersi cura. Da qui viene la figura, oggi così frequente a

A R E O P A G O

tutte le età, dell’eterno adolescente che si pone al centro del mondo, e punta ad accumulare esperienze, godimento, ricchezze; pronto a spendere, ma non a spendersi. Tale modo di vivere, prima ancora di un atteggiamento cattivo, è il cadere in un inganno. Gesù insegna che l’uomo si realizza e trova la felicità proprio al contrario, non concentrandosi su se stesso, ma donandosi agli altri. L’abbiamo visto realizzato in tante persone; ad esempio, per chi l’ha conosciuto, in don Domenico Pincelli, co-fondatore di Via Pacis. La maturità umana è capacità di guardare oltre a sé, di dar valore all’altro, di assumere responsabilità, di investire la propria vita. Richiede scelte e decisioni definitive. Tutta la società ha bisogno urgente di tornare a questa verità fondamentale dell’umano.Papa Francesco quando si rivolge ai credenti ha spesso toni molto energici. Forse perché noi per primi abbiamo bisogno di scuoterci. Essere cristiani non può essere cosa di poco impegno e di modeste conseguenze. La sua bellezza va di pari passo con la radicalità.

Foto di Giorgia Cosser

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Scrivi nella tua ultima lettera: “Mi sto rendendo conto che con grande facilità tendo a giudicare le persone. Forse

giudico, perché ho paura di essere giudicato?”.Intrigante questa tua domanda. Il giudicare gli altri nasce molto

spesso dalla nostra insicurezza. Direi che quanto più il giudizio è severo, tanto più può far pensare ad una persona che ha bisogno di rassicurarsi sulle sue capacità, sul suo valore e, in fondo, sulla sua superiorità. Nel Vangelo troviamo un ordine lapidario: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi…”.Mi colpisce la fine psicologia di Gesù. Quando io giudico, e cioè interpreto l’intenzione dell’altro, io semplicemente rivelo e svelo me stesso. Io non posso sapere perché una persona fa una cosa o un’altra. Nel momento in cui io ne attribuisco l’intenzione, svelo cosa c’è nel mio cuore.Ad esempio, posso affermare: “Lui/lei fa così per farsi ammirare…”. In

realtà, io non posso sapere perché la persona agisce in quel modo, ma, dando quel giudizio e per quel giudizio, io rivelo ciò che forse nemmeno io so di me stesso: vorrei farmi vedere, notare, ammirare.Mi spiego meglio attraverso un racconto di B. Ferrero:"Un giorno, all'imbrunire, un contadino si sedette sulla soglia della sua umile casa a godersi il fresco. Nei pressi si snodava una strada che portava al paese, ed un uomo passando vide questo contadino e pensò: 'Quest'uomo è certo un ozioso; non lavora e passa tutto il giorno seduto sulla soglia di casa'. Poco dopo, ecco apparire un altro viandante. Costui pensò: 'Quest'uomo è un dongiovanni; siede qui per poter guardare le ragazze che passano e magari infastidirle'. Infine, un forestiero diretto al villaggio disse tra sé: 'Quest'uomo è certamente un gran lavoratore. Ha faticato tutto il giorno ed ora si gode il meritato riposo'.In realtà, noi non possiamo sapere granché sul contadino che sedeva sulla soglia di casa. Al contrario, possiamo dire molto sui tre uomini diretti al paese: il primo era un ozioso, il secondo un poco di buono, il terzo un gran lavoratore". Eh già – dirai tu – , ma che fare se il giudicare è diventato il mio stile di vita, se non riesco proprio a farne a meno, se, nonostante le buone intenzioni e i buoni propositi, sono sempre allo stesso punto? Non dirmi che sono prevedibile e un po’ fissata… Serve poco combattere il sintomo, se non si cura la malattia. Sono certa che più diventeremo persone sicure, positive, consapevoli del proprio valore e della propria bellezza, pacificate con la propria storia ed i propri errori, meno avremo bisogno di giudicare, meno avremo bisogno di “pagliuzzare”, e cioè di vedere nell’occhio degli altri quella ‘pagliuzza’ che non ci permette di vedere la trave nel nostro. Perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.Un abbraccio di pace.

Sempre tua Eliana

di Eliana Aloisi Maino

chiGIUDICAchi?

CHI GIUDICA CHI?

C A R I S S I M O . . .

Foto di Emmanuele Pepè

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Ha ancora senso confessarsi? Perché faccio così fatica ad accettare i miei errori? Perché ci sono cose che mi rendono inquieto, nervoso? E' solo colpa degli altri? A questi e ad altri interrogativi sui presupposti e sul senso del Sacramento della Riconciliazione cerca di fornire delle risposte e degli spunti di riflessione il nuovo Quaderno di Formazione di Eliana Aloisi Maino, co-fondatrice di Via Pacis. Il titolo – “Lasciatevi riconciliare con Dio” – svela da subito il desiderio di condurre il lettore nel cuore pulsante di un sacramento che vive da tempo una grossa crisi: quell’accorato invito di Dio ad attingere, senza stancarsi, alla sua misericordia senza fine. In Gesù, Dio grida all’uomo: “Ti amo”, facendo del perdono la misura del suo amore.

22 dicembre 2013 ore 20:00 Chiesa Parrocchiale

Sporminore (TN)

29 dicembre 2013 ore 21:00 Pieve S.Giovanni Battista

Vigo di Fassa (TN)

6 gennaio 2014 ore 20:30 Chiesa di Borgo Sacco

Rovereto (TN)

CONCERTICorale Via Pacis