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mensile di informazione in distribuzione gratuita
Novembre 2013
n. 93
IL PASTORERICAMATORE
MINOSSE, DI VARANO:IO TU E GATTIpag. 6
BILL POMANTESFIDA IL POTEREpag. 10
LA ZANZARA(ERA L’ANNO 1966)pag. 15
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SOMM
ARIO 3 Lo champagne di Luigi De Fanis
4 Teramo Culturale - Sardella e Cancellieri 6 Minosse, Di Varano: io tu e Gatti 7 Movimento mentale 8 Il libro del mese 10 Bill Pomante sfida il potere 12 Marco e “Il Vaso di Pandora” 13 La nuova Liberia “Tempo Lib(e)ro 14 Bevi Napoli e poi muori 15 La Zanzara (era l’anno 1966) 16 I mosaici di Alfredo Paglione 18 A grigior di logica 19 Coldiretti informa 20 Il Pastore ricamatore 23 La Musica di Carbone 24 la Musica di Medori 25 Dura Lex sed Lex 25 Note Linguistiche 26 In giro 28 Calcio 30 Pallamano
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio,Piergiorgio Greco, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone,Sirio Maria Pomante, Sergio Scacchia, Alfio Scandurra,Massimiliano Volpone.
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Progetto grafico ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
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n. 93
“Mi trovo un mariuolo che getta
un’ombra sull’immagine di tutto
il partito” riferì Bettino Craxi alla
conduttrice del Tg3 del tre Febbraio del 1992
tra un’immagine di Tomba che gigioneggia
vincente su Raiuno e la famiglia perfetta e
vomitevole della Barilla. Poi sappiamo tutti
com’è finita: le cento lire scagliate alla porta
dell’Hotel Raphael e il coro “Bettino vuoi
anche queste”, epilogo delle nefandezze
della prima repubblica. Quel mariuolo, che
rispondeva al nome di Mario Chiesa, fu
l’artefice del futuro tunisino di Gambadilegno
e dell’arrivo del presidente del Milan e del
Biscione sulle scene politiche italiane in un
Ventennio tutto da dimenticare. E facendo
le dovute proporzioni, cosa potrebbe far
prospettare la caduta “umana” di Luigi De
Fanis, l’assessore alla cultura della Regione
Abruzzo inciampato sullo champagne da
addebitare sulle spalle già indolenzite e
lacerate degli Abruzzesi? Chi potrebbe essere
colui che potrebbe chiamare mariuolo il
poveretto caduto in disgrazia? Chi sarà il
Craxi abruzzese? Anche perché “diversi
funzionari dell’ente erano a conoscenza del
sistema fraudolento che ruotava attorno ad
un’associazione culturale utilizzata come
schermo” così ha scritto il gip. Non vorrei
utilizzare la brutta espressione che di solito si
usa in taluni casi (il pesce puzza dalla testa),
però se le gerarchie apicali, come scrivono
i magistrati, fossero davvero, se non correi,
quantomeno aggiornati della condotta
dell’assessore alla cultura, allora sì veramente
il mariuolo Chiesa/De Fanis potrebbe far
saltare il tappo alla bottiglia…di champagne,
facendo venire alla luce altre gravi ed
importanti responsabilità. Nel frattempo,
dando una sbirciata alla legge regionale
n.43/73 scorriamo coloro che non sono
rientrati tra i beneficiari dei finanziamenti
predisposti per l’assessorato. Chissà? Forse
all’Associazione Culturale Borghi e dintorni
di Pescara, giunta 60a, quelle migliaia di euro
spesi dall’assessore un po’ qua un pò a Torino
avrebbero fatto comodo, molto comodo
per organizzare il suo video, bocciato per
mancanza di fondi. Stessa cosa si può dire per
la Società Orizzonte degli eventi, giunta 61a,
che non potrà più organizzare ad Avezzano il
mercatino di Natale. E così via. E così sia. n
3L’Editoriale
Lo champagnedi Luigi De Fanis
dallaRedazione
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Teramo culturale4diSilvioPaolini Merlo dimmitutto@teramani.info
n.93
Sardella eCancellieri, o della teramanità vernacolareOsservazioni sui significatidi “poesia” e “memoria”
Mi ero proposto da tempo di parlare di
Alfonso Sardella, nominato cavaliere
della repubblica da Scalfaro nel 1995 e da
qualcuno indicato già come il più grande
poeta dialettale teramano. Parrà strano, ma è proprio
per scongiurare il facile equivoco snobistico di chi
predilige separare l’alto dal basso, il sublime dal vol-
gare, che ho esitato a lungo prima di decidermi. La
scomparsa quest’estate di un altro noto esponente
della Teramo vernacolare, Lucio Cancellieri, mi ha deciso a dar seguito
al proposito. Per dire in fondo poco, del molto che sui due si potrebbe.
Non dell’amore ardente, viscerale per la lingua di padri e antenati, al
quale non assegno il minimo sintomo subculturale. In toscano, ritenuto
per abituale convenzione glottologica il primo dialetto italico, sono scritti
i monumenti letterari danteschi. In dialetto friulano sono le prime poesie
di Pasolini. E di coloriture anche triviali provenienti dal linguaggio del
basso volgo sono pieni, fra l’altro, i sonetti shakespeariani. Ma forse, a
differenza di questi ultimi, in poeti come Sardella e Cancellieri, casi assai
frequenti nel Novecento italiano, accade qualcosa di non meno signifi-
cativo ma certo di molto differente. Versi, i loro, non di rado nostalgici,
aneddotici, sarcastici, non solo estemporanei ma compiaciutamente
bozzettistici, complici in modo persino disarmante di un agire e di un
sentire, popolari e popolani, propri di una stirpe contadina rievocata
nelle sue manie, nelle sue tipiche debolezze, nei suoi vizi più ricorrenti:
paternalismo, maschilismo, lassismo, vittimismo, fatalismo, dedizione
all’arte del pettegolezzo, alla commiserazione congenita, alla supersti-
zione più o meno sconsacrata. Versi spesso letti, per quanto nessuno
tra i teramani di ieri e di oggi oserebbe ammetterlo, con un pizzico di
spocchia, di pudica reticenza, di indulgente condiscendenza, persino di
sadica ironia.
Entrambi provenienti dal mondo dello sport e dell’impegno sociale: belle
metafore, poetiche anch’esse, di educazione dell’anima riflessa in quella
del corpo. Dei due, Cancellieri ha forse espresso in modo più compiuto
il senso della ricerca a tutto tondo sul ricco patrimonio dei canti e delle
espressioni folkloristiche abruzzesi. Sardella al contrario, malgrado un
dizionario dialettale e attitudini parallele per l’acquerello e la scultura, è
stato essenzialmente un poeta “puro”. L’uno e l’altro, come già Luigi Bri-
giotti e Guglielmo Cameli, investiti affettuosamente del ruolo di “custodi
della memoria”, impegnati in quell’opera di poesia votata all’esercizio
del ricordo, retaggio di quei nobili figuri che, come per gli chansonnier
medievali, assurgevano per naturale vocazione a paladini delle radici
comuni, poste quale nutrimento primario del vivere collettivo, del
mondo andato, di quanto si è perduto e che nessuno tra i vivi si direbbe
più intenzionato a preservare. Ma, vediamo meglio: la poesia equivale
a questo? All’essere ancella del ricordo? Del ricordo certo, anche. Ma
l’evocazione poetica si riduce al ricordo? Il poeta canta di motivi che
possono essere stati dell’ieri, o dell’altroieri, o dell’oggi, o del domani.
Il poeta canta di umori e di pensieri che attraversano il tempo in senso
spesso trasversale, percorrendolo in avanti e indietro. E la memoria, il
ricordo, strumenti a servizio del patrimonio culturale di un territorio, di
un’epoca, di una nazione, o del mondo intero, sono
l’equivalente di foto color seppia incollate assieme,
come in un album di famiglia riesumato dal baule?
Del «pensa un po’, eravamo così e ora non lo siamo
più»? Anche qui occorre articolare distinguo piutto-
sto netti.
Consapevolezza storica e intangibilità della memoria
sono, purtroppo (o per fortuna), due specie di me-
moria totalmente diverse. E Sardella apparteneva,
come Cancellieri, alla seconda specie. Nel primo
caso si distingue cosa da cosa, si ripensa alla parte
in ragione del tutto, e del tutto in ragione del tempo
e del fatto, ineludibile, che ogni cosa nel mondo è
destinata a consumarsi e finire. Questa esigenza,
meravigliosa, del rinnovamento senza fine, del divenire perenne che
permette al nuovo di innestarsi sull’antico e di tradurlo nella direzione
dell’altrove e dell’inaudito, non combacia in nessuna parte e in nessun
senso ma anzi stride violentemente con l’idea di “custode della memo-
ria”. Chi “custodisce” il tempo, ergendosi quale destriero in corazza di
fronte a tutto quanto possa in qualche misura alterarne l’immagine, o
comunque diminuirne il tono aulico ed autoreferente, scongiura l’idea
che ciò che cambia non può che minare alla base il senso che persiste
atavicamente a fondamento di ogni tradizionalismo: l’immutabilità, il
mito delle origini verginali e incorrotte, il tempo come logoramento e
perdizione. A sottintendere pertanto che l’antico è bene, e che l’attualità
è male. Lo storico agisce sulla base di criteri diametralmente opposti.
E se anche giudica, o pone scale di valori, non sentenzia né primati né
presunte originarietà. Al contrario, egli è il testimone consapevole del
fatto che è solo nel tempo e attraverso il tempo che una memoria si
rafforza e mantiene viva. Del fatto insomma che essa non la si preserva
da morta, imbalsamata e fatta oggetto di culto reverenziale, ma sot-
toponendola a nuove realtà e nuovi valori. Perché questo avvenga la
memoria non basta. E non basta neppure la volontà, per buona che sia.
Occorre solo un poco di lungimiranza mista a buon senso, primo passo
verso l’arte di vivere. n
Quando ci si lascia in
una coppia spesso c’è
qualcuno di mezzo, il
terzo incomodo. Inutile
continuare ad insistere che…
no, questo è solo un momento
di riflessione, voglio i miei spa-
zi, oppure, ciliegina sulla torta:
tu mi tarpi le ali. No, assoluta-
mente. Se la coppia scoppia
qualche volta c’è di mezzo un
gatto. Anzi un Paolo Gatti.
Le recenti esternazioni del sin-
daco Democratico di Isola del
Gran Sasso, Alfredo Di Varano,
possono essere lette sotto
questa luce. Dopo un’alle-
anza strategica attraverso
l’esperienza di una lista civica
proprio con l’esponente dei Fratelli d’Italia che l’ha portato alla guida
del municipio isolano, Di Varano è colto da improvviso mal di pancia:
Pd troppo spostato sull’asse Verticelli-Ginoble, un fatidico duo che
creerebbe volontariamente liste troppo deboli, con “gli utili idioti”, di
Giuliano Amato memoria, buoni per tutte le stagioni e con il centrode-
stra che in queste condizioni continuerebbe a perdere sine die, un po’
la sindrome di Tafazzi. Questo in sintesi il j’accuse di Alfredo Di Varano
che però, per far chiarezza e per smentire personali salti della quaglia
verso la fazione gattiana, continua a dichiararsi di sinistra da una vita,
“dalla Fgci nel 1988”. “Sono stato tra i fondatori della Sinistra Giovanile
– prosegue - da allora ho militato ininterrottamente nel Pci, nel Pds,
nei Ds ed oggi nel Partito Democratico”.
Un timbro che dovrebbe tenerlo al riparo da rumors e maldicenze che
lo vogliono ormai alla corte di mister 100 mila voti. Nella lettera che ha
scritto al mondo ha comunicato di aver rinunciato con rammarico alla
tessera e alla militanza nel Pd. “Abbiamo assistito – scrive e ribadisce
al telefono - con crescente sconcerto, alle sconfitte in serie in comuni
di grande tradizione di centrosinistra, sconfitte spesso dovute alla
cacciata dal partito di soggetti che avevano peso elettorale ma che,
evidentemente, facevano troppa ombra. Basterà, a mero titolo di
esempio, citare i casi di Roseto ed Atri. Abbiamo assistito, in occasione
delle primarie per i parlamentari, a casi di comuni dove gli elettori del
Partito Democratico erano più numerosi alle primarie che alle elezioni
politiche, senza che alcuno si chiedesse il motivo di tale anomalia”.
Di Varano parte da lontano per la sua insofferenza piddina: dalla fusio-
ne fredda che ha unito contronatura due partiti politici che fino a poco
tempo prima erano come l’olio e l’acqua, come tesi e antitesi hegelia-
na, come il diavolo e l’acquasanta. Per non parlare delle batoste subite
a livello locale, a cominciare dalla
manciata di voti dei liberalsocia-
listi che in Provincia di Teramo
decretarono l’insperata vittoria di
Valter Catarra. “Si deve cambiare
registro – prosegue il sindaco di
Isola - si presentano i candidati
alla deriva in luoghi importanti
come Teramo, Giulianova, alle
regionali, senza che si discuta
all’interno del partito, invece
questi dovrebbe esprimere le
forze migliori con i curricula a
testimoniare la validità degli
uomini e non espressione del
duo Verticelli-Ginoble che sta
emarginando le forze migliori:
in questo modo il centrodestra
continuerà inevitabilmente ad
inanellare vittorie su vittorie”.
Di Varano si sarebbe aspettato dal neo segretario ben altro, “invece di
smentirmi con i fatti mi ha detto che avrei dovuto dimettermi prima”.
“Fa brutti sogni la notte”: così compendia lo sfogo amaro Gabriele
Minosse, segretario provinciale da pochi giorni. “Mi preoccupo per lui
perché continua sempre con la solita solfa, con un’insensata mania di
persecuzione nei confronti di Verticelli e Ginoble ma gli devo ricordare
che sono proprio loro che hanno vinto all’ultimo congresso”.
Sul versante Gatti, Minosse consiglia a Di Varano di chiarire la sua
posizione direttamente con l’assessore regionale, non c’è nessun
retro pensiero nella mia affermazione” tiene a precisare. Anche se
gli rinfaccia la sua elezione a sindaco con l’aiuto proprio con Gatti e
dunque di dialogare con il centrodestra. “E poi, in tutta sincerità, avrò
visto Di Varano in qualche riunione del partito forse solo due volte, non
di più, non è una persona che ha frequentato spesso i nostri circoli”.
Infine c’è chi vince e c’è chi perde, gli fa leggere tra le note il neo
segretario. “Lui forse qualche colpa ce l’ha”. E in conclusione gli ripete
a mo’ di ammonimento: “Prima di attaccare il partito, chiarisca la sua
situazione con Paolo Gatti”. n
Politica teramana6n.93
Minosse,Di Varano:io tu e Gatti
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Di Varano lancia il suo j’accuse al Pd.Minosse: Di Varano chiarisca il suo rappor-to con l’assessore regionale.
7Satira
diMimmoAttanasii dimmitutto@teramani.info
Ci sono idee sbagliate sulla
satira, che sono frutto dei
nostri tempi. Da qualche
parte si è scritto che con
l’Olocausto e l’11 settembre
sarebbe dovuta finire la lettura
sarcastica delle apocalissi. L’in-
terpretazione ironica dell’otte-
nebramento rimuovendo le ini-
bizioni parodistiche del passato,
dei cantori dell’assurdo. Forse
sì, forse no. Chissà. Di certo, per
qualcuno, questa è stata una
fine calcolata come unica cosa
buona uscita fuori dagli orrori
dei nostri ultimi cent’anni. E
così, non si dovrebbe insistere
nell’esagerare con la “cattive-
ria”, in strategie e strumenti
linguistici, architettati dalla nostra mente, per distrarre quella altrui.
La tecnica è di fingere ignoranza e di dare credito a ciò che si
ascolta da parte di chi ha una posizione non condivisa. Perse-
verare con pazienza e intelligenza nel dissimulare disinteresse,
fino a quando non la si spara grossa. Ed è proprio in quel preciso
movimento mentale che si riassumono ogni spunto, i più ridicoli,
infilandosi in una prospettiva di assoluta ignoranza immeritata.
Un esempio dell’esercizio intellettivo nella gestione delle ipocrisie
sociali. L’azione “piena di rabbia”, mai interpretata come “satira”. La
rabbia, l’esuberanza di giovani che non hanno alternative se non le
effimere manifestazioni anticipate da locandine multicolori e segui-
te poi da rare rappresentazioni rispondenti alle aspettative evocate
da brochure esagerate nei contenuti. Nulla di insostenibile, se non
la leggerezza dell’essere.
La consapevolezza di una falsa supremazia culturale da parte di chi
si arrabatta inutilmente a mettere insieme le tessere di un puzzle
da sfasciarsi puntualmente a settembre, per ricomporlo maldestra-
mente l’estate seguente. Dopo l’arresto dell’assessore regionale
alla Cultura, Luigi De Fanis, al quale sono stati contestati reati come
n.93
la concussione, truffa aggravata e peculato, resta oggi più che mai
in forse la calendarizzazione invernale degli eventi in terra d’Abruz-
zo. Verosimilmente, saremo costretti a campare di ricordi. Delle
esibizioni degli “Attacca l’asino dove vuole il padrone” piuttosto
che canticchiare mnemonicamente le immarcescibili liriche della
“Rosina, dammela...”, magistralmente interpretata da “Vittorio il
Fenomeno and The Guest Star Stellina”. Nulla è perduto. D’altron-
de, come fecero gli antichi a districarsi tra Parmenide e la sua tesi
“Tutto è, nulla diviene” e di Eraclito l’antitesi “Tutto diviene, nulla
è”, per cercare la sintesi che solo nella relatività di Platone poteva
essere trovata? Secondo quanto veicolato nei secoli attraverso la
crudezza semantica lessicale di un detto popolare, è noto che gli
antichi “...se fice da ‘ngule”; d’altro canto, per gli indagati moderni,
da non confonderli con gli “indagatori sapienti dei fenomeni del
pensiero”, c’è sempre bell’e pronto il solito chiarimento dinanzi
ai giudici, con addebito a soggetti mossi da finalità immorali, che
avrebbero allestito una perdu-
rante e pressante campagna
denigratoria portata avanti
con violenza da alcuni mass
media atti a strumentalizzare
vicende giudiziarie da parte di
una magistratura politicizzata
e deviata.
Movimenti mentali e niente
altro. L’agitarsi di indizi cere-
brali nel ventre di leader in
fuga dalla cuccagna che li ha
sorretti nella loro “paraculata”
partitica. Un po’ di qua con
il Berlusca e un po’ di là con
l’Angelino, che già il nome ti
avvicina a Dio. Così si sta divi-
dendo la politica nelle province
italiane dell’accattonaggio del-
le preferenze. E se nella mente
di chi si propaganda alle folle con due enzimi d’ingegno insiste
comunque la convinzione della propria presentabilità morale, come
mai ce ne stiamo lì a fissare la foto di una macchina parcheggiata
davanti al portoncino di una chiesa?
“Bussate e vi sarà aperto”. (Lc 11,1-13) n
Movimento mentaleÈ mezz’ora che suono,volete aprire questa benedetta porta?
Con Nigel Warburton, Senior lecturer
presso la Open University di Oxford, la
filosofia è finalmente uscita dalle aule
universitarie per incontrare la vita. Se-
condo un’opinione comune (e ingannevole allo
stesso tempo) i filosofi parlano solo di “aria frit-
ta” e continuano da secoli a speculare sempre
sugli stessi problemi, senza aver contribuito
minimamente a risolverli.
«Si dice talvolta che studiare la filosofia non è
di nessuna utilità, perché tutto ciò che i filosofi
fanno è di starsene lì a cavillare sul significato
delle parole. Sembra che essi non raggiungano
mai nessuna conclusione importante».
Con i Philosophical ed Ethical bites di
Warburton, file audio con interviste a grandi
intellettuali contemporanei, la filosofia ha
invaso la rete ed è diventata accessibile a
quanti siano interessati a conoscerla, perché
spesso il pensiero dei filosofi è trascritto con
un linguaggio artificioso e incomprensibile. «If
you can’t say it clearly, you don’t understand it
yourself», «Se non posso esporre qualcosa con
chiarezza, non posso nemmeno comprenderla
io stesso» (John Searle).
La filosofia non è una materia passiva, ma
stimolo a conoscere se stessi e gli altri, a
rispondere a interrogativi essenziali dell’esi-
stenza anche attraverso il confronto con il
passato. “Senza la conoscenza della storia,
non ci sarebbero progressi: si continuerebbe a
commettere gli stessi errori”.
Warburton è convinto che Internet rappresenti
“il futuro della riflessione teoretica”, perché an-
che l’ascolto, come la lettura, contribuisce alla
crescita interiore. Con il caratteristico sense
of humor inglese, Warburton nella sua Breve
storia della filosofia, appena tradotta dalla casa
editrice Salani, pone una curiosa domanda:
“Non sarebbe fantastico se fossimo in grado di
sapere quando qualcuno dice delle stupidaggi-
ni?”. Più che bello, sarebbe fondamentale per-
ché tutti noi abitualmente incappiamo in cose
stupide e senza senso, comprese le persone
colte. Anzi queste ultime, forse in maniera
volontaria e mirata, ricorrono spesso a frasi
vuote, compiacendo se stesse e introducendo
nell’ascoltatore il dubbio di essere incapace di
comprendere contenuti così elevati.
Qual è, dunque, il criterio per discernere i con-
tenuti concreti da quelli vuoti e senza senso?
Secondo Alfred Ayer, filosofo inglese morto nel
1989, di fronte a una qualsiasi proposizione
ci si deve chiedere: “È vera per definizione?”,
oppure “È verificabile empiricamente?”. Se
non risponde affermativamente ad almeno
una delle domande, la proposizione non ha
senso. Ayer sosteneva che gli scritti di Hegel
non superassero in informazioni date le fila-
strocche dei bambini. Anche Hume indicava un
criterio similare: “Se ci viene alle mani qualche
volume, per esempio di teologia o di metafisica
scolastica, domandiamoci: contiene qualche
ragionamento astratto sulla quantità o sui
numeri? No. Contiene qualche ragionamento
sperimentale su questioni di fatto e di senten-
za? No. E allora gettiamolo nel fuoco perché
non contiene altro che sofisticherie e inganni”.
Questo è il criterio generale che dovrebbe
essere adottato nella morale e nella politica
per distinguere quegli studiosi che si muovono
su basi razionali da quelli che usano le parole
a proprio piacimento per incartare i lettori con
insulsaggini, all’apparenza convincenti.
Il filo conduttore del libro è sempre l’uomo
nella sua articolata fenomenologia. Le doman-
de cruciali sulla vita devono essere svolte non
in astratto, ma a partire dalla concretezza.
L’uomo appartiene alla storia, quindi non può
credere di “porsi in una prospettiva sub specie
aeternitatis”. Perciò la filosofia non può allon-
tanarsi dalla vita e non deve restare chiusa
nelle aule universitarie, ma deve fluire libera.
Per il filosofo Bernard Williams “il mondo
umano va capito nelle sue logiche immanenti;
e la stessa moralità, che per lui coincide con
l’idea liberale di tolleranza, se non vuole essere
flatus vocis, deve inserirsi nei rapporti di forza
esistenti”.
Breve storia della filosofia
di Nigel Warburton casa editrice Salani, 2013.
Il libro del mese8 dimmitutto@teramani.info
Come difendersidalla stupidità
n.93
diMaria Cristina Marroni
Lo chiamano già Bill de Blasio. Forse per la sua corpulenza bona-
ria, per la moglie e figli spesso accanto nei suoi incontri politici
- accade raramente da noi e solo alla messa della domenica per
la gioia di qualche paparazzo - oppure per quell’idea che qualche
idiota chiama ancora comunista di una strenua difesa dei più deboli,
degli ultimi, in un mondo per la verità senza nemmeno più i primi. Bill
Pomante, candidato sindaco per i movimenti civici, è sceso nell’ago-
ne politico con la rabbia in corpo, con quella lucida determinazione
di dover raddrizzare molti torti nella nostra martoriata città. In pochi
giorni ha compreso già molte cose delle untuose logiche che gover-
nano la politica locale e delle resistenze del potere consolidato, tanto
che sono partiti subito gli attacchi agli alti papaveri. Il primo a Paolo
Gatti che aveva accusato l’avvocato teramano di essere una scatola
vuota: “Gestisce formazione e lavoro dal 2009 – lo ha rimbeccato -
ma ha portato solo briciole sul territorio, poca roba per persone che
hanno famiglia a carico, questa è la politica del bluff” affondò in una
conferenza stampa. “Ma è finita; c’è gente che deve vivere con 500,
1000 euro, quando qualcuno becca 10 mila euro senza capire che gli
succede attorno”.
Pomante incarna la gentilezza a suo modo, garbatamente, con fiducia
e tenacia, ma al momento giusto sa mostrare gli artigli. “Ci mettiamo
la faccia”- fu il suo esordio in conferenza stampa quando presentò la
sua candidatura alla stampa. “Dobbiamo ripartire dai nostri sogni” il
suo motto, enunciato a voce ferma tra l’idealismo di un avvocato di
provincia che vuole cambiare gli asset e il we have a dream che è in
tutti noi. “Stop dunque alla politica che viene dall’alto”, forse anche
cominciando con poco, con l’idea del mercatino di Natale in aiuto
all’economia del territorio, fu allora la sua proposta che spiazzò la pla-
tea. Anche perché poi le grandi idee si enunciano ma inevitabilmente
non si compiono mai. “Tutt’insieme possiamo cambiare la nostra città
perché questo territorio ha le idee giuste e non dobbiamo pendere
dalle labbra di qualcuno: il sindaco, i dirigenti, gli assessori, sono nostri
dipendenti, non scordiamocelo, ogni cittadino ha dunque il diritto di
proporre le proprie idee ed essere valutate”.
Pomante vuole ravviare il sistema che si è inceppato con il cuore.
“Cuore per tornare a giocare in piazza, liberi come tanti bambini, con
l’educazione ritrovata. Cuore per non fuggire all’estero e per essere
talenti a Teramo. Ed infine cuore per abbattere gli inutili e aridi tecni-
cismi di questa politica che sta uscendo bocciata dai cuori teramani
grondanti di sangue per incapacità e sterilità altrui”.
Questo riferì all’Hotel Abruzzi con moglie e figli al seguito, ufficializzare
la sua candidatura a sindaco di Teramo a capo del movimentismo
civico (Teramo 3.0, Il popolo di Teramo, Movimento 139).
In attesa di un programma, l’informatico ha già sviluppato il suo
decalogo: dieci punti dove trovano spazio onestà, sorriso (“vedo gente
infuriata in giro, una volta anche lo spazzino fischiettava”), solidarietà
(“nel pianerottolo non ci conosce più”), educazione (“basta parcheg-
giare nei marciapiedi”). Poi ancora: partecipazione, esempio, prudenza,
dinamicità, attenzione ai consumi e amore, amore, amore. Il candidato
sindaco istituirà un centro d’interesse dove i Teramani potranno dire
la loro, al contempo denuncia il digital divide (“il 37% dei Teramani
non ha la linea adsl”) e promuove il sano lobbysmo all’americana
“trasparente e utile, e non centro di interessi”. Dobbiamo ripartire dal
sentimento e dobbiamo ravviare il Rinascimento teramano” chiuse il
suo intervento all’Hotel Abruzzi.
Pizzetto alla Sperandio, come buon viatico per le prossime ammi-
nistrative, l’avvocato raggruma nel suo volto accigliato i pensieri e
numeri della crisi, una risposta che fa male al potere consolidato, a chi
ci ha portato sulla soglia del baratro.Lui si scioglie in una litania infinita:
“Disoccupazione giovanile al 27%; reddito medio delle famiglie 1000
euro; 9.724 cassaintegrati; 1,4 milioni di ore di Cigo a settembre 2013;
18.900 sono le famiglie in stato di privazione”. Numeri che fanno male,
che sono indigesti. “La componente gattiana del centrodestra – ripeté
ancora – ha gestito direttamente per cinque anni le strategie in mate-
ria di finanziamenti europei. Dopo cinque anni dovrebbero spiegarci
per quale ragione sono stati pagati con soldi pubblici e quali risultati
hanno ottenuto gestendo soldi pubblici. Se l’Abruzzo e Teramo fossero
imprese private, questi manager sarebbero già stati licenziati dai pro-
prietari. Se fossero liberi professionisti avrebbero già perso tutti i loro
clienti”. Ogni politico di razza sceglie il proprio nemico. Bill Pomante ha
scelto mister cento mila voti. n
Politica teramana10n.93
Bill Pomante sfida il potere
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Gianluca Pomante,candidato Sindaco di Teramodelle liste Teramo 3.0, il Popolo di Teramo, Movimento 139
Gianluca Pomante e la moglie Licia Cecchini
FISSATO IL TERMINE UNICO PER LA PRESENTAZIONEDELLE DOMANDE ALLA FONDAZIONE TERCAS
MARTEDÌ 7 GENNAIO 2014è il termine unico per la presentazione di tutte le domande di contributo
per progetti da realizzarsi o avviarsi nell’anno 2014.
Le istanze dovranno pervenire inderogabilmente entro
il suddetto termine al seguente indirizzo di posta elettronica:
fondazionetercas@legalmail.it.
Il mancato rispetto dei termini e delle modalità di invio di cui sopra comporterà
l’automatica esclusione delle relative istanze.
Gli uffici della Fondazione sono a disposizione
per chiarimenti e informazioni ai numeri:
0861-241883 e 0861-252881.
Per leggere gli Avvisi, scaricare i Modelli di Domanda
e conoscere le Modalità di Presentazione di ogni tipo di richiesta e/o progetto
visitare il sito della Fondazione all’indirizzo:
www.fondazionetercas.it
La storia12n.93
A tredici anni non è così comune mettersi ad un computer e
buttare giù un libro. Ancora di più se questo ha già le forme
compiute del romanzo. “Il vaso di Pandora” (2012, pp. 278) è
la prima opera di Marco Esposito che di anni oggi ne ha sedici
e frequenta il Liceo Scientifico di Teramo. Grazie ai suoi genitori, la
passione per la lettura ha segnato la vita di Marco fin dall’infanzia
e ciò gli ha permesso di coltivare moltissimi interessi, anche nel
campo scientifico e non esclusivamente letterario come verrebbe da
pensare. Vincitore del premio “I have a dream – Sogni nel cassetto”
per la sezione “Narrativa – Romanzi”, “Il vaso di Pandora” è il numero
uno di una trilogia fantasy che vedrà la luce nei prossimi mesi. Il
critico Simone Gambacorta dalle pagine del quotidiano “La Città”
lancia così il romanzo: “L’enfant prodige teramano ha messo i piedi
in un fantasy ambientato ai giorni nostri, tra l’America e l’Europa,
che racconta l’eterna lotta tra il bene e il male. La scrittura funziona
alla grande e la storia, tempo cinque minuti, fa capire d’essere una di
quelle da leggere d’un fiato”. In occasione di una delle ultime presen-
tazioni di Marco, in un incontro affollato tenutosi nella sala centrale
della Biblioteca Civica di Giulianova, a Palazzo Bindi, abbiamo appro-
fittato dell’iniziativa per porre al giovane autore qualche domanda.
Marco, ci racconti com’è nata l’idea di pubblicare la tua storia e
di mettere in piedi una trilogia?
Il libro in realtà non è nato come un progetto editoriale. All’inizio
scrivevo per me, per il piacere di scrivere, poi ho cominciato a
pensare che avrei potuto proporre il mio lavoro per una pubbli-
cazione. Per questo devo ringraziare i miei genitori che mi hanno
incoraggiato e, chiaramente, la mia casa editrice. Una creatura di
quattrocento pagine dattiloscritte – ed ecco che si spiega la scelta
della trilogia - che ho proposto alla casa editrice tramite mio zio che
è anche stato uno dei miei primi lettori. L’Artemia, a sua volta, lo ha
fatto leggere e analizzare ad alcuni specialisti. Questi, per la verità, si
sono inizialmente divisi tra gli increduli e gli entusiasti e, dopo avermi
incontrato, hanno spinto finalmente la casa editrice a portare avanti,
stavolta sì, il progetto.
La casa editrice Artemia, come ha accolto il tuo romanzo e
com’è stata l’avventura dell’editing?
E’ stata una bellissima esperienza e la casa editrice mi ha accompa-
gnato passo dopo passo. Un’intera estate trascorsa a revisionare il
lavoro, perché in ottobre dovevamo uscire nelle librerie. Il materiale
era molto e in realtà ho sofferto un po’ nel dover rimettere le mani
sul testo, nel dover tagliare alcuni brani che, certamente, ho messo
da parte. Questa è anche la testimonianza che la storia è tutta
farina del mio sacco. Chissà, se non riutilizzerò i tagli per un nuovo
racconto.
Nel tuo libro vivono molti personaggi e tenerli insieme appare
veramente difficile. Mostri una grande padronanza delle tecni-
che di scrittura, del modo in cui si padroneggia una storia che
appare già sceneggiata per un film. Quali sono state le fonti che
ti hanno guidato
nel comporre il
tuo libro?
Per quanto riguar-
da i dialoghi, aldilà
di qualche nozione
di storytelling, ho
preso spunto, ad
esempio, dai fu-
metti. Poi ci sono
i fantasy: dal più
classico Tolkien
alla saga di Harry
Potter della Row-
ling, come anche i
libri di Dan Brown.
Ho scelto i perso-
naggi attingendo
alle leggende
popolari di alcune
parti d’Europa.
Uno per tutti è il
Golem di Praga. I
dialoghi poi sono
importantissimi
per rivelare la personalità di un personaggio. Farlo parlare significa
sorpassare le descrizioni e costruire la sua psicologia.
Ti rivedi in uno dei tuoi personaggi?
Credo che ognuno di loro abbia una parte di me. Anzi, aggiungerei
che ogni protagonista della narrazione rispecchia un particolare
stato d’animo che fa parte di quell’insieme di sfaccettature che pos-
siede un adolescente, soprattutto quando ci si sente reietti o diversi
dalla maggioranza. Spesso il fantasy viene visto solo come un genere
letterario destinato al puro divertimento. Ho cercato invece di far
passare l’idea che seppure considerato minore può permettere inve-
ce di trasmettere aspetti che altrove passerebbero inosservati. n
Marco e “Il vasodi Pandora”
diSirio MariaPomante dimmitutto@teramani.info
Il caso editorialedi un giovanissimo scrittore teramano
13
D a tempo Teramo sognava una
libreria di spessore e di catalogo,
soprattutto dopo la sofferta chiusu-
ra di “Ipotesi” del professor Bruni,
dove trovare, per intenderci, oltre a libri
commerciali e testi scolastici per le scuole
di ogni ordine e grado, compresa l’univer-
sità, anche libri “specializzati” per bambini
ed adulti volti a soddisfare tutti i gusti e a
spaziare nelle varie discipline dello scibile
umano: arte, letteratura, storia, filosofia,
matematica, medicina, geografia, informa-
tica, edilizia, cucina, sport, concorsi ecc...
Ora, finalmente, questo sogno si è realiz-
zato, grazie alle capacità di un giovane
teramano, Christian Simonella che, cresciu-
to sin da piccolo in un ambiente familiare,
dove “il libro era il pane quotidiano”, ha
voluto investire nella cultura, nonostante le
difficoltà del settore e della vita economica
in genere, consapevole del fatto che solo
la cultura può dare significato alla vita, im-
pulso ai più nobili ideali, elevare ed affinare
lo spirito, rendere liberi e vincenti.
La libreria chiamata non a caso, Tempo Lib(e)ro, situata in Corso Cerulli, presso
Palazzo Savini, uno degli edifici più antichi
e prestigiosi della città, è stata inaugu-
rata il 23 Novembre ed è organizzata e
diretta in modo innovativo. In essa, infatti,
gli amanti del sapere potranno incontrare
gli scrittori dei best-sellers del momen-
to e dissertare sulle tematiche da loro
affrontate. In ambito scolastico verranno
organizzati corsi di ortoepia e dizione, di
grammatica e scrittura creativa, laboratori
di vario genere e visite guidate in libreria,
su richiesta degli stessi docenti e discenti.
Non resta che complimentarsi con questo
giovane coraggioso e ringraziarlo dal più
profondo del cuore, perché con la sua li-
breria innovativa e di tendenza concorrerà
a diffondere e ad accrescere notevolmente
la cultura della nostra città.
Ad maiora, Christian, capitano di questa
difficile ma straordinaria avventura. n
n.93
CulturadallaRedazione dimmitutto@teramani.info
Tempo Lib(e)roAperta una nuova libreria innovativa
Ai lettori di Teramani che si
recheranno in libreria con il
nostro periodico, sarà praticato
uno sconto del 10%sul prezzo di copertina
In caso di pericolo non indagare, ma
blocca: questo sembra essere il motto
che si ribadisce ormai in Italia. Quando
c’è un problema, non si trova la
risposta, non si cercano le cause, si mette
tutto a tacere, meglio non sapere. Proprio
seguendo questa logica, qualche giorno fa
il sindaco di Napoli De Magistris ha quere-
lato il settimanale L’Espresso e chiederà un
miliardo di danni per la copertina dedicata
agli effetti delle discariche tossiche sulla
salute dei cittadini campani. Dopo aver
tentato di bloccare l’uscita del giornale,
ora arrivano le azioni legali.
Nel mirino c’è l’inchiesta del settimanale
che riporta le parole di Carmine Schiavone,
cugino del padrino Sandokan; la camorra
ha sistematicamente inquinato le falde ac-
quifere della Campania con milioni di ton-
nellate di rifiuti tossici: «Non solo Casal di
Principe, ma anche i paesi vicini sono stati
avvelenati. Gli abitanti rischiano di morire
tutti di cancro, avranno forse vent’anni di
vita». Ma le parole nefaste del camorri-
sta trovano più di un riscontro nell’unico
grande studio esistente sugli effetti delle
discariche clandestine.
Lo ha realizzato il comando dell’Us Navy di
Napoli: oltre due anni di esami, costati 30
Italia14n.93
BeviNapolie poi muori
diMaria Gabriella Del Papa dimmitutto@teramani.info
L’inchiesta chocdel settimanale l’Espresso
milioni di dollari, per capire quanto fosse
pericoloso vivere in Campania per i militari
americani e le loro famiglie. Dal 2009 al
2011 è stata scandagliata un’area di oltre
mille chilometri quadrati, analizzando aria,
acqua, terreno di 543 case e dieci basi
statunitensi alla ricerca di 214 sostanze
nocive. Le conclusioni sono state rese note
da diversi mesi e sostanzialmente ignorate
dalle autorità italiane. L’analisi del dossier
completo di questa ricerca però offre la
sola diagnosi completa dei mali, con risul-
tati sconvolgenti.
La diagnosi più inquietante riguarda
l’acqua: il 92 per cento dei pozzi privati
che riforniscono le case costituiscono “un
rischio inaccettabile per la salute”, ma
ci sono minacce anche negli acquedotti
cittadini: esce acqua pericolosa dal 57 per
cento dei rubinetti esaminati nel centro di
Napoli e dal 16 per cento a Bagnoli. Come
è possibile che pure la rete idrica pubblica
sia inquinata? Gli americani scoprono
che l’acqua dei pozzi clandestini riesce a
entrare nelle condotte urbane, soprattutto
in provincia. In oltre la metà dei pozzi, gli
esperti trovano una sostanza usata come
solvente industriale - il Pce o tetracloro-
etene - considerato a rischio cancro. La
diossina invece è concentrata nel territorio
tra Casal di Principe e Villa Literno, ma pur
essendo alta non costituisce una minaccia.
Tra tanti dati inquietanti, si fa strada un
incubo che finora non si era mai materia-
lizzato: l’uranio.Gli esami lo individuano in
quantità alte ma sotto la soglia di pericolo
nel 31 per cento delle case servite da
acquedotti: ben 131 su 458.
Quando si procede con l’analizzare i pozzi,
il mistero aumenta: è rilevante nell’88 per
cento dei casi, mentre nel 5 per cento il
livello diventa “inaccettabile”.Questo signi-
fica che in un pozzo su venti si riscontra
una quantità di uranio che mette a rischio
la salute.
Tutti i campioni che superano il livello di
allarme però sono stati scoperti nell’area
di Casal di Principe e Villa Literno. Proprio
lì dove il pentito Carmine Schiavone ha
descritto processioni di «camion dalla Ger-
mania che trasportavano fanghi nucleari
gettati nelle discariche».
Il rapporto conclusivo è stato trasmesso di-
versi mesi fa alle autorità italiane, ma sino
ad ora mai reso pubblico.
Certo, tutto questo non ci fa onore, anzi
dovrebbe spingerci a pensare che con
l’omertà non si andrà lontano.
L’inchiesta non riporta dati provvisori, but-
tati giù per denigrare, idee, opinioni di un
singolo individuo, di una corrente politica,
bensì un dossier con certezze, analisi,
prove scientifiche operate sul posto.
E’ inutile far finta di niente e prendersela
con chi fa informazione, invece che con
chi dovrebbe impedire il traffico di rifiuti
tossici gestito dalla criminalità organizzata.
Questa situazione, questo voler ignorare
può solo peggiorare la vita di chi vive in
quelle zone e da anni sopporta le terribili
conseguenze dell’inquinamento. n
Articolo tratto da “La Zanzara”,
periodico dell’Istituto Tecnico Com-
merciale e per Geometri “Vincenzo
Comi” di Teramo, Direttore Editoriale
de “La Zanzara”: il Prof. Gennaro Valeri, Pre-
side dell’Istituto: il Prof. Lorenzo Di Poppa
Volture.
Era l’anno 1966 e l’autore scriveva:
“In questo articolo ho cercato di esprimere i
miei pensieri su quella che dovrebbe essere
l’opera dei professori, vedendone da alunno
i lati buoni e pure quelli negativi. Non se ne
abbiano a male dunque quei professori che
non condividono il mio punto di vista: giudi-
chino il mio, come un tentativo di esternare
quello che è, quasi certamente, il pensiero
di altri studenti”.
Il Professorenella scuolaIl professore nella scuola ha un’importanza
vitale. È diffi cilissimo, secondo me, essere
un buon professore perché infi nite sono
le diffi coltà che questo deve superare
nell’espletamento delle sue funzioni. Un
uomo famoso, Raffaello Lambruschini, dice:
”l’Autorità sui cuori ci è consentita, non la
si estorce; e chi la pretende, non l’ottiene”.
Infatti, il professore che sa conquistarsi col
sapere e col prestigio personale l’anima
dei suoi alunni, non ne intacca né ne
offende l’autonomia. Il professore deve,
secondo me, portare rispetto verso la sua
scolaresca, tenendo sempre presente che
ciascuno dei suoi alunni è un’anima che ha
diritto nel suo pieno sviluppo.
Se il professore si limitasse ad imporre
solamente la sua volontà, soffocherebbe
i germi spirituali degli alunni a lui affi dati
e tradirebbe il suo compito enormemente
La scuola dimmitutto@teramani.info
delicato. È il professore infatti che vaglia o
dovrebbe vagliare i sentimenti e gli istinti
giovanili plasmandoli nell’uomo di domani.
Ma l’eccessivo attivismo degli alunni, la
troppa libertà priva dell’intervento dell’edu-
catore degenerano nella diseducazione.
Gli alunni da soli improvvisano, fanno e di-
sfanno senza una meta, senza un concreto
e positivo risultato, così facendo corrono il
rischio di autolesionismo.
Non si devono confondere le sbagliate
estrosità con le attitudini specifi che di ogni
individuo, queste attitudini sono molte ed è
compito del professore scoprirle, suscitar-
le, valorizzarle. Scoperte poi queste varie
tendenze ed attitudini, egli deve intervenire
non senza prudenza e saggezza. Egli non
deve comprimere ed opprimere e nemme-
no permettere che un alunno faccia ciò che
vuole.
Deve, secondo me, cercare di adottare il
metodo della “scuola su misura”, facendosi
guida degli alunni a lui affi dati, obbedire
alla natura assecondandola ma nello stesso
tempo deve piegarla, senza che essa provi
disgusti o ribellioni, verso quelle mete for-
mative e ideali che sono proprie della vera
educazione.
Secondo me, l’eccessiva autorità crea
degli automi, dei timidi, degli animi passivi,
non uomini ma schiavi, anime deteriori.
Nella scuola, alunno e professore devono
integrarsi a vicenda per un sano equilibrio
di concezioni e realizzazioni educative.
Solo nella libertà crescono uomini liberi ma
questa libertà non deve essere anarchia ma
deve conciliarsi con la autorità. Secondo
me, l’educatore abbassandosi al livello dei
suoi educandi non depaupera se stesso,
anzi arricchisce e potenzia la sua attività
spirituale.
Nel rapporto tra la libertà del fanciullo e
l’autorità del professore sta la essenza di
una vera e propria educazione in cui l’au-
torità benevola del professore rappresenta
la condizione essenziale del crescere e del
prosperare dell’alunno verso una meta a
cui arriva mediante la cooperazione di chi,
già consapevole, lo aiuta a raggiungere un
traguardo più alto. n
La Zanzara15n.93
Ieri...
dallaRedazione
Arte16n.93
Giovanni Paolo II benedice ancora una volta l’Abruzzo. E lo fa
dall’alto dei 2600 metri di Campo Imperatore, ma anche dal livel-
lo del mare, a Pescara: proprio in queste due località lo scorso
mese di ottobre, alla presenza di tante autorità, sono stati instal-
lati due splendidi mosaici raffiguranti il papa beato, che sarà dichiarato
santo il prossimo 27 aprile insieme al predecessore Giovanni XXIII.
Si tratta di due opere donate da Alfredo Paglione, mecenate abruzzese
(nativo di Tornareccio, in provincia di Chieti), in onore di un pontefice cui
è sempre stato molto legato.
Eseguiti magistralmente dal Gruppo Mosaicisti di Ravenna, i due mosaici
raffigurano bozzetti realizzati da due artisti di fama internazionale:
Paolo Borghi, quello di Campo Imperatore, e Stefano De Stasio, quello
di Pescara. Il primo è stato installato sulla facciata dell’ostello all’arrivo
della cabinovia di Campo Imperatore a cura del Centro Turistico del
Gran Sasso di Assergi, il secondo in una bella stele in pietra della Maiella
collocata a cura di Sante e Sandro Aceto di Lettomanoppello (Pe) per
conto della Fondazione Pescarabruzzo davanti alla chiesa di Sant’An-
drea Apostolo, vera e propria chiesa d’arte che già custodisce mosaici e
dipinti di Aligi Sassu e Gigino Falconi.
Il capolavoro installato sul Gran Sasso reca l’inscrizione “Giovanni Paolo
II benedici l’Abruzzo”, anche a memoria dell’amore di Karol Wojtyla
per le nostre vette. “Proprio sulla montagna che lo ha visto tante volte
protagonista - ricorda Alfredo Paglione - ho voluto collocare questo
splendido mosaico che è l’ennesimo omaggio ad un papa che ha fatto
la storia, ma anche un atto di affidamento della nostra amata terra, l’A-
bruzzo, all’intercessione di un pontefice che sin dalla sua morte è stato
invocato come santo, e che ben presto salirà agli onori degli altari”.
Il mosaico del capoluogo adriatico, invece, è stato dedicato da Alfredo
Paglione alla memoria della compianta consorte Teresita Olivares: “In
questa chiesa - racconta Alfredo Paglione - ci siamo sposati nel 1967, e
sempre qui nel 2008 sono state celebrate le esequie di mia moglie. Que-
sto dono, allora, è un omaggio a Giovanni Paolo II “Roccia della Chiesa”
come lo definì il successore Benedetto XVI, ma anche alla memoria di
Teresita, donna dolce e silenziosa che con il suo sorriso mi ha accom-
pagnato instancabilmente nel mio lungo viaggio nell’arte. Un’opera che
arricchisce ancora di più la chiesa pescarese che già ospita i pregiati
mosaici dedicati alla Vergine e a San Giuseppe e il grandioso affresco sul
Concilio, nell’apposita cappella. Tutte meravigliose opere di mio cognato
Aligi Sassu”.
Queste due donazioni si inseriscono in una serie di mosaici dedicati
a Giovanni Paolo II che Paglione ha commissionato ad artisti di fama
internazionale e che, trasformate in mosaico dai maestri ravennati, ha
donato negli ultimi due anni al Santuario del Divino Amore a Roma (il di-
pinto è opera
di Luca Verniz-
zi), al museo
a cielo aperto
di Tornareccio
in provincia di
Chieti (opera
di Maurizio
Bottoni), alla
chiesa di
Sant’Anna a
Chieti (opera
di Renato
Balsamo), alla
chiesa del Sa-
cro Cuore di Chieti (opera di Maurizio Bottoni), e alla chiesa parrocchiale
di Fara San Martino (opera di Piero Vignozzi).
“Quando nel 2011 decisi di far realizzare un mosaico dedicato a Wojtyla
da donare al Divino Amore di Roma - conclude Alfredo Paglione - inter-
pellai vari artisti, che mi mandarono le loro splendide realizzazioni, tra
le quali avrei scelto quella per la donazione di Roma. Vista la bellezza
delle tante opere ricevute, ho deciso invece di farle trasformare tutte in
mosaico, e donarle a varie comunità cui sono legato nella nostra terra.
Voglio ringraziare di cuore quanti hanno collaborato per la realizzazione
di queste donazioni, che arricchiscono ancora di più l’Abruzzo di arte,
bellezza e spiritualità, in un’epoca in cui c’è tanto bisogno di questa
dimensione spirituale da riconquistare”. n
e la memoria di Teresita
diPiergiorgio Greco dimmitutto@teramani.info
I Mosaici di AlfredoPaglione
TERAMOVia G. De Vincentiis
Tel. 0861242308
Sì, la spesa che Vale!
Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08
L’ipogeo18n.93
dimmitutto@teramani.info
Senza dubbio, allo Stato va riconosciuto il potere legittimo di proteg-
gere i bambini dal male. Un potere che non dovrebbe includere il
libero fluttuare delle opinioni di governanti spesso sprovvisti degli
strumenti pedagogici necessari a confinare gli archetipi di eroi
immaginari, attraverso i quali i ragazzi potrebbero essere orientati sotto
la lente d’ingrandimento di una falsa e inopportuna morale di facciata.
Sarebbe da sottolineare che tanti dei libri scritti per i bambini non hanno
mai avuta alcuna
carenza di sangue.
Le fiabe dei fratelli
Grimm sono davve-
ro tristi. L’attentato
a Biancaneve da
parte della regina
malvagia rimanda
tutt’altro che a
fatti di cronaca
rosa, piuttosto al
polonio usato per
il presunto assassinio di Arafat. Molti dei video in questione sono stati
definiti come raffiguranti l’uccidere, mutilare, smembrare o sessual-
mente aggredire l’immagine virtuale di un essere umano. Il cervello di
un minore non è in grado di gestire il controllo del comportamento e di
conto ecco qua che la violenza nei giochi mentali si trasforma nell’imma-
ginario collettivo in un effetto negativo più duraturo di quanto potrebbe
esserlo per un adulto. Spetta ai genitori proteggere i propri figli. Questo,
sì. Ma della libertà di espressione va ribadito che mai dovrebbe esserci
nessuno argomento a sottrarre diritti osservati scrupolosamente riguar-
do la creatività intellettuale e riservati legittimamente alla protezione di
libri, film, musica e altri intrattenimenti di varia natura e nobiltà culturale.
E qui il racconto inizia a vedere sfilare signore dell’alta società, parvenu o
cafone è uguale, preti e artisti ché tanto hanno le stesse visioni e intellet-
tuali presunti intenti a tessere trame di rapporti inconsistenti tra gli ado-
lescenti di ieri, rigorosamente degli anni 70, e quelli di oggi disimpegnati
a grigior di logica sessantottina. La spocchia del genitore illuminante si
cela fra i denti stretti quando al centro commerciale l’addetto del reparto
giocattoli porge di scatto l’orecchio sinistro al cliente venuto dal passato,
che gli chiede una scatola del LEGO.
“Deve fare un regalo a suo nonno?”.
“No, sarà un gesto intelligente e creativo per giovani disabituati a
pensare”.
L’addetto l’ha detto, ma il cliente è determinato a procurarsi ciò che è
già diventato per i suoi occhi lo scrigno dei desideri del figlio. Incartato,
nell’accezione più vaga del termine, l’uomo del trapasso porta a casa il
pacco; anche quest’ultima parola va letta in ogni sua accezione. E pacco
si rivela, ma non per il figlio che si aspettava almeno uno smartphone
in offerta. La fregatura generazionale se la becca tutta intera il padre
inconsapevole della contaminazione di uno studio futuristico svedese
sulla storica casa di mattoncini da incastrare. T & V è il nome del nuovo
LEGO prodotto per “Tham & Videgård Arkitekter”. Una confezione con
una guida, le interviste, l’ispirazione, gli esempi di lavoro e di esercitazioni
pratiche degli architetti geniali, Tham & Videgård. Dai mattoncini a Goo-
gle, il passo è breve. Il bambino scopre così che due stralunati disegna-
tori sono riusciti a trasfigurare dalla Play Station figure geometriche in
edifici e costruzioni indefinibili quanto la bizzarria dell’installazione che si
trova all’Università di Linköping, per ospitare un microscopio elettronico
del Dipartimento di Fisica, Chimica e Biologia. Un lavoro realizzato in set-
te settimane. Il cilindro inclinato è uno spettacolare spaccato orientato
verso il futuro, come le
inconsuete proiezioni evo-
cative del nostro “dolmen”
che, fino a poco tempo, se
ne stava lì, tranquillo, nel
Piazzale San Francesco, a
dialogare con Porta Mela-
tina, sotto le inferriate del
manicomio. Una straziante
prolusione del genitore
giunto da lontano a risve-
gliare il figlio assopito sul letto immerso nella ricerca di App su iTunes e
steso sul fianco come la “culona inchiavabile” (raffinata citazione di uno
statista) riemersa agli inizi del ‘900, nella camera principale dell’Ipogeo
millenario di Hal-Saflieni a Malta. E come da sempre avviene nella stanza
dell’Oracolo, quella accanto alla culona, che se un uomo infila la testa
in un buco nel muro può fare sentire la propria voce per tutto l’ipogeo -
virtù preclusa alle donne da indissolubili leggi fisiche, ma non misteriose
millenni fa - il padre sessantottino attacca una pippa su catacombe e
necropoli. Sul più grande tempio sotterraneo, unico al mondo.
“Sarà... ma a me, o pa’, mi sa che l’ipo(g)geo su alla Villa l’hanno
copiato dagli svedesi”. n
A grigiordi logicaNon è l’Hypogeum di Hal Saflieni
diMimmoAttanasii
Saranno molti gli studenti, i pensionati ed i cassa integrati che trove-
ranno un impiego, se pur temporaneo e occasionale, raccogliendo
uva e olive nelle nostre campagne. A renderlo possibile lo strumen-
to dei “voucher”, molto utilizzato dalle imprese agricole durante le
attività di raccolta di uva, olive, frutta, tabacco, vivaismo. Per sapere se
sarà un’ottima annata non dovremo aspettare ancora molto (le previsioni
sono più che positive con +5% di produzione rispetto al 2012), quel che
è certo che la vendemmia che partirà nei prossimi giorni così come la
raccolta delle olive il prossimo ottobre, rappresentano una opportunità
di lavoro in questi tempi da “non scartare”. Se prima della crisi, attività
come la raccolta di frutta, della verdura, dei fiori, del pomodoro e del
tabacco, dell’olio e del vino non erano in cima alla lista dei lavori stagionali
e temporanei da prendere in considerazione, oggi non è affatto più cosi:
19Coldiretti informa
saranno molti i soggetti che attraverso i “voucher” introdotti nel 2008
troveranno un impiego nelle nostre campagne tra settembre, ottobre e
novembre. Ad usufruire dei “voucher” pensionati, studenti da 16 fino a
25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studi e per la prima volta anche
cassaintegrati che lavoreranno tra filari e oliveti tra un minimo di 20 giorni
ad un massimo di 40 giorni per 8 ore al giorno consumando mediamente
240 buoni lavoro a testa. Le aziende che ricorreranno in questi mesi ai
“voucher” sono centinaia, di piccole e medie dimensioni, e principalmen-
te concentrate nelle aree di produzione di vino. Il consiglio per chi vuole
sfruttare questa occasione è quello di individuare le aziende, ed il periodo
di raccolta, inviare il proprio curriculum o consegnarlo direttamente a
mano specificando la disponibilità al lavoro occasionale. Ampiamente dif-
fuso dove un buono lavoro su tre è impiegato in agricoltura, il “voucher”
rappresenta un sistema di pagamento del lavoro occasionale accesso-
rio, cioè di quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale
contratto di lavoro in modo discontinuo e saltuario. Ciascun “voucher”
ha un taglio di 10 euro che corrisponde a un’ora di lavoro secondo una
media calcolata sulla base del contratto agricolo. Al lavoratore vanno 7,50
euro per ogni ora lavorata, i restanti 2,50 sono destinati all’assicurazione
dell’Inail. Con i “voucher” sono garantite la copertura previdenziale presso
l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL. Per riscuotere i “voucher” sarà
sufficiente recarsi agli uffici postali. Il sistema dei voucher garantisce
tutele assicurative e previdenziali a tutti quei lavoratori occasionali che
trovano nella campagna un’opportunità di guadagnare qualcosa per
integrare il proprio reddito, evitando la piaga del lavoro nero. Allo stesso
tempo porta una semplificazione degli adempimenti burocratici a carico
delle imprese agricole, facilitando anche la lotta al lavoro illegale. n
n.93
Lavoro con i “voucher”
Vendemmiae olive
diMassimilianoVolpone Direttore Coldiretti Teramo
Certe prerogative legate al
cosiddetto sesso “forte”,
da tempo non fanno più
parte del costume delle
società occidentali. Sono ve-
nuti meno anche alcuni luoghi
comuni, un tempo monopolio
degli uomini. Le donne hanno
conquistato la loro autonomia
e con essa la pari opportunità in ogni campo della vita sociale. La
tradizione vuole che ricamare e fare di uncinetto sia legato al mondo
femminile. Qualcuno sostiene che nel Medioevo erano gli uomini a
dedicarsi maggiormente alla preziosa arte manuale. Nei secoli più re-
centi l’esclusiva è passata nelle mani delle nobildonne di Corte, delle
religiose di clausura e in quelle più grezze delle popolane costrette
a preparare il corredo delle figlie alla tenue luce del lume intorno
al camino dei casolari di campagna. Negli ultimi tempi, le ragazze
preferiscono il prodotto industriale e poche sono quelle che si dedi-
cano personalmente alla paziente lavorazione dell’uncinetto. In virtù
dell’acclarata parità c’è chi ha pensato di imitare le donne nell’arte
del ricamo eseguito a mano, tutt’ora una prerogativa femminile e
non ancora scalfita dagli uomini, mentre per il prodotto industria-
le non sembra esserci differenza di sesso. Per la verità è un caso
isolato per cui le donne non devono temere più di tanto la passione
di Luigi De Angelis, pastore dei nostri monti. La solitudine e le lunghe
giornate sui pascoli dei monti della Laga, al seguito del suo gregge, lo
ha indotto a manipolare il piccolo arnese intrecciando fili in svariati
modi per trarne piccoli capolavori. La passione di Luigi è singolare
in quanto uomo perché, al contrario, se fosse donna rientrerebbe
nella normalità. Nel suo inconscio ha voluto percorrere l’iter seguito
dalle donne per conquistare la loro emancipazione, e così facendo
si è cimentato con l’arte dell’uncinetto suscitando un po’ d’ilarità
tra gli uomini e meraviglia tra le donne. Il pastore artista si esprime
in varie forme di artigianato e soprattutto utilizza materiali di riciclo
come carta di elenchi telefonici e plastica morbida di buste, oltre
naturalmente al più comune filo di cotone. Con fantasia e ingegno
produce fili grezzi piuttosto spessi con i quali confeziona cestini ed
altri oggetti utilizzando uncinetti di legno che costruisce apposita-
mente lui stesso. Ma non finisce qui perché il pastore fa anche altro.
Scolpisce bastoni
di legno trovati
lungo i sentieri
dei monti dove
abitualmente pa-
scola il suo gregge
raffiguranti visi sti-
lizzati vagamente
somiglianti all’arte
africana. Modella
e compone figure
da semplici pezzi
di legno, tronchi
o pietre che la
sua fantasia vede
percorrendo le
pendici dei Monti
della Laga. Non manca la passione per la musica ed anche se autodi-
datta suona lu ddu botte. La destrezza e l’abilità di Luigi nel lavorare
tanti materiali denotano una innata vocazione per l’arte o artigia-
nato, labile confine non facile da tracciare. Il fiore all’occhiello della
sua poliedrica attività è l’uncinetto nella forma classica raffigurante
oggetti comuni ed altri piuttosto bizzarri, figure sacre (S.Giorgio a
cavallo patrono del suo paese, Padre Pio e S. Gabriele i santi più
venerati dalle nostre parti), animali al lavoro, centri da tavolo. Sulle
pareti di casa conserva i lavori più rappresentativi e forse quelli più
ispirati dalla sua genialità, mentre in ogni angolo trovano posto tante
piccole sue creature: bottiglie rivestite, cesti colorati, bastoni scolpiti
in molteplici modi, oggetti utili ed altri meno, frutto della sua abilità
nel dare forma a ciò che trova sul percorso della vita quotidiana.
In precedenza l’incontro si era svolto nelle stalle dove custodisce
il suo gregge situato a poca distanza dalla sua abitazione. In quella
20n.93
diAntonio Parnanzone dimitutto@teramani.info
Luigi De Angelis
La storia
Il Pastore Ricamatore
continua a pag. 22
La storia22n.93
segue da pag. 20
occasione aveva voluto far vedere il duro
lavoro di pastore, la mungitura delle pecore
e le condizioni di disagio nelle quali deve
districarsi per portare avanti la sua attività.
Nella sua abitazione,
invece, il personaggio
è diverso, rilassato e
disposto a mostrare la
sua abilità nel fare cose
che non hanno niente a
che vedere con il lavoro
di pastore, anche se
dentro di se ama le
sue pecore e le sue
capre. Nell’intrecciare
il grosso filo ricavato
dalla carta di elenchi
telefonici con un altret-
tanto spesso uncinetto
di legno, sfoggiando
un vistoso cappello di
paglia, racconta com’ è
nata la sua passione.
“Non ho avuto alcun maestro e tutto ciò
che faccio è frutto della mia iniziativa e
della mia invenzione. L’idea di fare l’unci-
netto me la offri tanti anni fa i militari di
leva che rivestivano penne e costruivano
altri oggetti variopinti. Iniziai da ragazzino
quando portavo a pascolare le pecore per
sopportare la inevitabile noia nel mentre gli
animali brucavano l’erba. Dai primi anni del
nuovo millennio ho cominciato a lavorare
legno ed altri materiali. Concilio il lavoro di
pastore con la mia passione artistica sfrut-
tando gli intervalli di tempo. La sera rinuncio
alle lusinghe della TV per dedicarmi molto
volentieri ad intrecciare fili con l’uncinetto
o a scolpire piccoli tronchi di legno o pezzi
di pietra. Spesso invece di ascoltare musica,
suono lu ddu botte e così facendo gratifico
il mio animo”.
La visita al singolare personaggio nella casa
di S. Giorgio, frazione del Comune di Mon-
torio al Vomano, dove vive con la sorella, si
avvia alla conclusione in allegria al ritmo di
musica. Seduto su una cassapanca, davanti
casa, da dimostrazione della sua abilità
di musicista con il variopinto ddu botte
suonando il più classico dei brani del nostro
folklore, il saltarello.
Poi una stretta di mano e un arrivederci
pone fine all’incontro con Luigi, personaggio
semplice che tuttavia ha avuto il coraggio di
andare controcorrente. n
23
“Lascia il tuo sonno”! Questa volta, racconto una bella storia,
quasi una ...favola. Di NATALIE MERCHANT, gli appassionati,
seguaci, cultori della vera musica, sapranno che la ragazza
(oggi affascinante signora), ha origini familiari nel vecchio
continente: irlandesi e...italiane, non a caso il cognome originario era
Mercante! Mrs. Natalie vanta trascorsi musicali non da poco: cantante-
compositrice-frontwoman dei 10.000 MANIACS, formazione titolare
di discreta discografia (The Wishing Chair - 1985, Elektra; In My Tribe
- 1987, Elektra...).
Come sempre accade, quando nei gruppi vi sono delle forti persona-
lità, queste, intraprendono la carriera solista, il minimo per chi, come
lei, possiede un background musicale ragguardevole. Primo requisito,
la voce: melodiosa, duttile, timbrica inconsueta, nel corso degli anni,
acquisisce coloriture e sfumature insolite (anche la maternità recente).
L’escursus artistico in continua ascesa, da Tigerlily (1994), a quest’ul-
tima fatica discografica, sempre più autorevole, impegno sociale,
abnegazione totale, non male il riscontro commerciale, non stratosfe-
rico ma, dignitoso. Questo percorso si è tradotto in progetti ambiziosi,
Ophelia (1997, Elektra), Motherland (2002, Elektra-Asylum, stupendo!)
e, The House Carpenter’s Daughter (2003, Myth America, di più!). La
serenità familiare probabilmente avrà conferito ulteriore sensibilità e
consapevolezza, intraprende un’impresa quasi impossibile: un concept
album, 5 anni di ricerche, 2 di registrazione, per licenziare Leave Your
Sleep appunto, corposo doppio CD, 26 songs (18 nella versione ‘light’),
come scrive lei stessa “This collection of songs represents parts of a
long conversation”. Brevi composizioni, poesie, poemi, storie e scritti di
provenienza ‘british-american’, suggestione, intensità, totale full immer-
sion, commozione. Prima della consueta analisi, un cenno alla confe-
zione del CD, elegante booklet di 50 pagine(!), curatissimo, testi, foto
d’epoca (b/n) dei personaggi-autori, commento ‘song to song’, note
tecniche, credits & others. La Merchant si è avvalsa di oltre 100-dico
100 musicisti di vaglia, qualche nome?: Wynton Marsalis, Medesky,
Martin &Wood, Eric Della Penna, The Lunasa, Gabriel Gordon...
Un respiro musicale eterogeneo e unitario al contempo, suggestione e
intensità, senza fare a meno di archi, fiati e cori.
Come detto, la corposità del progetto non consente il dettaglio, 105
minuti e 4 secondi di creatività, arie traditional, up tempo, lullabye,
gospel (The Peppery Man), soul, folk, jazz (Bleezer’s Ice-Cream, It Makes
a Change), chinese song (The King of China’s Daughter), indian song
(Indian Names), Klezmer song (The Dancing Bear), chamber music (The
Man in the Wilderness, fantastica), reggae, celtic-song (Nursery Rhyme
of Innocence, qui i Lunasa suonano divinamente). La mia ‘prefer song’
del 1° CD è Calico Pie (n° 3, ci risiamo con il ...numero perfetto), stile
country & western, irresistibile mix voce-chitarra-fiddle-banjo, upright
bass & hammer dulcimer. Come dicevo, il CD è doppio, il secondo un
gradino ‘sotto’, il primo è i-r-r-e-s-i-s-t-i-b-i-l-e, The Man in the Wilder-
ness (n° 8) e The Peppery Man (n° 12), brani nei quali, agli strumenti
classici, si uniscono violoncello, clarinetto, archi e fiati. Anche le com-
posizioni più scarne come arrangiamento, non sono da meno, vedi If
no One Ever Marries Me (n°10), internsa suggestione. L’incanto si ripete
nel 2° CD: si ricomincia con Adventures of Isabella, il ritmo in levare di
Topsyturvey World,
passando attra-
verso ‘gemme’
come Griselda (con
tanto di fiati from
Menphis Boys, r’n
b’ perfetto. Al n°
20, Vain & Careless,
con liuto e viola da
gamba e, la solita
grandissima voce!
Poteva mancare un
riferimento seppur
indiretto all’Italia,
anzi all’...Abruzzo?
Crying My Little
One, breve composizione di Christina Georgiana ROSSETTI, sorella del
più famoso Dante Gabriel, fondatore del movimento/Confraternita dei
Preraffaelliti, Londra, 2^ metà dell’800, grande famiglia di patrioti, artisti
e letterati, originaria di Vasto (Chieti), riparata appunto nel Regno Unito,
Christina, a 29 anni si dedicò come volontaria, all’assistenza delle me-
retrici nella capitale britannica, doverosa citazione. Con la ninnananna
autunnale (Autumn Lullabye), dolcissima, ci avviamo alla conclusione,
melodie a far da padrone: Spring and Fall: To a Young Child, si chiude
in bellezza con Indian Names, epico tributo ai nativi americani, grande
intensità del cantato, con tanto di flauto. Francamente mi riesce diffici-
le ‘capire’ come abbia fatto a concepire questo tributo alla letteratura,
cucendo letteralmente arrangiamenti e musiche ad hoc, una sfida
difficile, titanica, entusiasmante, a distanza di qualche anno, (2010),
la sfida andrebbe (va) premiata, un bel 9 pieno di valutazione! Ultima
annotazione, l’impegnativa produzione del progetto è di Andres Levin,
marito di Natalie (tutto in famiglia) e, della stessa cantante.
Leave Your Singer, Leave Your Sleep! n
n.93
Write about... the records!
diMaurizio Carbone dimmitutto@teramani.info
Leave your sleep NatalieMerchant 2CD - de luxe editionNonesuch distributors Warner music, 2010
Quando ho visto il video degli Artisti
per l’Emilia, che insieme propone-
vano un’emozionante versione di
uno dei più significativi brani del
mio maestro Pierangelo Bertoli, “A muso
duro”, mi è tornato in mente un discorso
che lui mi fece durante uno dei nostri viaggi
in giro per l’Italia, in uno spostamento fra
una tappa e l’altra di una sua tournee. Si
parlava delle influenze musicali che noi
italiani abbiamo incamerato negli ultimi
sessant’anni e mi faceva notare l’anomalia
di una regione, la sua, che dagli anni ‘60
ha espresso una serie di grandi musicisti
Rock. Questa bellissima terra ha espresso
una straordinaria serie di artisti che hanno
trasformato il beat, il pop e la canzone d’au-
tore, dandogli una veste molto più ruvida,
con accenti anglosassoni molto marcati. Se
i ragazzi modenesi dell’Equipe 84 possono
essere considerati i Beatles italiani, il loro
quasi concittadino Francesco Guccini è
sicuramente il cantautore che più si è avvi-
cinato, in Italia, allo spirito di Bob Dylan, e
se Caterina Caselli ha avuto, fatte le dovute
proporzioni, la stessa forza dirompente che
negli Stati Uniti aveva avuto Janis Joplin, i
Nomadi ancora oggi hanno un seguito pa-
ragonabile agli Headbangers, storici seguaci
dei Grateful Dead, e Vasco Rossi e Luciano
Ligabue si contendono il titolo di Bruce
Springsteen nostrano.
E’ ovvio che il paragone artistico fra i
musicisti anglo-americani e i loro epigoni
emiliani non regge neanche sforzandosi
molto, ma quello che mi interessa è porre
l’accento su una anomalia culturale, che ha
concentrato, in un ristretto spazio geografi-
co, una serie di talenti straordinari. Bologna,
capoluogo della regione, ha sfornato una
serie di personaggi non meno importanti, a
partire dal grandissimo clarinettista e diret-
tore d’orchestra Hengel Gualdi. Si narra che
durante una serata in una grossa balera,
nei primi anni ’70, ad una signora che con
accento bolognese gli chiedeva se la sua or-
chestra facesse anche del Jazz, musica che
all’epoca stava diventando di gran moda,
rispose “Quando esce…”. Dal jazz proveniva
pure un altro clarinettista, Lucio Dalla, che
per circa quarant’anni ha distribuito dosi
massicce di talento e simpatia, oltre a “pro-
durre” una serie di talenti che vanno dagli
Stadio a Luca Carboni a Samuele Bersani,
così come bolognese è l’alfiere del funk ita-
liano, Andrea Mingardi. Se a buona ragione
si può parlare di scuola bolognese, spesso,
per semplificare, in questo calderone sono
stati inseriti nomi che bolognesi non sono.
A metà degli anni ’60, da Sassuolo, una
ragazzina con molta voce ed altrettanta
personalità, iniziò la scalata alle vette della
Hit-Parade, come si diceva allora. Era Cateri-
na Caselli, presto soprannominata “Casco
d’oro”, che travolse la sonnolenta Italia
con la sua figura dinamica e la sua musica
potentemente influenzata dal rock. La cosa
più straordinaria è che la Caselli, terminata
la sua carriera di cantante, ha dedicato il
suo talento alla valorizzazione di nuove
realtà musicali, portando alla ribalta nomi
come Pierangelo Bertoli (fratello del suo
primo batterista), gli Area, Mauro Pagani,
Paolo Conte, Giuni Russo, Gerardina Trovato,
Avion Travel, Elisa e Andrea Bocelli, fino ad
arrivare alle più recenti scoperte, Negrama-
ro, Malika Ayane e Raphael Gualazzi. Nello
stesso periodo Maurizio Vandelli creava
l’Equipe 84, il gruppo italiano che più ha
cercato, nel bene e nel male, di imitare le
innovazioni artistiche, ma anche lo stile di
vita dei favolosi Beatles, con tanto di bouti-
que aperta dai quattro modenesi a Milano.
In una vecchia intervista, Vandelli racconta
l’imbarazzo provato quando, durante una
festa a Milano, nella quale era riuscito a
conoscere Paul McCartney, fu presentato
alla grande star come il leader del più noto
“complesso” italiano, si sentì – dice – come
un indigeno di fronte ad una persona con la
quale stava amabilmente chiacchierando.
Arrivarono poi i cantautori, e con essi il
Guccini adottato prima da Modena e poi
da Bologna, armato di chitarra e fiasco
di vino, rivoluzionò del tutto l’immagine
della star italiana, imponendo un abbiglia-
mento dimesso e poco appariscente ad
un pubblico abituato a paillettes e lustrini.
Spesso gli si sono affiancati i Nomadi, che
da quasi 50 anni riempiono piazze in tutta
Italia con una proposta unica ed inimitabile,
che unisce rock, pop, musica popolare e
canzone d’autore. Da Sassuolo proveniva
anche Pierangelo Bertoli, grande poeta
Rock, troppo presto dimenticato, anche
quando era ancora vivo, forse a causa della
sua scarsa inclinazione alla diplomazia e al
sentimentalismo.
Fra i maggiori meriti di Pierangelo Bertoli
c’è quello di aver “inventato” Luciano
Ligabue, cantautore straordinario, ma anche
notevole romanziere e bravissimo autore e
regista cinematografico. Ligabue, scoperto
da Bertoli negli anni ’80, è l’unico, oggi, in
grado di rivaleggiare con il rocker italiano
per antonomasia, Vasco Rossi, che spesso,
da giovane promessa, ha aperto i concerti
di Bertoli. Uno sguardo al futuro viene dal
figlio di Pierangelo, Alberto Bertoli, che,
dotato di una voce personale e potente, sta
iniziando a ripercorrere le strade tracciate
dal padre con una proposta matura e molto
interessante. n
Musica24 dimmitutto@teramani.info
n.93
diFabrizio Medori
La viaitalianaal rock passa perl’Emilia
R iprendiamo da questo numero la nostra rubrica “Dura Lex sed
Lex” interrotta con il numero 81 del nostro periodico Teramani,
all’epoca curata dagli Avvocati Elvio Fortuna ed Amilcare Lauria.
La riprendiamo grazie alla collaborazione autorevole del Dottor
Alfio Scandurra, del quale riteniamo superfluo ricordare la più che
prestigiosa e luminosa carriera.
Nell’attuale assetto costituzionale italiano, è comunemente indicato
come Capo dello Stato l’organo posto al vertice dell’ordinamento stata-
le e cioè il Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità naziona-
le (nei regimi monarchici il Capo dello Stato è il Re). Vari sistemi indicano
quale tipo di indirizzo viene dato ai regimi democratici relativamente
alla scelta dell’organo che più rappresenti la Nazione, cosicché esistono
repubbliche a carattere parlamentare (ad es. l’Italia) od a carattere pre-
sidenziale (USA). In questo caso, il potere di indicare le direttive generali
di governo spetta al Presidente della Repubblica, che racchiude in sé le
funzioni di Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nei regimi parlamentari è invece il Governo che emana le direttive
generali di azione statale ed è organo distinto dal Presidente della
25Dura Lex Sed Lex
diAlfioScandurra
Riflessioni Giuridichesul Presidentedella Repubblica
n.93
Repubblica. A quest’ultimo appartengono, nel nostro Paese, funzioni
molto importanti, a volte sottovalutate, ma senza meno sempre ispirate
al concetto di unità e quasi sempre di indirizzo politico generale.
In questa sede, è bene elencare soltanto le prerogative più salienti,
non trovando posto una elencazione generale dei molteplici compiti
demandati al Presidente della Repubblica, rinviando l’argomento in altro
spazio. Comunque, le funzioni sono:
• ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio Supremo di Difesa;
• dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere;
• presiede il Consiglio Superiore della Magistratura;
• promulga le leggi, approvate dalle Camere;
• può concedere grazia e commutare la pena;
• può indire nuove elezioni delle Camere (o di una delle due);
• nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri;
• può sciogliere le Camere, tranne negli ultimi 6 mesi del mandato.
Quanto sopra detto rappresenta soltanto una parte delle molteplici
attribuzioni devolute al Presidente della Repubblica, in forza di disposizio-
ni dettate dalla Costituzione repubblicana; in ogni caso non può essere
sottaciuta “l’influenza“ che egli può espletare durante i suoi interventi
(pubblici o privati), su fatti od atti che spetterebbero ad altri organi
costituzionali, senza peraltro esulare dalla opportunità di limitazione su
argomenti che concernano obiettivi di indirizzo specifico, versante su
problematiche di ampio respiro politico, quando si creano vuoti di potere.
In sostanza, le facoltà di intervento presidenziale sono quelle relative a
stimolo per suscitare eventuali impegni legislativi (od altro), indirizzati
soprattutto a promuovere condizioni di sviluppo sociale. Per finire questo
breve “excursus” sulla figura giuridica del Capo dello Stato - ribadendo
che non sono state esaurite tutte le sue attribuzioni - va sottolineato il
“potere di controllo”, sebbene affievolito, nei confronti del Parlamento,
ai sensi dell’art. 74 della Costituzione, in base al quale ad esempio può
“invitare” con messaggio scritto le stesse Camere a rivedere il testo delle
leggi, per ragioni di opportunità o di legittimità, anziché promulgare ipso
facto le leggi approvate dalle Camere; in seguito può promulgare le leggi
nuovamente approvate. n
Gli o loro?
Si osservino i seguenti esempi:
•Mihannooffeso,perciògli ho risposto
(invece di ho risposto loro)
• Le mie cugine sono in gamba: gli manca
solo la laurea (invece di: manca loro solo
la laurea)
L’uso di gli (singolare) con significato plurale
(a loro) va sempre più diffondendosi; ciò non
toglie che si tratti di una sgrammaticatura (so-
prattutto al femminile), sebbene non manchino
antecedenti nella storia della lingua (G. Villani
XIV Sec.), Dalla Casa (XVI sec.), Galileo (XVII
sec.), Cesari (XVIII sec.). Tra gli scrittori recenti:
Brunetti e Pavese (XX sec.)
Questo uso non è da incoraggiarsi, soprattutto:
• Se c’è la possibilità di equivoco: Ero infuriato
perciò gli ho risposto con durezza (a una o
più persone? Se erano più , è meglio…ho
risposto loro)
• Se il riferimento è a nomi femminili: Le mie
cugine sono in gamba, gli manca solo la
laurea (è più corretto: Le mie cugine sono
in gamba, manca loro solo la laurea)
• A me mi piace o a me piace/mi piace?
A me mi è purtroppo una forma non rara,
perfino giustificata da qualche studioso. È una
espressione goffa, consistente nella ripetizio-
ne ingiustificata di due forme equivalenti di
pronome personale:
• A me mi piace = a me a me piace (mi = a me)
Lo stesso ragionamento vale per a Te Ti …,
ecc.
Affinché le espressioni diventino corrette
basta eliminare la forma superflua. Quindi!:
• A me piace, oppure Mi piace.
• A Te piace, oppure Ti piace. n
Osservazionisui pronomi personali
Note linguistichedi Maria Gabriella
Di Flaviano
dimmitutto@teramani.info
In giro26diSergioScacchia mens2000@gmail.com
n.93
Perché no una green way?
Da Teramo ai Monti della Laga
Il 16 novembre scorso a Teramo è stata presentata la nuova map-
pa sentieristica dei monti della Laga, realizzata dal C.A.I. sezione
di Teramo.
Da anni la massima associazione ambientalista delle montagne
italiane stava lavorando a questo importante progetto.
Tra i vari interventi c’è stato anche quello del prof. Filippo Di Donato,
già esponente del Consiglio Direttivo Federparchi, il quale ha sottoli-
neato l’importanza turistica e culturale di avere una rete di percorsi
facilmente fruibili e ben tenuti, in grado di condurre turisti e amanti
della natura alla
scoperta delle
infinite meraviglie
che la nostra terra
è capace di dare.
La sentieristi-
ca principale,
insieme all’ormai
noto e collaudato
Sentiero Italia,
deve avere la precisa peculiarità di poter collegare i centri abitati tra
loro, con i borghi a rappresentare le porte di accesso alla montagna.
Da tempo il Coordinamento Ciclabili Abruzzo Teramano, l’insieme
di oltre sessanta associazioni ambientaliste https://www.facebook.
com/groups/60138206525/
predica la necessità di realizzare una Teramo mare ciclo pedonale e
si dice convinto che Teramo meriti anche una via escursionistica che
colleghi la città alla Laga risalendo il Tordino.
Si potrebbero riscoprire antichi tracciati (come le vie di transuman-
za, le mulattiere dei carbonai, le vie dei pellegrini, i vecchi tratturi,
ecc.), come pure realizzare luoghi di sosta presso rifugi, bivacchi,
agriturismo, alla continua scoperta di piccoli paesi, chiesette, castelli,
tabernacoli, antiche poste per cavalli, seccatoi.
Il comune di Teramo sta intanto realizzando in queste settimane un
breve tratto di ciclopedonale lungo il Tordino, accanto alla scuola per
i Geometri; il percorso poi proseguirà affiancando gli scavi archeolo-
gici di Ponte Messato per poi avanzare verso monte lungo un nuovo
tratto il cui progetto è al vaglio della Regione Abruzzo.
Il desiderio di camminare è tanto e si denota anche dalle centinaia di
escursionisti notturni che due volte la settimana si riunisce, alle nove
di sera, sotto la guida del dott. Piero Sinigaglia, per camminare nelle
vie della città e nei parchi fluviali.
Numerosi sono anche chi vuole pedalare su percorsi naturali parten-
do dai centri abitati, senza dover per forza trasferirsi in montagna o
nella ciclabile costiera.
Una via verde che colleghi ai monti della Laga riscoprirebbe anche
un patrimonio storico, artistico e culturale della nostra provincia, ma-
nufatti antichi che hanno rappresentato le radici sociali della nostra
gente: i mulini e i frantoi.
Basta, infatti, salire a monte di Teramo, anche solo pochi chilome-
tri, per riscoprire resti di attività che per più di duemila anni hanno
accompagnato la vita dell’uomo.
Ruderi di architettura d’artigianato locale che hanno funzionato fino
Valle San Giovanni Miano
27n.93
agli inizi degli anni ’70.
I mulini sono stati per lungo tempo il
centro della vita economica e sociale, luogo
d’incontri, d’intrecci culturali e scambi di
esperienze.
Questi tesori che costellano le valli del Tor-
dino e del Vezzola, a volte sono mimetizzati
tra impervi sentieri lungo le sponde dei due
fi umi, a volte stanno morendo tra querceti e
scampanii di pecore, oppure in qualche caso
sono stati ristrutturati e adibiti ad abitazioni
private.
I mulini dell’alto Tordino sono poco meno di
una ventina.
Si trovano a Padula, Caiano, Elce, Casano-
va, Servillo, Faiete e Lame, nel territorio di
Cortino, a Fioli, Fiume e Castiglione di Rocca
Santa Maria e, nelle vicinanze di Teramo,
a Varano e Travazzano di Valle S. Giovanni,
Villa Tordinia e Villa Ripa.
Sono luoghi di sconfi nata bellezza, oggi
spesso persi tra sterpaglie, ma un tempo
pieni di vita e di uomini. n
Val Tordino in fondo Travazzano
Mulino Casanova
Tre anni sempre in prima fila. Arrivato a Teramo con l’obiettivo
dichiarato di portare il Teramo nei professionisti, Marcello Di
Giuseppe non delude le attese dei tifosi e della Società. A Teramo
è uomo vincente, prima come calciatore (vice cannoniere con
18 reti nella indimenticabile stagione di Ammazzalorso 1993/94), poi
come Direttore Sportivo nelle ultime tre annate costantemente nelle
zone alte della classifica tra le grandi del girone. Non c’è dubbio che il
D.S. biancorosso ha svolto un gran lavoro, cogliendo importanti risultati,
dimostrando
competenza e ca-
pacità in un mondo
non facile come
quello del calcio. In
quest’ultimo anno
ha operato scelte
mirate in ruoli
chiave, quasi in
maniera chirurgica
inserendo pedine
in un mosaico già
costruito nelle
passate stagioni. Gli è stato chiesto di traghettare il Teramo nella terza
serie nazionale senza patemi d’animo e puntualmente le aspettative
iniziali sembrano essere rispettate. Il personaggio è di quelli che i galloni
se li è guadagnati sul campo ed è
giusto “dare a Cesare quello che è di Cesare” ad un professionista prag-
matico il cui credo è il campo, esattamente come la pensa il Presidente
Campitelli. I giovani, la gestione del tecnico della squadra da Cappellacci
a Vivarini, le problematiche dello strano campionato attuale ed altri
argomenti sono oggetto di esame del loquace D. S. biancorosso.
Il Teramo è squadra piuttosto giovane. È stata una scelta mirata?
Fin dall’inizio abbiamo aderito al progetto federale legato all’impiego
dei giovani comunemente chiamato minutaggio. L’adesione comporta
rischi maggiori rispetto ad altre società che sono andate sul sicuro con
organici più maturi. Lavorare sui giovani è certamente più problematico
dovendo affrontare un stato psicologico ancora in formazione, specie se
inserito in un ambiente esigente.
Si aspettava un inizio così brillante?
Penso di essere riuscito a costruire una squadra competitiva, giovane
come voleva la Società, e soprattutto proiettata nel futuro sulla quale
si può lavorare se, come spero, l’esito del campionato sarà positivo con
l’ingresso nel prossimo campionato unico di serie C. Già dalla prima
fase dell’attività ufficiale della Coppa Italia si è capito che le scelte erano
state indovinate. Con tutta sincerità mi aspettavo un avvio di campio-
nato più lento e forse anche più sofferto, con qualche punto in meno
ma ugualmente posizionato nelle zone alte della classifica. Tutto ciò mi
dà fiducia per quanto riguarda il finale di stagione e credo che ci siamo
avviati sulla strada giusta per raggiungere i nostri obiettivi.
Da Cappellacci a Vivarini, un passaggio indolore?
Il cambio della guida tecnica poteva esser una incognita, visto che
Cappellacci aveva conseguito grossi risultati ed era molto amato dai
tifosi. E’ un tecnico che costruisce giuoco e guarda molto alla fase
di possesso palla e allo spettacolo. Tende ad ottenere risultati anche
attraverso il bel giuoco. Non potevamo disperdere un patrimonio con
tanti giocatori temprati da tale mentalità. Si doveva quindi prendere un
tecnico che avesse dato seguito al lavoro di Cappellacci. Siamo stati
anche fortunati trovare un tecnico come Vivarini, serio e preparato che
ha dimostrato, con
il lavoro e la fiducia
nei programmi che
gli sono stati propo-
sti, di aver saputo
creare una squadra
propositiva. Una
squadra che giuoca
bene e che tenden-
zialmente pensa a
vincere le partite
senza speculare sui
risultati degli altri.
Qual è l’obiettivo del Teramo in questo strano campionato?
L’obiettivo prioritario della la Società per la corrente annata è quello di
entrare tra le prime otto in maniera tale da poter accedere nella serie
unica nazionale di serie C. Ci si è posto l’interrogativo come arrivarci,
se con sofferenza cercando di agganciare le ultime posizioni oppure
facendo un campionato di vertice. Il campionato della scorsa stagione,
culminato con la finale play-off, non sarebbe bastato per entrare in
tranquillità nelle otto elette. Gli innesti operati sono stati indovinati ed
hanno elevato la qualità portandoci nelle primissime posizioni. E’ un
campionato che rimarrà nella storia perché riforme del genere possono
capitare ogni trent’anni. Quello attuale sarà l’anno zero e chissà se
un’altra riforma ci sarà fra trenta o quarant’anni. n
Calcio28n.93
diAntonio Parnanzone dimitutto@teramani.info
MarcelloDi Giuseppe
O nori alla Teknoelettronica Teramo
che sovvertendo tutti i pronostici
della vigilia del campionato di
Serie A1 Maschile ha perso un solo
incontro contro il Carpi, favorita del girone,
tra tutti quelli disputati fin d’ora . Risultati
che le hanno permesso anche di qualifi-
carsi in netto anticipo per la Final Eight
di Coppa Italia. Tutto ciò grazie al lavoro
del tecnico Marcello Fonti e dei giocatori
che traducono nella pratica dell’incontro,
quanto preparato negli allenamenti. Ottime
le prestazioni dei giocatori tutti ed in par-
ticolar modo dei nuovi Nikocevic, Gabriele,
Pagano e del solito Vito Vaccaro. Senza
ovviamente trascurare l’apporto dato
dai teramani Andrea Leodori ed Alessio
Collevecchio, tornato a Teramo dopo le
esperienze di Città S. Angelo ed Ascoli.
La nota dolente viene dalla squadra
femminile Artrò – Globo – Allianz che a
fronte del nome roboante sta tenendo un
comportamento a dir poco risibile. Fino a
questo momento infatti ha collezionato
solo sconfitte, nonostante possa godere
dell’apporto del tecnico federale Franco
Chionchio che non riesce a risvegliare dal
lungo sonno le componenti della squa-
dra che ha un organigramma che poche
società si possono permettere. La squadra
Sport30 dallaRedazione dimitutto@teramani.info
n.93
infatti è infarcita di elementi con doppio
passaporto, tra le quali quattro giocatrici
che nella passata stagione hanno militato
nel Sassari disputando la finale scudetto
e che avrebbero dovuto, nelle intenzioni
della Società e ovviamente del General
Manager Roberto Canzio, garantire un
campionato più che tranquillo. C’è da dire
che le prestazioni della squadra hanno
risentito, negli ultimi turni, delle avventate
ed inopportune dichiarazioni della società
che ha minacciato esclusioni in mancanza
di risultati, coinvolgendo in questa ipotesi
anche la conduzione tecnica, minandone la
credibilità nei confronti delle giocatrici.
A voler stare alle dichiarazioni della Socie-
tà che ha preteso almeno tre punti in tre
partite, la squadra deve vincere con il Ca-
salgrande a Teramo, nella penultima partita
di andata. Ce la farà? Speriamo di sì! n
Maschile e femminile
Pallamano