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Corso di laurea in Scienze dell’Educazione
A. A. 2012 / 2013
Istituzioni di Linguistica (M-Z)
Dr. Giorgio Francesco Arcodia
(giorgio.arcodia@unimib.it)
1. Politiche linguistiche: la pianificazione
“La pianificazione linguistica, spesso trascurata come dominio arcano di regole
ortografiche e cartelli bilingue, è in effetti uno degli strumenti più efficaci per mettere in
esecuzione le politiche sociali e pubbliche. Sebbene la politica linguistica si trovi
raramente nelle prime pagine dei giornali, è uno strumento centrale del consolidamento di
una nazione e tutti gli aspetti della società ne sono permeati. Le politiche linguistiche
interessano i domini, lo status e l’uso delle varietà linguistiche e i diritti dei loro parlanti.
Formano i media, il sistema educativo, e costituiscono un punto di unione a favore o
contro l’identità etnica; a loro volta, sono plasmate da considerazioni economiche, sociali
e geopolitiche”
(Dwyer, A.M., 2005, The Xinjiang Conflict: Uyghur Identity, Language Policy, and Political Discourse.
Washington, D.C.: East-West Center Washington; trad. mia)
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Componenti fondamentali delle politiche linguistiche
Pratiche linguistiche: “i modelli abituali di selezione tra le varietà che costituiscono il
repertorio”
→ es.: modelli di code switching nei parlanti plurilingue
Convinzioni linguistiche: “le convinzioni relative alla lingua e all’uso delle lingue”
→ es.: attitudini linguistiche negative nei confronti dei dialetti
Pianificazione linguistica: “ogni intervento specifico volto a modificare o influenzare tali
pratiche con ogni tipo di intervento linguistico, pianificazione o management”
→ es.: la “legge Toubon” (legge nr. 94-665 del 4 agosto 1994 sull'uso della lingua
francese); uso del francese obbligatorio nelle pubblicazioni governative, nelle pubblicità,
nei luoghi di lavoro, nei contratti e nelle contrattazioni commerciali, nelle scuole
finanziate dallo stato (e in altri contesti)
(Spolsky, B., 2004, Language Policy, Cambridge, Cambridge University Press; trad. mia)
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Politiche linguistiche (in senso stretto): intervento di un organismo (statale o privato)
mirato a influenzare una situazione linguistica, ad es. incoraggiando l’uso di una varietà o
promulgando delle norme per il suo uso (≈ pianificazione / management)
→ circa 125 delle costituzioni dei paesi del mondo menzionano una o più lingue; circa
100 di queste decretano una o più lingue ufficiali, o nazionali, con privilegi d’uso speciali
(Spolsky, B., 2004, Language Policy, Cambridge, Cambridge University Press)
→ data la presenza pervasiva del plurilinguismo nel mondo contemporaneo, le politiche
linguistiche e la pianificazione linguistica sono necessarie per permettere che i membri
dei vari gruppi di parlanti all’interno di uno stato (o regione, etc.) possano avere accesso
alle istituzioni quali la scuola, l’amministrazione pubblica, i mass media
Meno del 4% delle lingue del mondo ha riconoscimento ufficiale nei paesi in cui sono
parlate
→ “Il fatto che la maggior parte delle lingue non siano scritte né riconosciute
ufficialmente, siano limitate all’uso di comunità locali e al dominio familiare, e siano
parlate da gruppi molto ridotti di persone riflette l’equilibrio del potere nel mercato
globale delle lingue”
(Romaine, S., 2006, Language policy in multilingual educational contexts, in Brown, K. (ed.), Encyclopedia of
Language and Linguistics (2nd edition), Amsterdam, Elsevier; trad. mia)
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Alcuni aspetti della pianificazione linguistica
Aspetti interni: sviluppo e implementazione dei sistemi di scrittura
sviluppo di un sistema normativo (standardizzazione)
modernizzazione e rinnovamento
Aspetti esterni: costruzione di identità etniche
politiche nei confronti di gruppi maggioritari e minoritari
questioni transnazionali (etnie divise tra più paesi)
→ politiche linguistiche esplicite (de jure; fonti del diritto, organi amministrativi) e
implicite (de facto; atteggiamenti di fatto, retorica ufficiale, attitudini popolari)
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Pressoché nessun paese concede statuto ufficiale a ogni singola lingua parlata sul suo
territorio; se esistono politiche linguistiche, viene inevitabilmente privilegiato un gruppo
limitato di lingue (o un’unica lingua)
→ nella pratica, le amministrazioni pubbliche possono (devono) utilizzare lingue che non
hanno sanzione ufficiale: politica linguistica implicita
Es.: gli Stati Uniti d’America, dove l’inglese non è lingua ufficiale
→ problema fondamentale: politiche linguistiche nell’istruzione
“Dato che le lingue del mondo sono oltre 30 volte di più degli stati, bilinguismo o
plurilinguismo sono presenti praticamente in ogni paese del mondo, che siano
riconosciuti ufficialmente o meno (...). Questo significa che, in senso lato, i contesti di
educazione plurilingue possono essere intesi come riguardanti le pratiche nell’istruzione
della maggior parte dei paesi del mondo”
(Romaine, S., 2006, Language policy in multilingual educational contexts, in Brown, K. (ed.), Encyclopedia of
Language and Linguistics (2nd edition), Amsterdam, Elsevier; trad. mia)
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Lingua, etnia e nazione
“Le lingue sono molto più che semplici strumenti di comunicazione. Elementi fondanti
l’identità di gruppi sociali, più o meno ampi e più o meno strutturati, esse rivestono forte
ruolo simbolico, fungono da ‘bandiere’ e, in quanto tali, valgono quali vistosi segnali atti
a rivelare o (in molti casi, semplicemente) ad enfatizzare conflitti, talvolta aspri”
(Banfi, E., 2008, Problemi di ordine generale, in Banfi, E. & Grandi, N. (a c. di), Le lingue extraeuropee, Roma, Carocci)
→ cfr. it. barbaro < lat. barbarus < gr. bárbaros ‘straniero’, termine di origine
onomatopeica che indica il ‘balbettio’ di chi parla lingue diverse dal greco (termine
proprio anche di sumerico, sanscrito, accadico)
Es./1: serbo-croato > serbo, croato, bosniaco, montenegrino
Es./2: hindi-urdu (anche hindustani) vs. hindi e urdu, varietà reciprocamente intelligibili
Hindi: lingua ufficiale in India, lessico molto ‘sanscritizzato’, scrittura nāgarī
Urdu: lingua ufficiale in Pakistan (e in alcuni stati dell’India), lessico formale di
tradizione araba e persiana, scrittura perso-arabica (abjad)
→ divisione politica e religiosa; l’urdu è la varietà ‘musulmana’ (anche in India)
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→ cfr. il mito di Babele:
“Già nel vicino e Medio Oriente antico è
dato ritrovare tracce dell’idea di unità tra
lingua e nazione. Ciò è anzitutto possibile
analizzando la narrazione biblica sulla
divisione babelica dei popoli; per il narratore
biblico il segno dell’unità di cui avevano
fruito i discendenti di Adamo fino al loro
arrivo nella pianura di Sennaar era
essenzialmente d’ordine linguistico (...), e la
dispersione dei popoli, conseguente al
tentativo di costruire la torre ‘cuius culmen
pertingat ad caelum’, è essenzialmente realizzata attraverso la maledizione delle lingue,
cioè attraverso il moltiplicarsi degli idiomi ‘ut non audiat unusquisque vocem proximi
sui’ (...): ‘atque ita’, aggiunge la narrazione, ‘divisit eos Dominus ex illo loco in
universas terras”
→ Erodoto, V sec. a.C., Storie (libro VIII): la grecità (τὸ Ἑλληνικόν tò Hellēnikón) come
“identità di sangue e di lingua” (oltre che culto e costumi)
(De Mauro, Tullio, 1970, Storia Linguistica dell’Italia Unita, Roma, Laterza)
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→ Europa degli stati nazionali: rafforzamento del nesso lingua-nazione
“In Europa, la formazione degli stati nazionali agì sulla storia linguistica concorrendo
all’eliminazione dell’uso del cosmopolitico latino medioevale e creando le premesse e il
bisogno del diffondersi d’un tipo linguistico all’interno dei confini di ciascuno stato;
l’adozione di tale tipo linguistico come sostitutivo del latino in atti ufficiali, nelle scuole
ecc. ebbe spesso sanzioni ufficiali in appositi editti (...). In tal modo, venne rafforzato di
fatto il legame reciproco di lingua e nazionalità. L’influenza degli stati nazionali non si
restrinse alle aree geografiche in cui essi sorsero, ma si estese anche a quelle zone
europee che restavano organizzate politicamente in stati plurinazionali o frantumate in
stati diversi (...)” → come l’Italia!!
(De Mauro, Tullio, 1970, Storia Linguistica dell’Italia Unita, Roma, Laterza)
→ cfr. i pregiudizi etnici e razziali a base linguistica:
“Immaginare una razza selvaggia che parli una lingua semitica o indoeuropea è una
finzione contraddittoria e chiunque sia iniziato alle leggi della filologia comparata e alla
teoria generale dello spirito umano rifiuterà di prestarvicisi”
(J. E. Renan, 1855, Histoire générale et système comparé des langues sémitiques, Paris, Lévy)
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Conflitti linguistici
“(...) i conflitti di lingua sono più di ogni altro difficili da risolvere. Se, infatti, i conflitti
religiosi si possono conciliare con l’accettazione reciproca e la libertà di culto, e quelli
economici si possono comunque suddividere, frammentare, i conflitti linguistici tendono
invece a restare latenti per più tempo, salvo manifestarsi poi con più violenza”
(Cardona, G.R., 2009 [1987], Introduzione alla Sociolinguistica, Torino, UTET)
→ conflitti legati (anche) alla struttura economica della società in questione; bassa
conflittualità in condizioni di bassa mobilità sociale (società prevalentemente agricole),
alto potenziale per il conflitto “in una struttura occupazionale in cui la competenza
linguistica intacca le occasioni di avanzamento e carriera dei parlanti”
Es.: regione di Bruxelles (/Brussels), Belgio
Area bilingue francese-fiammingo (nederlandese),
francese lingua più parlata
→ Per alcuni posti di lavoro, richiesta la conoscenza di
entrambe le lingue
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→ art. 2 e 4, titolo I della costituzione Belga (trad. mia):
“Il Belgio comprende tre comunità: la comunità fiamminga, la communità francese e la
comunità germanofona”
“Il Belgio comprende quattro regioni linguistiche: la regione nederlandofona, la regione
francofona, la regione bilingue di Bruxelles e la regione germanofona.
Ogni municipalità del Regno è parte di una di queste regioni linguistiche.
I confini delle quattro regioni linguistiche posso essere cambiati o corretti solo da una
legge approvata dalla maggioranza dei votanti in ogni gruppo linguistico in ognuna delle
camere (...).”
→ la scelta della lingua (o delle lingue) da usare nella pubblica amminstrazione,
nell’istruzione (pubblica o comunque riconosciuta dallo stato) e nelle relazioni tra datore
di lavoro e lavoratori sono decisi rispettivamente dai parlamenti della comunità francese e
della comunità fiamminga
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Regione fiamminga Regione vallona Regione di Brussels (bilingue)
→ presenza di notevoli tensioni tra le comunità
cfr. la riforma della circoscrizione elettorale e giurisdizionale di Bruxelles-Hal(le)-
Vilvoorde, composta dalla regione di Bruxelles (bilingue) e dall’area
nederlandofona di Halle-Vilvoorde, con una forte componente francofona
→ fino al luglio 2012, i francofoni di Halle-Vilvoorde potevano votare le liste
politiche francofone, mentre i nederlandofoni che vivono in Vallonia non possono
votare le liste nederlandofone; dopo una lunghissima trattativa, i fiamminghi hanno
ottenuto la ‘rifiamminghizzazione’ di Halle-Vilvoorde (con liste fiamminghe)
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Possibili scenari del plurilinguismo ‘riuscito’
(a) isolamento della comunità alloglotta (= di lingua diversa da quella ufficiale) che
consente la comunicazione istituzionale monolingue
→ difficilmente possibile in uno stato contemporaneo (trasporti, emigrazione)
(b) accettazione di una lingua franca di comunicazione
→ situazione di alcune ex-colonie di paesi europei
(c) accettazione del principio del plurilinguismo istituzionale
→ possibili conflitti latenti; vedi la situazione della regione di Bruxelles
(d) pressione in misura uguale su tutti i gruppi linguistici ad imparare la lingua/le lingue
degli altri
(Cardona, G.R., 2009 [1987], Introduzione alla Sociolinguistica, Torino, UTET)
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1.1 Case study: politiche linguistiche in Estonia
Repubblica di Estonia (Eesti Vabariik)
Ex-Repubblica Socialista Sovietica (dal 1940),
indipendente dall’URSS dal 1991
Popolazione: ca. 1.270.000
Gruppi etnici: estoni (ca. 68%), russi (ca. 25%), altri
→ nel 1945, gli estoni erano oltre il 97%
Lingue: estone (ufficiale, famiglia uralica), russo
(famiglia indoeuropea, gruppo slavo orientale), altre
→ molti dei parlanti non estoni e non russi sono
passati al russo (o all’estone); circa 400.000 locutori di
russo (dati 2004)
(Rannut, M., 2004, Language policy in Estonia, in “Noves SL. Revista de Sociolingüística”, Primavera-Estate)
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(a) Primo periodo sovietico (1944-1988):
Politiche staliniane di russificazione; importazione massiccia di lavoratori russi,
diffusione della lingua russa in molte aree della vita pubblica (banche, polizia,
transporti, industria mineraria ed energetica); posizioni lavorative ‘strategiche’
affidate solo a russi, introduzione del russo come seconda lingua dell’istruzione;
afflusso massiccio di immigrati, creazione di un ambiente linguistico russo separato
da quello estone; apprendimento del russo da parte della popolazione di lingua
estone, raro l’apprendimento dell’estone da parte dei parlanti alloglotti; promozione
di un programma di traduzione di testi in russo; abolizione di ogni istituzione di
promozione delle lingue minoritarie, raggruppamento di estoni e minoranze non
russe in un’unica etnia
→ tra il 1945 e il 1989, la componente estone della popolazione scende dal 97,3% al
61,5% circa
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(b) Dal 1988 (periodo della Perestrojka ‘ricostruzione’ dell’URSS):
“The years from 1988 onwards reflect the biggest changes in Estonian society,
influencing all domains. Therefore, language policy, based on an entirely different
concept from the previous one, was one of the main cornerstones in the modification
of Estonian society”
→ maggiore libertà occasione per la mobilitazione di estonofoni e russofoni;
spostamento dell’asse del potere a vantaggio dell’Estonia, rafforzamento delle istanze dei
parlanti estoni
‘Estonizzazione’ dei settori bancario, immobiliare, dell’IT, dell’esercito,
contenimento dell’immigrazione
→ Dichiarazione di sovranità dell’Estonia (novembre 1988) e modifica costituzionale
per dare all’Estone il ruolo di lingua ufficiale dello stato; istituzione del Consiglio
Nazionale della Lingua (novembre 1990; dal 1998, Ispettorato Lingustico)
(Rannut, M., 2004, Language policy in Estonia, in “Noves SL. Revista de Sociolingüística”, Primavera-Estate)
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1989: (Prima) Legge sulla Lingua
introduzione del bilinguismo (estone-russo) nell’amminstrazione e nei servizi pubblici
sostituzione dei criteri linguistici ai criteri etnici nell’amministrazione pubblica
introduzione di riforme ‘visibili’ (cartelli bilingue, possibilità di impiego per i
parlanti estone)
→ estone da lingua minoritaria (de facto) diventa lingua di ufficiale dello stato;
possibilità per estoni e russi di frequentare scuole dove si parla la propria lingua
→ redistribuzione del potere tra i due grandi gruppi di parlanti (estone e russo);
politica linguistica come elemento fondamentale nella ricostruzione della nazione estone
e nell’affrancamento dall’Unione sovietica (e nella formazione di nuove élites)
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(c) Dopo il 1989:
Oltre 400 leggi nazionali su questioni linguistiche (oltre a norme di livello inferiore)
Costituzione estone → la lingua ufficiale dell’Estonia è l’estone
tutti hanno diritto di ricevere la propria istruzione in estone
possibilità di scolarizzazione in una delle lingue minoritarie
nelle località in cui almeno metà dei residenti appartenga
ad una minoranza nazionale, possibilità di comunicare con
le istituzioni nella propria lingua
(N.B.: nella costituzione italiana non è indicata nessuna lingua ufficiale)
Obbligo di conoscenza della lingua estone per ottenere la cittadinanza → esclusione
dei russi, spesso monolingue, molti dei quali diventano apolidi; senza cittadinanza,
non è possibile ottenere lo status di minoranza
Minori possibilità di impiego e di accesso all’istruzione superiore per i russofoni
Dal 2002, accesso alle cariche elettive concesso anche a chi non parla estone
→ scelta su pressione del Consiglio d’Europa, finalizzata (anche) all’ingresso nell’UE
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1.2 Plurilinguismo ed istruzione
“La scuola è uno dei luoghi più critici per la pianificazione [linguistica] perché
l’istruzione è l’istituzione sociale primaria per la ricerca della legittimazione della lingua
dominante dello stato”
→ la scuola è spesso il primo momento di contatto con la varietà dominante per i parlanti
alloglotti; la discontinuità linguistica tra ambiente domestico e scuola è frequentemente
causa di insuccesso scolastico
→ la maggioranza dei paesi del mondo riconoscono (de jure o de facto) una sola lingua
nell’istruzione; possibile l’uso di altre lingue, ma senza sanzione ufficiale
→ possibile utilizzo dell’istruzione come strumento di acculturazione delle minoranze
(adattamento alla cultura dominante); le lingue minoritarie non insegnate a scuola
tendono a declinare nell’uso
(Romaine, S., 2006, Language policy in multilingual educational contexts, in Brown, K. (ed.), Encyclopedia of
Language and Linguistics (2nd edition), Amsterdam, Elsevier; trad. mia)
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Es.: il residential school system canadese
Dalla seconda metà del XIX secolo (fino al 1996!!), istituzione di collegi (boarding
schools) religiosi e statali per i bambini ‘indiani’ (= nativi nordamericani)
Cree Inuit
→ proibizione dell’uso delle lingue native (a favore dell’inglese); mortificazione
dell’identità etnica e linguistica dei bambini nativi (in preparazione alla vita nella società
dei ‘bianchi’ europei)
→ l’11 giugno 2008, il primo ministro canadese Stephen Harper si è scusato
pubblicamente per gli abusi (culturali, psicologici e fisici) nei confronti dei bambini
nativi (http://www.ctvnews.ca/harper-apologizes-for-residential-school-abuse-1.301603)
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Es./2: la ‘targa del dialetto’ (hōgen fuda) ad Okinawa (Giappone)
1916: fissazione dello standard della lingua giapponese
(varietà di Yamanote, Tokyo); produzione di libri di testo
finalizzati alla diffusione della lingua standard in tutte le
scuole dell’Impero
→ difficoltà degli abitanti di Okinawa, con un’identità
linguistica e culturale distinta dai giapponesi (stricto sensu),
ad adattarsi al monolinguismo imposto da Tokyo
hōgen fuda: i bambini che parlavano la lingua di Okinawa erano umiliati di fronte
alla classe e costretti a portare al collo la ‘targa del dialetto’, fino a quando un altro
bambino avesse parlato in okinawa
→ pratica tornata in voga durante l’occupazione americana (fino agli anni ’60!!),
nonostante gli occupanti promuovessero l’uso della lingua locale
(Gottlieb, N., 2005, Language and Society in Japan, Cambridge, Cambridge University Press)
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1.3 La situazione italiana nel contesto europeo
1992: Carta europea delle lingue regionali o minoritarie
Documento finalizzato alla tutela e alla promozione delle lingue regionali e minoritarie
d’Europa
→ “(...) rispettare il diritto, inalienabile e universalmente riconosciuto, a usare una lingua
regionale o minoritaria nella vita pubblica e privata”
→ possibilità di tutela a vari livelli: “(...) su un tema di riferimento (educazione, lingua
amministrativa e simili) propone misure di protezione a vari livelli, che vanno dal
riconoscimento della lingua di minoranza totale e paritario rispetto a quello ufficiale di
tutto lo stato (...) a una generica blanda promessa di tutela della storia e della cultura, per
come è riflessa nella lingua di minoranza”
→ N.B.: sono i singoli stati a decidere quali sono le lingue da tutelare; le lingue
migratorie e quelle prive di una base territoriale (es. Romani) sono escluse dalla Carta,
così come i ‘dialetti’ (a torto o a ragione)
(Dell’Aquila, V. & Iannàccaro, G., 2004, La pianificazione linguistica, Roma, Carocci)
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Art. 6 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche”
→ distinzione di fatto tra minoranze nazionali (gruppi di confine con legami
transnazionali; tirolesi, valdostani, etc.) e minoranze lingusitiche (enclaves di parlanti
alloglotti all’interno del territorio dello stato; arbëreshë, croati del Molise etc.); solo le
minoranze nazionali ricevono tutela (non sempre adeguata)
1999: legge 482 “Norma in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”
→ base giuridica per il riconoscimento delle minoranze linguistiche
→ avvio di un cammino verso la normalizzazione linguistica dei sistemi minoritari (=
utilizzo nell’amministrazione pubblica e nella comunicazione al di fuori del nucleo
familiare, istituzione di varietà scritte)
(→ N.B.: prima menzione dello statuto ufficiale dell’italiano)
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Articolo 3.
1. La delimitazione dell'ambito territoriale e subcomunale in cui si applicano le
disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche previste dalla presente legge è
adottata dal consiglio provinciale, sentiti i comuni interessati, su richiesta di almeno il
quindici per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni stessi,
ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni.
2. Nel caso in cui non sussista alcuna delle due condizioni di cui al comma 1 e qualora
sul territorio comunale insista comunque una minoranza linguistica ricompresa
nell'elenco di cui all'articolo 2, il procedimento inizia qualora si pronunci favorevolmente
la popolazione residente, attraverso apposita consultazione promossa dai soggetti aventi
titolo e con le modalità previste dai rispettivi statuti e regolamenti comunali.
3. Quando le minoranze linguistiche di cui all'articolo 2 si trovano distribuite su territori
provinciali o regionali diversi, esse possono costituire organismi di coordinamento e di
proposta, che gli enti locali interessati hanno facoltà di riconoscere.
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Articolo 4.
1. Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione linguistica prevede,
accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo
svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di
primo grado é previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di
insegnamento.
2. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, (...) al fine di
assicurare l'apprendimento della lingua della minoranza, deliberano, anche sulla base
delle richieste dei genitori degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di
insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, stabilendone i
tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le
modalità di impiego di docenti qualificati.
5. Al momento della preiscrizione i genitori comunicano alla istituzione scolastica
interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell'insegnamento della lingua della
minoranza.
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→ statuto di minoranza (tra le varietà tutelate dalla legge) ottenuto per
autorivendicazione; nessuna verifica dell’effettiva conoscenza della lingua
→ spesso difficile definire l’oggetto-lingua; molte lingue minoritarie non hanno una
varietà standard, oppure i propri parlanti non riconoscono lo standard esistente in altri
paesi (es. parlanti arbëreshë, griki)
→ presenza di situazioni sociolinguistiche varie e complesse; a Issime (Val d’Aosta),
convivono walser (germanico), franco-provenzale, dialetto piemontese, italiano e francese
Il compito di individuare il sistema di riferimento della comunità e di ‘modernizzarlo’
(renderlo atto agli usi di uno stato moderno), se necessario, è affidato alle comunità stesse
“Questa fluidità di situazioni rende dunque molto difficile (se non inutile, quando sia
possibile) l’applicazione delle norme sull’uso delle lingue minoritarie nell’educazione”
→ l’insegnamento della lingua e della cultura minoritaria come materia ‘secondaria’
nel contesto dell’istruzione italofona può portare a risultati negativi, ufficializzando la
‘subalternità’ della lingua locale all’italiano e portando all’identificazione tra lingua
locale e cultura ‘arretrata’
(Dell’Aquila, V. & Iannàccaro, G., 2004, La pianificazione linguistica, Roma, Carocci)
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2. La standardizzazione
“(...) la pianificazione linguistica ha fra i suoi scopi quello di intervenire in modo
consapevole sui rapporti fra le lingue all’interno di un determinato territorio; ma perché i
codici in compresenza possano tutti, almeno in teoria allo stesso modo, essere pronti a
svolgere quelle funzioni che sono proprie delle lingue ufficiali o che occupano il polo alto
della diglossia, bisogna che siano dotati di appropriati strumenti linguistici”
(Dell’Aquila, V. & Iannàccaro, G., 2004, La pianificazione linguistica, Roma, Carocci)
→ standardizzazione come costruzione di una lingua, sulla base di una varietà o di un
compromesso tra più varietà
(a) standardizzazione (≈ ‘regolamentazione’) di grafia, morfologia e lessico
(b) fissazione di norme per la creazione di parole nuove
(c) produzione di materiali di riferimento (grammatiche, dizionari)
(d) se la lingua non ha mai avuto una fissazione scritta, o se per qualunque motivo si
voglia abbandonare la scrittura (o le scritture precedenti), necessità di scegliere un
sistema grafematico
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Scelta del codice: un dialetto / varietà diatopica (es. le varietà settentrionali per il
francese) e/o di una varietà diastratica (es. lingua della corte e dell’ammistrazione statale
per lo svedese)
→ scelte di compromesso: traduzione della Bibbia di Lutero (1534) in un sistema misto
basato su vari dialetti alto-tedeschi
→ soluzioni normative di compromesso a vari livelli: catalano moderno come
‘equilibrio’ tra tradizione scritta e diverse varietà parlate
Scelta del sistema di scrittura: frequentemente, legato alla collocazione geografica e
culturale della comunità dei parlanti, così come (spesso) a questioni ideologiche
→ alfabeto latino per le lingue slave ‘cattoliche / occidentali’, alfabeto cirillico per le
lingue slave ‘ortodosse / orientali’)
→ cfr. il caso del rumeno, che ‘sceglie’ l’alfabeto latino con l’occidentalizzazione della
cultura rumena; al moldavo, rumeno parlato nella ex-Repubblica Socialista di Moldavia,
viene imposto l’alfabeto cirillico dall’URSS, e ‘torna’ all’alfabeto latino con il crollo
dell’Unione
Istituzioni di Linguistica (M-Z) – A.A. 2012 / 2013 – giorgio.arcodia@unimib.it
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Situazioni di digrafia: due sistemi di scrittura a disposizione per una stessa lingua
→ normalmente, situazioni temporanee che si risolvono o con l’abbandono di uno dei
due sistemi di scrittura, o con la ‘creazione’ di due lingue diverse
Ess.: serbo-croato (alfabeto cirillico e latino) > serbo (cirillico)
croato (latino)
hindi-urdu (scritture nāgarī e perso-arabica) > hindi (nāgarī)
[lingua urbana di Delhi]
urdu (perso-arabica)
N.B.: la costituzione indiana del 1950 sancisce l’hindi scritto in nāgarī come lingua
dello Stato; l’urdu resta una lingua ufficiale