UNIVERSITA' DI PISA DIPARTIMENTO DI RICERCA … · 2.4 Il diagramma o albero dei problemi 2.5 La...
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UNIVERSITA' DI PISA DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE
E NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea Magistrale di Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie Presidente Prof. S. Marchetti
Tesi di Laurea
“MANAGEMENT SANITARIO IN RIABILITAZIONE”
RELATORE
Chiar.mo Prof. Stefano Marchetti CANDIDATO
Andrea Biagini
Anno Accademico 2012/2013
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INDICE
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1 IL MANAGEMENT
1.1 Breve storia della progettazione
1.2 Il project management
1.3 Componenti del Project management
1.4 Le basi metodologiche del project management
1.5 Lo sponsor di progetto
1.6 Il gruppo di progetto
1.7 Lo yield management
1.8 Il processo di pianificazione e controllo del progetto
1.9 La gestione dei costi, il budget di progetto
CAPITOLO 2 LA GESTIONE DEL PROGETTO
2.1 La progettazione dei servizi sanitari
2.2 Analisi delle fasi della progettazione sanitaria
2.3 Gli obiettivi, i risultati e le attività
2.4 Il diagramma o albero dei problemi
2.5 La previsione di spesa del progetto
CAPITOLO 3 IL SISTEMA QUALITA’
3.1 La qualità nella Sanità per una Sanità di qualità
3.2 I portatori di Interesse
3.3 La Legislazione
3.4 La centralità della Persona assistita
3.5 La Valutazione della Qualità e strumenti di verifica
3.6 Indicatori e standard di qualità
3.7 Il sistema di qualità secondo le norme ISO
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CAPITOLO 4 ANALISI DELLA GESTIONE DEL PAZIENTE ANZIANO CON FRATTURA DI FEMORE IN TOSCANA
4.1 Epidemiologia dei pazienti con frattura di femore
4.2 Ospedalizzazione dei pazienti con frattura di femore
4.3 La Riabilitazione dei pazienti con frattura di femore
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE
Il management viene definito come “operare con le risorse umane, fisiche e finanziarie per
raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione, svolgendo funzioni di pianificazione, organizza zione
e controllo” (Megginson 1996). Fino al XVIII secolo la gestione delle aziende era affidata alle
capacità personali dei vari responsabili e alla loro esperienza. Tale situazione non era più sostenibile
in quanto la situazione del mercato imponeva di fare fronte al rapido sviluppo della tecnologia e di
ridurre al massimo i tempi di produzione. Con l’avvento della rivoluzione industriale si è sviluppato
un corpo di conoscenze in ordine temporale dando vita a numerose scuole di pensiero (taylorismo,
behaviorismo). Ciascuna scuola ha fornito il proprio contributo alla costruzione del concetto di
management, alla definizione dei principi fondamentali delle organizzazioni e alla identificazione
della figura del manager.
In ambito sanitario il concetto di cultura manageriale è stato introdotto solo da pochi anni. Infatti i
D.L. 502/92 e 517/93, pur non mettendo in discussione i principi fondamentali della Legge 833/78,
hanno consentito di trasformare profondamente l’assetto istituzionale, gestionale e organizzativo del
sistema sanitario introducendo tra l’altro il concetto di aziendalizzazione delle USL . Il D.L. 229/99
denominato Riforma Ter della Sanità Italiana arricchisce i precedenti decreti definendo nell’ art. 1
comma 2 gli obiettivi di seguito riportati:
• Rispetto della dignità della persona umana.
• Bisogno di salute e di benessere di salute.
• Equità nell’accesso all’assistenza.
• Qualità appropriatezza e adeguatezza delle prestazioni.
• Economicità nell’impiego delle risorse e abbattimento delle diseconomie.
Un’azienda “sanitaria” è contemporaneamente un sistema di produzione e una istituzione sociale
dove l’imprenditore (Direttore Generale) ha la responsabilità di collocare la sua impresa
nell’ambiente che le è più congeniale in base alle indicazioni dettate dal Piano Sanitario Nazionale e
alle leggi imposte dal mercato. L’intendimento del legislatore è stato quello di richiedere ai
manager un impegno articolato e complesso che preveda non solo l’efficienza, ma soprattutto
l’efficacia dei processi sanitari in un’ottica di qualità e quindi di soddisfazione dei clienti.
La “gestione” di un’azienda sanitaria per essere definita tale, presuppone la disponibilità e la
capacità d’uso di strumenti adeguati per:
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• Effettuare analisi e previsioni.
• Assumere decisioni.
• Tradurre in azioni concrete le decisioni assunte.
• Compiere le dovute azioni di supervisione del ciclo operativo e di controllo dei risultati
conseguiti, in termini di quantità, qualità e costo del prodotto (efficacia, efficienza e
appropriatezza).
L’obiettivo della presenti tesi, è quello di progettare uno strumento, che consente di fornire tutte le
informazioni necessarie per dare una risposta a questi elementi. Il presente lavoro scaturisce dalla
convinzione che la progettazione dei Servizi sanitari sia uno degli elementi essenziali del processo
di innovazione in Sanità. Vuole essere un approfondimento delle tematiche relative ai processi ed
alle modalità che stanno alla base di una corretta e moderna programmazione in ambito sanitario,
evidenziando le logiche ed utilizzando gli strumenti e le tecniche propri del Project Management.
Viene descritto brevemente la storia della progettazione, evidenziando come il “lavorare per
progetti” si sia progressivamente evoluto da una applicazione inizialmente in ambito militare, alla
progressiva evoluzione fino agli ultimi anni in cui é divenuto strumento di lavoro in ambito
sanitario. Inoltre, viene introdotto il concetto di Project Management, ne identifica e descrive le
componenti e ne traccia una relazione ed un riscontro con quelle che sono le indicazioni del sistema
di gestione per la qualità Iso 9001:2000. Inoltre si approfondisce ed analizza le basi metodologiche
del Project Management, evidenziando quali siano le funzioni e le responsabilità delle figure
coinvolte nella progettazione, inoltre descrive il processo di pianificazione e controllo di progetto e
gli strumenti adottati per attuarlo. Si focalizza l’attenzione sulle fasi della progettazione sanitaria,
che vengono analizzate singolarmente evidenziandone l‘importanza ed il significato a fini di una
corretta ed efficace attività progettuale. Ed infine si effettua una nuova lettura dei percorsi
riabilitativi della regione Toscana mettendo a confronto quanto erogato agli anziani con frattura di
femore dimessi dal ricovero per acuti nel 2003/2005 con quanto erogato agli anziani dimessi nel
periodo 2007/2010 ed estendendo il periodo di osservazione a 18 mesi dalla dimissione. Pianificare
l’offerta di servizi riabilitativi e orientare l’appropriatezza nei percorsi assistenziali per i pazienti
anziani che entrano nel sistema sanitario a causa di un evento di frattura di femore significa
occuparsi dell’50% della casistica degli ultra64enni che necessitano di un percorso riabilitativo a
seguito di un evento acuto.
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CAPITOLO 1 IL MANAGEMENT
Il management: funzioni e strategie
Gli studi sul management hanno come obiettivo quello di aiutare chi guida le aziende a soddisfare
contemporaneamente i bisogni dell’uomo e l’efficienza lavorativa, in uno scenario che vede
repentini mutamenti delle condizioni economiche e sociale, e che pone le aziende a dura prova,
pressate dall’innovazione tecnologica continua e dall’allargamento dei mercati. Non si tratta dunque
di imporre un modello organizzativo piuttosto di un altro, da realizzare ad ogni costo, bensì di
favorire lo sviluppo di organizzazioni pronte a prevedere i mutamenti, consapevoli della necessità di
continui rinnovamenti e basate su un’interdipendenza dinamica e creativa di persone o gruppi legati
da stima e fiducia, capaci di condividere decisioni, obiettivi, responsabilità e controllo. Il termine
management ha un campo di applicazione molto ampio e, a seconda degli ambiti e del contesto,
prevale ora il significato di gestione o di amministrazione, ora di controllo, ora di guida. Al
manager e/o imprenditore di oggi sono richieste competenze e abilità sempre più specifiche e
diversificate: dal saper parlare in pubblico con efficacia al gestire e motivare il proprio team, dalla
capacità di programmare le strategie aziendali alla pianificazione del marketing, dallo sviluppo di
un sistema etico all’interno dell’azienda alla conoscenza delle tecniche per implementare
l’efficienza. Mentre nelle imprese di grandi dimensioni vi è una netta separazione tra proprietà e
management, nelle piccole-medio imprese questa funzione è svolta dagli stessi proprietari-
imprenditori, e magari continua ad esserlo anche quando l’azienda si ingrandisce e apre delle filiali
o degli stabilimenti all’estero. In questo modo si viene a creare un gap tra le competenze necessarie
per affrontare le decisioni di pianificazione e gestione delle risorse organizzative all’interno di
scenari complessi e quelle che sono le competenze effettive del dirigente-proprietario.
Tradizionalmente, le funzioni base che caratterizzano l’attività di management sono cinque:
1. Pianificazione
2. Organizzazione
3. Guida
4. Coordinamento
5. Controllo
La Pianificazione
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La pianificazione aziendale può essere definita come il sistema operativo attraverso il quale
l’azienda definisce i suoi obiettivi e le azioni per conseguirli. Il sistema di pianificazione è
normalmente connesso al sistema di controllo di gestione, che ha lo scopo di guidare verso il
conseguimento degli obiettivi pianificati, e di far emergere un eventuale allontanamento dalle mete
prefissate, con conseguente correzione delle strategie. A seconda dell’orizzonte temporale preso in
considerazione dagli obiettivi, si distinguono i seguenti tipi di pianificazione:
• Pianificazione strategica, quando si delineano obiettivi a lungo termine
• Pianificazione tattica, quando sono previsti obiettivi a medio termine (tra i tre e i cinque
anni)
• Pianificazione operativa, in presenza di obiettivi a breve termine (non più di un anno).
L’organizzazione
L’organizzazione è il processo di suddivisione e coordinamento del lavoro all’interno del “sistema
azienda”, che è costituito da persone e tecnologie. L’interazione tra questi due fattori produce il
comportamento aziendale. La divisione del lavoro è articolata in tre fasi:
1. La scomposizione dei processi aziendali in attività basilari e raggruppamento di questi in
compiti secondo criteri logici;
2. Attribuzione dei compiti alle posizioni, ossia ai ruoli definiti all’interno dell’azienda. I
compiti assegnati ad una posizione costituiscono le sue mansioni;
3. Assegnazione di una o più persone a ciascuna posizione e creazione degli organi aziendali.
Secondo Mintzberg, a seconda dei compiti e delle mansioni vi è una diversa specializzazione. Vi è
una elevata specializzazione orizzontale quando alla posizione sono assegnate poche attività e/o
attività tra loro omogenee; si può parlare di elevata specializzazione verticale quando la posizione
ha poca autonomia decisionale.
Possono dunque esserci: posizioni ad alta specializzazione orizzontale e verticale (lavoro
operativo); posizioni a bassa specializzazione orizzontale ed alta specializzazione verticale (lavoro
di supervisione); posizioni ad alta specializzazione orizzontale e bassa specializzazione verticale
(lavoro professionale); posizioni a bassa specializzazione orizzontale e verticale (lavoro direttivo )
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Quando viene diminuita la specializzazione orizzontale si parla di allargamento dei compiti (job
enlargement); quando, invece, viene diminuita la specializzazione verticale si parla di
arricchimento dei compiti (job enrichment).
Gli organi vengono raggruppati in unità organizzative alle quali è generalmente preposto un organo
di comando (il responsabile dell’unità organizzativa).
Nella pratica, le unità organizzative nelle quali si articola un’azienda sono denominate in modo
vario: “direzioni” “divisioni” “dipartimenti” “sezioni” “uffici” “reparti”.
La guida
Negli ultimi anni gli studi sulla guida in azienda si sono suddivisi in due filoni, quelli sul
management e quello sulla leadership. Vi sono delle differenze comportamentali tra un manager e
un leader ma le ricerche dimostrano che la capacità di essere leader e manager portano migliori
risultati rispetto alla capacità di essere solo uno dei due:
Le imprese hanno bisogno di entrambi i fattori per far funzionare i loro sistemi.
I manager e i leader trattano in maniera diversa i collaboratori, consentendo loro di concentrarsi su
cose diverse e ponendo dei limiti con modalità diverse. Se, idealmente, ponessimo le due modalità
di guida agli opposti di un continuum, il manager rappresenterebbe l’estremo più strutturato,
controllato, analitico e orientato alle regole, mentre il leader sarebbe connotato da un approccio più
sperimentale, ideativo, destrutturato, flessibile e appassionato (Zigarmi et al., 2006).
Riportiamo ora uno specchietto che riassume le caratteristiche dei due soggetti:
Manager
Leader
Orientamento personale
Orientamento personale
Si considera il custode e il regolatore dell’ordine
costituito, in un’ottica di crescita
Logico e razionale
Si considera separato dall’ambiente; scinde il
proprio valore personale dal ruolo
Intuitivo ed empatico
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Preferisce un approccio strutturato
Preferisce un approccio destrutturato
Orientato alla valutazione del rischio, preferisce
avere un piano
Orientato all’assunzione del rischio; preferisce
seguire un indirizzo generale
Usa la negoziazione; ama i dettagli e la praticità
Usa la persuasione; ama le idee generali e
insolite
Consente ai dati di definire la realtà
Usa il Sé per definire la realtà
Consente alle persone di interpretare la realtà
Interpreta gli eventi, crea contesti per la
comprensione
Orientato al presente e allo status quo
Orientato al futuro e al cambiamento
Orientamento verso i collaboratori
Orientamento verso i collaboratori
Si concentra sui fattori di controllo (obiettivi e
ricompense) che inducono le persone a produrre
risultati
Mira a creare una visione che induca le persone
a condividere le sue emozioni
Poiché le emozioni creano ansietà, è distaccato
e imperscrutabile
Apprezza l’emozione perché implica il
coinvolgimento
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Fissa obiettivi legati alle necessità e procedure
che sono profondamente radicate nella cultura
organizzativa
Fissa obiettivi legati alle convinzioni e apprezza
le possibilità che riserva il futuro
Preferisce che siano i ruoli a definire la
leadership
Preferisce che sia l’attaccamento emotivo a
definire le relazioni
Ricerca un equilibrio tra potere e compromesso
Ricerca soluzioni vantaggiose per tutti
Si concentra sul “come” del processo
decisionale, sul processo
Si concentra sul “cosa” del processo
decisionale, sul contesto
Manda segnali indiretti con grande ambiguità
per attenuare le emozioni
Invia messaggi diretti per generare e affrontare
emozioni
Gioca sul tempo per arrivare a un compromesso
e far entrare in gioco nuove problematiche
Usa il tempo per portare a conclusione i
problemi e per mantenere la concentrazione su
un numero limitato di questioni
Orientamento verso l’organizzazione
Orientamento verso l’organizzazione
Perpetuazione della cultura
Creazione di culture
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Risultati di breve termine
Si concentra sugli elementi tangibili
Risultati di lungo termine
Si concentra sulla ricerca di elementi intangibili
Orientato alle singole componenti; non enfatizza
le relazioni
Prospettiva olistica incentrata sui sistemi
complessivi; ricerca il bene di tutta
l’organizzazione
Porta sempre avanti lo stesso gioco
Formula nuove strategie
Crea un clima emotivo di soddisfazione
nell’organizzazione, che coinvolge i dipendenti
anche nel processo decisionale
Crea un clima di entusiasmo
nell’organizzazione, che coinvolge i dipendenti
in attività legate ai valori
Tabella tratta da: Drea Zigarmi et al., Essere leader, 2006, p. 199.
Il coordinamento
Il coordinamento ha, in un certo senso, un ruolo complementare alla divisione del lavoro, avendo lo
scopo di: armonizzare le decisioni e le attività degli organi e delle unità organizzative, tra loro e con
gli obiettivi dell’azienda; assicurare la fluidità delle attività, riducendo al minimo le interferenze e il
mancato rispetto dei tempi. Il coordinamento è tanto più necessario quanto più i compiti sono
complessi ed interrelati e quanto più l’organizzazione è complessa e diversificata.
Esistono diverse strategie di management:
• Il management by objectives (Mbo): è una modalità di direzione attraverso la quale il
manager e i suoi subordinati individuano le scelte fondamentali dell’azienda e i suoi
obiettivi prioritari, stabiliscono le rispettive aree di responsabilità, fissano gli standard per un
rendimento elevato, determinano i criteri di comparazione dei risultati; così una volta
discussi gli obiettivi e concordati tra manager e ogni singolo addetto, quest’ultimo si assume
la responsabilità di impegnarsi per raggiungerli e informare periodicamente la direzione
sullo stato di progresso (Brunetta et al., 2002). Secondo Drucker, che è stato il primo a
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presentare questa tipologia di management, l'efficienza organizzativa può essere raggiunta
solo se le prestazioni di tutti i collaboratori sono consapevolmente dirette verso il
conseguimento di obiettivi comuni e ben definiti. L’assunto di base è che non può esistere la
possibilità di dirigere senza che sia stato prima deciso che cosa si vuole raggiungere. In
questo modo, inoltre, si dà piena forza all’azione e alla responsabilità del singolo e nello
stesso tempo si progetta un indirizzo comune di sforzi;
• Il management strategico: concepisce l’azienda secondo una logica sistemica, le cui
componenti produttive, commerciali, logistiche, umane sono sempre in relazione tra loro e
con il contesto esterno in cui l’azienda opera. Si viene a creare in questo modo una
circolarità tra gli input derivanti dalle strategie aziendali, che trasformano risorse e materie
in prodotti e servizi, e gli input di ritorno dal mercato, che apporteranno a loro volta
cambiamenti nelle strategie. Porter (1987) ha individuato nella catena del valore uno
strumento sistemico utile per prendere le decisioni strategiche mirate ad ottenere un
vantaggio competitivo per la propria impresa. Al management strategico spetta un duplice
compito: gestire le attività correnti dell’azienda e contemporaneamente cercare nuove
opportunità, prevedendo i mutamenti, sviluppando l’attività interna attraverso la conoscenza
del contesto esterno;
• Il management operativo: l’insieme di azioni messe in atto dal management e volte al
raggiungimento di determinati obiettivi attraverso la cooperazione con il team. Si tratta di
un’attività complessa, che richiede la gestione dei costi, del cambiamento, della qualità,
delle risorse umane e dei flussi informativi che, solo se adeguati, possono aiutare i processi
decisionali (Boutall, 1996);
• Il management imprenditoriale: lo spirito imprenditoriale si basa su principi che non
variano da un’entità all’altra, che si tratti di una società commerciale, di un’istituzione di
pubblici servizi o di una nuova impresa. Abbiamo già visto che manager e imprenditori
hanno caratteristiche diverse. Secondo Kecharananta e Baker (1999), queste consistono nel
fatto che il manager è orientato a garantire ciò che è necessario al mantenimento e
all’accrescimento delle organizzazioni esistenti e l’imprenditore, invece, è caratterizzato
dalla prontezza nell’individuare nuove opportunità e nel creare nuove strutture. Ciò che però
differenzia queste due figure più di ogni altro fattore è la propensione al rischio, molto più
spiccata nell’imprenditore.
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E’ possibile stimolare un maggior spirito imprenditoriale nella propria azienda? Secondo Drucker
(1986) per ottenere questo risultato, è necessario agire in quattro direzioni: stimolando una
mentalità aperta all’innovazione e al cambiamento, a tal punto da considerare questi due fattori
attraenti e vantaggiosi. L’azienda deve diventare avida di “cose nuove” (Brunetta et al., 2002);
programmando la formazione necessaria a implementare i risultati. Nell’attuare il cambiamento
bisogna illustrare la logica che guida tale processo a tutti coloro che ne sono direttamente o
indirettamente coinvolti; stabilendo dei metodi organizzativi, retributivi e selettivi che rendano
possibile attrarre e trattenere i migliori collaboratori, alzare il livello di motivazione, limitare il
turnover, migliorare la comunicazione, incentivare il senso di appartenenza e il coinvolgimento
attraverso l’adesione ai valori e alla mission aziendale; prestando attenzione a non portare l’impresa
fuori dal suo campo di attività, attraverso qualche tentativo d’innovazione sconsiderato.
Gli studi sul management hanno come obiettivo quello di aiutare chi guida le aziende a soddisfare
contemporaneamente i bisogni dell’uomo e l’efficienza lavorativa, in uno scenario che vede
repentini mutamenti delle condizioni economiche e sociale, e che pone le aziende a dura prova,
pressate dall’innovazione tecnologica continua e dall’allargamento dei mercati. Non si tratta dunque
di imporre un modello organizzativo piuttosto di un altro, da realizzare ad ogni costo, bensì di
favorire lo sviluppo di organizzazioni pronte a prevedere i mutamenti, consapevoli della necessità di
continui rinnovamenti e basate su un’interdipendenza dinamica e creativa di persone o gruppi legati
da stima e fiducia, capaci di condividere decisioni, obiettivi, responsabilità e controllo.
1.1 BREVE STORIA DELLA PROGETTAZIONE
Il lavorare per progetti consta di un insieme di tecniche e strumenti di gestione sviluppatisi a partire
dalla II Guerra Mondiale negli Stati Uniti d'America e poi sperimentata a partire dagli anni ‘50 per
progetti militari e per la realizzazione di opere infrastrutturali .
Il Project Management Institute (P.M.I.) definisce il Project management come “una combinazione
di uomini, risorse e fattori organizzativi, riuniti temporaneamente, per raggiungere obiettivi unici,
definiti e con vincoli di tempo, costi, qualità e risorse limitate” (Amato R., Chiappi R.).
Queste tecniche furono introdotte in Italia dalla seconda metà degli anni ‘80, prima nella Pubblica
Amministrazione e poi in ambito soprattutto sanitario grazie al cambiamento rappresentato dal
processo di Aziendalizzazione del Servizio Sanitario Pubblico, che assume il duplice ruolo di
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difensore della salute e di garante della partecipazione informata alle scelte sulla salute e
l'assistenza sanitaria.
Negli anni ’80 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato manuali di grande importanza
sull’argomento relativo alla progettazione in ambito sanitario, tra gli altri quello sulla formulazione
e redazione di un progetto “Project Formulation & Proposal Writing” di Katja Janowsky, che hanno
costituito le basi della moderna progettazione.
L’Agenzia GTZ tedesca (Deutsche Gesellschaft fur Technische Zusammenarbeit) ha dato un
contributo fondamentale nel settore della gestione progettuale sperimentando ampiamente un
metodo denominato ZOPP (in inglese OOPP: Objectives Oriented Project Planning) in cui lo
strumento di lavoro é il LFA (Logical Framework Approach) Approccio al Quadro Logico.
Il LFA fu adottato già dai primi degli anni ’70 dall’agenzia americana USAID, che attualmente
svolge attività di cooperazione anche in ambito sanitario, che faceva sue delle tecniche di
progettazione basate sulla “gestione per obiettivi” utilizzate negli anni ’60 nel settore privato.
Seguendo l’esempio della GTZ, altre Istituzioni, come la Commissione Europea ed altre agenzie
internazionali, hanno utilizzato il OOPP come strumento di lavoro per la preparazione di progetti di
cooperazione internazionale.
La metodologia é stata adattata alle diverse esigenze e proposta in manuali come il Project Cycle
Management, Gestione del Ciclo Progettuale o della Vita Progettuale, pubblicati dalla Commissione
Europea negli anni ’90.
Il lavorare per progetti è stato, nell’ambito particolare della Sanità, regolamentato dal DPR 348/83
come attività di incentivazione della produttività . Il DPR in oggetto ha introdotto l’istituto
dell’incentivazione della produttività calcolato col sistema dei progetti obiettivo. Negli ultimi tempi
la necessità di adeguare la contrattazione ai nuovi principi di riforma della Sanità (decreto 229/99)
ha determinato un ulteriore evoluzione del lavoro per progetti non soltanto legato alla produttività ,
ma anche alla ordinaria attività delle Aziende .
Il lavoro per progetti tende a diventare lo strumento normale di attività che consente l’adesione alla
“Mission”, la realizzazione dei servizi aziendali, é inoltre implicito nell’applicazione del sistema di
miglioramento continuo della qualità, nell’applicazione del sistema ISO ed è necessario per
realizzare il controllo delle gestioni .
1.2 IL PROJECT MANAGEMENT
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Il project management si può definire come un insieme di attività tra loro collegate e finalizzate al
raggiungimento di uno o più obiettivi definiti, raggiungibili entro un tempo predeterminato e con il
consumo di un preciso ammontare di risorse umane e finanziarie (Amelotti L., Valcalda B.).
Nell’ottica del miglioramento continuo dei servizi sanitari erogati, il project management si pone
come strumento di approccio e di implementazione del processo di innovazione che riguarda sia la
progettazione di nuovi processi sanitari, che l’aggiornamento di quelli attuali.
La ricerca e lo sviluppo di nuovi servizi sanitari passano attraverso la definizione di progetti avviati
e gestiti dai dirigenti dell’azienda sanitaria sia pubblica che privata.
Il project management si caratterizza per tre aspetti tipici dei processi aziendali:
• il costo, traducibile in termini di budget assegnato al progetto
• il tempo, collegato alla durata complessiva del progetto
• la qualità, esprimibile sotto forma di obiettivi cui tendere.
Programmare e gestire il lavoro per progetti, concetto alla base delle diverse teorie sul project
management, significa valorizzare tutte le risorse a disposizione dell‘azienda e valutarne le
possibilità di crescita. Con la globalizzazione dei mercati, la standardizzazione dei processi, la
presenza di una forte concorrenza nei vari settori, è indispensabile adottare un metodo di lavoro che
permetta di ottimizzare le variabili di costo e di qualità. La maggioranza delle imprese italiane è
improntata su un modello di gestione del lavoro artigianale. Ma oggi, per fronteggiare i
cambiamenti del mercato, bisogna adottare un nuovo modello organizzativo.
Il project management è un insieme di tecniche, metodi e strumenti per lo sviluppo delle
aziende, perché facilita l’organizzazione del lavoro e permette di scomporre e affrontare in
maniera più efficiente le fasi critiche della produzione e della commercializzazione dei
prodotti.
Il concetto di project management è antichissimo. Tutte le più note e importanti realizzazioni
ingegneristiche ed edilizie (dall‘Antico Egitto, alla Cina, all‘Impero Romano) hanno necessitato per
la loro realizzazione di efficaci forme di organizzazione. In questi manufatti è possibile riscontrare
tutte o quasi le caratteristiche di base con cui si definiscono i progetti nelle organizzazioni. Tuttavia,
il passaggio dalle forme primitive di organizzazione progettuale alle più avanzate metodologie di
project management è stato reso possibile solo nel XX secolo, con l‘introduzione di nuove tecniche
di programmazione, sviluppate nell‘ambito dei progetti militari e spaziali del Ministero della Difesa
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USA, della National Areonautics and Space Administration (NASA) e dell‘intero settore
aeronautico americano.
Le principali tappe che hanno portato al project management come lo conosciamo oggi sono
riassumibili come segue:
1. All‘inizio del secolo Gantt e Taylor mettono a punto un metodo semplificato di
rappresentazione del processo produttivo tramite barre temporali.
2. Verso la fine degli anni 30 nascono le prime forme di product management nell‘industria dei
beni di consumo, che mirano ad accentrare nelle mani di un unico manager le funzioni di
ricerca, produzione, marketing, relative ad un certo prodotto.
3. Durante la seconda guerra mondiale si attua il Progetto Manhattan che sfocia nella prima
esplosione nucleare al poligono di Los Alamos: l‘interdisciplinarietà degli studiosi
coinvolti, il lavorare in gruppo con scadenze temporali strette e pressanti, fanno si che
emerga chiaramente la figura del project manager (Oppenheimer), sia come coordinatore
delle ricerche, sia come gestore degli inevitabili conflitti.
4. Nel 1957 viene introdotto il CPM (Critical Path Method) di Walker per la Du Pont: qui si
rappresentano le fasi di un progetto nella loro interdipendenza e viene prevista la possibilità
di ritardi ammissibili delle attività, detti float.
5. Nel 1958 si sviluppa la tecnica PERT (Program Evaluation and Review Technique)
nell‘ambito del Progetto Polaris, in cui si prevede anche l‘incertezza della durata delle
operazioni, che andrà anche ad indicarne il grado di criticità.
6. All‘inizio degli anni 60 vengono superati alcuni dei problemi posti dal CPM, con la tecnica
MPM (Metra Potential Method), che dà maggiore flessibilità anche ai rapporti di interdipendenza
tra le operazioni.
Uno dei classici (e più difficili da risolvere) problemi del cambiamento dei sistemi sociali è quello
di dover affrontare contestualmente gli aspetti di gestione corrente e quelli di introduzione
dell‘innovazione. Gli studi aziendali e di management hanno affrontato questo tema tramite la
logica della programmazione, coniugata di volta in volta nella forma dei sistemi di pianificazione
formale di lungo periodo, dei sistemi di programmazione e controllo di breve periodo, dei sistemi di
pianificazione strategica. È in genere apparso chiaro che l‘efficacia di questi sistemi è strettamente
correlata alle metodologie e agli strumenti. Tra questi appare particolarmente significativa la
metodologia del project management e le conseguenti tecniche ad essa collegate. Essa consiste
infatti nel tenere separate due classi (tipologie) di processi, quelli finalizzati a dare risposte i bisogni
attuali (gestione comune) e quelli che hanno l‘obiettivo esplicito di modificare tali processi per
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introdurre processi nuovi idonei ad anticipare le esigenze e i bisogni futuri. Distinzione che,
tuttavia, può essere solo parziale e non assoluta se si tiene conto dell‘interdipendenza tra tutti i
processi, derivante da uno dei caratteri costitutivi di ogni azienda individuata dalla unità. Si tratta di
una metodologia che consente di cambiare le ruote mentre il treno è in corsa, per utilizzare una
similitudine spesso usata per evitare la difficoltà del cambiamento dei sistemi sociali.
Molte volte progetti obiettivo e progetti sperimentali non hanno prodotto i risultati attesi e previsti
poiché essi sono stati gestiti senza adeguate conoscenze e competenze, in particolare senza
l‘adozione della logica del project management che Elisa Pintus propone partendo dagli elementi di
base ai quali sono la definizione dell‘oggetto, il ruolo cruciale delle persone della nuova cultura
richiesta e, soprattutto, sottolineando il suo ambito di utilizzo, quello delle scelte strategiche. Questo
aspetto è molto importante perché distingue nettamente la logica del project management di tipo
ingegneristico, che ha una sua validità e il suo campo di azione sul piano operativo (progetti
esecutivi di realizzazione di un‘idea o di un progetto di massima) dal project management applicato
al management, che spesso è utilizzato in chiave strategica, per introdurre e realizzare
efficacemente scelte di innovazione. Certamente, anche per il manager, il project management può
essere utilizzato nell‘ambito della programmazione operativa, ma sempre più spesso esso appare
particolarmente efficace nella gestione dei processi di cambiamento, quindi nella sua dimensione
strategica. Nel suo testo Il project management per le aziende sanitarie Elisa Pintus affronta gli
aspetti di contesto, inserendo la logica del project management nell‘ambito della riforma sanitaria,
collegandola alla rivalutazione dei criteri di scelta economici, il richiamo al concetto del value for
money sottolinea agli operatori e ai pazienti che i servizi di tutela della salute possono non avere un
prezzo, sono erogati gratuitamente da un Servizio di Salute Pubblico finanziato con la tassazione,
ma hanno sempre e comunque un costo che deve essere ridotto tramite una organizzazione coerente
e con la natura dei processi.
Dopo avere esplicitato le varie fasi del project management, l‘autrice affronta la fase della
pianificazione e controllo con una particolare attenzione alle tecniche di gestione dei progetti e alla
valutazione di coerenza economica; sono approfonditi gli aspetti organizzativi nel cui ambito appare
chiara la condizione essenziale ancorché sufficiente, per garantire efficacia al project management,
ossia la gestione per temi. Sono trattati gli aspetti rilevanti, quali la definizione dei ruoli e delle
responsabilità nell‘ente riferite alle varie fasi del progetto e alle funzioni di coordinamento, la
selezione, l‘addestramento e la motivazione del personale, nonché il necessario apporto di
competenze relative alla costruzione di un gruppo coeso (teambuilding) alla comunicazione interna
e alla gestione – soluzione degli inevitabili conflitti che sorgono nello svolgimento di attività
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complesse; inoltre, due tematiche di rilevante importanza sono relative alla capitalizzazione dei
vantaggi derivanti dalla logica del project management (il monitoraggio e la verifica dello stato di
attuazione e dei risultati ottenuti), nonché l‘attivazione di azioni specifiche per far evidenziare la
logica della responsabilizzazione su obiettivi e tempi nella cultura aziendale e per collegare le
logiche di progetto con le logiche di processo, evitando le contrapposizioni che spesso questi due
differenti approcci hanno generato nella progettazione della struttura dei meccanismi organizzativi.
Infine, viene sottolineata l‘esperienza dei finanziamenti internazionali collegati al progetto.
Le tecniche di project management possono essere considerate come la strumentazione oggi più
attuale per governare la coerenza fra utilizzazione delle risorse, gestione del processo di ottenimento
dei risultati aziendali e valutazione dei risultati ottenuti. Le aziende sanitarie sono sottoposte a
notevoli pressioni su ognuna delle variabili citate e il project management può essere l‘approccio
che permette di gestire il processo di cambiamento volto a contrastare le pressioni esercitate dal
sistema: i decisori politici, i portatori di interessi, i competitors, le imprese fornitrici. La logica
sottesa al project management inizia a essere parte di un patrimonio di conoscenze, prima reso
proprio da aziende ed esperti dei temi nei settori dell‘impresa privata, poi divenuto parte del
pacchetto di strumenti tecnici di parte delle amministrazioni pubbliche (quelle che erogano
finanziamenti legati all‘innovazione, alla ricerca, alla sperimentazione, alla costruzione).
Pian piano queste conoscenze iniziano ad essere patrimonio di conoscenze (talvolta non sempre
registrate in modo consapevole) di una parte sempre più ampia di persone che svolgono un ruolo
specialistico o gestionale nelle aziende o nel network di istituzioni coinvolte nel processo di
produzione, erogazione e controllo dei servizi di salute. In realtà, si può affermare che il project
management è più di uno strumento, più di una tecnica: è un insieme di metodi, strumenti e
tecniche, tutti volti a creare un filo conduttore rigoroso che chiude il ciclo gestionale fra analisi del
fabbisogno di nuovi servizi e valutazione dell‘impatto delle scelte per il raggiungimento degli
obiettivi (i nuovi servizi o i supporti alla produzione di nuovi servizi di salute). In sanità questo filo
conduttore rigoroso è elemento sempre più necessario che permette di rispondere, con
consapevolezza, delle scelte effettuate. A tal fine, la coerenza fra le tecniche, i metodi e gli
strumenti di project management affrontati nel testo, permette di sottolineare come si sviluppa tale
processo di project management. I temi affrontati vanno dall‘analisi degli ambiti definitori del
project management, all‘analisi delle caratteristiche del project management oggi, alla capacità di
allineare i progetti alle strategie aziendali, alla determinazione del campo di applicabilità della
strumentazione alle aziende sanitarie, alle scelte e alle sfide per stimare i tempi e i costi per l‘azione
di progetto, alla valutazione del rischio economico e finanziario dei progetti, alla schedulazione
20
delle risorse necessarie, alla gestione del gruppo di progetto, al monitoraggio delle attività di
progetto, alla capitalizzazione degli sforzi organizzativi, alla capacità di raccogliere risorse per
attuare azioni strategiche per l‘azienda sanitaria grazie al project management, all‘attenzione per la
creazione di un processo di consenso sull‘utilizzazione delle risorse per finanziare i progetti (public
governance). Il project management è una formidabile opportunità per coniugare un‘interessante
ricchezza di strumentazioni e metodi con un altrettanto ricco ambiente di riferimento, che deve
coniugare i continui processi di riforma (non sempre lineari) con le eterogeneità delle conoscenze di
base con obsolescenza delle conoscenze rispetto ai bisogni dei pazienti – utenti - consumatori, con
strutturale scarsità delle risorse. Ancora, si ritiene che il project management sia una leva di
interiorizzazione della cultura aziendale quasi indotta: si impara a lavorare per progetti, a dividere il
lavoro per risultati, a orientarsi alla cultura del gruppo e non del singolo, a gestire il tempo, a
prevedere e contenere i costi, a migliorare l‘azione secondo criteri qualitativi. Si metabolizza,
quindi, un insieme di metodi e strumenti che sono quelli più adatti alle moderne aziende che attuano
le loro scelte grazie anche ralla creazione del consenso, alla valorizzazione delle differenze,
all‘analisi dei bisogni di tutti gli stakeholders che beneficiano dell‘azione delle stesse.
L‘auspicio è che il project management possa essere una metodologia su cui all‘interno dell‘azienda
vi sia un confronto, una crescita, un affinamento e una contestualizzazione della strumentazione
per:
• orientare alla coerenza fra obiettivi e risultati;
• valutare l‘operato dei dirigenti;
• sviluppare l‘innovazione gestionale;
• sperimentare scelte differenti;
• supportare finanziamenti per ottenimento di risultati sulla base di scelte rigorose.
In definitiva, il project management può essere la chiave di volta per riorientare il comportamento
di attori istituzionali e organizzativi del network di soggetti coinvolti nell‘erogazione del servizio,
permettendo l‘accelerazione del valore dell‘istituzione, della creazione del senso di appartenenza
all‘azienda: i veri valori necessari al miglioramento della produzione e dei servizi finali
1.3 COMPONENTI DEL PROJECT MANAGEMENT
Il project management si pone come uno dei temi centrali della disciplina manageriale, in cui si
integrano competenze di base di natura scientifica, tecnologica ed economico-manageriale.
21
I suoi componenti fondamentali si possono così identificare:
• orientamento al problem solving;
• misurabilità degli interventi;
• rigore metodologico;
• lavoro in gruppi interfunzionali;
• propensione al cambiamento;
• gestione di processi interfunzionali.
Le basi metodologiche del project management sono:
• l’individuazione delle responsabilità all’interno del progetto;
• l’attuazione di un adeguato sistema di pianificazione e controllo;
• la creazione e gestione di un gruppo di progetto.
Nell’individuazione delle responsabilità all’interno del progetto; lo sponsor è individuato a livello di
vertice strategico aziendale. La funzione é assunta dallo stesso direttore generale o da un alto
dirigente aziendale ed ha il compito di fornire l’orientamento strategico al progetto.
Il project manager dirige e gestisce complessivamente il progetto ed ha il compito di pianificare e
realizzare il progetto nel rispetto delle scadenze, dei costi e degli obiettivi, soddisfacendo le
esigenze evidenziate allo sponsor strategico.
L’attivazione di un sistema di pianificazione e controllo é una delle necessità proprie dei criteri di
project management. Essa si realizza integrandosi in ciascuna fase progettuale con il monitoraggio
degli apporti di tutte le funzioni aziendali che partecipano al progetto e con la valutazione degli
elementi informativi relativi a costi, tempi e qualità.
Nella creazione e gestione di un gruppo di progetto o team di progetto i compiti vengono assegnati
a persone diverse, in parte appartenenti all’organizzazione sanitaria ed in parte esterni ad essa, e
solo alcuni hanno poteri decisionali nell’ambito di determinati aspetti del progetto.
Il project manager assume la direzione del team e lo coordina in un clima di piena stima e
collaborazione. Gli strumenti, le tecniche e le logiche del project management trovano pieno
riscontro in quelle che sono le indicazioni del sistema di gestione per la qualità.
22
Il sistema di gestione per la qualità definito dalle norme Iso 9001:2000 rappresenta l’ambiente di
riferimento in cui vengono misurate le prestazioni attinenti la qualità dell’organizzazione sanitaria e
quindi le iniziative rivolte al suo miglioramento.
I requisiti del sistema di gestione per la qualità sono stati organizzati in quattro sezioni di
riferimento:
1. Responsabilità della direzione (punto 5 della norma Iso 9001:2000);
2. Gestione delle persone (punto 6);
3. Realizzazione del prodotto (punto 7);
4. Misure, analisi e miglioramento (punto8);
E’ fondamentale nella realizzazione del prodotto che l’organizzazione debba pianificare e tenere
sotto controllo la progettazione e lo sviluppo del prodotto stesso. (Archibald R.D.).
Durante la pianificazione della progettazione e dello sviluppo l’organizzazione deve stabilire:
• le fasi della progettazione e dello sviluppo;
• le attività di riesame, di verifica e di validazione adatte per ogni fase di progettazione e di
sviluppo;
• le responsabilità e l’autorità per la progettazione e lo sviluppo.
1.4 LE BASI METODOLOGICHE DEL PROJECT MANAGEMENT
Il direttore generale di un’azienda sanitaria rappresenta a tutti gli effetti il responsabile della
funzione di project management in quanto, pur non assumendo la conduzione diretta dei progetti, si
assume la responsabilità diretta dell’integrazione dei processi relativi alla gestione di progetto con
gli altri processi tipici dell’organizzazione. Assicura inoltre una adeguata disponibilità di risorse e si
pone quale garante dell’utilizzo di corrette tecniche di progettazione.
Sono responsabilità del direttore generale:
• l’individuazione di quali progetti avviare;
• l’individuazione delle principali caratteristiche di tempo, costo e qualità;
• la valutazione periodica dello stato di avanzamento dei progetti in termini di rispetto delle
caratteristiche di performance;
• la risoluzione di eventuali confitti che possano insorgere tra dirigenti partecipanti ai progetti.
1.5 LO SPONSOR DI PROGETTO
23
Il ruolo di sponsor del progetto in sanità è ricoperto dallo stesso direttore generale che può
comunque delegare a questa funzione un altro membro del vertice direzionale quale il direttore
sanitario o amministrativo, o un direttore di dipartimento il quale comunque é tenuto a riferire al
direttore generale l’andamento del progetto.
Il ruolo di sponsor ha un significato di orientamento generale del progetto.
Sono responsabilità dello sponsor:
• giustificare l’esigenza dei risultati del progetto;
• approvare gli obiettivi generali del progetto;
• individuare il project manager in base alla sua collocazione organizzativa ideale ai fini del
progetto;
• seguire lo stato di avanzamento del progetto fornendo un continuo orientamento strategico al
project manager;
• risolvere gli eventuali conflitti insorgenti fra il project manager e gli altri membri del gruppo
di progetto.
Il ruolo di project manager, invece, è individuato dallo sponsor in base alla collocazione
organizzativa ed alle competenze tecnico-professionali oltre che di personalità. In alcune
circostanze particolari, come nel caso di un progetto di grande importanza per l’azienda, il ruolo è
assunto direttamente dal direttore generale. Il project manager ha il compito di integrare le diverse
funzioni aziendali in un tutto unitario, trovandosi spesso a coordinare persone che non sono
collocate sotto il suo diretto controllo ed in questo senso trovano importante rilievo, oltre alle
competenze, le caratteristiche di personalità quali la capacità di adattamento, di leadership, di
comunicazione, organizzativa, di individuare i problemi e di prendere decisioni.
Sono responsabilità del project manager:
• realizzare un nuovo progetto rispettando le specifiche tecniche, i costi, i tempi e le risorse
disponibili (Caron F.);
• integrare in un insieme unitario tutti i diversi apporti al progetto;
• comunicare al vertice direzionale eventuali scostamenti in termini di qualità, tempo e costo;
• assolvere alla funzione di raccordo attivo tra il cliente , lo sponsor di progetto ed i
responsabili di funzione.
24
Il responsabile di funzione, responsabile di struttura semplice o complessa, ha la responsabilità di
svolgere le attività previste dal progetto che coinvolgono la struttura organizzativa di appartenenza
ed è tenuto al raggiungimento di uno specifico risultato previa negoziazione con il project manager.
Il responsabile di funzione deve definire:
• la specificazione delle politiche e delle procedure;
• il coinvolgimento di personale preparato rispetto alle politiche progettuali;
• la garanzia della qualità degli apporti forniti al progetto da parte della propria funzione.
Il functional project leader è colui che assicura il contributo specifico al progetto da parte di una
determinata funzione aziendale (Corso A.). .Assume una doppia valenza organizzativa in quanto è
al tempo stesso il delegato del responsabile di funzione nel progetto ed il delegato del project
manager nella funzione. Si configura dunque come il collegamento operativo tra il progetto e la
funzione aziendale coinvolta.
1.6 IL GRUPPO DI PROGETTO
La costituzione e l’organizzazione del gruppo di progetto o team di progetto é un aspetto sostanziale
nell’attività di project management. All’interno del gruppo di progetto il project manager assume la
funzione di leader e deve essere in grado di risolvere eventuali conflitti interni al gruppo. Vengono
altresì definiti ruolo e responsabilità di ciascun partecipante utilizzando la matrice delle
responsabilità che permette di attribuire ogni blocco del progetto ad un responsabile dello sviluppo
dell’attività stessa. La condivisione e la chiara comprensione da parte dei componenti del gruppo
degli obiettivi quali-quantitativi è una condizione fondamentale e vengono fissate le regole di
procedure di progetto che determinano con estrema precisione quale sarà il flusso delle
informazioni, le comunicazioni interne ed esterne e la frequenza delle riunioni.
Un gruppo di progetto deve quindi puntare su obiettivi chiari e condivisi, con un piano d progetto
corredato da opportune procedure operative che consentano la piena integrazione dei diversi
apporti. Le diverse funzioni del gruppo di progetto supportano il project manager nella
realizzazione dei suoi compiti.
Nel caso del progetto di un nuovo servizio sanitario i compiti espletati da queste figure sono:
• la progettazione e lo sviluppo del servizio sanitario;
• il collaudo e l’erogazione del servizio sanitario.
25
La funzione di progettazione e sviluppo del servizio sanitario ha lo scopo di realizzare il nuovo
servizio nel rispetto degli aspetti quali-quantitativi ed entro i limiti di costo e di tempo stabiliti.
All’interno di questa funzione si possono evidenziare altre tre importanti sottofunzioni:
• sottofunzione di analisi di sistema;
• sottofunzione di progettazione del servizio;
• sottofunzione di controllo del servizio.
La funzione di collaudo ed erogazione del servizio ha come scopo l’acquisto d materiali e
componenti per la realizzazione dl progetto e la realizzazione della sperimentazione del nuovo
servizio.
Le responsabilità del gruppo di progetto vanno ricondotte al minor numero possibile di persone per
far sì che in termini organizzativi si possano realizzare:
• maggiore chiarezza nell’apporto di ciascun componente al progetto;
• maggiore flessibilità nel contributo delle singole funzioni al progetto;
• maggiore possibilità di controllo dei costi generali del progetto;
• maggiore efficacia nel coordinamento da parte del project manager.
Solitamente in ambito sanitario le persone non sono assegnate a tempo pieno al singolo progetto e
vi partecipano, in posizione di line o di staff, mantenendo l’appartenenza alla propria funzione di
origine.
In un progetto per la realizzazione di un nuovo servizio sanitario sono di norma rappresentate le
seguenti tipologie di responsabilità:
1. il project manager;
2. il project engineer;
3. il project controller;
4. il field project manager.
La responsabilità di project manager in sanità può essere assunta di volta in volta da figure
professionali diverse: il direttore generale, un rappresentante dell’alta direzione, un direttore di
dipartimento, un direttore di struttura complessa, un responsabile di struttura semplice.
Le responsabilità caratteristiche del ruolo sono:
26
• individuare i membri del gruppo di progetto;
• definire le responsabilità dei membri del gruppo di progetto;
• assumere tutte le informazioni sulle esigenze del paziente/cliente per il quale si va a
progettare un nuovo sevizio sanitario;
• assumere tutte le informazioni di sistema utili alla progettazione del nuovo servizio;
• pianificare le attività progettuali;
• definire le priorità progettuali;
• definire un numero di milestone progettuali;
• monitorare l’avanzamento nel rispetto dei tempi e delle modalità previste;
• accertare che la funzione aziendale deputata agli acquisti di beni e servizi utili al progetto
svolga il mandato nel rispetto dei tempi e delle modalità previste;
• approvare decisioni sulla scelta tra produzione o acquisto;
• assicurare il controllo della qualità del servizio sanitario;
• individuare tempestivamente le deviazioni dal piano originario al fine di attuare le correzioni
necessarie;
• risolvere i conflitti tra i partecipanti al progetto;
• informare periodicamente i livelli gerarchici superiori sullo stato di avanzamento del
progetto;
• ottenere piani di chiusura del progetto da parte di tutte le funzioni partecipanti.
La responsabilità di project engineer è svolta in ambito sanitario da colui che possiede le
competenze tecnico-professionali più complete rispetto al nuovo servizio sanitario da progettare.
Fornisce quindi sostanzialmente una sorta di direzione tecnica per la realizzazione del progetto.
Questa responsabilità è assunta dallo stesso project manager nel caso in cui egli stesso possieda le
specifiche competenze tecniche richieste.
Le responsabilità caratteristiche del ruolo sono:
• assicurare la direzione tecnica del progetto;
• definire le esigenze del paziente/cliente;
• tradurre le esigenze del paziente/cliente in termini di caratteristiche dell’organizzazione
sanitaria;
• definire i compiti dei diversi functional project leader coinvolti;
• risolvere i problemi di interfaccia tra il nuovo servizio sanitario che si intende attivare e
l’ambiente aziendale;
27
• segnalare al project manager ogni eventuale problema che riguardi la parte tecnico-
professionale del progetto.
La responsabilità di project controller riguarda l’assolvimento della funzione di pianificazione e
controllo. In ambito sanitario questa funzione coincide, tranne per i progetti di grandi dimensioni,
quasi sempre con quella di project manager.
Le responsabilità caratteristiche del ruolo sono:
• svolgere la funzione di pianificazione e controllo per conto del project manager;
• definire sistematicamente i compiti da realizzare e le relazioni organizzative tramite tecniche
di work breakdown structure (Wbs);
• identificare tutte le principali componenti del lavoro (work package);
• identificare i project functional leader per ogni work package ed esplicitare la stima delle
risorse necessarie, la stima dei costi e la stima del tempo intercorrente tra due milestone
conseguenti;
• individuare un numero adeguato di milestone per pianificare e rendicontare con sufficiente
periodicità alla direzione aziendale;
• monitorare lo stato di avanzamento dei lavori;
• evidenziare eventuali scostamenti significativi rispetto al budget iniziale segnalandoli al
project manager, che ha la responsabilità complessiva del progetto.
La responsabilità di field project manager fa riferimento alle operazioni svolte sul campo rivolte al
collaudo e quindi all’erogazione del nuovo servizio sanitario.In ambito sanitario questo ruolo è
svolto dal responsabile di funzione più vicino al progetto da un punto di vista tecnico-professionale
o da un suo diretto collaboratore, proprio perché la vicinanza alla operatività di questa figura fa sì
che possa intervenire tempestivamente qualora si verifichino degli scostamenti tra quanto progettato
ed i reali bisogni del paziente/cliente.
Sono responsabilità del field project manager:
• seguire l’operatività sul campo assicurando la corrispondenza tra quanto attuato e quanto
stabilito nella fase progettuale (Corso A.);
• fornire indicazioni alle diverse persone ed alle diverse funzioni aziendali su cosa deve essere
fatto;
• valutare l’impatto sul paziente/cliente del nuovo servizio erogato;
• valutare che le esigenze del paziente/cliente siano state realmente ben interpretate;
28
• assicurare il collegamento tra quanto succede a livello operativo ed il project manager.
1.7 LO YIELD MANAGEMENT
Lo yield management, letteralmente “gestione del rendimento” , è composto da tutti quegli
strumenti e tecniche utilizzati dai responsabili della gestione di un’azienda tipicamente alberghiera
per la massimizzazione dei ricavi. Complessivamente si può considerare uno strumento del
controllo di gestione, che si occupa di dare un orientamento all’organo direzionale verso una
corretta gestione dei ricavi.
Ebbe origine negli anni settanta per soddisfare i bisogni di alcune imprese operanti in certi settori.
La prima applicazione si è avuta nel settore del trasporto aereo, poi, progressivamente, l’utilizzo di
tale strumento si è esteso in altri settori come quello della ristorazione, dell’autonoleggio,
alberghiero e crocieristico. Si può comunque dire che con il passare del tempo e con una maggiore
coscienza degli effetti positivi che si possono ottenere dal corretto utilizzo di tale pratica,
l’applicazione dello Yield management si stia diffondendo in altri settori che possiedono le
caratteristiche necessarie per la sua applicazione come ad esempio il settore sanitario o quello
sportivo.
Le imprese di servizi si trovano a dover gestire vincoli intrinseci e concomitanti, in contesti
altamente competitivi. Questo scenario ha spinto il management prima, ed il mondo scientifico poi,
a dotarsi di strumenti capaci di supportare adeguatamente lo svolgimento del processo di gestione
ed il raggiungimento degli obiettivi sia di breve che di medio-lungo periodo. L’approccio
sistematico a tali problematiche ha determinato il sorgere dello yield management. Con tale
espressione ci si riferisce ad una serie di metodologie che rendono possibile la massimizzazione del
rendimento attraverso l’utilizzo di modelli matematicostatistici che ponderano e bilanciano
convenientemente le peculiarità insite nella struttura produttiva con le esigenze espresse dai
consumatori. Questa tecnica gestionale presuppone pertanto l’esistenza di una domanda governata
da leggi probabilistiche gestibile attraverso una manovra sui prezzi associata ad adeguate tecniche
di marketing. A questa si associa la tipica struttura produttiva caratterizzante le “moderne” aziende
di servizi, dove i costi fissi, i costi non controllabili, i costi vincolati, quelli che sinteticamente si
definiscono i costi della complessità rappresentano, in termini relativi, la netta prevalenza.
Lo Yield management costituisce, nello scenario poc’anzi delineato, uno strumento fondamentale
per l’implementazione e la realizzazione di un processo gestionale di tipo feed-forward. Il beneficio
diretto, è costituito dall’ottimizzazione dei ricavi, resa possibile da una strutturata e sistematica
29
attività di ricerca e “cattura”/soddisfazione dell’intera domanda potenziale. Il tutto giustamente
bilanciato con le potenzialità insite nell’attuale capacità produttiva, contenendo il rischio derivante
da mancati ricavi ed individuando nuovi segmenti di domanda da servire. Tale beneficio, si esplica
in maniera diretta sul conto economico, generando un aumento dei componenti positivi cui si
associa un aumento certamente molto meno che proporzionale dei componenti negativi. I benefici
indiretti sono molteplici: rafforzamento della correlazione tra strategia e processi operativi con
conseguente aumento dell’efficacia delle operazioni di pianificazione e controllo, razionalizzazione
gestionale delle risorse, incremento dell’attenzione al cliente e della sua fidelizzazione, incremento
del patrimonio informativo aziendale e della consapevolezza della sua rilevanza nonché delle
tecnologie ad esso associate.
1.8 IL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DEL PROGETTO
L’efficacia del project management è basata sulla attivazione ed attuazione di un corretto e
dettagliato processo di pianificazione e controllo.
Il processo dovrà evidenziare che tutte le attività siano state:
• Previste, definite e correlate con le altre;
• Determinate nei tempi;
• Quantificate per le risorse;
• Valutare per i costi;
• Rese note a tutte le componenti del progetto.
L'analisi SWOT è una delle metodologie più diffuse per la valutazione di progetti. Si tratta di un
procedimento mutuato dall'economia aziendale che rende sistematiche e fruibili le informazioni
raccolte circa un tema specifico e fornisce informazioni fondamentali per la definizione di politiche
e linee di intervento. L‘acronimo SWOT individua i quattro aspetti che costituiscono i punti
cardinali del contesto di riferimento, considerati dal punto di vista della loro valenza (positiva o
negativa), della loro condizione (attuale o potenziale), e della loro natura o provenienza (endogena o
esogena). Questi consistono nei Punti di Forza (Strenghts), Punti di Debolezza (Weaknesses),
Opportunità (Opportunities) e Minacce (Threats).
I punti di forza e di debolezza sono le caratteristiche attuali e intrinseche del contesto analizzato,
mentre le opportunità e le minacce rappresentano dei fattori esogeni che possono potenzialmente
condizionare in senso positivo o negativo quel contesto. Tale analisi viene generalmente presentata
30
in forma di matrice, in cui ciascuno dei quattro quadranti riporta l‘elenco e la descrizione sintetica
degli elementi rilevanti per ogni aspetto considerato.
Attraverso l'analisi SWOT è possibile evidenziare i punti di forza e di debolezza al fine di far
emergere quelli che vengono ritenuti capaci di favorire, ovvero ostacolare o ritardare, il
perseguimento di determinati obiettivi. Distinguiamo tra i fattori endogeni i punti di forza e punti di
debolezza e tra quelli esogeni le opportunità e in rischi. Tra i primi si considerano tutte quelle
variabili che fanno parte integrante del sistema stesso, sulle quali è possibile intervenire per
perseguire obiettivi prefissati. Tra i secondi, invece, si trovano variabili esterne al sistema che però
possono condizionarlo sia positivamente che negativamente. In quest'ultimo caso non è possibile
intervenire direttamente sul fenomeno ma è opportuno predisporre strutture di controllo che
individuino gli agenti esogeni e ne analizzino l'evoluzione al fine di prevenire gli eventi negativi e
sfruttare quelli positivi. L'efficacia di questa metodologia d'indagine dipende, in modo cruciale,
dalla capacità di effettuare una lettura "incrociata" di tutti i fattori individuati nel momento in cui si
definiscono le politiche. E' necessario, infatti, appoggiarsi sui punti di forza e smussare i difetti per
massimizzare le opportunità e ridurre i rischi.
La metodologia del Quadro Logico consiste in un processo analitico che permette di individuare e
definire in maniera logica e sistematica tutti gli elementi necessari per la realizzazione di un
progetto ed i nessi causali che intercorrono tra di essi. Tale processo viene schematizzato attraverso
una matrice nella quale vengono visualizzati i principali elementi del progetto in un formato chiaro
e comprensibile. Essa è articolata in quattro livelli, legati tra loro da un rapporto di causa-effetto in
31
senso verticale e bi-direzionale. Il Quadro Logico non è utilizzato solamente in fase di
progettazione, ma costituisce anche un indispensabile strumento di monitoraggio in fase di
implementazione e di verifica in fase di valutazione.
La work breakdown structure (Wbs) è una altra metodica per la strutturazione del progetto.
Consente di scomporre il progetto nelle attività che devono essere realizzate per il raggiungimento
dell’obiettivo. La Wbs costituisce una rappresentazione sintetica del progetto e suddivide le attività
per livello consentendo il raggiungimento di un livello di dettaglio necessario per una pianificazione
e controllo adeguati. Essa è descritta partendo di un livello generale corrispondente al progetto nella
sua interezza per poi essere suddivisa livello per livello in singole parti del progetto fino
all’identificazione di singole parti del progetto ben definite. Quest’ultima parte infine è scomposta
in compiti delle diverse funzioni al fine di identificare chiare responsabilità che possano così essere
pianificate e controllate.
32
La matrice compiti/responsabilità rappresenta uno strumento di pianificazione in grado di correlare
il lavoro definito dalla work breackdown structure con le funzioni aziendali responsabili. La matrice
fornisce una base di grande utilità per il processo di programmazione e controllo in quanto ogni
responsabilità deve fornire informazioni relative a tempi, costi, impegno di risorse umane ed aspetti
tecnici.
La milestone o punto intermedio di controllo viene inserita nella logica progettuale in quanto segna
l’inizio di una fase o il suo termine e quindi l’inizio o la fine di una serie di compiti o attività.
L’utilizzazione delle milestone evidenzia così un cambiamento legato alla realizzazione di una parte
significativa del progetto a cui spesso si collegano sostanziali cambiamenti di responsabilità.
Rappresentano quindi un obiettivo intermedio che definisce un evento importante e misurabile del
progetto ed aiutano a renderne visibili i progressi al committente, ai membri del gruppo di progetto
ed all’organizzazione. Nella logica del project management la gestione del tempo rappresenta una
variabile fondamentale di sostanziale impatto sulla dinamica finale dei costi.
Le tecniche più utilizzate per la corretta gestione del tempo nell’ambito progettuale sono:
• Il diagramma di Gantt;
• I diagrammi reticolari.
Il diagramma di Gantt o diagramma a barre di attività su scala temporale é la tecnica di
rappresentazione del tempo più comunemente usata (Graham R.).
33
Consente di individuare visivamente e con facilità la sequenza in cui le varie attività saranno
realizzate. Esso si compone di un grafico in cui sull’asse delle ordinate vengono inseriti gli elementi
della strategia progettuale quali attività, risultati ed obiettivi, mentre sull’asse delle ascisse i tempi
previsti. Il diagramma permette una sintesi grafica della dinamica progettale e permette di seguire la
tempistica dell’intervento ed il monitoraggio nella sua fase di realizzazione con maggiore facilità.
Il diagramma di Gantt presenta comunque dei limiti che sono legati alla mancanza di indicazione
delle precedenze e delle interazioni tra le diverse attività: per annullare questo problema si
preferisce evidenziare le eventuali precedenze e le interrelazioni tra le diverse attività collegando tra
loro le attività descritte nel grafico con delle frecce che evidenziano il legame ed eventualmente la
dipendenza temporale (in quanto lo slittamento dei tempi di una determinata attività può far slittare
anche i tempi dell’altra).
I diagrammi reticolari sono poco usati nella progettazione sanitaria, ma a volte utilizzati perché
consentono di evidenziare il cosiddetto “percorso critico”.
I diagrammi reticolari si caratterizzano perchè mostrano le attività e le rispettive precedenze
utilizzando nodi e frecce: il tutto si presenta visivamente come un reticolo.
Le due tecniche più conosciute in questo ambito sono:
• il diagramma Cmp (Critical path method), (Guarella F.);
• il diagramma Pert (Program evaluation review technique), (Detogni C.).
34
Entrambe le tecniche consentono l’identificazione del “percorso critico”, cioè la catena di eventi
all’interno della strategia progettuale che richiede il tempo complessivo più lungo e quindi
determina la durata totale dell’intervento. Il percorso viene definito “critico” in quanto determina il
ritardo globale del progetto.
Diagramma PERT
1.9 LA GESTIONE DEI COSTI, IL BUDGET DI PROGETTO
Il budget di progetto è uno strumento di gestione riguardante tutte le risorse necessarie coinvolte in
uno specifico progetto, espresso in termini monetari e dispiegato nel tempo (Parker G.M.).
La sua gestione prevede due tecniche di controllo di gestione:
• L’imputazione tradizionale dei costi (diretti o indiretti) ai centri di costo;
• L’imputazione innovativa dei costi con le moderne tecniche di Activity based costing (Abc).
L’Abc é una tecnica in cui viene calcolato il costo pieno del prodotto/servizio a partire dal costo
delle risorse consumate.
Prevede due momenti di calcolo distinti:
• i costi vengono legati alle attività;
• le attività vengono legate ai prodotti/servizi.
Nel project management l’Abc serve a calcolare il costo di un intero progetto.
35
CAPITOLO 2 LA GESTIONE DEL PROGETTO
2.1 LA PROGETTAZIONE DEI SERVIZI SANITARI
Definizione di progetto.
Si può definire progetto un insieme di persone e di altre risorse temporaneamente riunite per
raggiungere uno specifico obiettivo con un budget ben definito e predeterminato, entro un periodo
di tempo prestabilito (Nepi A.).
Seconde le logiche del project management in sanità il progetto é:
• un processo per condurre un lavoro che produce un nuovo prodotto;
• un processo che comprende un numero di attività che hanno un inizio ed obiettivi definiti il
cui raggiungimento é il segno del completamento del progetto;
• uno sforzo temporaneo esercitato per creare un unico prodotto o servizio;
• un’unica impresa con un inizio e una fine, realizzata da persone per raggiungere finalità
prestabilite con limiti di tempo, risorse e qualità;
• un’azione organizzata, limitata nel tempo per raggiungere obiettivi specifici
• un processo sistematico per raggiungere un obiettivo.
Si intende quindi per progetto il ciclo progettuale (Project Cycle Management) cioè la gestione delle
diverse parti dell’intervento dalla sua iniziale idea alla valutazione dei risultati ed é più corretto
ragionare in termini di ciclo progettuale considerato che il progetto comprende concettualmente fasi
diverse: inizialmente la situazione va analizzata, il progetto identificato e la fattibilità studiata,
successivamente si attua la fase di realizzazione o “implementazione” progettuale, il monitoraggio e
la valutazione (Manzoni P.).
Le fasi del ciclo progettuale possono essere individuate e riassunte in:
• programmazione indicativa;
• identificazione;
• formulazione/fattibilità;
• finanziamento;
• realizzazione;
• valutazione;
36
La programmazione indicativa è l’insieme delle idee e dei problemi generali sulla cui base sono
sviluppati i progetti. Le idee sono generate durante la fase di analisi della situazione mediante uno
studio ed un raffronto minuzioso di tutte le informazioni disponibili e possono essere raccolte
utilizzando metodologie di vario tipo. L’identificazione è la fase in cui si mette a punto una prima
provvisoria formulazione dell’intervento. In questa fase vengono individuati gli obiettivi, i risultati
e le attività e viene presa la decisione di procedere con la fase successiva di formulazione/fattibilità.
La formulazione/fattibilità è la fase in cui il progetto viene rivisto alla luce della fattibilità e
sostenibilità progettuale e si decide se proseguire con la proposta di finanziamento poiché i costi
previsti, oltre ad altri aspetti, devono essere ritenuti quale fattore influente sulla fattibilità. Il
finanziamento è la fase formale in cui il committente decide di procedere e stanzia i fondi necessari
all’attuazione del progetto. La realizzazione è la fase in cui si attua l’esecuzione dell’intervento. In
questa fase possono essere previsti piani operativi periodici. La valutazione, infine, è l’analisi dei
risultati e dell’impatto del progetto durante e dopo la sua realizzazione.
37
2.2 ANALISI DELLE FASI DELLA PROGETTAZIONE SANITARIA
Le fasi della progettazione sanitaria.
Come già enunciato, la progettazione avviene in più fasi in cui il metodologico svolgimento in
successione e l’accurata analisi determinano la corretta impostazione del progetto. In questo
paragrafo si approfondiscono le tematiche relative alle fasi della progettazione con particolare
riferimento alle tecniche, agli strumenti ed alle logiche di project management. L’analisi della
situazione precede la parte dedicata all’identificazione degli obiettivi del progetto e coincide con la
prima fase del ciclo progettuale, denominata “programmazione indicativa”. Il progetto trova le sue
origini da una delle opzioni disponibili per la soluzione di un problema o come risposta ad una
necessità di miglioramento e rappresenta l’azione strutturata generata da un sistema decisionale nel
contesto di un “processo di soluzione del problema”. E’ indispensabile in questa fase una raccolta di
dati ed informazioni precise al fine di mappare i problemi esistenti ed analizzarli . Una accurata
analisi della situazione é indispensabile prima di intraprendere la formulazione, applicando anche
metodi di confronto come ad esempio i “gruppi focali” e coinvolgendo sia i beneficiari finali, sia gli
stakeholders. Gli stakeholders sono “coloro che hanno a che fare direttamente o indirettamente con
gli effetti del progetto”. Si intende dunque per stakeholder chiunque tragga beneficio o meno dagli
effetti del progetto. Stakeholders possono ad esempio essere enti, agenzie, istituzioni, partiti politici,
associazioni, beneficiari finali. All’interno dell’analisi della situazione quindi é indispensabile
prevedere una analisi degli stakeholders al fine di evidenziare la loro influenza sulle fasi di
formulazione e realizzazione dell’intervento ed il loro futuro coinvolgimento nell’analisi della
situazione e nella fase di identificazione progettuale. La fase dell’identificazione progettuale
prevede una serie di processi e metodologie la cui corretta sequenza ed impostazione consente di
porre le basi di successo del progetto. In questa fase vengono analizzati i problemi e le cause, gli
obiettivi, i risultati da raggiungere, le attività e le strategie di intervento per la realizzazione
dell’obiettivo. Il quadro logico é uno strumento di grande utilità perché consente di sistematizzare le
componenti di un progetto permettendone la rappresentazione schematica. E’ un diagramma a
quattro colonne che rappresenta in maniera schematica le relazioni tra le varie componenti del
progetto. Le varie componenti del progetto costituiscono la struttura del quadro logico e le
informazioni riguardanti il progetto sono inserite nel quadro nel momento in cui vengono
sviluppate. Le componenti del progetto inserite nella matrice sono:
• Gli obiettivi;
39
2.3 GLI OBIETTIVI, I RISULTATI E LE ATTIVITA'
L’obiettivo nasce da un problema o da una necessità da soddisfare: é la reazione al bisogno di
risolvere il problema o di dare risposta alla necessità percepita. Gli obiettivi di un progetto vengono
distinti in generali e specifici e nascono da un attento studio e da una accurata valutazione delle
priorità. Vanno formulati in termini sia qualitativi che quantitativi e questi ultimi si rifanno a
parametri di riferimento quali i benchmark che vengono utilizzati quale termine di raffronto di
performance ottenute da progetti simili. Gli obiettivi specifici devono anche essere formulati in
modo che sia esplicito “chi fa che cosa” e la tempistica prevista. Gli obiettivi, sia generale che
specifici, vengono inseriti nella matrice del quadro logico rispettivamente al primo ed al secondo
livello. Il raggiungimento di obiettivi presuppone l’esecuzione di attività e le attività conducono
all’ottenimento dei risultati. L’ottenimento dei risultati di conseguenza comporterà il
raggiungimento di obiettivi. Le attività nella sostanza sono le azioni pratiche e quindi ciò che viene
fatto per raggiungere i risultati attesi e devono avere caratteristiche comuni: non essere ripetitive ed
essere finalizzate al raggiungimento degli obiettivi in un periodo di tempo dichiarato e con un
determinato budget. Le attività, a seconda delle necessità ed a giudizio del progettista, possono
essere scomposte in sotto-attività o compiti (tasks) ed ulteriormente in altre sottocomponenti.
I risultati e le attività sono inseriti nella matrice del quadro logico e ne occupano rispettivamente il
terzo ed il quarto livello.
La strategia progettuale viene definita strategia o logica progettuale la strada che si sceglie di
seguire per raggiungere gli scopi di un intervento ed é l’insieme di obiettivi, risultati ed attività. La
scelta strategica spesso é determinante anche per quanto riguarda l’approvazione di un progetto
soprattutto per l’aspetto economico-finanziario legato allo svolgimento delle attività che incidono in
maniera sostanziale sui costi totali dell’intero progetto.
40
2.4 IL DIAGRAMMA O ALBERO DEI PROBLEMI
L’albero dei problemi é uno strumento che rappresenta graficamente la scomposizione di un
problema. Le cause del problema e le cause delle cause del problema vengono dapprima listate e
successivamente inserite in un diagramma in cui si evidenziano le relazioni esistenti tra le cause
stesse. In questa fase della identificazione progettuale, al fine di evidenziare tutte le possibili cause
del problema, sono spesso utilizzate sessioni di brainstorming a cui partecipano anche gli
stakeholders.
Durante le sessioni di brainstorming le idee raccolte come cause dei problemi vengono poi votate
per ordine di importanza e successivamente le idee simili vengono raggruppate.Viene così stilata
una graduatoria di cause più probabili e la causa più probabile verrà sottoposta a test nel tentativo di
verificarla. Raggiunto il consenso su una lista comune di cause, queste saranno inserite nell’albero
dei problemi.
L’albero dei problemi identificato nelle sessioni di gruppo é un diagramma basato su una analisi
generale, ma molto spesso la sola valutazione generale delle cause può risultare poco proficua ai
fini della corretta impostazione progettuale. A questo punto é utile un ulteriore passaggio: il
raffronto delle cause generali con la realtà di riferimento al fine di verificarne l’effettiva pertinenza
alla realtà di riferimento e successivamente stabilire le priorità di alcune cause rispetto ad altre.
41
Per verificare la pertinenza alla realtà di riferimento e quindi per dimostrare che una causa é
realmente generatrice di un problema é necessario disporre di dati sufficienti che permettono di
conoscere la realtà oggettiva dell’area in cui il progetto verrà realizzato: le cause vanno quindi
raffrontate con gli standard di riferimento conosciuti.
L’applicazione metodica della tecnica del confronto tra la propria realtà e gli standard noti permette
di riconoscere la validità della causa stessa e quindi di evidenziare la reale esistenza del problema,
permettendo anche di trarre indicazioni sulla reale dimensione del problema stesso, che é tanto più
grande quanto più si discosta dallo standard di riferimento.
Una ulteriore e successiva attenta analisi delle cause viene effettuata utilizzando quella che é
definita “legge delle priorità”, di cui il diagramma di Pareto é la riproduzione grafica, che teorizza
che solo un numero limitato di cause é prioritario ed ha un peso reale nel processo di soluzione del
problema e che solamente le cause “chiave” devono essere affrontate e risolte.
Va inoltre sottolineato che il progettista deve tener conto, nel contesto delle priorità, che cause
apparentemente di secondaria importanza possono condizionare problemi di gravità ben superiore.
Al termine di tutti i passaggi fin qui descritti si può ritenere conclusa la fase del processo di
progettazione denominata “identificazione progettuale”. Lo studio di fattibilità di un progetto é
fondamentale per la realizzazione del progetto stesso. Esistono, infatti, dei fattori esterni che
potenzialmente possono essere in grado di condizionarne la realizzazione. L’analisi dei fattori
esterni consente quindi di evidenziare i fattori esterni che possono condizionare pesantemente lo
sviluppo e la realizzazione de progetto, se non addirittura renderne impossibile la realizzazione.
La fattibilità é valutata nei workshop del gruppo di progetto ed i fattori esterni vengono suddivisi in:
• Fattori certi (in questo caso il problema non sussiste e non verrà preso in considerazione);
• Fattori probabili, ma non certi (in questo caso il fattore esterno diverrà un presupposto
condizionante il raggiungimento dell’obiettivo);
• Fattori improbabili (in questo caso il fattore esterno non può essere considerato un presupposto ma
diviene a sua volta un problema chiave da inserire tra gli obiettivi del progetto e devono essere
previste attività ad hoc per il suo raggiungimento);
• Condizione improbabile e definitiva (in questo caso non esiste alcuna possibilità di soluzione: il
progetto non é fattibile e la condizione viene definita “killer”).
Da quanto appena descritto emergono quindi due considerazioni importanti ai fini della
strutturazione del progetto, che sono legate una alla corretta identificazione dei fattori probabili che
42
diventano i presupposti e che saranno inseriti nell’apposito spazio della matrice del quadro logico e
l’altra alla corretta identificazione dei fattori improbabili che trovano collocazione nel quadro logico
non già come presupposti, ma come obiettivi del progetto. Un progetto non può considerarsi
completo se non sono definiti chiaramente i tempi di esecuzione. Per la gestione dei tempi del
progetto vengono utilizzati strumenti, già descritti nel dettaglio al capitolo 1, quali i diagrammi
reticolari (Cmp e Pert), ma soprattutto il diagramma di Gantt e le tappe temporali dei progressi
vengono evidenziate attraverso l’utilizzo delle milestone. I suddetti diagrammi sono utilizzati sia
nella fase operativa che nella fase di controllo. In questa fase del ciclo progettuale vengono
individuate le figure a cui assegnare determinati compiti e responsabilità.
Le singole attività o gruppi di attività dell’intervento possono essere assegnate per la loro
realizzazione ad individui, gruppi di lavoro (teams o task forces), istituzioni, organizzazioni o altri
enti realizzatori sotto forma di pacchetti di lavoro
Esempio di matrice compiti/responsabilità
43
2.5 LA PREVISIONE DI SPESA DEL PROGETTO
La previsione di spesa (budget) é la quantificazione in termini economico-finanziari delle risorse
per il raggiungimento degli obiettivi.
Il budget di progetto é quindi la traduzione in termini economici dell’assorbimento/consumo di
fattori produttivi in materia di risorse umane, materiale di consumo, consulenze esterne, prestazioni.
La previsione di spesa é un elemento fondamentale nella stesura di un progetto e per la sua
approvazione e la sua successiva realizzazione. L’approvazione di un progetto da parte del
finanziatore può essere anche inibita da problemi legati alla sostenibilità economico-finanziaria: in
questi casi si suole far ricorso ad un sistema di gestione denominato revolving found (Thomas P.),
recupero finanziario, che prevede che parte delle entrate provenienti da determinati investimenti
legati alla realizzazione del progetto (come attrezzature o erogazione di nuovi servizi) possano
essere destinate al mantenimento del servizio ed al suo ammortamento.
Nell’ipotesi in questione l’istituzione del sistema di recupero finanziario sarà inserita tra gli
obiettivi del progetto. La realizzazione del progetto è la fase in cui si attua l’esecuzione
dell’intervento progettuale, in questa fase possono essere previsti piani operativi periodici. Il piano
operativo consente al manager del progetto di definire periodicamente con più accuratezza le
attività e consente di ridisegnare la parte strategica più fine adattandola ai cambiamenti.
Il piano operativo prevede in genere due parti in reciproca relazione. La prima parte é in sostanza
una sorta di rapporto in cui viene descritto quanto e cosa é stato fatto e lo “stato dell’arte” attuale in
riferimento agli obiettivi del progetto. E’ questa anche l’occasione per evidenziare eventuali
imprevisti o impedimenti intercorsi durante la realizzazione e l’eventuale slittamento di attività con
il conseguente allungamento dei tempi. La seconda parte é dedicata alla descrizione schematica di
ciò che verrà attuato, evidenziando le attività previste e specificando i compiti assegnati.
Nel contesto del piano operativo, qualora si evidenziassero necessità di variazioni della strategia, é
prevista una analisi accurata per giustificarne la reale necessità. Al documento relativo al piano
operativo viene solitamente allegato un diagramma di Gantt e la relativa previsione di spesa. E’ da
sottolineare che il piano operativo é solitamente richiesto dal finanziatore del progetto, il quale
eroga i fondi in “tranches” in base agli stadi di avanzamento del progetto che si evidenziano dai
documenti del piano operativo.
44
La fase di attuazione del progetto é caratterizzata, come già descritto nei paragrafi precedenti, dallo
svolgimento delle attività finalizzate al raggiungimento degli obiettivi.
Il monitoraggio é un processo fondamentale della fase di attuazione del progetto attraverso il quale
vengono verificati “in itinere” i progressi del progetto, é mantenuto durante l’esecuzione
dell’intervento, permette di evidenziare le eventuali deviazioni nel raggiungimento dei risultati, può
consentire di modificare parzialmente la strategia e genera dati che vengono usati nella valutazione.
La valutazione é una analisi complessa che, tenendo conto dei dati forniti dal monitoraggio, mette
in relazione gli obiettivi con l’impatto ottenuto ed é una fase in cui procedure di ricerca, utilizzate in
maniera sistematica, analitica ed obiettiva, porteranno ad un giudizio sul valore dell’intervento
(Pinto J.K.).
La valutazione é eseguita in momenti precisi della storia progettuale ed é la verifica periodica
dell’efficienza, dell’efficacia dell’impatto, della sostenibilità e della rilevanza del progetto nel
contesto dei suoi obiettivi.
Presupposto affinché il monitoraggio sia eseguito in maniera corretta ed attendibile é che esistano
dei parametri oggettivi e misurabili che ne consentano la razionale realizzazione: ciò é attuato
mediante l’individuazione di idonei indicatori che influenzeranno e che saranno ulteriormente
utilizzati nella fase di valutazione. Indicatore é una caratteristica o attributo che può essere misurato
per valutare un intervento in termini di risultato o impatto.
Particolare attenzione bisogna avere nei criteri di scelta degli indicatori poiché é un processo molto
delicato e non privo di rischi: indicatori mal specificati e mal selezionati incidono sulla qualità ed
attendibilità del monitoraggio ed inducono conseguentemente a valutazioni non corrette.
Gli indicatori, quindi, non sono scelti a caso, ma vanno identificati in base alla specifica strategia
progettuale e si riferiscono ad obiettivi, risultati ed attività dell’intervento.
In generale gli indicatori possono essere distinti in:
• Indicatori di impatto (a lungo termine) outcome, riferiti agli obiettivi generali;
• Indicatori di risultato (a breve termine), riferiti agli obiettivi specifici ed ai risultati;
• Indicatori di input, riferiti alle risorse impiegate;
• Indicatori di processo.
E’ importante in questo contesto evidenziare che, poiché é praticamente impossibile monitorare
l’impatto dell’intervento dato che esso può essere valutato solo a distanza, vengono spesso anche
45
utilizzati gli indicatori di impatto intermedi (leading indicators) che possono dimostrare la
probabilità che gli obiettivi vengano raggiunti.
Gli indicatori, infine, sono strettamente correlati alle fonti di verifica: il responsabile del
monitoraggio ha infatti la necessità non solo di conoscere gli indicatori, ma anche di disporre di
opportune fonti da cui attingere le informazioni relative all’intervento progettuale.
Come precedentemente descritto sia gli indicatori che le fonti di verifica sono inseriti nel quadro
logico.
46
CAPITOLO 3 IL SISTEMA QUALITA’
3.1 LA QUALITA’ IN SANITA’ PER UNA SANITA’ DI QUALI TA’.
La prima definizione di qualità in sanità appare nella letteratura medica nel 1933 ad opera di Lee e
Jones che definiscono la qualità dell’assistenza come “l’applicazione di tutti i servizi della moderna
medicina scientifica necessari ai bisogni della popolazione“ .
Negli Anni ‘60, mutuando dall’industria il concetto di qualità di Crosby, Avedis Donabedian,
considerato un leader della teoria e della gestione della qualità delle cure, definisce la qualità della
cura come “il grado con cui l’assistenza è conforme con gli attuali criteri di buona medicina“,
includendo quindi nella definizione anche il concetto di valutazione.
Sempre mutuando dall’industria il concetto di qualità, anche le ISO 9000 - che costituiscono oramai
un consolidato riferimento per tale settore – sono applicabili anche al settore della sanità.
Nella successiva definizione dell’Associazione Medica Americana è di buona qualità la cura che
contribuisce in modo consistente a migliorare e a mantenere qualità e durata della vita,
introducendo decisamente il principio di risultato Nell’accezione più recente dell’Istituto di
Medicina statunitense la qualità consisterebbe nel grado con il quale il servizio sanitario aumenta la
probabilità del risultato di salute atteso ed è coerente con le conoscenze mediche correnti; una
definizione più articolata che associa i requisiti di risultato (outcomes) all’appropriatezza della
procedure impiegate. Sicuramente diverse definizioni sono possibili e legittime, dipendendo dal
sistema nel quale si opera e dalla natura e dal grado di responsabilità di chi opera.
La Qualità è una caratteristica essenziale ed indispensabile dell'assistenza sanitaria ed è un attributo
normale di ogni attività assistenziale, assieme al volume ed ai costi. La buona qualità dell'assistenza
sanitaria è un diritto di ogni paziente e di ogni comunità ed è diventata una priorità per tutti gli stati
membri del Consiglio di Europa, Italia inclusa, specialmente in una situazione di risorse limitate e
di restrizioni economiche. Uno dei fini prioritari delle politiche sanitarie nazionali e
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.), agenzia dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite, è la promozione della qualità dell'assistenza sanitaria, in termini di equità d'accesso, qualità
della vita, soddisfazione dell'utente e di uso delle risorse in base ad un buon rapporto costi-efficacia.
E' legittimo per le società attendersi una valutazione sistematica e rigorosa dell'assistenza, per
sapere se le risorse sono utilizzate in maniera appropriata e per fornire la qualità dell'assistenza
sanitaria migliore possibile. Ci sono molti motivi a favore di una politica per lo sviluppo della
47
qualità. A livello etico e sociale c'è una crescente domanda per l'empowerment dei pazienti,
garantendo il loro diritto, come cittadini e come pazienti, di essere informati e di intervenire
attivamente sull'assistenza che viene loro fornita. In pari misura il pubblico e le autorità sanitarie si
attendono una maggiore affidabilità delle organizzazioni e delle professioni sanitarie. A livello
professionale, gli operatori sanitari si sono sempre impegnati al massimo per fornire la migliore
qualità possibile e sono molto interessati a migliorare le loro prestazioni attraverso la valutazione.
Essi sono consapevoli delle incertezze che persistono nel campo dell'assistenza sanitaria, della gran
variabilità nella pratica, dello sviluppo rapido delle conoscenze mediche e della crescente domanda
di medicina basata sulle prove di efficacia.
A livello economico, con la crescita della parte di prodotto interno lordo dedicata all'assistenza
sanitaria, i Paesi europei hanno opportunità limitate di assicurare una qualità elevata e di affrontare i
miglioramenti costanti delle tecnologie biomediche. Essi debbono utilizzare le risorse in maniera
appropriata. I manager degli ospedali e dei servizi assistenziali di primo livello sono interessati a
massimizzare l'opportunità di fornire elevati standard assistenziali con un buon rapporto costi-
efficacia. La nascita dell'accreditamento in sanità viene ricondotta alla presentazione del
programma "Minimum Standards for Hospitals", proposto dalla associazione dei chirurghi nord-
americani (American College of Surgeons) nel 1917, con lo scopo di "standardizzare la struttura ed
il modo di lavorare degli ospedali, per far sì che le istituzioni con ideali più elevati abbiano il giusto
riconoscimento davanti alla comunità professionale e che le istituzioni con standard inferiori siano
stimolate a migliorare la qualità del loro lavoro. In tal modo i pazienti riceveranno il trattamento
migliore e la gente avrà qualche strumento per riconoscere quelle istituzioni che si ispirano ai più
alti ideali della medicina". Il programma ebbe una crescente diffusione negli anni successivi, ed il
suo sviluppo portò nel 1951 alla fondazione, in modo unitario da parte di alcune associazioni
professionali e dell'associazione degli ospedali, della Joint Commission on Accreditation of
Hospitals (JCAH), che ancora oggi è una delle più prestigiose istituzioni in questo campo, non più
limitata ai soli ospedali, ma a tutti i settori della sanità, con oltre 20.000 istituzioni sanitarie
coinvolte nei suoi programmi di accreditamento (il nome è oggi divenuto Joint Commission on
Accreditation of Healthcare Organizations, JCAHO). Dalla Joint Commission nacque, quasi per
"gemmazione", il Canadian Council for Hospital Accreditation, (CCHSA) e sullo stesso modello si
sviluppò, all'inizio degli anni '70, un'agenzia simile anche in Australia (Australian Council on
Healthcare Standards, ACHS). Anche in Europa oggi vi è una ampia e crescente diffusione di
metodologie focalizzate sulla valutazione degli standard organizzativi, al punto che in ben 18 paesi
sono in corso programmi di questo tipo, a diffusione diversa (nazionale, regionale, di settore ecc.), e
con diversi gradi di applicazione (promossi da associazioni professionali, oppure sperimentazioni
48
volontarie in ambiti limitati, o già "normati" dai governi). Questi programmi si possono riportare
fondamentalmente a quattro modelli:
Accreditamento: programmi che derivano principalmente dalle esperienze del mondo anglofono,
prima citate. L'attivazione di questi programmi può avvenire volontariamente perché le strutture
sanitarie e i professionisti desiderano avere una valutazione oggettiva dei propri livelli qualitativi;
oppure su richiesta, da parte del servizio sanitario o di sistemi assicurativi, alle strutture che erogano
prestazioni di corrispondere a determinati livelli qualitativi per ottenere l'ammissione a rapporti
contrattuali. Nella maggior parte dei paesi dove è nato e in cui si è sviluppato l'istituto
dell'accreditamento, si configura come un'iniziativa volontaria delle strutture che operano in ambito
sanitario di sottoporsi alla valutazione qualitativa da parte di un soggetto esterno, indipendente, non
riconducibile ad una istituzione governativa. Il riconoscimento, da parte di tale soggetto, della
conformità a standard qualitativi definiti può costituire un pre-requisito importante per poter
stabilire rapporti di fornitura con le istituzioni preposte al finanziamento del sistema sanitario
pubblico.
Audit : termine nato nel mondo dell'impresa, ove è utilizzato per indicare le attività di
certificazione/revisione del bilancio delle imprese. In ambito sanitario è stato utilizzato soprattutto
nel mondo anglofono, in particolare nel Regno Unito, ove stava ad indicare le attività di revisione
della documentazione clinica, finalizzate ad individuare possibili criticità o problemi, sui quali fosse
necessario intervenire. Nel tempo si è spesso trasformato in sinonimo di processo di miglioramento
o CQI (Continous Quality Improvement). L'audit può essere interno, cioè svolto da professionisti
della stessa struttura, od esterno, ovvero realizzato da esperti provenienti da altre strutture.
Solitamente è un'attività volontaria, basata sulla logica della peer-review (revisione tra pari), ma in
alcuni casi è divenuta procedura obbligatoria, talvolta con caratteristiche ispettive-sanzionatorie.
ISO 9000: sono norme emanate da un organismo internazionale (International Organization for
Standardization) che istituzionalmente si occupa di standardizzazione in tutti i settori, a partire
dall'industria manifatturiera. Le norme ISO 9000 nascono da modelli internazionali focalizzati sulla
qualità gestionale e la garanzia di qualità e, in sanità, s'indirizzano principalmente su quei processi
che regolano la gestione dei contesti nei quali si realizzano i processi decisionali clinici. Esse sono
state emanate sotto forma di norme, cioè di direttive finalizzate alla realizzazione di un sistema
qualità aziendale ottimale, cui tutte le organizzazioni di produzione o di servizi dovrebbero
attenersi. L'obiettivo esplicito del processo è l'ottenimento del riconoscimento formale che l'azienda
possiede un sistema qualità corrispondente a quanto richiesto dalle norme stesse, che si concretizza
con la certificazione di conformità rilasciata da apposite agenzie. Hanno trovato diffusione,
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nell'ambito sanitario, soprattutto nei settori ove la componente organizzative standardizzabile era
maggiore, e quindi nei laboratori di analisi, ma anche in altre specialità, come pure nei settori
amministrativi di aziende sanitarie italiane, in particolare in Lombardia, dove la diffusione rientra in
uno specifico indirizzo regionale. Nelle prime edizioni (1987, 1994) il modello concettuale delle
ISO 9000 risentiva molto dell'influenza della cultura organizzativa dell'industria manifatturiera, da
cui proveniva determinando, specie in alcune interpretazioni "rigide", la richiesta di grandi quantità
di procedure scritte, di documentazione formale. Recentemente è stata realizzata una revisione delle
norme (chiamata Vision 2000), con una radicale trasformazione della filosofia stessa del modello,
passato da una concentrazione prevalente su processi di controllo, ad una maggiore attenzione ai
processi di miglioramento. Con il conseguimento della certificazione viene attestato che l'azienda
ha progettato e impostato un sistema di gestione in grado di tenere sotto controllo i processi e le
attività più critiche, grazie all'identificazione e pianificazione di interventi di miglioramento
adeguati.
EFQM : nasce nel 1988 come fondazione per la promozione della eccellenza della qualità nel
mondo industriale e produttivo. Il suo fine è di stimolare e assistere le organizzazioni nella ricerca
dell'eccellenza nella soddisfazione del cliente, nella soddisfazione dei dipendenti, nell'impatto sulla
società e nei risultati economici. Il modello suggerito è l'implementazione del Total Qualità
Management, non come modello standardizzato predefinito, ma come elemento di promozione del
quality management. L'obiettivo esplicito del modello non è, come in altri, la garanzia della qualità,
ma il raggiungimento dell'eccellenza nel proprio settore. È così avvenuto, in alcuni casi, che aziende
si sono prima certificate secondo le norme ISO 9000, per poi avviare il percorso EFQM.
Applicazioni in ambito sanitario si sono avute in alcuni paesi europei, come Paesi Bassi, Regno
Unito ed in alcuni paesi scandinavi.
3.2 I PORTATORI DI INTERESSE
In campo sanitario diversi sono i soggetti interessati ad iniziative di valutazione della qualità delle
cure: pazienti, medici, amministratori, e ognuno è portatore di differenti punti di vista in quanto
differenti sono le rispettive attese. I pazienti sono più interessati all’accessibilità ed alla comodità
delle prestazioni. Gli amministratori rivolgono maggior attenzione alla produttività nonché all’equa
distribuzione delle risorse enfatizzando una logica di azione di tipo economico e danno molto
maggior enfasi alla salute dell’intera popolazione e molto più scarsa rilevanza alla logica
professionale. I medici prestano necessariamente maggior attenzione alla qualità tecnico
professionale ed ai risultati clinici, dando maggior enfasi al risultato di salute conseguito dal singolo
50
paziente. I medici, in particolare, tendono a privilegiare l’eccellenza tecnica e gli aspetti
dell’interazione tra medico e paziente. Alla qualità tecnica della cura si attribuiscono
fondamentalmente due requisiti: l’appropriatezza del servizio fornito e l’abilità con la quale la cura
appropriata è erogata. Per assumere le giuste decisioni per la cura di ogni paziente (decision
making) occorre inoltre che il medico sia dotato di equilibrio e tempestività di esecuzione.
La qualità dell’interazione fra medico e paziente dipende invece da più elementi tra loro correlati: la
qualità della comunicazione, l’abilità del medico a suscitare la fiducia del paziente, l’abilità del
medico a trattare il paziente con attenzione, empatia, sensibilità Sebbene le attese professionali
siano ampiamente riconosciute come importanti ed utili, altri aspetti della qualità sono stati
richiamati negli anni più recenti e, fra questi, il riconoscimento delle preferenze e delle attese del
paziente: un aspetto in passato spesso sottovalutato nella convinzione che il paziente, per una
conoscenza talora molto limitata della qualità tecnica, avesse una scarsa capacità di giudizio.
L’aziendalizzazione del servizio sanitario richiede, poi, più che nel passato, di soddisfare le attese
dell’Organizzazione sanitaria, in particolare quando acquirente del servizio (purchaser), sapendo
che le Aziende tenderanno a porre maggior enfasi sugli aspetti della cura che riflettono il
funzionamento del sistema, quali l’accessibilità - e quindi tempi d’attesa - e la disponibilità di
servizi specialistici. Quest’accentuata attenzione alla qualità percepita, alle attese del paziente e
dell’ Azienda acquirente, potrebbe indurre a concludere che la società civile non sia più
sufficientemente interessata a ciò che è considerata l’essenza dell’assistenza sanitaria. Esiste il
rischio che si enfatizzino aspetti marginali della qualità a sfavore degli essenziali che vedono
centrale il rapporto medico-paziente.
E’ in ogni caso indispensabile che gli strumenti di rilevazione e di verifica della qualità delle cure
sappiano integrare le attese dei molti gruppi interessati per un reale miglioramento della qualità del
sistema sanitario. Dal punto di vista intellettuale occorre mantenere l’attenzione ai problemi
dell’insieme con un approccio olistico che non é in contrasto con la medicina
dell’iperspecializzazione e della gestione.
3.3 LA LEGISLAZIONE
Nella nostra legislazione la qualità dell’attività sanitaria é espressamente richiamata dal Decreto
Legge 502/1992 che disciplina i rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali da parte
delle strutture sanitarie pubbliche e private.
51
Il Decreto prevede che «…le regioni e le unità sanitarie locali per quanto di propria competenza
adottano i provvedimenti necessari ……fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni,
sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione del sistema di verifica e revisione della
qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate».
Inoltre definisce, «… i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per
l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicità della
verifica.....».
Il riordino della disciplina in materia sanitaria che ha introdotto il criterio dell’accreditamento dei
soggetti erogatori, prevedono inoltre con il DPR 107/94 che «…La omologazione ad esercitare può
essere acquisita se la struttura o il servizio dispongono effettivamente di dotazioni strumentali,
tecniche e professionali corrispondenti ai criteri definiti in sede nazionale ».
La Legge 724/94 riserva inoltre l’accreditamento ai soggetti che accettino il sistema della
remunerazione a prestazione e adottino il sistema di verifica della qualità.
Il Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998-2000 ribadisce infine che «L’istituto
dell’accreditamento risponde all’esigenza di operare il processo di selezione degli erogatori
attraverso criteri di qualità dell’assistenza».
Le caratteristiche essenziali dell’istituto dell’accreditamento prevedono anche che «…
l’accreditamento si applica, allo stesso titolo, alle strutture sanitarie pubbliche e private…». e
conferiscono «ai requisiti di qualità un carattere dinamico, in quanto devono essere costantemente
aggiornati in relazione all’evoluzione delle tecnologie e delle pratiche sanitarie».
In conclusione le strutture pubbliche e private che desiderino essere considerate tra "i fornitori di
prestazioni sanitarie", una volta autorizzate, devono soddisfare queste tre condizioni: accettare il
sistema tariffario per il loro finanziamento, essere accreditate, adottare il sistema di verifica e
revisione della qualità delle attività svolte.
Gli aggiornamenti più recenti riguardano le disposizioni contenute nel D.L. 229/99 art. 8 e art. 8-ter,
quater e quinquies: “Disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali,
autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali”.
3.4 LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA ASSISTITA
52
La medicina ha come proprio obiettivo la salvaguardia della salute e la sopravvivenza degli
individui ma - al tempo stesso - la qualità della vita, per quanto essa possa essere condizionata dalla
malattia. E’ dunque evidente che il medico agisce per far vivere di più e meglio il paziente.
La prova di efficacia della terapia medica e chirurgica (e in generale di tutti gli interventi sanitari)
non può - quindi - che fondarsi sulla misurazione formale di questi due obiettivi - quello della
sopravvivenza e quello della qualità della vita, che, in relazione alla malattia, nel recente ha assunto
sempre maggior rilevanza. Tutto ciò richiede, però, di anteporre una definizione di malattia, per
limitare l'ambito della medicina al miglioramento della quantità e della qualità della vita in
relazione alle patologie e non considerare invece tutte quelle cause (come fame, guerre, cataclismi,
ecc.) che pure possono compromettere qualità e sopravvivenza.
Per questo in medicina si parla di "qualità della vita in relazione allo stato di salute" (health-related
quality of life) e non semplicemente di qualità della vita. Ma individuare lo stato di salute, e quindi
definire lo stato di malattia, non è facile. Si potrebbe iniziare a circoscriverne l’ambito dicendo che
la malattia è una deviazione dalla "norma", che riguarda direttamente lo stato fisico o psichico
dell’individuo. Così si può ben sostenere che la medicina è anche medicina preventiva, come è
frequente che molte cause di malattia sono "esogene" per aggressione di batteri, virus, agenti
chimici e fisici. Per questo si accetta che sia compito della medicina occuparsi contemporaneamente
delle vaccinazioni, della terapia antibatterica o della nocività dei luoghi di lavoro.
Dal punto di vista dell’individuo, il limite che l'etica clinica contemporanea pone oggi alla medicina
è quello del rispetto del principio di autonomia del paziente. La sanità (nel senso più esteso del
termine) non deve fare nulla in assenza del consenso di un paziente informato e dunque - pur
all'interno di inevitabili limitazioni - deve essere sempre il paziente a indirizzare e determinare
l’intervento terapeutico, a strutturare dunque la decisione clinica.
Per questo si parla oggi di decisione clinica "condivisa" fra medico e paziente, ancor prima che di
consenso informato, naturalmente con le ovvie eccezioni (ad esempio nel caso della malattia
psichica). Pragmaticamente si può sostenere che la medicina si esprime nella cura delle malattie, e
che le malattie sono le alterazioni del corpo e/o della mente che minacciano di compromettere la
quantità e/o la qualità della vita della persona, nella percezione assolutamente individuale di
quest’ultima.
Del resto la natura più originaria della medicina, la sua integrità, sta nella sacralità per il medico
della persona del paziente. "In quante case entrerò, andrò per aiutare i malati..." dice il giuramento
di Ippocrate. Ai tempi di Ippocrate, ciò poteva significare cose diverse da oggi, ma l'intenzione era
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la stessa. Oggi, questa intenzione comporta quindi una decisione clinica che rispetti l'autonomia del
paziente, principio cardine dell'etica clinica contemporanea, e la tutela del paziente nel
perseguimento della sua autonomia.
Al medico spetta inoltre il compito di difendere per quanto possibile il singolo paziente di fronte
alle (oggettivamente superiori) esigenze sociali. Se infatti è principale impegno della società la
tutela degli interessi della comunità, é precipuo impegno della medicina tutelare gli interessi del
paziente singolo, di quel paziente. All'interno delle sempre più forti limitazioni economiche imposte
dalla società, non è solo legittimo, ma è doveroso che il medico si ponga a tutela del paziente
singolo e della sua autonomia. La deontologia medica impone infatti obblighi precisi di tutela del
paziente.
Quando un sistema sanitario si allontana da questo schema antico, legato alle radici più profonde
dell' "essere medico", ne possono originare pericoli incalcolabili per il paziente.
3.5 LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ E STRUMENTI DI VE RIFICA
La qualità della cura può essere valutata a vari livelli, dalla cura fornita dal singolo medico ed
infermiere, alla cura fornita da una organizzazione o da un piano sanitario, e secondo una verifica
più o meno complessiva dell’intervento assistenziale.
Da un punto di vista più specificatamente tecnico, le informazioni dalle quali la qualità delle cure
può essere valutata sono riconducibili fondamentalmente a tre livelli di analisi: le strutture, i
processi, i risultati.
Le strutture rappresentano l’ambiente nel quale le cure sono fornite e comprendono locali ed
attrezzature tecniche ma anche la dotazione e la qualificazione del personale. I processi sono
l’insieme delle attività diagnostiche, terapeutiche che sono disposte a favore del paziente. I risultati
rappresentano gli effetti positivi o talora negativi delle cure fornite. Una buona qualità delle
strutture ed una appropriatezza dei processi non assicura comunque automaticamente la buona
qualità del risultato. Si può ammettere invece con buona approssimazione che la qualità delle
strutture ed una corretta applicazione di processi appropriati aumentino la probabilità di migliorare
lo stato di salute ed il grado di soddisfazione del paziente.
L’analisi delle strutture si limita a verificare che siano soddisfatti i requisiti minimi che definiscano
dimensione dell’intervento, relazioni funzionali ed aspetti tangibili, quali tipologia degli spazi e
delle attrezzature, oltre che qualità e numerosità del personale addetto. Una buona qualità tecnica
delle prestazioni può essere ulteriormente soddisfatta dalla corretta applicazione di procedure
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validate e condivise e dalla verifica di indicatori di processo. In questo caso lo schema interpretativo
di riferimento è l’analisi sistemica.
L’organizzazione appare come un sistema che può essere virtualmente articolato in sottosistemi, dei
quali l’aspetto clinico/assistenziale è uno dei sottosistemi in cui il sistema generale è scomposto.
Ciascuno di questi sottosistemi, direzione e organizzazione, formazione, sicurezza etc., corrisponde
ad una delle dimensioni che concorrono alla formulazione del giudizio di qualità.
La ricerca della qualità delle prestazioni, che si realizzi necessariamente con il diretto
coinvolgimento della classe medica e delle società medico-scientifiche, è verificata dalla corretta
applicazione delle procedure stabilite e dal perseguimento di requisiti di processo. Gli strumenti di
controllo sono in questo caso la verifica di qualità ed i sistemi di valutazione esterna. La globalità
del risultato che tenga presente non solo la buona qualità tecnica ma anche la soddisfazione del
paziente si realizza in un processo di miglioramento della qualità che ricerchi il miglior esercizio
professionale con una forte attenzione alle attese del paziente.
Uno strumento di verifica che tende all’eccellenza e che assicura la continua integrazione di tutti gli
strumenti di verifica considerati è l’accreditamento. Per la rilevazione, come per altri strumenti di
verifica della qualità, ci si avvale di unità di misura (indicatori o standards), cioè di informazioni
sintetiche, relative a fenomeni complessi, che aiutano ad assumere decisioni per modificare in senso
migliorativo, questi stessi fenomeni.
Gli indicatori sono misure di requisiti, di criteri generali di qualità che fanno riferimento o sono
suggeriti da norme di legge, dal parare di esperti, dalla pratica clinica, dalla ricerca e sono espressi
all'interno di unità di gestione verticale e quindi imposti dall'organizzazione che fornisce la
prestazione, o sono orientati al paziente ed enfatizzano le interazioni fra le diverse unità di gestione.
Gli indicatori sono variabili ad elevato contenuto informativo, che consentono una valutazione
sintetica di fenomeni di complessità diversa, e forniscono elementi sufficienti ad orientare le
decisioni per ottenere dei cambiamenti.
• Gli indicatori di struttura assicurano prioritariamente sicurezza e requisiti professionali.
• Gli indicatori di processo, cioè delle componenti che definiscono i momenti di incontro tra
medico e paziente, possono non essere sufficientemente predittivi del risultato.
• Gli indicatori di risultato possono essere di non immediata rilevazione per il tempo richiesto
al risultato per manifestarsi.
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Una loro variabilità è inoltre correlata a fattori ambientali e genetici o a fattori che non sono sotto il
controllo diretto del medico, o dipende da una diversa osservanza alla terapia
Due sono i parametri secondo cui valutare il sistema sanitario:
• L'efficienza (definita come rapporto prestazioni/risorse o output/input), relativa all'impiego
economico delle risorse nel processo produttivo l'efficacia (salute/prestazioni o
outcome/output), che misura invece il contributo dei servizi sanitari al miglioramento dello
stato di salute.
• L'efficienza è misurata dal numero di prestazioni realizzate da un'unità di fattore produttivo
impiegato (ad es. numero di visite per ora di lavoro medico, numero di ricoveri annui per
posto letto), l'efficacia dal miglioramento di salute in seguito al consumo di una prestazione
sanitaria (ad es. progresso dal coma alla piena coscienza dopo un intervento chirurgico,
riduzione del tasso di infezione per un trattamento antibiotico).
Una misura sintetica di valutazione del sistema sanitario è data dal rendimento (definito come
rapporto salute/risorse o outcome/input), ottenuto moltiplicando i due indici precedenti
(output/input x outcome/output = outcome/input)
Un sistema ideale non dev'essere né solo efficiente, né solo efficace, ma offrire una giusta
combinazione delle due dimensioni: se l'intervento in sala operatoria è stato rapido, ma il paziente è
peggiorato, oppure se l'impianto di uno stimolatore cardiaco (pace-maker) ha richiesto una
settimana di ricovero, probabilmente esistono problemi di inefficacia ed inefficienza. Si tratta di
definizioni relativamente semplici, ma di difficile misurazione nella pratica.
Al fine di ottenere un sistema di valutazione in grado di verificare se i benefici conseguiti siano
congruenti con i costi sostenuti e, quindi, se gli sforzi volti a migliorare l’efficienza e l’efficacia del
servizio offerto al paziente abbiano raggiunto i risultati desiderati, è necessario costruire un insieme
di indicatori in grado di rilevare i diversi fenomeni da tenere sotto osservazione.
Questo sistema deve fornire contestualmente ai diversi livelli decisionali in cui si articola il SSN la
possibilità di auto-valutazione rispetto agli obiettivi da conseguire e rispetto alle risorse consumate,
tenendo conto dell’autonomia regionale e rispettando le specificità locali.
Gli indicatori rappresentano accurate informazioni selezionate che aiutano a misurare, in relazione a
determinati criteri prioritari, i cambiamenti avvenuti nei fenomeni osservati e, quindi, permettono di
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monitorare aspetti specifici della politica sanitaria. Il sistema degli indicatori, così, deve essere
finalizzato ad assistere i processi decisionali:
• a livello locale, evidenziando le aree critiche da sottoporre ad ulteriori analisi specifiche od
orientando l’identificazione e l’attuazione di eventuali provvedimenti correttivi;
• a livello regionale e centrale, consentendo la verifica dei criteri adottati per orientare la
programmazione sanitaria e l’allocazione delle risorse.
Nella predisposizione degli indicatori, occorre individuare gli standard (o valori soglia) delle
prestazioni di servizio a partire dall’identificazione dei fattori di qualità del servizio.
1. Fattori di qualità: sono gli aspetti rilevanti per la percezione della qualità del servizio da
parte del paziente/cliente (semplicità di prenotazione di una visita, tempestività per
prenotare una visita). I fattori possono essere rappresentati da aspetti oggettivi (qualitativi o
quantitativi) o soggettivi, rilevabili cioè solo attraverso la raccolta della percezione
dell’utenza
2. Indicatori di qualità: sono variabili quantitative o parametri qualitativi che registrano un
certo fenomeno, ritenuto appunto “indicativo” di un fattore di qualità. Sono, quindi, misura
delle prestazioni del servizio che si riferiscono ai singoli fattori di qualità: ad ogni fattore di
qualità (tempestività per prenotare una visita) possono corrispondere più indicatori (tempo
di attesa per la prenotazione, tempo tra la prenotazione e la visita, ecc.). Gli indicatori di
qualità del servizio possono essere di diversi tipi:
• indicatori di struttura, derivanti dalle rilevazioni periodiche sullo stato delle strutture
fisiche e delle procedure;
• indicatori di processo, derivanti da misure o valutazioni effettuate in continuo sullo
svolgimento delle attività;
• indicatori di esito, che, nel caso della qualità del servizio, assumono la forma di
indicatori di soddisfazione degli utenti, derivanti da valutazioni degli utenti raccolte
con appositi strumenti.
3. Standard di qualità: sono i valori attesi per determinati indicatori. Rappresentano quindi gli
obiettivi di qualità delle prestazioni, che diventano, una volta resi pubblici, i livelli di
servizio promessi.
Gli Standard di qualità si distinguono in generali e specifici.
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Gli standard generali rappresentano obiettivi di qualità che si riferiscono al complesso delle
prestazioni rese e sono espressi in genere da valori medi statistici degli indicatori o dalla
percentuale di successo attesa rispetto allo standard specifico (numero di Aziende Sanitarie con
centro telefonico di prenotazione: 20% del totale delle Aziende Sanitarie nella Regione – standard
generale). Gli standard specifici si riferiscono invece a ciascuna delle singole prestazioni rese al
paziente, che può verificarne direttamente il rispetto, e sono espressi in genere da una soglia
massima o minima relativa ai valori che l’indicatore può assumere (massimo numero di giorni per
ottenere una visita).
Esempio – Indicatori di esiti assistenziali
• Clinici
Mortalità (totale o causa-specifica);
Eventi clinici (infarto del miocardio, stroke, infezioni opportunistiche);
Misure fisiologiche-metaboliche (livelli di colesterolo, pressione arteriosa).
• Economici
Costi diretti (ricoveri, visite ambulatoriali, test diagnostici, farmaci ed altri trattamenti);
Costi indiretti (giornate lavorative perdute, restrizione delle attività quotidiane);
Intangibili (grado di sofferenza, stress psicologici)
• Relativi al paziente
Sintomi (UAU symptoms score);
Qualità della vita (SF-36 questionnaire, Spitzer’s test);
Stato funzionale (Indice di Karnofsky);
Soddisfazione del Cliente (Group Health Association of America Survey)
Esempio - Indicatori per l’Ospedale
A titolo di esempio si riportano sinteticamente alcuni indicatori clinici proposti dall’Australian
Council on Healthcare Standards (ACHS) per gli Ospedali.
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1.1 Percentuale dei pazienti nella categoria di triage 1 (rianimazione) non visti da un medico
entro un intervallo di tempo definito dall’arrivo
1.2 Percentuale dei pazienti nella categoria di triage 2 (emergenza) non visti da un medico
entro un intervallo di tempo definito dall’arrivo
1.3 Percentuale dei pazienti nella categoria di triage 3 (urgenza) non visti da un medico entro
un intervallo di tempo definito dall’arrivo
1.4 Percentuale dei pazienti nella categoria di triage 4 (semi-urgenza) non visti da un medico
entro un intervallo di tempo definito dall’arrivo
1.5 Percentuale dei pazienti con una diagnosi di dimissione di ematoma subdurale o
extradurale sottoposti a craniotomia più di 4 ore dopo l’arrivo al dipartimento di emergenza
1.6 Percentuale dei pazienti con una diagnosi di frattura o sublussazione del rachide
cervicale o di lesione del midollo cervicale non registrata dopo l’arrivo al dipartimento di
emergenza
1.7 Percentuale dei decessi per trauma in cui è stato effettuato uno studio di audit
2 Percentuale dei pazienti operati con una degenza post-operatoria ≥7 giorni in cui è insorta
embolia polmonare (soglia: 1%)
3 Percentuale di riammissioni non pianificate entro 28 giorni dalle dimissioni rispetto al
totale della dimissioni pertinenti (soglia: 5% nelle strutture pubbliche e 2% in quelle private)
4 Percentuale dei ritorni non pianificati in camera operatoria rispetto al totale degli interventi
(soglia: 2% nelle strutture pubbliche e 1,5% nelle private)
3.6 INDICATORI E STANDARD DI QUALITA’
Concettualmente gli indicatori sono variabili misurabili ad elevato contenuto informativo, che
consentono una valutazione sintetica di fenomeni complessi, fornendo gli elementi sufficienti ad
orientare le decisioni. Essi rappresentano strumenti da utilizzare per monitorare il successo delle
performance e per evidenziare eventuali problemi da approfondire con lo scopo di influenzare gli
esiti siano essi di natura assistenziale, terapeutici, economici, formativi, di gradimento dei servizi
offerti etc. Il concetto di indicatore è anche legato al concetto di controllo, di entità che emette un
segnale in grado di avvisarci e di consentire una prima valutazione. Gli indicatori sono infatti
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strumenti relativamente stabili, che devono consentire di attivare decisioni solo se necessario. Per
essere validi devono basarsi su una sufficiente disponibilità di dati, essere pertinenti con gli obiettivi
perseguiti, essere affidabili e quindi riproducibili. Tuttavia si deve tenere conto dei limiti degli
indicatori. Un valore anomalo o diverso rispetto alle attese, segnala solo che c’è qualche cosa che
deve essere valutato. Solo un insieme di elementi può consentirci di affermare con un grado di
certezza accettabile, che c’è stata effettivamente una variazione nel fenomeno che stiamo
indagando. Esistono due categorie principali di indicatori utilizzati per il monitoraggio delle
prestazioni: indicatori basati su dati aggregati ed eventi sentinella.
Indicatori di dati aggregati.
Sono ottenuti aggregando i dati di più eventi o procedure relativi a soggetti differenti. Possono
essere costituiti da una unica variabile ( es. una media o un conteggio) o dal rapporto tra più
variabili (es. una proporzione, una percentuale, un rapporto, un tasso). Il valore dell’indicatore viene
confrontato con valori di riferimento per stabilire se occorre prendere in considerazione o meno una
modificazione di elementi strutturali o di processo associati all’indicatore.
Eventi sentinella.
Sono indicatori ottenuti individuando singoli eventi potenzialmente evitabili. Una volta riscontrato
un evento sentinella occorre attivare una indagine per individuare le cause dell’evento e devono
essere attivate iniziative per modificare gli elementi strutturali o di processo associati all’evento
sentinella. Nei progetti di miglioramento della qualità gli indicatori hanno una funzione specifica in
tre fasi ben definite :
• Nella definizione operativa degli obiettivi.
• Nella valutazione e descrizione della situazione attuale.
• Nel monitoraggio dei risultati.
Gli indicatori sono basati su misure dei risultati dei processi e degli elementi strutturali. Qualsiasi
misura presenta attributi generali quali, l’accuratezza, la precisione e la validità che possono essere
definiti sia in termini concettuali sia operativi. Qualsiasi misura comporta un errore che dipende
dalla natura complessa della misurazione e da fattori puramente casuali. Ciò che è importante non è
tanto di annullare gli errori di misura, ma piuttosto di conoscerli nelle loro componenti e disporre di
metodi e strumenti per stimare l’entità rispetto al fenomeno che si vuole misurare.
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Gli errori si distinguono in:
• errori casuali, dovuti sia a fattori controllabili quali la imprecisione degli strumenti e delle
modalità di misura, sia alla variabilità dei fenomeni osservati.
• errori sistematici, dovuti a fattori almeno potenzialmente controllabili associati a scarsa
validità e/o accuratezza. Come abbiamo detto, gli indicatori di qualità dell’assistenza
sanitaria rappresentano una modalità di sintesi e uno strumento per la rappresentazione delle
nostre conoscenze rispetto alla qualità, nell’ambito di un sistema che si pone la finalità di
migliorarla. Per questo i criteri di qualità oltre a riguardare l’aspetto relativo alla misura,
riguardano anche il valore informativo e la capacità di influenzare i processi decisionali.
Per ottenere una stima della qualità, il valore di un indicatore osservato in una determinata struttura
sanitaria in un periodo di tempo (es. giorno, settimana, mese, anno) può essere posto a confronto
con valori dello stesso indicatore oppure con valori di altri indicatori.
Gli indicatori vengono suddivisi in tre categorie:
• Indicatori di strutture.
• Indicatori di processo.
• Indicatori di esito.
Indicatori di struttura.
Gli indicatori di struttura forniscono una misura della tipologia e della quantità di risorse utilizzate
da un sistema o da una organizzazione sanitaria, per realizzare programmi e servizi. Esempi di
indicatori di struttura sono quelli relativi al personale, alle risorse economiche, ai letti, alle scorte e
agli edifici, alla documentazione cartacea. Alcuni indicatori di struttura:
- numero dei posti letto in una stanza - numero dei bagni rispetto ai posti letto
- tipologia di apparecchiature presenti - numero e qualifica del personale
- sistemi di sicurezza e antincendio - schede di raccolta dati attività svolte
Indicatori di processo.
Gli indicatori di processo, permettono di descrivere come si sta lavorando e quindi esprimono ciò
che gli operatori fanno per i pazienti-utenti e con quale livello di professionalità. Si può affermare
che spesso il processo è legato all’esito, infatti meglio si lavora più è facile ottenere buoni risultati.
Alcuni indicatori di processo:
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- modalità di preparazione della macchina cuore polmone
- tipologia di dati raccolti nelle schede
- modalità di prevenzione dei danni posturali da malposizionamento sul lettino operatorio
- frequenza dei corsi di aggiornamento professionale.
Indicatori di esito.
Gli indicatori di esito misurano quello che succede al paziente in seguito ad un intervento o
prestazione. La valutazione dell’esito è il modo più immediato per definire la qualità di una
prestazione che viene valutata sulla base dei risultati prodotti. Alcuni indicatori di esito:
- numero di pazienti con lesioni da decubito
- numero di errori di somministrazione dei farmaci
- numero di complicanze post-chirurgiche
- numero di infezioni ospedaliere
La scelta di quali indicatori utilizzare non è così immediata. Infatti se usati singolarmente, rischiano
di non dare una idea precisa del processo che si vuole descrivere. Lavorare in una bella struttura
eventualmente anche con attrezzature adeguate non significa che le prestazioni erogate siano di
buon livello. Limitarsi perciò a valutare la sola struttura non è sufficiente e rischia di non dare un
quadro completo della qualità offerta. Anche la sola valutazione degli indicatori di processo
presenta dei limiti in quanto la semplice esecuzione corretta di una pratica non sempre è in grado di
garantire una prestazione di qualità. La valutazione degli indicatori di esito, descrive quello che è
successo al paziente, ma non consente necessariamente di identificare cosa vada bene o male; infatti
spesso risulta difficile attribuire un esito ad una singola prestazione o ad una professione. In
definitiva per avere un quadro più chiaro di quello che succede, si devono valutare
contemporaneamente gli indicatori di struttura, processo ed esito.
Gli standard di qualità.
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I valori di riferimento per gli indicatori di qualità sono detti standard e vengono associati a diversi
approcci di miglioramento delle prestazioni sanitarie.
Lo standard di partenza è il valore dell’indicatore che descrive la situazione iniziale. E’ evidente
che procedendo in successive iniziative di miglioramento, lo standard di partenza rispetto al quale
confrontare l’effetto dei cambiamenti, diventa di volta in volta quello della situazione
immediatamente precedente.
Lo standard di accreditamento si riferisce al valore che l’indicatore, costituito da una variabile
quantitativa o più spesso qualitativa, deve assumere affinché la struttura sia autorizzata ad effettuare
determinate prestazioni ed eventualmente affinché queste siano rimborsabili dal Servizio sanitario
Nazionale.
Gli standard di qualità vengono definiti in base alle conoscenze, alla normativa e quando possibile,
al consenso sia di esperti che di operatori e cittadini-utenti. Questi standard dovrebbero basarsi in
prima istanza, sulle prove di evidenza e di efficacia.
Per standard di miglioramento si intende il valore che l’indicatore deve assumere in una data
struttura entro un determinato periodo nell’ambito di una iniziativa di miglioramento.
Il termine obiettivo di miglioramento può esprimere più direttamente il significato di creare una
tensione verso un risultato. Deve essere definito in base ad una analisi realistica delle possibilità, ma
deve al tempo stesso essere in grado di motivare gli operatori, ad una tensione positiva per
raggiungerlo: valori troppo bassi o troppo alti rispetto ad un obiettivo realistico, possono creare
entrambi demotivazione.
I limiti di riferimento superiore o inferiore si basano su analisi statistica della distribuzione dei
valori osservati dall’indicatore. Un approccio molto semplice ed intuitivo è quello di individuare il
valore dell’osservazione al di sotto o al di sopra del quale si è collocata una percentuale definita
(scelta a piacere) di una unità di osservazione.
3.7. IL SISTEMA DI QUALITA’ SECONDO LE NORME ISO.
La ISO (Organizzazione Internazionale di Normazione) è l'associazione mondiale degli organismi
nazionali di normazione (membri ISO). Il lavoro di preparazione delle Norme internazionali è di
regola eseguito da comitati tecnici ISO. La serie ISO 9000 è una famiglia di norme che specificano i
requisiti per i sistemi qualità. Le norme sui sistemi qualità identificano quelle caratteristiche che
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possono aiutare un'azienda a soddisfare concretamente i requisiti dei propri clienti. I sistemi qualità
consistono nel valutare come e perché le cose vengono fatte, nel descrivere come vengono eseguite
e nel documentarne i risultati per dimostrare che sono state effettuate.
Il Sistema Qualità è infatti quel sistema che, attraverso il controllo delle forniture, della gestione del
sistema di produzione e di erogazione del servizio, consente di perseguire costantemente la
soddisfazione del cliente attraverso prodotti e servizi conformi alle specifiche date. La definizione
di qualità in ambiente sanitario stabilita dall’O.M.S. è la seguente:
un programma qualità di un sistema sanitario ha lo scopo di garantire che ciascun paziente
riceva l’insieme degli interventi diagnostici, terapeutici ed educativi più indicati, al costo
minore possibile per lo stesso risultato, con il rischio minore possibile di complicazioni
iatrogene e con la sua soddisfazione rispetto agli interventi ricevuti, i contatti umani con il
personale ed agli esiti”
Dal 1° gennaio 2001 sono entrate in vigore le Norme UNI EN ISO 9001:2000 (Vision 2000) che
rappresentano la fase evolutiva della famiglia delle norme ISO 9000 su cui si basano i Sistemi di
Gestione Qualità. Entro dicembre 2003 le aziende che sono già in possesso di una certificazione
ISO 9000 basate sulla "vecchia" edizione della norma datata 1994, hanno l'obbligo di adeguarsi al
nuovo schema normativo, pena il decadimento del valore del certificato. Tra le peculiarità della
VISION 2000 le più significative sono l'approccio per processi, una maggior attenzione agli
indicatori di efficacia/efficienza, le indagini per la verifica della soddisfazione del cliente. L’ottica
di processo è uno degli elementi caratterizzanti la nuova versione delle norme ISO 9000:2000 e l’
“approccio per processi” è il concetto base per il sistema di gestione della qualità. Il processo non è
qualcosa di tecnico e freddo, fatto di procedure, attrezzature, flussi di attività, tecniche. Il processo
ha “vita” in quanto è gestito da persone, ha origine, nella sua globalità da un mix di persone e
metodologie, in cui le attrezzature sono uno strumento al servizio delle persone. L’applicazione di
tale approccio all’interno di una organizzazione sanitaria complessa, consente l’individuazione e
quindi la necessità di governo, di processi gestionali e di processi sanitari. Tale principio favorisce
la visione globale all’organizzazione aziendale, rappresentandola attraverso un insieme di processi
tra loro interconnessi (manageriali, clinici, infermieristici, tecnici, amministrativi) in cui il
paziente/utente è coinvolto. Infatti è bene evidenziare che ciò che il paziente/utente percepisce ha
origine direttamente dai processi e solo indirettamente dalle singole funzioni. Tradizionalmente le
gestioni e i miglioramenti sono stati affrontati per funzioni, ma si genera valore attraverso i
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processi, e non mediante le funzioni (sono i processi a creare valore). Una analisi delle norme Iso
9000:2000, consente di leggere i principi di Gestione della Qualità come un "sistema" ispirato a una
strategia di tipo unitario, di cui l'approccio per processi rappresenta la chiave interpretativa.
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CAPITOLO 4: ANALISI DELLA GESTIONE DEL PAZIENTE ANZIANO CON FRATTURA DI FEMORE IN REGIONE TOSCANA
La frattura di femore è una delle cause principali di disabilità nella popolazione anziana e l’offerta
di cure riabilitative in regime di appropriatezza clinica e organizzativa a chi ne è colpito è uno dei
compiti essenziali dei servizi sanitari per contenerne gli esiti disabilitanti e garantire la sostenibilità
dei servizi stessi. Nel 2006, l’Agenzia regionale di sanità della Toscana presentava i risultati di uno
studio finalizzato alla creazione di un sistema di monitoraggio dei percorsi assistenziali post acuti e
riabilitativi attuati in Toscana, attraverso l’utilizzo integrato delle fonti informative correnti
sanitarie, con l’obiettivo di fornire una lettura dei percorsi assistenziali attuati nel 2002/2003 nei
territori aziendali alla luce delle previsioni organizzative e di processo indicate negli atti regionali.
Emergeva una notevole variabilità, tra le Aziende sanitarie, dei pattern di setting assistenziali
all’interno dei quali si svolgevano i percorsi di riabilitazione post-acuta che suggerivano possibili
margini di miglioramento in termini di appropriatezza organizzativa. Peraltro, da allora a oggi la
Regione Toscana ha prodotto nuovi atti d’indirizzo in tema di riabilitazione, come la deliberazione
di Giunta regionale n. 595 del 30-05-2005 che regolamenta i percorsi assistenziali per sindromi
algiche da ipomobilità e condizioni disabilitanti con esiti cronici stabilizzate, specialistico di
medicina fisica e ambulatoriale/domiciliare di riabilitazione. Perciò è opportuno fornire una nuova
lettura dei percorsi riabilitativi mettendo a confronto quanto erogato agli anziani con frattura di
femore dimessi dal ricovero per acuti nel 2003/2005 con quanto erogato agli anziani dimessi nel
periodo 2007/2010 ed estendendo il periodo di osservazione a 18 mesi dalla dimissione.
Pianificare l’offerta di servizi riabilitativi e orientare l’appropriatezza nei percorsi assistenziali per i
pazienti anziani che entrano nel sistema sanitario a causa di un evento di frattura di femore significa
occuparsi dell’50% della casistica degli ultra64enni che necessitano di un percorso riabilitativo a
seguito di un evento acuto. Nei diversi sistemi sanitari nazionali per il monitoraggio qualitativo dei
servizi, viene comunemente presa in considerazione l’analisi dei percorsi assistenziali disponibili
per queste tipologie di pazienti, date alcune caratteristiche che li contraddistinguono:
• rappresentatività e distribuzione della casistica;
• spiccato effetto cutoff che queste condizioni determinano, con improvviso passaggio da una
condizione di autonomia ad una possibile perdita di autosufficienza;
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• outcome condizionato in parte dalla disponibilità e fruizione dei percorsi terapeutico-
riabilitativo-assistenziali in riferimento alle evidenze scientifiche;
• necessità di predisporre una presa in carico in continuità, trasversale ai setting assistenziali,
governando le sinergie necessarie fra i diversi servizi.
La Regione Toscana, nel Piano sanitario regionale (PSR) 1999-2001, ha dato indicazioni alle ASL
in merito all’organizzazione della rete integrata dei servizi di assistenza riabilitativa, definendo i
principi del percorso assistenziale riabilitativo: inizio della fase di cura in ospedale per acuti,
continuità di cura nella rete dei presidi sanitari di riabilitazione intensiva, proseguimento e
conclusione nella rete sanitaria e socio-assistenziale di presidi di riabilitazione estensiva.
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Nel 2005 la Giunta regionale toscana, in riferimento alle indicazione del Decreto del presidente del
Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 e alle indicazioni del Piano sanitario, regolamenta con
la deliberazione di Giunta regionale n. 595 del 30-05-2005 i percorsi assistenziali di specialistica,
medicina fisica e riabilitazione e il percorso assistenziale riabilitativo. L’atto di Giunta riordina in
maniera significativa le attività ambulatoriali che rientrano nei livelli essenziali di assistenza (LEA),
definisce i diversi criteri di accesso alle prestazioni specialistiche di medicina fisica e ai percorsi
ambulatoriali di assistenza riabilitativa e introduce nel sistema significativi cambiamenti, indicando
tre diversi livelli organizzativi di attività/percorsi, di cui il primo non inserito nei LEA:
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• percorso assistenziale per sindromi algiche da ipomobilità e condizioni disabilitanti con esiti
cronici stabilizzate: organizzato attraverso provider che gestiscono l’attività fisica adattata (AFA)
con protocolli e indirizzi organizzativi delle ASL e delle Società della salute (SdS), su suggerimento
della Medicina generale;
• percorso assistenziale specialistico di medicina fisica: rivolto a condizioni disabilitanti, di norma
segmentarie e transitorie, identificate con specifici codici ICD-IX, ad accesso su prescrizione del
medico di medicina generale (MMG) e/o dal medico specialista, caratterizzato da interventi
terapeutici definiti e indicati nella Tabella del nomenclatore tariffario regionale;
• percorso assistenziale ambulatoriale/domiciliare di riabilitazione: rivolto a stati di salute,
identificati con specifici codici ICD-IX che hanno determinato una disabilità importante e che
richiedono, per la complessità del quadro clinico funzionale, una presa in carico globale tramite la
predisposizione di programmi di intervento previsti all’interno di un progetto riabilitativo
individuale, elaborato dall’équipe riabilitativa e avente come obiettivi il contenimento della
disabilità o l’aiuto nella gestione degli esiti.
Questi diversi atti assunti dal sistema sanitario toscano nel quinquennio 2000-2005, sostenuti da
altri documenti tecnici quali linee guida e pareri del CSR o documenti di pianificazione per Area
vasta e dalla progressiva implementazione del sistema degli indicatori di performance (Laboratorio
MeS) e di qualità dell’assistenza (Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS), forniscono i
riferimenti alle ASL della Toscana per indirizzare i servizi di riabilitazione dell’intero sistema
sanitario regionale verso un omogeneo miglioramento dell’appropriatezza d’accesso al livello
d’assistenza, in riferimento ai principi del governo clinico.
Si trovano indicati criteri uniformi per l’utilizzo della rete dei servizi riabilitativi, tali da poter
garantire ai cittadini una presa in carico tempestiva nel setting assistenziale adeguato, in riferimento
ai bisogni espressi per condizione clinica, funzionale e sociale. Tutto questo ha ridotto la variabilità
legata alla disponibilità del sistema dell’offerta, orientando i professionisti verso un governo clinico
efficace ed efficiente. I cambiamenti introdotti hanno ovviamente richiesto un notevole sforzo alle
Aziende, principalmente per:
• ri-modellare il proprio sistema d’offerta, intervenendo non solo sul livello organizzativo
delle attività a gestione diretta, ma anche sui contratti in essere con la rete delle strutture del
privato accreditato;
• ri-definire la modalità di gestione dei principali percorsi assistenziali riabilitativi e governare
la continuità all’interno della rete;
69
• rendere più virtuosi i professionisti, orientandoli all’appropriatezza dell’invio, all’uso di
indicatori e strumenti uniformi di valutazione.
4.1 EPIDEMIOLOGIA DEI PAZIENTI CON FRATTURA FEMORE
La frattura di femore rappresenta uno dei più rilevanti problemi sanitari che interessano gli anziani.
Nell’ultimo decennio sono stati osservati negli Stati uniti e in numerosi paesi europei trend positivi
che hanno evidenziato un decremento dei tassi di incidenza standardizzati per età. Tuttavia, per
effetto del progressivo invecchiamento della popolazione, il numero assoluto di casi è destinato a
permanere costante o aumentare nei prossimi anni. La frattura di femore rimane dunque una delle
principali cause di morbilità, di disabilità ed eccesso di mortalità negli anziani.
4.1.1 Incidenza
A livello internazionale, nelle aree più sviluppate, i tassi di incidenza della frattura di femore sono
più elevati nel Nord dell’Europa e negli Stati uniti rispetto ai paesi del Sud dell’Europa. In generale
l’incidenza della frattura di femore aumenta con l’età e le donne presentano un tasso di incidenza
della frattura del collo del femore più elevato degli uomini. Dai 65 anni in poi i tassi di incidenza,
aumentando costantemente, raggiungono valori di oltre 400 casi per 10.000 nelle donne ultra84enni.
Si stima che, raggiunti gli 80 anni, 1 donna su 5 si sia rotta il femore almeno una volta, una donna
su due raggiunti i 90 anni. In Italia, stime di incidenza attendibili sono state prodotte analizzando
l’archivio nazionale delle Schede di dimissione ospedaliera (SDO). Negli uomini, il tasso di
incidenza è risultato pari a 0,4 ogni 1.000 abitanti tra i 45-64enni, 1,4 tra i 65-74enni e 8,5 tra gli
ultra74enni. Nelle donne, per le stesse classi di età, il tasso di incidenza è risultato rispettivamente
pari a 0,5‰, 3‰ e 18,5‰. Negli uomini ultra64enni, in un anno sono stati registrati 4 ricoveri per
frattura di femore ogni 1.000 abitanti, mentre tra le donne 10,1 ogni 1.000 abitanti. Un’analisi
recente dei dati SDO a livello nazionale ha mostrato un aumento dei ricoverati per tale patologia,
passati dagli 82.570 nel 2004 agli 87.745 del 2006. I tassi standardizzati per età mostrano un
andamento oscillante, con una tendenza alla riduzione in entrambi i generi dopo il 2005. Viceversa,
il numero assoluto di casi/anno mostra una tendenza a un progressivo aumento (2008 vs.
1998:+17,4%).
Incidenza della frattura di femore in Toscana: tassi standardizzati per età x 100.000 abitanti (popolazione standard: Toscana 2000) e numero di casi/anno,
periodo 1998-2008 (fonte: elaborazione ARS su archivio SDO)
70
4.1.2 Disabilità
La frattura di femore è frequentemente causa di peggioramento funzionale e perdita di
indipendenza. Un ampio studio multicentrico condotto in Italia ha evidenziato che tra i pazienti
sottoposti a trattamento chirurgico e rivalutati a 6 mesi dall’evento (totale 1.839 soggetti) il 46%
camminava se accompagnato in casa, ma non andava fuori casa o era del tutto inabile a camminare,
mentre il 54% camminava da solo in casa e necessitava di un accompagnatore fuori casa.
Complessivamente il 50,5% dei pazienti presentava un peggioramento al follow-up rispetto alla
situazione prima della frattura, mentre il 4,3% aveva un miglioramento funzionale. Un’analisi
multivariata ha mostrato che la probabilità di sviluppare disabilità nel cammino è maggiore nei
soggetti sottoposti a trattamento dopo 24 ore dall’ammissione. Le analisi dell’ARS su dati UVM
2008-2009, mostrano come tra le prime cause di disabilità vi sia la frattura di femore, quarta causa
principale di non autosufficienza nelle femmine e sesta nei maschi (rispettivamente 7,7% e 3,8%).
4.1.3 Mortalità
La frattura di femore nell’anziano, pur non costituendo un’importante causa diretta di morte,
rappresenta un fattore di rischio indipendente di mortalità, a prescindere dall’età e dalle pregresse
condizioni di salute, evidente nei 6 mesi immediatamente successivi alla frattura. Uno studio
condotto negli Stati uniti, tra ultra49enni ammessi in ospedale per frattura di femore, ha evidenziato
una mortalità intraospedaliera dell’1,6% e a sei mesi del 13,5%, più alta negli uomini (18,9%) che
71
nelle donne (12,3%). In uno studio su un gruppo di anziane seguite per un anno, dopo correzione
per età e stato di salute al basale, le donne con frattura mostrarono una probabilità doppia di morire
rispetto ai controlli. Questo rischio era più pronunciato nei 6 mesi immediatamente successivi alla
frattura piuttosto che dopo. In uno studio condotto su 516 ricoveri consecutivi in un ospedale
italiano, la mortalità a un anno dall’intervento tra i 493 pazienti operati, di cui 94 maschi di età
compresa tra i 65 e i 98 anni (età media 80,5 ± 7,4) e 399 femmine di età compresa tra i 65 e i 96
anni (età media 81,9 ± 7,3), è stata del 22,7% con un tasso standardizzato per età del 33% negli
uomini e del 20,5% nelle donne e, quindi, un rischio relativo di morte entro un anno dall’intervento
per i maschi rispetto alle femmine dell’1,6. Il 5,3% di decessi sono avvenuti durante
l’ospedalizzazione post-operatoria (1,2% degli operati), il 60% nei primi tre mesi (13,6% degli
operati) e l’85% nei 6 mesi successivi alla chirurgia (19,3% degli operati). Confrontando la
mortalità osservata con quella della popolazione generale, il rischio relativo di morte a un anno è
del 2,7 nelle donne e del 3,2 negli uomini. In questo campione, dunque, l’eccesso di mortalità
rispetto ai valori attesi è particolarmente evidente nei primi mesi, diminuisce nel tempo, fino ad
annullarsi dopo 8-9 mesi. Come atteso, la mortalità tra i pazienti con frattura extracapsulare operati
con osteosintesi è stata maggiore di quella dei pazienti con fratture intracapsulari operati con
endoprotesi. Ciò è, almeno in parte, da attribuire alla precoce verticalizzazione nei pazienti operati
con endoprotesi e al differimento della verticalizzazione a circa 5 settimane dall’intervento nei
pazienti trattati con osteosintesi. La maggior mortalità dei pazienti operati di artroplastica è
confermata anche da un più recente studio danese. La tempestività del trattamento chirurgico
rappresenta un importante determinante prognostico della mortalità (oltre che della disabilità). In
particolare, in un recente studio multicentrico è stato osservato un eccesso di rischio nei pazienti
operati dopo 48 ore, che persiste dopo aggiustamento per altre variabili demografiche e cliniche.
Negli ultra64enni la mortalità attribuita a conseguenze dirette della frattura di femore, pur con
vacillazioni casuali dovute al ridotto numero di eventi/anno, ha mostrato una progressiva tendenza
alla riduzione. Questa ha riguardato sia i tassi standardizzati per età sia il numero di decessi (-
15,2%).
72
Mortalità per frattura di femore in Toscana: tassi standardizzati per età x 100.000 abitanti (popolazione standard: Toscana 2000) e numero
di decessi/anno, periodo 1998-2008 (fonte:elaborazione ARS su Registro di mortalità regionale)
4.2 OSPEDALIZZAZIONE DEI PAZIENTI CON FRATTURA DI FEMORE
4.2.1 I ricoveri
Nel 2008 poco più di 2.000 uomini e 5.800 donne residenti in Toscana sono stati ricoverati in
ospedale in reparti per acuti per un episodio di frattura di femore. Il 76% degli uomini e il 94% delle
donne ha almeno 65 anni e il 32% degli uni e il 40% delle altre ha un’età compresa tra i 75 e gli 84
anni. Il tasso d’ospedalizzazione specifico per età è inferiore a 1 ricovero l’anno ogni 1.000
residenti d’età inferiore ai 65 anni in entrambi i generi. A partire da questa età, il tasso aumenta da
circa 1‰ l’anno degli uomini 65-74enni e 3‰ delle donne a circa 19‰ e 31‰ rispettivamente
negli ultra84enni.
73
Osservando la distribuzione per classe d’età,0 emergono alcune differenze fra generi. Si osservano
più casi nelle classi d’età più giovani tra gli uomini e in quelle più anziane tra le donne, risultato
dell’effetto combinato della composizione della popolazione generale e dei differenti tassi di
ospedalizzazione nei vari strati di età e genere. Nel 2008, i ricoveri per frattura di femore nella
popolazione ultra64enne toscana sono stati quindi 7.027, 1.551 (22,1%) tra gli uomini e 5.476
(77,9%) tra le donne. Il tasso di ospedalizzazione è stato di 7,8 ricoveri per 1.000 ultra64enni
(IC95% 7,7–8,0), più alto per le donne (9,7‰, IC95% 9,4–10,0) che per gli uomini (4,8‰, IC95%
4,6–5,1). I tassi di ospedalizzazione per frattura di femore tra gli anziani residenti nei territori delle
12 ASL toscane variano da 7 ricoveri per 1.000 nell’ASL di Massa e Carrara a 8,3‰ in quella di
Livorno e Firenze (Tabella 3.19). In alcune ASL, i tassi di ospedalizzazione osservati si scostano in
maniera statisticamente significativa dal valore medio toscano
74
Il numero assoluto di ricoveri per frattura di femore nell’ultimo decennio mostra un andamento
costantemente crescente in entrambi i generi, dovuto essenzialmente all’invecchiamento della
popolazione. Infatti i tassi di ospedalizzazione regionali standardizzati per età non mostrano un
chiaro trend temporale, salvo forse una tendenza alla riduzione negli ultimi anni. Nel 93% dei casi
la frattura riguarda il collo del femore che, a sua volta, si divide tra fratture transcervicali e
pertrocanteriche. Le tipologie di frattura più frequenti sono quelle chiuse transcervicali (45%) e la
pertrocanterica (44%).
4.2.2 Durata ricoveri
La durata media del ricovero per frattura di femore è di circa 13 giorni. Non varia
significativamente tra le ASL di residenza, ad eccezione di Prato (17 giorni) e Firenze (15 giorni),
dove la degenza media è maggiore. Nel 2008, gli uomini ultra64enni hanno trascorso in ospedale 56
giorni ogni 1.000 residenti (aggregate bed-day rates) somma dei giorni in un anno trascorsi in
ospedale/1.000 residenti, mentre le donne ve ne hanno trascorsi circa 139‰. La variabilità di questo
indicatore tra le ASL dipende dalla variabilità nella degenza media e dai differenti tassi di
ospedalizzazione.
75
4.2.3 Il trattamento chirurgico
L’85% degli uomini e l’88% delle donne ultra64enni ricoverati per frattura di femore sono stati
operati e circa il 34% degli uomini e il 39% delle donne sono stati sottoposti all’intervento entro le
prime due giornate di degenza. Complessivamente, la percentuale degli operati varia dal 77% tra i
residenti nell’ASL di Siena al 96% tra i residenti a Viareggio. Più ampia è la variabilità nella
percentuale di soggetti operati entro le 48 ore: dal 32% di Firenze al 78% di Viareggio. Il tipo di
intervento più frequente dipende ovviamente dalla frattura. Oltre l’81% delle fratture transcervicali
chiuse sono state operate di endo/artroprotesi (sostituzione parziale o totale dell’anca), mentre oltre
il 95% delle fratture pertrocanteriche sono state operate di riduzione cruenta o incruenta con
fissazione interna.
4.2.5 Gli esiti
Sulla base delle informazioni relative alle modalità di dimissione, nel 2004 risulta che il 3,1% dei
ricoveri per frattura di femore si è concluso con un decesso. Il tasso grezzo di mortalità intra-
ospedaliera varia da 2,2% per i residenti nella ASL di Livorno al 4% per i residenti in quella di
Prato. Circa l’1% dei soggetti sono dimessi su base volontaria e circa il 10% con altre modalità, tra
le quali le principali sono il “trasferito ad altro istituto” e “trasferito in riabilitazione”. L’ampia
variabilità osservata tra le varie ASL è da attribuire alle diverse modalità di compilazione di questo
campo delle SDO e/o al diverso setting assistenziale presente nel territorio.
4.3 LA RIABILITAZIONE DEI PAZIENTI CON FRATTURA DI FEMORE
4.3.1 I metodi dello studio dei percorsi di riabilitazione
Per lo studio del percorso riabilitativo è stato necessario riassumere i risultati dello studio di coorte
retrospettivo, effettuato al fine di valutare l’impatto della deliberazione di Giunta regionale n. 595
del 30-05-2005 sui servizi di riabilitazione.
Sono state definite due coorti, con i seguenti criteri di arruolamento:
• Coorte I - ultra64enni residenti in Toscana ricoverati in regime ordinario, in reparti per acuti
(820, 821 per frattura di femore), dimessi vivi dal 1 luglio 2003 al 30 giugno 2005, senza
ricoveri per frattura di femore nei 18 mesi precedenti;
• Coorte II - ultra64enni residenti in Toscana ricoverati in regime ordinario, in reparti per
acuti (820, 821 per frattura di femore), dimessi vivi dal 1 luglio 2007 al 30 settembre 2010,
senza ricoveri per frattura di femore nei 18 mesi precedenti.
76
Entrambe le coorti sono state seguite per 18 mesi dalla dimissione ospedaliera (data di
arruolamento). I soggetti escono dallo studio in caso di decesso o in caso di nuovo ricovero in
reparti per acuti (qualsiasi patologia). Le analisi prevedono 4 periodi di follow-up. Per la fase post-
acuta (entro 3 mesi dalla dimissione) i periodi sono 7 giorni, 28 giorni e 90 giorni dalla dimissione.
Per la fase cronica (dal 7° al 18° mese) i soggetti sono osservati al termine dei 18 mesi. A tal
proposito si precisa che tutti gli arruolati della seconda coorte entrano nelle analisi del periodo
acuto, mentre solamente i dimessi fino al 30 giugno 2009 vengono selezionati per le analisi del
periodo cronico, a causa della disponibilità dei dati ospedalieri e di mortalità. Al termine di ogni
follow-up gli arruolati sono classificati come:
• deceduti - deceduti nel periodo compreso tra la data di arruolamento in coorte e il termine
del follow-up, senza aver prima intrapreso alcun percorso di riabilitazione;
• vivi, con nuovo ricovero - nuovo ricovero per acuti compreso tra la data di arruolamento in
coorte e il termine del follow-up, senza aver prima intrapreso alcun percorso di
riabilitazione;
• vivi, no nuovo ricovero - giunti vivi e senza un nuovo ricovero per acuti al termine del
periodo di follow-up.
Le analisi sui percorsi riabilitativi sono state effettuate esclusivamente tra gli arruolati che rientrano
nella terza tipologia, limitandosi ai Diagnosis-Related Groups (DRG –Raggruppamenti omogenei
di diagnosi) chirurgici per la frattura di femore. È stato considerato il primo accesso a un qualsiasi
percorso riabilitativo, classificato in base al regime di erogazione, come segue:
• riabilitazione ospedaliera - ricoveri effettuati in regime ordinario, codice specialità 56
(riabilitazione intensiva).
• riabilitazione residenziale extra-ospedaliera - prestazioni riabilitative erogate in strutture ex
art. 26 in regime residenziale (codice prestazione 601, 608) o semiresidenziale (codice
prestazione 701, 708).
• riabilitazione ambulatoriale - prestazioni riabilitative erogate in strutture ex art.26 in regime
ambulatoriale (codice prestazione 405, 406, 417).
• riabilitazione domiciliare - prestazioni riabilitative erogate da strutture ex art.26 in regime
domiciliare, codice prestazione 407.
• lungodegenza - ricoveri effettuati in regime ordinario, codice specialità 60 (lungodegenza).
77
L’ASL di residenza dell’arruolato, utilizzata per le analisi di mobilità dei percorsi riabilitativi a
90 giorni, è stata ricavata tramite il Comune di residenza indicato nella scheda di dimissione
ospedaliera del ricovero per acuti che ha determinato l’arruolamento in coorte.
4.3.2 La fase post-acuta, frattura di femore
Le due coorti di arruolati per frattura del femore, 10.391 soggetti la prima e 19.591 la seconda,
presentano alcune leggere differenze nella struttura per età e genere. Mentre nella prima la classe
dominante è quella tra i 75 e gli 84 anni, nella seconda sono gli ultra84enni i più presenti. Le donne
rappresentano decisamente la maggioranza, 78% in entrambe le coorti.
Piramide per età dei soggetti arruolati nelle due coorti, patologia frattura di femore
Poco meno dell’1% degli anziani muore entro la settimana dalla dimissione per frattura del femore,
senza accedere ad alcun servizio di riabilitazione, poco meno del 2% entro il mese, quasi il 4%
entro i tre mesi. La differenza nella prognosi tra le due coorti è quasi nulla. Viceversa è in
diminuzione la percentuale di anziani che incorrono in un nuovo ricovero per acuti entro il mese o i
tre mesi successivi alla dimissione per frattura del femore. Nella seconda coorte è maggiore la
percentuale di riabilitati ai diversi periodi di follow-up. Entro 7 giorni accede a un percorso di
riabilitazione il 30,7% degli arruolati della prima coorte e il 35% della seconda. A 28 giorni vi
accede il 40,7%, che diventa il 46,2% nella seconda coorte, mentre a 90 giorni il 54,5% e il 57,8%.
Al regime ospedaliero accede più del 50% del totale dei riabilitati. L’incremento maggiore al
passaggio dalla prima alla seconda coorte si ha nel regime residenziale extra-ospedaliero che, a 90
giorni dalla dimissione ospedaliera, passa dal 9% al 14,9% degli arruolati. È invece in diminuzione
il ricorso al regime ospedaliero, da 23,7% a 19,8% (follow-up di 90 giorni).
78
La maggior mobilità intra-regionale si ha per il regime riabilitativo ospedaliero. Anche la
lungodegenza, in alcuni casi, avviene in ASL diverse da quella di residenza dell’anziano. Pressoché
nulla è la mobilità extra-regionale. Non emergono particolari differenze tra le due coorti di arruolati.
A eccezione della ASL di Grosseto, al passaggio dalla prima alla seconda coorte aumenta la
percentuale di riabilitatiti tra gli arruolati residenti. La ASL di Firenze ha valori decisamente più alti
rispetto alle altre Aziende, per quanto riguarda il totale di riabilitati entro 7 giorni; questi vengono
principalmente inseriti in regime ospedaliero. In generale, quest’ultimo è il percorso più frequente.
Solo nella ASL di Siena è maggiore il ricorso alla riabilitazione effettuata in regime domiciliare.
Entro i 90 giorni, il regime ambulatoriale è la tipologia di riabilitazione più frequente, fatta
eccezione per la ASL di Firenze, dove prevale ancora il regime ospedaliero. Nella seconda coorte
compare in maniera più marcata la riabilitazione effettuata al domicilio dell’anziano, principalmente
nelle ASL di Massa, Pistoia e Siena. Le analisi stratificate per classe d’età mostrano un aumento dei
decessi tra gli arruolati più anziani, così come aumentano, anche se meno marcatamente, i nuovi
ricoveri in reparti per acuti. La tipologia di intervento (pazienti trattati con protesi vs. pazienti
trattati con altro intervento) non incide sulla sopravvivenza o sulla probabilità di un nuovo ricovero,
79
mentre i livelli di comorbilità (Charlson Index) più gravi aumentano il rischio di decesso o di un
nuovo ricovero. La ASL di Pistoia raggiunge livelli simili a quelli di Firenze per quanto riguarda la
percentuale di riabilitati entro i 28 giorni dalla dimissione, grazie a un deciso incremento nella
seconda coorte. Al secondo follow-up aumenta in generale la percentuale di riabilitati in regime
ambulatoriale, domiciliare e residenziale extra-ospedaliero, a discapito di quello ospedaliero. La
fascia d’età nella quale sono maggiori gli inserimenti in percorsi di riabilitazione è quella tra i 75 e
gli 84 anni, principalmente in regime ospedaliero. Quest’ultimo resta sempre il principale, ma con
l’età aumentano le prestazioni domiciliari o di lungodegenza e diminuiscono quelle ambulatoriali o
residenziali extra-ospedaliere. Gli anziani che hanno subito un intervento di protesi vengono
riabilitati di più (55,2% vs. 40,4%) e inseriti più frequentemente, rispetto al resto degli arruolati, in
percorsi a regime ospedaliero (22,9%) o residenziale extra-ospedaliero (16,5%). Il livello di
comorbilità incide poco, spostando leggermente il regime di riabilitazione da ambulatoriale a
domiciliare o ospedaliero.
80
4.3.3 La fase cronica, frattura di femore
Poco meno del 38% degli anziani ricoverati per frattura di femore ha un nuovo ricovero in reparti
per acuti durante la fase cronica (tra i 7 e i 18 mesi dalla dimissione per frattura). Inoltre, circa il
10% muore in questo periodo. Quindi è stato analizzato l’accesso ai servizi riabilitativi del 50%
circa degli arruolati iniziali, in entrambe le coorti. Si osserva una riduzione netta delle prestazioni in
regime ambulatoriale (dal flusso PAS e SPA), in minima parte compensata da un incremento del
regime ambulatoriale (da flusso SPR). In generale, il 10,3% degli arruolati della prima coorte
accede a un percorso riabilitativo durante la fase cronica, mentre la percentuale di riabilitati scende
al 6,5% tra gli arruolati della seconda.
In entrambe le coorti si ha una tendenza degli anziani in regime di riabilitazione residenziale extra-
ospedaliera a recarsi al di fuori della ASL di residenza (39,5%.nella prima e 25,6% nella seconda).
Questo vale anche per il regime ospedaliero, anche se in questo caso i numeri assoluti sono molto
bassi. Nella prima coorte, poco più del 20% degli anziani che si avvalgono di prestazioni di
riabilitazione si reca in un’altra regione per usufruire di tali servizi (da flusso SPR). Questo
fenomeno scompare totalmente nella seconda coorte.
81
4.4 I LIMITI DELLO STUDIO
Lo studio intrapreso presenta alcuni limiti, dettati principalmente dalla qualità delle fonti dati
utilizzate, in particolare i flussi SPR e PAS. Tramite una condivisione dei risultati con i referenti
aziendali per i percorsi di riabilitazione è emerso che, in alcune realtà, il dato ottenuto non
rappresenta correttamente l’attività erogata. La causa principale di queste differenze risiede nel
mancato invio di alcuni dati da parte della ASL. Tale inadempienza può riguardare, ad esempio, una
particolare tipologia di prestazione che non riesce ancora a essere intercettata. A supporto della
discussione ricordiamo in particolare che il flusso PAS è attivo dal 2006 e pertanto, in alcune realtà,
risente ancora delle problematiche che tutte le rilevazioni amministrative hanno avuto al loro inizio,
mentre per il flusso SPR vengono segnalate difficoltà legate alla pluralità di soggetti adibiti alla
rilevazione/invio dei dati. È possibile, perciò, che alcune statistiche descrittive a livello aziendale
sottostimino il dato reale, in particolare per quanto riguarda il regime residenziale extra-ospedaliero,
ambulatoriale e domiciliare. Inoltre, gli operatori hanno segnalato al gruppo di lavoro la totale
mancanza di rilevazione delle prestazioni riabilitative erogate in Residenze sanitarie assistenziali
(RSA) o in regime di assistenza domiciliare, a seguito della presa in carico dell’anziano da parte dei
servizi sociosanitari integrati per la non autosufficienza. Il fenomeno si presenta con intensità
diversa nelle ASL, essendoci alcune realtà che fanno un maggior ricorso di altre a questa tipologia
di offerta. In generale, comunque, le Aziende hanno dichiarato di riconoscere il proprio modello
organizzativo per la riabilitazione nei dati mostrati loro, sulla base delle tipologie di regimi di
erogazione dominanti e della tempistica.
82
CONCLUSIONI
I risultati evidenziano un’organizzazione della riabilitazione in Toscana ancora caratterizzata da
disomogeneità nell’accesso e nell’utilizzo dei diversi setting terapeutico-riabilitativi. Tale variabilità
non sembra imputabile alle caratteristiche del paziente trattato. Sia l’età sia la comorbilità spostano
di poco la domanda verso setting riabilitativi più tutelati dal punto di vista clinico assistenziale.
Riportiamo gli aspetti più interessanti emersi tra gli arruolati della seconda coorte.
• Il primo accesso alla riabilitazione, in continuità dall’ospedale per acuti: la media regionale
di riabilitati è il 35% (dal 5,1% della ASL di Lucca al 74,1% della ASL di Firenze).
• Il primo accesso alla riabilitazione a 28 giorni dalla dimissione: la media regionale di
riabilitati è il 46,2% (dal 9,8% della ASL di Lucca al 78,9% della ASL di Firenze).
• Il primo accesso alla riabilitazione a 90 giorni dalla dimissione: la media regionale di
riabilitati è il 57,8% (dal 17,3% della ASL di Lucca all’82,6% della ASL di Pistoia).
L’accesso alla riabilitazione in continuità dall’ospedale per acuti, e più in generale al percorso
riabilitativo, risulta in sensibile aumento rispetto alla prima corte. In generale, si rileva un aumento
della percentuale di riabilitati rispetto ai risultati pubblicati nel precedente Documento ARS del
2006. Questo cambiamento positivo non sembra essere ancora distribuito omogeneamente sul
territorio toscano. L’utilizzo dei setting è condizionato dalla tipologia e quantità dell’offerta, non
ancora sufficientemente adeguata alle caratteristiche della domanda. Gli effetti della del. giunta reg.
595/2005 si rilevano nell’analisi della fase cronica. Nella seconda coorte è evidente la riduzione
della casistica rilevata dai flussi PAS e SPA, contestuale all’incremento del flusso SPR,
coerentemente con quanto indicato dalla del. giunta reg. 595/2005, in termini di appropriatezza.
Purtroppo, dai flussi regionali non è ancora possibile verificare se la sensibile riduzione, dalla prima
alla seconda coorte, delle prestazioni in PAS e SPA sia accompagnata da un maggior ricorso ad
altre attività del sistema socio-assistenziale. Tale spostamento aderirebbe alle indicazioni regionali
di gestione della cronicità tramite supporto a funzioni di self-management, quali: l’attività fisica
adattata (AFA), i programmi del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie
(CCM), la tele-riabilitazione, le cure intermedie e altre. Tutto questo finalizzato a un diverso
impegno di risorse nelle modalità di presa in carico delle condizioni croniche che stanno
sviluppandosi nelle diverse realtà territoriali. Pur non avendo ancora raggiunto il perfetto
allineamento fra quanto programmato a livello regionale e quanto realizzato nei percorsi
assistenziali in essere, i risultati emersi mostrano che i servizi riabilitativi in Toscana, pur partendo
da marcate differenze territoriali, tendono a comportamenti organizzativi più omogenei.
83
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