UN PO’ DI STORIA. -...

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Le conseguenze della colonizzazione dell’Africa. UN PO’ DI STORIA. Viaggio in Tanzania. VERIFICA DEI PROGETTI SOS. UJAMAA Resort a Makunduchi (Zanzibar). UN VILLAGGIO A TURISMO RESPONSABILE. Semestrale sulla vita dell’Associazione numero 2 /2016 - dicembre Orizzonti Africani S.O.S. – sped. in A.P. art.2 comma 20/c Legge 662/96 – D.C.I. Padova Dir. Resp. G. Zannini Reg. Trib. Padova n. 1782 del 18/02/2002

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Le conseguenzedella colonizzazionedell’Africa.UN PO’ DI STORIA.

Viaggio in Tanzania.VERIFICA DEI PROGETTI SOS.

UJAMAA Resorta Makunduchi (Zanzibar).UN VILLAGGIO A TURISMORESPONSABILE.

Semestrale sulla vita dell’Associazionenumero 2 /2016 - dicembre

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S.O.S. – ONLUSSolidarietà Organizzazione Sviluppo

Associazione di volontariatoINSIEME AI PAESI DEL SUD

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Via Severi, 26 – 35126 PADOVAITALIA

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Sonia Bonin

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Carlo Maria Suitnersegretaria

Eva Grassmann

responsabile di redazione

Carla Felisatti

comitato di redazione

Sonia BoninSonia CarrettaPatrizia CorràCarla Felisatti

Eva GrassmannAngela Martin

ORARI SEDE

dal lunedì al venerdìdalle ore 9 alle 12:30

martedì e giovedì dalle 15:30 alle 18:00

Notiziario realizzato dai volontari S.O.S.

e stampato gratuitamentedalla Tipografia Grafica Veneta

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3 EDITORIALE

4 COLONIZZAZIONE DELL’AFRICA - un po’ di storia

8 CONSEGUENZE DELLA COLONIZZAZIONE SULLA REALTÀ ECONOMICA E POLITICA DI OGGI

14 STORIE A LIETO FINE

18 QUALI PROSPETTIVE PER IL SILOE?

20 APPELLO PER LA CLINICA SILOE

22 LA S.O.S. IN TANZANIA

28 NUOVO VIAGGIO E NUOVA ESPERIENZA

30 GUERRA IN AFRICA

32 LE MODIFICAZIONI CLIMATICHE

34 IL PRIMO SACERDOTE MASAI MISSIONARIO DELLA CONSOLATA

35 LA S.O.S. E I SUOI RAPPORTI CON GLI ENTI

36 PROGETTI S.O.S.

38 VITA DELL’ASSOCIAZIONE

44 LETTURE CONSIGLIATE

46 LA SOS RINGRAZIA

3Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

Innanzitutto è opportuno analizzare e approfondire questa frase: cosa si intende per “aiutare”? Il soggetto del verbo a chi fa riferimento? Ma soprattutto qual è la “casa loro” di cui parliamo?Preliminare a tutto ciò è vedere da chi parte la propo-sta, l’invito, per meglio comprenderne le intenzioni.Con questo lungo preambolo intendo rendervi parte-cipi di alcune mie riflessioni dettatemi dalla difficile re-altà sociale, politica ed economica nella quale viviamo in Italia, in Europa e nel mondo che ci circonda. Si sente parlare di una terza guerra mondiale (l’ha detto anche Papa Francesco, definendo la situazione attuale “una guerra a pezzi”), non tanto e non solo per il pericolo che questa scoppi a causa delle tensioni fra le grandi potenze, ma anche per quanto sta già avvenendo, cioè il terrorismo islamico, le guerre che insanguinano paesi come Siria, Iraq, Afghanistan, Congo, Nigeria, ecc. che ci coinvolgono, direttamente o indirettamente, tutti.Ebbene, ognuno in questo momento dovrebbe seria-mente porsi il problema della pace nel mondo, infor-mandosi, cercando di comprendere i grandi problemi dell’umanità, ma principalmente di coloro che vivono in stati autoritari, che subiscono la mancanza di libertà e le violenze, che sono assillati dalla povertà, dai pro-blemi climatici.Tornando ai nostri quesiti, la frase in questione da tem-po compare negli articoli dei giornali o si sente in occa-sione di interviste e per lo più viene espressa dai politici, anche di partiti antagonisti; così, a seconda dell’orien-tamento politico, assume varie intonazioni e accezioni. “Aiutiamoli”, per chi tiene a cuore il futuro dei “Paesi in via di sviluppo”, ha il significato di un sincero interessa-mento, anche nella considerazione che i paesi occiden-tali hanno un grande debito nei loro confronti a causa

dello sfruttamento operato per secoli. Quindi si pensa a progetti che ne possano migliorare le condizioni di vita. Per altro verso, le stesse parole, pronunciate da razzisti, populisti, ostili alle migrazioni, a cui si oppongono (in-vano!) in ogni modo, non denotano una sincera inten-zione di collaborazione, di sostegno; anche l’espressio-ne “a casa loro” per chi non è in buona fede è un modo ipocrita per dire “fuori dai piedi”.In effetti, la soluzione migliore sarebbe offrire supporto in loco, questo sia per rallentare la pressione sull’Euro-pa, sia per evitare molte sofferenze a chi emigra, mentre preferirebbe restare nel suo paese. A questo proposito, non mancano cospicui aiuti internazionali da parte dei paesi più ricchi, ma anche di governi, di grandi e piccole associazioni; i risultati, però, sono spesso deludenti per varie cause: l’instabilità dei paesi in questione, la corru-zione dei governi che si appropriano dei fondi ricevuti, le multinazionali che speculano sugli aiuti. In seguito a tutto ciò, le emigrazioni continuano e ve-dono l’Italia in prima linea a causa soprattutto della sua posizione geografica.Attualmente i problemi maggiori relativi all’accoglien-za non sono rappresentati tanto dalle iniziative, dalle organizzazioni che devono essere messe in atto, quan-to dai grandi contrasti che le migrazioni comportano; sono nate, infatti, e sono tuttora in corso, divisioni, diversità di pensiero in ambito europeo in primis, ma anche fra i partiti politici e, non ultimo, fra le persone singole. Quotidianamente ognuno di noi ha modo di constatare come esista grande disparità di idee anche fra amici o addirittura in ambito familiare; ciò è fonte di discussioni, di liti, spesso basate sulla scarsa conoscen-za dei fatti.In conclusione, “Aiutiamoli a casa loro” non deve rap-presentare uno slogan propagandistico, ma l’obbiettivo da raggiungere; deve rappresentare un’efficace politi-ca, nella quale la solidarietà si integra con la sussidia-rietà. Non semplice assistenza, ma fattore di svilup-po: questa è la linea tenuta dalla S.O.S. che da quasi trent’anni opera in Africa, avendo come scopo pre-cipuo quello di rendere più evolute e più autonome le popolazioni, in particolare facilitando ai bambi-ni, alle future generazioni, l’accesso alla scuola, alla cultura, tramite i sostegni a distanza, la costruzione di scuole, il sostegno agli insegnanti.

EDITORIALE

Carissimi,tutti voi avrete avuto occasione di sentire, e forse anche di pronunciare, l’espressione “Aiutiamoli a casa loro”: parole a prima vista dettate dal desiderio di giovare agli altri.

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3Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

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La storia del continente africano è molto complessa ed è caratterizzata da vicende che, in genere, hanno nuociuto al suo sviluppo. Facciamo riferimento, in particolare, al fenomeno del colonialismo i cui effetti negativi hanno provocato l’emigrazione, che oggi ha assunto l’aspetto di un vero e proprio fenomeno epocale. Tutti coloro che lamentano ed ostacolano l’accoglimento dei migranti dovrebbero andare a rivedere le cause che ne sono alla base.

UN PO’ DI STORIA

5Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

Il fenomeno della colonizzazione dell’Africa da parte delle nazioni europee si concretizzò soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, quando i principali stati ( Francia, Gran Bretagna e, in misura minore, Germania, Portogallo, Belgio, Spagna, Italia) diedero inizio alla spartizione dell’A-frica. Sotto l’apparenza di una missione civilizzatrice (!), lo sco-po principale che muoveva le varie potenze europee era lo sfruttamento di molti territori ancora vergini e, soprat-tutto, ricchi di minerali preziosi; in ogni caso, raramente le popolazioni locali trassero giovamento dalla presenza degli europei.Già nei secoli precedenti aveva avuto luogo una forma di colonialismo allo scopo di creare basi lungo le coste africa-ne per agevolare la navigazione lungo le grandi rotte ma-rittime; soprattutto, però, nei porti giungevano le molte e ricche merci africane destinate all’Europa (oro, pietre pre-ziose, avorio, pellami, legnami, ecc.). Per non parlare del vergognoso commercio degli schiavi ad opera dei cosid-detti negrieri che, con l’inganno o con la violenza, si arric-chivano vendendoli ai grandi latifondisti americani.Ma è, appunto, dopo il 1800 che il fenomeno dell’espan-sione coloniale raggiunge il suo culmine, sotto forma di una vera e propria corsa alle colonie che avviene sia pacifi-camente che militarmente. Varie sono le cause che spinse-ro gli stati europei ad occupare i paesi africani: innanzitut-to per appropriarsi delle risorse dei vari territori, ma anche per motivi commerciali, nonché per soddisfare l’orgoglio nazionale e per dare sfogo ad una parte delle proprie po-polazioniNell’affermazione del loro dominio sulle popolazioni indi-gene nere, i colonizzatori non incontrano che deboli re-sistenze e quindi hanno mano libera nello sfruttamento delle ricchezze.Le colonie vengono organizzate in vario modo, con la costante del potere in mano ai bianchi e della sotto-missione delle popolazioni indigene!Una data fondamentale nella storia della colonizzazione dell’Africa è il 1885, anno in cui ebbe luogo la Conferenza di Berlino, a cui parteciparono le principali potenze euro-pee, che sancì una complessa spartizione del continente africano e che vide la lotta per il predominio degli stati co-

lonizzatori; una dimostrazione di tutto ciò è data anche dal tracciato dei confini, spesso a carattere geometrico e non rispettosi di quelli naturali e dei gruppi etnici preesistenti.In conclusione: il colonialismo ha portato ad un im-poverimento dei popoli neri delle colonie, non solo in termini economici, ma anche sotto l’aspetto culturale, in quanto i bianchi hanno distrutto la cultura e lo stile di vita dei popoli indigeni neri. Ancora più grave il fat-to che abbiano impedito lo sviluppo di una coscienza politica e nazionale e la capacità di governarsi autono-mamente.L’Italia ebbe un ruolo secondario nella spartizione dell’A-frica: il suo interesse si rivolse inizialmente verso l’Africa Orientale, meno ambita dagli altri stati europei. Nel 1885 il governo italiano inviò i primi contingenti militari nella zona che sarebbe divenuta l’Eritrea, per poi stanziarsi in Somalia. Alcune gravi sconfitte caratterizzarono l’avanza-ta in Abissinia (attuale Etiopia).Nel 1911-12 il Governo Giolitti occupò Tripolitania e Cire-naica, il cui possesso si consolidò nel corso degli anni Venti con la formazione di due Governi che nel 1934 furono uni-ti nella Libia italiana.Il colonialismo italiano venne ripreso durante il regime fa-scista nella seconda metà degli anni Trenta e comportò la conquista dell’Etiopia.Decolonizzazione: a partire dagli anni intorno al 1950, i popoli indigeni cominciarono a reclamare il diritto di essere indipendenti, dando luogo a movimenti di pro-testa. Gli africani, infatti, avevano acquisito una nuova consape-volezza partecipando alla seconda guerra mondiale che, per contro, provocò un indebolimento delle grandi poten-ze europee. Un nuovo contributo nella lotta per l’indipen-denza venne dato anche dalla Carta Atlantica del 1941 che sanciva il diritto dei popoli all’autodeterminazione.Gli stati africani sorti dalla decolonizzazione, però, avevano, ed ancora hanno, grandi problemi interni, tri-ste eredità del colonialismo europeo.

Colonizzazione dell’Africa

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Già nell’VIII secolo Arabi e Persiani erano approdati sul-le coste dell’attuale Tanzania, dove ebbe inizio una civiltà evoluta, estesa nell’XI secolo all’isola di Zanzibar.Successivamente, all’inizio del ‘500, la regione fu coloniz-zata dai Portoghesi, cacciati dagli Indiani nel secolo suc-cessivo.Dalla prima metà dell’800 la fascia costiera e le isole furo-no dominate dall’imam di Oman.

Dopo la Conferenza di Berlino del 1885, la Germania oc-cupò la parte continentale che assunse il nome di Afri-ca Orientale Tedesca (1891-1916), mentre l’Inghilterra occupò Zanzibar e Pemba che nel 1913 divennero colonie britanniche. Nel 1919 l’ex colonia tedesca venne affidata alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni con il nome di Tanganica.Il Tanganica ottenne l’indipendenza nel 1961 e Zanzibar nel 1963; nel 1964 il territorio continentale (Tanganica) e quello insulare (Zanzibar, Pemba e Mafia) andarono a costituire la Repubblica Unita di Tanzania.Il primo presidente del nuovo stato fu il leader naziona-lista Julius Nyerere, sostenitore di un “socialismo pana-fricano” fondato sull’autogestione comunitaria in campo agricolo; in politica estera fu fautore di un orientamento antimperialista, appoggiando le lotte di liberazione di altri stati africani. Nel 1984 attuò una riforma costituzionale che limitò i poteri del capo dello stato, assumendo il ruolo di Presidente della repubblica.Le prime elezioni democratiche multipartitiche ebbero luogo in Tanzania nel 1995.Dall’ottobre del 2015 il Paese è governato da John Ma-gufuli.

Colonizzazione del Tanzania

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Colonizzazione del Congo

Il territorio corrispondente all’attuale Repubblica Demo-cratica del Congo fu popolata fin da 10.000 anni fa; dal VII e VIII secolo giunsero delle tribù bantu che diedero luogo a diversi stati, unificati nel XIV secolo nel potente e vasto Regno del Congo.Nel secolo XV gli Europei iniziarono l’esplorazione di que-sta zona; per primi giunsero i Portoghesi che, tramite un esploratore veneziano al servizio del Portogallo, tracciaro-no una prima mappa della regione, poi esplorata in modo sistematico e cartografata dall’inglese Henry Morton Stanley che risalì il fiume Congo.Il Regno del Congo sopravvisse agli Europei per diversi se-coli, sotto l’influenza alternata del Portogallo e dei Paesi Bassi; la sua fine ebbe luogo in seguito alla Conferenza di Berlino del 1884-1885 in cui il territorio venne asse-gnato al re del Belgio, Leopoldo II.Leopoldo fece del paese una sua proprietà personale con il nome di Stato Libero del Congo, assumendo per sé il titolo di Sovrano del Congo.Nel secolo XIX, accanto ad alcune iniziative meritorie del re, si verificarono episodi di violenza e la mortalità e i cri-mini raggiunsero livelli altissimi. In seguito a ciò, in Europa e Stati Uniti d’America ebbero origine movimenti di prote-sta che coinvolsero migliaia di persone, fra cui personaggi famosi come Mark Twain, Sir Arthur Doyle, ecc. che con-dannavano i metodi praticati in Congo.Leopoldo II, allora, rinunciò al possesso privato, inserendo questo stato nel gruppo delle colonie belghe.Dal 1908 al 1960 il Congo Belga fu una vera e propria colonia verso cui affluirono coloni europei attirati dalle ricche risorse boschive, dai giacimenti di diamanti, dall’a-vorio e altro.Lo Stato belga attuò varie politiche d’intervento con la co-struzione di aeroporti, ferrovie, strade, ma il territorio era troppo vasto per essere ben governato e, in ogni caso, ve-niva difeso l’interesse dei colonizzatori a danno delle po-polazioni locali. Così, alcuni esponenti delle innumerevoli etnie locali manifestarono il loro dissenso nei confronti del Belgio e, con l’avvento delle indipendenze di alcuni stati africani, le lotte interne aumentarono.

Il Belgio non era più in grado di gestire questo vasto e complesso territorio!Il Congo belga ottenne l’indipendenza dal Belgio nel 1960 sotto la guida di Patrice Lumumba, ma immediata-mente scoppiò una guerra civile per il possesso dei ricchi giacimenti minerari e Lumumba venne ucciso. La guerra si concluse con la formazione di un governo dittatoriale guidato dal generale Sese Seko Mobutu, favorevole agli interessi di americani e belgi. Egli ribattezzò il paese con il nome di Zaire dal nuovo nome dato al fiume Congo (Nze-ri: fiume).A causa della pessima gestione dello stato da parte di Mo-butu, ben presto l’economia dello Zaire conobbe un vero tracollo, nonostante i molti aiuti internazionali, e ciò pro-vocò sollevamenti da parte della popolazione. Nel 1997 Laurent Désiré Kabila entrò a Kinshasa e prese il potere: nasce la Repubblica Democratica del Congo; purtroppo già nel 1998 scoppiò la cosiddetta “Grande guerra africana” provocata dai tutsi banyamulenge e dai militari del Fronte patriottico, sostenuti da Ruanda e Uganda, mentre a favore di Kabila si schierarono Angola, Namibia e Zimbabwe. La guerra terminò nel 1999, ma la situazione rimase molto instabile. A Kabila, ucciso nel 2001, successe il figlio Joseph Kabila, tuttora presidente della Repubblica Democratica del Con-go; a breve dovrebbero svolgersi nuove elezioni, ma il pa-ese sta vivendo in un’atmosfera caratterizzata da violenze di ogni genere.

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Le realtà socio-economiche e socio-politiche attuali dei paesi del Terzo Mondo sono ancora determinate forte-mente dal fenomeno della colonizzazione.Ma accanto alla colonizzazione, bisogna aggiungere l’im-perialismo e il neocolonialismo nel contesto della globaliz-zazione. Inoltre, assumere la colonizzazione europea come spartiacque della storia dei paesi del Terzo Mondo equi-vale a dire che l’Europa è stata il principale e forse l’unico fattore dinamico, decisivo e che soltanto la sua influenza ha determinato, nel bene e nel male, la sorte dell’econo-mia, della politica e della società di quei paesi fino ad oggi.

CAUSE E MODALITÀ

La colonizzazione è sempre stata un’azione esercitata dal-le grandi potenze verso i paesi poveri, deboli dal punto di vista politico e socio economico. Per questo motivo l’e-spansione della colonizzazione europea avvenne prevalen-temente verso le aree geografiche in cui la resistenza era relativamente debole. Il saccheggio è il secondo aspetto caratteristico della moderna colonizzazione d’oltremare. Come diceva Karl Marx “La scoperta delle terre, lo stermi-nio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheg-gio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione

CONSEGUENZE DELLA COLONIZZAZIONESULLA REALTÀ POLITICA ED ECONOMICADI OGGI. OPINIONIA CONFRONTOL’abbé Christophe è nato a Wamba, ha studiato prima a Lingondo poi al seminario maggiore di Bunia. Inviato dal vescovo della diocesi di Wamba a Roma, ha seguito studi di Diritto Canonico all’Università Urbaniana. Inoltre, sempre a Roma, ha partecipato a un master di 2° livello all’Università LUNSA su: “Politica e Relazioni Internazionali”. Fra due o tre mesi tornerà in Congo; destinazione: piccolo villaggio in foresta dove avvierà una nuova parrocchia. Gli facciamo tanti auguri per il suo nuovo incarico; gli saremo vicini con il pensiero!

Premessa

CONSEGUENZE DELLA COLONIZZAZIONE PRIMA PARTE

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capitalistica. (Il capitale, libro I, cap. XXIV). Questa era la realtà della colonizzazione. La terza caratteristica è quella di creare un mercato e monopolizzare il commercio con determinati territori. Nel momento in cui l’Occidente si è industrializzato, si è trovato a dipendere sempre di più da altre parti del mondo. La sovrapproduzione di prodotti industriali richiedeva l’apertura di nuovi mercati, i capitali eccedenti dovevano essere investiti con profitto, le indu-strie in espansione necessitavano di materie prime a basso costo, che non erano disponibili nelle regioni temperate del globo. Poiché i territori che avrebbero potuto soddisfa-re questi bisogni non erano molti, si scatenò una lotta tra le grandi potenze per accaparrarsi i territori migliori.

Infine, la nascita di nuovi Stati molto potenti, come la Germania, l’Italia e il Giappone, stavano a indicare che la situazione internazionale era ben più complessa e aper-ta alla competizione di quella in atto dal 1815 al 1880. Il “nuovo imperialismo”, dunque, fu l’espressione di quella stessa forma aggressiva di nazionalismo che condusse alla prima guerra mondiale. I vari Stati europei si videro co-stretti a intervenire per ristabilire l’ordine o proteggere i propri interessi, e il timore che uno Stato potesse otte-nere troppi benefici a spese degli altri portò ovunque allo stesso tipo di soluzione. Così l’Africa, alcune zone dell’Asia sudorientale e alcune zone del Pacifico furono colonizzate dopo il 1880, sia al fine di rendere sicure le imprese com-merciali europee, sia al fine di garantire un certo equili-brio tra le opportunità offerte ai cittadini di ciascuna delle grandi potenze.

Quali sono le conseguenze di tutte queste diverse forme di colonizzazione?

CONSEGUENZA SULLA REALTÀ POLITICA

L’effetto fondamentale del processo di colonizzazione sulle regioni e sulle società che lo subirono fu che venne loro sot-tratta la possibilità di decidere autonomamente il proprio destino. Veniva negata la sovranità degli Stati colonizzati, la loro capacità di formulare e di realizzare scelte politiche. La caratteristica essenziale del colonialismo fu appunto quella di distruggere tale libertà di scelta. La sovranità - il fondamentale potere decisionale - veniva trasferita dal pa-ese appena colonizzato alla capitale del paese colonizzato-re. Così Londra diventò l’effettiva capitale dell’India, Parigi dell’Algeria, L’Aia dell’Indonesia, Bruxelles del Congo, etc. Colonizzazione voleva dire subordinazione alla volontà e agli interessi dello Stato imperiale. Ciò influenzò, e influenza pe-santemente fino ad oggi, le capacità delle colonie di am-ministrare con successo i propri affari una volta conseguita l’indipendenza. C’è troppa ingerenza e condizionamento delle grandi potenze, soprattutto ex-colonizzatrici, nelle attuali scelte politiche dei paesi poveri.

CONSEGUENZA SULLA REALTÀ ECONOMICA

I critici del capitalismo imperialistico occidentale hanno sviluppato elaborate argomentazioni per dimostrare che il colonialismo condusse a una radicale modificazione della vita economica delle colonie. Le potenze imperiali, essen-do relativamente più sviluppate, avevano bisogno delle colonie in quanto mercati per le loro esportazioni, fonti di materie prime e di prodotti alimentari a basso costo, e aree in cui investire i loro capitali eccedenti. Una volta rag-giunta la supremazia politica, gli Stati imperialistici furono in grado di procedere alla ristrutturazione delle economie coloniali per andare incontro a queste esigenze. Il risultato

Leopoldo II

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complessivo fu che le colonie del Terzo Mondo divennero parte di una “periferia” rispetto al “centro” costituita dagli Stati occidentali. Poiché questi ultimi erano industrializzati, le colonie furono costrette a rimanere ferme a un’econo-mia puramente agricola e le loro industrie vennero distrut-te dalla forzata esposizione alla concorrenza estera. Dato che le potenze imperiali avevano bisogno di alcuni tipi di prodotti agricoli e di minerali, le economie coloniali furono obbligate a specializzarsi in questi settori, a prescindere dai loro effettivi interessi. Nello stesso tempo i capitalisti oc-cidentali riuscirono a fare investimenti in ogni campo in cui intravedevano ampi margini di profitto, con il risultato che, al momento dell’indipendenza, le “leve del comando” dell’economia coloniale erano nelle mani di multinazionali estere. Il colonialismo, dunque, fu soprattutto responsabile dell’eccesso di specializzazione e della povertà di quasi tutte le ex colonie, e la decolonizzazione giunse solo quando, e in quanto, il capitalismo occidentale si convinse che il pro-cesso di ristrutturazione delle economie coloniali in base ai suoi interessi era giunto a un punto così avanzato che persino l’indipendenza non avrebbe più potuto invertirlo.

CONSEGUENZE SULLA REALTÀ SOCIALE

Da una parte, la colonizzazione ebbe un effetto benefico sulle società coloniali, poiché le inserì nelle grandi correnti del progresso umano; d’altra parte, essa fu controprodu-cente, poiché il dominio straniero distrusse le culture in-digene e ingenerò nelle popolazioni assoggettate un sen-so d’inferiorità. Fino all’inizio del XX secolo quasi tutti gli Europei ritenevano che la loro influenza sulle altre società fosse oltremodo benefica. Il cristianesimo era ritenuto superiore a tutte le altre religioni, la cultura e la scienza occidentali migliori di tutte le altre. Gli Europei dunque non esitavano troppo a distruggere ciò che trovavano, so-stituendolo con ciò che portavano con sé. La portata e la crudeltà di queste azioni distruttive furono molto diverse a seconda delle epoche e delle zone conquistate.

Nonostante ciò, nel pensiero di Gandhi, in India, dei so-stenitori della “negritudine”, come Leopold Senghor, in Senegal - è l’opinione che gli Europei abbiano quasi sem-pre cercato di persuadere i propri sudditi coloniali che il loro passato “precoloniale” non aveva alcun valore e che avrebbero dovuto adottare integralmente le tradizioni cul-turali e intellettuali dei loro dominatori occidentali. Cosi scriveva Frantz Fanon, nel suo libro I dannati della terra pubblicato per la prima volta nel 1961: “Il colonialismo non trae soddisfazione semplicemente dal mantenere un popo-lo sotto il suo giogo e dal riempire il cervello dei nativi con ogni sorta di idee. In base a una logica perversa, esso si volge al passato dei popoli oppressi e lo distorce, lo trasfigura, lo distrugge [...]. Il risultato consapevolmente perseguito dal colonialismo è stato quello d’introdurre nelle teste dei nativi la convinzione che, se i colonizzatori li avessero abbandonati, essi sarebbero subito ripiombati nella barbarie, nella degra-dazione, nella bestialità [...]. La madre coloniale protegge il proprio figlio da se stesso, dal suo ego, dalla sua fisiologia, dalla sua biologia e dalla sua infelicità, che costituisce la sua vera essenza”. Questa è una forma estrema della prote-sta contro gli effetti prodotti dalla colonizzazione sulle culture autoctone. Essa contiene una parte di verità che è sufficiente a spiegare perché, dopo la decolonizzazione, la maggior parte delle società del Terzo Mondo abbia cer-

cato consapevolmente di ritrovare e di costruirsi una pro-pria identità. Purtroppo la colonizzazione non è mai finita. Dopo la falsa decolonizzazione, la colonizzazione ha preso invece un altro nome “il Neocolonialismo”.

Per neocolonialismo si intende la politica adottata da ex potenze coloniali o in generale da paesi sviluppati, per controllare le proprie ex colonie o i paesi sottosviluppati, usando strumenti economici, culturali e il social Network anziché la forza militare. Si tratta delle politiche Occiden-tali verso il Terzo Mondo, per esempio con riferimento allo sfruttamento dei paesi poveri da parte delle grandi mul-tinazionali. Il neocolonialismo porta avanti gli stessi ob-biettivi della colonizzazione con altri metodi. Si continua a privare i paesi poveri dalla libertà di scelta, dalla loro so-vranità oppure si influenza o si condiziona troppo le scelte politiche delle ex colonie. Si utilizza oggi la strategia del caos per mantenere quei paesi nella povertà, per sfruttare e saccheggiare sempre le risorse naturali e rendere i paesi poveri dipendenti sempre da ex potenze coloniali. Infine con il fenomeno della globalizzazione, viene il colmo di tutto. La globalizzazione è un processo d’interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza plane-taria, tendendo ad uniformare il commercio, le culture, i costumi e il pensiero.

Tra gli aspetti positivi della globalizzazione vanno anno-verati la velocità delle comunicazioni e della circolazione di informazioni, l’opportunità di crescita economica per paesi a lungo rimasti ai margini dell’economia, la contra-zione della distanza spazio-temporale, e la riduzione dei costi per l’utente finale grazie all’incremento della concor-renza su scala internazionale. Gli aspetti negativi sono il degrado ambientale, il rischio dell’aumento delle disparità sociali, la perdita delle identità locali, la riduzione della so-vranità nazionale e dell’autonomia delle economie locali, la diminuzione della privacy. La globalizzazione favorisce lo sviluppo economico di alcuni stati, in particolare quelli industrializzati e sviluppati, attraverso guadagni e profitti provenienti dal decentramento. Esso consiste nello spo-stare le industrie nei paesi sottosviluppati, dove la mano-dopera ha un costo inferiore. Così facendo si offre un lavo-ro nei paesi più poveri ma le multinazionali decentrano le loro industrie nei paesi in via di sviluppo che non possono così svilupparsi. La globalizzazione, quindi, accentua pro-fondamente questa sproporzione e disomogeneità, arri-vando a creare solo due classi sociali: i molto ricchi ( una minoranza ) e i molto poveri ( la maggioranza ).

In conclusione: la colonizzazione e l’imperialismo hanno arricchito molto le grandi potenze occidentali e hanno condizionato molto la politica e l’economia delle ex colonie, rendendole politicamente dipendenti dall’occidente e con una economia agricola e di ma-terie prime incapace di competere con le economie dei paesi industrializzati e sviluppati in un mondo così globalizzato, senza frontiera di mercati. Il neocolonia-lismo di oggi porta avanti questo tipo di rapporto tra il Nord e il Sud. Come cambiare questa situazione?

Don Christophe NGONDE WA NGONDEDottorato in Diritto canonico

Master in Politica e relazioni internazionali

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Ad esempio, il popolo “Peuls”, essenzialmente pastore, lo si può trovare disperso in Burkina-Faso, in Costa d’A-vorio, in Mali, in Niger e in Guinea Conakry. Si potrebbe paragonarlo ai curdi del Medio Oriente. La lingua Diuoula (in Burkina Faso), chiamata Malinké in Guinea Conakry e Bambara in Mali, è parlata da una comunità sparsa in più di tre paesi dell’Africa occidentale. Può verificarsi che una comunità sociale con la stessa lingua e con lo stesso pa-trimonio culturale sia distribuita in due o più paesi: gli uni parlano ufficialmente francese e gli altri inglese o un’altra lingua importata dalla colonizzazione. In Africa occidenta-le si può trovare un popolo togolese francofono e lo stesso popolo diventato anglofono in Ghana. In Africa centrale vi sono delle grandi comunità sociali che parlano il lingala sia in Repubblica Democratica del Congo sia in Congo Brazza-ville; ciò è dovuto al fatto che il grande regno Congo è sta-to diviso in due nella spartizione del territorio tra il Belgio e la Francia. Sempre riguardo alla popolazione congolese, la comunità Babemba si trova in Congo (nella regione di shaba) e una parte si trova in Zambia; i primi parlano fran-

IL PUNTO DI VISTADI FAUSTIN GAHIMAChi ha avuto l’opportunità di viaggiare in tante zone dell’Africa, attraversando paesi vicini gli uni agli altri, avrà constatato che i confini tracciati “negli uffici dell’occidente colonizzatore”, effettuati sulle carte geografiche, hanno spesso separato delle entità sociali che prima della colonizzazione erano compatte.

Il dramma dell’est della Repubblica Democratica del Congo, teatro d’une rivendicazione territoriale velata.

Quando si parla delle cause del dramma del Congo, si con clude quasi sempre attribuendo la radice del problema al campo politico-economico: si tratterebbe in primis del fur-to delle grandi ricchezze di questo territorio da parte delle società multinazionali dei paesi industrializzati. Questo non è falso, ma la causa principale che sfugge all’opinione internazionale è proprio il conflitto territoriale che risale alla spartizione effettuata dalle potenze colonizzatrici tra di loro (il Belgio si aggiudicava l’immenso Congo, la Ger-mania occupava il Rwanda e il Burundi e l’Inghilterra spa-droneggiava in Uganda); tutto ciò in base alla Conferenza Internazionale di Berlino, convocata da Bismark, comincia-ta il 15 novembre 1884 per concludersi il 25 febbraio 1885. Una delle cause dell’olocausto congolese di cui non si par-la quasi mai perché poco conosciuta è proprio la rivendica-zione, da parte del Rwanda e dell’Ouganda, di un qualche pezzo dei loro territori che sarebbero stato loro ma annes-so al territorio congolese durante la conferenza Interna-zionale di Berlino (1884-85) durante la quale, tanti paesi colonizzatori si sono divisi il territorio dell’Africa centrale come si divide una torta. Non potendo recuperarlo politi-camente e giuridicamente senza rimettere in discussione tutti confini ormai riconosciuti tra i paesi africani, da 1996, il Rwanda accompagnato dall’Uganda tenta di recupera-re il suo presunto territorio con una strategia altamente criminale: recuperare il territorio congolese occupando-lo militarmente e fisicamente e insediando i ruandesi e i gli ugandesi al posto e luogo dei congolesi massacrati o sopravvissuti allontanati dalla loro terra a causa dell’insi-curezza e il terrore, condannati così a vivere nei campi di sfollati.

cese, mentre i babemba della Zambia hanno come lingua ufficiale l’inglese.In generale questi confini tracciati dai popoli colonialisti d’intesa tra di loro hanno creato molte tensioni, ma non grandi conflitti, tranne qualche eccezione.

CONSEGUENZE DELLA COLONIZZAZIONE SECONDA PARTE

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Articolo dal titolo “La dette de l’Afrique aujourd’hui” (2005) del Professor Damien Millet, portavoce del CA-DTM1.

“Il debito pubblico dei paesi africani è colossale. La politica del FMI, la Banca Mondiale e altra istituzione bancaria, mediante l’indebitamento e l’aggiustamento strutturale mettono a grande rischio quasi la totalità degli abitanti del continente africano. Questa politi-ca sta soffocando letteralmente l’economia di questo continente, assicurandosi le risorse interessanti, insom-ma riducendo in schiavitù interi popoli, presentandosi come “i salvatori”. L’Africa non si svilupperà mai finché la Comunità internazionale continuerà ad appoggiare questa politica. L’Africa potrebbe svilupparsi e rialzare la testa solo se riuscirà a rifiutare questo sistema ingiu-sto. Ai dirigenti chiede più coerenza, più trasparenza e più integrità per non lasciarsi corrompere o lusinga-re dai rapaci. Bisogna anche avere una visione grande mirando all’essenziale, all’istruzione, alla ricerca, allo sviluppo…Secondo questi studi tanti paesi dell’Africa sono diventati le vacche da mungere da parte degli sfruttatori. Si denuncia perciò l’ipocrisia e il mito degli obiettivi datisi dall’ONU nel 2000 circa lo Sviluppo del millennio che grosso modo rischia di rimanere solo una carta nel cassetto.ll mondo ha bisogno d’un nuovo sistema che permette di condividere le ricchezze con più solidarietà e equità per fare sì che le popolazioni dei paesi in via di svilup-po, l’Africa in particolare, possano godere a piena titolo delle ricchezze del loro continente.

Il commercio redditizio del denaro tra stati conseguenza della colonizzazione: sistemadi aggiustamento strutturale.Ispirandosi agli studi e alle ricerche di vari movimenti in-ternazionali che lottano per la cancellazione del debito vergognoso e scandaloso dei Paesi in Via di Sviluppo nei confronti dei paesi “sviluppati, industrializzati e tecnolo-gicamente avanzati”, oppure nei confronti delle famose grandi istituzioni come il Fondo Mondiale Internazionale (FMI), il Club de Paris, che ne è il braccio destro nelle nego-ziazioni del Piano di ristrutturazione, e la Banca Mondiale (BM), ci si rende conto di quanto i paesi dell’Africa, quasi tutti ex colonie dei paesi in sviluppati, subiscono un’altra forma di schiavitù insidiosa che impedisce così ai loro abi-tanti di autorealizzarsi. Lo fanno ostentando la volontà di aiutare i paesi in questione, ma il loro è un atteggiamento ingannevole; in realtà dominano intere popolazioni con-dannandole alla povertà e alla miseria senza fine. Tanti dirigenti africani entrano nel gioco senza scrupoli accet-tando anche la corruzione. Si arricchiscono loro e i loro familiari senza pensare al futuro del loro popolo.

Faustin Gahima, congolese, sposato, 4 figli, due lauree, residente a Selvazzano di Padova, rappresenta la faccia buona dell’integrazione. «Sono arri-vato in Italia 20 anni fa - spiega Faustin - Sono stato un anno a Villafranca Veronese e subito dopo a Selvazzano. In passato avevo studiato a Kinshasa, Tolosa e Friburgo. Sono uno degli scampati alla sanguinaria guerra civile scoppiata nell’ex-Congo Belga. Sono arrivato in Europa con lo stato giuridico di rifugiato politico. All’inizio non è stato facile inserirsi sia in fabbrica che nella comunità di Selvazzano. Sul posto di lavoro, essendo il primo lavoratore con la pelle nera, tutti mi guardavano con diffidenza. Oggi, invece, è tutto diverso: insegno religione e tutti mi rispettano e mi vogliono bene. In paese faccio parte del Consiglio pastorale e ho anche ricominciato ad aiutare i bambini africani con le adozioni a distanza attraverso l’associazione Tumaini». Tutto bene, dunque? «Vivo in mezzo a voi con tanta nostalgia. Penso spesso ai miei genitori, che non hanno visto ancora i nipotini, ai sentieri del mio paese, Goma ...».

Faustin Gahima

Indebitamento dei Paesi in Via di Sviluppo africani nei confronti dei paesi “sviluppati “e “industrializzati”.

Dopo l’eccidio di oltre otto milioni di congolesi vittime di queste orrende guerre a ripetizione, la zona di Bunia si-tuata a circa 380 km di Goma nel Nord/Kivu, è, da due anni, vittima d’una crudeltà difficile da descrivere. Circa 800 persone sono state sgozzate. Una nuova strategia che permette ai criminali di fare tabula razza quando attacca-no un villaggio. Senza spari, la gente non si rende conto che gli aguzzini sono arrivati nei loro villaggi e quindi non hanno né tempo né possibilità di fuggire. Il secondo punto riguardo alle conseguenze della coloniz-zazione è l’indebitamento dei paesi e il conseguente sot-tosviluppo.

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STORIE A LIETO FINE

Mi chiamo Gisèle, sono madre di 4 figli con cui sono arri-vata in Italia nel mese di marzo 2015 per un ricongiungi-mento familiare con mio marito arrivato due anni prima.

Nel mio paese di origine, la Repubblica Democratica del Congo, lavoravo come addetta al credito in una coopera-tiva finanziaria, mentre mio marito lavorava per una orga-nizzazione non governativa.

La nostra migrazione non è stata una cosa voluta: siamo fuggiti al seguito di una lunga persecuzione diretta al mio marito per non aver accettato i compromessi in un affare di finanziamento dei gruppi armati tra quelli attivi nella parte est del nostro paese.

È stato arrestato e barbaramente torturato per aver rifiu-tato di rilasciare una dichiarazione falsa che avrebbe favo-rito la distrazione di fondi, riservati a categorie bisognose, in favore della formazione politico militare M23. Il fatto di aver intralciato il finanziamento del loro movimento lo ha fatto considerare come oppositore ai privilegiati e ai detentori del poter economico-politico abbinato all’occu-pazione della Repubblica Democratica del Congo. Questa occupazione non è solo militare; infatti, oltre ai gruppi ar-mati di origine straniera operativi nella parte est del paese

Gisèle racconta la sua storia

Quella di Gisèle è un’ulteriore testimonianza della terribile situazione in cui si trova la Repubblica Democratica del Congo, paese in cui da anni Kabila esercita il suo potere dittatoriale, dove le persone devono sottomettersi al suo volere per non rischiare la prigione, la vita.

Gisèle

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(la catena RCD-CNDP-M23, FDLR, ADF, FNL e da poco i ribelli del Sud Sudan), il governo, l’esercito, la giustizia, la polizia e l’amministrazione congolese sono tutti infiltrati in tale modo che la popolazione viene massacrata, le don-ne stuprate con la complicità di quelli che teoricamente sono le istituzioni per la sicurezza e la protezione del po-polo. In tale contesto, mio marito è stato imprigionato per tanti mesi. È difficile descrivere cosa era il mio stato d’animo durante il periodo in cui il marito era in carcere senza aver commesso un reato: un prigioniero per le sue convinzioni morali…

Il mio vissuto negli ultimi anni è stata caratterizzato da dolore, paura, incertezza in un paese in cui più di 6 milioni di persone sono state uccise durante 20 anni di guerra a scopo dello sfruttamento delle ricchezze minerali.

Eravamo disperati per la sua vita, perché spesso le condi-zioni di detenzione nel mio paese conducono alla morte. Ma evidentemente non era giunto il suo momento e mio marito è finalmente riuscito a scappare, aiutato da alcune persone, e ha cominciato il viaggio fino in Italia.

Dal momento in cui lui era fuggito, eravamo noi, compo-nenti della sua famiglia (io in particolare), ad essere inti-miditi, i nostri beni saccheggiati… Questa situazione mi ha costretta a lasciare il paese per andare in Burundi dove sono stata per un anno e mezzo con i figli. Nel mese di ottobre 2014, ci siamo recati a Kampala in Uganda dove c’è un’ambasciata italiana abilitata a trattare la richiesta di visti per il ricongiungimento familiare.

In Burundi mi sentivo sola e soffrivo quando il figlio più piccolo mi chiedeva: “Dov’è il mio papà, quando torne-remo a casa nostra?” In Uganda, i tempi di attesa della risposta alla nostra richiesta di visti è stato lungo: sei mesi sono tanti per un procedimento complicato dai funziona-ri, nonostante avessi tutti i requisiti legali, i certificati e il nulla osta al ricongiungimento familiare.

Ora, in Italia, siamo lontani dagli aguzzini, e direi che siamo al sicuro. Ma le sfide sono numerose: lo sradicamento, una nuova lingua, il difficile inserimento in un nuovo contesto sociale e culturale, le difficoltà a trovare l’alloggio e un la-voro…

Ma finche siamo vivi, speriamo che con un passo alla volta e con un impegno di ogni giorno riusciremo a trovare delle vie di rinascita. Da un mese, sto lavorando per due ore al giorno per il progetto “Mami Cleopa”, iniziativa della par-rocchia di Santa Rita finanziata dal fondo straordinario di solidarietà per il Lavoro-Fondazione Cariparo. L’obiettivo del progetto è di “trasmettere alle ragazze e giovani mam-me richiedenti asilo le conoscenze relative alla cultura della maternità responsabile”.

Il mio compito è di trasmettere ai beneficiari le nozioni fondamentali nei seguenti ambiti:

• cura e igiene del bambino;• cura e igiene della mamma;• pulizia e cura degli ambienti;• pulizia e cura degli indumenti ;• l’alimentazione della mamma prima del parto e

durante l’allattamento;• le vaccinazioni;• lo svezzamento;• trasmissione di canzoni e giochi e usanze africane;• affrontare e magari progettare il futuro di mamma e

bambino: la vita in Italia, il lavoro, la casa l’asilo ;• prevenzione ai fini di gravidanze consapevoli.

Gisèle

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Ousman Manneh, 19 anni, gioca nella squadra di calcio del Werder Brema, in Germania, e ha appena segnato un gol decisivo contro il club avversario, il Bayer Leverkusen, en-trambi facenti parte della Bundesliga.Ecco in breve la bellissima storia di Ousman che compare sul quotidiano “La Stampa” del 19/10/2016.Nel 2014, Ousman, a 17 anni, scappa dal Gambia e appro-da in un centro per minori non accompagnati in Germania. Dei dettagli della sua fuga non ha mai voluto parlare. Si considera un rifugiato e pensa di rimanere tale per sempre. Per lui non è un problema, basta non ricordarglielo in con-tinuazione, perché poi riaffiora tutto quello che ha vissuto durante la fuga.Appassionato di calcio, contatta di sua iniziativa il club più vicino al centro di accoglienza, viene sottoposto a un provino e subito inserito nell’Under 19. Il suo allenatore di allora, Fabrizio Muzzicato, dice di lui: “È un talento ecce-zionale, intelligente, simpatico e ha i piedi per terra”. Se ne accorgono anche in un importantissimo club di serie A, il Werder Brema; lo inseriscono prima nell’Under 19, poi lo fanno giocare nelle ultime quattro partite della Bundesli-ga, dove riscuote un grande successo. Ricorda Ousman: “Quando ho saputo che avrei giocato nella Bundesliga, non ho dormito per tutta la notte”.Racconta che sua madre è molto orgogliosa di lui, anche se non sa esattamente cosa sia il calcio! Il suo club, il Werder, per non perdere questo giovanissimo campione, rifugiato, gli offre in anticipo il rinnovo del suo contratto, in scaden-za nel 2018. Pochi giorni fa ho letto di un altro minore non accompa-gnato del Gambia che si sta facendo strada in un club di serie D in Italia.

Storia di Ousman

Le emigrazioni fanno registrare tanti drammi che vedono spesso come protagonisti i bambini, i ragazzi, molti dei quali arrivano in Italia, in Europa, soli, non accompagnati. Fra tante storie tristi, ve n’è qualcuna a lieto fine...

Eva

Ma, se ci liberassimo dei nostri pregiudizi, dei nostri egoi-smi e analizzassimo con obbiettività la situazione in cui si trovano popoli interi a causa delle guerre, delle dittature, della povertà, non potremmo non commuoverci davanti a tante tragiche situazioni, in primis quando si tratta di bam-bini, come Ahmed, un vero e proprio piccolo eroe.Ahmed ha 13 anni ed è partito da Rashid Kafr El Sheikh, città nel delta del Nilo a 130 chilometri da Il Cairo. A casa ha lasciato papà, mamma, la sorellina e due fratelli; ha affrontato da solo la traversata fino in Italia allo scopo di far ottenere a suo fratello Farid le cure mediche di cui ha bisogno. Durante il suo avventuroso viaggio che lo ha fatto approdare a Lampedusa, ha tenuto con sé come un tesoro la fotocopia di un certificato medico avvolta in un sacchetto di plastica che evidenziava la grave malattia del fratellino, una gravissima piastropenia. I medici egiziani, dopo un primo intervento, ne avevano programmato un secondo per il quale richiedevano cinquantamila lire egi-ziane, somma che una povera famiglia di contadini non era in grado di affrontare.Ahmed a chi lo aveva accolto ha detto: “Il mio sogno è vedere mio fratello divertirsi senza sentirsi male, giocare con me a calcio e correre insieme senza avere paura di svenire...”. Racconta anche della sua terribile esperienza a contatto con trafficanti e scafisti senza scrupoli: “Soltanto un sorso di acqua per persona al giorno”. Il suo dramma-tico racconto conferma il disastro di un esodo senza fine!La sua commovente storia ha provocato una catena di solidarietà e l’intervento del famoso mecenate di Mila-no, definito “angelo invisibile” (gli Italiani in situazioni di emergenza dimostrano sempre grande generosità, come nel caso del terremoto che di recente ha sconvolto le Mar-che e l’Umbria) che in breve ha dato concreti risultati: pon-te aereo Cairo-Firenze per la famiglia, poi ospitata in una casa della Fondazione Tommasino Bacciotti, mobilitazio-ne della sanità toscana per prendere in carico il bambino, ecc. Tanti auguri Ahmed!

Storia di Ahmed

L’Europa è coinvolta nel dramma dell’emigrazione di massa che suscita pietà, condivisione, ma anche critiche, intolleranza e, soprattutto, vere e propri fenomeni di populismo, di razzismo…

Carla

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REPUBBLICA DEMOCRATICADEL CONGO: ISIRO, CAPOLUOGO DELLA NUOVA REGIONE DELL’ALTO UELÉ.QUALI PROSPETTIVEPER IL SILOE?In base a un’ordinanza del Presidente della RDC ( 28 luglio 2015), nella Reppubblica Democratica del Congo ha avuto luogo una nuova organizzazione del suo territorio.

Giova ricordare che la RDC era costituita da 11 province prima di essere divisa in 26 Regioni; il 26 marzo 2016 si sono svolte le elezioni dei governatori di queste regioni di recente istituzione. L’ex Regione Orientale è stata divisa in quattro parti: la Regione di Thopo (Kisangani), la Regione di Ituri (Bunia), la Regione di Bas-Uélé (Buta) e la Regione di Haut-Uélé (Isiro) .Isiro, appunto, è situata nella Regione dell’Alto Uélé, nel Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo. Si tro-va all’estremo Nord della foresta dell’Ituri. Il clima equa-toriale umido è mitigato dalla relativa altitudine (circa 761 m rispetto al livello del mare). Isiro e Buta sono una zona ricca di foreste.La regione dell’Alto Uèlé (Isiro) e di Basso Uelé (Buta) dove la Clinica oftalmologica si trova, ha una superficie di

238.014 km quadrati, ed aveva una popolazione stimata di 3.105.621 abitanti ( secondo i dati della CENI 2006 ). La gente vive principalmente di agricoltura.

Tutta la popolazione è contenta per questa nuova orga-nizzazione del territorio, in base alla quale Isiro è divenu-ta capoluogo di una parte dell’ex Regione Orientale, ma quale sarà l’impatto sociale di questo avvenimento? Quali prospettive per la clinica Siloé? La nascita d’una nuova provincia non serve a nulla senza lo sviluppo economico, senza strutture di base. Anni fa l’eco-nomia si basava sulle piantagioni di caffé che hanno pro-sperato fino verso la metà degli anni 1980, ma ora bisogna pensare ad altre fonti economiche.

La popolazione predominante è Bantu e Azande, suddivi-sa in numerose etnie. Occorre sottolineare che la popo-lazione dei Pigmei, minoritaria, è emarginata e solo negli ultimi vent’anni è stato iniziato nella Diocesi di Wamba, da Suor Doecita Hollandese, da Padre Pedro e Padre Felix, missionari “Pères Blancs”, un programma specifico di sco-larizzazione, di evangelizzazione, di sanità e di sviluppo per questo gruppo etnico.Le lingue correntemente parlate a Isiro sono il francese e il lingala; adesso si parla anche lo swahili, perché in questa città vivono molte persone originarie di Wamba.

Kibali Gold è stata la prima miniera d’oro industriale nella Regione Orientale che ormai si trova nella nuova Regione dell’Alto Uèlé. La società che la gestisce ha stipulato l’ini-

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zio della fase operativa nel mese di settembre del 2013, dopo un trasferimento di 14 villaggi, comprensivi di 4216 famiglie e 16.277 persone (secondo il rapporto della ONG Pax CERN e la Conferenza Episcopale Nazionale del Con-go, CENCO). Sono le multinazionali che, purtroppo, ci la-vorano senza visibile impatto economico per la popolazio-ne dell’Alto-Uélé.Ci sono dunque sfide enormi per il governatore e i suoi ministri provinciali. Infatti, la nuova provincia ha tanti pro-blemi da risolvere. Le distanze, lo stato precario delle stra-de, la situazione economica della popolazione (il reddito medio pro capite della popolazione è largamente inferiore ad 1 dollaro al giorno), le strutture sanitarie senza attrez-zature e farmaci, la presenza dei ribelli ugandesi (LRA) ver-so Dungu... Tutto ciò è al centro delle preoccupazioni della popolazione.

Anche l’andamento del Centro Oftalmologico è condizio-nato da questi problemi: la povertà della popolazione ral-lenta il ricorso alle prestazioni oculistiche e, soprattutto, il loro pagamento.

Il servizio della clinica mobile, programmato una volta al mese da Siloe, è molto utile per la popolazione, ma risulta poco produttivo sotto l’aspetto del guadagno. Lavoriamo quasi in perdita, perché, non avendo strade, non ci sono mezzi di trasporto; quindi tocca noi andare verso i pazien-ti nei villaggi. Diversamente, la gente sarebbe costretta a venire a piedi in clinica, ma alcuni villaggi distano anche 350 km. Noi, con la moto, attraversiamo la foresta per raggiungere molte persone colpite dalla cecità. In questi tragitti, le difficoltà e i rischi sono enormi : sentieri diffi-cili e pericolosi, fiumi da attraversare con piroghe, piogge abbondanti. Purtroppo il costo di questi viaggi è elevato, ma la popolazione non è in grado di pagare le cure, nono-stante il costo bassissimo che fissiamo. Ad esempio, un’o-perazione di cataratta (intervento, farmaci, ricovero) costa tra 35 e 50 dollari, ma la maggior parte della gente non possiede questa somma. Comunque, per non cadere nel paternalismo, chiediamo ai pazienti un contributo, perché non è educativo fare tutto gratis. Spesso lavoriamo in per-dita, soprattutto perché la maggior parte delle persone affette da cataratte sono indigenti, ma ci resta la soddi-sfazione di avere ridato la vista a molti e di avere ridotto il numero dei ciechi.

Una volta abbiamo operato una signora indigente e sic-come non aveva niente per pagare, dopo l’operazione era così commossa che ritornò a ringraziare il medico oculista dicendogli : “Non ho niente da darti, ma posso darti mia figlia in sposa”. Il medico sorrise e rispose che era sposato ! Ecco! Questa è la gioia della nostra missione.

Pensate che quando si parte da Isiro per questa attività, si sta due settimane in villaggi a 300 o 350 km per fare

visite, operazioni e altre cure. A volte, quando operiamo, si accendono i fanali della moto o della macchina per avere la luce, perché la corrente non esiste. Incontriamo anche casi difficilissimi da risolvere, casi di emergenza che non c’entrano con l’oftalmologia. Una volta, infatti, abbiamo trovato una donna che stava per partorire in foresta. Sic-come non ce la faceva da sola e per fortuna eravamo di passaggio noi, le abbiamo praticato il cesareo e l’abbiamo salvata. Un altro caso in cui abbiamo salvato una vita, è quello di un uomo che aveva avuto un incidente con un fucile: stava costruendolo per andare a caccia, ma inav-vertitamente si sparò da solo e l’intestino gli uscì fuori completamente. Sembrerà un miracolo, ma in seguito al nostro intervento questo uomo è guarito.

Questo stato di cose dimostra la situazione del Congo e non è un bello specchio per il paese. Ma si pensa e si spe-ra che con la costituzione della provincia le cose possano cambiare positivamente. Da quando Isiro è diventata pro-vincia, un certo numero di persone giunge con l’aereo in ispezione per potere avviare attività o investimenti. Lo svi-luppo parte prima dalle strutture stradali e ad Isiro stanno iniziando a costruire vie di comunicazione.

Altrettanto importante è l’istruzione, bisogna cioè miglio-rare le condizioni e il livello delle scuole, perché senza la cultura non si può capire e non si può apprezzare il giu-sto valore di un’opera realizzata per il bene di tutti. Per-ciò occorrerebbe prima una volontà politica per cambiare adeguatamente le cose e in seguito la popolazione dovrà muoversi per creare attività e prendere iniziative varie.

Questo è lo scopo che ci si deve prefiggere e che si rag-giungerà se i politici concretizzano quello che promettono.

Cosmas

Le condizioni di spostamento della Clinica mobile Siloe

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La realizzazione di questo progetto ci era costata anni di lavoro e di preoccupazioni, ma, grazie anche al contributo di molti di voi, l’attività aveva avuto inizio salvando molte persone, soprattutto bambini, dalla cecità.Ora, a distanza di 5 anni, vogliamo rendervi partecipi della nostra grande preoccupazione per il suo futuro. Come avrete capito anche dalle parole accorate dell’abbé Cosmas, il centro ha gravi problemi economici che derivano sia dalla assoluta povertà della popolazione locale, ma anche, e soprattutto, dal mancato rispetto dell’accordo da parte del nostro partner; infatti, quest’ultimo avrebbe dovuto provvedere al mantenimento della clinica per i primi tre anni.A causa di tutto ciò, gli introiti sono modestissimi, comunque non sufficienti per coprire le spese della gestione; le tariffe per la varie prestazioni, ad opera di personale medico ed infermieristico altamente specializzato, sono molto basse, quasi simboliche, ma le persone non sono in grado di pagarle.Che cosa fare?La S.O.S., nel limite del possibile, continua la sua collaborazione, ma non basta!Per questo ci rivolgiamo al grande cuore dei nostri amici e chiediamo alla vostra generosità un aiuto che permetta a questa importantissima struttura di sopravvivere, sperando che in futuro la situazione locale possa migliorare.Un grazie anticipato!!!

APPELLOPER LA CLINICASILOE

Sonia C.

Molti di voi certamente ricorderanno con quale gioia, soddisfazione e orgoglio, vi avevamo annunciato, nell’ormai lontano maggio 2011, l’inaugurazione della Clinica Oftalmologica “Siloe” a Isiro (RDC), un’opera fondamentale per questo territorio, fino ad allora assolutamente privo di strutture oculistiche.

Un intervento alla Clinica Siloe

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Un intervento alla Clinica Siloe

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LA S.O.S. IN TANZANIA

Angela è stata per me di grande aiuto, ha lavorato con serietà ed entusiasmo desiderosa di condividere le sue emozioni del primo contatto con il “continente africano”, emozioni che lasciava trasparire dalle sue espressione.

Ecco Makalala! Arriviamo a fine mattinata tra la gioia, i saluti di tanti bambini. Il più piccolo ha solo pochi giorni, la mamma è morta partorendolo. Attualmente sono 25 i bambini ospitati al Centro Makalala realizzato 15 anni fa da Malaika (nostra partner ora a Zanzibar). La struttura accoglie bambini orfani o in gravi difficoltà famigliari che rimangono al centro fino ai 6-7 anni di età. Sono seguiti da mamme africane che cercano di dar loro ciò che non hanno avuto dalla loro mamma! Quanta tene-rezza!!! E quante storie tristi! A Makalala una stagione…A circa 2 km. dal centro sorge il progetto avicolo, creato dalla S.O.S. un paio di anni fa e purtroppo tuttora da noi sostenuto, non essendo ancora autonomo! Ci incamminiamo per verificarne l’andamento sia organiz-zativo che amministrativo e per studiare ulteriori sviluppi

e modifiche! Qui lavorano i tre ragazzi orfani che fin da piccoli abbiamo sostenuto a distanza: Vasto di 28 anni, Severin 26 ed Agano 24. Si impegnano con entusiasmo e si sono anche formati una famiglia propria. A Makalala, una stagione così fredda non l’avevo mai vis-suta nei miei 30 anni di esperienze in TZ: dormivamo con il piumone invernale e con il pile, ma non riuscivamo a scal-darci! Ora si spiega perché sono morti molti pulcini nell’ul-timo periodo! Siamo a più di 1000 metri di altitudine!

Rimaniamo qui solo 3 giorni perché il nostro viaggio do-veva continuare a Tosamaganga, dove ci fermiamo 2 not-ti all’orfanotrofio; qui ci sono 110 bambini gran parte dei quali sostenuti dalla S.O.S. In questi giorni rivedo tante persone conosciute: mamme, papà, ragazzi, suore, missionari, responsabili delle comu-nità, degli orfanotrofi e suor Elena la responsabile di que-sto grande centro. Il lavoro qui non manca, giorno e notte senza tregua! Mi informano che padre Giorda, 90 anni, missionario della Consolata è tornato da poco in Tanzania dopo un delicato intervento chirurgico. Non lo vedevo da anni e andiamo a trovarlo alla missione di Tosamaganga dove, per chi lo ricorda, viveva con padre Alberto Placucci; con loro ho ini-ziato a conoscere un po’ la cultura tanzaniana. Io per anni ho alloggiato nella loro missione.Il nostro incontro è emozionante e speciale, la sua serenità mi lascia senza parole, mi commuove; la fede è lì, si tocca e mi fa un gran bene. Il giorno dopo partiamo per Iringa dove abbiamo appun-

Il gruppo che in agosto si è recato in Tanzania per verificare l’andamento dei vari progetti, era costituito da Sonia, Piero, Angela, Annalisa e Sofia.

Un viaggio di conoscenza e di condivisione non ha lo stesso spirito dei last minute; il nostro, come sempre, ha voluto essere rispettoso della realtà che siamo andati ad incontrare puntando a costruire dei rapporti umani, non solo scattando una miriade di foto paesaggistiche da riportare in Italia, quasi come un trofeo.

Padre Giorda e Padre Rabbino con Annalisa, Pietro e Sonia

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tamento con il vescovo per mettere a punto il progetto avicolo costruito su terreno della diocesi di Iringa. Incontriamo, inoltre, padre Salvador Del Molino, che alla mia prima esperienza in Tanzania nel 1985 mi aveva ospi-tata per un mese nella sua missione di Ikonda, dove allora c’era un ospedale del CUAMM di Padova, ora gestito dal-la Consolata. Padre Salvador ci propone una gita in alta montagna, ci vuole portare a Ng’Ingula a 2000 metri, la sua vecchia missione, dove aveva costruito la chiesa sul progetto di mio marito, mai visto realizzato.Il viaggio in alta montagna con la pioggia, la strada disse-stata e fiancheggiata da un burrone inquieta i miei compa-gni di viaggio, ma alla fine arriviamo a destinazione senza problemi e il luogo così bello ci ricompensa di tutto!

Sonia B.

Il gruppo di viaggio con Lupyana e mama Esta

Dopo una settimana partiamo per Zanzibar!! La stagione non è delle migliori, ma dovevo monitorare e definire gli ultimi dettagli del progetto.Appena arrivati e usciti dall’aeroporto, vediamo Roger che ci è venuto a prendere. Provo una grande emozione: le fo-reste delle spezie emanano il loro profumo su tutta l’isola, i tipici autobus locali sono strapieni di africani, la vege-tazione è lussureggiante: palme, banani, papaie, manghi; lungo la strada le mucche e le capre non mancano!Arriviamo al nostro villaggio, a Makunduchi, nel nuovo re-sort “Ujamaa” realizzato di recente dalla S.O.S.

L’impatto è di grande effetto: le costruzioni tipiche con i tetti di paglia, i colori variegati del mare ti riempiono gli occhi!! Dopo quasi due anni di fatiche e di difficoltà non

ci sembra vero di vederlo terminato! Sofia, partita con noi dall’Italia, è già qui che ci aspetta; lei aveva preferito non venire a Iringa e Makalala, così, arrivata a Dar es Salaam, aveva proseguito subito per Zanzibar per una vacanza: è stata la prima cliente ed ha vissuto nella solitudine più as-soluta.

Con me c’era anche mia figlia Annalisa che vive in Madaga-scar e che stava ultimando le sue vacanze in famiglia! Mio marito, architetto, molto critico di carattere, specialmente nel suo settore, e dal quale, conoscendolo, attendevo un giudizio negativo, mi sorprese…: la prima parola che uscì dalla sua bocca fu: “Molto bello, ben inserito nell’ambiente ed equilibrato. complimenti!!” Una grande soddisfazione!

Una settimana di soggiorno a Makunduchi in questo pic-colo resort in riva al mare, dove le onde si infrangono sulla barriera corallina e il silenzio regna sovrano, è stato per me come vivere una meravigliosa favola.

Assaporavo giornalmente piatti tipici molto diversi tra loro, riconducibili alle numerose culture che hanno carat-terizzato la storia di questa splendida isola. I cuochi, che giornalmente si presentavano, gareggiavano fra loro nella speranza di essere assunti. Devo dire che alla fine abbiamo scelto bene: un cuoco eccezionale, esperto di piatti non solo locali, ma anche internazionali.

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Angela allo Yatima di Tosamaganga

25Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

4 AGOSTO 2016 ORE 4.02

Le emozioni che si provano ad intraprendere un viaggio come questo sono molteplici… Pensi a quello che stai la-sciando a casa e a quel muro che stai oltrepassando e che si frappone tra la tua vita quotidiana, reale, scandita dai frenetici impegni quotidiani, e l’Africa. Quasi fosse un sogno, un mondo parallelo nel quale im-mergersi! Un’esperienza pensata, sognata, immaginata da lontano, sempre con distacco, come fosse al di là di quel muro in-valicabile. Quel muro fatto di un viaggio lungo più di 12 ore, dove, anche solo per pochi attimi, incroci sguardi, spe-rimenti qualche scambio di sorrisi o brevi discorsi. Ognuno con la propria storia alle spalle, ognuno verso la propria meta.Mi ritrovo qui, seduta in questo aereo affollato di gente co-lorata e bianca assieme… che vaga verso qualcosa, ognu-no verso il suo futuro...mentre il bimbo che lascio (anche se per soli quindi 15 giorni) è lì, a riposare serenamente nel proprio lettino e forse tra qualche ora si sveglierà chieden-do della sua mamma.I miei studi, le mie aspirazioni e le esperienze passate mi hanno fatto propendere per il sì ed accettare la proposta offertami da Sonia di accompagnarla in questo viaggio di monitoraggio. È stata una sfida che ho accettato prima col cuore e poi con la mente!

5 AGOSTO 2016 ORE 5,15 DEL MATTINO

Siamo in sala d’attesa all’aeroporto Auric di Dar es Salaam, aspettando di salire su quel piccolo aereo, di appena 10 posti, che ci porterà ad Iringa. La giornata di ieri è stata intensa di emozioni e di cose da imprimere nella mente: persone, vita, colori e odori. Modi di affrontare il quotidiano differenti dal nostro. Sorrisi, tanti sorrisi, e gentilezza! La visita al mercato del pesce è stato uno dei luoghi che porterò nella mente e che identificano la mia permanenza

a Dar Es Salaam. “DJambo?! Poah”: questo, un ragazzo al mercato del pesce, ha voluto dirci con un grande sorriso. Mille varietà di pesci con colori mai visti: stelle marine, ric-ci di mare, e poi uomini che seduti in cerchio sfruttavano la pace del tramonto giocando ad un gioco simile ai dadi (chiedere a Sonia).Ed infine il mare che con le sue sfumature e la sua sabbia bianca ci ha donato in questa sera del primo giorno di sol-lievo e serenità.

8 AGOSTO 2016TOSAMAGANGA YATIMA (ORFANOTROFIO DI TOSAMAGANGA)

Nei giorni scorsi la stanchezza e le tante situazioni vissu-te e che dovevo interiorizzare mi hanno giocato un brutto scherzo e la forza mentale di scrivere è venuta meno. Mille emozioni e mille immagini cercano di farsi spazio dentro di me. La S. Messa a Makalala, tenuta dai seminaristi salesiani è stata qualcosa di magico, di elevato e spirituale. Non ho mai sentito un coro di giovani, sperduto tra terra rossa, vento e alberi millenari, essere così armonico, come se questi ragazzi fossero guidati da una mano invisibile e che quell‘ istante fosse il loro momento di connessione con l’eterno. Anche l’incontro con i ragazzi del progetto avicolo di Ma-kalala mi ha lasciato il cuore più pieno, colmo di affetto per questi tre giovani ai quali la vita ha dato tante difficol-tà e poco amore, senza indebolire però la loro forza di vo-lontà e il loro impegno: l’amore per il lavoro e la speranza per una vita migliore.E poi i bimbi di Makalala, piccoli orfani felici solo di ricevere un sorriso, una coccola o un “biscuti”. Bambini abituati “a cavarsela da soli” che sembrano le persone più felici del mondo, ma in realtà il calore di due braccia forti e sicure è qualcosa che non hanno mai provato. È stato troppo poco il tempo trascorso tra loro, ancora una volta affannati dal tempo che passa e dalle mille cose in programma. La mat-tina seguente infatti ci aspettavano a Kibao.Il tragitto verso le suore di San Carlo Borromeo e le pian-tagioni di thè mi hanno offerto la possibilità di assaporare un’ Africa ricca di bellezze naturali, di vallate e distese di alberi: terra rossa, pini, eucalipti e piante del thè. Una volta arrivati ad una chiesa dai colori sgargianti, ci siamo fermati e abbiamo trovato una piccola suora indiana, molto anzia-na, dai modi gentili e dolci, ma al tempo stesso decisi. Lei è suor Victoria che assieme a Suor Sunnita gestiscono la missione di Kibao, il dispensario e le piccole bambine che vivono al Centro. Il benvenuto e l’accoglienza sono stati tali che abbiamo deciso di rimanere lì a pranzo per gustarci ancora un po’ il loro mondo.Salutate le suore e tornati a Makalala, non ci siamo accorti del tempo che passava ed era già giunto il momento di ripartire verso un’altra meta: lo YATIMA di Tosamaganga!

E così arriviamo all’orfanotrofio di Tosamaganga, gestito dalle Suore Teresine, dove i bambini ci sono corsi incontro, facendo la fila e litigando per portarci le borse in came-

Finalmente in Tanzania

Angela da tempo desiderava recarsi in Africa per fare di persona le esperienze vissute virtualmente in qualità di segretaria della S.O.S.; finalmente l’occasione si è presentata.

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ra. Vivere e assaporare quei momenti è stato così intenso che ogni parola mi sembra inappropriata. “Pichia”: questa la parola usata per le foto ed è stata la parola che mi ha accompagnato per i due giorni del soggiorno all’orfano-trofio.Finalmente ho dato un volto a tanti nomi scritti sulla car-ta, finalmente ho visto ridere quegli occhi che dietro ad uno schermo di computer non riflettevano tutte le emo-zioni che dal vivo mi hanno regalato.E, quando gli porgevo la loro “Pichia”, il sorriso si faceva più grande.Ho conosciuto anche i padri della Consolata che vivono lì: Padre Giorda, che con i suoi 90 anni dimostra una for- Angela Martin

za di volontà e una fede nella vita e nell’uomo incredibili, e padre Rabbino con il quale Sonia ha ripercorso le tante esperienze vissute assieme.

9 AGOSTO 2016

Il mattino sveglia presto, lasciato lo “Yatima” di Tosama-ganga, ci siamo diretti di buon ora dal Vescovo Tarcisius per l’incontro sul progetto avicolo di Makalala. É stato molto interessante parteciparvi e comprendere tutte le dinamiche sociali, politiche e territoriali che si intrecciano all’interno di questi progetti... e quanto siano delicati gli equilibri al loro interno. L’ultima tappa del nostro tour di monitoraggio dei so-stegni a distanza ci ha portato ad Iringa, dalle suore della Consolata: il loro benvenuto, l’attenzione, la cordialità e la tenacia dimostrati mi hanno davvero colpito ed ispirato.In particolare sono stata molto soddisfatta nel vedere l’ac-curatezza con cui suor Joice si è attenuta alle nostre richie-ste relative ai sostegni a distanza che seguiamo assieme a loro: ci ha mostrato i dormitori e le aule delle ragazze e ci ha fornito tutte le informazioni su di loro; ed infine, l’incontro con la “più grande”, la quasi centenaria Suor Ga-briellina che, nel suo metro e cinquanta di statura, emana una serenità e una pace interiore che rimanere lì ad ascol-tarla mi faceva stare bene… Chi lo direbbe che sono loro la “storia” vivente delle prime missioni in questa terra?!? Sono queste le eroiche persone che ho portato a casa den-tro di me da questa avventura africana.

Ma il nostro viaggio non si è fermato qui...L’ultima meta, ma non per questo la meno importante, è stata Makundu-chi, nell’isola di Zanzibar, con i suoi profumi e la sua unici-tà, che la distingue dall’ Africa continentale.Dopo 2 ore di volo e un altro paio d’ore di auto, siamo arrivati là dove la terra rossa si trasforma in sabbia bianca, dove la rigogliosità dei verdi alberi di mango si incontra con l’azzurro del cielo e dove il mare dai mille colori la fa da padrone.Eccoci arrivati all’“Ujamaa Beach Resort”, dove ci attende un lavoro di monitoraggio e ricognizione. Scesi dall’auto, un dolce vento ci accarezza e ci lasciamo alle spalle il freddo dei giorni passati…, ma una cosa salta subito all’occhio: il mare, che sembra venirci incontro, in un’unica immagine ci offre le risposte a tutte le domande che ci stavamo ponendo.Rumore di rastrelli, di zappe e trapani, degli occhi ci fissa-no: ecco gli operai al lavoro! E il ritmo dei loro strumenti ci ha accompagnato per tutta la nostra permanenza. Bello vedere con i propri occhi che le cose stanno andando avanti, da lontano è così difficile rendersi conto che siamo quasi alla fine: manca davvero poco! I bungalow, il risto-rante e la cucina sono pronti e provo una grande ammira-zione per quello che si è fatto finora e per chi, con grande entusiasmo e fiducia, ci ha lavorato e continua a farlo!

Masai a Zanzibar

27Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

2003: approdo per la prima volta in Africa, in Tanzania, insieme a mia mamma e ad un gruppo di giovani partiti con lo spirito di conoscere una realtà nuova, attraverso i progetti della S.O.S. che da tempo opera nel Paese.Dopo i numerosi racconti di mia madre e dei tanti mis-sionari transitati per Ca’ Mansutti, mi faccio ‘trasportarÈ in questo continente, senza sapere che sarebbe poi stata quella esperienza a cambiare il corso della mia vita e a dare un nuovo sapore alla mia quotidianità.Parto con uno stato d’animo di distacco e di chiusura per quel viaggio che, solo una volta a casa, capisco esser stato invece un viaggio di ricerca e di scoperta.Vivo, senza accogliere, i numerosi incontri che si prospet-tano durante il viaggio; mi avvicino, senza farmi troppo coinvolgere, a culture diverse; presenzio, senza partecipa-zione, alle numerose celebrazioni in nostro onore; guardo, senza osservare, quello che mi circonda.Senza saperlo, rimango folgorata dall’intensità di quelle tre settimane che sono poi diventate il preludio per un cammino di avvicinamento alla cultura africana.

2016: riapro il mio cuore alla Tanzania, accompagnando alcuni membri della S.O.S. in una missione di valutazione dei progetti in corso. Questa volta ritorno con una consa-pevolezza diversa e con una conoscenza più ampia delle problematiche dei PVS (Paesi in Via di Sviluppo).Appena arrivata a Dar Es Salaam, la capitale, mi sembra tuttavia di trovarmi in un altro luogo, nuovo, ancora da scoprire e da conoscere; a sorprendermi sono le tre, a vol-te quattro, corsie dell’arteria stradale principale che col-lega la città alla periferia; mi colpiscono i vari grattacieli che si innalzano verso il cielo e la presenza di una certa modernità che non ricordavo aver visto nel mio preceden-te viaggio.Dopo un giorno nella capitale, partiamo, prima alla volta di Makalala, dove la S.O.S. segue da alcuni anni un proget-to avicolo gestito da dei ragazzi dell’orfanotrofio di Tosa-maganga, dove poi ci rechiamo per alcuni giorni prima di volare verso Zanzibar.In quei 10 giorni ripercorro alcuni passi già tracciati tredici

anni prima, ritrovo alcuni volti conosciuti, e mi addentro nuovamente nel tessuto sociale tanzaniano che nel 2003 era riuscito, inconsciamente, a rapirmi e trasformarmi.Ritrovo un Paese in completa evoluzione, dove si sente il fermento di un popolo che ha voglia di cambiare, di met-tersi in gioco, di prendersi in mano il proprio avvenire per modificarlo. Ho ancora impressi nella mente i volti di Vasto, Severin e Agano che ce la mettono tutta per far andare avanti il pro-getto avicolo, che dormono nella stanza insieme ai pulcini, purché questi non sentano freddo e continuino a vivere, che si impegnano incondizionatamente, senza mai stan-carsi, per cercare di rendere autonomo il centro.Dopo anni ritrovo Alex, il bambino che durante il soggior-no all’orfanotrofio mi portava i pop-corn mentre io ero malata; oggi è un uomo, lavora alla missione di Tosa come autista e fa altri piccoli lavoretti per potersi costruire la casa. Gli manca poco, solo le porte e le finestre, ma pian piano sa che ce la farà.Incontro Lupyana, il bimbo che a 4 anni era venuto a farsi operare al cuore in Italia; anche lui è diventato grande e anche lui è deciso a dare una svolta alla propria vita e a quella della sua mamma e i suoi fratelli. Ora studia medi-cina, con determinazione ed entusiasmo.

Sono questi volti del futuro dell’Africa, della Tanzania, che ancora una volta sono riusciti ad entrarmi nell’anima e a darmi quella carica, quella convinzione per continuare a vivere e lavorare, con passione, per lo sviluppo di questi paesi.

Ritorno in Tanzania

Annalisa è molto esperta di Africa, non solo per essere figlia di Sonia ed aver “respirato” da anni il “Mal d’Africa”, ma anche per essersi recata più volte in questo affascinante continente.Da 9 anni, poi, opera in Madagascar per conto dell’associazione “Reggio Terzo Mondo”.Ecco la sua testimonianza dell’ultimo viaggio in Tanzania.

Annalisa Mansutti

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Riccardo ed io diamo il nostro modesto contributo alla S.O.S. da qualche anno ormai, adoperandoci in queste piccole avventure, perché crediamo nei progetti avviati da questa associazione e offriamo la nostra collaborazione regalando il tempo concessoci per le nostre vacanze. Questa volta la destinazione è stata Makunduchi, un pic-colo villaggio di pescatori situato nella zona sud est dell’i-sola di Zanzibar. Qui è giunta quasi al termine la costruzio-ne di un piccolo resort turistico, “Ujamaa Beach Resort”, una struttura che comprende 12 bungalow, destinata ad accogliere chi vorrà vivere un’esperienza diversa, di relax ma anche di conoscenza, consapevolezza e solidarietà, … insomma chi sceglierà di trascorrere una vacanza soste-nibile. Malaika e Roger, i futuri gestori, insieme agli operai stanno lavorando a pieno ritmo, ma mancano ancora alcune istal-lazioni e c’è bisogno di aiuto.Riccardo è quello che si può definire un “uomo dalle mani d’oro”; egli, pur non avendo profonde conoscenze tecni-che, in ogni ambito lo osservo improvvisarsi (spesso con grande coraggio!) idraulico, tecnico …. e questa volta in-stallatore di un impianto di dissalazione dell’acqua. Dopo aver comperato i materiali in città, si è provvedu-to all’esecuzione dell’impianto, pompe, cisterne, impian-to idraulico ed elettrico, tarature e prove. Dopo giorni di lavoro è stata una gioia constatare il corretto funziona-mento dell’impianto e notare che la qualità dell’acqua era ottima. Sono stati eseguiti lavori di interramento cavi e tubi predi-sponendo per il futuro l’allacciamento della linea elettrica;

si è pure predisposto il gruppo elettrogeno e l’impianto a gas della cucina. In questi giorni, a stretto contatto con gli operai e soprat-tutto con Malaika e con suo marito Roger, ci è stata data l’occasione di riscoprire il valore ed il piacere dell’amicizia autentica e dell’accoglienza, dell’umanità.Per quanto mi riguarda mi sono adoperata per aiutare i ra-gazzi a sistemare i materiali scaricati dal container giunto a destinazione dopo un lunghissimo viaggio, ma ho trova-to anche il tempo per rilassarmi, perdermi nelle viuzze di Stone Town dove si sorgono palazzi signorili e moschee, inebriarmi di profumi di spezie e di colori del mercato Da-rajani, godermi l’incanto delle infinite sfumature di azzur-ro che il mare offriva e la meraviglia di tramonti indimen-ticabili. Siamo rientrati a casa desiderosi di riabbracciare i nostri fi-gli che per questo viaggio, come per i precedenti, abbiamo lasciato a casa; ma questa volta, confesso, che abbiamo provato quasi un dispiacere nel ritornare.Sì, perché ho sempre associato la nostalgia ad elementi o sentimenti legati alla casa, al luogo dove persone e si-tuazioni ci sono familiari e ci accolgono a braccia aperte, ma ora mi accorgo che “casa” è uno stato d’animo carat-terizzato da un’atmosfera di pace e pienezza che qui ho conosciuto.Ho vissuto una sensazione in bilico tra la tristezza e la pie-nezza. Tristezza per esserci allontanati da un’isola da so-gno, viva nella pienezza di colori, profumo di spezie, sole, risate e abbracci…; per aver lasciato questo magico luogo e soprattutto i nuovi amici, Malaika e Roger, che ci hanno accolti con grande affetto e che oggi ci mancano come fratelli.Pienezza nel rivivere il ricordo di ciò che è stato, la bellis-sima esperienza che abbiamo vissuto e che ci auguriamo di poter riassaporare al più presto,… questa volta per una vacanza vera!

NUOVO VIAGGIO E NUOVA ESPERIENZAAncora una volta Riccardo, esperto e abile elettricista, è venuto in soccorso della S.O.S., ancora una volta accompagnato da Monica che lo coadiuva offrendo generosamente la sua collaborazione.

Settembre 2016

Monica e Riccardo

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Monica e Riccardo all’Ujamaa Beach Resort

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In Libia, a partire da marzo 2016, si è insediato a Tripoli un governo di “Accordo Nazionale Riconosciuto”, presieduto da al Sarraj, che ha autorità sull’Ovest del Paese; esso è sostenuto dall’Onu,ma non ha ancora ottenuto l’appoggio della Camera dei Rappresentanti di Tobruk e del generale Haftar, capo delle forze armate laiche di Bengasi.Attualmente è sempre più chiara l’opposizione tra queste fazioni: lo scenario futuro più realistico consiste in una spartizione del paese in più regioni unite solo da accordi commerciali. Un ritorno forzato all’unità passerebbe solo per le armi, in uno scontro frontale tra le forze di Tripolitania e Cirenaica.In questo momento le forze filogovernative sono impe-gnate nella battaglia contro lo Stato Islamico nei territori di Sirte con l’appoggio di Stati Uniti, Francia, Gran Breta-gna, Italia, paesi impegnati con varie modalità.L’Isis fin dal 2015 aveva conquistato un vasto territorio a sud e a est di Sirte, una città a 450 km. da Tripoli, che è diventata una base importante da dove l’organizzazione ha lanciato attacchi alla Tunisia e all’Egitto.La battaglia che si sta svolgendo per liberare completa-mente Sirte dal controllo jihadista, è intensa e ostacolata da continui attacchi suicidi e da un grande uso di mine da parte dei miliziani dell’Isis, cosa che rende problematico anche il rientro della popolazione nei territori già liberati.

Nel Sud Sudan, lo Stato più giovane del mondo (nato cin-que anni fa), è in atto il conflitto interetnico tra le truppe del presidente Salva Kiir (etnia Dinga) e i ribelli del vice-presidente deposto, Riek Machar (etnia Nuer). A quasi tre

anni dall’inizio della guerra civile gli sfollati sono quasi due milioni e nel Paese più di quattro milioni di persone “fanno la fame”.

La Nigeria continua a essere insanguinata dalla ferocia dei fondamentalisti di Boko Haram. In sette anni 2 milioni e mezzo di civili sono stati costretti a fuggire in altre zone del Paese o negli stati confinanti. A pagare il prezzo più alto della violenza sono le donne e i bambini.Recentemente, dopo più di due anni e mezzo, sono state restituite alle loro famiglieventuno delle oltre duecento ragazze rapite dai militanti di Boko Haram.Alcune di loro sono incinte e non osiamo immaginare qua-le possa essere stato il trattamento subito in questo lungo periodo.Nello Stato del Borno, roccaforte dei terroristi, i minori sono usati per attentati kamikaze e moltissimi bambini soffrono di malnutrizione. Nella Repubblica Centrafricana metà della popolazione è ridotta alla fame a causa del conflitto, esploso nel 2013 tra i ribelli musulmani del Saleka e i cristiani, che ha stre-mato il Paese.Dopo un periodo di relativa tregua seguita all’elezione del Presidente Touadera, da luglio il Paese e ripiombato nella spirale della violenza.Spesso per i minori l’alternativa per sopravvivere è imbrac-ciare un kalashnikov ed entrare nel sempre più vasto eser-cito di bambini soldato.

GUERRAIN AFRICAIn Africa continuano guerre che, anche se non ricordate dai nostri media, causano in molti paesi lutti, fame, distruzioni. Tra questi ricordiamo la Libia, il Congo, il Sud Sudan, la Nigeria e la Repubblica Centroafricana.

31Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

Nella Repubblica Democratica del Congo sono state rinviate ad aprile 2018 le elezioni che dovevano aver luogo il 27 novembre 2016.Questa mossa ha aumentato le tensioni dell’opposizione, che accusa il Presidente Joseph Kabila di non voler cedere il potere; già si sono verificati a Kinshasa, la capitale, vio-lenti scontri con la polizia che hanno provocato un numero imprecisato di morti.Nella zona del nord-est del Paese, il Kiwu, fin dal 2004 sono in corso pesanti scontri tra le truppe governative e le forze della Liberazione del Ruanda e altri gruppi di ribelli.Solo a Beni, una città di questa zona, in questo ultimo pe-riodo sono avvenuti massacri e almeno 50 persone sono state uccise per mano dei ribelli ugandesi.Per meglio capire quale sia la situazione in questa parte del Congo, pensiamo sia utile pubblicare il discorso che l’ex ministro dell’integrazione, Cécile Kienge, ha tenuto ultimamente all’Europarlamento a Bruxelles.

BRUXELLES – “Oggi sono Beni”. Comincia così l’intervento ‘poco ordinario’ dell’eurodeputata Cecile Kyenge (Pd) che, traducendo in italiano lo slogan ‘Je suis Beni’, si è idealmente identificata con la città del nord-est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove da un anno e mezzo sono in corso scontri fra gruppi etnici per il controllo di un territorio ricco di minerali.

Davanti alla plenaria del Parlamento europeo, Kyenge ha parlato in prima persona a nome delle donne violentate nella regione. “Per-ché non ho chiesto a mio marito di accompagnarmi? Perché non ho deciso di far parte di quegli oltre 400mila connazionali che hanno lasciato il paese proprio per sfuggire a queste vio-lenze?”

Sì, ma per andare dove? In Europa, in Sudafrica? – si è chiesta l’eu-rodeputata – E se poi ci avessero rispedito indietro, dicendo che non siamo titolari di protezione internazionale, dove saremmo ritornati, a Beni?”

“Però in fondo è un bene che fossi sola, così la mia famiglia è al sicuro, almeno per il momento. E poi ho risparmiato loro uno spettacolo disumano, queste bestie non si sono limitate a violentarmi, hanno infierito con lame e rastrelli e poi hanno completato l’opera bruciandomi. Ero ancora cosciente ma non ho avuto paura, ho pensato a voi, ai miei bambini, e tutto è fi-nito in un attimo”, ha continuato Kyenge, che ha concluso: “Cari colleghi, da ottobre 2014 a marzo 2016 nei territori di Beni, Lubero e Butembo 1200 persone sono state massacrate nell’indifferenza generale. Il rischio è il genocidio. È una vergogna. Nessuna impunità per i responsabili di questi massacri. A quando la giustizia?”.

Il gruppo S&D si è già fatto promotore di una risoluzione sui massa-cri nella regione Est della RDC, che chiede alla comunità internazio-nale, presente con la missione dell’ONU Monusco, di non assistere inerte ai massacri.

Sonia C.

ANSA EUROPA

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LE MODIFICAZIONI CLIMATICHE, I RIFUGIATI AMBIENTALI E IL PROGETTO EBA DELLA BANCA MONDIALESecondo l’Unhcr (organismo dell’ONU per i rifugiati), entro il 2050 ci saranno circa 250 milioni di rifugiati ambientali, una media di 6 milioni all’anno di persone costrette a emigrare a causa degli effetti dei cambiamenti climatici, cioè siccità, alluvioni e altri disastri ambientali.

33Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

Questi fenomeni colpiscono duramente l’Africa orientale e del Sud. In Etiopia si parla della peggior crisi alimentare degli ulti-mi 30 anni: la siccità ha distrutto i raccolti e il bestiame è stato decimato dalla mancanza d’acqua, per cui si stima che circa 10 milioni di persone siano bisognose di assisten-za alimentare. Stessa situazione si registra nei paesi vicini, Somalia, Eritrea, Sud Sudan, Gibuti, alcune aree della Re-pubblica Democratica del Congo e dell’Uganda e in tutta l’Africa meridionale, compreso il Sudafrica, dove i raccolti sono diminuiti di circa il 30% ed il Madagascar, dove la FAO stima che l’80% della popolazione sia a serio rischio carestia. In tutta l’area circa 50 milioni di persone si trovano in con-dizioni di insicurezza alimentare, mentre milioni di profu-ghi ambientali sono costretti a lasciare i propri villaggi; per ora si tratta per lo più di “sfollati interni”, per cui la cosa ha interessato poco i media occidentali.Le strategie messe in opera fin qui dai paesi cosiddetti svi-luppati, per sostenere i paesi in difficoltà nella produzione di cibo, in realtà stanno aggravando il problema.Sono stati infatti incoraggiati gli interventi di grandi com-pagnie private, con l’obbiettivo di consentire ai paesi po-veri di competere sul mercato globale, anziché garantire la sicurezza alimentare. Interventi che hanno favorito i grossi investimenti, tipo il land grabbing (accaparramento delle terre), delle multinazionali del settore, a scapito della pro-duzione su piccola scala e dell’autosufficienza alimentare delle popolazioni ed a scapito anche della libertà di de-cidere sul proprio sviluppo agricolo da parte dei governi.Citiamo come esempio significativo il progetto EBA (Enabling the Businessof Agricolture, dare il via al business dell’agricoltura) della Banca Mondiale, finanziato da un fondo di circa 15 milioni di dollari, cui hanno contribuito 5 grossi donatori: Stati Uniti (470.000 $), Danimarca (3,5 milioni), Olanda (1,5 milioni), Regno Unito e Fondazione Bill e Melinda Gates (4,5 milioni ciascuno).EBA incoraggia e finanzia i paesi che nel 2015 hanno segui-to i seguenti principi:

• facilitare l’intervento diretto delle multinazionali nella diffusione di sementi da loro messe a punto e brevettate (OGM);

• proteggere gli interessi delle multinazionali con una legislazione favorevole;

• minimizzare o abolire le tasse di importazione sui fertilizzanti chimici (prodotti da altre multinazionali del settore);

• indirizzare gli investimenti alla produzione agricola per l’esportazione, considerando il cibo come un bene di scambio, sempre a vantaggio dei grandi investitori.

In sostanza le multinazionali dell’agrobusiness sono l’ele-mento chiave delle politiche di sviluppo agricolo suppor-

tate dalla Banca Mondiale, politiche che impongono ai paesi “beneficiari” cambiamenti strutturali devastanti per la maggior parte dei contadini africani e per la sicurezza alimentare delle popolazioni.Risorse strategiche come i terreni più fertili e l’acqua ven-gono usate per produrre cibo per esportazione, mentre ai piccoli e piccolissimi produttori vengono lasciati terreni residuali sempre meno produttivi, per via dei cambiamenti climatici.Si cerca di rendere gli agricoltori dipendenti da sementi brevettate e da fertilizzanti, entrambi costosi ed inquinan-ti, mettendo così in crisi l’agricoltura familiare – che non ha i mezzi per procurarseli - e rendendola più vulnerabile alle intemperanze climatiche.Vengono disincentivate, ed in qualche caso proibite, le pratiche tradizionali di selezione, conservazione e scambio delle sementi, da una parte impoverendo la biodiversità del pianeta e dall’altra riducendo la possibilità di disporre di diversi tipi di raccolto, possibilità che aiuta le comunità rurali a resistere alle crisi climatiche.Da notare infine che le grandi aziende multinazionali pro-duttrici di riso, soia, mais e olio di palma sono responsabili di una quantità di emissioni di gas serra superiore a quella prodotta da qualsiasi altro paese al mondo, tranne USA e Cina (dossier “A qualcuno piace caldo: così l’industria ali-mentare nutre il cambiamento climatico” Oxfam 2016).La produzione agricola intensiva e gli allevamenti intensivi, in quanto responsabili di almeno il 25% delle emissioni di gas serra a livello globale, forniscono un buon contribu-to ai cambiamenti climatici, cioè all’intensificarsi di quei fenomeni estremi, come siccità, alluvioni, tifoni, ecc., che colpiscono soprattutto i piccoli contadini e l’agricoltura familiare. Nello stesso tempo le politiche messe in atto dagli orga-nismi e dagli investitori internazionali per contrastare gli effetti delle crisi climatiche beneficiano le multinazionali agroalimentari che di tali crisi sono una concausa, a dan-no ancora una volta dei piccoli contadini. Questi ultimi da una parte vengono schiacciati fra gli accordi commerciali e le leggi del mercato e dall’altra subiscono le conseguenze delle calamità naturali. Conclusione: sono costretti a ven-dere la terra e ad emigrare.

In tale contesto è importante incoraggiare e finanzia-re i progetti che mirano ad uno sviluppo agricolo so-stenibile, che vede protagonisti i piccoli coltivatori e l’agricoltura familiare, per la produzione di cibo sano e magari biologico, che sia prima di tutto consumato sul posto, contribuendo quindi alla sovranità alimentare, alla tutela dell’ambiente ed alla conservazione della biodiversità.

Patrizia

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IL PRIMO SACERDOTE MASAI MISSIONARIO DELLA CONSOLATAÈ stato un momento molto affascinante, carico di fede e di emozione, ritornare nella valle dell’Usango, nei luoghi che hanno assaporato il sudore dei missionari della Consolata che con passione hanno evangelizzato queste terre fino agli inizi del 2000.

Questa volta, però, siamo ritornati per ricevere un dono eccezionale: due sacerdoti e un diacono, missionari della Consolata. I preti sono “novelli” e si chiamano Obadia Pa-raboy Ole Kaney e Heradius MBEYELA, mentre il diacono si chiama William Wema Meta.La mattinata del 6 ottobre 2016, i missionari della Conso-lata, provenienti da diversi luoghi, il clero locale, le suore e i fedeli hanno riempito la nuova grandiosa chiesa par-rocchiale di Mbarali, nella regione di Mbeyam, diocesi di Iringa. I due preti provengono dalla valle dell’Usangu, dalle parrocchie di Mbarali (un tempo parte di Ujewa) e di Cho-si. Il diacono proviene dal nord, nella diocesi di Mbulu.Oltre ai circa 60 sacerdoti presenti, ha concelebrato l’Euca-restia anche il nostro confratello Mons. Evaristo Chengula, vescovo di Mbeya. La liturgia dell’ordinazione diaconale e sacerdotale è stata presieduta dal Mons. Tarcisio Ngala-lekumtwa, vescovo di Iringa. Una liturgia ben organizzata, con canti e danze al ritmo dei tamburi.

Baba Godfrey MsumangeSuperiore regionale a Iringa

Naturalmente gli occhi di tutti erano puntati sui genitori e parenti di padre Obadia, primo missionario masai della Consolata. Essi erano nella prima fila a seguire da vicino la celebrazione liturgica, per tanti di loro primo evento nella storia. “Qui Dio è sceso davvero”, una esclamazio-ne venuta fuori da uno degli anziani masai, assistendo a questa lunga liturgia dell’ordinazione sacerdotale. Altri, non finivano di piangere per le emozioni grandi, vedendo per la prima volta da quando mondo è mondo, un giovane masai diventare sacerdote missionario della Consolata! È la benedizione grande del Signore che si ottiene proprio nell’ottobre missionario.Viva il mese missionario!!

Tanzania

Il primo missionario Masai

LA S.O.S. E I SUOI RAPPORTI CON GLI ENTI DEL TERRITORIO CSV - Centro del Volontariato e della Solidarietà di Padova e Provincia

Università

Il CSV è una istituzione fondamentale per le associazioni di volontariato sul nostro territorio. Offre servizi di consu-lenza nel campo amministrativo – legale, organizza corsi di formazione, tiene i contatti con le varie amministrazioni comunali, con la regione e le associazioni. Ogni anno or-ganizza la Festa del Volontariato nelle piazze cittadine. La S.O.S. partecipa puntualmente a questa importante ini-ziativa. Un altro momento “alto” del CSV è “La Giornata del Volontariato” che si svolge in dicembre in concomitan-za della ricorrenza dell’anniversario della “Carta dei diritti umani”. In questa occasione il CSV propone degli inter-venti nelle scuole con l’intento di sensibilizzare i ragazzi e gettare il seme per la diffusione del volontariato.

Tanti studenti delle superiori colgono questa opportunità per fare uno stage in una associazione o in una coopera-tiva.

Attualmente l’interazione della S.O.S. con il territorio uni-versitario padovano si è concretizzato in particolar modo nello spazio aperto ai giovani per periodi di stage e volon-tariato, dando loro modo di condividere e scambiare buo-ne pratiche e esperienze sulla cooperazione allo sviluppo e sulle relazioni internazionali.

È molto importante per la nostra realtà avere l’occasio-ne di relazionarsi con studenti che collaborano con noi, perché così anche la nostra associazione può aggiornarsi, migliorare e dare spazio a nuove idee che si rivelano per lo più molto positive. A tale scopo, già dal 2008 la S.O.S. ha avviato una proficua collaborazione con l’Università di Padova . Grazie al Servizio Stage e Career Service abbiamo fatto conoscere la nostra realtà ad un’ampia platea, rice-vendo in breve tempo numerose richieste di tirocinio da parte di studenti iscritti ai corsi di laurea in Cooperazione allo sviluppo e Relazioni internazionali dove è previsto un pacchetto di ore obbligatorie di stage.

Attualmente, uno stagista di nome Francesco ha appena iniziato le sue 220 ore.

Comune di Padova - Assessorato alla Cooperazione internazionale

La S.O.S. collabora con l’Assessorato da tantissimi anni. C’è una bellissima novità: abbiamo vinto il bando del Co-mune per la Cooperazione Internazionale con un contribu-to di 10.000 euro per l’installazione di pannelli fotovoltaici nella Scuola professionale Pedrollo ( R.D.C.) Segue descri-zione del progetto.

L’Assessorato ha organizzato per il 17 novembre 2016 presso la Sala Carmeli un convegno sul tema “L’Africa e e il suo futuro di industrializzazione”. È stata invitata anche Sonia Bonin, Presidente della S.O.S.

Eva

Francesco, il nostro stagista

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PROGETTI S.O.S. Tanzania

Resort Ujamaa di Makunduchi (Zanzibar)Ed eccoci arrivati! I primi di dicembre inaugureremo i do-dici bungalow. Saranno pronti ad accogliere i turisti che vorranno fare l’esperienza di un approccio diverso ed affa-scinante con la realtà zanzibarina più pura e vera.Infatti, il nostro, sarà un villaggio che promuoverà un turi-smo attuato secondo principi di giustizia sociale ed econo-mica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Un tipo di turismo che riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nel-lo sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabi-le del proprio territorio.

Non solo, come già ben sapete, tutti gli introiti saranno destinati ad altri progetti di cooperazione, ma noi lavore-remo solo ed esclusivamente con e per la popolazione del paese ospitante.

Questo significa che tutti gli “attori” di un’esperienza di turismo con noi, e quindi “il turista”, l’”organizzatore” e la comunità locale ospitante, dovranno essere consapevoli di essere ognuno, per ciò che lo riguarda, coinvolto in un rapporto che non dovrà essere “focalizzato” sulle esigen-ze solamente dell’uno o dell’altro, o nel quale le esigenze dell’uno prevarranno su quello dell’altro…, bensì in una dinamica complessa in cui tutti dovranno rispettare, pre-

servare (ed a volte ideare ex novo) gli equilibri funzionali ad una sana, sostenibile e redditizia sopravvivenza degli altri protagonisti dell’esperienza turistica.Tutto questo, ovviamente, anche inserito in un discorso di rispetto dell’ambiente e della natura. Come noi abbiamo costruito rispettando criteri architettonici e materiali lo-cali, vorremmo che il turista non lasciasse segno inquinan-te del suo passaggio.

Organizzeremo escursioni con guide locali dove si potrà scoprire la vita quotidiana del luogo, oltre, ovviamente, ammirare le bellezze naturalistiche di flora e fauna della meravigliosa isola tropicale.Offriremo un’esperienza un po’ diversa dal tipo di turismo normalmente proposto a Zanzibar, ma molto più vicina al senso del viaggio inteso come conoscenza e apertura: allo scoprire, al diverso, e a volte anche all’inaspettato.

Un invito all’abbandono delle abitudini e dei bisogni pre-confezionati, delle aspettative da catalogo patinato “all inclusive”. Un invito a mettersi un po’ in gioco, a riscopri-re la semplicità e la ricchezza offerte dal contatto con le persone che vivono, lavorano, si costruiscono un futuro in questo luogo, e con i ritmi naturali che lo caratterizzano.Un invito a conoscere davvero, da vicino, la vita di questo piccolo, magico angolo d’Africa!!!

Malaika GiovanniniResponsabile del villaggio

Tra i bungalow dell’Ujamaa Beach Resort

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Repubblica Democratica del Congo

Progetto avicolo diMakalala

La Scuola Professionale Pedrollo

Il progetto avicolo in Tanzania, condotto dai tre ragazzi orfani usciti dall’orfanotrofio di Tosamaganga, stenta a decollare.Makalala: si trova nell’Africa nera, ben al di sotto dell’E-quatore e qui le stagioni sono opposte alle nostre. Noi siamo stati ad agosto, durante l’inverno australe, e il ter-mometro di notte scendeva anche a 3°.Abbiamo cercato di capire quali potevano essere le cause della moria di un numero consistente di pulcini, avvenuta un paio di mesi prima del nostro arrivo e ripetutasi di re-cente, e abbiamo appurato che la causa principale potreb-be essere il freddo.Tutto ciò ha comportato una diminuzione delle vendite e quindi dei guadagni. In questi ultimi mesi i tre ragazzi dormono a turno in que-sto stabile alimentando il fuoco dei bracieri per mantene-re caldo l’ambiente durante tutta la notte.Ora, abbiamo dato il via per realizzare il controsoffitto e successivamente provvederemo ad installare dei pannelli solari per garantire un ambiente caldo anche durante la notte. È stato inoltre aggiustato l’autoveicolo, indispen-sabile per il trasporto di polli e uova, acquistato un paio d’anno fa usato; è stato messo un nuovo motore.Speriamo che tutto prosegua senza altri intoppi!Anche questo progetto non può essere lasciato morire!

Il Nostro Motto è :”Lavoro e Disciplina”.Il Nostro Obiettivo è: “Eccellenza e Differenza”.

È risaputo che la RDC è uno stato in cantiere, carente di ri-sorse umane qualificate, con un alto tasso di disoccupazio-ne della gioventù. Considerando l’importanza dei giovani nello sviluppo e nella crescita del proprio paese, è parso opportuno offrire al territorio di Wamba un complesso professionale che avrebbe dato a molti la possibilità di ar-rivare una qualifica professionale.

Sulla scorta di tali considerazioni la Diocesi di Wamba, partner locale della S.O.S., richiese e ottenne nel 2009 l’autorizzazione del Governo congolese per la costruzione di una cuola che diventò nel giro di qualche anno, grazie al sostegno economico dell’associazione S.O.S. e al genero-so contributo del benefattore Silvano Pedrollo, un punto di riferimento per la formazione professionale in tutta la zona di Wamba. La Scuola professionale Pedrollo, inaugu-rata nel 2011 con quattro indirizzi didattici e 210 alunni, al giorno d’oggi conta oltre 500 alunni e gli indirizzi sono aumentati. Dopo il ciclo di Orientamento (1°e 2°), si può scegliere fra: Automeccanica, Edilizia, Falegnameria, Dietetica, Segreteria-Informatica, Biochimica.

Attualmente la struttura soffre di carenza energetica, poi-ché il consumo elettrico delle macchine professionali e delle aule didattiche è sempre maggiore e i generatori a diesel sono ormai diventati troppo costosi e non possono continuare a viaggiare a pieno regime senza incorrere in problemi strutturali.

Grazie al contributo del Comune di Padova abbia-mo avviato un nuovo progetto per impiantare nella struttura dei Pannelli Fotovoltaici finalizzati all’auto sostentamento della Scuola. Insieme a voi e al vostro sostegno continueremo a lavorare per dare un futuro migliore a questi ragazzi.

Progetto avicolo

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VITADELL’ASSOCIAZIONEMarcia della Speranza 2016

Questo appuntamento, ormai tradizionale, si presenta all’insegna dell’amicizia, dell’allegria, della collaborazio-ne di tante persone, ma il vero ispiratore e protagonista è John Mpalisa, il marciatore per la pace del Congo. Un grazie di cuore a lui e a tutti, organizzatori e partecipanti! La terza Marcia della Speranza (39esima Marcia di Pri-mavera) ha visto, il 15 maggio scorso, oltre 1000 iscritti, grazie anche alla disponibilità e alla solida fama “podisti-ca” del Gruppo Lo Scarpone, che ha organizzato la marcia insieme a Tumaini, inquadrata nell’ambito FIASP (la fede-razione italiana dei gruppi che organizzano manifestazioni ludico-motorie).Tutti i gruppi sono stati premiati, facendo passerella sul palco (si fa per dire, in realtà il cassone coperto di un ca-mion), presentati dalla bravissima Silvana del Gruppo Lo Scarpone.Primi in classifica, per il numero di iscritti, sono risultati il GPDS Albignasego con 30 partecipanti e il GP Croce Verde anch’esso con 30 iscritti, seguiti dal GP Monselicensi con 26 iscritti.Presenti anche numerosi insegnanti di scuole che hanno aderito alla campagna 3RCM (più Riciclo e meno Rifiuti generano Risorse per Cambiare il Mondo) o ad altre inizia-tive di Tumaini, il che fa ben sperare per una accresciuta presenza di studenti e scolaresche per una prossima edi-zione.Una bella mattinata di sole, dopo il nubifragio della sera precedente, ha favorito una buona partecipazione alla marcia, all’insegna dello sport, dell’amicizia, del correre insieme per testimoniare i valori universali della pace, del-la giustizia e della solidarietà.I percorsi proposti (6 - 12- 18 km), con partenza e arrivo presso l’Oratorio don Bosco (via Adria 2, Padova) hanno ricevuto un apprezzamento positivo da parte di molti par-tecipanti, specialmente per l’attraversamento del Parco del Basso Isonzo, e per la sosta alla Fattoria Lungargine.Nella zona di partenza/arrivo erano presenti anche alcune postazioni di associazioni che si occupano di volontariato sociale, tra cui quella della S.O.S., che proponeva, oltre a manifesti e stampati con illustrazione della propria atti-vità, oggetti etnici (collane, braccialetti, capi di vestiario) provenienti da paesi africani.Il magnifico gruppo musicale “Hakuna Matata” di Reggio Emilia ha intrattenuto i presenti nel corso del dopo-mar-cia.

John Mpaliza, leggendario marciatore italo-congolese che attraversa a piedi interi continenti per testimoniare le sof-ferenze del suo popolo e l’aspirazione ad un futuro di pace e di libertà, ha camminato sul percorso di 12 km, accom-pagnato da un manipolo di studenti in rappresentanza del liceo Galilei di Selvazzano, ed ha poi illustrato dal palco, con molto vigore, le “buone cause” per cui si batte.Un caloroso ringraziamento a quanti - singole persone, associazioni, gruppi, enti e aziende - ci hanno con gene-rosità aiutato a portare a termine “l’impresa”. Comples-sivamente nei diversi servizi richiesti dalla marcia (ristori, sorveglianza percorsi, iscrizioni, intrattenimento, deposito zaini, logistica, verifica e attrezzaggio percorsi e ristori, etc.) sono state impegnate oltre 100 persone. Una parti-colare citazione per il gruppi ANA (alpini) di Abano, e per gli scout di Sarmeola e di Abano che, come sempre, si sono prodigati.Per concludere va detto che tutto il ricavato, detratti i co-sti vivi, andrà a finanziare i progetti e le iniziative educative e umanitarie di Tumaini - un ponte di solidarietà.

Vittorino Tognana

John Mpaliza alla marcia della speranza a Padova

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Cosmas in Italia

Cosmas Boyekombo, responsabile del Centro Oftalmo-logico “Siloe” di Isiro (RDC), dopo molte difficoltà di tipo burocratico, nel mese di giugno è giunto in Italia, allo sco-po di prendere contatto con gli amici e le associazioni che lo sostengono, in primis la S.O.S. di Padova. Nella nostra città ha soggiornato a lungo, così noi soci abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo, di comprendere le tante diffi-coltà, soprattutto di tipo economico, che incontra nella gestione della clinica.È ripartito alla fine di settembre e durante questi mesi si è anche reso utile nella gestione della celebrazione delle Messe nella parrocchia di Santa Rita; il parroco, don Ro-meo, è rimasto molto coinvolto nei problemi che assillano Cosmas e, per aiutarlo, prima della sua partenza, ha orga-nizzato una raccolta fondi che ha dato buon esito grazie alla generosità dei parrocchiani.In occasione della sua permanenza in Italia, Cosmas si è recato a Fossombrone nelle Marche dagli amici Eleonora ed Eraldo, il regista che ha girato un documentario sulla clinica quando sono andati ad Isiro lo scorso gennaio. In occasione della visita di Cosmas hanno organizzato una serata per assistere alla prima del filmato. Lì Cosmas si è trattenuto una settimana.In agosto Cosmas ha collaborato con un ospedale vicino a Como dove ha svolto il ruolo di cappellano per quindi-ci giorni; nell’occasione ha conosciuto diversi medici che sono rimasti colpiti dalla storia della sua vita e gli hanno manifestato la loro soddisfazione nell’averlo conosciuto.Desiderava e sperava di andare in Belgio e in Germania dove dei suoi confratelli congolesi che vivono là gli aveva-no programmato degli incontri interessanti, ma purtroppo il permesso di soggiorno valido per altri paesi europei è arrivato dopo la scadenza del suo biglietto aereo. Gli auguriamo di cuore di riuscire quanto prima a realizzare questo suo progetto!

Sonia B.

Cosmas a Padova

Festa dei Popoli compie 25 anni

John Mpaliza, è attualmente impegnato in una delle sue imprese, una marcia di testimonianza e di sensibilizzazione, che è anche una richie-sta di aiuto, per cercare di fermare gli orribili massacri in atto a Beni (Nord-Kivu, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo). La marcia si svolge da Reggio Emilia (sua città d’elezione) a Bruxelles, sede dell’Unione Europea.A Bruxelles lo attende, l’8 dicembre prossimo, una delegazione, si spe-ra numerosa, di deputati del parlamento europeo. Chi può è invitato a essere presente a Bruxelles, all’arrivo, ed a sollecitare una partecipazio-ne attiva dei propri deputati europei di riferimento, per dare sostegno e risonanza all’iniziativa, approfittando anche del “Ponte dell’Immaco-lata” (8 - 11 dicembre). Per assistenza nell’organizzazione del viaggio gli interessati possono telefonare al n.3492342791 o scrivere a: [email protected]

Domenica 18 settembre 2016 l’associazione “Festa dei Po-poli” ha potuto festeggiare i suoi “primi 25 anni”, e, guardo caso, l’evento ha avuto luogo presso la sede dei Missionari comboniani.Vi chiederete il perché di “guarda caso”: ebbene la festa è nata proprio per iniziativa dei Padri comboniani 25 anni fa, allo scopo di “accogliere” i primi extracomunitari arrivati a Padova e dare loro e alla cittadinanza l’opportunità di fare festa insieme per conoscersi e per individuare le cose che uniscono in luogo di quelle che separano.Con il passare degli anni questa festa è diventata uno degli eventi del “sociale” a Padova, così l’associazione “Festa dei Popoli” ha chiesto al Comune il patrocinio e la concessio-ne di “Prato della Valle” per questa importante iniziativa. Fino all’anno 2014 Prato della Valle è stato luogo di in-contro tra persone di paesi dell’Est Europa, dell’Asia e dell’Africa: ottima occasione per le associazioni del terri-torio e la cittadinanza di stare insieme in amicizia, gustan-do cibi tradizionali, preparati al momento, guardando gli oggetti esposti nei banchetti, ballando, ascoltando musica etnica per poi unirsi alla “Preghiera interreligiosa”.Purtroppo la nuova giunta comunale non ha più voluto concedere questo spazio meraviglioso e animato, né un altro comunale; perciò si è tornati alle origini, dai Padri!È vero, quest’anno gli spazi erano ridotti, ma l’atmosfera di amicizia si sentiva. Per me è stata forse la festa più bel-la, sembrava di essere tornati indietro di 25 anni, quando la S.O.S. aveva allestito proprio in quella occasione per la prima volta un banchetto con gli oggetti africani, portati da Sonia dal Tanzania.

Carla

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Cosmas a Santa Rita Festa del volontariato25 settembre 2016

Il 22 settembre la S.O.S. ha voluto salutare l’abbé Cosmas prima del suo ritorno in Congo, organizzando una serata che è stata preceduta dalla celebrazione di una Santa Mes-sa.L’incontro, cui erano stati invitati anche i parrocchiani e che ha avuto l’onore della presenza del parroco, don Ro-meo, aveva prevalentemente lo scopo di sensibilizzare i presenti alle problematiche della Clinica Oculistica Siloe di Isiro (RDC); è stato, infatti, proiettato un breve docu-mentario che meglio delle parole ha illustrato le attività che il Centro svolge quotidianamente a vantaggio della popolazione locale. Dopo il filmato si è svolto un vivace e interessante dibatti-to, seguito da un gustoso buffet.

La tradizionale “Festa del volontariato” si è svolta come sempre nelle Piazze del centro di Padova; quest’anno la parola chiave era: “Spiazziamo”.Da poco tempo è stata varata la legge che prevede la ri-forma del Terzo Settore, così l’associazionismo padovano, in questa importante occasione, ha voluto dimostrare di essere pronto al cambiamento.“Spiazziamo” è quindi un inno al rinnovamento e sta a dire: “Siamo pronti a spiazzare, a mettere in luce le capa-cità di anticipare i tempi, una delle caratteristiche che da sempre caratterizza il mondo del volontariato”.“Spiazziamo” è anche un invito ad “allargarsi”, a “prendere spazio”, a non essere presente solo una volta all’anno nel-le piazze e nelle vie, ma ad occupare tutti i giorni dell’an-no gli spazi dedicati alla collettività e alla partecipazione, come associazioni ma anche come singoli cittadini.“Spazziamo” è infine un invito ad andare oltre le strade già tracciate, a trovare nuove vie e modalità per rendere sem-pre più efficace ed anche efficiente il servizio svolto a fa-vore del prossimo, della comunità. Come sempre, quindi, la Festa provinciale è anche l’occasione per dare la parola ai volontari delle associazioni e per lanciare un messaggio condiviso. Una Festa, sempre più collettiva e partecipata, che potrebbe chiedere, magari in futuro, spazi più ampi delle piazze del centro storico per presentarsi a tutta città e,in particolare, a tutti i Padovani, alcuni dei quali, forse, non conoscono questa realtà. La S.O.S. era presente an-che quest’anno con il suo banchetto, convinta che insieme si possa fare moltissimo, convinta del messaggio “spiazzia-mo”. Carlo, Ruggero, Sonia di Silvestre, Sonia Bonin, Da-niela e Carla hanno incontrato tante persone interessate ai nostri progetti, alle foto e al materiale illustrativo esposti nel nostro gazebo.Un grazie al Centro Servizi del Volontariato che da anni organizza questa festa, un grazie ai nostri volontari e a tutte le associazioni che hanno contribuito anche quest’anno alla riuscita di questo evento.

Eva

Carla

Daniela e la nostra stagista Bridget al banchetto S.O.S. alla Marcia di John Mpaliza

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Congo Week 2016Festa del volontariato25 settembre 2016

Odette Mbuyi si è molto impegnata, anche in qualità di congolese, per la riuscita di questo importante appuntamento che ha presentato con graziae simpatia.Mi chiamo Odette Mbuyi, sono congolese della Repubbli-ca Democratica del Congo e vivo in Italia da 19 anni.Domenica 16 ottobre, nella chiesa di S.Antonino di Pa-dova, ha avuto luogo un incontro organizzato dalle asso-ciazioni Tumaini e S.O.S.. L’evento si colloca all’interno di “Congo Week, un’iniziativa di portata internazionale nata dal “basso” nel 2008, per rompere il silenzio attorno a tut-to ciò che avviene nel grande Paese africano; da allora ogni anno viene ripetuta a metà ottobre con la partecipazione e la collaborazione di oltre 500 Università e Associazioni in più di 70 Paesi.Il popolo congolese sta vivendo momenti difficilissimi: oltre ai massacri che continuano a verificarsi nell’Est del paese, a causa delle ricchezze minerarie della zona, oggi le basi della democrazia sono messe in gravissimo pericolo dall’intenzione del presidente Kabila di rimanere al potere a tutti i costi e di non volere far svolgere le elezioni, violan-do in questo modo apertamente la costituzione.Questa iniziativa ha avuto come ospite d’onore l’euro-parlamentare Cécile Kyenge che è molto impegnata per promuovere la conoscenza reciproca delle culture e svi-luppare percorsi di sensibilizzazione, integrazione e coope-razione tra l’Italia e l’Africa.

Odette Mbuyi

Cécile Kyenge, nata Kambove, nella provincia congolese del Katanga, da una famiglia benestante, dopo le superiori decise di intraprendere gli studi di medicina e chirurgia all’università; nel 1983 aveva ottenuto una borsa di studio per frequentare medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che poi non le fu assegnata.Venne allora in Italia e si stabilì in un collegio di missionarie laiche a Modena, lavorando come badante e poi come commessa per mante-nersi. Si laureò in medicina alla Cattolica di Roma per poi specializzarsi in oculistica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.Acquisita la cittadinanza italiana in seguito al matrimonio con un inge-gnere italiano, nel 2002 fondò l’associazione DAWA (in lingua swahili: magia, medicina, star bene); dal settembre 2010 è portavoce nazionale della rete “Primo Marzo” che si occupa di promuovere i diritti dei mi-granti. Ha promosso e coordinato il progetto AFIA per la formazione di medici specialisti in Congo. Tramite il progetto “Diaspora Africana”, di cui è stata coordinatrice per il Nord Italia, si è impegnata nella promo-zione della piena cittadinanza degli immigrati.Nel 2013 le viene conferita la cittadinanza onoraria dei comuni di Ter-zigno, Roccella e di Alcamo.Nel 2004 inizia la sua carriera politica a Modena, diventando la re-sponsabile provinciale del Forum Della Cooperazione Internazionale per i Democratici di Sinistra; in seguito ricopre altre cariche, sempre per questo partito. Nel 2013 è eletta deputato alla Camera per il PD; subito dopo l’elezione al Parlamento promuove con altri firmatari una proposta di legge sul riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul suolo italiano (Jus soli)È stata ministro dell’integra-zione ed attualmente è parlamentare europea.

L’On. Kyenge e Sonia

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Francesco CarraroStagista presso la S.O.S.

Castagnata del 6 Novembre 2016

Eccoci di nuovo qua in uno dei periodi più suggestivi dell’anno, per condividere insieme ai nostri amici di sem-pre un caloroso abbraccio immersi nella fredda e pungente nebbia autunnale! Nonostante vi fossero molteplici preoccupazioni di natura atmosferica prima della conferma definitiva dell’incontro, siamo riusciti ad evitare la pioggia battente dei giorni pre-cedenti e quindi ad organizzare il consueto evento della Castagnata di inizio novembre. I volontari hanno dato un notevole contributo nel corso di tutta la giornata, che già in mattinata risultava in piena attività dato che la vendita dei dolci è iniziata subito dopo la celebrazione delle San-te Messe. Non possiamo non nominare le doti pasticciere delle gentili signore della S.O.S. che ci hanno portato tanti ottimi dolci molto apprezzati dai parrocchiani. Nel primo pomeriggio sono iniziati senza indugio i prepa-rativi: la Presidente e gli altri volontari hanno coordinato il lavoro dividendosi le mansioni da svolgere prima dell’ar-rivo dei primi fortunati degustatori. Una volta imbandi-te le tavole con le bevande calde, i dolci avanzati dalla mattina e i gadget della “S.O.S.”, siamo arrivati al pezzo forte: l’accensione dei fuochi per la cottura dei marroni. Prima dell’inizio della vendita dei sacchetti bollenti ai no-stri ospiti, si sono presentati i membri dell’associazione “El Filò”, giunti appositamente per allietare il pomeriggio con i loro balli tradizionali e le loro musiche etniche e folklo-ristiche. Malgrado la scarsa affluenza iniziale non ci siamo persi d’animo e abbiamo continuato nel nostro lavoro alla cassa e alla preparazione delle caldarroste, condotta con maestria da Gigi, Carlo e Michele. Un sincero ringrazia-mento è dovuto a Carla che per tutto il pomeriggio ha ge-stito la preparazione e la distribuzione dei pacchetti pieni di castagne cotte. Verso le cinque il richiamo della musica e lo sfrigolare del fuoco hanno attirato numerosi passanti che, vedendo al-tre persone intente a mangiare, non hanno resistito alla tentazione di acquistare un sacchetto o di unirsi ai giovani ballerini membri di “El Filò”. I più piccini hanno deciso di combattere il freddo con la cioccolata calda di Graziel-la mentre gli adulti hanno optato per un bicchiere di vin

brûlé di Mario. Non possiamo nascondere che non proprio tutti sembra-vano contenti della cottura, di fatto alcune castagne ri-sultavano bruciacchiate, ma ai più brontoloni sono state prontamente donate delle castagne cotte a regola d’arte. D’altronde vogliamo che la gente conservi un buon ricordo del nostro lavoro e delle nostre feste, nella speranza di poter sensibilizzare il loro animo alla nostra causa o sem-plicemente nella speranza di poter contare sulla loro par-tecipazione alle nostre attività locali future! Durante l’attività abbiamo potuto apprezzare l’allegria dei numerosi partecipanti, ma anche dei nostri soci più attivi, come Eva che si è lasciata andare nel turbinio delle danze in mezzo alla piazza. Fino alle sette di sera Mario e Paolo hanno continuato a servire bicchieri ricolmi presso lo stand delle Bevande contribuendo non poco al perfetto svolgimento della Ca-stagnata. Come una vera famiglia, tutti sono rimasti fino all’ultimo per aiutare a smontare la sistemazione certosina del primo pomeriggio, ma nel mentre si è colta l’occasione per tirare le somme della giornata e per consumare le ulti-me caldarroste in compagnia; i più fortunati hanno potuto portare a casa i pacchetti avanzati per i propri familiari.Che dire? Un grazie di cuore a chiunque si sia fatto carico dell’iniziativa e a tutte le persone che hanno apprezzato la nostra festa! Con umiltà rinnoviamo l’invito per l’anno venturo, garantendo che nel corso del periodo natalizio riusciremo senz’altro a darvi nuove gioie con i nostri pros-simi incontri.

Musica con il gruppo IL FILÒ alla castagnata della SOS

43Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

I Pollicini Ciao Dino!

Domenica 4 dicembre alle ore 15,45, nella Chiesa di Santa Rita, ha avuto luogo “Un pomeriggio di musica per la soli-darietà senza confini”.I bravissimi giovani allievi del Conservatorio Pollini di Pa-dova si sono esibiti davanti a un pubblico numeroso che ha molto apprezzato le loro esibizioni.Il ricavato verrà devoluto interamente al progetto “Clinica Oftalmologica “Siloe” nella Repubblica Democratica del Congo, una struttura che rappresenta l’unica possibilità di cure oculistiche per tutta la regione.

Recentemente ci ha lasciato un nostro carissimo e fede-lissimo socio, Dino Forza.

Il suo cognome ha rappresentato il simbolo della sua personalità, ma a questa caratteristica vanno aggiunte quelle della bontà, della generosità. Ci mancherà!

Caro Dino, nonostante la partecipata cerimonia con la quale amici e parenti ti hanno tributato l’ultimo, commo-vente saluto, ancora ci riesce difficile accettare l’idea che non sei più fra noi, anche se la fede ci conforta al pensiero che ci sei comunque vicino. Infatti, noi della S.O.S. contavamo su di te, sulla tua di-sponibilità ogni volta che si verificava un’emergenza, come quella di portare a mano le lettere ai soci o, in occasione delle feste, quando con Annamaria accoglievi gli ospiti e controllavi i conti. E poi ci manca la tua allegria, la tua simpatia che portava sempre gioia intorno a te; ci manca la tua forza d’animo che ci era d’esempio nelle nostre difficoltà, pensando che tu avevi attraversato momenti molto peggiori dei nostri, a causa dei tuoi problemi di salute che hai sempre affronta-to con eroica accettazione.Solo ultimamente ti sei perso d’animo, quando ti ha sovra-stato un dolore troppo grande…..Conscio della gravità della tua situazione, con lucidità hai desiderato ricevere l’estrema unzione e te ne sei andato serenamente.Il tuo sorriso si è spento, ma rimane l’immagine che noi conserveremo di te!

Carla

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Letture consigliate

Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna:Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione

editori Laterza 2016

Gli autori di questo libro sostengono che la percezione conflittuale tra “noi e loro” è una realtà; ma sono realtà anche i processi di convivenza che funzionano. E di cui poco si parla. L’Islam “dialettale”, “rurale”, contribuisce a evitare gli attacchi terroristici. I costi della lotta alla clandestinità superano quelli per una immigrazione regolare.Stefano Allievi è sociologo e scrive tra altro per “Nigrizia”. Gianpiero della Zuanna è professore di scienze demografiche presso l’università di Padova e collega di Allievi.

Giuseppe CatozellaIl grande futuro

ed. Feltrinelli 2016

Le lacrime di Alì-Amal. Due ragazzi, un villaggio, un’amicizia, il gioco del nascondersi e del trovarsi, finché non li separa il grande boato (una mina), che l’esercito regolare e i neri si scambiano. Alì si sal-va grazie al cuore trapiantato di una bambina bianca, cristiana, così avrà dentro, per sempre, il cuore del nemico, e non si chiamerà più Alì, ma Amal, speranza, perché dice la mamma” se sei rimasto vivo, vuol dire che c’è una speranza”anche in fondo alla guerra e “quella speranza sei tu”.

Giuseppe CatozellaNon dirmi che hai paura

ed. Feltrinelli 2014

Storia di un ragazzino a Mogadiscio. Ha la corsa nel sangue. Ogni giorno divide i suoi sogni con Alì, che è amico del cuore, confidente e il suo primo appassionato allenatore.Giseppe Catozella è editorialista delle più grandi testate nazionali, scrittore (premio Strega), vive a Milano.

Rosemary NyirumbeCucire la speranza

ed. emi 2016

Rosemary Nyirumbe, la donna che ridà dignità alle bambine soldato. L’impegno straordinario di una suora per la pace in Nord Uganda a causa della violenze della guerra civile.Suor Rosemary Nyirumbe Ugandese, è una donna “contro” i signori della guerra, una suora che ha accolto e riscattato oltre 2000 ragazze schiave sessuali di sanguinari miliziani a causa della guerra civile in Uganda. Tiene conferenze sull’argomento in tutto il mondo; ha avuto, tra altro, il ricono-scimento dal parte della rivista “Time” come una delle cento donne più “potenti” nel mondo della solidarietà

Notiziario N.2/ 2016 - Dicembre

Michele ToccoliDa Tiarno (TN) all’Africa…per essere luce e sorriso agli uomini

Padre Franco Cellana ha dedicato la sua vita all’Africa. Era un grande e affezionato amico della S.O.S. Il libro non è in vendita nelle librerie; chi desiderasse acquistarlo può rivolgersi, tramite la S.O.S., alla famiglia di padre Cellana.

Domenico QuiricoEsodo, storia del nuovo millennio

ed. Neri Pozza 2016

Avrei potuto spiegare che voglio narrare di loro (dei migranti, ndr) nel momento in cui passano da una condizione a un’altra, durante il viaggio, quando scavalcano la Frontiera, non amministrativa e poliziesca, ma quella della propria condizione umana e diventano altri. Ma non avrebbero capito. Perché io sono un testimone. Io li guardo. Loro lo vivono”. (p.21)Domenico Quirico, giornalista e inviato de “La Stampa”.

Madre TeresaIl miracolo delle piccole cose

a cura di p. Brian Kolodiejchuk, ed. Rizzoli 2016

Il libro curato da padre Kolodiejchuk offre numerose istantanee (come quella su Hitchens, critico nei suoi confronti) della vita di Madre Teresa, proponendo continuamente il suo pensiero (citazioni dai suoi scritti, le sue preghiere, le lettere alle consorelle, interviste, interventi pubblici) e le testimo-nianze di chi le è stato vicino, suddividendo il materiale nelle sette opere di misericordia spirituale e corporale. Brian Kolodiejchuk vive a Roma, è missionario della Carità (l’ordine fondato da Madre Teresa di Calcutta) e postulare della causa di canonizzazione di quest’ultima.

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Silvano Pedrollo: ancora una volta, ha offerto un generoso contributo alla nostra associazione donando un generatore di corrente che è stato installato nel nuovo resort di Makunduchi a Zanzibar.

Carlo Cavalli: socio fedele e generoso, ha contribuito al progetto del Laboratorio occhiali di Isiro, recandosi personalmente ad installare i macchinari necessari; di recente ha donato astucci, lenti e una mola per occhiali. Svolge, inoltre, opera di sen-sibilizzazione e collabora con la nostra associazione tramite varie iniziative.

Giovanni Flores d’Arcais: in occasione del suo ottantesimo compleanno, ha invitato parenti e amici a donare alla nostra associazione il corrispettivo dei doni a lui destinati. Tramite questa generosa e speciale proposta, ha svolto opera di sensibilizzazione coinvolgendo molte persone in un’iniziativa benefica.

“Pedalando”: grazie all’iniziativa della presidente, Lorenza Belloni, ogni anno questa associazione destina una consistente somma per la realizzazione di un progetto S.O.S. Ultimamente ha offerto il suo contributo per l’acquisto di una macchina radiologica destinata all’ospedale delle “Petites Soeurs de l’Evangelisation” di Ibambi (RDC).

Don Romeo, parroco della Chiesa di Santa Rita: ha coinvolto i suoi parrocchiani nel sostegno alla Clinica Oftalmologica di Isiro (RDC), che svolge un’opera meritoria e che sta attraversando un momento di crisi per mancanza di fondi. La risposta è stata molto generosa.

Ceola Alessandra e Carlo Suitner: hanno elargito un contributo per il “Progetto Avicolo” di Makalala (Tz).

Renata Marcati, Mansutti Silvia, don Zenato e Bortolotti Liliana: hanno offerto un contributo alla Clinica Oftalmologica Siloe di Isiro (RDC).

Mauro Nerviani, e il coro “Work in Progres”: hanno fatto un’offerta per il Laboratorio ottico di Isiro.

Comune di Padova – Assessorato alle politiche sociali: ha offerto il suo partenariato per il progetto che consiste nell’instal-lazione di pannelli fotovoltaici nell’Istituto Professionale Pedrollo di Wamba. Contributo di 10.000 Euro.

La S.O.S. ringrazia di cuore soci, simpatizzanti, volontari che, in vario modo, collaborano con la no-stra associazione e ci sostengono nel coltivare i nostri ideali.

La S.O.S. ringrazia:

Ancora un premio per il filmUn giorno a Wamba! dal Festival internazionale City Montessori Schooldi LuckNow (India)

mini borsa di studio 70 euro

quota annua per materiale scolastico e divisa

scuola materna 170 euro

quota annua comprensiva di un pasto giornaliero

scuola primaria 220 euro

sostegno di un bimbo per la frequenza annualee assistenza sanitaria

scuola secondaria 350 euro

generalmente gli studenti sono a convitto nella scuola e si provvede all’acquisto di un sacco di mais, fagioli, riso ecc. Il primo anno vengono acquistati, oltre all’occorrente scolastico, anche il materasso, il secchio per l’acqua, le lenzuola.

sostegno universitario quota annua da 800 a 1200 euro

(dipende dalla facoltà e dalla sistemazione dello studente)A chi aderisce a questo tipo di iniziative saranno inviati la foto, i dati personali ed una breve storia dello studente che saranno integrati da aggiornamenti ogni qualvolta ce ne sarà la possibilità.L’associazione S.O.S. ha attivato questi sostegni in Tanzania, Perù, Uganda e Repubblica Democratica del Congo.

sostegno di un insegnante quota annua 500 euro per un docente nel Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo, nei luoghi dove gli insegnanti non percepiscono alcuno stipendio dal governo.

EMERGENZA ALIMENTARENel Nord-est della Repubblica Democratica del Congo la S.O.S. da anni lotta contro la malnutrizione tramite la realizzazione di 2 Centri nutrizionali (Mama Kahenga di Wamba e Gajen di Isiro) e il sostegno di altri due Centri (Matari e Ibambi) per mezzo dei quali vengono garantiti ai bambini pasti equilibrati con controlli sanitari periodici e cure; si provvede anche alla formazione delle mamme. La percentuale di guarigione dei bambini malnutriti è notevolmente aumentata.

Sostegno di un malnutrito 200 euro

Con l’aiuto economico e la dedizione amorevole di suor Marie Noel, congolese, della congregazione “La Sante Famille”, ogni bambino potrà crescere e vivere la sua infanzia, purtroppo negata a tanti bambini nel mondo.

SOSTEGNO ALLE STRUTTURE SANITARIEQuesta iniziativa è rivolta al reparto di Pediatria dell’Ospedale di Neisu (R.D.C.) e al “Centro Oftalmologico Siloe di Isiro” (R.D.C.). L’adozione di un letto negli ospedali copre le spese di ricovero e cura per tutti i bambini che ne avranno bisogno:

impegno semestrale 80 euro

impegno annuale 160 euro

sostegno di un infermiere 130 euro

Per sostegno a distanza (SAD) si intende un atto di solidarietà che si concretizza in un contributo economico periodico con il quale associazioni, ONLUS e ONG, provvedono alla sussistenza, frequenza scolastica, assistenza sanitaria o allo sviluppo economico di una persona o di un gruppo di persone. Qui di seguito sono indicate le forme di sostegno più comuni suggerite dalla S.O.S.; per altri tipi di interventi, rivolgersi direttamente alla segreteria (dal lunedì al venerdì ore 9:00 - 12:30).

TEGNO A DISTANZA

Il pagamento delle quote relative ai sostegni a distanza può essere effettuato anche tramite R.I.D – Rimessa Interbancaria Diretta. È sufficiente recarsi nella propria banca e dare l’incarico di accreditare sul conto dell’associazione l’importo, anche in rate mensili o semestrali.

La S.O.S. da 25 anni mantiene inalterate le quote dei vari tipi di sostegno, ma in molti casi esse non sono sufficienti a coprire le spese relative, per cui le varie offerte assumono la forma di contributo che viene integrato dall’associazione.

Ci impegniamo noi, e non gli altri;unicamente noi, e non gli altri;

né chi sta in alto, né chi sta in basso,Né chi crede, né chi non crede,

ci impegniamo,senza pretendere che gli altri si impegnino,

con noi o per conto loro,con noi o in altro modo

ci impegniamosenza giudicare chi non si impegna,senza accusare chi non si impegna,

senza condannare chi non si impegna,senza cercare perché non si impegna.

Il mondo si muove se noi ci muoviamo,si muta se noi mutiamo,

si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.La primavera incomincia con il nuovo fiore,

la notte con la prima stella,il fiume con la prima goccia d ’acqua,

l ’amore con il primo pegno.Ci impegniamo

Perché noi crediamo nell ’amore,la sola certezza che non teme confronti,

la sola che bastaa impegnarci perfettamente.

(Graffito munich)

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CI IMPEGNAMO

S.O.S. Solidarietà Organizzazione Sviluppo – ONLUS – Insieme ai Paesi del Sud del Mondo35126 Padova – Via Severi, 26 – Tel e Fax 049 754920 – Codice Fiscale 92064320283

www.sosonlus.org – [email protected]

Conto Corrente Postale n. 11671351Banca CARIGE IT80 V061 7512 1030 0000 0040 780

Banca Etica IT56 E050 1812 1010 0000 0100 641Nuovo Iban