Un altro mondo è possibile

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Il valore della memoria Riflessioni di un ragazzo choosy Diego Battistessa

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Non si possono uccidere le idee. Lasciate che le testimonianze dei personaggi raccolti in questo testo vi siano di ispirazione ... Buona lettura

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Il valore della memoriaRiflessioni di un ragazzo choosy

Diego Battistessa

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Anno 2013

Progetto grafico Massimiliano Regoli Grafica (Brescia)

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A tutti i Don Chisciotte, perché sappiano di non essere solie ad Alessio

Il valore della memoriaRiflessioni di un ragazzo choosy

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Ragazzo che sorridinon avverrà mai piùche resti senza solela nostra gioventù.

Il mondo di domaniconfini non avràed una mano biancala nera stringerà.

Spezzati cuore mioma solo per amoreSpezzati cuore mioma solo per pietà.

Fratello abbracciami,chiunque sia abbracciami,se sete un giorno avraila mia acqua ti darò.

Albano Carrisi Autori: V. Pallavicini - M. Theodorakis - 1968)

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IndicePrefazione pag. 9

Introduzione pag. 11

Capitano Thomas Sankara pag. 16

Don Milani pag. 24

Martin Luther King pag. 34

Nelson Rolihlahla Mandela pag. 42

Pepe Mujica pag. 46

Mahatma Gandhi pag. 52

Che Guevara pag. 56

Madre Teresa di Calcutta pag. 64

Tiziano Terzani pag. 74

Vik pag. 78

Bob Kennedy pag. 84

Salvador Allende pag. 88

Conclusioni pag. 95

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Prefazione

Senza conoscere il passato non si può costruire il futuro. Lo dicono in tanti, sembra un luogo comune, ma spesso finisce per prevale-re l’oblio. Dobbiamo invece ricordare perché ciò che abbiamo alle spalle, in ogni parte del mondo, è colmo di crudeltà e di ingiusti-zie. L’espressione “bei tempi antichi” è retorica. In qualche modo

oggi è meglio, l‘umanità cammina.I personaggi che Diego Battistessa ci presenta in questo libro furono fra

quelli che, coraggiosamente lottarono per la giustizia, l’uguaglianza, la pace, la voglia e la capacità di misurarci con il mondo. Per quanto mi riguarda, alcuni di loro furono a me coetanei, non appartenevano ancora alla storia quando li conobbi. Con i loro scritti, i loro incontri, le loro vicende ci hanno aiutato ad andare contro le rigide istituzioni, a volte anche contro i rigori dei genitori, contro le divisioni sociali.

Oggi certi diritti sembrano normali, ovvi, guai se non vengono concessi, ma lo sono diventati perché sono esistiti personaggi come quelli che parlano da questo libro.

L’augurio che faccio all’autore di questo volume è che si diffonda il più possibile fra i giovani da poco su questa terra e li spinga a conoscere, cercare, studiare a fondo la vita di chi ha permesso che oggi si parli di diritto di vivere in pace, diritto per tutti di studiare, di essere curati, di girare il mondo per imparare a vivere e, se possibile, diritto alla “ felicità”.

Franca Romè - Giornalista

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Introduzione

So che scrivo perché forse non so vivere… Così canta “Il professore” Roberto Vecchioni.

È proprio questa inadeguatezza sempre più penetran-te all’interno dell’anima che mi spinge a scrivere. Saper vive-re, sviluppare la consapevolezza di essere vivi, di essere qui ed

ora,semplicemente, spaventosamente. Non capisco, non ci riesco. Apro gli occhi e vedo il Mondo, un Mondo

che non sono capace di interpretare, un Mondo così lontano da ciò che, inge-nuamente, credo sia vivere… I pensieri si accalcano nella mente, tutto è così oscuro, tenebroso, confuso, caotico…

Impotenza è ciò che sempre più spesso provo, inquietante, drammatica impotenza di fronte all’orrido spettacolo che l’umanità non si stanca di offri-re. Allora leggo, documenti e libri,testamenti di menti illuminate, progres-siste, libere dalle catene della realtà, menti capaci di immaginare un Mondo diverso, un Mondo più umano.

Eccole le risposte dunque, racchiuse in quei libri, in quella cultura costata sangue, sudore e libertà, uomini e interi popoli, resi schiavi o trucidati per far giungere a noi il barlume di quella speranza, la fiamma di quella intima consapevolezza chiamata fratellanza.

Ma con ciò che leggo non trovo corrispondenza nella realtà dei nostri giorni… Ed ho paura…

Ho viaggiato molto… molto poco. Infiniti saranno gli angoli del mon-do sui quali non si sarà posato il mio sguardo, quando chiuderò gli occhi per l’ultima volta. Eppure il viaggio, iniziato molti anni or sono mi ha già arricchito e mi ha fatto scoprire quella fiamma, piccola ma ostinata, incredi-bilmente lucente, ma incapace di illuminare la tenebra nella quale versa oggi l’umanità. Ogni uomo su questa terra è mio fratello. Semplice riflessione, portatrice però di una terrificante forza, capace di sovvertire l’ordine mon-diale imposto oggi dalla civiltà dominante. Vi invito dunque a riflettere con me, a cercare di capire, insieme a questo piccolo uomo, cosa è stato fatto, cosa si può fare ma soprattutto cosa è stato dimenticato. Proprio da lì, da ciò che è andato perduto è necessario cominciare, perché la storia dovrebbe insegnare

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ai popoli a non ripetere i propri errori, purché loro ne conservino memoria.Pisa, una sera di febbraio del 2013… Sul palco un uomo che parla, una

platea di qualche centinaia di persone ad ascoltare parole profonde, parole partorite da un grande uomo che è anche un sacerdote. Don Luigi Ciotti è infatti un sacerdote italiano, molto attivo nel sociale, ispiratore e fondatore dapprima del Gruppo Abele, come aiuto ai tossicodipendenti e altre dipen-denze, quindi l’Associazione Libera contro i soprusi delle mafie in tutta Ita-lia. Proprio di una iniziativa di Libera tratta il comizio, una iniziativa con una finalità molto nobile: riuscire a fare impegnare i candidati alle prossime elezioni politiche in Italia in una campagna contro la corruzione dilagante nel Paese. Don Ciotti parla, con passione e fermezza, la dedizione a questo impegno è totale, traspare la forza di un uomo che usa dire « Sono felice di spendere la mia vita a saldare la terra con il cielo ». Io ascolto. Conosco Li-bera. Amici cari e stimati sono impegnati in questa titanica e coraggiosa im-presa. Sono felice di essere riuscito a partecipare, ancor di più di vedere una così alta presenza della società civile ad un evento così significativo. Rifletto su quanto possiamo fare, su quanto possiamo essere forti, se tutti, all’uni-sono, gridiamo il nostro sdegno verso un mondo che non ci rappresenta. Poi eccola. Una frase. Don Ciotti, uomo del popolo, uomo di Dio, mi colpisce nel profondo del cuore. Parlando di impegno, parlando di lotta morale, parlando di uomini dice: « La vita ci chiede un impegno: impegnare la nostra libertà a favore di chi libero non è… »

Sentendo parlare Don Ciotti, ripenso immediatamente a tutti Loro. A tutti quegli uomini, perché tali sono, anche se oramai assurti a leggende, che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’umanità. Lo hanno fatto impegnando anima e corpo, subendo soprusi, torture, angherie e spesso venendo anche uccisi. Quanto di loro è rimasto e quanto è andato perduto. Quanto delle loro vite apprendono le giovani generazioni che si cimenta-no sui banchi di scuola nella grande impresa di divenire portatrici ultime della conoscenza di innumerevoli civiltà. Le storie delle loro vite sono una traccia… Sono orme lasciate su un sentiero che tutti dovremmo percorrere. Questo cammino sarà accidentato, a guidarci solo la nostra umanità, ma il premio sarà grande, sarà il Mondo che oggi riusciamo a vedere solo come Utopia.

Don Ciotti parla di libertà. LIBERTÀ, parola oggi così strumentalizzata,

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inflazionata e svuotata di ogni significato. Libertà di scegliere, di consumare, di votare, di lavorare, di credere, di pensare, di amare, di essere in definitiva noi stessi. Ma chi siamo, ve lo siete mai chiesti? Siamo il ruolo che ricopria-mo, la professione che svolgiamo, i beni che possediamo o siamo lo specchio della nostra luce interiore, unica vera proprietaria del nostro corpo. Libertà dicevo. José Martí¹ aveva un pensiero molto preciso su ciò che significa li-bertà.

« L’unico modo per essere liberi è essere colti »Esiste una chiave di volta dunque. Si chiama cultura.

CULTURA, per come io la intendo, è quell’insieme di conoscenze che concorrono a formare la personalità e ad affinare la capacità di sviluppare un pensiero critico di un individuo. Dov’è oggi questa cultura? Dove troviamo all’interno di un comparto scolastico, sempre più rimaneggiato da continui tagli, la vocazione a far si che gli individui sviluppino questa capacità critica? Dove, all’interno della scuola, si permette che il confronto lasci spazio all’in-novazione, alle nuove idee, ai nuovi approcci? Dove le nuove generazioni vengono preparate alla sfida che la civiltà occidentale, visibilmente in deca-denza, gli porrà di fronte una volta abbandonati i banchi di scuola?

Oggi esiste un’altra cultura. La cultura dell’omologazione, la cultu-ra del consumismo, la cultura che insegna ad essere numeri, codici, piccoli frammenti di un meccanismo al quale il nostro pensiero critico non può che arrecare danno. Riflettere è il primo passo per la rivoluzione. Fermatevi e pensate, guardatevi intorno. Ascoltate i vostri pensieri, non correte, non siate frenetici, tutto può aspettare, la vita scorre, vi chiederete alla fine se mai l’avete vissuta veramente, la vostra vita.

Il mondo oggi fa paura. Io per primo ne sono spaventato. Antonio de Curtis, il grande Totò², diceva « Il coraggio non mi manca, è

la paura che mi frega » Avere paura è necessario ma avere coraggio oggi è un dovere. Il coraggio di dire no. Il coraggio di liberarsi dal giogo dell’impe-

¹ José Julián Martí Pérez (L’Avana, 28 gennaio 1853 – Rio Cauto, 19 maggio 1895) è stato un

politico, scrittore e rivoluzionario cubano. Fu un leader del movimento per l’indipendenza cubana,

a Cuba è considerato il più grande eroe nazionale. Fonte Wikipedia

² Totò, nome d’arte di Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Bisanzio De Curtis Gagliardi,

più semplicemente Antonio De Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898 – Roma, 15 aprile 1967), è stato un at-

tore, commediografo, paroliere, poeta e sceneggiatore italiano. Soprannominato “il principe della risata”,

è considerato uno dei più grandi interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano. Fonte Wikipedia

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rialismo economico, il coraggio di pensare con la propria mente. La facoltà di pensare è ciò che eleva in natura l’uomo, al di sopra di ogni altra specie animale. Eppure sembriamo averlo dimenticato. Viviamo dentro a luoghi comuni, parliamo attraverso luoghi comuni. Siamo razzisti, xenofobi, egoisti e materialisti, spesso senza neanche rendercene conto. Questa civiltà, signori miei, è a un punto di non ritorno. Ora è doveroso da parte di tutti un “salto di qualità”, una presa di coscienza collettiva, forte ma non violenta. Dob-biamo rigettare il potere costituito, dobbiamo fermare coloro che per puro spirito individualistico inquinano le basi della democrazia. Le classi dirigenti del Paese sono inadeguate, eticamente e moralmente discutibili, corrotte e sempre più spesso conniventi con la criminalità organizzata. Tutti i giorni assistiamo impotenti al terribile spettacolo che ci viene offerto, mascherato da ideali lontani, da parole che infangano coloro che sono morti a difesa di quei principi, oggi utilizzati solo per riempire discorsi fasulli alla tv e sui giornali. La nostra lotta deve essere continua, serrata, NON VIOLENTA ma bensì una lotta di cultura!!!

SubComandante Marcos³:« Se non puoi avere ragione e forza, scegli sempre di avere la ragione e

lascia al nemico la forza. In molti combattimenti, la forza può uscire vitto-riosa, ma la lotta nel suo insieme è vinta solo dalla ragione. Il potente non potrà mai avere ragione con la forza, ma noi possiamo sempre ottenere forza dall’aver ragione »

Informatevi, leggete, studiate. Liberate la vostra mente dallo schiavismo dell’immobilismo culturale. Siamo solo uomini, ma siamo soprattutto uomi-ni. Il solo fatto di riuscire a comprendere che ciò che ci circonda può cambiare è il primo passo verso il cambiamento.

Molte delle figure che hanno trasformato per sempre il corso della storia dell’umanità sono morte per i loro ideali ma ci hanno lasciato un’eredità importante, un’eredità che non dobbiamo e non possiamo dimenticare.

Queste riflessioni vogliono avere un carattere divulgativo. Nascono dall’esigenza di fornire spunti al lettore per tematiche che dovrebbero esse-re di pubblico dominio ma che, stante la realtà attuale, paiono non esserlo. L’ambizione ultima è quella di riuscire attraverso parole che hanno cambiato il corso della storia a penetrare le coscienze di chi ancora non coglie la sfida che, ineluttabilmente, il futuro ci riserverà.

³ Il subcomandante Marcos, anche subcomandante insurgente Marcos (19 giugno 1957), è

un rivoluzionario messicano, portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Fonte

Wikipedia

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Immagino un docente che attraverso questi scritti riesca a far conoscere vite e testimonianze, esempi di coerenza intellettuale e coraggio, alle nuove generazioni di studenti che aimè paiono sempre più culturalmente acerbe e civilmente impreparate. La doverosa analisi dei contesti storici e sociali nei quali questi personaggi hanno operato il cambiamento, sarà un altro per-corso parallelo che porterà ad un approfondimento forzato di quella storia che troppo spesso viene sottovaluta. Storia, memoria, cultura. Un triangolo basilare sul quale forgiare le coscienze e le menti del futuro.

Altresì vorrei poter pensare a quegli uomini e a quelle donne che, attra-verso la lettura di ciò che segue, possano trovare la volontà e la forza morale di opporsi a quanto ritengono ingiusto.

Eccovi alcune testimonianze, alcune vite che dimostrano in maniera tan-gibile quanto sopra ho cercato di esprimere. Non fermatevi alle mie parole, indagate, esplorate le opere e le vite di tutti coloro che avrò l’ardire di pre-sentare. Non siate superficiali, lasciate che la loro passione vi contagi, lasciate che vi permettano di avere nuovi occhi.

È bene ricordare che ciò che state per leggere è frutto di ricerche effet-tuate attraverso il più grande strumento informativo che il Terzo Millennio ci offre: internet. Questo è il mezzo attraverso il quale sono state selezionate per il lettore storie, contributi, discorsi e gesta di personaggi che oggi si tro-vano alla portata di tutti. Il fine è quello di porre l’accento su di una impor-tante riflessione: durante un’inondazione la prima cosa che viene a mancare è proprio l’acqua potabile, allo stesso modo possiamo paragonare internet ad una piena di informazioni che rende difficile l’opera di discernimento del singolo individuo.

La selezione effettuata, dunque, è figlia di una precisa analisi critica che prende le mosse da un retaggio personale ma anche da una volontà di dimo-strare quanto i moderni strumenti di comunicazione possano trascendere confini geografici, culturali, sociali e temporali.

Buona lettura.

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“Non si possono uccidere le idee!”

“Un popolo che ha fame e sete non sarà mai un popolo libero!”

“Una delle condizioni per lo sviluppo è la fine dell’ignoranza. (…) L’analfabetismo deve essere incluso fra le malattie da eliminare il più presto possibile dalla faccia della Terra”.

“Non possiamo esimerci dalla ricerca ad oltranza della giustizia sociale”.

Thomas Isidore Noël SankaraCapitano Thomas Sankara

Yako, Alto Volta, 21 dicembre 1949 – Ouagadougou, Burkina Faso, 15 ottobre 1987, è stato un politico burkinabè.

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Il “cammeo” della vita di questo straordinario personaggio africano è sicuramente il discorso sul debito all’Organizzazione per l’Unità Africana del 29 luglio 1987, Addis Abeba. Ecco il testo integrale.

Signor presidente, signori capi delle delegazioni, vorrei che in que-sto istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci pre-me: la questione del debito, la questione relativa alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza. Ecco perché ho

creduto di dovervi imporre alcuni minuti supplementari affinché ne parliamo. Il Burkina Faso vorrebbe esprimere innanzitutto il suo timore. Il timore che abbiamo è che le riunioni dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) si susseguano, si somiglino, ma che alla fine ci sia sempre meno interesse a ciò che facciamo. Signor presidente, quanti sono i capi di stato qui presenti che sono stati giustamente chiamati a venire a parlare dell’Africa in Africa? Si-gnor Presidente, quanti capi di stato sono pronti a volare a Parigi, a Londra, a Washington quando laggiù li si chiama in riunione ma non possono venire qui ad Addis Abeba in Africa? Questo è molto importante. Stabiliamo delle misure di sanzione per i capi di stato che non rispondono all’appello. Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta, quelli che ven-gono regolarmente, come noi per esempio, possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi. Per esempio: ai progetti che presentiamo alla Banque Africaine de Développement (BAD, Banca Africana di Sviluppo) deve essere attribuito un coefficiente di africanità, i meno africani saranno penalizzati. Così tutti verranno qui alle riunioni.

Vorrei dirvi, signor presidente, che il problema del debito è una questione che non possiamo eludere. Voi stesso ne sapete qualche cosa nel vostro pae-se dove avete dovuto prendere delle decisioni coraggiose, perfino temerarie. Delle decisioni che non sembrano essere tutte in rapporto con la vostra età e i vostri capelli bianchi. Sua Eccellenza il presidente Habib Bourguiba che non è potuto venire ma che ci ha fatto pervenire un importante messaggio, ha dato un altro esempio all’Africa, quando in Tunisia, per le ragioni economiche, so-ciali e politiche, ha anch’egli dovuto prendere delle decisioni coraggiose. Ma, signor presidente, vogliamo continuare a lasciare che capi di stato cerchino individualmente delle soluzioni al problema del debito col rischio di creare nei

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loro paesi conflitti sociali che potrebbero mettere in pericolo la loro stabilità ed anche la costruzione dell’unità africana? Questi esempi che ho citato, e ce ne sono altri, meritano che i vertici dell’OUA portino una risposta rassicu-rante a ciascuno di noi sulla questione del debito. Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le no-stre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolo-nialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di fi-nanziamento, dei «finanziatori». Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo «sbadigliando» possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo in-debitati per cinquant’anni, sessant’anni anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per oltre cinquant’anni.

Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completa-mente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Signor presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’eu-ropea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento han-no giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita con-tinua. Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare.

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Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. È il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? È stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo. Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improv-viso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.

Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.

No ! Non possiamo essere complici. No ! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.

Signor presidente, sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Pari-gi, club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io. È normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il

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fronte unito di Addis Abeba contro il debito. È solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario in-tenzioni fraterne. Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quan-do diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatuccio per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pa-gare ! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.

E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.

Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo È solo un esempio. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che quanto al suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio

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in Africa, almeno nell’Africa francofona. Ed è per questo d’altronde normale che paghi un contributo maggiore qui… Signor Presidente, la mia non è quin-di una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzio-ni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza ! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.

E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiati-co. È contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le nostre immense potenzialità per sviluppa-re l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tec-nologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano. Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Fac-ciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Pro-duciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tes-sitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’Ameri-ca. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere in modo africano. È il solo modo di vivere liberi e degni.

La ringrazio Signor presidente. Patria o morte, vinceremo!

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“La cultura è l’ottavo sacramento”

“Un atto coerente isolato è la più grande incoerenza”

“Da bestia si può diventare uomini e da uomini si può diventare santi: Ma da bestia a santi con un solo passo non si può diventare.”

Lorenzo Carlo Domenico Milani ComparettiDon Milani

Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967, è stato un sacerdote, insegnante, scrittore ed educatore italiano.

Don Milani

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Di incredibile attualità la lettera di risposta di don Lorenzo Milani ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell’11 Feb-braio 1965 che recitava quanto segue.

L’ordine del giorno dei cappellani militari in congedo della Toscana

Nell’anniversario della conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l’Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Ma-gnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana. Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, è stato votato il seguente ordine del giorno:

«I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale della associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti per l’Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale di Patria.

Considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta “obie-zione di coscienza” che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà.»

L’assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti.

[da La Nazione del 12 Febbraio 1965]

Don Milani

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Ecco il testo della lettera di Don Milani

Da tempo avrei voluto inviare uno di voi a parlare ai miei ra-gazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capia-mo. Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire e so-prattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organiz-

zare questo incontro tra voi e la mia scuola. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.

Primo perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiria-mo. E nessuno, ch’io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore.

Secondo perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi.

Nel rispondermi badate che l’opinione pubblica è oggi più matura che in altri tempi e non si contenterà né d’un vostro silenzio, né d’una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste.

Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divi-sioni.

Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.

E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e deb-bono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.

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Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giu-stificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona.

Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei.

Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimo-strare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.

Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.Articolo 11. «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla li-

bertà degli altri popoli…».Articolo 52. « La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino ».

Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i pro-cessi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere uno ogni dieci soldati della Patria e fucilarli per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidenti aggressioni, l’ordine d’un ufficiale ribelle al popolo sovrano, le repressioni di manifestazioni popolari?

Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guer-ra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto? O volete farci credere che avete ogni tanto detto la verità in faccia ai vostri « superiori » sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e

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graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elemen-tare nozione del concetto di obiezione di coscienza.

Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l’anno) l’esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che alla obbedienza.

L’obiezione in questi 100 anni di storia l’han conosciuta troppo poco. L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l’han conosciuta anche troppo.

Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Pa-tria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare.

1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell’idea di Patria, tentò di but-tare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c’erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l’appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d’Italia un monumento come eroe della Patria.

A 100 anni di distanza la storia si ripete: l’Europa è alle porte.La Costituzione è pronta a riceverla: «L’Italia consente alle limitazioni di

sovranità necessarie…».I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridia-

mo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell’Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei.

La guerra seguente 1866 fu un’altra aggressione. Anzi c’era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per ag-gredire l’Austria insieme.

Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant’è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggreden-do, tant’è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: « L’insurrezione annunciata per oggi, e stata rinviata a

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causa della pioggia ». Nel 1898 il Re « Buono » onorò della Gran Croce Militare il generale

Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L’avver-sario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento di Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti in-numerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il ser-vizio militare tornarono a casa a mangiare polenta. Poca perché era rincarata.

Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare « Savoia » anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l’unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.

Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di im-porci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale consi-dera la vita d’un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l’uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa?

Idem per la guerra in Libia. Poi siamo al ‘14. L’Italia aggredì l’Austria con cui questa volta era alleata.

Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiari-to se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una « inutile strage »? (l’espressione non è d’un vile obiettore di coscienza ma d’un Papa).

Era nel ‘22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l’aves-sero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l’Obbedienza « cieca, pronta, assoluta » quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali

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che violò ogni legge umana e divina, e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra « Patria », quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).

Nel ‘36 cinquantamila soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione. Avevano avuto la cartolina di precetto per andar « volontari » a aggredire l’infelice popolo spagnolo.

Erano corsi in aiuto d’un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll’aiuto italiano e al prezzo d’un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d’ogni libertà civile e religiosa.

Ancora oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigio-na, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d’aver difeso allora la Pa-tria o di tentare di salvarla oggi. Senza l’obbedienza dei « volontari » italiani tutto questo non sarebbe successo.

Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall’altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l’appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato.

Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire?

Poi dal ‘39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l’altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).

Era la guerra che aveva per l’Italia due fronti. L’uno contro il sistema democratico. L’altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l’umanità si sia data. L’uno rappresenta il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri. L’altro il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.

Non vi affannate a rispondere accusando l’uno o l’altro sistema dei loro

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vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c’era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppres-sori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d’ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d’ogni giustizia e d’ogni religione. Propaganda dell’odio e sterminio d’innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).

Che c’entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l’ultima guerra è stata un confronto di ide-ologie e non di Patrie?

Ma in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra « giusta » (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei ci-vili, dall’altro dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altro soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i « ribelli », quali i « regolari »?

È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo per esempio quali sono i «ribelli»?

Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i no-stri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai tra-sformati in aggressori dall’obbedienza militare. Quell’obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un « distinguo » che vi riallacci alla parola di san Pietro: « Si deve obbedire agli uomini o a Dio? ». E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.

In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora per-mettendo loro di servire la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.

Del resto anche in Italia c’è una legge che riconosce una obiezione di co-scienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo ar-ticolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti.

In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice

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solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s’è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l’eroismo patrimonio dei più? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene.

Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giova-ne l’ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita?

Ma se ci dite che il rifiuto di difendere sé stesso e i suoi secondo l’esem-pio e il comandamento del Signore è « estraneo al comandamento cristiano dell’amore » allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!

Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: auspi-chiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.

Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano.

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“Non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso delle persone oneste.”

“Sono fermamente convinto che la verità disarmata e l’amore disinteressato avranno l’ultima parola.”

“La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vana gloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta.”

“Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano.”

“Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli o periremo insieme come stolti.”

Martin Luther King

Atlanta, 15 gennaio 1929 – Memphis, 4 aprile 1968, è stato un pa-store protestante, politico e attivista statunitense, leader dei diritti civili. Nobel per la pace nel 1964.

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Discorso pronunciato da Martin Luther King a Washington, 28 agosto 19634

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del no-stro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza

per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida in-giustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero, cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione, cento anni dopo il negro ancora vive su un’iso-la di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale, cento anni dopo, il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incas-sare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un “pagherò” del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo “pa-gherò” permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perse-guimento della felicità.

È ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo “pagherò” per ciò

4 Marcia su Washington per il lavoro e la libertà (o la grande marcia su Washington, come ricordata in

una registrazione sonora pubblicata dopo l’evento) è stata una grande manifestazione politica a sostegno

dei diritti civili ed economici per gli afro-americani che ha avuto luogo a Washington il mercoledì 28

agosto 1963. Martin Luther King pronunciò il suo storico discorso I Have a Dream sostenendo l’armonia

razziale al Lincoln Memorial durante la marcia. La marcia è stata organizzata da un gruppo per il sostegno

dei diritti civili, del lavoro e da organizzazioni religiose, sotto il tema lavoro e libertà. Le stime sul numero

dei partecipanti varia da 200 000 (stime della polizia) a oltre 300.000 (stime dei leader della marcia). Gli

osservatori stimano che il 75-80% dei manifestanti erano di razza nera mentre il resto era costituita da

bianchi o altre minoranze. Fonte Wikipedia.

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che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: “fondi insufficienti”. Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della ga-ranzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’ur-genza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democra-zia, questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segre-gazione al sentiero radioso della giustizia, questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza, questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno ap-pagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta conti-nueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tie-pida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa

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dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamen-te elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due raz-ze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: “Quando vi riterrete soddisfatti?” Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e ne-gli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:”Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ho dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove

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e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffi-che della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è reden-trice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama, ritornate nel South Ca-rolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana, ritornate ai vostri quar-tieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. È un sogno profonda-mente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Ge-orgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratel-lanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Missis-sippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni

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collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. È questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della dispe-razione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasfor-mare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insie-me, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto, terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà, e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado,imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.Ma non soltanto.Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di ri-

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suonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, ac-celeriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual:

“Liberi finalmente, liberi finalmente, grazie Dio Onnipotente, siamo li-beri finalmente”.

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Nelson Rolihlahla Mandela

Mvezo, 18 luglio 1918, è un politico sudafricano, primo presidente a essere eletto dopo la fine dell’apartheid nel suo Paese e premio Nobel per la pace nel 1993 insieme al suo predecessore Frederik Willem de Klerk.

“ La pace non è un sogno: può diventare realtà, ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare.”

“Nessuno è nato schiavo, né signore, né per vivere in miseria, ma tutti siamo nati per essere fratelli.”

“Non vi è alcuna strada facile per la libertà.”

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Discorso di insediamento come Presidente del Sud Africa, pronunciato il 10 maggio 1994, Pretoria - estratti

Oggi, tutti noi, conferiamo gloria e speranza alla neonata li-bertà. Dall’esperienza di uno straordinario disastro umano durato troppo a lungo, deve nascere una società di cui tutta l’umanità sarà fiera.

Siamo invasi da un senso di gioia ed euforia quando l’er-ba diventa verde e i fiori sbocciano.

L’unità spirituale e fisica che tutti noi condividiamo con la nostra terra, spiega l’entità del dolore che tutti noi portavamo nei nostri cuori nel vedere il nostro Paese che si autodistruggeva in un conflitto terribile, nel vederlo ripudiato, bandito e isolato dai popoli della Terra, precisamente perché era diventato la base universale di un’ideologia perniciosa, di pratiche e di op-pressione razziste.

Confidiamo che resterete al nostro fianco mentre affronteremo la sfida di costruire una società pacifica, prospera, non sessista, non razzista e demo-cratica.

È giunta l’ora di rimarginare le ferite. È giunta l’ora di colmare i divari che ci dividono. Questo è il tempo di costruire. Abbiamo finalmente raggiun-to l’emancipazione politica.

Ci impegniamo a costruire una pace completa, giusta e durevole.Assumiamo ufficialmente il compito di costruire una società in cui tutti

i sudafricani, neri e bianchi, potranno camminare a testa alta, senza alcun timore, certi del loro inalienabile diritto alla dignità umana. Una nazione di tutti i colori, in pace con se stessa e con il mondo.

Dedichiamo questo giorno a tutti gli eroi e le eroine in questo Paese e nel resto del mondo, che si sono sacrificati in tanti modi e hanno dato la vita, perché noi fossimo liberi.

Ci sia giustizia per tutti. Ci sia pace per tutti.Ci siano lavoro, pane, acqua e sale per tutti. Il sole non tramonterà mai… su una conquista umana tanto gloriosa. La libertà regni sovrana.

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José Alberto Mujica CordanoPepe Mujica

Montevideo, 20 maggio 1935, è un politico uruguaiano, conosciu-to pubblicamente come Pepe Mujica, Senatore della Repubblica e Presidente. Il suo mandato è iniziato il 1º marzo 2010.

“I poveri non sono coloro che hanno poco.I poveri sono coloro che hanno bisogno di molto.”

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Discorso tenuto da Pepe Mujica al Summit Rio+205

Un grazie particolare al popolo del Brasile, ed alla sua Signora Presidentessa, Dilma Rousseff.

Grazie anche alla sincerità con la quale, sicuramente, si sono espressi tutti gli oratori che mi hanno preceduto.

Come governanti, tutti manifestiamo la profonda volontà di favorire gli accordi che questa nostra povera umanità sia capace di sotto-scrivere.

Permettetemi, però, di pormi alcune domande a voce alta.

Per tutto il giorno si è parlato di sviluppo sostenibile e di affrancare, dalla povertà in cui vivono, immense masse di esseri umani.Ma cosa ci frulla per la testa?

Pensiamo all’attuale modello di sviluppo e di consumo delle società ricche?Mi domando: che cosa succederebbe al nostro pianeta se anche gli indù

avessero lo stesso numero di auto per famiglia che hanno i tedeschi?Quanto ossigeno ci resterebbe per respirare?Più francamente: il mondo ha le risorse materiali, oggi, per rendere pos-

sibile che 7 od 8 miliardi di persone possano sostenere lo stesso livello di consumo e di sperpero che hanno le opulente società occidentali?

Sarebbe possibile tutto ciò?Oppure, un giorno, dovremmo affrontare un altro tipo di dibattito?Perché siamo stati noi a creare la civiltà nella quale viviamo: figlia del

mercato, figlia della competizione, che ha portato uno sviluppo materiale portentoso ed esplosivo.

Ma l’economia di mercato ha creato la società di mercato che ci ha rifilata questa globalizzazione.

Stiamo governando noi la globalizzazione oppure è la globalizzazione che governa noi?

È possibile parlare di fratellanza e dello stare tutti insieme, in un’econo-mia basata su una competizione così spietata?

Fino a dove arriva veramente la nostra solidarietà?Non dico queste cose per negare l’importanza di quest’evento, al contrario.

5 Con la Risoluzione RES/64/236 del 23 dicembre 2009, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

ha stabilito di organizzare nel 2012 la conferenza sullo sviluppo sostenibile (UNCSD), denominata anche

Rio+20, in quanto cade a 20 anni di distanza dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro UNCED del 1992.

Fonte www.minambiente.it

Mujica

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La sfida che abbiamo davanti è di una portata colossale, e la grande crisi non è ecologica, ma è politica!

L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma sono queste forze che governano l’uomo… ed anche la nostra vita !

Perché noi non siamo nati solo per svilupparci.Siamo nati per essere felici.Perché la nostra vita è breve e passa in fretta.E nessun bene vale come la vita, questo è elementare.Ma se la vita ci scappa via, lavorando e lavorando per consumare di più, il

vero motore del vivere è la società consumistica, perché, di fatto, se si arresta il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, spunta il fantasma del ristagno per tutti noi.

È il consumismo che sta aggredendo il pianeta.Per alimentare questo consumismo, si producono cose che durano poco,

perché bisogna vendere tanto.Una lampadina elettrica non deve durare più di 1000 ore, però esistono

lampadine che possono durare anche 100 mila o 200 mila ore!Ma questo non lo si può fare perché il problema è il mercato, perché

dobbiamo lavorare e dobbiamo sostenere la civiltà dell’usa e getta, e così restiamo imprigionati in un circolo vizioso.

Questi sono i veri problemi politici che ci esortano ad incominciare a lottare per un’altra cultura.

Non si tratta di immaginare il ritorno all’uomo delle caverne, né di eri-gere un monumento all’arretratezza.

Però non possiamo continuare, indefinitamente, a lasciarci governare dal mercato, dobbiamo cominciare ad essere noi a governare il mercato.

Per questo dico, con il mio modesto pensiero, che il problema che abbia-mo davanti è di carattere politico.

I vecchi pensatori, Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara, dicevano: “po-vero non è colui che ha poco, ma colui che necessita tanto e desidera sempre di più e di più”.

Questa è una chiave di carattere culturale.Per questo saluterò di buon grado gli sforzi e gli accordi che si faranno, e

come governante li sosterrò.So che alcune cose che sto dicendo, possono urtare.

Mujica

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Ma dobbiamo capire che la crisi dell’acqua e del clima non è la causa.La causa è il modello di civiltà che abbiamo messo in piedi.Quello che dobbiamo cambiare è il nostro modo di vivere!Appartengo a un piccolo paese, dotato di molte risorse naturali.Nel mio paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche

13 milioni di vacche, tra le migliori al mondo, e circa 8 o 10 milioni di me-ravigliose pecore.

Il mio paese è un esportatore di cibo, di latticini, di carne.È una pianura e quasi il 90% del suo territorio è sfruttabile.I miei compagni lavoratori, hanno lottato molto per ottenere le 8 ore di

lavoro.Ora hanno conseguite le 6 ore lavorative.Ma quello che lavora 6 ore, poi cerca il secondo lavoro, per cui lavora più

di prima.Perché? Ma perché deve pagare una quantità enorme di rate: la moto,

l’auto, e paga una rata ed un’altra e un’altra ancora, e quando decide di ri-posare… è oramai un vecchio reumatico, come me, e la vita gli è volata via.

E allora uno si deve porre una domanda: è questo lo scopo della vita umana?

Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità.

Lo sviluppo deve favorire la felicità umana, l’amore per la terra, le re-lazioni umane, la cura dei figli, l’avere amici, l’avere il giusto, l’elementare.

Perché il tesoro più importante che abbiamo è la felicità!Quando lottiamo per migliorare la condizione sociale, dobbiamo ricor-

dare che il primo fattore della condizione sociale si chiama felicità umana!Grazie !

Mujica

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Mohandas Karamchand GandhiMahatma Gandhi

Porbandar, 2 ottobre 1869 – Nuova Delhi, 30 gennaio 1948, è stato un politico e filosofo indiano.

“La terra ha risorse sufficienti per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di tutti.”

“Non vale la pena di godere di diritti che non derivino dall’aver compiuto il proprio dovere.”

“La mia esperienza mi ha portato a constatare che il modo migliore per ottenere giustizia è trattare gli altri con giustizia.”

“Per una persona non violenta tutto il mondo è la sua famiglia”

“Ritengo che la donna sia la personificazione di quella che io chiamo “non violenza”, che significa amore infinito capace di assumere il dolore.Permettiamo alla donna di estendere questo amore a tutta l’umanità. A lei è dato di insegnare la pace ad un mondo lacerato”

Gandhi

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Discorso sul Natale

Non si dovrebbe celebrare la nascita di Cristo una volta all’an-no, ma ogni giorno, perché Egli rivive in ognuno di noi. Gesù è nato e vissuto invano se non abbiamo imparato da lui a regolare la nostra vita sulla legge eterna dell’amore pieno. Là dove regna senza idea di vendetta e di violenza, il Cristo

è vivo. Allora potremmo dire che il Cristo non nasce soltanto un giorno all’anno: è un avvenimento costante che può avverarsi in ognuna delle no-stre vite. Quando la legge suprema dell’amore sarà capita e la sua pratica sarà universale, allora Dio regnerà sulla terra come regna in cielo. Il senso della vita consiste nello stabilire il Regno di Dio sulla terra, cioè nel proporre la sostituzione di una vita egoista, astiosa, violenta e irragionevole con una vita di amore, di fraternità, di libertà, di ragione. Quando sento cantare “gloria a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà” mi chiedo oggi come sia reso gloria a Dio e dove ci sia pace sulla terra. Finché la pace sarà una fame insaziata, finché noi non saremo riusciti a rinascere come uomini illuminati dallo Spirito, a instaurare con le persone rapporti autentici di comunione da cui siano estranei i sorrisi forzati, l’invidia, la gelosia, la falsa cortesia, la diplomazia, finché non avremo come senso della vita la ricerca della verità su noi stessi, del giusto, del bello, finché non saremo capaci di spogliarci del non autentico, di ciò che abbiamo di troppo a spese di coloro che non hanno nien-te, finché continueremo a calpestare i nostri sogni più belli e più profondi, il Cristo non sarà mai nato.

Quando la pace autentica si sarà affermata, quando avremo sradicato la violenza dalla nostra civiltà, solo allora noi diremo che “Cristo è nato in mezzo a noi”. Allora non penseremo tanto ad un giorno che è un anniversa-rio, ma ad un evento che può realizzarsi in tutta la nostra vita. Se dunque si augura un “buon Natale” senza dare un senso profondo a questa frase, tale augurio resta una semplice formula vuota.

Gandhi

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Ernesto Guevara de la SernaChe Guevara

Rosario, 14 maggio 1928 – La Higuera, 9 ottobre 1967, è stato un rivoluzionario, guerrigliero, scrittore e medico argentino. Guevara fu membro del Movimento del 26 di luglio e, dopo il successo della rivoluzione cubana, assunse un ruolo nel nuovo governo, secondo per importanza solo a Fidel Castro.

“Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso.”

“Dicono che noi rivoluzionari siamo romantici. Si è vero lo siamo in modo diverso, siamo quelli disposti a dare la vita per quello in cui crediamo.”

“La vera rivoluzione deve cominciare dentro di noi”

Guevara

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Primo di due interventi nella IX sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU l’11 dicembre 1964

Signor presidente, signori delegati,

la delegazione di Cuba a questa Assemblea ha il piacere di adempiere, in primo luogo, al grato dovere di salutare l’ingres-so di tre nuove nazioni nel novero di quelle che qui discutono i problemi del mondo. Salutiamo cioè, nelle persone dei loro

Presidenti e Primi Ministri, i popoli della Zambia, del Malawi e di Malta e facciamo voti perché questi paesi entrino a far parte fin dal primo momento del gruppo di nazioni non allineate che lottano contro l’imperialismo, il co-lonialismo e il neocolonialismo.

Facciamo pervenire i nostri rallegramenti anche al Presidente di questa Assemblea, la cui investitura ad una così alta carica ha un singolare significa-to, poiché essa è il riflesso di questa nuova fase storica di straordinari trionfi per i popoli dell’Africa, fino a ieri soggetti al sistema coloniale dell’imperia-lismo e che oggi, nella loro immensa maggioranza, nell’esercizio legittimo della loro libera determinazione, si sono costituiti in stati sovrani. È suona-ta ormai l’ultima ora del colonialismo e milioni di abitanti d’Africa, Asia e America latina si sollevano per conquistare una nuova vita ed impongono il loro insopprimibile diritto all’autodeterminazione e allo sviluppo indipen-dente delle loro nazioni. Le auguriamo, signor Presidente, il migliore succes-so nel compito che le è stato affidato dai paesi membri.

Cuba viene ad esporre la sua posizione sui punti più importanti di con-troversia e lo farà con tutto il senso di responsabilità che comporta il far uso di questa tribuna, ma al tempo stesso rispondendo al dovere imprescindibile di parlare con piena franchezza e chiarezza.

Esprimiamo il desiderio di vedere questa Assemblea mettersi alacremen-te al lavoro e andare avanti; vorremmo che le Commissioni iniziassero il loro lavoro senza doversi arrestare al primo confronto. L’imperialismo vuole trasformare questa riunione in una vana tribuna oratoria, e non vuole che vengano risolti i gravi problemi del mondo; dobbiamo impedirlo. Questa Assemblea non dovrebbe essere ricordata in futuro soltanto per il numero IX che la contraddistingue. Al raggiungimento di questo fine sono tesi i no-stri sforzi…

Guevara

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… Fra tutti i problemi scottanti che debbono essere trattati da questa As-semblea, uno di quelli che per noi hanno maggior significato e di cui credia-mo sia necessario dire una definizione che non lasci dubbi in nessuno, è quel-lo della consistenza pacifica fra stati con diversi regimi economico-sociali…

… Attualmente, il tipo di coesistenza pacifica alla quale noi aspiriamo non viene rispettata in un gran numero di casi… Bisogna anche chiarire che il concetto di consistenza pacifica deve essere ben definito, non soltanto per quanto riguarda i rapporti fra stati sovrani. In quanto marxisti, abbiamo sempre sostenuto che la coesistenza pacifica fra le nazioni non comporta la coesistenza fra sfruttatori e sfruttati, fra oppressori ed oppressi. Il diritto alla piena indipendenza, contro ogni forma di oppressione coloniale, è, inoltre, un principio proclamato in seno a questa Organizzazione…

… Dobbiamo anche avvertire che il principio della consistenza pacifica non comporta il diritto di ingannare la volontà dei popoli…

… Ancora una volta, leviamo la nostra voce per denunciare al mondo quello che sta succedendo in Sud Africa; la brutale politica dell’apartheid viene applicata sotto gli occhi delle nazioni del mondo. I popoli dell’Africa sono costretti a sopportare che in quel continente sia ancora riconosciuta ufficialmente la superiorità di una razza sull’altra, che si commettano impu-nemente degli assassinii in nome della superiorità razziale. Le Nazioni Unite non faranno dunque nulla per impedirlo?…

… Nell’intervento che ebbe a fare in occasione della sua prima visita alle Nazioni Unite, il compagno Fidel Castro disse che tutto il problema della co-esistenza fra le nazioni si riduceva al problema dell’appropriazione indebita di ricchezze altrui, ed egli fece la seguente affermazione: “cessi la filosofia della spoliazione e cesserà la filosofia della guerra.”…

… I nostri occhi liberi si aprono oggi su nuovi orizzonti e sono capaci di vedere quello che ieri la nostra condizione di schiavi coloniali ci impediva di osservare: cioè che la “civiltà occidentale” nasconde sotto la sua vistosa

Guevara

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facciata una realtà di iene e di sciacalli…… Signor Presidente, uno dei temi fondamentali di questa Assemblea

è il disarmo generale e completo. Esprimiamo il nostro accordo per quanto riguarda il disarmo generale e completo; propugnamo, inoltre, la distruzione totale delle bombe termonucleari e appoggiamo la proposta per la convoca-zione di una conferenza di tutti i paesi del mondo che realizzi queste aspira-zioni dei popoli. Il nostro Primo Ministro ha ammonito, nel suo intervento davanti a questa Assemblea, che la corsa agli armamenti ha sempre condotto alla guerra. Vi sono nuove potenze atomiche nel mondo e le possibilità di uno scontro aumentano.

Noi riteniamo che questa conferenza sia necessaria per arrivare alla to-tale distruzione delle armi termonucleari e, come prima misura, suggeriamo la proibizione totale degli esperimenti. Al tempo stesso, bisogna stabilire chiaramente l’obbligo per tutti i paesi di rispettare le attuali frontiere dei diversi stati; di non esercitare alcuna azione aggressiva, neppure con le armi convenzionali.

Nell’unirci alla voce di tutti i paesi del mondo che chiedono il disarmo generale e completo, la distruzione di tutto l’arsenale atomico, la cessazione assoluta della fabbricazione di nuove bombe termonucleari e degli esperi-menti atomici di qualsiasi tipo, riteniamo necessario sottolineare che deve essere rispettata anche l’integrità territoriale delle nazioni e deve esser fer-mato il braccio armato dell’imperialismo che non è meno pericoloso per il fatto che impugna armi convenzionali. Crediamo che se la Conferenza di cui abbiamo parlato raggiungesse tutti questi obiettivi, cosa difficile, disgrazia-tamente, essa sarebbe la più importante nella storia dell’umanità…

… La diffusione delle armi atomiche fra i paesi della NATO e, in parti-colare, il possesso di questi strumenti di distruzione in massa da parte della Repubblica Federale Tedesca, allontanerebbero ancora di più la possibilità di un accordo sul disarmo, cui è strettamente legato quello della riunificazione pacifica della Germania. Finché non sarà raggiunta una intesa chiara, si do-vrà riconoscere l’esistenza di due Germanie, la Repubblica Democratica Te-desca e la Repubblica Federale. Il problema tedesco non può essere risolto se non con la partecipazione diretta ai negoziati della Repubblica Democratica Tedesca, con pieni diritti…

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… Finché i popoli economicamente dipendenti non si saranno liberati dai mercati capitalistici e, costituendo un solido blocco con i paesi socialisti, non avranno imposto nuovi rapporti fra sfruttatori e sfruttati, non vi sarà sviluppo economico solido, e in alcune situazioni vi sarà regresso, e i paesi deboli torneranno a cadere sotto il dominio politico degli imperialisti e dei colonialisti…

… Come ha detto Fidel Castro: “Finché esisterà il concetto di sovranità quale prerogativa delle nazioni e dei popoli indipendenti, quale diritto di tutti i popoli, noi non accetteremo l’esclusione del nostro popolo da questo diritto. Finché il mondo sarà retto da questi principi, finché il mondo sarà retto da questi concetti ed essi avranno valore universale, perché sono uni-versalmente accettati e consacrati da popoli, noi non accetteremo di essere privati di nessuno di questi diritti, noi non rinunceremo a nessuno di questi diritti.”…

… Noi vogliamo costruire il socialismo; ci siamo schierati apertamen-te con coloro che lottano per la pace; abbiamo dichiarato di appartenere al gruppo di paesi non allineati, anche se siamo marxisti-leninisti perché i non allineati, come noi, lottano contro l’imperialismo. Vogliamo la pace, voglia-mo costruire una vita migliore per il nostro popolo…

… Cuba, signori delegati, libera e sovrana, senza catene che la leghino a nessuno, senza investimenti stranieri nel suo territorio, senza proconsoli che orientino la sua politica, può parlare a fronte alta in questa Assemblea e dimostrare la giustezza della frase: “Territorio Libero di America” con cui è stata battezzata…

… Il nostro esempio darà i suoi frutti nel continente…

… E se il nemico non è piccolo neppure la nostra forza è disprezzabile, poiché i popoli non sono isolati. Come afferma la Seconda Dichiarazione dell’Avana: “Nessun popolo dell’America latina è debole, perché fa parte di una famiglia di duecento milioni di fratelli che soffrono le stesse miserie, sono animati dagli stessi sentimenti, hanno lo stesso nemico, aspirano tutti

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ad uno stesso destino migliore e godono della solidarietà di tutti gli uomini e le donne del mondo.

“Questa epopea che sta davanti a noi la scriveranno le masse affamate degli indios, dei contadini senza terra, degli operai sfruttati; la scriveran-no le masse progressiste, gli intellettuali onesti e brillanti che sono così ab-bondanti nelle nostre sofferenti terre d’America latina. Lotta di masse e di idee, epopea che sarà portata avanti dai nostri popoli maltrattati e disprezzati dall’imperialismo, i nostri popoli sconosciuti fino ad oggi, che già comin-ciano a non farlo più dormire. Ci considerava come un gregge impotente e sottomesso e già comincia ad aver timore di questo gregge, gregge gigante di duecento milioni di latinoamericani nei quali il capitalismo monopolistico yankee vede già i suoi affossatori.

“L’ora della sua rivincita, l’ora che essa stessa si è scelta, viene indica-ta con precisione da un estremo all’altro del continente. Ora questa massa anonima, questa America di colore, scura, taciturna, che canta in tutto il con-tinente con la stessa tristezza e disinganno; ora questa massa è quella che comincia ad entrare definitivamente nella sua storia, comincia a scriverla col suo sangue, comincia a soffrirla e a morire; perché ora per le campagne e per i monti d’America, per le balze delle sue terre, per i suoi piani e le sue foreste, fra la solitudine o il traffico delle città, lungo le coste dei grandi oceani e le rive dei fiumi comincia a scuotersi questo mondo ricco di cuori ardenti, pieni di desiderio di morire per ‘quello che è suo,’ di conquistare i suoi diritti irrisi per quasi cinquecento anni da questo o da quello. Ora sì la storia dovrà pren-dere in considerazione i poveri d’America, gli sfruttati e i vilipesi, che hanno deciso di cominciare a scrivere essi stessi, per sempre, la propria storia. Già si vedono, un giorno dopo l’altro, per le strade, a piedi, in marce senza fine di centinaia di chilometri, per arrivare fino agli ‘olimpi’ dei governanti e ricon-quistare i loro diritti. Già si vedono, armati di pietre, di bastoni, di machetes, dovunque, ogni giorno, occupare le terre, immergere le mani nelle terre che gli appartengono e difenderle con la loro vita; si vedono con i loro cartelli, le loro bandiere, le loro parole d’ordine, fatte correre al vento, per le montagne e lungo le pianure. E quest’onda di commosso rancore, di giustizia reclamati, di diritto calpestato, che comincia a levarsi fra le terre dell’America latina, quest’onda ormai non si fermerà. Essa andrà crescendo col passar dei giorni; perché formata dai più; dalle maggioranze sotto tutti gli aspetti, coloro che

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accumulano con il loro lavoro le ricchezze, creano i valori, fanno andare le ruote della storia e che ora si svegliano dal lungo sonno di abbrutimento al quale li hanno sottomessi.

“Perché questa grande umanità ha detto basta e si è messa in marcia. E la sua marcia, di giganti, non si arresterà fino alla conquista della vera indi-pendenza per cui sono morti già più di una volta inutilmente. Ora, ad ogni modo, quelli che muoiono, moriranno come quelli di Cuba, quelli di Playa Girón; moriranno per la loro unica, vera e irrinunciabile indipendenza.”

Tutto ciò, signori delegati, questa nuova disposizione di un Continente, dell’America, è plasmata e riassunta nel grido che, ogni giorno, le nostre masse proclamano come espressione irrefutabile della loro decisione di lotta, paralizzando la mano armata dell’invasore. Motto che conta sull’appoggio e la comprensione di tutti i popoli del mondo e, soprattutto, del campo sociali-sta, con alla testa l’Unione Sovietica.

Questo motto è: Patria o Morte.

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Anjeza Gonxha BojaxhiuMadre Teresa di Calcutta

Skopje, 26 agosto 1910 – Calcutta, 5 settembre 1997, è stata una reli-giosa e beata albanese, di fede cattolica, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della Carità. Il suo lavoro tra le vittime della povertà di Calcutta l’ha resa una delle persone più famose al mondo. Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1979, e il 19 otto-bre 2003 è stata proclamata beata da Papa Giovanni Paolo II.

“Fate che chiunque venga a voi se ne vada sentendosi meglio e più felice.”

“Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe.”

“Se giudicate la gente, non avrete il tempo di amarla”

Madre Teresa

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Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace,Oslo, 10 dicembre 1979.

Poiché ci troviamo qui riuniti insieme penso che sarebbe bello per ringraziare Dio per il premio Nobel per la pace e che pregassi-mo con una preghiera di S. Francesco d’Assisi che mi sorprende sempre molto. Noi diciamo questa preghiera ogni giorno dopo la Santa Comunione, perché è molto adatta a ciascuno di noi, e

penso sempre che quattro - cinquecento anni fa quando S. Francesco d’Assisi compose questa preghiera dovevano avere le stesse difficoltà che abbiamo oggi, visto che compose una preghiera così adatta anche a noi.

Penso che alcuni di voi ce l’abbiano già, dunque pregheremo insieme. Ringraziamo Dio per l’opportunità che abbiamo tutti insieme oggi, per que-sto dono di pace che ci ricorda che siamo stati creati per vivere quella pace, e Gesù si fece uomo per portare questa buona notizia ai poveri. Egli essendo Dio è diventato uomo in tutto eccetto che nel peccato, e ha proclamato molto chiaramente di essere venuto per portare questa buona notizia. La notizia era pace a tutti gli uomini di buona volontà e questo è qualcosa che tutti vogliamo, la pace del cuore, e Dio ha amato il mondo tanto da dare suo Figlio, è stato un dono, è come dire a Dio che ha fatto male a dare, perché ha amato tanto il mondo da dare suo Figlio, e lo dette alla Vergine Maria, e lei allora che cosa fece? Appena arrivò nella sua vita, fu subito ansiosa di darne la buona notizia, e appena entrò nella casa di sua cugina, il bambino, il bambino non ancora nato, il bambino nel grembo di Elisabetta, sussultò di gioia. Era un piccolo bambino non ancora nato, fu il primo messaggero di pace.

Riconobbe il Principe della Pace, riconobbe che Cristo era venuto a porta-re una buona notizia per me e per te. E se non fosse abbastanza, se non fosse abbastanza diventare uomo, egli morì sulla croce per mostrare quell’amore più grande, e morì per voi e per me e per quel lebbroso e per quell’uomo che muore di fame e per quella persona nuda nelle strade non solo di Calcutta ma dell’Africa, e New York, e Londra, e Oslo, e insistette che ci amassimo gli uni gli altri come lui ci ha amato. Lo abbiamo letto molto chiaramente nel Vangelo, amatevi come io vi ho amato, come io vi amo, come il Padre ha amato me così io amo voi, e tanto più forte il Padre lo ha amato, tanto da do-narcelo, e quanto ci amiamo noi, noi pure dobbiamo donarci gli uni agli altri

Madre Teresa

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finché non fa male. Non è abbastanza per noi dire: amo Dio, ma non amo il mio prossimo. San Giovanni dice che sei un bugiardo se dici di amare Dio e non il prossimo. Come puoi amare Dio che non vedi se non ami il prossimo tuo che vedi, che tocchi, con cui vivi? Così è molto importante per noi capire che l’amore, per essere vero, deve fare male.

Ha fatto male a Gesù amarci, gli ha fatto male. E per essere sicuro che ricordassimo il suo grande amore si fece pane della vita per soddisfare la nostra fame del suo amore. La nostra fame di Dio, perché siamo stati creati per questo amore. Siamo stati creati a sua immagine. Siamo stati creati per amare ed essere amati, ed egli si è fatto uomo per permettere a noi di amare come lui ci ha amato. Egli è l’affamato, il nudo, il senza casa, l’ammalato, il carcerato, l’uomo solo, l’uomo rifiutato, e dice: l’avete fatto a me. Affamato del nostro amore, e questa è la fame dei nostri poveri. Questa è la fame che voi e io dobbiamo trovare, potrebbe stare nella nostra stessa casa. Non di-mentico mai l’opportunità che ebbi di visitare una casa dove tenevano tutti questi anziani genitori di figli e figlie che li avevano semplicemente messi in un istituto e forse dimenticati.

Sono andata là, ho visto che in quella casa avevano tutto, cose bellissime, ma tutti guardavano verso la porta. E non ne ho visto uno con il sorriso in faccia. Mi sono rivolta alla Sorella e le ho domandato: come mai? Com’è che persone che hanno tutto qui, perché guardano tutti verso la porta, perché non sorridono? Sono così abituata a vedere il sorriso nella nostra gente, an-che i morenti sorridono, e lei disse: questo accade quasi tutti i giorni, aspet-tano, sperano che un figlio o una figlia venga a trovarli. Sono feriti perché sono dimenticati, e vedete, è qui che viene l’amore. Come la povertà arriva proprio a casa nostra, dove trascuriamo di amarci. Forse nella nostra famiglia abbiamo qualcuno che si sente solo, che si sente malato, che è preoccupato, e questi sono giorni difficili per tutti. Ci siamo, ci siamo per accoglierli, c’è la madre ad accogliere il figlio? Sono stata sorpresa di vedere in occidente tanti ragazzi e ragazze darsi alle droghe, e ho cercato di capire perché, perché suc-cede questo, e la risposta è: perché non hanno nessuno nella loro famiglia che li accolga. Padre e madre sono così occupati da non averne il tempo. I genitori giovani sono in qualche ufficio e il figlio va in strada e rimane coinvolto in qualcosa. Stiamo parlando di pace. Queste sono cose che distruggono la pace, ma io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è

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una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa.

E leggiamo nelle Scritture, perché Dio lo dice molto chiaramente: anche se una madre dimenticasse il suo bambino, io non ti dimenticherò, ti ho in-ciso sul palmo della mano. Siamo incisi nel palmo della Sua mano, così vicini a lui che un bambino non nato è stato inciso nel palmo della mano di Dio. E quello che mi colpisce di più è l’inizio di questa frase, che persino se una madre potesse dimenticare, qualcosa di impossibile, ma perfino se si potesse dimenticare, io non ti dimenticherò. E oggi il più grande mezzo, il più gran-de distruttore della pace è l’aborto. E noi che stiamo qui, i nostri genitori ci hanno voluti. Non saremmo qui se i nostri genitori non lo avessero fatto. I nostri bambini li vogliamo, li amiamo, ma che cosa è di milioni di loro? Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti ne muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla.

Per questo faccio appello in India, faccio appello ovunque. Restituiteci i bambini, quest’anno è l’anno dei bambini. Che abbiamo fatto per i bambini? All’inizio dell’anno ho detto, ovunque abbia parlato ho detto: quest’anno facciamo che ogni singolo bambino, nato o non nato, sia desiderato. E oggi è la fine dell’anno, abbiamo reso ogni bambino desiderato? Vi darò qualcosa di impressionante. Stiamo combattendo l’aborto con le adozioni, abbiamo sal-vato migliaia di vite, abbiamo inviato messaggi a tutte le cliniche, gli ospeda-li, le stazioni di polizia, per favore non distruggete i bambini, li prenderemo noi. Così ad ogni ora del giorno e della notte c’è sempre qualcuno, abbiamo parecchie ragazze madri, dite loro di venire, noi ci prenderemo cura di voi, prenderemo il vostro bambino, e troveremo una casa per il bambino. E abbia-mo un’enorme domanda da parte di famiglie senza bambini, per noi questa è una grazia di Dio. Stiamo anche facendo un’altra cosa molto bella, stiamo insegnando ai nostri mendicanti, ai nostri lebbrosi, agli abitanti degli slum, alla nostra gente sulla strada, i metodi naturali di pianificazione familiare.

E solo in Calcutta in sei anni, nella sola Calcutta, abbiamo avuto 61273 bambini in meno da famiglie che li avrebbero avuti, ma perché praticano

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questo metodo naturale di astinenza, di auto-controllo, con amore reciproco. Insegniamo loro il metodo della temperatura che è molto bello, molto sem-plice, e la nostra povera gente capisce. E sapete che cosa mi hanno detto? La nostra famiglia è sana, la nostra famiglia è unita, e possiamo avere un bam-bino ogni volta che vogliamo. Così chiaro, quelle persone nelle strade, quei mendicanti, e io penso che se la nostra gente può farlo tanto più potete voi e tutti gli altri che potete conoscere i metodi e i mezzi senza distruggere la vita che Dio ha creato in noi. I poveri sono grandi persone. Possono insegnarci molte cose belle. L’altro giorno uno di loro è venuto a ringraziare e ha detto: voi che avete fatto voto di castità siete le persone migliori per insegnarci la pianificazione familiare.

Perché non è altro che auto-controllo per amore reciproco. E penso che abbiano detto una frase molto bella. E queste sono persone che magari non hanno niente da mangiare, magari non hanno dove vivere, ma sono grandi persone. I poveri sono persone meravigliose. Una sera siamo uscite e ab-biamo raccolto quattro persone per la strada. Una di loro era in condizioni terribili, e ho detto alle Sorelle: prendetevi cura degli altri tre, io mi occupo di questa che sembrava stare peggio. Ho fatto per lei tutto quello che il mio amore poteva fare. L’ho messa a letto, e c’era un tale meraviglioso sorriso sulla sua faccia. Ha preso la mia mano e ha detto solo una parola: grazie, ed è morta. Non ho potuto non esaminare la mia coscienza di fronte a lei, e mi sono chiesta cosa avrei detto al suo posto. E la mia risposta è stata molto semplice. Avrei provato ad attirare un po’ di attenzione su di me, avrei detto che ho fame, che sto morendo, che ho freddo, dolore, o altro, ma lei mi ha dato molto di più, mi ha dato il suo amore riconoscente. Ed è morta con il sorriso sul volto.

Come quell’uomo che abbiamo raccolto dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato. Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni. Come un angelo, questa è la grandezza della nostra gente. Ed è per questo che noi crediamo che Gesù disse: ero affamato, ero nudo, ero senza casa, ero rifiutato, non amato, non curato, e l’avete fatto a me. Credo che noi non siamo veri operatori sociali. Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma

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in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo. Perché tocchiamo il Cor-po di Cristo ventiquattro ore al giorno. Abbiamo ventiquattro ore di questa presenza, e così voi e io. Anche voi provate a portare questa presenza di Dio nella vostra famiglia, perché la famiglia che prega insieme sta insieme. E io penso che noi nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e armi, di distruggere per portare pace, semplicemente stiamo insieme, amiamoci re-ciprocamente, portiamo quella pace, quella gioia, quella forza della presenza di ciascuno in casa. E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo. C’è tanta sofferenza, tanto odio, tanta miseria, e noi con la nostra preghiera, con il nostro sacrificio iniziamo da casa.

L’amore comincia a casa, e non è quanto facciamo, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Sta a Dio Onnipotente, quanto facciamo non ha importanza, perché Lui è infinito, ma quanto amore mettiamo in quello che facciamo. Quanto facciamo a Lui nella persona che striamo ser-vendo. Qualche tempo fa a Calcutta avemmo grande difficoltà ad ottenere dello zucchero, e non so come i bambini lo seppero, e un bambino di quattro anni, un bambino Hindu, andò a casa e disse ai suoi genitori: non mange-rò zucchero per tre giorni, darò il mio zucchero a Madre Teresa per i suoi bambini. Dopo tre giorni suo padre e sua madre lo portarono alla nostra casa. Non li avevo mai incontrati prima, e questo piccolo riusciva a malapena pronunciare il mio nome, me sapeva esattamente che cosa era venuto a fare. Sapeva che voleva condividere il suo amore. E questo è perché ho ricevuto tanto amore da voi tutti. Dal momento che sono arrivata qui sono stata sem-plicemente circondata da amore, da vero amore comprensivo. Si percepiva come se ciascuno in India, ciascuno in Africa fosse qualcuno molto speciale per voi. E mi sono sentita proprio a casa come dicevo alla Sorella oggi. Mi sento in Convento con le Sorelle come se fossi a Calcutta con le mie Sorelle. Così completamente a casa qui, proprio qui.

E così sono qui a parlarvi – voglio che voi troviate il povero qui, innan-zitutto proprio a casa vostra. E cominciate ad amare qui. Siate questa buona notizia per la vostra gente. E informatevi sul vostro vicino di casa – sapete chi sono i vostri vicini?

Ho avuto un’esperienza veramente straordinaria con una famiglia Hin-du che aveva otto bambini. Un signore venne alla nostra casa e disse: Madre Teresa, c’è una famiglia con otto bambini, non mangiano da tanto tempo,

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faccia qualcosa. Così presi del riso e andai immediatamente. E vidi i bam-bini, i loro occhi luccicanti per la fame, non so se abbiate mai visto la fame. Ma io l’ho vista molto spesso. Consegnai il riso alla madre. E lei lo prese, lo divise, ed uscì. Quando fu tornata le chiesi, dove sei andata, che hai fatto? Lei mi dette una risposta molto semplice: anche loro hanno fame. Quel che mi colpì di più fu che lei sapeva, sapeva chi erano i suoi vicini, una famiglia musulmana, lei lo sapeva. Non portai più del riso quella sera perché volevo che godessero la gioia della condivisione. Ma c’erano quei bambini, che irra-diavano gioia, condividendo la gioia con la loro madre perché lei aveva amore da dare. E vedete è qui che comincia l’amore, a casa. E voglio che voi sappiate che sono molto grata per quello che ho ricevuto.

È stata un’esperienza enorme qui ad Oslo, ed ora tornerò in India, tor-nerò la prossima settimana, il 15 spero, e potrò portare il vostro amore. E so bene che non avete dato del vostro superfluo, ma avete dato fino a farvi male. Oggi i piccoli bambini hanno, c’è così tanta gioia per i bambini che hanno fame. Che i bambini come loro avranno bisogno di amore e cura e tenerezza, come ne hanno tanto dai loro genitori. Così ringraziamo Dio che abbiamo avuto questa opportunità di conoscerci, e questa conoscenza reciproca ci ha portati così vicini. E potremo aiutare non solo i bambini indiani e africani ma potremo aiutare i bambini del mondo intero, perché come sapete le no-stre Sorelle stanno in tutto il mondo. E con questo premio che ho ricevuto come premio di pace, proverò a fare una casa per molti che non hanno una casa. Perché credo che l’amore cominci a casa, e se possiamo creare una casa per i poveri, penso che sempre più amore si diffonderà. E potremo mediante questo amore comprensivo portare pace, essere la buona notizia per i poveri. I poveri della nostra famiglia per primi, nel nostro paese e nel mondo. Per poter fare questo, le nostre Sorelle, le nostre vite devono essere intessute di preghiera.

Devono essere intessute di Cristo per poter capire, essere capaci di condi-videre. Perché oggi c’è così tanto dolore, e sento che la passione di Cristo vie-ne rivissuta ovunque di nuovo, siamo noi là a condividere questa passione, a condividere questo dolore della gente. In tutto il mondo, non solo nei paesi poveri, ma ho trovato la povertà dell’occidente tanto più difficile da elimina-re. Quando prendo una persona dalla strada, affamata, le do un piatto di riso, un pezzo di pane, l’ho soddisfatta. Ho rimosso quella fame. Ma una persona

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che è zittita, che si sente indesiderata, non amata, spaventata, la persona che è stata gettata fuori dalla società – quella povertà è così dolorosa e diffusa, e la trovo molto difficile. Le nostre Sorelle stanno lavorando per questo tipo di persone nell’occidente. Allora dovete pregare per noi affinché siamo capaci di essere questa buona notizia, ma non possiamo farlo senza di voi, lo dovete fare qui nel vostro paese.

Dovete arrivare a conoscere i poveri, magari la gente qui ha beni ma-teriali, tutto, ma penso che se noi tutti cerchiamo nelle nostre case, quanto troviamo difficile a volte sia sorriderci reciprocamente, e che il sorriso è l’ini-zio dell’amore. E così incontriamoci sempre con un sorriso, perché il sorriso è l’inizio dell’amore, e quando cominciamo ad amarci è naturale voler fare qualcosa. Così pregate per le nostre Sorelle e per me e per i nostri Fratelli, e per i nostri Collaboratori che sono sparsi nel mondo. Essi possono rimanere fedeli al dono di Dio, amarlo e servirlo nei poveri insieme con voi. Quello che abbiamo fatto non avremmo potuto farlo se voi non lo aveste condiviso con le vostre preghiere, i vostri doni, questo continuo dare. Ma non voglio che mi diate del vostro superfluo, voglio che mi diate finché vi fa male. L’al-tro giorno ho ricevuto 15 dollari da un uomo che è stato sdraiato per venti anni, e l’unica parte che poteva muovere è la mano destra. E l’unica cosa di cui gode è fumare. E mi ha detto: non fumo per una settimana, e ti mando questi soldi.

Deve essere stato un sacrificio terribile per lui, ma guardate quanto è bello, come ha condiviso, e con quei soldi ho comprato del pane e l’ho dato a quelli che sono affamati con gioia da tutte e due le parti, lui stava dando e i poveri stavano ricevendo. Questo è qualcosa che voi e io, è un dono di Dio, che ci permette di condividere il nostro amore con gli altri. E fate come se fosse per Gesù. Amiamoci gli uni gli altri come egli ci ha amato. Amiamo Lui con amore indiviso. E la gioia di amare Lui e amarci gli uni gli altri, diamo ora, che Natale è così vicino. Conserviamo la gioia di amare Gesù nei nostri cuori. E condivi-diamo questa gioia con tutti quelli con cui veniamo in contatto. E questa gioia radiosa è vera, perché non abbiamo motivo di non essere felici perché non abbiamo Cristo con noi. Cristo nei nostri cuori, Cristo nel povero che incon-triamo, Cristo nel sorriso che diamo e nel sorriso che riceviamo. Facciamone un impegno: che nessun bambino sia indesiderato, e anche che ci accogliamo con un sorriso, specialmente quando è difficile sorridere.

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Non dimentico mai qualche tempo fa circa quattordici professori ven-nero dagli Stati Uniti da diverse università. E vennero a Calcutta nella no-stra casa. Stavano parlando e dicevano di essere stati alla casa per i morenti. Abbiamo una casa per i morenti a Calcutta, dove abbiamo raccolto più di 36000 persone solo dalle strade di Calcutta, e di questo grande numero più di 18000 hanno avuto una bella morte. Sono semplicemente andati a casa da Dio, e sono venuti nella nostra casa e abbiamo parlato di amore, di compas-sione, e poi uno di loro mi ha chiesto: Madre, per favore ci dica qualcosa che possiamo ricordare, e ho detto loro: sorridetevi gli uni gli altri, dedicatevi del tempo nelle vostre famiglie. Sorridetevi.

E un altro mi ha chiesto: sei sposata, e ho detto: sì, e trovo a volte molto difficile sorridere a Gesù perché può essere molto esigente a volte. Questo è qualcosa di vero, ed è là che viene l’amore, quando è esigente, e tuttavia possiamo darlo a Lui con gioia. Come ho detto oggi, ho detto che se non vado in Cielo per qualcos’altro andrò in cielo per tutta la pubblicità perché mi ha purificata e sacrificata e resa veramente pronta ad andare in Cielo. Penso che questo sia qualcosa, che dobbiamo vivere la nostra vita in modo bello, abbia-mo Gesù con noi e Lui ci ama. Se potessimo solo ricordarci che Gesù mi ama, e ho l’opportunità di amare gli altri come lui ama me, non nelle grandi cose, ma nelle piccole cose con grande amore, allora la Norvegia diventerebbe un nido d’amore. E quanto bello sarà che da qui sia stato dato un centro per la pace. Che da qui esca la gioia per la vita dei bambini non nati. Se diventate una luce bruciante nel mondo della pace, allora veramente il Nobel per la pace è un dono per il popolo norvegese. Dio vi benedica!

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Tiziano Terzani

Firenze, 14 settembre 1938 – Orsigna, 28 luglio 2004, è stato un giornalista e scrittore italiano.

“Questo è il momento in cui, qualunque sia il ruolo, un uomo deve fare quel che è giusto e non quel che gli conviene.”

“La scienza è un importante strumento di conoscenza. L’errore è pensare che sia il solo.”

“La scienza non è né negativa né positiva. Tutto dipende dall’uso che se ne fa.”“Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta.”

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Tiziano Terzani parla ai giovani. (estratti)

E capisco che violenza genera violenza. Se voi vivete in un mondo che sentite violento, reagite con violenza.

Lo capisco.Devo dire, negli ultimi trent’anni, non ho letto i vostri gior-

nali, non ho visto la vostra televisione, non ho un telefonino, ho un modo diverso di comunicare per cui certo

che sono diverso.Lo so, la vostra vita non è facile, voi avete il senso di essere isolati, che il

mondo non è vostro. Certo che uno legge il corriere dello sport, perché quello di cui parlo gli

pare un problema che non lo tocca. È frustrato perché il mondo è di quegli altri: di quelli con la cravatta, di

quelli che hanno il potere, di quelli che hanno i soldi. E lui si deve consolare con una piccola cosa: la sua amica, un viaggio al mare, una pizzettina. Il mondo è degli altri.

E il mio messaggio ragazzi è questo: Il mondo è vostro! Potete cambiar-lo, non fatevi intrappolare in ruoli che non vi piacciono, perché si può fare l’avvocato, il medico, il giornalista, lo psicanalista, il muratore, il fabbro.. Lo si può fare amando quel che si fa. E si può in ogni professione: inventarsi un margine di personalità, farlo con passione e con amore.

Ve lo garantisco, l’ho fatto io ed è possibile per tutti. E il mio messaggio ragazzi è questo: il mondo è vostro!

… Ai giovani che mi chiedono “Ma io, che faccio?” rispondo “Guarda! Il mondo è pieno di cose da esplorare. Il mondo che mi sono trovato davanti io in Vietnam, in Cambogia, in Cina non c’è più. Ma c’è un altro mondo lì, aperto per chi lo vuole scoprire. Quello che ho fatto io non è unico. Io non sono un’eccezione. Io questa vita me la sono inventata, e mica cento anni fa, ieri l’altro. Ognuno ce la può fare, ci vuole solo coraggio, determinazione e un senso di sé che non sia solo quello piccino della carriera e dei soldi, che sia il senso che sei parte di questa cosa meravigliosa che è tutta qui attorno a noi.

Allora, capito?

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È fattibile, fattibile per tutti. Fare una vita, una vita. Una vera vita, una vita in cui sei tu.Una vita in cui ti riconosci.

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Vittorio ArrigoniVik

Besana in Brianza, 4 febbraio 1975 – Gaza, 15 aprile 2011, è stato un reporter, scrittore e attivista italiano.

“Restiamo Umani”

“Faranno il deserto e lo chiameranno pace”

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Discorso che è stato letto da Caterina Donattini e Alessandra Capone ai funerali di Vittorio Arrigoni a nome delle associazioni e le reti di solidarietà con la Palestina.

Da Il Profeta di Gibran Khalil Gibran: “Salì sulla collina oltre le mura della città e guardò verso il mare, e vide la sua nave risalire nella nebbia. Allora gli si aprirono le porte del cuore e la sua gioia volò lontano sopra il mare. Ma discendendo la collina una grande tristezza cadde su di lui e pesò nel suo

cuore: “ Come andarsene in pace e senza pena? Ahimè, non lascerò questa città senza piaga nell’anima. Lunghi furono i giorni sofferti tra le sue mura, lunghe le solitarie notti; e chi senza rimpianto potrà lasciare la sua pena e la sua solitudine? Troppi brani nello spirito ho seminato in queste vie, troppi fanciulli se ne vanno nudi agli altipiani, e io non posso abbandonarli senza peso e dolore. Io non rifiuto un ornamento ma strappo una pelle con le mie stesse mani. Io non lascio dietro di me un pensiero, ma un cuore dolce di fame e di sete. Eppure più a lungo io non potrò tardare. Il mare che vuole ogni cosa mi chiama, e devo imbarcarmi. Con me vorrei portare ogni cosa, ma come potrò farlo? Non può una voce trascinare con sé la lingua e il labbro che le diedero le ali. Da sola dovrà varcare il cielo. E sola e senza nido volerà l’aquila nel sole. Così, quando raggiunse i piedi del colle si volse ancora ver-so il mare, e vide la sua nave avvicinarsi al porto e sulla prua i marinai, gli uomini della sua terra. E la sua anima disse loro a gran voce. “Figli della mia antica madre, cavalieri dell’onde, quanto a lungo veleggiaste nei miei sogni. Ora approdate al mio risveglio che è il mio sogno più profondo. Sono pronto a salpare e il mio desiderio in attesa è la vela spiegata sotto il vento. E sarò tra voi, navigante in mezzo ai naviganti”.

Vittorio raccontava:“Mia madre spesso mi parlava di sua zia Stella che, sotto il fascismo, gui-

dò le donne di Lecco nella marcia per il pane davanti al podestà e per questo fu imprigionata. Ci furono notti in cui Stella, con i pescatori, attraversava il lago silenzioso per portare cibo e indumenti faticosamente raccolti ai par-tigiani che si nascondevano sui monti. Si trattava di un’altra occupazione, quella italiana nazifascista. Per cui nel mio dna, nel mio sangue, ci sono delle particelle che mi spingono a combattere per la libertà e i diritti umani”.

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Diceva Che Guevara, “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”. Mentre il mondo osservava inerme la popolazione di Gaza sotto assedio tu ti sei fatto scudo umano contro i cecchini israeliani per permettere ai marinai di Gaza di pescare nelle proprie acque, hai detto: “Ci sono persone che sono pronte a spendere la vita a dispetto dei governi compiacenti e com-plici del governo sionista israeliano per venire ad abbracciare i fratelli pale-stinesi. Persone come me, dell’ISM, che devono venire qui per fare da scudi umani e porsi quali forze di interposizione, facendo ciò che dovrebbero fare le Nazioni Unite perché il diritto internazionale venga rispettato”. Dicevi al mondo il vero, Vittorio, e le tue parole molto spesso rimanevano inascoltate, in Italia come nel mondo ma tu le ripetevi, instancabile, raccontavi dell’oc-cupazione, della pulizia etnica, dell’apartheid, dei crimini di guerra portati avanti dal governo israeliano giorno dopo giorno contro la popolazione indi-gena palestinese innocente.

“Se la verità è la prima vittima di una guerra non è mai stato così vero come a Gaza”, dichiaravi, e nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. Durante l’operazione Piombo Fuso sei rimasto sotto le bombe, insieme alla popolazione di Gaza, dichiarando che la tua vita non aveva valore maggiore di quella di un uomo palestinese. Pochi telegiornali italiani ti hanno dedicato uno spazio perché tu, unico testimone italiano, potessi raccontare ciò che realmente stava accadendo a Gaza in quei giorni, pochi i giornali capaci di esibire le tue parole di verità, ciò che i tuoi occhi raccoglievano nelle dure ore spese a contare i feriti, i morti, gli offesi. Tante le menzogne raccontate al loro posto.

“Come andarsene in pace e senza pena? Ahimè, non lascerò questa cit-tà senza piaga nell’anima. Lunghi furono i giorni sofferti tra le sue mura, lunghe le solitarie notti; e chi senza rimpianto potrà lasciare la sua pena e la sua solitudine?”. Sei tra noi, Vittorio, navigante in mezzo ai naviganti. I tuoi sogni avranno in noi una voce. Porteremo avanti la tua lotta di libertà, salperemo sulle navi della Freedom Flotilla, appoggeremo tutte le iniziative per rompere l’assedio di Gaza, continueremo con forza sempre rinnovata la campagna che avevi abbracciato anche tu e che non ti stancavi mai di so-stenere per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, dicevi: “Come è possibile dialogare mentre uno dei due dialoganti punta una

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pistola alla tempia dell’altro? Israele deve essere “costretto” a mollare quella pistola, e davvero sono convinto che il boicottaggio sia l’arma dei pacifisti, dei non violenti, l’arma più efficace.” Invocheremo l’unità nazionale in Pa-lestina, in sostegno del movimento del 15 marzo e contro la corruzione che soffoca lo slancio sincero di un popolo verso la dignità, rilanceremo iniziative volte alla conoscenza approfondita del movimento sionista e dell’ideologia razzista e colonialista che ne sta alla base. In Italia e nel mondo occidentale ci spenderemo affinché la Palestina sia liberata, dal fiume sino al mare. Perché l’ingiustizia palestinese porta in sé il germe di qualsiasi ingiustizia sappiamo che il tuo sogno è il fiore della coscienza. Facciamo appello affinché si uni-scano a noi sempre nuove persone, perché rileggano i tuoi articoli, guardino i tuoi video e agiscano. “Dam Victor mish rhis. Ya Victor Irtah Irtah ua ehna nuasil alkitha”. “Il sangue di Vittorio è prezioso” gridavano in questi giorni centinaia di Palestinesi scesi nelle strade in tuo onore. “Vittorio riposa! Noi continueremo la lotta”. Oggi, alle soglie della festa della Liberazione, la no-stra responsabilità è anche una promessa: ehna nuasil al qitah. Noi continue-remo la lotta: la lotta del povero, del debole dell’oppresso, del contadino, la lotta della Palestina verso la libertà. Laddove non arrivano i governi, dicevi, può agire la popolazione civile. Questa è la lotta che tu ci hai insegnato. E che possa, la tua voce in noi, varcare il cielo.

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Robert Francis KennedyBob Kennedy

Brookline, 20 novembre 1925 – Los Angeles, 6 giugno 1968, è stato un politico statunitense

“Ci sono coloro che guardano le cose come sono, e si chiedono perché… Io sogno cose che non ci sono mai state, e mi chiedo perché no.”

“Amore, saggezza, solidarietà per coloro che soffrono, giustizia per tutti, bianchi e neri.”

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Ecco il testo del famoso discorso di Bob Kennedy sul PIL del 18 marzo 1968, all’ Università del Kansas

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra per-sonale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazio-nale lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle si-garette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità del-la loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.

Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro corag-gio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

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Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.

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Salvador Guillermo Allende GossenSalvador Allende

Valparaíso, 26 giugno 1908 – Santiago del Cile, 11 settembre 1973, è stato un politico cileno, primo Presidente marxista democratica-mente eletto nelle Americhe

“ È possibile che ci annientino,ma il domani apparterrà al popolo,apparterrà ai lavoratori.L’umanità avanza verso la conquistadi una vita migliore.”

“La storia è nostra e la fanno i popoli.”

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L’ultimo discorso di Salvador Allende, trasmesso da Radio Magallanes 11 settembre 1973

Pagherò con la mia vita la difesa dei principi che sono cari a questa Patria.

Cadrà una maledizione su quelli che hanno violato le loro promesse, venendo meno alla parola data e distrutto la dottrina delle Forze Armate.

Il popolo deve stare allerta e vigile. Non deve lasciarsi provocare, né la-sciarsi massacrare, ma deve anche difendere le sue conquiste. Deve difendere il diritto a costruire con il suo impegno una vita degna e migliore.

Una parola per coloro che, definendosi democratici, hanno istigato que-sta sollevazione, per coloro che, definendosi rappresentanti del popolo, sono stati viscidi e hanno agito viscidamente per rendere possibile questo passo che fa precipitare il Cile in un burrone. In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della patria io vi chiamo per dirvi di avere fiducia. La storia non si ferma, né con la repressione, né con il crimine. Questa è una fase che verrà superata, questo è un momento duro e difficile.

È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, appar-terrà ai lavoratori. L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.

Compatrioti: è possibile che blocchino le radio e devo salutarvi. In questo momento passano gli aerei. È possibile che ci colpiscano. Ma sappiano che siamo qui, per lo meno con questo esempio, per segnalare che in questo Pa-ese ci sono uomini che sanno mantener fede alle promesse che hanno fatto. E lo farò per mandato del popolo e per la volontà cosciente di un presidente che sente la dignità del proprio incarico. Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammira-glio Merino, che si è auto designato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!

Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà

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al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.

La storia è nostra e la fanno i popoli.Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete

sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.

In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’impe-rialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rom-pessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffer-mò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.

Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupa-zione per i bambini. Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professioni-sti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista. Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.

Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fat-to la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere. Erano d’accordo. La storia li giudicherà.

Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo de-gno che fu leale con la Patria.

Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno

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umiliarsi.Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tra-

dimento pretende di imporsi.Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i

quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non

sarà invano, sono certo che, almeno, ci sarà una lezione morale che castighe-rà la fellonia, la codardia e il tradimento.

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Conclusioni

Sappiate che l’elenco di coloro che hanno impegnato la loro li-bertà a favore del perseguimento di pace,fratellanza, uguaglianza e giustizia è molto, molto lungo, eccovi altre figure, fra le più significative:

Elisabeth FRY (1780-1845)Quacchera, dopo una tenace lotta nonviolenta riuscì a visitare il carcere

femminile di Newgate (Londra) senza protezione armata. Rimase talmente scossa dall’abbandono e dalla sporcizia nella quale erano costrette a vivere queste donne (definite “iene” dalle autorità carcerarie) che continuò a visi-tarle. Guadagnò la stima delle donne incarcerate ed insegnò loro a studiare e a cucire. Lottò per far conoscere questa situazione all’opinione pubblica provocando una profonda trasformazione del sistema carcerario sia inglese che europeo.

***

Henry David THOREAU (1817-1862)Scrittore statunitense, profondamente religioso, fu il primo obiettore di

coscienza alle spese militari. Infatti si rifiutò di pagare le tasse per protesta contro la guerra contro il Messico e lo schiavismo. Scrisse “Disobbedienza civile”, un saggio che ebbe grande influenza su Tolstoj e molti altri.

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conclusioni

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Florence NIGHTINGALE (1823-1910)Scrittrice, musicista, parlava varie lingue. Fu una donna che andò con-

trocorrente nel suo tempo. Di nobili origini, s’inimicò la famiglia respin-gendo numerose offerte di matrimonio per dedicarsi a missioni umanitarie, spinta dalla sua fede cristiana. Apprese i concetti elementari d’infermeria e, nel 1854, mossa da un articolo sulle condizioni in cui vivevano i feriti nella guerra in Crimea, si recò in zona di guerra aiutando migliaia di feriti. La sua opera ispirò Henri Dunant, medico svizzero noto per la fondazione della Croce Rossa e della Convenzione di Ginevra.

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Leone TOLSTOJ (1828 – 1910)Oltre ad essere un gigante della letteratura e un maestro della pedago-

gia, fu uno dei primi obiettori di coscienza. Riteneva che il modo migliore per evitare le guerre fosse quello di disobbedire alla macchina bellica e al militarismo.

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Alfred NOBEL (1833-1896)Inventore della dinamite, fu uno dei primi scienziati a riflettere criti-

camente sugli effetti delle invenzioni in campo militare. Decise di istituire un premio per gli usi umanitari della scienza e per la promozione della pace mediante un apposito riconoscimento (il Premio Nobel per la pace).

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Ernesto Teodoro MONETA (1833-1918)È l’unico italiano ad aver ricevuto - nel 1907 - il Premio Nobel per la

pace. Partecipò all’insurrezione milanese del 1848 e alle spedizioni di Gari-baldi. Svolse attività giornalistica e dal 1889 pubblicò ogni anno l’almanacco “Giù le armi”. Creò in tutt’Italia “Società per la pace”. Dopo la battaglia di Adua raccolse 130.000 firme per fermare la guerra. Tuttavia la sua coerenza pacifista fu altalenante e non si oppose all’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale.

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Berta VON SUTTNER (1843 – 1914)Figlia di un generale austriaco (nacque nel 1843) pubblicò nel 1889 “Giù

le armi”, un romanzo di denuncia della guerra, tradotto in tutte le principali lingue (pubblicato in Italia dalle Edizioni Gruppo Abele). Viaggiò e scrisse molto, promuovendo i primi grandi convegni per la pace (importantissimo quello del 1889). Stimolato da lei, Alfred Nobel istituì il Premio Nobel per la pace.

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Romain ROLLAND (1866 -1944)Scrittore francese, premio Nobel per la letteratura nel 1915, durante

la prima guerra mondiale scrisse una serie di articoli contro la guerra sul “Journal de Geneve”. Questi scritti antimilitaristi ebbero una vasta eco e fu-rono poi pubblicati come libro sotto il titolo “Al di sopra della mischia”. In-sieme a sua moglie Madeleine pubblicò la traduzione degli articoli di Gandhi da “Young India”. Creò un’arte per il popolo, specialmente in campo teatrale e tra le sue numerose opere scrisse una biografia di Tolstoj.

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Bertrand RUSSEL (1872 – 1970)Matematico, padre della logica moderna, filosofo del pensiero laico, fu

insieme ad Einstein uno degli scienziati che più si impegnò per il bando delle armi atomiche. Ha scritto: “I nuovi poteri che la scienza ha dato all’uomo possono essere usati senza pericolo solo da coloro che, o con lo studio della storia o con l’esperienza della loro vita, hanno acquistato un certo rispetto per i sentimenti umani e tenerezza verso le passioni che danno colore all’esi-stenza quotidiana degli uomini e delle donne”.

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Albert SCHWEITZER (1875-1965)Protestante, studiò medicina per aiutare i sofferenti. Nel 1913 si trasferì

in Africa, nel Gabon, dove fondò un ospedale nella giungla. Negli anni ‘50 protestò contro le armi atomiche. La sua massima era il rispetto della vita, cioè di ogni essere umano, animale, pianta. Nel 1952 ricevette il Premio No-bel per la pace.

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Albert EINSTEIN (1879 – 1955) Ha dato il più rilevante contributo alla fisica moderna. Ebreo, pacifista,

fu un fiero oppositore del nazismo. Pur non partecipando alla progettazione della bomba atomica, prese parte al dibattito dei fisici sull’impiego militare dell’energia atomica. Ne divenne poi il più fiero oppositore quando, sconfitto Hitler, l’atomica divenne strumento per la conquista della supremazia mili-tare e potenziale mezzo di annientamento dell’umanità. La sua opposizione al militarismo È ben riassunta in questa sua frase: “Un uomo può trovare piacere a marciare al suono di una banda militare. Ma per fare ciò non ha bisogno del cervello, gli basta il midollo spinale.”

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Max Josef METZGER (1887-1944)Fu cappellano militare tedesco. Quest’esperienza lo trasformò in ope-

ratore di pace e di riconciliazione. Nel 1917 scrisse “Pace sulla terra” e par-tecipò a numerosi congressi contro la guerra. Dopo l’avvento di Hitler fu arrestato più volte. Condannato a morte per un suo scritto sulla pace, nel 1944 fu condotto nel patibolo.

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Don Primo MAZZOLARI (1890 – 1959) Partì volontario nella Prima Guerra Mondiale. Lì maturò la decisione di

lottare tutta la vita contro la guerra e la violenza. Nel 1943, parroco, fu arre-stato due volte. Rischiò la deportazione in Germania. Dopo la guerra fondò il periodico “Adesso” che aggregò migliaia di simpatizzanti. Nel 1951 gli fu proibito di dirigere il giornale e di predicare nella diocesi. Prima di morire fu ricevuto da Giovanni XXIII che riconobbe in lui un esempio profetico. Scris-se numerosi libri, fra cui “Non uccidere”, che ebbe una grande influenza su La Pira, Don Milani e altri.

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Gertrud KURZ (1890-1972)Donna di fede evangelica, nata in Svizzera, è stata per molti anni Presi-

dente del Movimento Cristiano per la Pace, che promuove campi di lavoro e di studio nazionali ed internazionali (Sede italiana: Via Rattazzi 24, 00185 Roma, tel.06-734430). La sua casa fu rifugio per perseguitati, emarginati, profughi. Aiutò in particolar modo gli ebrei a trovare rifugio in Svizzera, dove molte autorità si rifiutavano di ospitarli e che venivano perciò riman-dati nella Germania nazista. Ha lavorato inoltre per la riconciliazione fra ebrei ed arabi.

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Ezio BARTALINI (1894-1962)All’inizio del Novecento Ezio Bartalini, giovane giurista genovese, pub-

blicò il suo periodico “La Pace”. Quando Teodoro Moneta e la sua Società per la Pace si dichiararono d’accordo con l’occupazione della Libia da par-te del governo italiano (1911) Bartalini, con il suo periodico e numerose conferenze, anche all’estero, condannò questa invasione. Durante la prima guerra mondiale egli non si presentò alla chiamata dell’esercito. I carabinieri lo prelevarono in casa sua e lo portano al fronte dove, però non sparò mai un colpo. Durante il fascismo fu costretto all’esilio, prima in Francia, poi in Turchia, dove fece amicizia con il Nunzio apostolico, il futuro papa Giovanni XXIII. Dopo la seconda guerra mondiale fece parte della prima costituente, continuò la sua attività per la pace e nel dicembre del 1962 morì durante un’assemblea della Consulta per la Pace.

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Dorothy DAY (1897-1980)Pacifista americana. È stata più volte in carcere per le sue lotte nonvio-

lente contro la guerra e le ingiustizie. Ha fondato decine di case di ospitalità urbane e comunità agricole per i più poveri. Ha fondato nel 1933 il men-sile “Catholic Worker”, tuttora diffuso. Per conoscerne la vita: Jim Forest “L’anarchica di Dio” (Paoline).

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Alberto LUTHULI (1898 – 1967) Sudafricano, capo tribù degli Zulù, insegnante evangelico, fu il presi-

dente dell’ANC (Congresso Nazionale Africano) che, insieme al Congresso Indiano del Sudafrica, negli anni ‘50 riprese la lotta nonviolenta iniziata da Gandhi alcuni decenni prima nel Sudafrica. Migliaia di persone, anzitutto donne, boicottarono gli autobus in cui vigeva la distinzione razziale, non ac-quistarono certi prodotti agricoli, disubbidirono alle leggi razziste. “Il Suda-frica appartiene e tutti coloro che vivono in esso, neri e bianchi, e nessun go-verno può pretendere giustamente l’autorità se non si basa sulla volontà del popolo…”; questa fu la dichiarazione approvata da migliaia di manifestanti nel ‘56 a Kliptown nonostante le misure di polizia. Come molti nonviolenti anche Luthuli venne più volte incarcerato e processato. Nel 1961 ricevette il Premio Nobel per la pace. Nel 1967 morì in un incidente misterioso, mai chiarito.

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Bertolt BRECHT (1898 – 1956) Poeta, drammaturgo, comunista libertario. La sua letteratura è una dis-

sacrazione del militarismo e le sue poesie (si pensi a “Generale”) sono state il riferimento per molti insegnanti che hanno svolto un’azione di educazione alla pace nella scuola. Scrisse: “Quando è l’ora di marciare contro il nemico molti non sanno che il nemico marcia alla loro testa”.

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Herman STOHR (1898-1940)Luterano, protestò più volte contro il nazismo. Nel 1939 si rifiutò di ar-

ruolarsi; chiese di svolgere un servizio civile utile verso gli ebrei, i polacchi, ecc. In prigione si rifiutò di giurare fedeltà ad Hitler. Fu condannato a morte e ucciso il 21 giugno 1940.

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Aldo CAPITINI (1899-1968)È il padre della nonviolenza in Italia. Cattolico, prese però le distanze

dalla Chiesa dopo il Concordato. Nel 1933 rifiutò l’iscrizione al Partito Fa-scista, perdendo così il lavoro di segretario all’Università di Pisa dove nel 1931 aveva divulgato il pensiero di Gandhi fra gli studenti. Il regime fascista lo incarcerò nel ‘42 e ‘43. Partecipò da nonviolento alla Resistenza e dopo la Liberazione fondò i COS (Centri di Orientamento Sociale), assemblee di partecipazione popolare in cui si discutevano i problemi alla presenza degli amministratori locali. Nel 1961 organizzò la prima marcia per la pace Pe-rugia - Assisi. Nel 1962 fondò il Movimento Nonviolento e poi la rivista “Azione Nonviolenta”. Tra i suoi libri: “Educazione aperta”, “Il potere è di tutti” (La Nuova Italia); “Le tecniche della nonviolenza” (Feltrinelli); “Anti-fascismo fra i giovani” (Celebes).

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Robert OPPENHEIMER (1904 – 1967)È stato il padre della bomba atomica. Dopo la sconfitta di Hitler fu favo-

revole ad abbandonare per sempre l’uso dell’atomica. Fu processato perché si rifiutò di collaborare con il governo statunitense nella strategia della guerra fredda.

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Giorgio LA PIRA (1904 – 1977)Fu sindaco di Firenze per molti anni. Animato da una profonda fede cat-

tolica, fece numerosi viaggi (Vietnam, Palestina, URSS, ecc.) per promuo-vere la pace e la riconciliazione. Invitò a Firenze i sindaci di tutto il mondo per una collaborazione per la pace. Aiutò i lavoratori della Pignone quando occuparono la fabbrica. Quando in Italia fu proibita la proiezione del film francese di Autant Lara sull’obiezione di coscienza “Non uccidere”, La Pira lo fece proiettare a Firenze e per questo fu denunciato al procuratore della repubblica. La causa si trascinò per molto tempo. Ne seguì una nuova legge sulla censura che riconosceva la censurabilità solo degli aspetti concernenti il “buoncostume”. Così il film poté essere proiettato ovunque nel nostro paese.

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Franz JAGERSTATTER (1907 – 1943)Contadino tedesco, padre di tre bambine, fu condannato a morte e ucciso

il 9 agosto 1943 per essersi rifiutato di prestare servizio militare nell’esercito nazista. Basava la sua obiezione di coscienza sulla fede cattolica; era uno dei responsabili della sua parrocchia ma nessuno lo seguiva. Il suo gesto fu con-dannato dal suo parroco e perfino dai vescovi della sua regione, e rimase ap-parentemente inutile fino agli anni ‘60, quando un dirigente del Pentagono, letta la sua storia, si adoperò per far cessare la guerra degli USA nel Vietnam.

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Dom Helder CAMARA (1909 – 1999)Vescovo cattolico brasiliano. Dal 1966 ha guidato e animato una serie di

azioni nonviolente intraprese dai più poveri per i loro diritti e per la terra. Ha scelto di vivere in povertà lasciando il palazzo vescovile ed è stato spes-so minacciato di morte. Alcuni dei suoi più stretti collaboratori (sacerdoti) sono stati uccisi. Continua a operare per la diffusione in tutto il mondo della nonviolenza.

Così si è descritto: “Quando aiuto i poveri, dicono che sono un santo, quanto chiedo perché sono poveri, dicono che sono un comunista”.

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Oscar ROMERO (1917 – 1980)Vescovo di San Salvador, capitale del Salvador, fu ucciso il 24 marzo 1980

mentre celebrava la messa. Ha difeso i poveri, gli oppressi, denunciando in chiesa e con la radio della diocesi le violenze subite dalla popolazione. Pochi giorni prima di morire aveva invitato i soldati e le guardie nazionali a disub-bidire all’ordine ingiusto di uccidere.

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Gianni RODARI (1920 – 1980)Ha scritto poesie e favole per bambini. Ha educato alla pace usando pa-

role semplici e una fantasia illimitata. Nonostante il suo ottimismo e la sua fiducia nell’uomo ebbe modo di inserire in una sua favola questa frase che fa non poco riflettere (anche sui compiti della telematica per la pace): “La sal-vezza dell’umanità dipende da un messaggio che un muto deve trasmettere per telefono ad un sordo”.

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Danilo DOLCI (1924-1997)Dopo aver vissuto nella comunità cristiana di Nomadelfia, si trasferisce

nel ‘52 a Trappeto (PA), “il paese più misero che aveva visto”. Lì operò con metodi nonviolenti contro la mafia e in difesa dei più poveri, arrivando a digiuni ad oltranza. Nel ‘58 fondò a Partinico il Centro Studi e Iniziative per la piena occupazione. Tra i suoi libri: “Inventare il futuro” (Laterza), “Dal trasmettere al comunicare” (Sonda).

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Chico MENDEZ (1944 – 1988)Sindacalista brasiliano, condusse una lotta contro i latifondisti che di-

struggevano la Foresta Amazzonica. Minacciato più volte, non abbandonò la sua lotta. Fu assassinato da sicari dei latifondisti.

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Marinela Garcia VILLAS (1948 – 1983)Donna salvadoregna coraggiosissima si laureò in legge per difendere i

diritti umani dei campesinos e i poveri del suo Paese. Continuò il suo lavoro malgrado arresti e torture. Arrestata per l’ennesima volta, morì torturata il 13 marzo 1983. Per conoscerne l’opera: Bimbi-La Valle “Marianela e i suoi fratelli” (Feltrinelli).

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Maurizio SAGGIOROPrimo obiettore di coscienza italiano al lavoro militare.

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Adolfo Perez ESQUIVEL Premio Nobel nel 1980. Ricevendolo dichiara che non è per lui ma per

tutti i poveri e gli oppressi dell’America Latina. Scultore e architetto argen-tino, coordinatore del SERPAJ (Servizio per la Pace e la Giustizia in America Latina), fu incarcerato e torturato nel 1977 e liberato grazie alla lotta inter-nazionale nonviolenta.

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Jean e Hildegard GOSS-MAYRJean Goss, combattente nella seconda guerra mondiale (ricevette varie

medaglie), fu fatto prigioniero dai tedeschi. Nel campo di concentramen-to scoprì il cristianesimo e la nonviolenza. La moglie Hildegard rinunciò ad una brillante carriera universitaria per dedicarsi a tempo pieno alla lotta nonviolenta per la giustizia e la pace. Jean e Hildegard girano il mondo cre-ando e animando gruppi di azione liberatrice nonviolenta. Hanno dato un contributo essenziale alla lotta nonviolenta delle Filippine per la caduta del dittatore Marcos.

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Spero di avervi incuriosito, di aver fatto nascere in voi l’esigen-za di sapere, la necessità di comprendere e di informarvi. Con presunzione mi sono permesso di introdurre veri e propri gi-ganti, della recente storia dell’umanità, all’attenzione del lettore, evitando accuratamente di porre troppe note biografiche, al fine

di stimolare la ricerca personale, lo studio. Fatelo, studiate, scoprite questi personaggi nella loro più intima essenza, lasciatevi trasportare dalla loro passione e dalla loro incredibile forza. Alcuni sono morti, altri sono vivi. Po-litici, attivisti, uomini di Dio, rivoluzionari, giornalisti, scrittori, ognuno con la propria storia ma ognuno con una comune volontà di alimentare quella fiamma, di impedire che si spenga. Hanno utilizzato la loro libertà per un fine più grande, diventare sentinelle, fari nella notte più scura, menti lucide e generose, incapaci di arretrare di fronte alle ingiustizie.

In definitiva, cultura, conoscenza e apertura mentale. Queste sono le uni-che armi che abbiamo e che possiamo utilizzare contro un mondo estraneo alla nostra volontà, estraneo ai nostri sogni, estraneo alle nostre speranze.

Cito da una libera traduzione dei versi 214-230 del Faust di Goethe, ad opera di John Aster (Londra, Cassell, 1835, p. 20).

“C’è una verità elementare, la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e splendidi piani: nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la Provvi-denza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute… Qualunque cosa tu possa pensare di fare o sognare di poter fare incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.”

Bene allora, non ci resta che cominciare a costruire un mondo all’altezza dei sogni che abbiamo, facciamo tesoro delle esperienze passate, ricordiamo che la chiave di tutto si trova nella cultura e nella nostra irrinunciabile ca-pacità di analisi critica.

La storia parla alle nostre coscienze, sussurra alla nostra memoria, se ab-bassassimo il volume delle TV, potremmo addirittura sentire la Sua voce…

Il Mondo può divenire un luogo migliore, dove vivere, basta che ognuno di noi s’impegni a fare la cosa giusta in ogni momento. Non facciamo si che l’indifferenza e l’ignavia vincano la nostra etica. Non cerchiamo a tutti i costi

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di ottenere ragione, impegniamoci piuttosto a saperla riconoscere, la ragione, laddove essa si trova.

Ai miei coetanei, accusati tra le altre cose di essere choosy, dico: è giusto essere esigenti, dobbiamo esserlo verso noi stessi, verso chi ci rappresenta in ogni ordine e grado, verso il futuro e verso le sfide che esso ci riserverà. Il Mondo ha bisogno della nostra coscienza critica, del nostro impegno, del nostro sacrificio e soprattutto della nostra volontà. Cerchiamo sempre di es-sere presenti a noi stessi, testimoni vigili di un’epoca che vede questa civiltà pericolosamente vicina al tracollo.

Coraggio, i grandi della storia ci guardano fiduciosi, confidando che ognuno di noi assolverà il compito al quale è stato chiamato.

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