Tesi Simona Schincaglia

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MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE Scuola di Scenografia Corso di Diploma Accademico di Secondo livello in Scenografia Giardino della Villa Sperlinga Ipotesi di restyling e nuove strutture Tesi di Simona Schincaglia Relatore Prof. Sergio Pausig A.A. 2011 -2012

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Restyling Villa Sperlinga

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MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE

ACCADEMIA DI BELLE ARTIDI PALERMO

DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE

Scuola di ScenografiaCorso di Diploma Accademico

di Secondo livello inScenografia

Giardino della Villa Sperlinga Ipotesi di restyling e

nuove strutture

Tesi di

Simona Schincaglia

Relatore

Prof. Sergio Pausig

A.A.2011 -2012

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Indice

Introduzione pag. 4

Ipotesi di progetto pag. 6

Q3 pag. 8

Restyling del Giadino di villa sperling pag. 18

La Stanza dello Scirocco pag. 26

Joze Plecnik pag.64

La Ceramica pag. 81

Elaborazione in digitale del progetto. pag. 89

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Introduzione

38°8’18”N 13°20’33”E: sono le coordinate di uno spazio verde assorbito nel territorio urbano della citta’ di Palermo, di origine ottocentesca che è diventato uno dei tanti polmoni verdi della città, conosciuto da tutti come villa Sperlinga. Il giardino è caratterizzato principalmente da un laghetto ed da una struttura che richiama gli antichi edifici arabi di cui la città è ricca. In passato luogo di ritrovo per le passeggiate, oggi versa in un degrado crescente anche se non paragonabile a quello di altre aree periferiche. Il laghetto artificiale così esotico con le sue palme e i giunchi è diventata un’area a dir poco palustre in cui accanto a rami spezzati gal-leggiano sacchetti e bottiglie. La struttura invece, che per anni è stata adi-bita a locale pubblico, si ritrova imprigionata da una ringhiera verdastra e arrugginita, quasi dovesse pagare per la negligenza di chi l’ha sfruttata. Il resto della villa presenta vialetti sconnessi e terriccio rialzato, mentre il muretto perimetrale che affaccia sulla via Piemonte, continuazione di via Leopardi, di tanto in tanto perde calcinacci e frammenti. Nasce quin-di la necessità di recuperare il territorio in questione, ma non tanto per mettere in sicurezza ambienti pubblici, fortunatamente il degrado non arriva a tanto. La vera necessità è quella di non permettere all’ignoranza di strapparci via un altro pezzo di storia della città “tutto porto”; bisogna imporre l’esigenza del vivere in un ambiente piuttosto che sopravviverci. Q3 e le altre proposte suggeriscono un modo per risolvere almeno in parte questo disagio, l’obbiettivo è quello di elaborare un restyling della villa, renderla più vicina alle esigenze di un pubblico proiettato nel futuro tecnologico ma consapevole del proprio patrimonio storico culturale, le proposte hanno una funzione didattica e terapeutica.

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Ipotesi di Progetto

Il lavoro della tesi di Simona Schincaglia è costituito da approfondimenti di ricerca che sono il proseguimento del Laboratorio di Tecniche e Tec-nologie della Decorazione A.A. 2011-2012; che ha avuto come obiettivo la realizzazione di prototipi utili alla progettazione artistica, attraverso l’assimilazione e la consapevolezza di conoscenze tecnologiche. L’area individuata e’ quella del giardino della Villa Sperlinga, situata a Palermo accanto alla Piazza Unità d’Italia. L’idea è quella di progettare e ripristi-nare alcune aree già esistenti all’interno del giardino per migliorare le sue funzioni.

Interventi: Il piccolo stagno e la fontana sono stati ripensati con nuovi manufatti rivestiti di materiali ceramici/musivi. La nuova edificazione di una strut-tura a forma di anfiteatro coperto di fronte alla Cuba, dedicata agli spet-tacoli, ai concerti ed alla ristorazione. L’inserimento di sedute costruite con blocchi di tufo rivestiti in ceramica su mattonelle di lava e allocate in diverse aree all’interno del giardino. La collocazione di stanze sotter-ranee, Camere dello Scirocco atte a riparare dalla calura estiva e come luogo di ritrovo. La forma di queste stanze è un ottagono, ispirato alla architettura araba come chiara ispirazione al nostro passato. Le stanze sono fatte di tufo o pietra calcarea e le pareti sono lavorate con dei mo-duli fatti da mattoni che si ispirano alla natura e hanno dei piccoli vani contenitore dove poter allocare degli oggetti, nella parte superiore del tetto vi è collocato un lucernario, nella porte sottostante c’è una piccola fontana d’acqua, le sedute sono delle panche che girano attorno a tutto il perimetro della struttura intervallate da tavolini. La struttura già esistente della Cuba, avendo riacquistato il suo antico splendore diventerebbe una location ideale per spiritualità del luogo che riecheggia antichi splendori ed il verde riacquistato, sognando le atmosfere e gli odori che ricordano

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i giardini arabi di Palermo, luogo ideale per un caffè letterario dove poter gustare vini di pregio tra una pagina e l’altra del proprio autore preferito o varieta’ di miscele di caffè, un settore sarà adibito a piccola libreria. Il giar-dino della villa potrebbe diventare una serra a cielo aperto, ricca di piante ornamentali, palme e con delle siepi odorose di alloro e pitosforo per de-lineare i confini con la strada, verrebbero ripristinati i sentieri, rendendoli agibili dai neonati agli anziani, affinché la villa possa essere patrimonio di tutti. Studiando Plecnik ho tratto ispirazione dai suoi lavori e ho inserito all’interno del progetto le decorazioni che riguardano i Rosoni che lui ha ideato e realizzato nei suoi lavori e li ho inseriti nella stanza dello scirocco.

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Q3

In questo oggetto di design, ho voluto comporre qualità ergonomiche e di stile. L’idea di questa seduta nasce dalla forma geometrica del cubo. Ripetuto quattro volte, all’interno di uno spazio ben definito. Tutti i lati di Q3 se bene risultino differenti l’uno dall’altro, riprendono sem-pre la medesima forma geometrica che cambia al suo interno attraverso elementi decorativi o di spostamento dei volumi che lo compongono. L’oggetto cosi diviene anche una piccola scultura. Q3 nasce da quattro cubi adiacenti, due bianchi il cui disegno prende diverse forme e due blu che si muovono ad incastro e si sovrappongono con quelli bianchi, quasi a formare una corazza anchessi dipinti ma con linee molto più semplici, anche all’interno del nome sono le caratteristiche delle forme geometriche che compongono la seduta. La Q indica il quadrato, forma che ha dato origgine al progetto, mentre il numero 3 messo ad apice sta ad indicare il “ cubo” della grandezza caratteristica, come dalla legge matematica che serve a determinare il volume del cubo.

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VILLA SPERLINGA

Originariamente villa Sperlinga fu di proprietà di Giovanni Stefano Oneto duca di Sperlinga ed appartenne alla famiglia per un lungo pe-riodo fino a quando nel 1835 il senato palermitano, che ne divenne il nuovo proprietario, la utilizzò come nuovo albergo delle povere e nel 1839 il principe di Palagonia, che la acquistò, vi creò lo “Stabilimento di mendicità”. Oggi l’ingresso della villa è sede di un istituto per la rieduca-zione minorile e ciò che rimane dell’antico parco di caccia è un giardino comunale in prossimità di Piazza Unità d’Italia. All’interno della villa e a Piazza Unità d’Italia sono collocate tre sculture di Vittorio Gentile: “Amanti come genesi di forma verticale”, “Ipotesi di forma orizzontale” e “Grande torso” Accanto alla villa vi è Torre Sperlinga,la quinta costru-zione per altezza della città.

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STATO ATTUALE

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Interventi

L’intervento da effettuare per il ripristino del verde, interessa tutta l’in-tera area del giardino della villa. Le tipologie di piante usate sono tutte caratteristiche della macchia mediterranea è si dividono in tre tipolo-gie. Le Essenze sono: l’Alloro, il Rosmarino, il Cappero, la Lavanda, l’Elicriso, il Finocchio selvatico, la Salvia e lo Zafferano. Alberi come il Limone. L’Alloro, il Salice, il Mandarino, l’Arancio, il Melograno, il Mandorlo, il Pitosforo e le Palme. Le Piante Grasse; le Pomelie, la Gra-nulosa Ovata, l’Echeveria Pulvita, l’Eonio – Aeonium Arboreum, l’Aloe, l’Erba di Giada,le Orecchie di Elefante e il Caudex. La scelta è ricaduta su questa tipologia di piante non solo perché sono caratteristiche del pa-esaggio , ma anche per la loro cura e manutenzione e per la loro bellezza. Queste piante non richiedono cure complicate, non subiscono facilmen-te gli attacchi di parassiti e sono di particolar pregio ornamentale. Nei luoghi d’origine, vivono in climi aridi per lungo periodo di tempo e non dispongono dell’acqua necessaria. La presenza dell’acqua nei tessuti ha di solito, l’effetto di rendere gli organi che la contengono di apparenza carnosa e proprio per tale motivo queste piante vengono chiamate grasse o più esattamente succulente.

Leggenda: 1 Melograni 2 Limoni

3 Arance e Mandarini, 4 Salici

5 Mandorli 6,7,8,9,10,11

Aromatiche e Officinali 12-a, 12-b Percorsi

Piante Grasse 13

Plumelia o Pomelie 14 Palme

15 Siepi di Pitosforo 16 Siepi di Alloro

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Grassula

http://www.giardinaggio.it/grasse/piante/crassula.asp

Al genere crassula appartengono decine di specie di piante succulente,originarie dell’Africa centrale e meridionale; si tratta di pianta con foglie succulente, spesse e carnose, disposte in spesse rosette o sviluppantisi su tozzi fusti ra-mificati, anch’essi succulenti. Buona parte delle specie teme il freddo e non è adatta ad essere coltivata in giardino, viene perciò coltivata in vaso, in serra fredda o in casa; alcune specie, in particolare alcune tra le specie a portamen-to strisciante, sopporta senza problemi brevi periodi di gelo. La Crassula ovata Una tra le specie più coltivate è la crassula ovata, anche nella varietà hobbyt con foglie particolari; si tratta di un piccolo arbusto completamente succulen-to, con tozzi fusti ben ramificati, carnosi, di colore marrone, su cui si svilup-pano piccole foglie carnose, ovali, di colore verde, che tendono facilmente ad arrossarsi in caso di prolungata esposizione al sole o al gelo. Si tratta di una pianta molto diffusa. A fine inverno queste piante producono sottili fusti, che si elevano dal fogliame, e che portano infiorescenze costituite da innumerevo-li piccoli fiori bianchi a forma di stella, molto gradevoli.Echeveria pulvinata

Echeveria pulvinata http://www.giardinaggio.it/grasse/singolegrasse/echeveria-pulvinata/echeveria-pulvinata.asp

Pianta succulenta originaria dell’America centrale; produce grandi rosette di foglie a spatola, spesse e molto carnose, di colore verde scuro; i fusti sono se-milegnosi, e abbastanza ramificati, tendono a svilupparsi rasenti al terreno, rag-giungendo i 25-30 cm di altezza, e spesso radicano quando rimangono a lungo a contatto con il substrato. La superficie fogliare è completamente ricoperta da una sottile peluria bianca, spesso rossastra all’apice del fogliame, che conferisce alla pianta un aspetto molto decorativo per tutto l’arco dell’anno. In primavera inoltrata produce sottili fusti eretti che portano piccole foglie e numerosi fiori a stella, di colore arancione o rosso. Pianta di facile coltivazione, adatta anche ad essere coltivata in appartamento, esistono numerosi ibridi e cultivar, con fiori e foglie particolarmente colorati

Erba di giada,Orecchie di elefante -Crassulahttp://www.giardinaggio.it/grasse/singolegrasse/crassula/crassula.asp

Questo genere comprende circa trecento specie di piante succulente, originarie dell’Africa meridionale; esistono specie che possono raggiungere dimensioni cospicue, come specie di dimensioni molto ridotte. Le forme possono essere le più diverse; ad esempio C. ovata è un piccolo albero, con chioma tondeggiante, in contenitore può svilupparsi fino a 70-80 cm, con fusto carnoso e piccole fo-glie ovali. In tardo autunno molte specie producono piccoli grappoli di fiorellini bianchi o giallastri; esistono anche cultivar e ibridi, con forme stravaganti o co-lori particolari.

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Aeonium arboreum

http://www.giardinaggio.it/grasse/piante/aeonium.asp

Il genere Aeonium conta alcune specie di piante succulente, la gran parte delle quali sono originarie delle isole Canarie, con qualche specie proveniente dal nord Africa; sono piante ben adatte al clima mediterraneo, molto facili da coltivare. All’interno del genere esistono svariate specie, con esigenze diverse e aspetto vario; in generale si tratta di piante con sottili fusti rigidi, completamente spogli e di color marrone, carnosi, spesso ben ramificati, che all’estremità superiore por-tano una ampia rosetta di foglie, in genere a forma di spatola. Le foglie carnose tendono a richiudersi in una fitta palla se il clima è molto freddo e umido, ed in-vece ad aprirsi e a divenire quasi arcuate se il clima è molto caldo ed asciutto. In estate producono, dal centro della rosetta, un sottile fusto che porta un’ampia in-fiorescenza costituita da innumerevoli fiorellini di colore giallo oro. Buona parte delle specie fiorisce solo dopo alcuni anni, e defunge dopo che i semi contenuti nei frutti sono stati liberati, come avviene per alcune agavi; altre specie invece fioriscono sporadicamente senza che questo fenomeno apporti alcun turbamen-to alla salute della pianta, ha rosette molto allargate e foglie di colore verde; esistono numerose varietà con foglie scure, porpora, marrone, nere, striate.

Il Caudex

http://www.giardinaggio.it/grasse/piante/caudex.asp

Le piante succulente si sono specializzate per sopravvivere nei climi più estremi della terra, con precipitazioni scarsissime e temperature che presentano spesso ampie escursioni dal giorno alla notte; in condizioni di questo tipo soltanto una modificazione nei tessuti permette a molte piante di vegetare, fiorire e fruttifica-re. In genere siamo abituati a pensare a succulente come i cactus o le crassule, con fusti e foglie verdi, carnosi, pieni d’acqua come riserva pronta per lo svilup-po della pianta nei periodi estivi. Alcune piante sviluppano la loro succulenza nel fusto legnoso, che si ingrossa fino a formare una sorta di bottiglia, riparata dall’esterno da una corteccia più o meno spessa; questa conformazione del fusto viene detta caudex. Il caudex a vedersi sembra un grosso tubero, spesso e carnoso; le piante con caudex sviluppano un fusto molto allargato, spesso tondeggiante, del tutto simile nel “look” al fusto di un albero, quindi privo di fogliame, ligni-ficato e privo di ramificazioni se non all’estremità in alto. Questo fusto in realtà funziona proprio come una bottiglia, o meglio come una bisaccia per l’acqua: nei periodi di pioggia si gonfia, immagazzinando acqua; nei periodi di siccità la pianta utilizza l’acqua all’interno del fusto, che tende a sgonfiarsi leggermente

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L’Aloe, la pianta dai mille pregi.

http://www.giardinaggio.it/piante-grasse/piante-grasse/aloe.asp

Al genere aloe appartengono decine di piante succulente, originarie dell’Africa meridionale, nella famiglia delle xanthorraceae; da non confondere con la cosid-detta aloe americana, l’agave, che ha foglie più coriacee, ed è in genere di dimen-sioni molto maggiori. L’aloe produce una densa rosetta di lunghe foglie a forma di lancia, carnose, acuminate, talvolta con margine munito di corte spine appuntite; esistono varietà di colore verde chiaro, altre verde scuro, altre ricoperte da un sot-tile strato pruinoso, che le rende bluastre. In genere le foglie si sviluppano su un fusto tozzo, dal centro della rosetta nascono nuove foglie, mentre quelle esterne disseccano e cadono, rendendo il fusto tizzo visibile; esistono anche specie che producono fusti ramificati, che portano le rosette di foglie agli apici. In estate dal centro della fitta rosetta sorge un sottile fusto, talvolta ramificato, che porta una vistosa infiorescenza di fiori tubolari rossi, arancio o giallo scuro, raramente rosa.

Plumelia o Pomelia

http://www.agraria.org/piantedavaso/plumeria.htm

Frangipani (Plumeria, L.) è genere delle Apocynaceae, originario dell’America tropicale, dal Messico al Venezuela, e Caraibi, diffuso in gran parte dei paesi a clima tropicale o sub-tropicale, arbusti o alberelli anche di notevole dimensioni, a foglie caduche o persistenti, fusto inizialmente carnoso che diventa legnoso con il tempo; rami carnosi poco numerosi, foglie grandi, lanceolate, oblunghe appuntite, di colore verde più o meno intenso a seconda della specie; i fiori simili a quelli dell’oleandro e profumati, grandi, riuniti in cime terminali, portanti an-che una cinquantina di fiori con 5-7 petali, di colore bianco, crema, rosa, rosso e giallo, sfumati al centro con vari colori.

Alloro

http://www.agraria.org/coltivazionierbacee/aromatiche/alloro.htm

Albero perenne sempreverde, ad arbusto o alberello, alto fino a 8 metri. Le fo-glie, oblanceolate o ovali, coriacee, verde scuro, hanno pagina superiore lucida; quando sono schiacciate emettono un profumo dolce e aromatico. I fiori sono unisessuali, piccoli e giallo chiaro, sono riuniti in ombrelle ascellari e compaiono in marzo-aprile. I frutti sono bacche ovali, nere quando mature che contengono un solo seme. Laurus nobilis “Aurea”: ha foglie dorate, appuntite; il Lauro dorato si utilizza come il Lauro, anche se è leggermente più duro; nella coltivazione, questa varietà richiede maggiore protezione da vento, gelo e anche pieno sole che provoca bruciature sulle foglie. Laurus nobilis “Angustifolia”: presenta foglie più strette rispetto al Lauro; questa varietà è nota anche come Lauro dalla foglia di salice; è più resistente del L. nobilis “Aurea”.

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La forma ottagonale della Stanza dello Scirocco

La scelta di questa forma nel progetto fa si che la struttu-ra sia ampia e accogliente e che lo spazio al suo interno sia vivibile.La scelta dell’ottagono non è stata casuale è la forma geometrica che più di tutte ricorda il cerchio. Per Ottagono si intende un poligo-no convesso avente i lati della stessa lunghezza e gli angoli della stes-sa ampiezza (pari a 135°). Il numero 8 fu importante soprattutto nell’arte Cristiana per il significato di questo numero in quanto rap-presentava l’eternità e l’infinito. La forma ottagonale nell’architettu-ra ebbe subito grande importanza anche se la diffusione ne è limitata.

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LA STANZA DELLO SCIROCCO

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LA STANZA DELLO SCIROCCO

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LA STANZA DELLO SCIROCCO, TECNICHE DECORATIVE E COSTRUTTIVE.

La scelta di questo tipo di intervento per la realizzazione della stanza dello scirocco fa in modo di poter utilizzare il cemento non solo come materiale per costruire la struttura ma anche per comporre della decora-zioni all’interno della stessa, utilizzando anche delle strutture chiamate casseforme adatte a questo tipo di intervento, attraverso il quale già in fase di costruzione possono essere fatte delle forme particolari da dare alla struttura o alla decorazione che lo compone.

CEMENTO A VISTAIl cemento a vista, detto anche calcestruzzo a vista o faccia a vista, indica una modalità di utilizzo architettonico del calcestruzzo che consiste nel non ricoprire le superfici a vista con intonaco o rivestirle con altri ma-teriali (pietra, mattoni, piastrelle), ma lasciarle piuttosto visibili, eviden-ziando le forme e le caratteristiche strutturali della costruzione edilizia.L’architettura moderna in special modo con la corrente architettonica del Brutalismo (dal termine francese beton brut “cemento grezzo”) ha fatto sempre più riferimento all’espressività del calcestruzzo a vista. A partire dai volumi plastici ma brutali di Le Corbusier, nell’”Unité d’Habitation di Marseille” (Marsiglia, 1950) e nella realizzazione del Capitol della cit-tà Indiana di Chandigarh, dopo le quali è seguito un vero e proprio stile architettonico legato all’uso del calcestruzzo a vista . Anche in Italia pos-siamo trovare esempi di questa tendenza di evoluzione del Razionalismo italiano che conducono ad opere di sicuro impatto visivo ed architettoni-co. Possiamo ricordare la dirompente plasticità del cemento a vista della Chiesa dell’Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci (1964), l’Istituto Marchiondi a Milano di V. Viganò (1957), il gioco volumetrico delle abitazioni del quartiere Sorgane a Firenze, di Leonardo Ricci ed altri (1966), gli edifici per unità abitative del quartiere Matteotti di Terni di Giancarlo De Carlo (1971-74). Con questa tecnica il cemento costruisce

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lo spazio architettonico divenendo parte essenziale del disegno architet-tonico. Si possono ottenere notevoli effetti prospettici, che esaltano la struttura con manifestazioni quasi scultoree, tese a rompere la ripetizione monotona delle superfici cementizie in rapporto anche al colore grigio per il cemento tipico.

Semplice disarmoPer realizzare finiture superficiali del calcestruzzo con particolari requi-siti estetici non vi sono norme particolari, che regolino il tipo e la com-posizione del calcestruzzo; è necessario, comunque, un lavoro coordinato tra i diversi addetti ai lavori, committenti, progettisti, mano d’opera spe-cializzata e produttori del cemento. Tra le finiture a faccia vista più cono-sciute vi sono il liscio “fondo cassero”, il calcestruzzo lavato con ghiaietto a vista, la texture ottenuta con matrice in gomma Reckli. Il colore e la finitura delle superfici del calcestruzzo a vista, infatti, è in rapporto non solo al tipo di cemento utilizzato (cemento Portland, cemento bianco, cemento calcareo, cemento d’altoforno), ma anche dalla granulometria presente e dal colore dei suoi corpuscoli. La scelta granulometrica è da porre in relazione con le prestazioni e gli effetti che si vogliono ottenere dal manufatto a vista (ad esempio superficie liscia o granulosa). Particola-re attenzione è richiesta nella composizione al rapporto acqua-cemento, la cui variazione nei diversi impasti può causare altrettante differenze di colore del cemento a vista. Per la finitura della faccia vista del manufatto è importante la scelta del tipo di legno da utilizzare per le casseforme e il posizionamento delle tavole, tramite il quale è possibile ottenere disegni più diversi, esaltando la plasticità del materiale. Particolare attenzione deve essere posta nel disarmo delle casseforme, che potrebbe causare screpolature sulla superficie a vista della struttura: esistono per tali ra-gioni dei prodotti chimici disincrostanti, che agevolano lo smontaggio, mentre altri materiali, composti da resine sintetiche, servono a unifor-mare maggiormente la superficie, nascondendo i difetti visivi dovuti ad errori di armatura vista e fungono inoltre da protettivi contro l’umidità, le muffe e gli sgretolamenti successivi dovuti alle intemperie.

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Lavorazione del cemento

Altre tecniche riguardano la lavorazione della superficie del cemento dopo il disarmo:- l’innaffiamento sotto forte pressione del cemento appena dopo lo smontaggio delle casseforme, che porta in evidenza la parte granulome-trica del materiale che viene a costituire una specie di disegno composto di pietruzze.- il martellinamento del cemento dopo l’indurimento, con una lavorazio-ne con pestello a punta di ferro, che realizza la scabrosità della superficie con un’operazione definita anche bocciardatura.

CassaformaIl termine cassaforma, o cassero (in inglese formwork) in edilizia, è nor-malmennte associato alla realizzazione delle opere in calcestruzzo armato, e individua l’involucro, dentro cui viene effettuato il getto di calcestruzzo allo stato fluido e dove esso rimane fino alla fine del processo di presa e dopo che, iniziata la fase di indurimento, il getto abbia conseguito una resistenza meccanica (circa 5-10 MPa) tale da garantire l’assorbimento delle solleci-tazioni a cui la struttura è sottoposta subito dopo il disarmo o scasseratura. A questo punto la cassaforma perde la sua funzione e può esse-re rimossa perché la struttura è ormai in grado di autoportarsi. Le casseforme possono essere realizzate con diversi materiali le più utiliz-zate sono quelle realizzate con elementi in legno oppure con pannelli me-tallici ma con maggiore frequenza si utilizzano anche elementi a base di polistirolo espanso o elementi in materiali fibrocompressi o compensati . Per facilitare la scasseratura, le superfici interne delle casseforme ven-gono trattate con prodotti disarmanti conformi alla norma UNI 8866.La casseratura può essere realizzata anche “a perdere”, ovvero può ri-manere inglobata nell’opera anche dopo l’indurimento del calcestruzzoI casseri vengono utilizzati anche per la realizzazioni di altre opere quali ve-spai, intercapedini e pavimenti aerati, per il consolidamento dei terreni, ecc..

Cassaforma a telaio

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Cassaforma a telaio

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Il concetto di cassaforma risale all’inizio della storia edilizia della no-stra civiltà. Una cassaforma è una struttura dentro cui gettare del ma-teriale allo stato liquido o semi-liquido in attesa che esso solidifichi spontaneamente o grazie all’apporto di calore esterno (il sole o un for-no).Uno degli esempi più antichi di cassaforma è la scatola di legno dove i costruttori dei popoli della mesopotamia gettavano dell’argilla fresca, per metterla poi ad essiccare al calore del sole. Una volta soli-dificata, l’argilla manteneva la forma datale dalla cassaforma e diven-tava, genericamente, un mattone da costruzione.In questo caso la cas-saforma veniva utilizzata più volte per produrre diversi mattoni simili. Nell’antico Egitto si usavano casseforme in legno per gettar-vi dentro un composto simile al calcestruzzo (la sua compo-sizione precisa è tuttora ignota) che, solidificando, diventa-va un materiale simile al granito con cui sono state costruite molte delle più importanti piramidi, tra cui quelle della piana di Giza. Anche tra i Romani era ben conosciuto il concetto di cassaforma. Essi usavano costruire due parallele tra le quali gettavano del calcestruzzo: in tal modo, quando il materiale gettato solidificava, i muri diventavano solidali con il calcestruzzo, fornendogli, allo stesso tempo, la cassaforma per il getto. Questo è il muro a sacco romano.

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Cassaforma a platea per solaio gettato in opera.

Il disegno lasciato dalle tavole sul cemento

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Casseforme per cemento armato

La parola cassaforma forse richiama più di tutti il concetto di cemento armato La cassaforma è, infatti, una delle fasi più importanti della realiz-zazione della struttura, in quanto è con essa che si costituiscono la forma e le dimensioni definitive del manufatto.Il materiale principe per la rea-lizzazione delle casseforme per cemento armato è sempre stato il legno, un materiale semplice da lavorare e da sagomare, leggero da manovrare in cantiere e (particolare molto importante per il calcestruzzo in fase di maturazione). Il legno ha lo svantaggio di non poter essere utilizzato per più di due o quattro volte per fare da cassaforma al cemento: esso si impregna e ben presto diventa , pesante rigidoe non più traspiran-te, oltre a necessitare l’abbattimento di alberi; senza considerare il fatto che il legno impregnato non può essere utilizzato nemmeno per bruciare (non prende fuoco) e non è più biodegradabile (lo è solo la fibra, non il cemento in essa impregnato). Il legno ha lo svantaggio di non poter essere utilizzato per più di due o quattro volte per fare da cassaforma al cemento: esso si impregna e ben presto diventa , pesante rigidoe non più traspirante, oltre a necessitare l’abbattimento di alberi; senza considerare il fatto che il legno impregnato non può essere utilizzato nemmeno per bruciare (non prende fuoco) e non è più biodegradabile (lo è solo la fibra, non il cemento in essa impregnato). Da qualche tempo viene utilizzato per la costruzione il polistirolo con la tecnica chiamata Insulated con-crete form (ICF).Il legno lascia la sua “impronta” sul calcestruzzo, che prende i disegni, in ,negativo della fibra e dei nodi delle tavole di legno utilizzate. Questo aspetto può essere enfatizzato per conferire al cemento armato un bell’aspetto superficiale, al fine di lasciarlo a vista (cemento )faccia a vista. Il cemento, se ben fatto, è un materiale molto durevole e non necessita di elementi protettivi ulteriori per resistere per decenni agli agenti atmosferici. Oggi esistono casseforme metalliche telescopiche e di sezione variabile che possono essere utilizzate un numero virtualmente infinito di volte e offrono al manufatto completo una superficie liscia e omogenea. Le casseforme non vengono quasi più utilizzate per realizzare

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i solai in laterocemento, in quanto questi sono sempre più spesso co-stituiti da travetti o lastre prefabbricate autoportanti che, insieme alle pignatte, fungono anche da cassaforma a perdere per il successivo getto di completamento. Ciò permette di risparmiare moltissima superficie di cassaforma. Le casseforme per cemento armato precompresso sono tutte metalliche. Il processo produttivo in serie di questo tipo di membratura rende antieconomico l’utilizzo di casseforme non riciclabili.A partire da metà Novecento si sono cominciati a sviluppare dei sistemi di casseforme evolute per cercare di industrializzare il cantiere ed aumen-tarne l’efficienza produttiva. Alcuni esempi di queste casseforme sono: le casseforme scorrevoli, anche dette slip form; le casseforme rampanti e quelle semi-rampanti.La maestranza che possiede le competenze per realizzare le casseforme in legno è il carpentiere, termine oggi allargato anche a chi realizza cas-seforme in acciaio o casseforme in generale. Ad ogni modo, ovunque c’è una struttura in cemento armato, c’è stata una cassaforma che le ha dato forma e dimensioni. Funzione

La funzione del cassero è duplice:- geometrica: viene realizzato in modo tale che il calcestruzzo gettato possa assumere la forma richiesta dal progetto.- meccanica: non si deve deformare, deve pertanto essere in grado di sop-portare la pressione del getto sulle sue pareti e l’azione delle vibrazioni di costipamento. Inoltre la cassaforma deve garantire la tenuta stagna poiché la mancanza di tenuta perfetta determinerebbe una fuoriuscita della frazione più fine dell’impasto con conseguente formazione di una struttura spugnosa e di nidi di ghiaia.

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La Stanza dello Scirocco

Un singolare ipogeo che desta ancora molta curiosità è rappresentato si-curamente dalle camere dello scirocco, esempi settecenteschi di architet-tura del raffrescamento passivo. La denominazione suggestiva di camera di scirocco per indicare questi singolari ambienti freschi si ritrova per la prima volta in un atto notarile del 5 agosto 1691 dove si legge: “Scendesi più in basso a man destra vi è una grotta seu camera di scirocco con fon-tana in mezzo e tutto in giro con mattoni di Valenza” . Il luogo era quello della famosa villa delle Quattro Camere del duca di Terranova, di cui oggi resta solo il toponimo, ubicata vicino il Convento dei Cappuccini in località Siccheria. La principale testimonianza di questi rudimentali condizionatori d’aria è quella lasciataci da Nino Basile, cultore attento della storia della città, che li riscoprì e studiò agli inizi del secolo scorso. Le camere dello scirocco costituirono spesso e in varie forme il corredo architettonico delle ville e casine di caccia durante la cosiddetta “grande villeggiatura” che raggiunse la massima diffusione nel XVIII secolo, un periodo fiorente per l’economia di Palermo in cui i nobili riscoprirono i piaceri e gli ozi estivi soggiornando nelle dimore di campagna di alcune località della pianura: Piana dei Colli, Cruillas, Olivuzza, Mezzomon-reale, Villagrazia, Santa Maria di Gesù.Ma il loro uso potrebbe essere anteriore a questo periodo per la presenza della “camera” di Villa Naselli Agliata descritta dal gentiluomo Vincenzo Di Giovanni nella sua opera Palermo Restaurato (1552) e successivamente in un articolo del Basile sulle ville di Palermo pubblicato sul Giornale di Sicilia (1928). La camera dello scirocco di Villa Naselli Agliata, a Villagrazia, si distingue per la presenza di una vera e propria “torre del vento”, di forma tronco-conica che racchiude alla base una camera con sedili, simile per funzionamento termodinamico alle badgir iraniane di Yazd (la città delle torri del vento) che veicolano la circolazione dell’aria fresca all’interno dei palazzi, espel-lendo quella calda. I contadini di Villagrazia chiamavano questa torre, u toccu per la sua caratteristica forma a cappello. Altra struttura caratte-

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ristica è data da una lunga e ampia galleria a volta reale dotata di pozzi d’areazione, chiamata ”u passiaturi” (galleria del passeggio) dove scorreva un canale d’acqua sorgiva consentendo di passeggiare al fresco e sfuggire così all’afoso vento di scirocco. Agli inizi del secolo scorso con la perfora-zione dei pozzi irrigui si produsse, l’inaridimento dell’antica sorgente di Ambleri e la conseguente disattivazione della camera dello scirocco che resta comunque integra nella sua struttura grazie alla lungimiranza del conte Francesco Naselli, proprietario della storica tenuta. Spettacolare e visitabile è la camera dello scirocco di Villa Savagnone in via Micciulla ad Alta rello di Baida, intagliata ad arte nella roccia calcarenitica da una mano ciclopica, èciclopica, è attraversata e resa fresca dallo storico qana-tdell’uscibeni. Situata nella porzione occidentale della piana di Palermo, nell’antica contrada di “Altarello”, all’interno dei confini dell’ex fondo Santacolomba. La camera dello scirocco raggiunge la massima espan-sione nel 1700, quando la nobiltà Palermitana stanca della calura portata dal vento caldo di Sud-Est , lo Scirocco, si rifugiava in questi ambienti per trarne beneficio dalla frescura dovuta alla sua particolare struttura. Palermo come tutte le antiche città nasconde nel suo ventre altre “città” che descrivono forse ancor più di quanto è in superficie la sommatoria delle culture che si sono succedute nei millenni. Sia le particolari con-dizioni geologiche del substrato sia le attività antropiche condotte per almeno 28 secoli di storia hanno dato origine a moltissimi vuoti sotter-ranei, utilizzati per vari scopi ma sempreollegati alle attività di superficie. Come le Camere dello scirocco, qanat e tante altre architetture sotter-ranee esprimono questo rapporto secolare tra l’uomo e sottosuolo che, sotto la città di superficie, ne ha costruito un’altra nascosta. Di quest’altra Palermo poco è noto agli stessi abitanti, a causa del clima arido e della carenza di sorgenti, fin dai tempi più antichi gli abitanti della città hanno cercato un metodo alternativo per soddisfare il fabbisogno idrico della città e le peculiari caratteristiche del terreno che costituisce la piana di Palermo hanno favorito per secoli lo sfruttamento delle falde acquifere di cui, contrariamente all’apparenza, la zona è ricca. Nell’antichità il riforni-mento idrico della città era assicurato prevalentemente da pozzi freatici

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e dalle sorgenti situate fuori le mura dell’antica città (la paleopoli) che sorgeva su una penisola stretta tra le foci di due fiumi, il Kemonia e il Papireto.Grazie all’applicazione di un’antica tecnica arabo-persiana, cioè la costruzione di una fitta rete di canalizzazioni sotterranee: i Qanat. tra tutti gli ambienti ipogei associati o derivati dalla costruzione dei qanat i più affascinanti sono “Le camere dello Scirocco”, singolari ipogei che destano molta curiosità e sono esempi di architettura del raffreddamento passivo. La denominazione suggestiva di camera di scirocco per indicare questi singolari ambienti freschi si ritrova per la prima volta in un atto notarile del 5 agosto 1691. Le camere dello scirocco costituirono spesso e in varie forme il corredo architettonico delle ville e casene di caccia durante la cosiddetta “grande villeggiatura” che raggiunse la massima dif-fusione nel XVIII secolo, un periodo fiorente per l’economia di Palermo. Ma il loro uso potrebbe essere anteriore a questo periodo per la presenza della “camera” di Villa Naselli Agliata descritta dal gentiluomo Vincen-zo Di Giovanni nella sua opera Palermo Restaurata (1552). Si tratta di spaziosi ambienti, decorati e piastrellati finemente, intagliati ad arte nella roccia calcarenitica e attraversati e resi freschi dai qanat medievali. Alcu-ne come quella descritta dal Di Giovanni presentano una vera e propria “torre del vento”, di forma tronco-conica che racchiude alla base una camera con sedili, simile per funzionamento termodinamico alle badgir iraniane di Yazd (la città delle torri del vento) che veicolano la circolazio-ne dell’aria fresca all’interno dei palazzi, espellendo quella calda. I qanat visitabili a Palermo sono oggi solo tre: Il Gesuitico basso (o della Vignicella), il Gesuitico alto e quello dell’Uscibene con la sua magnifica Camera dello Scirocco.

[1]Fare Misuraca,”I Qanat di Palermo”(Palermo),Il Brigantino, Gennaio 2008, Pag. 1. 2. 5. 7.

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Fontane e corso d’acqua nella sala

d’ingresso della Zisa

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La camera dello scirocco della Regina Costanzaa Brancaccio, Palermo

La camera dello scirocco di Villa Savagnonead Altarello di Baida

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La camera dello scirocco di Villa Savagnonead Altarello di Baida

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Qanat dell’Uscibene ad Altarello di Baida, Palermo

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Qanat dell’Uscibene ad Altarello di Baida, Palermo

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Joze Plecnik

Joze Plecnik nacque il 23 gennaio del 1872 a Lubiana. Dopo aver termi-nato la scuola professionale superiore di Graz (Austria) si recò a Vienna e, nel 1894, venne ammesso alla Spezialschule für Architektur di Otto Wagner (1841-1918). Da allora cominciò la sua collaborazione con l’ate-lier di Wagner. Nel 1921 si trasferì a Lubiana dove iniziò ad insegna-re alla locale scuola tecnica superiore dell’università. Plecnik rimase a Lubiana fino alla sua morte, avvenuta nel 1957, dove svolse la maggior parte della propria attività d’architetto. L’opera di Plecnik c’è arrivata in maniera esaustiva soltanto nel 1988, con la mostra organizzata dal centro Pompidou di Parigi. La signorilità non abbandonerà mai i progetti di Plecnik assieme alla tradizione, accompagnerà tutta l’opera dell’architet-to sloveno. Per Plecnik nulla è lasciato al caso, ogni progetto è qualche cosa di nuovo che il maestro affronta con i suoi strumenti antichi. Egli non pone limiti ai suoi riferimenti e le proprie fonti spaziano senza sosta e senza condizioni nella storia dell’architettura a lui conosciuta.I suoi progetti esprimono sempre qualche cosa di nuova, ma anche d’antico, e quando parla dei propri disegni ci fa capire che contengono parecchie cose speciali. L’idea che un progetto, o un’architettura sia comprensiva di uno spirito o addirittura di un’anima confermano l’eterodossia di Plecnik in rapporto a suoi contemporanei. Lo spirito è inteso come una presenza diffusa e impalpabile, ma riconoscibile di significati, riferimenti e im-magini, della storia stessa del costruire l’architettura. “Plecnik realizza ciò che sembra impossibile: è un pioniere dell’architettura moderna ma nello stesso tempo autore di una vasta opera architettonica che attinge a riferimenti storici”. Plecnik recupera dalla storia dell’architettura quegli elementi a lui cari, li fa suoi, e li colloca in precisi progetti nella città.

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Villa Langer in Hietzing Beckgasse, Vienna, Austria

Anno di costruzione: 1900 - 1901

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Chiesa di San Michele nella palude Crna vas 48,

Lubiana, Slovenia

1925 - 1939

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Zale, The garden of all Saints,

Il cimitero di Zale

Med hmeljniki, Lubiana, Slovenia

1937 - 1944

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The Market, Trznice

Adamic-Lundrovo nabrezje 1-3-5-7,

Lubiana, Slovenia; Tipo di edificio: mercati;

1939 - 1942

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banks of the Ljubljanica and Grada”s”cica rivers with

their bridges (1930-1939).

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Bench from vestibu le in Mual Assurance

Building1930

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Bench from Žale cemetery, 1930

Bench from Tivoli,1930

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LA CERAMICA

La ceramica (dal greco antico kéramos, che significa “argilla”, “terra da vasaio”) è un materiale composto inorganico, non metallico, molto dut-tile allo stato naturale,rigido dopo la fase di cottura.Con la ceramica si producono diversi oggetti,quali stoviglie, oggetti decorativi, materiali edili (mattoni e tegole), rivestimenti per muri e pavimenti di abitazioni. Specifiche composizioni ceramiche inoltre, trovano impiego nei rivesti-menti ad alta resistenza al calore per il suo alto punto di fusione. Il colore del materiale ceramico varia, a seconda degli ossidi cromofori contenuti nelle argille (ossidi di ferro, da giallo, arancio, rosso a bruno; ossidi di titanio, da bianco a giallo), può venire smaltata e decorata. La ceramica è usualmente composta da diversi materiali: argille, feldspati, (di sodio, di potassio o entrambi), sabbia silicea, ossidi di ferro, allumina e quar-zo. Una composizione così articolata determina la presenza di strutture molecolari appiattite dette fillosilicati. La forma di questi, in presenza di acqua, conferisce all’argilla una certa plasticità e ne rende la lavorazione più facile e proficua.

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Tipi di ceramiche

La ceramica è una lavorazione antica e molto diffusa in aree anche mol-to distanti tra loro. Esistono tipi diversi di ceramiche:Smaltatura e decorazione

Ceramiche a Pasta Compatta.

Rientrano nel gruppo i gres e le porcellane. Hanno una bassissima po-rosità e buone doti di impermeabilità ai gas e ai liquidi. Non si lasciano scalfire neanche da una punta d’acciaio.

Ceramiche a Pasta Porosa.

Sono tipicamente le terraglie, le maioliche e le terracotte. Hanno pasta tenera e assorbente, più facilmente scalfibile. I quattro tipi di ceramiche principali sono la terracotta o coccio, le terraglie, il gres e la porcellana, che può essere tenera o dura.

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Smaltatura e decorazione

Ci sono molti modi di decorare e colorare la ceramica, anche in relazione al tipo di risultato che si desidera ottenere e alla cottura cui si sottoporrà il pezzo. I colori da ceramica sono essenzialmente di tre tipi: Ingobbio; sono specifici colori per la decorazione della ceramica composti da argille già cotte e finissimamente triturate, caolino, sostanze minerali e ossidi. Sono, di fatto, smalti adatti a poter venire applicati sull’oggetto essiccato, ma ancora crudo e da cuocere. Questo permette di saltare un passaggio e cuocere l’oggetto una sola volta, dal momento che questi colori particolari tollerano l’alta temperatura cui si sottopone la ceramica.Gli ingobbi non sono tanto largamente diffusi, essendo costosi e dalle tinte tenui. Per-ché raggiungano la vetrificazione, inoltre, è necessario portare l’oggetto alla medesima temperatura dell’argilla che si ritrova nella composizione dell’ingobbio. Molti ceramisti che apprezzano la tecnica preparano da sé gli ingobbi che desiderano usare. Cristalline, dette anche Vetrine. Sono rivestimenti di tipo vetroso, impermeabili e lucidi. Usualmente traspa-renti solo occasionalmente sono colorate. Lasciano intravedere l’argilla sottostante. Alle cristalline si aggiungono fondenti, quali il germano (che sostituisce il tossico os sido di piombo), gli alcali o i borati. Questo allo scopo di abbassare il punto di fusione.gli Smalti; anch’essi di tipo vetro-so. A differenza delle cristalline non sono trasparenti, ma coprenti. Ciò è determinato dalla presenza di componenti quali il feldspato potassi-co o sodico, stagno ossido, titanio ossido, alluminio ossido (allumina), zirconio ossido o silicato ed altri ancora.Possono avere aspetto lucido o satinato: nel secondo caso la presenza diossido di calcio e/o zinco nello smalto, provvedono, in fase di raffreddamento, ad una cristallizzazione sulla superficie dello smalto devetrificandolo,ossia togliendo brillantezza.

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La smaltatura

La smaltatura di un pezzo in ceramica ha lo scopo di proteggere il pezzo dall’usura, di facilitarne la pulitura e la manutenzione e di decorarlo. Se il pezzo viene smaltato e non colorato all’ingobbio la smaltatura avviene dopo la cottura e si utilizzano appositi smalti composti da una miscela in vari rapporti di vetro, opacizzanti, fondenti e terre. La smaltatura classica, per-tanto è detta applicata al biscotto, ovvero all’oggetto già passato in cottura.Anche per la smaltatura vi sono svariate tecniche, tra le quali ricor-diamo: smaltatura ad aerografo, smaltatura per immersione ; pittura a smalto, smaltatura a campana ; smaltatura elettrostatica. Dopo che si sia provveduto a smaltare la superficie dell’oggetto, si passa alla decorazio-ne pittorica che è usualmente fatta a mano con pennello e colori ce-ramici. Questi colori ceramici sono ottenuti da ossidi minerali oppure da ossidi metallici addizionati di fondenti o indurenti. Dopo la smal-tatura e la decorazione si procede con una seconda cottura, il cui sco-po è quello di fissare lo smalto all’oggetto. Come si è detto, gli oggetti sottoposti a smaltatura classica devono subire una seconda cottura per fissare i colori. Tale cottura si attua in forno ad una temperatura com-presa tra i 850 e i 970 °C, a seconda dei fondenti utilizzati nello smalto e sempre al di sotto della temperatura utilizzata per la prima cottura.Questa seconda cottura porterà lo smalto a vetrificare, ren-dendolo lucido e impermeabile. Poiché l’umidità dello smal-to è scarsa e i pericoli di rottura sono conseguentemente bas-si, la curva della temperatura può essere innalzata più velocemente.

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Produzione di mattonelle e ceramiche musive.

I processi fondamentali sono due: monocottura - la materia prima viene generalmente approntata con processo a processo ad umido e l’essicca-zione è a spruzzo. Vi è una sola fase di cottura, dopo che il pezzo è stato essiccato e smaltato. Durante questa cottura singola avvengono anche i processi di sinterizzazione e stabilizzazione dello smalto. bicottura - in questo caso la preparazione della materia prima segue quasi sempre un processo a secco. Vi sono due fasi di cottura. Nella prima avviene la sinte-rizzazione del supporto. Segue la cottura dello smalto. Il ciclo produttivo industriale è composto da varie fasi. Tra queste ricordiamo: preparazione delle materie prime, formatura, essiccamento, smaltatura, cottura e scel-ta. I due terzi della produzione industriale italiana attuale sono occu-pati dal Grés porcellanato, di cui la metà viene smaltata. Preparazione delle materie prime, essiccazione, cottura. Lo scopo della preparazione delle materie prime è ottenere un impasto di composizione omogenea, con una distribuzione granulometrica e forma dei grani appropriata. La granulometria fine permette una giusta velocità di essiccamento e una corretta reattività in fase di cottura. Infine l’impasto deve presenta-re un contenuto d’acqua. adatto al sistema di formatura che si è scelto.I sistemi di formatura sono: pressatura - interessa soprattutto il settore delle piastrelle e comporta un 5-6% di acqua. estrusione è in uso soprat-tutto per i laterizi e comporta un 20 % di acqua colaggio - è il sistema adottato per i sanitari e presenta un contenuto di acqua del 40%. Dopo la formatura ha luogo il processo di essiccazione e successivamente quello di cottura. I materiali ceramici possono essere ottenuti da polveri tramite un processo detto di sinterizzazione. Questo processo chimico-meccani-co avviene in forni ad altissime temperature dove le polveri si fondono dando origine ai materiali ceramici. In particolare il feldspato, portato ad alte temperature, forma un eutettico, assieme al quarzo della sabbia e ai prodotti di decomposizione dell’argilla, che fondendo avvolge le rima

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neti parti. Dopo l’essiccazione normalmente i prodotti modellati subi-scono il processo di cottura, che conferisce maggiore resistenza mecca-nica ai manufatti ed elimina l’acqua residua rimasta dopo l’essiccamento. Smaltatura e ricottura,: la smaltatura può avvenire tra la prima cot-tura e la seconda o prima della cottura unica. Lo scopo, è duplice: da un lato estetico, dall’altro pratico. Che lo smalto sia vetrina trasparen-te o smalto colorato il risultato finale è l’impermeabilizzazione e l’iso-lamento termico. Nelle ceramiche si aggiungono ossidi di piombo agli smalti, per abbassarne il punto di cottura e risparmiare sui costi. Le porcellane, usano la vetrina senza piombo e la ricottura a 1500 °C.

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Terzo fuoco

Con il termine “terzo fuoco” si intende, in ceramica, la terza cottura (piccolo fuoco) che viene applicata ad un oggetto o piastrella che ha già subito due fasi di cottura, (prima cottura, del supporto o biscottatura e seconda cottura, dello smalto o smaltatura) per aggiungere le decorazioni nelle molteplici tecniche. Sebbene il “terzo fuoco” fosse un procedimen-to conosciuto fin dall`antichità e applicato soprattutto per il vasellame e l`oggettistica, esso ha assunto oggi nell`accezione comune un nuovo significato che richiama, non solo ad una tecnica, ma descrive un “com-parto specifico” nella filiera industriale della ceramica moderna delle pia-strelle da rivestimento e da pavimento. Nato sul finire degli anni settanta nel comprensorio ceramico di Sassuolo (MO), si è poi diffuso in tutti i distretti ceramici del mondo

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Elaborazione in digitale del progetto

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