Si è fatto uomo

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ANNO XXIX NUMERO 10 DICEMBRE 2014 Si è fatto uomo P.Arturo: chiusa la fase diocesana del processo di canonizzazione di I. Manganiello ISSR, premiata una tesi Su Franz Rosenzweig di M. Parisi Il vescovo Depalma incontra gli studenti di A. Lanzieri Notte Bianca a Boscoreale di A. Di Martino Un numero per riflettere, a partire dalla Sacra Scrittura, sull’umanità di Gesù Cristo e vivere con maggiore consapevolezza non solo il vicino Natale ma anche l’avvicinarsi del V Convegno Ecclesiale Nazionale il cui tema sarà “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” Con l’uomo: da Nola a Firenze Inserto su Sinodo diocesano e Convegno Ecclesiale di Firenze

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Mensile della Chiesa di Nola XXIX - 10 - dicembre 2014

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P.Arturo: chiusa la fase diocesana del processo di canonizzazionedi I. Manganiello

ISSR, premiata una tesi Su Franz Rosenzweigdi M. Parisi

Il vescovo Depalma incontra gli studentidi A. Lanzieri

Notte Bianca a Boscorealedi A. Di Martino

Un numero per riflettere, a partire dalla Sacra Scrittura, sull’umanità di Gesù Cristo e vivere con maggiore consapevolezza non solo il vicino Natale ma anche l’avvicinarsi del V Convegno Ecclesiale Nazionale il cui tema sarà “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”

Con l’uomo: da Nola a FirenzeInserto su Sinodo diocesano e Convegno Ecclesiale di Firenze

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mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 16 dicembre 2014

RettificaIn merito all’articolo “Restituire i bar alle persone” pubblicato a pag. 4 del n.9/Novembre 2014 di inDialogo, va precisato che gli slotmob sono organizzati dal Movimento slotmob: cittadini mobilitati contro il gioco d’azzardo, il cui slogan è “Un bar senza slot ha più spazio per le persone” (www.nexteconomia.org)

Le premesse pastorali del Sinodo universale sulla famiglia, del

Convegno ecclesiale di Firenze e - nel nostro particolare - del Sinodo diocesano sono le stesse: avvicinare la Chiesa agli uomini e alle donne di oggi cosí come sono, senza giudicarli ma accogliendoli fraternamente.

É importante cogliere il collegamento tra questi tre grandi eventi di Chiesa, che altrimenti potrebbero apparire come un illogico accavallamento di date e adempimenti.

Si potrebbe dire che al centro di tutti e tre i momenti c’é una fotografia, anzi un album zeppo di fotografie che ritrae le nostre famiglie non quando sono in posa, ma quando sono alle prese con le fatiche del vivere. Foto di giovani in cerca di futuro e ancore. Foto di adulti spaesati, di bambini troppo soli. Foto di parrocchie e comunitá che a volte sembrano muri di gomma rispetto ai problemi concreti. E foto di vita buona e bella, di testimoni lieti e coraggiosi.

Ecco, questo materiale fotografico tratto dalla realtá (da tutta la realtà) é il minimo comune denominatore che accomuna questi tre importanti eventi di Chiesa. E alla fine dell’album c’é una domanda, anzi un corpo di domande: cosa possiamo fare? Quale discernimento puó portarci a cambiare? Quali percorsi interiori possono risvegliare nei

sacerdoti, nei religiosi, nei laici impegnati l’amore e la passione per l’uomo e per l’umano?

Volendo scrivere una traiettoria concettuale, potremmo riassumere cosí: il Convegno nazionale di Firenze - appuntamento che cade a metá del decennio - proverá a riscrivere le categorie dell’umano nel terzo millennio, a riflettere su cosa ci renda davvero uomini oggi, a spingere la Chiesa verso un di piú di umanitá che la renda “simpatica” al popolo di Dio. Il Sinodo ordinario dei vescovi, parallelamente, ci impone di avviare questo lavoro di “riumanizzazione” dalla famiglia, polmone oggi davvero in grave pericolo sia per i modelli culturali sia per imponenti questioni sociali ed economiche (e come

Chiesa dobbiamo saper prendere in carico sia la questione culturale sia la questione sociale).

Concludendo questa mappa concettuale, Convegno ecclesiale e Sinodo sulla famiglia ricadranno ampiamente nel Sinodo diocesano, che di fatto ha come scopo fondamentale quello di disegnare una Chiesa di Nola che media per il nostro territorio i grandi scenari universali e nazionali, una Chiesa di Nola sostanzialmente protesa, piegata, curvata sulle persone. Anzi, possiamo dire che la circolaritá é giá ben attiva. É sufficiente leggere i testi per notare che l’approccio e i contenuti si richiamano: l’uomo al centro, la Chiesa che umilmente bussa alla sua porta con parole di accoglienza, amore e misericordia.

Ma non dobbiamo aspettare che si consumino questi tre eventi per iniziare a cambiare. Sarebbe ipocrita attendere i “documenti” per prendere una nuova direzione.

Si può iniziare oggi. Ad esempio vivendo un Natale dal sapore meno artificiale, vivendolo all’insegna di una profonda riumanizzazione delle nostre relazioni a partire dalla famiglia e dalla comunità cristiana. In qualche modo, il messaggio del vescovo per il Natale 2015 è anche il viatico migliore ad uno straordinario ed impegnativo anno di Chiesa.

Tra Nola e Firenze: il filo rosso del 2015di Marco Iasevoli

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La Terza Pagina

Natale… Un tempo ad annunciarne l’arrivo era il suono delle

zampogne, il profumo delle caldarroste, il freddo pungente, l’acre fumo dei camini, e i pastori di terracotta che, delicatamente risvegliati dal letargo estivo, ricomparivano sul presepe. In quel tempo Adeste fideles e Tu scendi dalle stelle, Astro del ciel e In notte placida ancora non avevano ceduto il passo a Jingle Bells, e le Lacrime napulitane scendevano a profusione quando Assuntulella chiagneva chiedendo del papà emigrato. I bambini, poi, in quel tempo facevano anche i buoni propositi consegnati alle letterine da mettere sotto il piatto di papà nel giorno della festa…

In quel tempo si soleva dire “nasce il Bambino”, ed era chiaro come il sole chi fosse quel bambino nominato con tanto rispetto da sembrare pronunciato con la maiuscola. Atteso dai bambini (con la b minuscola) che credevano a Babbo Natale, e dagli adulti che volevano convincere i bambini della realtà di Babbo Natale (forse per giustificare un regalo che solo allora si poteva fare), il Natale di quel Bambino era l’Evento (con la E maiuscola), che nel ricordo della Santa Nascita riuniva le famiglie, prima al cenone della vigilia – di poche portate e molti convitati – e subito dopo nella parrocchia per la santa Messa di mezzanotte, dove il Bambino (sempre quello con la B maiuscola) nasceva in quel freddo e gelo uguale a quello sperimentato anche dai fedeli in Chiesa. I semplici, poi, usavano dire che Natale era “festa terribile”… Il vestito incignato per l’occasione da chi conosce il sacrificio ed evita lo spreco; le scarpe nuove di chi sa la difficoltà dell’addizione perché sperimenta quotidianamente la sottrazione; i profumi del cibo condito dall’appetito di un anno d’attesa; ecco, tutte queste cose facevano la differenza tra una festa qualsiasi e quella “festa terribile”, che, per l’appunto, era il Natale! Cambiano, però, i tempi, e cambiano i gusti…

E oggi, in questo tempo in cui gli zampognari sono solo folklore, le caldarroste si vendono a carati come l’oro, la cafonaggine impera, l’effetto-serra ha cambiato il

clima…, oggi, dunque, a ricordarci che sta pe’ trasì Natale sembrano essere ormai rimaste solo le vetrine zeppe di merci insolite, ancorché inutili, e l’immancabile tormentone televisivo su come si spenderà la tredicesima. In questo tempo che è, sì, anch’esso tempo di crisi, ma da opulenza; di libertà ma con licenza di libertinare; di progressi scientifici e presunte conquiste civili; di viaggi spaziali verso pianeti lontani e d’incapacità a incontrare il vicino di casa; di mirabilie telematiche e di difficoltà di comunicazione personale; di grandi assembramenti e di sconcertanti solitudini; in questo tempo, insomma, c’è ancora chi ritiene che Natale possa essere un evento.

A condizione… che l’economia migliori e il commercio riparta; che gli immigrati sbarchino anche su altre coste; che il Papa e i Vescovi non s’ingeriscano negli affari di coscienza; che le melensaggini televisive aumentino gl’indici d’ascolto; che lo Stato ripulisca le strade dai barbone; che mafiosi e camorristi si ammazzino solo tra loro; che l’indice Dow Jones balzi in avanti favorendo gli speculatori… Insomma, ci deve essere sempre qualche condizione. Eh sì, i tempi cambiano. Ma il Natale cambia?

Anche se non si vincerà la lotteria di Capodanno, anche se il conto in banca non si accrescerà, anche se non si comprerà la barca dei sogni,

anche se non si farà la settimana bianca, Natale non sarà mai solo un 25 dicembre, un giorno cioè da archiviare come ogni pagina d’agenda. Ieri, oggi, sempre, e senza tante condizioni, Natale resta il dono di Dio agli uomini e la scommessa di Dio sugli uomini cominciata non un qualsiasi 25 dicembre di un anno qualsiasi ma quando, nella pienezza del tempo, Dio stesso concepì quel capolavoro di giornata venuta dal fondo dei secoli a comunicare l’impegno per una rivoluzione pacifica che si completerà quando la generosità degli uomini, disposti ormai ad accumulare solo tesori in cielo, avrà sconfitto la miseria; quando “egoismo” sarà ormai solo una parola desueta; quando, distrutte, le armi taceranno per sempre; quando a svuotare i negozi saranno state sorella solidarietà e madama carità; quando in giro per il mondo non ci saranno più emigrati ed immigrati in cerca di un lavoro ma solo turisti; quando non ci saranno più delinquenti d’ogni risma perché ormai instaurata la repubblica del bene; quando visiteremo Marte m subito dopo aver fatto compagnia al nostro vicino triste, ammalato, depresso, noioso; quando barbone sarà solo uno che porta la barba; quando, insomma, il Bambino, nato allora nella sperduta Betlemme di Giuda e deposto in una mangiatoia, avrà trovato infine alloggio nel cuore d’ogni uomo.

Natale: un cuore che incarna la logica di Dio

Un capolavoro di giornatadi Mimmo Panico

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mensile della Chiesa di Nola

Se dovessimo cercare una de-finizione nella quale racchiu-

dere a mo’ di compendio la de-scrizione di Dio che emerge dalla lettura dell’Antico Testamento, non potremmo trovarne una più profonda di questa che sgorga dalle labbra del salmista, quasi al termine del Salmo 119: “Tu, Si-gnore, sei vicino” (Sal 119,151). È una definizione che alle nostre orecchie abituate in genere ad associare a Dio attributi quali la santità, l’imperscrutabilità, l’on-nipotenza, potrebbe sembrare stranamente poco esaustiva, ep-pure tutte le pagine della Scrit-tura, dal Pentateuco, agli scrit-ti sapienziali e profetici, sono percorse, più o meno esplicita-mente, dallo stupore per questa vicinanza inaudita del tre volte Santo al popolo che è “suo” e che Egli ama con “amore geloso” (Is 26,11).

Di fronte alla terra promessa, al termine del cammino dell’E-sodo, spesso incerto e avven-turoso, ma nel quale Israele ha sperimentato sensibilmente la vicinanza di un Dio che li aveva condotti “su ali di aquile” (Es 19,4), Mosè, esortando il popolo all’obbedienza alla Legge di Dio, domanda:“quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?” (Dt 4,7). Il popolo eletto avverte sensibilmente una sua speciale vicinanza al Signore, un rapporto immediato con quel Dio che fin dall’inizio del libro dell’Esodo ha volto lo sguardo e teso l’orecchio alle sofferenze del “suo popolo” e, con provvida paternità è sceso per liberarlo dal potere dell’Egit-to (cfr. Es 3,8).

Il Dio che ci descrive l’Antico Testamento, non è dunque un sovrano lontano, dispotico e ter-ribile, come i re e gli dei del Vi-cino Oriente antico, non è uno di quelli dei quali si parla nel Salmo

135, con una punta d’ironia: “gli idoli delle nazioni sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo” (Sal 135,15). A questi dei, spiega il salmista, è inutile volgersi, per-ché “hanno orecchi e non odono; non c’è respiro nella loro bocca” (Sal 135,17): essi non possono ascoltare le preghiere del popolo né, tantomeno, compiere le azio-ni prodigiose che Israele aveva vi-sto verificarsi sotto i propri occhi nella liberazione dall’Egitto, l’e-vento che ha segnato la memoria storica del popolo eletto e lo ha costituito per sempre come la na-zione che Dio “ha scelto per esse-re il suo popolo di sua proprietà fra tutti i popoli che sono sulla terra” (Dt 7,6).

Il Dio d’Israele, invece, è il San-

L’umanità del Signore attraverso i testi dell’Antico Testamento

IL DIo VICINodi Marco A. Napolitano

to che si fa vicino, l’Altissimo che diventa Redentore: “io vengo in tuo aiuto – oracolo del Signore –, tuo redentore è il Santo d’Israe-le” (Is 41,14).

Proprio l’accostamento tra santità e redenzione disegna i tratti dell’inaudita vicinanza del Dio biblico: egli è il Santo, cioè colui che è separato, altissimo, fuori dall’ambito dello spazio e del tempo (come indica la radi-ce ebraica qdš, da cui proviene il termine per “santità”), ma, contemporaneamente, egli è per il popolo il Redentore, ovvero, in ebraico, il gō’ēl. La figura del gō’ēl era ben conosciuta nell’an-tico Israele: nel caso in cui qual-cuno fosse caduto in miseria e avesse dovuto vendere una sua

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Si è faTTo uomoparte di proprietà, il suo parente più prossimo aveva il dovere e il privilegio di intervenire in suo fa-vore per riscattare (gā’al) quan-to era stato forzatamente cedu-to (cfr., ad esempio, Lev 25,25). Quando allora nella Bibbia Dio viene definito il gō’ēl di Israe-le, questa immagine non vuole evocare tanto la figura del so-vrano che concede benignamen-te la libertà o la salvezza al suo suddito, quanto l’immagine del congiunto più stretto del popo-lo, che non solo ha il diritto, ma anche il dovere di liberarlo dalle schiavitù a cui Israele è sottopo-sto, quand’anche queste catene fossero la conseguenza dell’infe-deltà all’alleanza con Dio. Ed è in questo ossimoro tra assoluta se-parazione e vicinanza parentale che si adombra il mistero di quel Dio che solo nella vita e nell’opera di Gesù di Nazareth sarà definiti-vamente chiarito: Gesù è il gō’ēl, il redentore dell’umanità, colui che condivide con noi la carne e

il sangue, il Dio Altissimo e San-to che sceglie di “imparentarsi” con l’uomo per riscattarlo dalla sua misera condizione, sollevan-dolo dai suoi limiti, dalle sue fra-gilità perché ha intessuto con lui un rapporto di familiarità, anzi di profonda intimità, che spesso nella Scrittura, assume i tratti della tenerezza paterna e mater-na. “Come è tenero un padre ver-so i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono” (Sal 103,3): Israele sperimenta la pa-ternità di Dio, che lo sostiene e lo corregge, lo ferisce e lo cura, come si legge in un oracolo del profeta Geremia: “Non è un figlio carissimo per me Èfraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo minaccio, me ne ricordo sempre con affetto. Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerez-za” (Ger 31,20). La tenerezza pa-terna del Dio d’Israele per il suo popolo si esprime, in ebraico, con un termine, che dice con imme-

diatezza quanto sia straordinario il legame che si intesse tra il Si-gnore e l’umanità: la radice rhm da cui viene il verbo riham, “ave-re misericordia”, indica infatti, nelle lingue semitiche, il ventre materno. Anche la tenerezza pa-terna di Dio si radica profonda-mente nella sua profonda vici-nanza al popolo, che Egli guarda come una madre che ha generato (in Dt 32,6 viene appunto definito “il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito”), ha allevato, accompagnato e preser-vato con amore (“Lo circondò, lo allevò, lo custodì come la pupilla del suo occhio”, Dt 32,10). È un amore “viscerale”, profondo e appassionato, che lega il Signo-re all’uomo, e lo spinge a venir-gli incontro, per sollevarlo dalle sue cadute, per liberarlo dai suoi carcerieri, fino ad annunciare, per bocca del profeta Zaccaria: “Rallégrati, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te” (Zac 2,14).

Egli viene a prendere stabile di-mora in mezzo al suo popolo con l’incarnazione, per effetto della quale “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). La vita di Gesù sarà proprio il segno di questa straor-dinaria e paterna vicinanza del Padre che “freme di compassio-ne” (Os 11,8) per l’umanità. “Ve-dendo le folle si commosse, per-ché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36): nella commozione del Cristo per il disorientamento del-la storia si legge in trasparenza lo sguardo del Dio d’Israele, che “scende” a prendere parte al de-stino del suo popolo, che sceglie di stare al suo fianco per guidarlo, come un pastore, alla salvezza. L’affetto paterno e, oserei dire, materno del Signore, che il popo-lo ha sperimentato nelle vicende, gloriose e dolorose, dell’Antico Testamento, diviene il cuore di carne di Gesù Cristo che batte all’unisono con quello dell’uma-nità, per insegnare che, per il Dio come per l’uomo non c’è: “un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13).

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mensile della Chiesa di Nola

Gesù, come recita il Concilio di Calcedonia, è

consustanziale al Padre, secondo la divinità (nella ripresa Nicena) e consustanziale a noi, secondo l’umanità. Questa seconda sottolineatura vuol dire che la sua umanità è perfetta, contro ogni tipo di eresia che voleva sminuirla.

Ovviamente, l’incubo di eresie, ravvisabili in inutili spiritualismi, rischia ancora oggi di rendere offuscato questo

aspetto fondamentale della nostra fede.

Prendiamo, dunque, a prestito alcune pericopi del Vangelo di Marco, dove emerge in modo abbastanza chiaro questa realtà cristologica, anche se il discorso è ampio e potrebbe tranquillamente abbracciare i quattro Vangeli. Nella prima moltiplicazione dei pani, in Mc 6,30ss, è detto letteralmente che Gesù si commosse profondamente al vedere le folle, perché erano

L’umanità di Gesù attraverso alcune pericopi del Vangelo di Marco

UoMo CoN GLI UoMINIdi Fernando Russoo

come pecore senza pastore. Il verbo greco che renderebbe l’italiano “Commosse” è un aoristo passivo del verbo medio “Splanknìzomai”, che nel greco del Nuovo Testamento è Apax Legòmenon.

Attraverso questa forma verbale, coniata quasi ex abrupto in ambito neotestamentario si vorrebbe sottolineare quel movimento viscerale (splankna=viscere) che genera la commozione e, quindi, un

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movimento che parte dall’interno e permette a Gesù di coinvolgersi con l’umanità sbandata, senza un punto di riferimento, fino alla commozione. La commozione è una reazione umana. Nel caso della pericope e, quindi, di Gesù è una commozione che reca in sé un movimento di spinta verso una situazione che richiede un intervento. Forse, la stessa compassione che spinge il Samaritano a soccorrere l’uomo incappato nei briganti, derubato e lasciato tramortito in mezzo alla strada (Lc 10,29-37)

Nella pericope della donna, proveniente dalla Siria, invece, Gesù rifiuta la guarigione di sua figlia (Mc 7,24-30). La

motivazione al diniego potrebbe sembrare assurda. Lei è letteralmente “un cane”, che non ha diritto al cibo dei figli, in quanto pagana e, quindi, non depositaria del messaggio che Gesù stesso è venuto a rendere pubblico. La domanda sorge spontanea. Può Gesù di Nazareth rifiutarsi di guarire una persona, apostrofandola addirittura a quel modo? In realtà, la precisazione “cane” non è una mancanza di rispetto nei confronti della persona, ma una dichiarazione “ironica”, protesa a lasciare emergere la grande fede di una donna, che per il mondo giudaico era a priori lontana da Dio, perché avvezza alle pratiche pagane. È la risposta della donna, che appunto non rigetta l’appellativo di “cane”, che dimostra una fede autentica in Cristo, una fede che sa affidarsi con umiltà a Colui che può ri-sanare e ri-creare. Un’altra pericope “ambigua” dal punto di vista esegetico risulta proprio il cieco di Betsaida (Mc 8,22-26), laddove Gesù sembra essere in difficoltà nella guarigione del cieco. Il testo si presta ad alcune legittime domande. Come mai Gesù non compie il miracolo pubblicamente, ma prende in disparte il cieco? Perché una guarigione che in altri punti dei Vangeli necessita di un solo tocco o una parola, nella presente pericope, invece, necessita di due tempi?

Sarebbe semplicistico risolvere la cosa dal punto esegetico attribuendo la difficoltà del miracolo alla mancanza di fede del cieco. Infatti, dopo che Gesù ha spalmato saliva e fango sui suoi occhi, gli domanda cosa vede. Le immagini sfocate fanno comprendere che il miracolo è avvenuto quasi a metà e necessiterebbe, dunque, di un secondo intervento, costituito nell’imposizione delle mani. Alla fine e solo alla fine Marco precisa “…E vedeva a distanza ogni cosa…”

Come mai, dunque, Gesù manifesta solo in questa situazione una estrema difficoltà? In realtà, bisogna tenere conto di un aspetto fondamentale. I Vangeli sono racconti. Raccontano fatti veri, relativamente alla persona e al ministero di Cristo. Ogni Evangelista tesse la trama del suo Vangelo, secondo un preciso piano teologico. In realtà il brano del cieco di Betsaida andrebbe letto insieme alla Confessione di Pietro, che lo segue immediatamente (Mc 8,27-30) e al discorso dei pani (Mc 8,14-21).

Nel discorso dei pani i discepoli non comprendono cosa intenda Gesù per “Lievito dei farisei” e pensano di non avere preso con sé il pane. Essi hanno il cuore indurito. Nella confessione di Pietro, invece, è Pietro stesso a dimostrare di essere capace di una confessione tanto alta, relativamente alla identità di Gesù. Quando, poi, Gesù annunzia la passione, Pietro è il primo a dire che non deve morire, meritandosi l’appellativo di Satana. La vera difficoltà di Cristo, dunque, non scaturisce dalla sua umanità o da una diminuzione della divinità stessa. La vera difficoltà di Gesù è nell’incapacità a comprendere dei discepoli stessi. Sono loro, con a capo Pietro, che credono di vedere, ma non vedono. Sono loro i veri ciechi, che si affannano così tanto e che hanno bisogno di un ulteriore intervento di Gesù, perché la visione delle cose sia finalmente chiara.

Non è semplice, dunque, parlare di umanità di Cristo, guardando dunque ai Vangeli. Il dato certo è che non necessariamente umanità di Cristo vuol dire “limite” come potremmo pensare, quando guardiamo alla nostra umanità.

Umanità di Cristo vuol dire, quindi, comunione con noi nella sofferenza e nel coinvolgimento con la nostra storia. Questa umanità è nobilitata e resa perfetta dalla sua divinità.

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mensile della Chiesa di Nola

Un’ostensione con i giovani e con le persone che soffrono. Così l’Arcivescovo Nosiglia vuole caratterizzare l’osten-sione solenne che, dal 19 aprile al 24 giugno 2015, chiamerà nuovamente a raccolta il «popolo della Sindone», per vedere e pregare davanti a quell’Immagine che ricorda con tanta forza espressiva la Passione e la morte di Gesù Cristo. Perché i giovani, perché i malati? L’ostensione del 2015 è stata concessa da Papa Francesco per la coincidenza con i 200 anni dalla nascita di san Giovanni Bosco, fondatore della famiglia salesiana: un «giubileo» che richia-merà a Torino da ogni parte del mondo i giovani (e i meno giovani) che hanno frequentato scuole, oratori e campi sportivi nel nome di don Bosco. Lo stesso Francesco sarà a Torino il 21 giugno: l’ha annunciato nell’udienza in piazza San Pietro il 5 novembre scorso. Per lui il viaggio sarà anche un «ritorno alle radici»: da Torino e dalle col-line del Monferrato la famiglia Bergoglio partì, come tanti altri emigranti piemontesi, alla volta dell’Argentina. Quanto ai malati, il collegamento con la Sindone è diretto: chi conosce la sofferenza, sul proprio corpo o nello spirito, chi vive accanto a persone ammalate sperimenta nel profondo il mistero del dolore; e anche per questo è tanto più aperto a «riconoscere» e cercare di alleviare la sofferenza altrui, per quanto possibile. L’attenzione al mondo della malattia porta alla ragione autentica, vera dell’ostensione: contemplare il Volto del Signore per uscire a «servire i fratelli». È il senso del motto che il Custode Nosiglia ha scelto per questa esposizione: «l’Amore più grande». Le parole di Gesù in Giovanni 15 ricordano che non c’è amore più grande di chi dà la vita. E dunque proprio per questo rendono manifesto l’amore di Dio per noi, che abbiamo ricevuto la vita di Dio in Cristo. Ma l’«a-more più grande» ci invita, ci spinge a riconoscere il Signore nei fratelli – nei poveri, nei bisognosi, nei sofferenti. L’ostensione della Sindone, celebrazione e pellegrinaggio religioso, spirituale, momento forte di vita della Chie-sa, è anche una grande occasione per Torino e per il suo territorio: per farsi conoscere, proporre un’accoglienza che, negli ultimi anni, è cresciuta in quantità e qualità. Saranno soprattutto i giorni vicini a quelli della visita di Francesco a mostrare un «volto nuovo» di Torino, quando verranno migliaia di giovani per incontrare il Papa. Come nelle ostensioni più recenti (dal 1998 in poi) Torino e il Piemonte si sono mobilitati per organizzare l’ostensione. Nel Comitato organizzatore siedono, insieme alla diocesi, la Città, la Provincia di Torino, la Regione Piemonte, con le due fondazioni bancarie (San Paolo e CRT), i Salesiani e la Direzione regionale per i Beni artistici. La coinciden-za con l’Expo di Milano dovrebbe favorire il flusso di visitatori anche su Torino. Si vuole realizzare un’ostensione che garantisca a tutti la possibilità di vedere la Sindone e di conoscere meglio le realtà – ecclesiali e non solo – di Torino e del suo territorio. Per questo, come in passato, la visita alla Sindone è completamente gratuita, pur essendo obbligatoria la prenotazione (anch’essa gratuita). Si prenota esclusiva-mente via Internet, attraverso il sito ufficiale della Sindone, www.sindone.org. Durante i giorni lavorativi è attivo un servizio telefonico di informazione, al numero 011.5292550 (le tariffe dipendono dal proprio gestore telefonico).

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09dicembre 2014

Un uomo ammalato di GesùLo scorso 9 novembre chiusa la fase diocesana del processo di canonizzazione di p. Arturo D’onofrio

Ecco il nostro sì8 dicembre: Festa dell’Adesione per l’Azione Cattolica

Rinnovare con arteInaugurata a Torre Annunziata una cooperativa nata grazie al supporto del Progetto Policoro diocesano

Quando l’alunno è protagonista L’Istituto Vescovile Paritario di Nola allarga la sua offerta formativa

Tu vuoi seguire Gesù?A Cicciano la Festa dei Giovani della Consulta di pastorale giovanile del II decanato

oltre la tolleranza Premiata una dissertazione di Laurea Magistrale in Scienze Religiose sostenuta presso l’ISSR di Nola

Con lo sguardo dei più giovaniIl Vescovo di Nola incontra gli studenti

Comunicatore ignazianoP. Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha incontrato il clero nolano

In Diocesi

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mensile della Chiesa di Nola

“Abbiamo bisogno di uomini profetici che in questo

nostro deserto siano capaci di far sgorgare ancora l’acqua. Se manca questa Chiesa viva, che incarna Gesù, tutto è inutile. Dove c’è un profeta c’è un sogno che comincia. Noi abbiamo incontrato un testimone: Padre Arturo”.

Straordinarie le parole pronunciate dal vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, lo scorso 9 novembre, nel Santuario Basilica dedicato alla Vergine Consolatrice del Carpinello di Visciano, gremito per la cerimonia di chiusura della prima fase, quella diocesana, del Processo di Canonizzazione del Servo di Dio Padre Arturo D’Onofrio, avviato il 3 novembre del 2012. Ai piedi dell’altare c’erano tre plichi contenenti i documenti raccolti e vagliati, che alla fine della cerimonia religiosa sono stati sigillati per essere trasferiti presso la Santa Sede e sottoposti allo studio della Commissione per le Cause dei Santi.

Importanti le parole del Vescovo di Nola che ha parlato dell’esigenza di creare una chiesa non di pietra ma di uomini , una comunità di uomini e donne che diventano la presenza di Gesù in mezzo alla gente, un popolo di testimoni che hanno incontrato Cristo, hanno assimilato i suoi gesti e sono in grado mostrarli agli altri. “Padre Arturo - ha spiegato Padre Beniamino durante l’omelia - non avrebbe gradito spettacolarizzazioni ma la sua vita vuole interrogarci, contagiarci, appassionarci di quel Vangelo di Gesù che per lui è diventato la più bella malattia.

Padre Arturo si è ammalato di Gesù e non è più guarito, solo così si spiega la sua vita. Padre Arturo ha dato tutto a Dio, non è mai stato triste , angosciato, mai preoccupato, ma è stato un uomo felice, serio, tranquillo, pieno di fiducia, con lo sguardo su Dio, su Gesù; un uomo eccezionale, non per le opere ma per la vita di tutti i giorni vissuta in modo straordinario. La sua bellezza è stata quella

Lo scorso 9 novembre chiusa la fase diocesana del processo di canonizzazione di p. Arturo D’onofrio

UN UoMo AMMALATo DI GESùdi Joletta Manganiello

di vivere l’ordinario in modo straordinario. Qualunque sarà il percorso verso la sua canonizzazione a noi interessa soltanto aver incontrato un uomo che ci ha fatto vedere il Vangelo vissuto. Il suo sguardo e il suo sorriso donavano tanta serenità e pace e tutto questo basta affinché Dio lo presenti come modello di vita a tutta la Chiesa. Padre Arturo ci ha fatto comprendere che incontrare Dio

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11dicembre 2014

in DioceSi

è stupendo, la vita con Dio è meravigliosa e noi siamo venuti per ricevere la sua eredità, la sua esperienza come impegnati”.

Alla fine della celebrazione, alla quale hanno preso parte anche don Aniello Verdicchio e padre Nunzio D’Elia - rispettivamente postulatore diocesano e regionale della causa di beatificazione del Servo di Dio - nonché padre Egidio Pittiglio, superiore generale dei Missionari della Divina Redenzione, il vescovo ha rivolto un appello contro la ludopatia: una sfida nel nome di Padre Arturo, l’uomo che si è fatto interprete delle povertà del nostro territorio e del mondo.

La prima fase del processo di canonizzazionedi J.M.

Padre Vito Terrin, Superiore generale emerito della Congregazione dei Missionari della Divina Redenzione, ha seguito in prima persona la fase istruttoria del processo di canonizzazione del Servo di Dio Pa-dre Arturo D’Onofrio. “Nel 2006, al termine della visita pastorale, il vescovo di Nola, propose padre Arturo quale modello da imitare e ne promosse il processo di canonizzazione cominciato nel 2012”. Una scelta quella del vescovo che ha attivato la comunità viscianese mes-sasi alla ricerca di tutto il materiale utile al processo: diari, quaderni di omelie, riflessioni, pensieri e tanti appunti. Ma il lavoro intenso è continuato. “Anche quelli dal 2012 al 2014 - data di chiusura della fase diocesana del processo - sono stati anni di intenso lavoro da parte della comunità dei Missionari della Divina redenzione; si è proceduto alla trascrizione del contenuto dei diari, allo sbobinamento degli in-terventi, delle omelie, alla indicizzazione dei circa 50 libri pubblicati e degli articoli per la rivista della Piccola opera della Redenzione, della documentazione relativa alle tre fondazioni (la Piccola opera della redenzione come ente Morale e le Congregazioni dei Missionari della Divina redenzione e delle piccole Apostole della Redenzione), di tutte le circolari scritte da Padre Arturo ai suoi sacerdoti e alle suore, della corrispondenza epistolare con il Vescovo di Tortona, già Vescovo di Nola, Mons. Melchiori e il suo segretario, quella con Don Calabria, oggi San Giovanni Calabria, con Madre Anna Vitiello (più di 200 lette-re), superiora generale delle Piccole Apostole della Redenzione, e con Padre Nicola Ariano (più di 300 lettere)”.In questi anni sono state costituite le due commissioni per il proces-so, quella storica e quella teologica, che hanno preso in esame tutto il materiale. Da questo lavoro unito alle più di settanta audizioni di suo-re, sacerdoti, laici, vescovi, effettuati da don Nunzio D’Elia ,postula-tore regionale della Causa di beatificazione, si è giunti alla conclu-sione della sufficiente validità del materiale per poter procedere. Lo scorso 3 novembre il vescovo ha presieduto la solenne celebrazione di chiusura del processo nella sua fase diocesana, sigillando le scatole contenenti tutto il materiale con le rispettive relazioni, quella storica redatta da Ulderico Parente, e quella teologica redatta da Don Nunzio D’Elia. L’ 11 dicembre, poi, i plichi sigillati sono stati consegnati a Roma al Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi.“Aver preso parte a questa fase di inizio del processo di beatifica-zione del Fondatore mi ha fatto riscoprire un Padre Arturo che non conoscevo, è come se avessi contemplato un grande edificio ma poi ho scoperto i progetti, e i calcoli per realizzarlo. Penso che ciascuno di noi abbia capito cosa gli abbia permesso di costruire la Piccola Opera. Una grandiosa struttura spirituale”.

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dicembre 201412

mensile della Chiesa di Nola

8 dicembre: Festa dell’Adesione per l’Azione Cattolica

ECCo IL NoSTRo Sìdi Alfonso Lanzieri

carsi, nel bene e nel male. L’Ac non vuole essere una “devozione” indi-vidualistica, un ideale da coltivare nella propria sfera privata: è un “sì” a sporcarsi le mani nella realtà con-creta in stretta collaborazione con la Chiesa e i suoi pastori. Ricevere la tessera dalle mani del parroco, allora, è il segno di un investimento: il singolo socio dice apertamente di volere, ancora una volta, investire la propria esistenza nel servizio e nella promozione umana dell’altro come e dove sarà necessario; l’associazio-ne e la Chiesa pure investono per-ché affidano al singolo aderente un pezzetto di mondo, ora più grande ora più piccolo, nel quale far frut-tificare il Regno di Dio. La tessera oltre a simboleggiare un impegno e un’appartenenza pubblici, vuole an-che dire che ogni socio contribuisce alla vita dell’associazione (anche a livello economico) nell’ottica di una vera e fattiva corresponsabilità.

L’8 dicembre scorso l’Azione Cat-tolica ha celebrato la tradizionale

festa dell’adesione, uno dei momen-ti più importanti per la vita dell’as-sociazione. Nel giorno in cui tutta la chiesa celebra liturgicamente la So-lennità dell’Immacolata Concezio-ne, infatti, i membri di AC rinnovano il loro “sì” all’associazione e quindi all’impegno nella Chiesa e nel mon-do, sull’esempio del “sì” di Maria.

La riconferma della propria ade-sione avviene attraverso un momen-to simbolico importante: la conse-gna della nuova tessera annuale a ciascun membro parrocchiale du-rante la celebrazione eucaristica. Il parroco e il presidente parrocchiale, insieme, chiamano ciascun socio per nome a ritirare la nuova tessera: il proprio impegno così è pubblico, il “sì” è esposto al rischio e alla bellez-za dell’essere inserito sempre in un orizzonte più ampio, quello delle re-lazioni, nel quale si è chiamati a gio-

Catechesi attraverso l’arte

Lo scorso venerdì 28 novem-bre, alle ore 20, presso la par-rocchia Santa Maria di Costan-tinopoli a Somma Vesuviana (zona “Rione Trieste”) si è te-nuta la “Catechesi attraverso l’arte”, appuntamento di spi-ritualità per i giovani di Azio-ne Cattolica in preparazione al Natale. Giunta alla sua quarta edizione, la “Catechesi attra-verso l’arte” vuole essere un momento nel quale unire spi-ritualità e cultura, attingendo a piene mani dall’immenso pa-trimonio artistico della tradi-zione cristiana, che la Chiesa ha sempre valorizzato per la sua capacità di saper trasmet-tere in modo efficace i conte-nuti della fede. La serata ha visto una folta partecipazione di giovani pro-venienti da un numero molto alto di parrocchie. La catechesi è stata tenuta da Don Luigi Vitale, assistente del settore giovani diocesano di Azione Cattolica ed esperto di arte e architettura sacra, che ha parlato della figura di San Giuseppe presentando all’udi-torio una estesa carrellata di opere d’arte nelle quali il San-to è stato ritratto. Don Luigi, attraverso la lettura delle immagini, ha fatto emer-gere le varie interpretazioni che gli artisti hanno dato del padre putativo di Gesù, trat-teggiando in tal modo le ca-ratteristiche e i significati che la comunità cristiana ha attri-buito a San Giuseppe lungo la storia. Un percorso interessante e ricco di suggestione, una mo-dalità di annuncio cristiano che mira a parlare alla persona nella sua totalità, non soltanto quindi alla sfera logico-razio-nale, ma pure a quella affetti-va e simbolica.

Esercizi spirituali per gli adulti di Azione Cattolicadi Carmela Coppola

“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Questa frase è tratta dal brano del vangelo su cui circa 30 adulti di A.C. hanno meditato e riflettuto, durante gli Esercizi Spirituali del settore adulti diocesa-no, grazie all’aiuto di don Aniello Tortora e don Aniello Verdicchio, rispettivamente assistente e vice assistente di settore, dal 21 al 23 Novembre presso “Casa del Clero”, a Nola. Abituati alla vita di tutti i giorni, frenetica, senza un attimo di respiro, abbiamo perso il sapore del silenzio, in una quotidianità dove le parole sono indispensabili, ogni momento sembra necessitare di spiegazioni. Nelle meditazioni che ci sono state proposte abbiamo però potuto riappropriarci delle enormi ricchezze del silenzio. Il silenzio è mitezza, quando non ri-spondi alle offese. Il silenzio è misericordia quando non riveli le colpe dei fratelli, quando perdoni senza indagare nel passato, quando il tuo cuore non condanna, ma perdona. Il silenzio è pazienza quando soffri senza lamentarti, quando non cerchi consolazione dagli uomini, ma consoli, quando non intervieni, ma attendi che il seme germogli lentamente. Il Silenzio è umiltà quando taci per lasciare emergere i fratelli, quando accogli nel segreto i doni di Dio, quando lasci che il tuo agire sia interpretato male e non opponi resistenza all’arrogan-za, quando lasci agli altri la gloria e il merito dell’impresa. Il silenzio è fede quando ti fermi a contemplare il volto del prossimo, quando ascolti la presenza di Dio nella bufera, quando taci, perchè sia Dio a parlare, quando non cerchi comprensione perchè ti basta essere conosciuto da Lui. Il silenzio è adorazione quando t’immergi nella vo-lontà di Dio. Il silenzio è amore quando guardi te stesso e il prossimo attraverso gli occhi di Dio.

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13dicembre 2014

in DioceSi

Inaugurata a Torre Annunziata una cooperativa nata grazie al supporto del Progetto Policoro

RINNoVARE CoN ARTEdi Giuseppina Orefice

re ed imbianchino si sono “messi insieme” per offrire alla propria Comunità un nuovo modo di pensare al lavoro, condividendo esperienze, competenze e met-tendosi in gioco per creare nuove economie per il territorio. Padre Beniamino nella Basilica “Maria SS.ma della Neve” ha celebrato la Santa Messa, mentre, a seguire nei locali adiacenti al Santuario, ex orfanotrofio, una tavola roton-da ha presentato ai convenuti la cooperativa da poco costituita fortemente voluta da mons. Raf-faele Russo, parroco anche del-la parrocchia “San Francesco di Paola” e decano (VIII decanato), che per mostrare la concretezza e il sostegno della chiesa torre-se ha messo a disposizione alcuni locali parrocchiali che serviranno come uffici amministrativi dell’ impresa.

“Rinnovare con Arte” nasce dopo due anni di lavoro di accom-pagnamento travagliato e impe-gnativo portato avanti dell’équi-pe del Progetto Policoro della Diocesi di Nola e sostenuto da Confcooperative della provincia di Napoli, filiera della formazio-ne per il Progetto Policoro non solo della nostra diocesi, ma di tutta la provincia napoletana. Tutt’oggi la guida competente del dott. Claudio Esposito vice-presidente Confcooperative di Napoli sta offrendo all’impresa torrese, la possibilità di mettere in circolo l’esperienza matura-ta in questi anni di formazione anche negli ambienti carcerari, come sottolineato dal vicepre-sidente intervenuto all’inaugu-razione. Hanno preso parte alla tavola rotonda del 23 novembre il sindaco Astarita e l’assessore alla cultura di Torre Annunziata, che hanno mostrato interesse e fiducia per i progetti della coo-

Il tasso di disoccupazione negli ultimi mesi aumenta ancora.

La crisi sembra non volerne sa-pere, non lascia spazio alla cre-scita e allo sviluppo economico. Mancano misure politiche mirate ed adeguate, mancano gli aiuti necessari perché si possa ancora investire in Italia, manca la so-lidarietà economica tra le parti, ciascuno si adopera per mantene-re saldo e coeso il suo mercato, e intanto la camorra continua ad offrire lavoro a buon mercato, seppure nero e sudicio. Questo è quanto sentiamo dai notiziari e dai talk show, questa è la real-tà a cui siamo stati abituati e che ci ripetiamo di continuo per con-vincerci che non si può cambiare, non si può migliorare, non si può portare fuori da questo buco nero della crisi il ‘saper fare’, il lavoro onesto e pulito, il lavoro che dona dignità all’uomo restituendogli il valore di figlio, padre e marito. “Il lavoro è per l’uomo”, la fati-ca e il sacrificio gli consentono di conquistare un posto degno nella vita della città; invece, il caos ge-nerato dal precariato senza fine, dalla disoccupazione e dall’inoc-cupazione toglie la speranza, soffoca e disorienta, annebbia le menti e impedisce la vista di ciò che si può realizzare nonostante la crisi, nonostante i limiti umani.

Ecco perché le belle notizie devono viaggiare più veloci, le buone prassi possono diventare uno sprono per tanti altri progetti e generare virtuose sinergie. La speranza è alimentata da picco-li segni che nei territori possono fare la differenza.

Il 23 novembre è stata inaugu-rata a Torre Annunziata una coo-perativa di arti e di mestieri “Rin-novare con arte”: alcuni maestri artigiani torresi falegname, fab-bro, vetraio, muratore, giardinie-

perativa; don Antonio Carbone responsabile dell’istituto salesia-no di Torre che ha fatto presente il valore del 23 novembre per la città di Torre essendo girono del ricordo del sacrificio di Raffaele Pastore, imprenditore anti-ra-cket e ha sottolineato quanto sia importante per il territorio l’ap-plicazione del sistema preventivo di don Bosco; il dott. Michele del Gaudio responsabile del presidio di “Libera” inaugurato nella stes-sa giornata; don Giuseppe Auto-rino, tutor del Progetto Policoro della Diocesi di Nola, che ha ri-cordato l’esperienza di accompa-gnamento del Progetto Policoro e l’importanza della cooperazione; il Presidente della Cooperativa Luciano Donadio, ex allievo coo-peratore salesiano, che ha defini-to la cooperativa un seme per lo sviluppo della città e ha ribadito i buoni propositi dei soci.

Al nostro Vescovo sono state af-fidate le conclusioni: ha ricordato che il sud Italia è stato abituato per troppo tempo a dipendenze di ogni genere e a ricevere per ca-rità ciò che gli spettava per giu-stizia e diritto. Ma soprattutto ha evidenziato che solo il coraggio di sognare una realtà migliore ha consentito agli uomini e alle don-ne del passato di attuare grandi trasformazioni, quei sogni de-vono sostenere anche l’oggi per guardare con speranza al futuro.

Alla Nostra Chiesa, ora, non resta che osservare il lavoro che con responsabilità la cooperati-va dovrà svolgere nel tempo. Il Progetto Policoro diocesano sarà sempre disponibile ad accompa-gnare i soci nei percorsi che li vedranno protagonisti della loro storia professionale e compagni di viaggio di questa bella avven-tura cooperativa per essere se-gno di una chiesa vicina e in rete.

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dicembre 201414

mensile della Chiesa di Nola

L’Istituto Vescovile Paritario di Nola allarga la sua offerta formativa

QUANDo L’ALUNNo è PRoTAGoNISTA di Ciro Tufano

lità di fruire della consultazione di un vasto ed unico patrimonio librario, conservato nella Biblio-teca S. Paolino, che conta ben 60 mila volumi; nella sezione storica si conservata una copia lucchese dell’enciclopedia di Diderot, ri-salente al 1758, e ad altri nume-rosi testi, tutti originali, del XVI e XVII secolo.

Il lavoro dei docenti si avvale delle nuove frontiere della comu-nicazione, per una didattica che non risulti mai ‘noiosa’ e sempre al passo con i tempi.

A supporto di tale didattica vi sono: un’aula per audiovisivi, un laboratorio informatico e lingui-stico con possibilità di accesso ad internet, un laboratorio di scienze, chimica e fisica, una sala per conferenze, per perfor-mance musicali e teatrali, un au-ditorium. Una palestra, un cam-

Le novità per l’anno scolastico 2015/2016 sono i nuovi labo-

ratori multimediali e una nuova offerta formativa.

Sì, l’Istituto Vescovile si rinno-va e dal prossimo anno amplia la propria offerta formativa, insie-me ai Liceo Classico e Scientifico, infatti, aprirà le porte al Liceo Linguistico e al Liceo Scientifico Sportivo.

Collocato alle pendici della collina di Castelcicala di Nola, all’interno di un’oasi di verde e di pace, l’Istituto Vescovile of-fre un progetto di scuola dove l’alunno è protagonista.

All’interno dell’Istituto si con-serva un interessante lapidarium di epoca romana, oltre al Cippus Abellanus, importante e famoso reperto in lingua osca, risalente al II secolo a. C.

Gli studenti hanno la possibi-

po di calcetto, una sala giochi e vasti giardini, che garantiscono agli alunni momenti ricreativi e sportivi.

Una ricca e variegata offerta formativa, dunque, che dal pros-simo anno scolastico 2015/2016 verrà ampliata – come dicevamo - dall’istituzione di due nuovi li-cei. Gli alunni iscritti al biennio potranno usufruire della formu-la day college, con refezione in sede e orario di lezione dal lune-dì al venerdì dalle 8, 30 alle 16, 30.

La possibilità di estendere il programma didattico anche alle ore pomeridiane, permette ai docenti di dar spazio anche ad attività di approfondimento per-sonale e collettivo, oltre che di tutorato.

Principi evangelici e flessibili-tà della didattica, consentono di modulare l’offerta formativa rispetto alle peculiarità di ogni singolo studente, elaborando di volta in volta programmi perso-nalizzati che tengano conto del profilo esistenziale e dell’itine-rario umano e scolastico di ogni singolo alunno.

Professionalità, impegno e pas-sione per il proprio lavoro, fanno dei nostri insegnanti dei validi tutor, in grado di contribuire alla crescita culturale oltre che mo-rale dei nostri alunni. Personale qualificato, quindi, con ampia esperienza nell’insegnamento anche universitario, fa sì che i nostri studenti possano non solo ambire ad affermarsi come uo-mini e donne istruiti, ma anche come “persone”, dotate di senso critico, libere dal conformismo ed animate da spirito di coopera-zione e solidarietà, che li renda in grado di affrontare la vita, an-che quando la scuola sarà solo un lontano ricordo.

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C’è una sorprendente sintonia tra il cammino sinodale della nostra chiesa diocesana e il percorso pro-posto in vista del convegno decennale che la Chiesa italiana celebrerà a Firenze nel novembre 2015 il cui tema è “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Si tratta di riformulare l’antico e sempre nuovo an-

nuncio del senso dell’umano che deriva dalla fede in Cristo Gesù, perché dia forma alla vita aprendola ad una più grande speranza, e l’attenzione è posta immediatamente sulla necessità di un discernimento comunitario che diventi sempre più lo stile della comunità ecclesiale. Esattamente come è nell’itinerario che stiamo già seguendo in quanto chiesa dioce-sana!

Nella presentazione della traccia di lavoro Mons. Nosiglia sottolinea come vi sia “un bisogno di discernimento comunitario di fronte alle sfide del mondo contemporaneo” e insieme a questo “la voglia di camminare insieme, di assaporare il gusto dell’essere Chiesa qui e oggi”. La traccia, sottolinea ancora Nosiglia, non è un documento, ma intende es-sere “un testo aperto che vuole stimolare un coinvolgimento diffuso”. L’obiettivo non è “formulare teorie astratte o offrire programmi e schemi pastorali precostituiti”, quanto piuttosto “attivare un lavoro collegia-le” per “cercare insieme vie nuove per affrontare le sfide”.

Il V Convegno Ecclesiale Nazionale si svolgerà a

Firenze dal 9 al 13 novembre 2015.

www.chiesacattolica.it

La traccia di lavoro del sinodo diocesano e quella per il convegno di Firenze a confronto

CAMMINI INCRoCIATIdi Pina De Simone

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Anche nel sinodo diocesano non ci siamo preoccupati di fornire ricette pastorali precostituite per rispon-dere alle esigenze dell’oggi ma abbiamo messo in moto un processo di conversione missionaria che spin-gendoci a interrogarci su questo tempo (“Come mai questo tempo non sapete valutarlo?”) ci fa riflettere sul nostro modo di essere Chiesa e su quanto questo tempo ci attraversi con le sue contraddizioni e ci coinvolga con le sue attese e i tanti fermenti di bene che non cessa di esprimere.

La prima e fondamentale esigenza che abbiamo posto è stata quella dell’ascolto è richiesto un cam-biamento di sguardo. Anche nella traccia per Firenze si invita a leggere i segni dei tempi a far nostro lo sguardo amorevole di Gesù, sottolineando che una “conoscenza che diven-ta amore” è “la vera sfida a cui siamo chiamati”. Tra le “cinque vie verso l’umanità nuova” indicate nell’ultima parte della traccia, la prima è “uscire”. “Il rischio di un’inerzia strutturale, della semplice ripetizione di ciò a cui siamo abituati - vi si legge - è sempre in agguato”. Gli obiettivi che come comunità ci diamo devono essere invece “il frutto di un discernimento” operato dalla stessa comunità. occorre aprirci “all’ascolto delle parole dei contemporanei, che risuonano anche nei nostri cuori (...) ascoltare lo smarrimento della gente, (...) raccogliere, curare (...) dare luce ai tanti gesti di buona umanità che pure in contesti così difficili sono presenti, disseminati nelle pieghe del quotidiano. offrire strumenti che diano lucidità ma soprattutto serenità di lettura, convinti che, anche oggi, i sentieri che Dio apre per noi sono visibili e praticati”.

Uscire per “annunciare” perché “la gente ha bisogno di parole e gesti che, partendo da noi, indirizzino lo sguardo e i desideri a Dio”. Questo secondo verbo richiama il quinto punto del nostro documento sinodale “Per una Chiesa che serve”. Quale infatti maggiore servizio si può offrire all’umanità se non l’annuncio “del Vangelo della misericordia”? Un annuncio che deve essere testimonianza perché, si scrive ancora nella traccia di Firenze, la “fede genera una testimonianza annunciata non meno di una testimonianza vissuta”. È a partire da questa “forma” e questo “stile testimoniali” che occorre verificare la nostra proposta della fede in un contesto pluriculturale e plurireligioso oltre che mediatico e digitale.

Una testimonianza data non attraverso un “eccesso di attivismo, ma un’attenzione rivolta al fratello, considerandolo come un’unica cosa con se stesso”. Una Chiesa dunque capace di comunione - il punto 4 della traccia sinodale - in quanto intenta ad “abitare” ed “educare”, altri due verbi indicati dal documento di riflessione del convegno di Firenze. Abitare con uno stile che è quello di “una Chiesa povera per i pove-ri” ovvero non “aggiungere qualche gesto di attenzione, ma ripensare insieme, se occorre, i nostri stessi modi dell’abitare, del trascorrere il tempo libero, del festeggiare, del condividere”. Per questo l’impegno deve essere quello di “educare a scelte responsabili” contrastando “l’assimilazione passiva di modelli am-piamente divulgati e di superarne l’inconsistenza, promuovendo la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione”.

Ma è “la vita sacramentale e di preghiera che ci permette di esprimere quel sempre maior di Dio nell’uo-mo” è infatti attraverso la capacità di rendere lode - punto 3 del nostro Instrumentum laboris - che “ le comunità cristiane sono nutrite e trasformate nella fede” perché “la potenza dei sacramenti assume la nostra condizione umana e la presenta come offerta gradita a Dio, restituendocela trasfigurata e capace di condivisione e di solidarietà”. “Trasfigurare” è il quinto verbo indicato nella traccia per il convegno ec-clesiale di Firenze il cui cammino, incrociando così profondamente il cammino sinodale della nostra Chiesa diocesana, ci ricorda l’orizzonte più ampio in cui ci muoviamo. Quello di una Chiesa tutta sinodale, della Chiesa del Concilio, popolo di Dio in cammino per le strade del mondo e i sentieri della storia. Una Chiesa che risponde alla missione affidatale dal Signore Gesù, annunciare il Vangelo fino agli estremi confini, solo se mette al centro le persone e la loro vita concreta: ogni persona. Solo se si fa luogo di incontro in cui si possano intrecciare e vivere relazioni di autentica umanità. Annunciare il Vangelo è annunciare una pienez-za di vita attesa e donata, una pienezza di umanità che ci è data nella sovrabbondanza del dono oltre ogni nostro desiderio. L’umanità di Cristo ci rivela a noi stessi, ci conduce alla verità e alla bellezza della nostra umanità. è nel volto di Cristo che scopriamo il nostro volto, ma è “dall’insieme dei volti concreti, di bambini e anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini italiani e di immigrati venuti da lontano” che “emerge la bellezza del volto di Gesù (...) perché egli ne raccoglie in unità i lineamenti come pure le cicatrici” (traccia Firenze, p.17). A questi volti dobbiamo imparare rivolgere il nostro sguardo per contemplare veramente il volto di Cristo, è delle loro vite, specie di quelle più fragili, che dobbiamo prenderci cura per riconoscere e onorare “la carne di Cristo”.

L’invito è allora a non lasciarsi andare all’inerzia, a non cedere alla tentazione dell’autosufficienza, ma a lasciarsi condurre dalla sapienza dello Spirito che è fonte inesauribile di creatività, e a spezzare ogni auto-referenzialità per imparare a procedere insieme perché nessuno basta a se stesso.

In fondo è questa la sfida più grande, la sfida del nuovo umanesimo in Cristo Gesù per la Chiesa e per il mondo. Ed è la sfida anche del nostro sinodo diocesano.

La traccia di lavoro del Sinodo della Chiesa di Nola è disponibile su

www.diocesinola.it

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Le tappe del Sinodo:periodo d’Avventodi Mariangela Parisi

Nel periodo d’Avvento, il vescovo di Nola, mons. Be-niamino Depalma ha for-temente voluto incontrare le comunità parrocchiali impegnate del cammino di discernimento sinoda-le. Incontri seguiti alla consegna delle riflessio-ni sulla prima parte della Traccia sinodale, dedicata al tempo che viviamo. «Sono felice che il mio in-vito sia stato accolto - ha sottolineato il vescovo - e che le comunità siano sta-te presenti in Cattedrale sebbene il giorno scelto fosse il sabato. Per me era importante che vivessimo il tempo d’Avvento ricor-dando che la preghiera è la grande forza che ac-compagna la Chiesa nel suo cammino, che faces-simo nostre le parole di San Giovanni Climaco “Chi prega ha in mano il mo-tore della storia”. Era im-portante che lo facessimo insieme, Pastore e comu-nità».Testo scelto per la rifles-sione, le lettere alle Chie-se dell’Asia dell’Apocalisse giovannea, «un testo - ha aggiunto mons. Depalma – utile per comprendere come oggi la Chiesa deve vivere la fedeltà al Signo-re, annunziando la forza della Pasqua, la vittoria del progetto di Dio, senza cadere in culture idolatri-che, senza cedere al com-promesso con il mondo. Le parole di Giovanni alle Chiese dell’Asia di allo-ra, sono il messaggio alla Chiesa di sempre. In que-sto tempo di paura abbia-mo bisogno di una grande speranza. Il libro dell’Apo-calisse è la rivelazione del progetto di Dio che vince sempre sul male e sugli al-leati del male».

“Sabati”: Incontri di spiritualità dei gruppi sinodali con il Vescovo

DateQuaresima21/02 V Decanato 28/02 VI Decanato 07/03 VII Decanato 14/03 VIII Decanato

Verifica Diario di Bordo

Questo tempo (da 1a a 1b)

Date25/11 - Seminario - I Zona pastorale 26/11 - Brusciano S. Sebastiano - II Zona Pastorale27/11 - Torre Annunziata - III Zona pastorale

Per una Chiesa che ascolta (2)

Date27/01 - Seminario -I Zona pastorale 28/01 - Brusciano S. Sebastiano - II Zona Pastorale29/01 - Torre Annunziata - III Zona pastorale

Per una Chiesa che rende lode (3)

Date03/03 - Seminario -I Zona pastorale 04/03 - Brusciano S. Sebastiano - II Zona Pastorale05/03 - Torre Annunziata - III Zona pastorale

Per una Chiesa capace di comunione (4)

Date05/05 - Seminario -I Zona pastorale 06/05 - Brusciano S. Sebastiano - II Zona Pastorale07/05 - Torre Annunziata - III Zona pastorale

Per una Chiesa che serve (5)Consegna senza incontro zonale entro la Festa di S. Paolino

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15dicembre 2014

in DioceSi

A Cicciano la Festa dei Giovani della Consulta di pastorale giovanile del II decanato

TU VUoI SEGUIRE GESù?di Giuseppina Orefice

Una festa che non ha disatteso le aspettative dei tanti ragazzi presenti.

La voice d’eccezione, Mauri-zio Viviani, e il dj Nicola Morelli, hanno saputo coinvolgere i pre-senti e animare i diversi momen-ti della serata. Mimmo Foresta, special guest della festa, comico e intrattenitore, show man ta-lentuoso ha donato divertimento puro e spensierato mettendo in campo le sue doti canore e imi-tative.

Intanto, in un angolo della sala, a ciclo continuo venivano proiettati video sull’amore con-tagioso, sul Progetto Policoro e sull’esistenza di Dio, con la pos-sibilità di seguirli anche in mo-dalità audio con le cuffie.

A seguire la testimonianza/annuncio del direttore della Pa-storale Giovanile, don Mariano Amato, che ha sottolineato l’op-portunità di rendere continua e infinita la gioia della serata re-stando vicini a Gesù, nostro ami-co.

Don Giuseppe Autorino ha poi introdotto la proiezione di un vi-

La presenza e il contributo di Padre Beniamino negli incon-

tri della Consulta di Pastorale Giovanile, dello scorso anno, ha fatto emergere il desiderio e al contempo il bisogno di creare consulte territoriali per decana-to per meglio consolidare i grup-pi giovanili che partecipano alle attività diocesane.

Il secondo decanato si è subito messo in moto e dopo diversi in-contri tenutisi a Cicciano e a Mu-gnano del Cardinale è nata una proposta: una festa per i giovani del Decanato. Sono stati invitati a partecipare non solo i ragazzi che abitualmente frequentano le parrocchie del decanato, ma i biglietti per la festa sono sta-ti distribuiti nelle V delle scuole superiori di Cicciano, Comiziano, Mugnano e Avella per avvicinare più giovani, provenienti anche, da esperienze di vita e di fede diverse.

La Festa dei Giovani 2014 si è tenuta il 2 dicembre a Cicciano, al Tiffany nel segno della gratui-tà, del divertimento, della comi-cità e della fraternità.

deo particolarmente comunica-tivo e travolgente che chiedeva per i tanti doni ricevuti da Dio, in particolare amore e vita eter-na, di seguirlo. Poi, largo alle danze e festa fino a tardi.

I membri della Consulta di Pa-storale Giovanile del II decanato hanno distribuito un segnalibro-invito con il prossimo appunta-mento fissato per il 13 febbraio 2014 ore 20:00 in piazza Cardi-nale, a Mugnano.

La sala della Domus, suggestiva per le decorazioni natalizie che regalavano un’atmosfera dolce e accogliente, ha “ospitato” an-che sette sagome di persone in movimento, ognuna di un colore dell’arcobaleno per ricordarci che sebbene diversi per abilità e personalità siamo tutti figli della luce di Dio, i sette colori dell’ar-cobaleno infatti, mescolati tutti insieme senza discontinuità for-mano la luce bianca.

Tanti i riscontri positivi mani-festati fin da subito dai ragazzi che hanno partecipato alla festa e hanno lasciato i propri contat-ti.

I ringraziamenti della Consulta al Tiffany per la piena disponi-bilità e collaborazione donata, a don Gennaro e i seminaristi e ai tanti che hanno offerto preliba-tezze e leccornie per il buffet.

Un ringraziamento speciale ol-tre ai ragazzi e ai sacerdoti del II decanato che hanno parteci-pato alla festa, va anche alle Suore Alcantarine di Cicciano, a don Giuseppe, don Umberto e don Filippo per l’impegno che insieme ai ragazzi della Consulta Antonio, Giovanni, Carla, Maria Grazia, Michela, Gerry, Alfonso e Pina, si è trasformato in festa, all’insegna della gioia e dello stare bene insieme.

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dicembre 201416

mensile della Chiesa di Nola

Premiata una dissertazione di L.Magistr. in Scienze Religiose sostenuta presso l’ISSR di Nola

oLTRE LA ToLLERANzAdi Mariangela Parisi

odierne derive fondamentali-ste e inumane: «Attualissimo e purtroppo preso in considerazio-ne in ritardo. Rosenzweig, ebreo tedesco in cammino di conver-sione al cristianesimo, muore nel 1929. La sua filosofia, da lui definita NUOVO PENSIERO O FI-LOSOFIA ESPERIENTE, si nutriva di un humus teologico che gli consentirà di proporre un con-fronto dialogico tra ebraismo e cristianesimo a partire dai trat-ti comuni che egli fa emergere dalla Scrittura e in particolare dal Nuovo Testamento. Se questo modo di rapportarsi al diverso da sé, in campo religioso, avesse avuto il tempo di maturare nella mentalità comune forse la svolta che poi si avrà con il Vaticano II sarebbe arrivata prima». Si rife-risce alla dichiarazione sulle re-lazioni della Chiesa con le altre religioni Nostra Aetate? «Si, datata 1965, è un documento che non solo pone le basi per il dia-logo portato avanti fino ai nostri giorni, ma condanna ogni forma di pregiudizio verso gli ebrei e di discriminazione per religione».

Il Vaticano II è dunque at-tuale e ancora da attuare, e potremmo dire che forte deve essere l’impegno dei laici in questo senso per essere uomi-ni nel mondo così come lo era Gesù che non a caso la traccia di riflessione per il prossimo Convegno ecclesiale nazionale ricorda essere una rabbì laico: «l’importanza dei laici può essere ben esemplificata dall’episodio

Prove di dialogo tra Ebraismo e Cristianesimo: Franz Ro-

senzweig. Questo il titolo della tesi di Laurea Magistrale in Scien-ze Religiose discussa dalla prof.ssa Annamaria Autiero nel marzo dello scorso anno e premiata due settimane fa dalla commissione della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale chiamata a scegliere le migliori dissertazioni di Dottorato in Teologia, Licenza in Teologia e Laurea Magistrale difese in uno dei centri teologici della propria area territoriale nel periodo settembre 2011 - luglio 2014. Un riconoscimento impor-tante per l’istituto Superiore di Scienze Religiose di Nola che per la prima volta ha visto premiato il lavoro di una propria studen-tessa. Ma anche un premio ina-spettato e per questo forse più gradito. Giusto prof.ssa Autiero?

«Sì, per carattere tendo a non aspettarmi nulla da ciò che fac-cio. Ciò che mi muove infatti è prima di tutto la passione. Ma devo dire di essere davvero con-tenta per questo riconoscimen-to soprattutto per il pensiero dell’autore protagonista del mio lavoro da considerarsi un pionie-re nel campo del dialogo tra cri-stiani ed ebrei ma in generale del dialogo interreligioso».

Un pensiero dunque attualis-simo, se si pensa alla necessi-tà di una reale comunicazione tra le religioni per arginare le

che è considerato la spinta per l’elaborazione della Nostra Aeta-te. Nel giugno del 1960, grazie a Maria Vingiani, poi fondatrice del Segretariato per le attività ecu-meniche, Jules Isaac, intellet-tuale francese che aveva denun-ciato la cosiddetta “cultura del disprezzo” dei cristiani nei con-fronti del popolo ebraico, incon-tra Giovanni XXIII in Vaticano. Un incontro che colpì il Papa al punto che questi si adoperò per prepa-rare un testo sui rapporti dei cri-stiani con gli ebrei. Il lavoro dei laici è fondamentale perché sono i laici ad operare per educare nel quotidiano, sono i laici che pos-sono testimoniare alle nuove ge-nerazioni come superare la mera tolleranza del diverso per un’ac-coglienza piena fondata sul dia-logo». La possibilità del dialogo deve dunque uscire dall’ambito accademico e inondare il quo-tidiano? «Certo. Rosenzweig amava una frase di S. Francesco: tantum quisque intelligit, quan-tum operatur (Ciascuno conosce tanto quanto opera). I laici, e dunque gli adulti, sono chiamati a guidare le giovani generazioni verso il pensiero ma allo stesso tempo anche a guidarli perché quel pensiero divenga azione. La riflessione filosofica e teologica deve quindi divenire uno stimolo per essere uomini e donne a ser-vizio dell’umanità: proprio come è accaduto per Rozenzweig che non ha mai portato avanti la sua riflessione prescindendo dalla sua vita».

Annamaria Autiero è docente di Storia e Filosofia per la Scuola Secon-daria di II grado. Laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha poi conseguito la Laurea Magistrale in scienze religiose nel 2013 discutendo la tesi Prove di dialogo tra Ebraismo e Cristianesimo: Franz Rosenzweig, per la cattedra di Teologia delle Religioni tenuta dal prof. don Francesco Iannone. Nel 2009 aveva ter-minato il triennio del percorso di studi discutendo la tesi Dio e uomo nel pensiero di Leo Baeck per la cattedra di Filosofia della religione tenuta dalla prof.ssa Giuseppina De Simone.

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17dicembre 2014

in DioceSi

Il Vescovo di Nola incontra gli studenti

CoN Lo SGUARDo DEI PIù GIoVANIdi Alfonso Lanzieri

riescono ad accettare, e ancora il rapporto fede e scienza, i problemi del territorio, solo per citare alcuni punti.

Dalle loro parole traspare la tipica voglia di autenticità e integrità che solo lo sguardo puro dei giovanissimi riesce ancora ad esigere fino in fondo dalla realtà e, insieme, la perplessità e in qualche caso la delusione provata quando la Chiesa che hanno incontrato – quel prete o quel catechista – non è stata in grado di rispecchiare le grandi aspettative che il loro cuore si porta dentro, perché troppo legata a ciò che non è essenziale, troppo appesantita dalle sue strutture, troppo presa dalle sue formalità e dunque troppo distratta per poterli ascoltare e incontrare davvero.

Padre Beniamino ha risposto confessando di condividere con gli studenti “il desiderio di vedere una chiesa più snella, più umana, più accogliente, meno burocratica, nella quale l’istituzione non prevalga sull’essenza dell’esperienza cristiana”. In questo senso però “vi posso assicurare – ha continuato il vescovo di Nola - che c’è uno sforzo di semplificazione affinché le parrocchie non diventino uffici comunali, burocrazia, luoghi nei quali si va solo per la richiesta dei sacramenti.

C’è lo sforzo, non semplice, per costruire comunità più umane. Qualche volta, è vero, il potere dell’istituzione prevale sui rapporti e questo genera fatica nella vita dei laici e anche dei preti”.

I ragazzi sollevano anche il rapporto Chiesa-città: in un territorio come il nostro, che vede sacche di degrado sociali

Nelle mattine di sabato 13 e lunedì 15 dicembre scorsi il

vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, ha incontrato due folti gruppi di alunni delle scuole superiori di alcuni istituti del territorio della diocesi.

Scopo dei due appuntamenti, promossi dall’Ufficio Scuola diocesano, è stato quello di istituire un momento di dialogo e ascolto tra gli studenti e il vescovo.

Due incontri frutto anzitutto di una promessa di Padre Beniamino agli studenti. Quest’ultimo, infatti, nel suo consueto messaggio di inizio anno scolastico, chiedeva ai ragazzi di dire «come voi giovani vorreste la Chiesa» assicurando poi «che i vostri suggerimenti, le vostre proposte, le vostre critiche non solo offriranno un apporto prezioso al rinnovamento ecclesiale che desideriamo realizzare, ma costituiranno anche il vostro personale contributo per una riflessione più attenta sulle esigenze del nostro territorio».

Detto fatto. Da quella provocazione sono arrivate poi le risposte dei ragazzi: i temi principali contenuti in queste ultime hanno costituito gli argomenti di discussione dei due incontri tenutisi presso il Palazzo Vescovile di Nola.

Difficile riportare tutti i passaggi delle due dense discussioni. Si trattato di incontri nei quali gli alunni, moderati da Don Virgilio Marone, direttore dell’Ufficio Scuola, hanno potuto esporre a mons. Beniamino, senza alcun filtro, tutto ciò che si portavano dentro: i loro desideri sulla Chiesa, quali difetti e incongruenze scorgono in essa, quali aspetti della fede non

anche molto profonde, come ha agito la Chiesa? “Da un lato dobbiamo ricordare l’impegno fattivo per il territorio di tanti cristiani – esordisce Padre Beniamino – ma dall’altro ricordiamo quanto ci sia ancora tanto da fare nella formazione della coscienza sociale delle persone.

Spesso abbiamo fatto discorsi moraleggianti e tendenti a mettere troppo in primo piano l’aspetto individuale della fede, cioè il rapporto individuale di ciascuno con Dio.

Il rapporto individuale va coniugato con la responsabilità per il territorio, per il creato. Altrimenti il risultato è un individualismo religioso che non ha nulla a che fare con la fede evangelica. Soprattutto nel nostro territorio noi paghiamo le conseguenze di una formazione ad una coscienza sociale lacunosa”.

Tra i temi sui quali i ragazzi hanno chiesto un confronto col vescovo anche nodi particolarmente attuali e spinosi come il matrimonio omosessuale e il sacerdozio femminile, entrambi punti che lasciano trasparire quanto i temi dell’affettività, del corretto rapporto tra uomo e donna, della coppia “natura”/ cultura rappresentino oggi un imprescindibile campo di dialogo anche con le nuove generazioni.

Due appuntamenti, in conclusione, che hanno voluto mettere la nostra Chiesa di Nola dinanzi alle domande, alle inquietudini e ai desideri degli studenti in un reciproco atteggiamento di umile ascolto, senza il quale non è pensabile nessuna vera crescita e nessun vero rinnovamento.

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dicembre 201418

mensile della Chiesa di Nola

Non gli è toccato questa vol-ta di schermirsi da microfo-

ni e telecamere: Padre Federi-co Lombardi è stato accolto dal presbiterio nolano in modo “leg-gero” e fraterno. L’incontro si è svolto, in una delle sale storiche del seminario vescovile rivisitata con arte nuova per la circostan-za “ed oltre”, perché non si av-vertisse troppo la distanza dalla sala stampa della Santa Sede. Dal punto di vista “iconico” l’ospite d’eccezione è stato del tutto cor-rispondente alla figura pacata e riflessiva che di continuo vedia-mo nell’orbita di Papa Francesco.

Se si eccettua il caloroso salu-to del vescovo Mons. Depalma, che ha riproposto le motivazioni dell’incontro, l’attacco è sta-to immediato. Nessun accento di autocompiacimento, nessuna battuta che sapesse di inedito. Da provetto gesuita, Padre Lom-bardi rimane se stesso, non cede a ondeggiamenti, nelle circostan-ze comuni come nel flusso talora impetuoso delle parole e dei fatti del Papa di oggi. Sicurezza e de-dizione al servizio della comuni-cazione apostolica dentro e fuori sede, in una singolare estensione cronologica che si rapporta alle varie ultime figure di pontefici, che sono riusciti a non assomi-gliarsi per nulla tra di loro. Una conferma narrativa organica, così in sintesi si può dire della conver-sazione. Nessuna tematizzazione specifica, ma l’indicazione di un cammino nel suo quotidiano sno-darsi tra ciò che è episodico e ciò che è fondamentale da parte del successore di Pietro. È importan-te che di tutto quanto si legge e si vede del Papa si organizzi una ta-vola di valori e di atteggiamenti, per non rincorrere i soli momenti di passaggio. Papa Bergoglio di-spone di una visione organica, in

P. Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha incontrato il clero nolano

CoMUNICAToRE IGNAzIANodi Luigi Mucerino

cui si tengono tra di loro esperien-za e spiritualità, umanità e fede, preghiera e comunicazione. Se l’occasione favorisce l’impronta creativa, vista l’autonomia della personalità, il sostrato di cultura e di vangelo è profondo e coeren-te. Interviste, telefonate e visite, sull’onda talora dell’improvvisa-zione reale o apparente che sia, si intrecciano con i tempi lunghi della meditazione e dello studio, con i ritmi lenti del confronto di permanente carattere sinodale e soprattutto della preghiera am-piamente vissuta. Per stare ai tempi recenti, pensiamo alle pro-spettazioni organiche a Strasbur-go, ai discorsi in occasione del sinodo, soprattutto teniamo sem-pre in vista l’Evangelii Gaudium. La voce di Padre Lombardi arriva direttamente dal campo, pun-tualizza quanto ci risulta in gran parte dall’informazione scritta e mediatica. Il giudizio iniziale coincide con quello conclusivo: è un Papa vulcanico. Invitato ad incontrarci nell’ora del nostro si-nodo diocesano, Padre Lombardi

non si inserisce dall’esterno nella nostra storia particolare, ma non esita a disegnare l’immagine di Chiesa verso cui dobbiamo muo-vere. Ancora una volta il relatore evidenzia di saper essere a fianco senza sporgersi e senza defilarsi. Con discernimento ignaziano. Sa-rebbe facile indicare le polarità del messaggio di Papa Bergoglio rischiando comunque di sempli-ficare troppo, ma il proprio ci sfugge se non teniamo conto del registro intenso e aperto dei con-tenuti. Francesco è presenza di attrazione e di urto; va con au-dacia in ogni direzione, con il co-dice esclusivo del Vangelo, libero da ciò che non comunica libera-zione e vita.

L’umanità è ferita, il credente si cura risanando gli altri con amo-re gioioso e sofferto, attraverso il contagio del Risorto. Varrebbe la pena allora da parte nostra af-frontare una riflessione compara-tiva critica tra ciò che andiamo dicendo e operando con quanto il Papa sperimenta e propone dal vivo. Potrebbe farci bene!

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19dicembre 2014

ACforAIRCWeek-end della solidarietà a Pomigliano d’Arco (Paciano)

Fare la spesa per i poveriXVIII edizione della Giornata nazionale dedicata alla raccolta di generi alimentari per i poveri

Maria SS. Liberatrice dai Flagelli: un dicembre speciale40° compleanno e Notte Bianca al Santuario

In Parrocchia

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dicembre 201420

mensile della Chiesa di Nola

Week-end della solidarietà a Pomigliano d’Arco (Paciano)

ACforAIRCdi Luigi Di Mauro

Nelle giornate di sabato 6 e do-menica 7 dicembre, nella par-

rocchia di San Pietro di Pomiglia-no d’Arco, nel rione Paciano, si è svolto un week-end di solidarietà con lo scopo di raccogliere un contributo economico da devol-vere all’ AIRC (Associazione ita-liana per la ricerca sul cancro).

L’idea è partita dagli educatori ACR (Azione Cattolica ragazzi), i quali dopo aver dedicato svariate riunione del mese di Novembre al tema della carità, hanno deci-so di attuare, per questo impor-tante fondamento cristiano, un evento articolato in due giorna-te denominato “#AC for AIRC” e a dispetto del nome dell’even-to, l’organizzazione è riuscita a coinvolgere tutti gli altri gruppi parrocchiali, ed anche membri dell’Azione Cattolica di altre parrocchie della città hanno di-mostrato un forte un interesse per l’iniziativa, partecipando e coinvolgendo i loro gruppi.

Entrando nello specifico, nella serata di sabato 6 è stata pro-grammata una cena di beneficen-za. L’organizzazione era a carico dei soli responsabili dell’Azione Cattolica, ma data la trasversa-lità del tema, la cena ha coinvol-to tutta la comunità, creando un clima fraterno e carico di affetto che ha portato ogni singolo par-tecipante a fare una bella e vera

esperienza di chiesa. Tutti hanno dato il loro contributo, nessuno si è risparmiato, chi con poco...chi con tanto...ognuno si è sen-tito coinvolto pienamente nell’e-vento. Quando la serata stava per iniziare, noi giovani di AC (i pro-motori dell’evento) eravamo un pò in ansia, sapevamo che sareb-be stata dura, nessuno di noi ha esperienza nel ramo “alberghie-ro”, e proprio quella sera di pre-notati ne avevamo centosettan-ta! Di fatti fino all’ultimo siamo stati lì a cercare tavoli e sedie per tutti. Nonostante ciò la serata ha avuto inizio e tra l’ottima cucina, l’efficiente servizio di camerieri e un efficace servizio di intratte-nimento tra un pasto e l’altro, la serata è trascorsa tra sane risate e complimenti che fioccavano. Tra noi c’era anche il professor Natale Cennamo, delegato del comitato AIRC Campania, che durante la cena, non solo ci ha offerto i saluti e i ringraziamenti di tutta l’associazione, ma ci ha anche ricordato l’importanza che ha per le tante persone affette da questo male, che sembra es-sere sempre di più “la malattia del nuovo millennio”. Mentre in serata ci siamo deliziati con le migliori leccornie di “Pacciano” nella mattina del giorno seguen-te, domenica 7, dopo aver par-tecipato alla celebrazione euca-

ristica, per chiudere il weekend dedicato alla solidarietà è stata disputata una partita interpar-rocchiale (parrocchie di San Pie-tro, San Francesco e la nostra) di calcio al campo Palmese situato nel quartiere di Paciano, anche lo sport ha dato il suo contribu-to alla solidarietà! Per sensibiliz-zare gli spettatori e promuovere l’intera organizzazione i giocatori indossavano delle maglie con la scritta “#ACforAIRC”.

Forti sono state le motivazio-ni umane e spirituali che hanno spinto alla progettazione di que-sto week-end di solidarietà, alla fine del quale siamo riusciti a devolvere all’ AIRC circa 600€. In particolare nei membri dell’ AC di Paciano c’era la voglia e lo scopo di essere vicini a tutti gli abitanti della zona che sono stati colpiti e lottano contro il cancro e a tut-ti i loro familiari che li aiutano in questa battaglia. È stato tut-to molto bello ed emozionante, ancora incontriamo persone per strada che ci raccontano di come sia stato bello. Beh che dire, è stato un weekend prolungato, molto ma molto pieno...pieno di volti, pieno di persone, pieno di sorrisi, pieno di storie che si sono intrecciate e che insieme hanno un unico grande obiettivo, essere una comunità in cammino sulle orme del Signore.

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21dicembre 2014

Ogni anno, l’ultimo sabato di Novembre l’associazione

Banco Alimentare Onlus organizza la Giornata della Colletta Alimentare che quest’anno è arrivata alle XVIII edizione. Sicuramente il nome ispira di per sé qualcosa di buono, ma cos’è concretamente la colletta alimentare?

In Italia ci sono 6.000.000 persone che soffrono la povertà e la Giornata è un’occasione per aiutarle con un gesto molto semplice, alla portata di tutti e che non richiede una grande offerta. Così l’abitudine quotidiana di andare a fare la spesa diventa un pretesto per fare del bene: un pacco di pasta, di biscotti, prodotti per neonati e altro ancora che normalmente sarebbe andato nelle nostre dispense diventa dono per chi ne ha più bisogno, per chi non riesce a portare il piatto a tavola per sé e per i propri figli tutti i giorni e spera nell’Amore gratuito di chi tutto ciò ha il privilegio di poterselo permettere.

Come ha detto Papa Francesco lo scorso anno: “Vi invito a fare posto nel vostro cuore a questa urgenza, rispettando questo diritto dato da Dio a tutti di poter aver accesso ad un’alimentazione adeguata. Condividiamo quel che abbiamo nella carità cristiana con chi è costretto ad affrontare numerosi ostacoli per soddisfare un bisogno così primario. Invito tutti noi a smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane non abbiano un impatto sulle vite di chi la fame la soffre sulla propria pelle.”

Il 29 Novembre ciascuno di noi ha avuto la possibilità di poter contribuire a questa iniziativa e tantissimi ragazzi, giovani e adulti hanno lavorato fuori le porte dei supermercati per rendere partecipi i clienti e per

raccogliere tutti i prodotti che sono stati donati. Essere fuori al supermercato ha offerto a noi l’opportunità concreta di fare qualcosa per l’altro. Ognuno ha donato un paio di ore della sua giornata libera a questa iniziativa.

Abbiamo iniziato alle 8 di mattina e terminato nel tardo pomeriggio; avevamo il compito di persuadere i clienti del supermercato affinché tra le tante cose che erano intenti a comprare avessero comprato una cosa anche per “noi”. Eravamo lì un pò spettatori di un mondo che corre verso qualcosa e che non sempre è disponibile ad aiutare o anche solo ad ascoltare.

Hanno varcato le soglie del supermercato persone di tutti i tipi: bambini, giovani, anziani, donne, uomini, coppie di fidanzati, famiglie intere, tutti presi dalla loro spesa, dai loro problemi… e l’altro? nelle nostre vite che posto occupa?

Questa è la domanda che

ci siamo posti e che in alcuni casi abbiamo posto per cercare di ottenere anche un solo pacco di pasta. La giornata è stata lunga e faticosa quando impotenti davanti a chi decideva di ignorare la nostra richiesta potevamo solo tacere ma, è trascorsa velocemente quando donne e uomini anziani, bambini o famiglie intere, facevano la spesa per le loro case e per quelle dei più poveri e lo portavano a noi con un sorriso smagliante, soddisfatti per aver avuto l’opportunità di aiutare.

E noi oggi felici del risultato ottenuto, gridiamo un grande GRAZIE, a quei tanti giovani che hanno aiutato, a chi ha comprato qualcosa, a chi ha ignorato le nostre parole permettendo a noi di essere ancor più grintosi e determinati.

Ma il grazie più grande va a Lui che nulla pone a caso nelle nostre vite e sempre ci permette di essere strumento nelle Sue mani.

XVIII edizione della Giornata nazionale dedicata alla raccolta di generi alimentari per i poveri

FARE LA SPESA PER I PoVERIdi Carmela Somma e Francesca Pia Puca

in Parrocchia

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dicembre 201422

mensile della Chiesa di Nola

MARIA SANTISSIMA LIBERATRICE DAI FLAGELLI: UN DICEMBRE SPECIALE

40° Compleannodi Ambrogio Vitiello

Lo scorso 1 dicembre la comu-nità del Santuario Maria SS. Libe-ratrice dai Flagelli di Boscoreale ha vissuto un importante appun-tamento: ricorrevano, infatti, quarant’anni da quando nel 1974 l’allora vescovo di Nola, mons. Guerino Grimaldi, erigeva a par-rocchia il Santuario. Quest’ulti-mo, sito in via dei Gesuiti, esi-steva già da tempo, da quando alla fine dell’800 fu rivenuto il quadro della Madonna Liberatri-ce nella cappella dei Gesuiti (che in quel luogo ne avevano mante-nuto vivo il culto). Prima di di-ventare parrocchia, il Santuario dipendeva dalla chiesa dell’Im-macolata Concezione. Proprio nel primo giorno di questo mese di dicembre, quindi, per sotto-lineare l’importante ricorrenza, l’attuale parroco don Tommaso Ferraro e la sua comunità han-no voluto vivere una serata di spiritualità e fraternità. Prima, in Santuario, la solenne celebra-zione eucaristica presieduta dal vescovo di Nola mons. Beniami-no Depalma, poi nei locali attigui alla parrocchia un momento di festa.

La devozione verso la Madon-na Liberatrice dai Flagelli nella zona di Boscoreale ove ora sorge il Santuario è molto radicata. Ri-salirebbe, infatti, secondo alcu-ne fonti, al tardo quattrocento per opera dei padri francesca-ni, i quali avrebbero costruito in onore della Vergine una piccola cappella dove si raccoglievano

i pochi contadini della zona nei giorni festivi.

Tempo dopo, poco distante da dove, qualche decennio prima, era sorta la cappella intitolata alla Madonna Liberatrice, sorse la chiesa di San Francesco con annesso convento nella contrada che oggi viene chiamata, appun-to, “San Francesco“. La contra-da, quindi, dove sorgeva la cap-pella della Madonna Liberatrice venne denominata più tardi, in contrapposizione a quella vicina di “San Francesco“, “ai Gesuiti” , perché questi avevano rimesso a nuovo alcune case coloniche intorno alla cappella. Col soprag-giungere dei Gesuiti, dunque, la cappella fatiscente, fu sostituita con un’altra ed un piccolo campa-nile. In seguito, quando nel 1773, Papa Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù, i padri si di-spersero e la cappella fu dunque abbandonata. Successivamente – e siamo verso la fine del’800 – il

culto alla sacra immagine di Maria Liberatrice dai Flagelli si riacce-se. Come? Si racconta che ciò av-venne in seguito ad un prodigioso ritrovamento della sacra effigie da parte dell’artigiano Francesco Barbuto. Questi, sorpreso da un forte temporale proprio mentre attraversava presso la contrada “ai Gesuiti” si nascose nella ex cappellina, ormai ridotta a fieni-le, nella quale però, trascurata e dimenticata, giaceva la sacra immagine sotto un cumulo di er-bacce.

Fu poi tra il 1915 e il 1920 che iniziò a farsi strada e poi a con-cretizzarsi il progetto della co-struzione di una chiesa in luogo della cappella. Solo nel 1948 il Vescovo dell’epoca, Mons. Miche-le Camerlengo, chiese ed ottenne con Decreto Presidenziale del 28 settembre 1948 il riconoscimento della personalità giuridica della chiesa “Santa Maria Liberatrice dai Flagelli”.

Questo mese di dicembre è stato davvero speciale per la comunità parrocchiale del Santuario Maria SS. Liberatrice dai Flagelli di Boscoreale. L’1 dicembre, infatti, è ricorso il 40° anniversario dell’ere-zione a parrocchia del Santuario. Sabato 13, poi, è stata la volta della “Notte Bianca al Santuario”, appuntamento giunto quest’anno alla quarta edizione e che vede coinvolto l’intero quartiere in una serata di arte, canti, teatro e tanto divertimento. Nell’articolo qui di seguito Ambrogio Vitiello ci par-la del giorno dell’anniversario parrocchiale e ci racconta in pillole la storia dell’immagine di Maria SS Liberatrice dai Flagelli. Nella pagina accanto, invece, il racconto della Notte Bianca nelle parole di Antonietta Di Martino

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23dicembre 2014

MARIA SANTISSIMA LIBERATRICE DAI FLAGELLI: UN DICEMBRE SPECIALEIl 1965 è un anno importante:

Mons. Adolfo Binni, allora vescovo di Nola, vista anche l’importante e sempre larga devozione che cir-condava la Madonna Liberatrice dai Flagelli, decise di avviare una forte ristrutturazione del tempio sacro sede dell’immagine sacra e inoltre affidò al Professor Ed-mondo Chiodini, artista romano, la preparazione e l’esecuzione di un nuovo quadro. A lavori ultima-ti poi, nel 1974, come abbiamo detto, decretò ufficialmente l’e-rezione di una nuova parrocchia nel Comune di Boscoreale, sotto il titolo di “Maria S.S. Liberatrice dai Flagelli” con sede nell’omoni-mo santuario.

Come risulta da questi pochi cenni storici, quindi, la vicenda della sacra immagine mariana venerata nel tempio boschese è lunga e varia e continua ad es-sere scritta ai nostri giorni sotto la guida del parroco-rettore don Tommaso.

Notte Bianca al Santuariodi Antonietta Di Martino

“La speranza è qualcosa con le ali, che dimora nell’anima , canta la melodia senza parole e non si ferma mai!” Eccoci qui , abbiamo spiccato il volo per il quarto anno consecutivo. Il parroco Don Tommaso Ferraro e noi membri della comunità Maria SS. Liberatrice dai Flagelli siamo stati lieti di presentare l’evento “Notte Bianca al Santuario” lo scorso sabato 13 dicembre, a partire della otto di sera. L’appuntamento sta diventando di anno in anno un “classico” per il nostro quar-tiere: la festa di tutta la comunità che anticipa il periodo natalizio. In serbo per tutti c’è stata una grande serata. A fare da sfondo c’è stata musica popolare campana, canti religiosi, teatro e gastronomia (decisamente all’altezza della situazione la degustazione di parmigiana di melanza-na…) . Tutto era al suo posto. I volti di tutti erano luminosi e attivi , ognuno con il proprio ruolo, dal più piccolo al più grande. Tra le pareti riecheggiano ancora le note di canti e di prose da un “Va pensiero” del coro parrocchiale ad un “Quanno nascette ninno” del gruppo Stella Vesuvia-na , gruppo di giovani artisti provenienti dall’est vesuviano. Gli sguardi dei bambini , incantati , rimarranno a lungo impressi nella mente di tutti noi. I tanti giovani accorsi poi, hanno reso la serata davvero bella e ricca di armonia . Un nutrito nugolo di adulti ha reso il servizio vigilanza il più sicuro possibile , gioiosi nel loro piccolo di aver dato un contributo alla bella riuscita della fe-sta. La città di Boscoreale anche nella serata di Santa Lucia, ha brillato di luci , colori e speranze. Insomma, a dispetto delle difficoltà che il nostro quartiere vive, questa serata, questo evento, questa festa sono stati ancora una volta la dimostrazione che nonostante tutto qui si va avanti desiderosi di riscatto e il riscatto è stato riempito dai tanti e intensi applausi ( e dall’emozione di coloro che hanno presentato la serata dinanzi al pubblico, alcuni dei quali solo da poco entrati a far parte della realtà parrocchiale…). Molto apprezzato inoltre poi il concorso “Il mio albero di Natale” con quale è stato premiato l’albero di Natale meglio allestito del quartiere: giudice d’ec-cezione giudice d’eccezione il vicario generale della diocesi di Nola mons. Pasquale D’Onofrio.

in Parrocchia

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dicembre 201424

mensile della Chiesa di Nola

È uscito da poche settimane il libro Una Chiesa per gli altri. Il Concilio Vaticano II e le religioni non cristiane” di Francesco Iannone. L’autore è presbitero della diocesi di Nola. Dopo la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli, dove è professore di Teologia Trinitaria. È Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Nola.

«Don Francesco Iannone prende spunto da un’ottima descrizione della teologia preconciliare e della ben nota tesi “extra ecclesiam nulla salus”; esamina poi in un modo molto dettagliato ed illuminante le enunciazioni del Concilio, usando non solo i suoi atti, ma anche la documentazione ed i fondi disponibili relativi ai suoi protagonisti. Così, in una situazione in cui la generazione dei Padri conciliari si sta esaurendo e svaniscono le memorie immediate, lo studio ci offre un contributo molto prezioso per una informativa sui dibattiti conciliari, il loro fondo teologico e i loro risultati» (dalla Prefazione del card. W. Kasper)

È disponibile il nuovo numero di Teologia e Vita, la rivista scientifica dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Nola “G. Duns Scoto”. In questo numero il lettore troverà gli articoli di Ernesto Borghi, docente di Sacra Scrittura, Gaia De Vecchi, docente di Teologia Morale e di Francesco Manganelli, docente di Sociologia. Chiude il numero il contributo di Anna D’Alessio, docente di Pedagogia.Puoi acquistarla o richiedere copia dei numeri precedenti scrivendo a [email protected]; oppure rivolgiti alla segreteria dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Nola o anche all’Ufficio per le Comunicazioni Sociali della diocesi.

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25dicembre 2014

Il santo degli accanttoncelliPadre Ludovico da Casoria, proclamato santo lo scorso 23 novembre, studiò presso il seminario di Nola

Tra orizzontale e verticaleIl metodo cristologico fondamentale per il dialogo ecumenico

In Rubrica

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dicembre 201426

mensile della Chiesa di Nola

P. Ludovico da Casoria, proclamato santo il 23 novembre, studiò presso il seminario di Nola

IL SANTo DEGLI ACCANTToNCELLIdi Antonio Averaimo

Spese l’intera sua vita al servi-zio del prossimo. Il 23 novem-

bre scorso, nell’anno del bicen-tenario della sua nascita, Padre Ludovico da Casoria, sacerdote francescano, è stato proclamato santo nella solenne celebrazione presieduta da Papa Francesco in piazza San Pietro. Oltre 70mila fedeli hanno partecipato al rito di canonizzazione, che ha ele-vato alla gloria degli altari altri cinque santi: gli italiani Giovanni Antonio Farina, Nicola da Longo-bardi, Amato Ronconi, e gli in-diani Kuriakose Elias Chavara ed Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore. «L’esempio dei santi ita-liani - ha detto il Papa durante l’Angelus - aiuti il caro popolo italiano a ravvivare lo spirito di collaborazione e di concordia per il bene comune e a guardare con speranza al futuro». A sbloccare l’iter previsto dalla Chiesa per la canonizzazione del frate napole-tano, è stato il riconoscimento di un miracolo: vent’anni fa, grazie alla sua intercessione, una neo-nata guarì prodigiosamente da una grave malformazione conge-nita del ginocchio destro.

A Padre Ludovico la fama di santità fu riconosciuta già in vita: rappresentò una delle figu-re religiose più amate e popolari dell’Ottocento, non solo a Napo-li. Quando morì a Posillipo, nel 1885, i suoi funerali richiamaro-no una imponente folla di fedeli da tutta la Penisola. Il suo nome originario fu Arcangelo Palmen-tieri, prese il nome di Ludovico quando, nel 1832, entrò nell’Or-dine dei Frati Minori Alcantarini. Dopo gli studi presso il seminario di Nola, nel 1837, fu ordinato sa-cerdote. Ma già si manifestava, in quel periodo, la sua vocazione all’aiuto dei bisognosi. In mezzo agli impegni dell’insegnamento,

si dedicò a una farmacia-infer-meria per i frati malati e per i sacerdoti poveri del Terz’Ordine. Da qui in poi sarebbe stato un continuo fiorire di opere di cari-tà. A Materdei raccolse dalle stra-de migliaia di scugnizzi, i famosi «accattoncelli», per poi avviarli ai mestieri tradizionali e alla mo-derna tipografia. A Posillipo creò l’Ospizio Marino per i vecchi pe-scatori: per padre Ludovico essi non erano «soltanto un tema per le cartoline di Napoli pittoresca, ma una umanità tutta a sé, di-pendente dai capricci del mare, e con un destino precario». Con i pescatori c’erano i bambini affet-ti da scrofolosi, una forma parti-colare di tubercolosi, che in quel posto potevano respirare l’aria salubre del mare. Nel 1871, ad Assisi nacque l’Istituto Serafico, destinato ad accogliere ciechi e sordomuti. Contemporaneamen-te, in altre città realizzò convitti per orfani. La sua opera di carità varcò i confini nazionali. Grande fu l’impegno del frate di Casoria

per riscattare i bambini africani venduti come schiavi, accolti nel convento La Palma allo Scudillo. Ideò il progetto secondo cui i mis-sionari dovessero essere reclutati fra gli stessi indigeni («L’Africa deve convertire l’Africa», soste-neva). Per gestire e sostenere i vari istituti sorti per orfani, sor-domuti, rachitici, sofferenti e po-veri in genere, fondò i Frati Bigi (oggi scomparsi) e le Suore Elisa-bettine Bigie. Fu uno straordina-rio ispiratore: Bartolo Longo gli deve molto per quanto realizzato a Pompei; Padre Agostino Gemel-li, nella sua Accademia di Religio-ne e Scienza, vide il primo seme dell’Università Cattolica. Con la canonizzazione di Padre Ludovico prosegue, per la città di Casoria e per l’intera Chiesa campana, una stagione luminosa, iniziata con la canonizzazione di Giulia Salzano nel 2010 e che proseguirà ancora, nel corso del 2015, con la procla-mazione di un’altra santa, Maria Cristina Brando, e la beatificazio-ne di suor Luigia Velotti.

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27dicembre 2014

in rubrica

«Dialogare»: a livello umano implica conoscenza e applica-

zione di principi che permettono, ai soggetti interessati, di incana-lare correttamente e fruttuosa-mente gli sforzi che essi attuano per incontrarsi.

A livello teologico, occor-re definire i criteri che fissino le coordinate entro cui porre le problematiche e sviluppare le argomentazioni. Il punto di rife-rimento essenziale è la ricerca dell’unità. Quanto si può creare centra il cuore della comunità credente nella comune identità cristiana e, al tempo stesso, le-gittima l’esistenza di diverse pro-spettive al suo interno.

Possiamo così individuare i percorsi, enucleati anche dal-la Comunità cristiana cattolica, divenuti patrimonio condiviso dell’ecumene. Essi possono esse-re così enunciati: il metodo cri-stologico, la gerarchia della ve-rità, il rapporto tra contenuto di verità e sua espressione formale, il “principio di Lund”.

Il metodo cristologico. Esso ha il suo punto di partenza nel con-fronto avvenuto nella Commis-

sione di «Fede e Costituzione», con il passaggio dal metodo com-parativo al metodo cristologico. Il metodo “comparativo” è una comparazione «orizzontale» tra le diverse posizioni delle chie-se in ambito dottrinale, per evi-denziare aspetti comuni e di-vergenti. Ma ci si rese conto di orientare la riflessione verso un dinamismo di ricentramento sul fondamento cristologico del-le convergenze fra le chiese, in modo da rafforzarne la valenza e rendere il dialogo ecumenico un cammino anche spirituale, di conversione a Cristo. É il metodo «verticale» perché si sostanzia in ritorno diacronico al fulcro della fede. La sua formulazione così è: «Abbiamo visto con chiarezza che non possiamo fare alcun reale passo avanti verso l’unità se ci limitiamo a comparare le nostre diverse concezioni della natura della Chiesa e le tradizio-ni che la incarnano. Ma ancora una volta è emerso chiaramente che più cerchiamo di avvicinarci a Cristo, più ci avviciniamo tra di noi. Dobbiamo quindi superare le nostre divisioni e avanzare verso

una comprensione più profonda e più ricca del mistero dell’unità, donata da Dio, di Cristo con la sua Chiesa».

Se si volesse rendere visiva-mente questo dinamismo, un principio di geometria ci viene incontro: la distanza tra i punti di una circonferenza diminuisce con il diminuire del raggio della conferenza stessa. Questa analo-gia ci occorre perché ci aiuta a scoprire il punto di partenza del raggio della circonferenza stessa: è il Cristo; i punti della circonfe-renza sono le chiese nelle sue di-verse espressioni. Più si avvicina-no a Cristo, imitandone lo stile di unità e di comunione e sforzando-si di aderire con la propria vita al suo messaggio (minore lunghezza del raggio), più diminuiscono le divergenze (minore distanza tra i punti della conferenza).

Applicando questo metodo cri-stologico in maniera fruttuosa potremo recuperare la verità del metodo “verticale”. Purtroppo dobbiamo invece affermare che negli ultimi decenni, accogliendo alcune istanze della metodologia contestuale, si ha il ripristino di una dimensione semplicemente “orizzontale”. Dal punto di vi-sta ecumenico, tali metodologie sono interessanti perché ciascuna tradizione confessionale costitu-isce in se stessa un “contesto” di lettura teologica che coniuga, seppure in maniera diversa, la prospettiva diacronica con quel-la sincronica. Ma le metodologie contestuali, soprattutto quando sono eccessivamente radicali e ideologiche, costituiscono di fat-to, un’area di convergenza inter-confessionale.

É probabile al futuro del dialo-go ecumenico la richiesta di inte-grare le diverse prospettive me-todologiche, mantenendo come prevalente e irrinunciabile l’ap-proccio cristologico.

Il metodo cristologico fondamentale per il dialogo ecumenico

TRA oRIzzoNTALE E VERTICALEdi Paolo Di Palo

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Che cosa ci rende umani?È una domanda alla quale è difficilissimo dare una risposta. Potremmo azzardarne tante: la nostra capacità d’amare e di essere in relazione con gli altri i nostri talenti, la razionalità e i sistemi di pensiero con i quali ci applichiamo per affrontare le piccole e grandi vicende della vita. Potremmo scegliere anche risposte più intimiste: ci fa umani il sorriso dolce della persona che ci fa star bene, le dita di un bimbo che stringono le nostre, un “grazie” detto col cuore, la te-nerezza di un anziano che viene curato con rispetto. Così potremmo scegliere risposte di più forte spessore sociale: ci fa umani la tensione al bene comune, la passione per l’educazione delle nuove generazioni, l’ingegno con il quale costruiamo i luoghi, i tempi e i modi della convivenza civile. Abbiamo anche un’altra opportunità, a pensarci bene, ov-vero definire l’umano a partire dalla lettura della realtà in cui viviamo: e allora possono dire la nostra umanità le fatiche e le gioie dell’ordinario, le vecchie e nuove fragilità che ci assalgono, la bellezza delle storie in cui vince la promozione e la difesa della dignità di ogni persona.Tutte queste risposte, in realtà, sono necessarie ma non sufficienti. Ci manca un principio che le unifichi tutte. Un punto di partenza. E per chi crede un’origine dell’umano c’è ed è chiara: è quel preciso istante in cui Dio Padre ha so-gnato, pensato, voluto e dunque creato l’uomo perché fosse al suo fianco, perché averlo con sé, corresponsabile del suo progetto, era, è e sarà “cosa molto buona e giusta”. Ecco, l’umanità ha un principio ordinatore nell’atto creatore di Dio: l’uomo è tale perché ha una storia da costruire insieme agli altri; l’uomo è tale perché dentro di sé è stato gettato il seme della bontà e della giustizia, dal quale deriva tutto il resto; l’uomo esprime l’infinito e l’eterno che il Signore ha seminato in lui quando comprende che il segreto della vita è amare l’altro come Dio ci ha amati.Una persona che vive senza la consapevolezza del grande sogno che l’ha generato, semplicemente, diventa giorno dopo giorno disumano. E, allo stesso tempo, sono tanti fattori sociali, economici, culturali che provano ad oscurare il sogno di Dio sui suoi figli, disumanizzandoci: i lacci della malavita e dell’illegalità, il domìnio cinico del mercato, l’assenza del lavoro, la fragilità delle relazioni, la spinta individualista, la trappola del tempo, le città desertificate, le tecnologie alienanti, la perdita della memoria, la rinuncia al senso delle cose, la sfiducia nel futuro.Il tempo del Natale, che ci apprestiamo a vivere, davvero è un’occasione proficua per chiederci come essere “pie-namente umani”. Come riappropriarci dell’essenziale di noi stessi e delle nostre vite, come renderne testimonianza, come sanare le ferite che tolgono dignità alle persone. Un’icona può guidarci in questa ricerca: la Santa famiglia di Nazareth, metafora di un’umanità piena che non ha paura di dire sì al progetto di Dio, accoglie il mistero della vita, affronta la croce, gusta la Resurrezione. Ci sia una Sacra famiglia in ogni casa, non solo in questi giorni in cui siamo solito abbellire la casa con il presepe. Sia bene in vista, perché possa essere fonte di ispirazione e di sostegno nei momenti in cui ci sentiamo feriti e sul punto di crollare. Chiedo, con umiltà, anche ai non credenti di tenere in casa questo simbolo di profonda laicità: Maria, Giuseppe e Gesù sono emigranti in fuga, poi una famiglia di onesti e sempli-ci lavoratori, quindi persone che dal vincolo di una relazione profonda e sincera maturano scelte di giustizia e libertà.La Sacra famiglia guidi il nostro cammino, e il cammino della Chiesa. Di una Chiesa che si è messa oggi, senza superbia, sulle tracce dell’umanità vera. Per riscoprirsi, essa stessa, più umana. Attraverso il Sinodo diocesano, ora entrato nel vivo, attraverso la prossima decisiva Assemblea ordinaria dei vescovi sulla famiglia, attraverso il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 2015, vogliamo dire al popolo di Dio che la Chiesa non è distante dagli uomini e dalle donne di questo tempo, non è distante dei problemi ma anzi vi si vuole immergere senza paura e senza presun-zione. L’uomo ci interessa, ci interessa che ogni persona, come Maria e Giuseppe, abbia la forza di affrontare la vita trasformandola in un canto di gioia.Per noi tutti, credenti e non, la sfida bella del Natale è quella di non accontentarci di un breve momento di emotiva felicità. Mettiamoci alla ricerca delle radici più profonde di noi stessi. Partendo dai gesti più semplici, dalle persone più vicine: riconciliarci con chi si è allontanato, ascoltare chi ha bisogno di condividere le fatiche del vivere, trovare il coraggio di abbracciare chi si sente fragile e solo. Da qui si parte per riprenderci la nostra umanità e realizzare il sogno di Dio su ciascuno dei suoi figli.

+ Beniamino Depalma

Natale, per diventare più uomini

Diocesi di NolaNatale 2014