Senza perché

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Senza perche tre racconti Roberto de Rubertis Edizioni Scientifiche e Artistiche ,

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Tre racconti che riportano sul piano della narrativa la ricerca condotta da De Rubertis sull'applicazione dell'evoluzionismo in ambiti diversi da quello di origine.

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Senza perchetre racconti

Roberto de Rubertis

Edizioni Scientifiche e Artistiche

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gli Archetipi

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Roberto de Rubertis

Senza perchétre racconti

EDIZIONI SCIENTIFICHE E ARTISTICHE

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E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche

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ISBN 978-88-95430-47-8

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Premessa

Penso che sia vano cercare il perché degli eventi, tanto in ordine alleloro cause prime quanto in ordine ai loro fini ultimi. Penso anzi che nonci sia alcun perché.

In questo libro mi chiedo solo in che modo le cose accadano. Le storienarrate descrivono tre occasioni singolari, nelle quali l’evolversi travol-gente di strani fatti provoca ambigue e inquietanti conclusioni.

Sono storie che ho scritto a distanza di tempo e in momenti molto di-versi della mia vita, ma sempre spinto dal bisogno di riflettere su questioniirrisolte come l’incertezza, l’inutilità e la casualità di ogni cosa.

Le prime due, già pubblicate da Kappa, furono scritte dieci anni fa edesprimono lo sgomento che allora mi animava. L’ultima, Il patto, è stataappena conclusa e forse completa la progressione di tragica insensatezzain cui mi pare vada agitandosi il mondo. È bene che ora stiano insieme.

La copertina della raccolta è in carattere con lo spirito che la anima. Inun tempo molto lontano uno studente di architettura di Valle Giulia entrònel mio laboratorio e mi regalò due suoi quadri, aggiungendo poche escarne parole e allontanandosi subito quasi furtivamente. Non ricordo ilsuo nome, o non lo seppi mai, ma le sue opere divennero sempre più belleai miei occhi e sempre più rappresentarono con precisione il farneticantee inutile affastellarsi degli eventi. Un dettaglio di quei quadri è ora su que-sta copertina: forse lui si riconoscerà e smentirà così, in modo grandioso,la vanità del tutto che io vado raccontando.

Roberto de Rubertis

Roma, settembre 2012

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Il patto

evoluzione di un accordo

Due architetti sono spinti ad una tragica sfida a causa di un’imprevista e inquietanteingerenza dell’evoluzionismo nella loro professione. Ne usciranno male, stipulandoun patto folle dalla conclusione ambigua.

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Giulio irrideva l’ostentato squallore sentimentale di Walter, ritenendolomera strategia dialettica mirata a conferirgli quella maschia durezza chele occasioni della vita gli negavano.

Walter irrideva l’ingenuo idealismo di Giulio, ritenendolo mero e inef-ficace mascheramento di quei vuoti della mente – così la pensava – chegli impedivano di argomentare intelligentemente nei dialoghi.

«Pensa prima di aprir bocca – disse quella volta Walter – non vedi cheannaspi quando tenti di uscir fuori dal tuo mondo di piccole certezze?Non sai pensare liberamente. Sei pieno di pregiudizi non affrontati criti-camente. Per te è buono e giusto ciò che fa parte di un pensiero diffuso econdiviso, possibilmente acquisito supinamente e acriticamente. Meglioancora se sostenuto dai benpensanti e magari anche dai preti. Guardatidentro sinceramente se vuoi trovare la verità, invece di galleggiare nei luo-ghi comuni».

«Non fai che dire balle – ribatté Giulio – ti riempi la bocca di parolecon il solo scopo di azzittirmi. La verità è quella che ho io, quella che stanel mio cuore, nel cuore di tutti. Solo tu la rifiuti, per costruirti un piedi-stallo da cui guardare gli altri da un’altezza che la vita ti ha negato. Pon-tifica, pontifica, tanto non sai fare altro. Scendi giù, almeno qualche volta,e parla come gli altri, o non sai farlo?».

Walter ebbe per un attimo la consapevolezza, o l’illusione, della sua verasuperiorità e fu preso dall’impulso di lasciar correre, lanciando una qual-siasi battuta, per esser lui per primo a dissolvere il fumo. Ma non sepperesistere alla tentazione di aggredire.

«Tu pensa invece, almeno qualche volta – fu la cattiva risposta che gliuscì con una smorfia di disprezzo – o non sai farlo?».

Un lampo fugace squarciò la loro amicizia. Incidente dialettico o pre-ludio d’altro? Le parole avevano detto più di quanto non si fosse pensatoo l’adolescenza era improvvisamente finita? Quella sera non si seppe par-lare più. Qualcosa andò sedimentandosi però nella lora memoria. Aggres-sività mista a pentimento per Walter, impotenza mista a rancore perGiulio.

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Ma per parlarne doveva pensare. L’accordo a lui pareva possibile e con-veniente. Nessun conflitto sarebbe insorto sulla linea progettuale, cheavrebbe lasciato gestire ampiamente a Giulio – infatti stava appunto lì laconvenienza – e nessun timore aveva di perdere la leadership dello studio;troppo saldamente nelle sue mani. La questione si poneva sul piano ideo-logico, come conferma delle sue convinzioni evoluzionistiche. La fusionesarebbe stata l’esito vantaggioso di premesse che si erano determinate ac-cidentalmente e che, proprio perché capaci di produrre vantaggio, era lo-gico che procurassero beneficio a tutti. L’impedimento era l’atteggia-mento di Giulio. “Atteggiamento” lo definiva, minimizzandone la forzadirompente. La tentazione di considerarlo seriamente fondato non lo sfio-rava. Per Walter le condizioni iniziali in cui si verificano gli eventi sono ibinari lungo i quali si svilupperanno le conseguenze. Ogni conseguenzaha una causa e ogni causa produce conseguenze, secondo un determini-smo inconfutabile. Nella sua concezione anche le scelte volontarie nonhanno luogo, costrette come sono da impercettibili ma infinite concauseche le orientano secondo direzioni inevitabili. L’atteggiamento di Giulioera determinato, magari a sua insaputa – questo glielo concedeva – da an-tiche e progressive conquiste del pensiero che lo avevano portato a con-solidare la propria accettazione del patto sociale, fino a farne un mito chetravalicava la convenienza transitoria di cosa giusta e utile, per assurgerea canone etico assoluto e indiscutibile.

Tale era la convinzione assoluta di Walter: ciascuno persegue unica-mente il proprio interesse ed era possibile che per Giulio questo fossegiunto a trasformarsi in un cieco culto del bene comune, irrazionalmenterispettato anche oltre le ragionevoli condizioni di convenienza generale.Una sorta di esaltazione, anzi di autosuggestione indotta dal bisogno dinon trasgredire quello che sentiva essere il suo compito nel mondo. Walterera certo che Giulio identificasse l’obiettivo del bene comune nel proprio

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accordi operativi, erano già tutti in quel “sulla nostra parola” che nullapoteva togliere o aggiungere di sostanziale. Il peso immane di quantodetto sommergeva qualsiasi precisazione. Il compenso da convenirsi perGiulio, elemento indispensabile in qualsiasi accordo economico, diven-tava irrilevante. Entrambi avrebbero saputo regolarlo equamente se-condo necessità. Giulio non avebbe chiesto più di quanto avesse ritenutocorretto, né avrebbe cercato di prodigarsi meno del dovuto. Walter nongli avrebbe dato di meno, né avrebbe avuto bisogno di stimolarlo. Giulionon avrebbe preteso mai di figurare come autore, né di partecipare adonorificenze di sorta, Walter sapeva che non sarebbe mai stato necessa-rio ricordarglielo. I rapporti con terzi, perché l’anomalo sodalizio fosseoperativo e credibile, li avrebbe visti entrambi impegnati in una recitacondivisa. La sfida era interna ai loro animi, all’esterno tutto sarebbesembrato naturale. Walter avrebbe trionfato con un’architettura di suc-cesso sostenuta dalla propria abilità manageriale. Giulio sarebbe statoil suo bravo collaboratore, riservato e modesto, restio ad ogni appari-scenza.

Strana sfida, nella quale ciascuno si sarebbe adoperato perché vincesseroentrambi. Non era una sfida tra loro due, ma di loro due contro qualco-s’altro. Il destino forse? Se uno avesse mollato avrebbero perso insieme.Tutti e due miravano a raggiungere quello che avevano desiderato. Walter,che non nutriva ambizioni idealistiche, appagato dalla sua visione deter-ministica del mondo, avrebbe avuto la prova che le loro due abilità com-plementari, circostanza favorevole opportunamente adattata a condizionioperative idonee – “ex-attata” avrebbe detto in termini evoluzionistici –potevano produrre effetti consistenti e duraturi, quindi di migliore “so-pravvivenza” nel processo evolutivo. Giulio avrebbe immolato la sua vitaall’ideale sognato, con la prospettiva di vederlo pienamente realizzato ein invidiabili condizioni di sicurezza economica, tali da consentirgli la mas-sima e più produttiva dedizione all’espressione delle proprie abilità.

Con quali argomenti Giulio avrebbe potuto rifiutare, o Walter retroce-dere? Le loro opposte convinzioni trovavano nel folle accordo il giustoterreno per realizzarsi reciprocamente. Una sfida per vincere entrambi,nel trionfo simultaneo di due concezioni inconciliabili.

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La motivazione della giuria non lasciava margini di ambiguità. Il nuovoPalazzo delle Nazioni di Bruxelles era stato unanimemente riconosciutocome il miglior progetto emerso dalla competizione indetta dalla Comu-nità Europea.

“...Le linee architettoniche dell’edificio e l’identità figurativa che le con-densa in un unico e forte segno di grande pregnanza linguistica segnalanoil progetto dello studio Walter Loreto come alta espressione della più fe-conda ricerca architettonica contemporanea. Il voto della giuria, che loproclama vincitore della competizione, intende affermare il valore inno-vativo dell’idea e l’esemplare efficacia di un inserimento ambientale cheindividua e valorizza sapientemente la qualità della preesistenza...”.

Queste parole inequivocabili, lette dal presidente della giuria durantela proclamazione del vincitore, così come quelle formulate da ammini-stratori e politici coinvolti nell’iniziativa, furono subito riprese e commen-tate dalla pubblicistica del settore, ma anche dalle pagine culturali dellastampa informativa europea.

Le foto e il curriculum di Walter comparvero anche al di fuori dell’aread’interesse della critica architettonica e il Palazzo delle Nazioni di Bru-xelles divenne l’emblema di una nuova architettura, che solo pochi rivaliinaspriti dalla sconfitta si arrischiarono a porre in prudente discussione.

Walter fu solo, con Federica, a ricevere il premio sul palco d’onore al-lestito nella sede del Segretariato Generale di Strasburgo, dalle mani delpresidente del Parlamento Europeo, come fu solo nel ricevere auguri epromesse di nuove occasioni professionali per il suo talento.

Fu solo anche nelle conferenze stampa e negli incontri con i general con-tractors segnalati dalle associazioni imprenditoriali per partecipare allagara d’appalto e si espose a titolo personale nell’esprimere pareri e giudizisulle più opportune strategie per l’imminente attuazione dell’iniziativa.

Al rientro nello studio ebbe una lunga conversazione con Giulio.

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nima di un’architettura ideale, prima baluardo sicuro, andava mescolan-dosi con l’utilità innegabile del potere concreto.

Non poteva immaginare che nello stesso momento Walter fosse predadi analoghi e speculari ripensamenti e che si stesse arrovellando nell’in-sorgente dubbio che l’atarassica rassegnazione con cui annaspava tra glieventi senza formulare giudizi fosse solo un’assoluzione che si impartivaper accettare il proprio smodato bisogno di primeggiare a qualsiasi costo.

Si dava il caso che entrambi stessero approdando a pensieri opposti alleproprie precedenti convinzioni, e che entrambi stessero diventando predadi odiose incertezze. Erano pensieri che instillavano una subdola avver-sione per l’altro, visto come portatore di una verità capace di sostituirsialla propria, e che alimentavano un antagonismo fino ad allora mai nutrito,sostenuto da gretta animosità, o da qualcosa di più.

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La bistilloide

evoluzione di una goccia

Un imprevisto risvolto dell’evoluzionismo, oltre lo stesso pensiero di Darwin, si in-treccia in questo racconto con una misteriosa formula matematica.Un uomo ne è travolto e, incalzato da una successione di vicende illuminanti, con-quista una sconcertante chiave di lettura del senso della vita.Il suo problema sarà che cosa farsene.

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Bistilloide, l’avevo chiamata la mia curva piana.A quel tempo frequentavo la facoltà di Scienze Matematiche al Castel-

nuovo, non so bene perché. Non ero mosso in realtà da una motivazionedi ferro, ma confidavo che, con il progressivo addentrarmi nella logica deinumeri, mi riuscisse di conquistare rivelazioni esistenziali decisive, capacidi cambiare il corso e il senso stesso della mia vita.

Era un bell’atto di fiducia nella matematica. Non mal riposto, a dire ilvero, visto che per molti eletti quest’apertura di orizzonti verso le avven-ture più astratte del pensiero era stata fonte di grandi soddisfazioni intel-lettuali.

Per me un po’ meno, viste le incomprensioni stabilitesi subito con alcuniprofessori che, quelle sì, cambiarono concretamente il mio futuro.

Abbandonai infatti gli studi matematici, ma non senza averne acquisitocerte padronanze sottili sulle leggi che regolano il mondo e che mi resta-rono incollate addosso per sempre, nel bene e nel male. Tra queste unposto non marginale fu occupato dalla bistilloide.

Studiando geometria analitica ero restato affascinato dai grafici descrit-tivi di certe curve piane, espressive di leggi scientifiche e quindi ascrivibiliall’ambito del pensiero razionale, ma che mi si presentavano sovente sottouna luce strana, quasi contenessero rivelazioni misteriose, mai del tuttocomprensibili. Mi pareva anche che fossero riferibili a situazioni moltodistanti tra loro, quali il giudizio estetico, il comportamento sociale, l’al-ternarsi dei sentimenti, l’anelito verso l’immenso, e perfino l’abisso dellafollia. Erano curve il cui nome, di per sé evocatore di mondi arcani, risul-tava legato a figure mitiche del pensiero matematico: la Cissoide di Diocle,la Concoide di Nicomede, la Lemniscata di Bernouilli erano per me for-mule magiche che introducevano a universi oscuri, accessibili solo a ini-ziati forniti di chiavi criptiche e di cognizioni superiori, nel cui noveroambivo entrare.

PRIMA PARTE

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stampa medica dell’epoca. Ma gli istituti farmaceutici non presero in esamela cosa, lesinando i finanziamenti. Forse perché la teoria diffusiva che avevoelaborato non era giunta al punto da consentire l’esatta previsione delle areeche sarebbero state interessate dal contagio. C’erano solo le osservazionisperimentali, purtroppo con un grado di approssimazione tanto scarso dascoraggiare l’investimento di sufficienti risorse economiche».

Vista la mia attenzione alle sue parole, continuò: «Questa rara forma dipropagazione virale è formata non da uno, ma da due organismi antagonistiche mirano a conquistare il medesimo territorio, come se fosse una sortadi terra promessa. Sono due forme simili, ma provengono da regioni lon-tanissime e cercano di dirigersi verso un’area prestabilita che non è facileidentificare e perimetrare in anticipo. Avevo messo a punto un modellovirtuale della dinamica espansiva e avevo notato che, al congiungimentodei due movimenti convergenti, l’area invasa cessava di crescere per assu-mere una dimensione stabile di cui però mi sfuggiva la forma».

Il mio interesse doveva aver raggiunto una tale visibilità che Zollner nerimase colpito.

«Ma come mai lei si interessa ad argomenti epidemiologici?» Mi chiese,interrompendo il filo della sua esposizione.

«Non è l’aspetto medico della questione che mi interessa» dissi. «Ma laprego professore vada avanti».

«Volentieri» mentì per cortesia. «A quel tempo ero molto impegnatonella ricerca e posso dire in tutta sincerità che le dedicavo grandi energie.È mia profonda convinzione che l’uomo abbia uno scopo nella vita, pre-dispostogli dal destino e conforme alle sue abilità. Il mio scopo era con-correre a combattere le epidemie e non anteposi mai nessun interessepersonale al suo conseguimento. Posso dire a fronte alta di avergli dedi-cato la vita e continuerei a farlo se ne avessi ancora i mezzi e l’occasione».

Mi guardò come a sincerarsi che ero ancora attento, dopo la sua digres-sione morale, e riprese il racconto.

«Per qualche anno condussi ancora la ricerca, ma poi alcuni fattori,come la caduta di interesse della produzione farmaceutica, la spontanearecessione dell’epidemia, nonché l’opera di dissuasione, per non dire altro,di alcuni colleghi, mi indussero a interrompere gli studi, per dedicarmi a

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Passò l’autunno e passò l’inverno.Sandra partiva sempre più spesso. Andava a trascorrere lunghissimi fine

settimana dal padre. Diceva di vederlo stanco, bisognoso di affetto e dicure e ogni volta tornava più distratta e più indaffarata.

Sapevo che Ferrante frequentava quella casa, ma mi rifiutavo di indagaresu cose che non mi venivano esposte spontaneamente. Per rispetto? Perpaura? Non so.

Accettai l’incarico di documentare l’attività di una missione economicain Benin. Allontanarmi per qualche tempo non mi dispiaceva. Dovevanostipularsi contratti commerciali per prodotti alimentari e artigianali e do-veva sondarsi la situazione dell’offerta locale. Il settore finanziario del miogiornale era interessato all’iniziativa, mi chiedeva di svolgere un reportagedei lavori e di collaborare al tempo stesso al loro successo.

Partii in marzo. Era la fine della stagione secca e la natura mi apparvesingolarmente ostile. Non conoscevo l’Africa equatoriale che mi si pre-sentò subito fisicamente repellente e spaventosa. Affascinante, ma nemica.Gli odori mi erano sconosciuti, la vegetazione mi appariva aliena, gli ani-mali mostravano un comportamento incomprensibile, le persone mi fa-cevano paura. Dopo poche ore dall’arrivo, nell’albergo La Croix du Suddi Cotonou, già mi chiedevo con inquietudine perché ci ero andato. Provaiun violento bisogno di venir subito via. Ma per andare dove, mi chiesi, eda chi. Resistetti alla tentazione di telefonare a Sandra per confidarle lamia agitazione. Temevo di aggravarla se non mi avesse risposto a tono.

Naturalmente restai e presi a comportarmi secondo lo standard di qual-siasi europeo appena viene colto dall’angoscia dell’Africa. Facevo fre-quenti soste al bar, lunghe nuotate in piscina, conversazioni noiose con icompagni di missione, esplorazioni in Land Rover intorno alle paludi enella foresta. Tutto pur di non pensare alle ragioni vere che mi avevanospinto ad andare lì, né a quelle che mi tentavano alla fuga. Poi la nostra

SECONDA PARTE

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forma di piacere: c’è sempre un meccanismo che in ultima analisi lo asso-cia alla sopravvivenza. Passione, gloria, fama, ambizione, potere, ideali,tutti segnali di sopravvivenza, riflessi pavloviani inevitabili».

Un poderoso rutto suggellò quest’affermazione e crollò fragorosamentecon la fronte sul tavolo accanto alla sua ultima birra.

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Negli anni successivi vidi sempre meno Sandra. Non si ebbe mai tra noiun evidente punto di rottura, ma gradatamente il nostro rapporto tornòad essere quello degli anni dell’università. Lei restò la mia confidente, lamia amica, anche se il solco tra le nostre visioni del mondo andò appro-fondendosi. Forse la sua era veramente una fede nel valore dell’operaumana, forse i suoi dubbi esistenziali non giunsero mai a produrre un’in-quietudine tale da metterla in crisi, o forse non le riuscì mai di essere deltutto sincera con se stessa.

A me invece la mia visione del mondo causava angosce in progressivoaumento. L’evolversi dei miei pensieri restò scandito per sempre dagli in-contri che lo avevano indirizzato. Enzo, prima, che aveva aperto improv-visamente le porte a quella che sarebbe stata la mia crisi interiore; il dottorZollner che, consapevole di aver perduto interesse ai propri personali van-taggi, rinunciava ad impegnarsi moralmente e socialmente; Ferrante, pro-tervamente – o simulatamente – convinto di essere un benefattoredell’umanità; Martinengo, con i suoi tormenti per aver smarrito il senso eil fine stesso della vita; Bontardieux che mi aveva confermato il ruolo es-senziale giocato dalla sopravvivenza nel guidare i destini dei viventi; Lom-bardini, con la sua fragile fede nella generosità umana; fino a padreBlanchard, con la sua drammatica difficoltà a distinguere tra aspirazionimissionarie e obiettivi privati.

Non sapevo dove collocarmi. Mi era difficile rinunciare al mio processodi emancipazione delle idee, a quel percorso mentale che mi induceva aliberarmi dalle sovrastrutture ideologiche imposte dalla società e voltesolo a orientare i singoli verso la cooperazione. Ma avevo il sospetto diaver trovato una spiegazione troppo semplice, buona per ogni tipo di con-dotta umana, il ché mi appariva eccessivamente schematico. Oltretuttonon riuscivo a chiarirmi perché ogni essere vivente, sia che fosse mossodai soli interessi personali, sia che fosse lanciato in una generosa lotta per

TERZA PARTE

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trale. Gli automi cellulari si muovono come in un moto browniano cheperò non modifica la forma assunta dalle due squadre. Sembrano duegocce contrapposte, in uno stato di tensione estrema eppure di stasi.»

«Lo sai» gli dissi «che hai appena descritto la procedura di attacco didue virus epidemici? Un tipo di contagio che negli ultimi decenni si è pre-sentato più volte verso la fine dell’inverno, ma che non è stato mai analiz-zato sotto il profilo della morfologia delle aree invase.»

Adesso era Sandra a prestare un interesse crescente al gioco di Michis.«Anche mio padre, che è proprio epidemiologo» disse «si è imbattuto

in questa forma, ma per la stranezza delle cose della vita, anche a lui è ac-caduto di averla abbandonata prima di comprenderne l’importanza.»

«Se mi dite che è importante» riprese Michis «allora anche io ho com-messo l’errore di accantonarla prima di poterla apprezzare. Ma c’è sempretempo, no?»

A me scattò subito una reazione di rifiuto all’idea di affrontare ancorauna volta, con intenti utilitaristici, quel tema che ormai mi dava inquietu-dine. Mi interessava capire la base dei fenomeni, non utilizzarli per il miotornaconto, e neanche per quello altrui.

«Scusa Michis» dissi «facciamo un passo indietro. Mi dicevi che stai la-vorando a giochi nei quali le regole vengono create dalle stesse configu-razioni presenti sul campo. Vuoi dire che anche la loro tendenza allasopravvivenza può sorgere senza che tu l’abbia specificamente prevista?»

«È questo l’aspetto più sorprendente» riprese «ma non credevo che aqualcuno potesse interessare. Nell’evolversi delle configurazioni, alcune,per diverse ragioni, finiscono per degradarsi o scomparire, mentre altrepermangono. Quelle più durature alla lunga sono le uniche a trasmetterele loro caratteristiche alle fasi di gioco successive.»

Ci guardò a lungo, poi riprese come se solo allora si accingesse ad af-frontare il nucleo del problema. «È chiaro: le strategie che sopravvivono,quali che esse siano, sono le sole a partecipare alle ulteriori evoluzioni.Dopo moltissime iterazioni si stabilizzano certi processi di sopravvivenza– qualcosa di simile agli istinti – senza che mai siano stati espressamenteprevisti. Direi che non sono nemmeno le strategie più efficaci, ma soloquelle che, per una serie di cause contingenti, sono restate attive.»

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«Noi» dissi, cercando di contenere il sarcasmo che mi pervadeva «noiche abbiamo descritto la strategia scientifica per fronteggiare l’epidemia,non abbiamo più nulla da condividere con la gestione dei suoi esiti. Sequalche cosa non fosse chiaro nelle nostre formule o nei programmi in-formatici per la definizione delle aree colpite saremo disponibili per chia-rimenti, ma forse ora è meglio che vi si lasci al vostro lavoro».

Salvemini si finse distratto. «Credo» disse «che si sia tutti dell’opinionedi consolidare la presenza della Farmaceutica Gerono nel Consiglio diAmministrazione dell’Azienda Ospedaliera visto che...»

Mentre parlava mi alzai lentamente. Mi aspettavo che qualcuno cercassedi fermarmi con parole di circostanza false e inutili, deciso comunque anon farmi trattenere. Però potei concludere senza intralcio il mio gesto.Nessuno infatti si premurò di far finta di capire quello che stava acca-dendo. Forse furono tutti sollevati dall’impaccio di dover trattare con i‘tecnici’ e colsero l’occasione per simulare tacita comprensione e forseanche rincrescimento per le mie parole che, comunque, erano state valu-tate come un concreto, spontaneo e ammirevole cedimento del pensiero(debole) di fronte all’azione (forte).

Solo Ferrante, in qualità di ospite, non poté fare a meno di scusarsi, malo fece dopo che ebbi mosso almeno quattro o cinque passi, quando fusufficientemente certo che non sarei tornato indietro.

«Ma no!» Disse con ostentato rincrescimento. «Non vada via. Dob-biamo discutere dei tempi e dei ruoli che ciascuno di noi dovrà assumere.Lei non può ignorare che tutto è dovuto alla sua intuizione matematica enon mancherà l’occasione per darle il giusto riconoscimento.»

Non potevo sopportare di essere anche rimproverato per aver dimenti-cato chi ero, perciò salutai con un muto sorriso di convenienza gli astantie mi diressi verso l’uscita.

«È questa dunque la sua risposta?» gli chiesi passandogli davanti. Speraiper un attimo che ricordasse quanto ci eravamo detti anni prima al con-vegno sulla droga, ma mi guardò senza capire.

In silenzio anche Michis si era alzato. Lui non aveva neanche Sandracome intermediario con l’establishment umbro e provava le mie stesse sen-sazioni, ma con maggiore intensità. Non si trattenne dal dire, uscendo:

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geometrica alla base degli studi venuti dopo fu tua. Certo ti volesti allon-tanare proprio quando l’operazione aveva preso l’avvio e ti mettesti deli-beratamente fuori da tutto il seguito dell’iniziativa. Ti avevo ben detto chela cosa avrebbe avuto successo, che gli sforzi congiunti di tutti alla fineavrebbero dato il loro frutto.»

«Me lo avevi detto» confermai solamente. Così che continuò: «Lo so,tu pensi che Antonio e gli altri ti abbiano inferto una coltellata al fianco,ma non è così. È la tua abulia che ti ha emarginato. Eri diverso una voltae non avresti lasciato il terreno sul più bello della battaglia.»

«E tuo padre?» chiesi.«Mio padre è come te» si lamentò. «Non ha voluto ascoltare nessuno. Ep-

pure tutti lo avevano chiamato a riprendere il suo ruolo autorevole nella di-rezione del progetto.» «Anche Salvemini?» la interruppi. «Certo, soprattuttolui» riprese. «Salvemini non ha voluto farsene carico se non quando vi è statocostretto. Lo ha fatto per non insabbiare tutta la ricerca e meno male... Solola sua esperienza poteva essere all’altezza di quella di papà.»

«Anche Michis ha manifestato abulia?» chiesi, cercando di contenere ilsarcasmo. «Non fare lo stupido» rispose. «Sai benissimo com’è fatto, cosìschivo e fissato con i suoi automi cellulari. Addirittura non avrebbe volutoche fosse citato il suo nome come autore dei programmi di grafica per lesimulazioni dinamiche.»

«Ah, perché li avete usati!» esclamai.«Beh non è stato tanto insensibile da impedircelo» confermò. «Anche

tu in fondo le tue formule le hai concesse spontaneamente! Ci mancavaanche che faceste gli oscurantisti e ci boicottaste il lavoro! Ma che ti hapreso? Te lo sto appunto dicendo di parlarne con Antonio. Il tuo postonell’iniziativa è sempre lì.»

«Grazie» dissi concludendo «ci penserò». Non volevo guastare una cosìbella telefonata con le mie misere contestazioni. Tanto più che mi sentivototalmente estraneo alla vicenda e disinteressato al suo successo.

Prima di riattaccare il telefono Sandra volle aggiungere «Tra l’altro nonsarà inutile farti sapere che Antonio non è per me quello che tu pensi.»

In effetti non era del tutto inutile, ma nemmeno poi così importante.Forse.

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la sua ignavia, poi dominando il tuo impulso ad affermare con la forza letue ragioni. Me ne accorsi, sai, della tua grande capacità di controllo ecapii che eri un uomo vero, padrone di te, energico, volitivo e sicuro. Poicominciasti a dubitare di tutto e mettesti in piedi la teoria stravagante del-l’inutilità dell’azione. Ora basta, ritorna in te stesso e prendi il posto cheti spetta.»

Disse tutto credendoci veramente e fu quasi persuasiva. In fondo avevoanch’io sospettato che alla base del mio disfattismo ci fosse una grandeinsicurezza e che mi fossi costruito una sovrastruttura di convinzioni persottrarmi alla confessione di essere un incapace. Sandra, in due battute,con la forza che traeva dal successo dell’iniziativa filantropica in cui avevacreduto, sembrava aver rimesso le cose a posto.

Non mi lasciò tempo di interloquire e precipitosamente seguitò «Haibisogno di essere violentato per uscire dal tuo torpore e lo farò io. Ti aiu-terò a riprendere il tuo ruolo e a ritrovare il senso del tuo essere al mondo.Lo faremo insieme, lasciati condurre questa volta. Oggi sono ancora a Mi-lano per la firma delle convenzioni con le industrie farmaceutiche europee,ma presto ti raggiungerò a Roma e non ti darò modo di tirarti indietro.Non ci saranno altre delusioni a giustificare le tue rinunce. Lavoreremoper un obiettivo giusto e nobile, ma anche concreto e chiaro. Tornerai acredere in quello che fai e te ne darò la forza. Ti chiamerò più tardi perdirti come incontrarci».

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Se un giorno un robot

evoluzione di una macchina

Nel terzo decennio di questo secolo la travolgente ingerenza dell’informatica in ogni settoredell’attività umana solleva inquietanti interrogativi sui destini dell’umanità. Incomprensibili fenomeni, come il calo demografico nell’intero pianeta e l’apatia dei politici,agitano i tecnici appartenenti alla cosiddetta squadra di manutenzione dei robot, che so-spettano l’esistenza di misteriosi manovratori dietro l’operato delle macchine. Le loro indagini li porteranno a chiedersi se la cibernetica possa considerarsi l’ultimogradino dell’evoluzione del pensiero, se esista una logica nelle strane cose che accadonoe se abbia un senso cercare di comprenderla.Anzi, se qualunque cosa abbia un senso.

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Baltimora

La sala dei controlli automatici dei nuovi Labora tori di Ricerca Avanzatadi Baltimora era il fiore al l’occhiello del gruppo dei francesi. L’avevanomessa su in tempo re cord, dopo il grande esodo dall’Europa, e più cheun luogo di lavoro era un ambiente di relax. Si diceva che di avan zatoavesse soltanto la preziosità di un ambiente artificiale ad altissimo livellodi com fort. Igrotermia modulata se condo le più particolari necessità in-dividuali, assorbimento acustico realiz zato in fall-out dagli studi per la ri-verbera zione sonora della New City Concert Hall di Berlino – quella cheaveva surclassato la celebre Filarmonia di Hans Sha roun – insolazione, li-vello di luminosità e dominanti cromatiche sintonizzate su coordinate geo-grafiche a scelta dell’utente e soprattutto mensa con prestazioni alimentarimemori delle più apprezzate performances dei ristoranti parigini.

Ci si viveva bene, per quelle cinque ore del turno di lavoro quotidiano,ma era una calunnia che non fosse al l’avanguardia anche nella tecnologiainforma tica. Era tra i centri più attrez zati nel controllo dell’in telligenzaartifi ciale di tutto il conti nente.

Il fatto è che c’era poco da controllare. I computer ave vano sistemi diautodiagnosi infallibili; le ripara zioni, gli ag giornamenti e le verificheerano eseguiti automati camente dai robot del sistema centrale e la produ-zione di software e di hardware era comandata direttamente dall’In -telligence Survey di Chicago.

L’amenità dell’ambiente di lavoro non era co munque infe riore a quellaauspicabile per la suite di un hotel a cin que stelle di Manila, destinata aiprota gonisti di real simu lations televisive, e l’arredo non aveva nulla dainvidiare alla sceno grafia sfacciata mente futuribile dei vecchi film di fanta -scienza. La qualità ergonomica dei box individuali era supe riore a quella

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c’è pianifi cazione infor matica tra questi scafi. Gli uomini che girano quiintorno sono fuori del tempo e non mi sembrano partecipi dell’e sondanteciviltà au tomatizzata.»

La signora Fuller, che aveva condiviso con il marito que sta passione gio-vanile, lo sosteneva con sorrisi fin troppo en tusiasti, ma lanciava occhiatein dagatrici a Vic e Corinne per valutarne le reazioni.

«È sempre così a meno di cento metri dal mare. Biso gna vederlo poiquando riesce a salire a bordo! La sua barbetta insi gnificante si trasfigurae diventa quella del capitano Nemo! Non ha mai fumato, ma sembra chegli spunti la pipa da sotto i baffi.»

«Descrizione calzante» scherzò Hans «però Mar lene tra scura di citarela mia metamorfosi più spetta colare. Si verifica qu ando in mano mi bruciala scotta di una randa e il vento di bolina mi spazzola la faccia. Dice che lamia essenza marina prende il sopravvento e che mi spuntano le squame.»

«La capisco» disse Vic. «Anch’io ho avuto la pas sione del mare. Sonocose che non si dimenticano. Da bambino il mio sogno era andare per iporti, cor rere sui moli, mettere il naso tra le barche in secca. C’erano an -cora pescatori che s’intratte nevano al tra monto in ban china, accendevanoil fuoco sotto il cal daio e aspettavano il buio conversando a bassa voce.Non sapevano di auto matismi, ignoravano l’informa tica e parla vano dimare. Si raccontavano storie fa vo lose, forse sempre le stesse, che neltempo diventa vano an cora più incredibili, ma alle quali volevano credere.Anche il caldaio borbot tava, bol lendo, pa role umane che mi piaceva staread ascoltare insieme con le loro voci tranquille.»

La si gnora Fuller tornò al presente e al marito. «Si, anche Hans adora la conversazione in ban china» ri prese. «Se solo

riesce ad agganciare un pe scatore o un mari naio, perde i contatti colmondo e si tuffa in chiac chiere ac cese la cui urgenza solo lui comprende.»

«Hans» proseguì in tono provocatorio «perché non vedi se in doganariesci a incontrare qualche tuo compa gno di corso? Potresti innescare dia-loghi affa scinanti, tra ricordi di camerata e fantasie di tempeste comequelle del tuo amato Conrad.»

Non era sciocco quel suggerimento. Marlene Ful ler era molto concreta,non si perdeva dietro distra zioni epi sodiche e sapeva come spingere il ma-

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«Questi amici lavorano nell’informatica.» Fu la pre senta zione lampo diAntoine ai coniugi Jean e Lucille La broste. Ed era quanto bastava perchél’at mosfera si cari casse subito di tensione.

I Labroste abitavano nel caseggiato frontistante. Grande residenza po-polare di fine secolo, pretenzioso pro dotto archi tettonico mal restauratodi recente con inter venti di imbellet tamento unificativo di poca so stanza.Do veva aver conosciuto un periodo di fulgore con l’impen nata turisticadegli anni Venti, per poi scendere tutti gli scalini del degrado con il de -cre mento demografico suc cessivo.

«Li hai condotti qui per cercare di umiliarci o per ché noi si cerchi diumiliare loro?» Fu l’esordio di Jean. «In entrambi i casi non è il giornogiusto.»

«Ancora difficoltà sul lavoro, vero Jean?» chiese An toine senza neanchetentare un approccio disten sivo.

«Difficoltà? Vuoi scherzare? Sai fin troppo bene quanto sia disastrosala situazione in tutte le aziende indu striali, non solo a Marsiglia. È assolu-tamente in sosteni bile! Ormai non c’è via d’uscita per chi non sia un opera -tore informatico e il mio caso è simile a quello di decine di migliaia di altriad detti. Vi stupi sce?»

Poi, rivolgendosi ai nuovi ospiti e assumendo un tono più controllato,si apprestò ad una spiegazione. «Siamo messi in quarantena, lo sapete?Da oltre un anno ormai. Mese dopo mese le nostre mansioni si sono svuo-tate. Stiamo lì solo a ve der lavorare i com puter. Che dico lavo rare? Daredisposizioni, decidere, stabilire la politica del l’azienda; fanno tutto loroor mai, con quei leccapiedi che li accudiscono.»

Senza avvedersene aveva ripreso il tono aggres sivo.«Che cosa facciano di preciso quelli come voi, in com butta con le mac-

chine nessuno lo sa. Credo un bel nulla, se non provvedere alla loro puli-zia. Siete una squa dra di manu tenzione e nient’altro! Mi domando se ve

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zione mineraria, all’agricoltura, al commer cio, fino allo spetta colo e allacul tura, tutto riceve di rettive d’indirizzo e di gestione da centri informa-tici, per poi essere realizzato da macchine a controllo nu merico comandateda self-robot.»

«Quello che non sappiamo» soggiunse Corinne, fa cendo eco a Vic «è ache punto sia giunto il con trollo au tomatico delle strategie finanziarie epoliti che, nazionali e internazio nali. Abbiamo ragione di ri tenere che siaormai massima mente invasivo e per conto mio credo che ci siano inge-renze anche in questioni tipicamente etiche e sociali come il diritto all’eu-tanasia, la libertà d’opinione, di cui tra l’altro non si parla più, e la libertàreligiosa, ridotta or mai a poco più che un retaggio superstizioso di mino-ranze oppresse. Bisogna vederci chiaro, ammesso che si sia an cora intempo!»

«Ah, bene» riprese Jean «non volete stare a guar dare, e al tempo stessovolete vederci chiaro! Sospet tate inge renze per fino in quella sfera perso-nale che in altri tempi era tutelata con il nome di privacy e ancora non vibasta? Ma che cosa aspet tate? Non è forse tempo di agire? E non toccaper caso proprio a voi dell’informatica che sapete dove mettere le mani?Tutti gli altri si sono adagiati supi namente in un’igno ranza beata, e rinun-ciataria, in una vita spenta e senza ideali, ma sicura e ap parente mente privadi problemi esistenziali, perché ammini strata dalle macchine in ogni suoaspetto. In pratica non chie dono altro. Sanno di non poter più deciderequasi nulla: quale inve sti mento scegliere, quale city-car farsi assegnare, oquando e dove andare in vacanza...» e quindi, incal zando ancora di più,«e nem meno chi votare e perché, e come deci dere del proprio fu turo! Ca-pite che sono la stragrande maggioranza! Un po polo di ignavi abbiamointorno; di ignavi soddisfatti!»

Quindi, visto che le sue parole avevano creata non poca perplessità negliospiti, che tenevano gli occhi bassi con imba razzo, riprese improvvisamentesco raggiato: «Ma che par liamo a fare? Anche se ne ave ste le migliori inten -zioni, non potreste fare nulla. Ogni strada per penetrare nel sistema in -formatico della rete è preclusa. Dalle stesse macchine o da chi, come voi,è addetto alla loro custodia. Sia nel caso che esista una strategia voluta daiself-robot, cosa che non riu sci rete mai a sapere per gli sbarramenti posti

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diventata effi cien tissima, i trasporti pubblici sono per fetti, servizi sociali, sa -nità, scuola, cultura sono quanto di meglio si possa deside rare. Anche sequalche manchevo lezza si può regi strare su piani meno concreti, come adesempio la so stenibilità cultu rale o la raffinatezza estetica di solu zioni chesogget tivamente possono piacere o non pia cere, la contestazione civile è bas -sissima. Per non dire del livello di vita, degli indici di produttività e del l’infla -zione, che finalmente è diventata nulla. Quello che più conta però, certo lorolo sanno, è che si sono annullati i con flitti internazionali e le questioni etni-che, mentre i problemi di distribuzione delle risorse nel terzo mondo sonosulla strada di una rapida riso luzione. Lo so, non di temelo» proseguì antici -pando l’obiezione «c’è il fatto della flessione demografica ma...»

«Me la chiama flessione lei?» Esplose Corinne «In meno di vent’anni lapopolazione mondiale si è dimezzata! Qui in Francia siamo meno di ventimi lioni. È crollo, non fles sione!»

«Ci sono molte concause, si sa» riprese Lambert «e i rapporti da Chi-cago forniscono una serie artico lata di con giunture climatiche, epi -demiologiche ed evolutive che giustificano il fenomeno. E poi, sarà an checinico, ne con vengo, ma sulla riduzione di po po lazione mondiale non èche si sia registrato questo gran movimento d’opinioni contrarie!»

«Sfido io!» intervenne Vic. «Le opi nioni contrarie sono sparite in ognicampo! Si rende conto che la sop pressione del Ministero della Program-mazione Nazio nale in Francia è passata come acqua fresca? A lei sta beneche l’educazione, il turismo, l’urbanistica e perfino l’orario di pulizia dellestrade, siano pro grammati dalle giunzioni Jo sephson dei self-robot di Chi-cago? E la soppressione delle quotazioni in borsa quali eco ha suscitatonell’opinione pub blica?»

«Era tempo che quella buffonata» riprese ancora Lambert sem pre conil suo fare tranquillo e didattico, «quel gioco d’az zardo le galizzato, vera epropria truffa a danno dei risparmia tori, fosse messa fuori legge. Oggi gliequilibri economici non sono la sciati all’astuzia delle agenzie finanziarie;sono stabiliti se condo programmi con trollati a livello internazionale e li-beri da speculazioni. La gente ne è consapevole e soddisfatta.»

«Mi scusi signor Lambert» chiese Corinne «ma qui a Aix-en-Provencecome lo valutate il livello di soddisfa zione della gente? Con quella specie

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di son daggio per campionatura che è diventata la consulta zione popolaredi una volta? Lei si sente garantito da questo procedimento che ancoraviene definito demo cratico?»

«Si, cara signora, mi sento pienamente garantito, e da ol tre un decenniola questione non è più all’or dine del giorno dei dibattiti politici.»

«Dibattiti tra chi?» Interruppe Vic. «Su quale tri buna? Per quale pub-blico? Mi stupisce, signor Lam bert, questa sua ade sione così totale e acri-tica all’opi nione ufficiale. Uno spiraglio d’apertura, dalla sua posizioneresponsabile e consapevole di pubblico amministratore, sarebbe moltogradita, mi scusi.»

«Gradita a chi? Mi scusi lei! Il suffragio popolare, an che se per cam-pionatura, si esprime al novanta per cento a favore dei nuovi criteri diconsultazione….»

«Non siamo disinformati» gli diede sulla voce Vic «e so bene come siforma quel novanta per cento. Tolti gli immi grati e i loro discendenti, perla legge sulla stabilità sociale, tolti i dimissionari dal lavoro, per la leggesulla produttività, gli aventi diritto al voto che restano sono poco più dellametà di quelli di una volta. Con la campio natura a selezione auto maticadel dieci per cento dovrebbe andare alle urne il cinque per cento dei cer-velli pensanti, la metà dei quali non si prende il disturbo. Quello che conti -nuate a chiamare suffragio popo lare è di fatto una consul tazione svoltasul due-tre per cento degli adulti liberi di intendere e di volere; peraltroanche ben selezionati! C’è da van tarsene?»

«Ben selezionati e ben indottrinati!» Rincarò Co rinne.«Cari signori» riprese Lambert con rinnovato, ma più fati coso autocon-

trollo «non dobbiamo essere per forza d’accordo. Né ritengo che le nostreposizioni siano conci liabili. Voi fini reste presto per sostenere la tesi del grandecomplotto dei self-robot, che cono sciamo benissimo e che non ha la minimaconsistenza. D’altra parte viviamo in un paese in cui ogni opi nione può es-sere libera mente espressa e per giunta in forme garantite, senza quelle pres-sioni di parte che un tempo defor mavano l’autenticità delle ten denze di base.»

L’abisso che si era aperto tra di loro rischiava di far tra scendere il dia-logo. Vic e Corinne, dopo un ra pido sguar do d’intesa, si trattennero dalribattere.

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«Ho un’idea» disse. «Bisognerebbe porre interro gativi al Control Centere farli scoprire giocando d’a stuzia. Forse è un campo in cui non ci battonoancora. Voglio provare a stabilire un contatto che possa par tire credibil-mente da qui. Sono sempre loro ad inter rogarci e a gestire ogni tipo dirapporto, mentre un’o perazione promossa da noi po trebbe in qualchemodo trovarli spiazzati. Credo di poter prendere qual che ini ziativa e muo -vermi in modo attivo. »

«Non domani: ora» sancì Corinne che non aspet tava altro.

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Convennero di coinvolgere Charles, e Vic colse questo ap piglio perprendere tempo e organizzarsi mentalmente.

Gliene parlarono e Charles, come previsto, diede la sua piena disponibilità.«Tra noi sei il più esperto nell’aggirare le prote zioni d’ac cesso» gli disse

Vic. «Ci puoi essere di grande aiuto. I sistemi esperti sono corazzati oltreogni possibile forzatura e lo sbar ramento intorno ai self-robot è inespugna-bile, ma potresti provare ad in serirti su una linea di ricezione riser vata diMeigs Field e tentare di aprire una comunicazione attiva con i self-robot.Quello che ci serve non è catturare indi screzioni, ma aprire un dialogo.»

«La mia idea» proseguì poi «è di tentare di inse rire, nella loro linea stra-tegica, un comando che con testi la loro volontà. Un comando logico e so-stenibile che li faccia scoprire. Se lo accettassero la loro co razza dimostre-rebbe di non essere inat taccabile; se lo rifiutassero dovrebbero darne mo-tivazioni che potreb bero essere indizi del loro modo di ragionare e forsedei loro obiettivi. Possiamo sempre provare!»

Charles riuscì ad agganciare un messaggio in cui si al lu deva a una tra-smissione delle specifiche d’ac quisto degli ag giornamenti di software daparte del l’Intelligence Sur vey. Non si poteva sapere a chi fosse diretto,ma, visto che il con tenuto si riferiva alla pro duzione di sistemi esperti peri self-robot se ne poteva dedurre che fosse diretto alle aziende produttricidei programmi per loro predisposti.

Vic riuscì, dai codici di trasmissione inseriti nel mes sag gio, a risalire altabulato dei preventivi di spesa cui quella tra smissione si riferiva e, conuna ri cerca sistema tica sulla rete trovò anche l’azienda che li aveva formu-lati e il carteggio re lativo. Si trattava della Rotrix di Groninga, in Olanda,che re alizzava il microchip più avanzato in as soluto, naturalmente in catenaautomatizzata. Comunicò subito la notizia a Corinne e a Charles.

«Il consiglio direttivo della Rotrix, non chiede temi da chi è composto,se uomini o macchine,» disse «aveva formulato un riparto di spesa in cui

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clamorosamente il lavoro, ma il gesto fu attribuito a disac cordi personaliper la supremazia di rettiva. La pronta con nivenza dei sindacati, dei diri -genti e della stampa fece il resto. Tutti furono, e sono tut tora, tenuti buonicon la favo letta dell’efficienza e dello straordinario miglioramento dellecondizioni di vita. L’intro duzione nelle case dei ser vomeccanismi più sofi-sticati, in ri caduta degli straordinari progressi degli automatismi informa -tici, rese persuaso chiunque che si fosse alle soglie di una nuova età dell’oro;un’epoca felice da custodire gelosamente e di cui ringra ziare chi era statoartefice dell’opzione informa tica. Poli tici e amministratori in testa.

Le cose, come sapete, non andarono poi esatta mente così e i benefici de-cantati andarono gradata mente riducen dosi per tutti, tranne che per quellicome voi. Ma ormai l’acquiescenza è diventata gene rale e nessuno ha piùenergie, né volontà per rivendi care il diritto al proprio li bero arbitrio.

Se ora, dopo tanto tempo, vi saltasse in mente di re agire, mettete inconto che loro, le macchine, si sono ulte riormente consolidate, sono ter-ribilmente determinate a condurre a fondo i loro programmi. Non è maiesistita nella storia del mondo un’alleanza così generalizzata. Tra loro nonci sono lotte intestine, di vergenze d’orientamento strategico e neancheopi nioni articolate. La decisione di uno è la decisione di tutti. Capite checosa vuol dire avere un avversario così? Io me ne accorsi nel ’17 e mi scon-trai invano con tro un muro compatto di neoburocrazia robotiz zata, spal-leggiato da un gregge di collaborazionisti idioti e sostenuto da un sistemainformatico di ferro, che io stesso avevo contribuito a realizzare.

Non potrete farcela. Io ho dovuto arrendermi qu ando la situazione eraancora infinitamente più sem plice. Potevo ac cedere all’intero software usatodai self-robot e forse potevo contare su un numero ancora consistente dicolla boratori. Oggi è, purtroppo, impos sibile. Voi siete soli e non sapete piùneanche che lin guaggio usano le macchine per i loro rapporti interni.»

«Questa» lo interruppe Charles «è l’unica cosa ine satta che lei abbiadetto, professore. Possiamo in terloquire; io so farlo. Per tutto il resto lesue parole sono convincenti; ter ribilmente convincenti.»

Mentre il professore parlava Corinne andava gra data mente perdendo ilsuo iniziale entusiasmo. Vic invece non si lasciò intimorire.

«Professore, c’è una sola cosa di quanto lei ha il lu strato che non mi con-

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vince» disse con un tono tanto deciso che stupì Corinne. «I self-robot, anchequelli dell’ultima generazione, non hanno circuiti idonei a sviluppare un attointenzionale. Non possiedono quello che per noi è la vo lontà, libera espres -sione della mente, conformatasi in mi lioni d’anni di evolu zione selettiva. Lemacchine non pos sono volere nulla, tanto meno il dominio del mondo.»

«Conosco questa obiezione» riprese Poggendorff. «Allora era sostenutadai miei assistenti più giovani; quelli che ave vano maggior conoscenzadelle proce dure software dei com puter, anche per aver parteci pato allaloro proget tazione. Ma l’operato intenzionale delle macchine divenne benpresto schiacciante e i fatti li indussero a desistere dalla loro forse ingenuasperanza. Come scienziato non dovrei dirlo, ma di fronte abbiamo un mo-stro immenso, sterminato, in finitamente superiore a noi, nei mezzi, nel -l’efficacia con cui li usa, nella rapidità di azione e nell’u nità di intenti.Sembra tra l’altro che sia qualcosa come un organismo unico, che pergiunta non conosce la morte, es sendo in grado di trasmettere la memoriada una macchina all’altra senza perderne il controllo glo bale.»

Tacquero tutti, per un po’. Anche Vic non se la sentì d’in sistere sullasua posizione ‘ingenua’.

Corinne concluse che la loro speranza non era spenta e che, forse, condisperazione, qualcosa avreb bero fatto.

Poggendorff, indicando con un solo ampio gesto della mano tuttoquanto stava intorno, dai mobili, alla casa, fino al lago, li invitò amabil-mente a valutare le delizie della sua rinun cia, la serenità della sua vita el’inutilità di qualsiasi lotta.

«Dopo tutto, se intendiamo i robot come lo scalino più alto e più perfettodell’evoluzione sul pianeta, ri sultato finale di tutta una crescita civile e sociale,ultimo atto della creazione – per chi crede –, allora noi non siamo altro cheun anello intermedio, qualcosa di simile a ciò che gli ominidi dell’età dellapietra furono per noi. Non si vede per ché un computer non debba essereconsiderato a pieno titolo erede del l’umanità. Vi battereste voi per un Ne-anderthal contro un Sapiens Sapiens o viceversa? Viste con gli occhi dellascienza, e alla grande distanza, l’evo luzione in formatica è povera cosa! Eanche quella umana.» Concluse mentre gli bril lava negli occhi un lampod’ironia amara.

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inequivocabili di manifestazioni inten zionali coordinate e perseguite controppa determina zione. Ad esem pio c’è un punto che non abbiamo presoin sufficiente consi derazione. Tra le cam pagne informative mirate allo sco-raggia mento della ricerca scientifica, promosse di recente dalla rete, c’èstato il piano di disincentivi, prima, e di divieti, poi, per l’in da gine geneticae per gli esperimenti bionici. Non è con vin cente che qualcuno abbia pro-seguito segreta mente questi studi, e che ne abbia fornito proditoria mentei risultati alle maccchine? Magari con il pro gramma di conquistare la lorocomplicità o di sotto metterle. Non è abbastanza lo gico che le macchineabbiano raccolto questo sabotaggio umano e ab biano avuto uno scattoqualitativo, interpolan dosi con il cer vello dell’uomo in un ibrido spaven-tosa mente effi ciente, ma che dall’uomo abbiano anche attinto sete di po-tere, volontà di dominio e malvagità?»

«Questo lo sospettava anche Poggendorff» inter ruppe Corinne.«Jenny pensa a qualcosa come un maligno soffio vi tale» si inserì Charles

ironizzando «che sia stato in sufflato dall’uomo alla macchina in modo datrasfor marla da vil metallo a organismo capace di intendere e di volere!»

«Non banalizzare» riprese Jenny. «Perché sono proi bite le ricerche sulDNA? Perché nessuno speri menta più gli OGM? Credete davvero chesia un set tore di scienza superato e messo al bando, oppure c’è la possibi-lità che in qualche segreto laboratorio del l’Intelligence Survey un mostromezzo uomo e mezzo macchina stia lì curvo sui tavoli da lavoro a distillareprovette per metterci fuori gioco?»

«Ma, scusa Jenny» sbottò Charles «tu non sei quella che ci guardava ditraverso quando accenna vamo al grande com plotto?»

«Non sono più tanto sicura di continuare a farlo» ri spose Jenny. «D’altraparte, anche allora mi indi spettiva più il vostro atteggiamento da congiu-rati che la sostanza dei vostri pensieri. Ostentare in laboratorio idee comequeste era una grande imprudenza. C’è bi sogno di dir velo?»

«Se con questo vuoi farci sapere che anche tu adesso col tivi cattivi pen-sieri, bene. Ti accogliamo come quarta congiu rata!» Concluse scherzandoChar les.

«Non prenderla alla leggera, mio caro!» Riprese Jenny. «Non devo ri-cordarti io l’ipotesi per cui l’in tera evoluzione informatica non sarebbe

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altro, in fondo, che il più recente sviluppo evolutivo del pen siero, attuatoin sede esterna, ma con una perfetta in tegrazione, o collabora zione, sepreferisci, tra circuiti neuronici e circuiti elet tromagnetici. Non vorreidarti una lezione, ma era Scho penhauer a sostenere l’esi stenza del princi-pio evolutivo alla base di tutti i com portamenti umani. La volontà di vi-vere era secondo lui la forza oscura e impersonale che muove ogni cosa,alla quale gli individui de vono in consciamente sottomettersi. Perché esclu-dere allora che il progresso informatico possa essere l’ultima manifesta -zione della volontà di sopravvivenza dell’intera specie umana, espressa inquesto atto di estensione della mente che è l’intel ligenza artificiale? Unatto di remissione del singolo ad un piano collettivo, involontario mainelu di bile!»

Jenny li aveva un po’ spiazzati e francamente tutti ri ten nero che fosseandata un po’ sopra le righe, nono stante che la sua ipotesi non fosse facil-mente conte stabile; perciò si vol sero, come a comando, verso Vic, aspet-tandosi da lui un rial lineamento della questione.

Vic si stava infatti agitando sulla sedia nel sentore di non poter più elu-dere il suo turno.

«C’è qualcosa...» cominciò con palese indeci sione «qualcosa che nellevostre analisi non mi con vince. Io... Io ho sempre pensato che le macchinenon possano avere qualcosa di simile a una volontà d’azione, o di do minio,che anzi... non possano avere nessuna volontà, e di questo non ho fattomai mistero.»

Si agitava ancora sulla sedia come se non riu scisse a tro vare la posizionedi partenza.

«Non... Non credo che sia possibile... certo l’i potesi del soffio vitale,anche se maligno questa volta, riporte rebbe l’uomo alla base di ogni cosa;una sorta di spinta decisiva che avrebbe condotto le macchine fino al-l’affran camento defini tivo; un tocco magico da cercarsi necessa riamentenella gene tica ibrida perché altrimenti sarebbe impensabile! Anche Char -les... Si, anche Charles concorda sull’impossibilità d’e volu zione auto-noma dei circuiti verso il traguardo del li bero arbi trio delle macchine.Ma tutta via... Tuttavia un’evoluzione spaventosa c’è stata! Acci denti sec’è stata!»

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guire le ricer che sull’evoluzione dei si stemi automatici, natural mente conben altri mezzi e possibilità d’accesso. Potrà svolgerlo in parte presso i la-boratori di Meigs Field, in parte proseguirli a Bal ti mora. Potrà comunicaread altri quanto abbiamo detto oggi qui, ma non potrà far parola di quantoprodurrà d’ora in poi con la sua attività futura.

Credo che abbia inteso da sé che non può esserci in com prensione suquesto punto, né errore da parte sua.

L’elevato compenso di cui questo lavoro gode è pro por zionato all’im-portanza che riveste nel sistema. Se lei accetterà dovrà considerarsi partedella rete in ogni senso e dovrà as sumere la consapevolezza di es sere cor-responsa bile dell’an damento di qualsiasi ope razione che dipenda dallarete. Vale a dire tutto.»

Robinson aveva parlato con equilibrata affabilità, non di sgiunta daferma determinazione. Il suo di scorso mo strava di essersi temporanea-mente concluso per dar modo all’interlocu tore di esporre le proprie con-siderazioni in merito all’offerta.

«Signor Robinson...» Prese a dire Vic, indugiando per ordinare i pen-sieri e per decidere che atteggia mento assu mere.

«Signor Robinson, molte premesse del suo di scorso mi sono note. Nonsi può lavorare per anni nella rete senza es sersi fatta un’idea degli aspettipiù concreti del suo fun ziona mento.»

Qui si fermò a riflettere un attimo, ma decise d’im pulso di non tergi-versare troppo. Non era il caso di dilun garsi in com plimenti.

«Delle cose che invece non mi sono note» prose guì attac cando «non unami ha chiarito. Le dico subito qual è il mio interrogativo principale. Perchéquello che lei chiama il ‘si stema’ gestisce tutto questo arse nale di auto -matismi? In nome di chi lo fa? Mi scusi se sono troppo sbrigativo, ma laque stione è tutta qui. Lei ha evitato di fare il benché minimo rife rimentoai perché. Ora io mi chiedo: se il sistema agisce su or dine esterno vorreisapere chi c’è dietro; se invece lo fa di propria iniziativa, allora dove vuolearrivare, che obiettivi si pone e come intende raggiungerli. Credo sia legit-timo per me porre queste do mande, e senza troppe remore, se devo entrarea far parte di uno staff di alta responsabilità e con mansioni tanto de licate.Sapere per chi dovrei lavorare e perché non mi pare un’indiscrezione.»

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suo archivio non epurato, riguardo ai punti oscuri che Vic ha elencato?Per esempio che cosa si diceva prima del ’16 sull’evoluzione dei self-robot.Qual cuno la commentava? E sulla strana con centrazione di de cisionalitàa Meigs Field, che ora diamo per scontata, nes suno si pose interrogativi?»

«È difficile» disse Jenny «che saggi o articoli si gnifi cativi su questi punti,specialmente se rivelanti notizie ri servate, siano sfuggiti all’epurazione in-for matica. Ma è bene tentare. Chiediglielo Corinne. Poi riprenderemo ildi scorso.»

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«Sta di fatto» concluse Antoine quando gli parve che Vic avesse termi-nato la lettura «che non ci sono tracce, negli anni successivi, di nessunaripresa dell’argomento. Sembra che qualcosa lo abbia stranamente inter-rotto oppure che ne sia stata cancellata la memoria».

Vic non reagì con prontezza. Aveva voluto rileg gere il te sto più volte,sempre modificando il proprio stato d’a nimo. All’inizio aveva provatosensazioni di rifiuto, anche se con traddette dalla curiosità quasi morbosadi capirne di più. Poi aveva cominciato a nutrire qualcosa tra il dubbio eil timore di non aver capito. Quindi credette di cogliere il senso profondodi quel messaggio e in lui prese il soprav vento il biso gno di indagare den-tro se stesso alla ricerca di con ferme. Pensò di avere sempre sospettato,forse in consciamente, qualcosa di simile e il suo pensiero prese a vagaretra antiche riflessioni, ipotesi respinte, soprassalti di verità negate, bran-delli di ra gionamenti abbandonati.

Tacque a lungo e il suo silenzio non fu interrotto da Co rinne. Poi, gra-datamente, cominciò a pren dere coscienza di avere forse in mano la chiaveche cercava da tempo.

«In sostanza» cominciò, cercando di nascondere il proprio turbamentodietro una controllata banalizza zione di quanto aveva recepito «l’ipotesidescritta da questa re censione con ferma quanto andavo elabo rando datempo. Ho sempre so stenuto che non era possibile presupporre l’esistenzadi una deliberata in tenzione dietro l’attività dei self-robot. E che non avevanemmeno senso la loro sot tomissione ad un po tere esterno, occulto, ma-gari anche malvagio, come dice Charles. Un’organizzazione del tipo dellaSkor pio, per intenderci, che tanto aveva acceso le fantasie nel secoloscorso.»

«Qui però» continuò con modi più spontanei «quella che mi sembravasolo un’ipotesi ragionevole, anche se azzardata, si chiarisce e trova fonda -mento. Quanto vorrei leggere l’articolo originale! Questo autore ignoto

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qual siasi mia collaborazione, per quello che potrà valere e per quello chegli potrà inte ressare, è subordinata a capire fino in fondo quale strategiahanno in animo i consiglieri e se possiedono verità a noi ancora ignote.»

Era infatti realmente convinto che ormai la que stione si fosse spostatasu un piano esclusivamente operativo. C’era o non c’era spazio per un in-tervento, o aveva ra gione Poggen dorff ad abbandonare tutto?

Guardando negli occhi gli amici uno per uno, pro seguì quindi grave-mente «È una scelta decisiva. Non potrei pormi altri obiettivi, oggi, senzaperdere la stima di me stesso. Andrò da lui e non tornerò senza riportarequello che sa e senza ca pire quello che vuole. La posta in gioco è la piùalta che si possa con cepire e va ben oltre gli enigmi di Meigs Field. L’ipo -tesi che l’evoluzione sia un processo inconsapevole non riguarda solo lemacchine, ma coin volge il de stino di tutti noi, se mai ha senso parlare didestino. Solleva interrogativi tre mendi, che oggi assumono una consi-stenza storica ineludibile. C’è o non c’è qu alche cosa che si possa fare, oche si ‘debba’ fare? C’è una parte giusta per la quale battersi? E ancora,è giu sto battersi per una parte? O, più definitivamente, c’è qual che cosache possa definirsi giusta?»

Stette a sentire, lui sgomento per primo, l’eco della pro pria voce. Quindicontinuò «Non so se il col loquio con Ro binson avrà a che vedere con tuttoque sto, ma il pro gramma dei consiglieri va conosciuto. Se mi parrà convin -cente e mi consentirà di dare risposte a queste domande sarò con loro eforse voi mi aiute rete. In caso contrario» e guardò Corinne «potrei an chenon tornare.»

Non erano parole da commentare alla leggera. Charles e Jenny lo capi-rono e tacquero. Corinne non poté fare a meno di dire soltanto «Vic, nonsei solo, ricordalo!»

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Premessa

Il pattoevoluzione di un accordo

La bistilloideevoluzione di una goccia

Prima ParteSeconda ParteTerza Parte

Se un giorno un robotevoluzione di una macchina

Prima ParteSeconda Parte

Indice

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Finito di stampare da ESA in Napoli nel mese di Ottobre del 2012

E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche

© 2012 Proprietà letteraria, artistica e scientifica riservatawww.edizioniesa.com [email protected]. 081 3599027/28/29 - fax 081 8823671

Roberto de Rubertis è Professore Emerito della facoltà di Architettura, Univer-sità “Sapienza” di Roma. Ha fondato e diretto (dal 1986) la rivista “XY, dimen-sioni del disegno”. Tra le sue pubblicazioni: Progetto e percezione (Officina, Roma 1971), Il disegnodell’architettura (NIS Carocci, Roma 1994), De vulgari architectura (Officina,Roma 2000), La città rimossa (Officina, Roma 2002), La Città mutante (FrancoAngeli, Roma 2008); Rilievi archeologici in Umbria (ESA, Napoli 2012); Darwinarchitetto (ESA, Napoli 2012); In narrativa: Se un giorno un robot (Kappa, Roma 2003); La bistilloide (Kappa,Roma 2004).

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€ 1

2,00

ISBN 978‐88‐95430‐47‐8

788895 4304789

> edizioniesa.com

Il patto ‐ evoluzione di un accordo. Due architetti sono spinti ad una tragica sfidaa causa di un’imprevista e inquietante ingerenza dell’evoluzionismo nella loro pro‐fessione. Ne usciranno male, stipulando un patto folle dalla conclusione ambigua.

La bistilloide ‐ evoluzione di una goccia. Un imprevisto risvolto dell’evoluzionismo,oltre lo stesso pensiero di Darwin, si intreccia in questo racconto con una miste‐riosa formula matematica.Un uomo ne è travolto e, incalzato da una successione di vicende illuminanti, con‐quista una sconcertante chiave di lettura del senso della vita. Il suo problema saràche cosa farsene.

Se un giorno un robot ‐ evoluzione di una macchina. Nel terzo decennio di questosecolo la travolgente ingerenza dell’informatica in ogni settore dell’attivitàumana solleva inquietanti interrogativi sui destini dell’umanità. Incomprensibilifenomeni, come il calo demografico nell’intero pianeta e l’apatia dei politici, agi‐tano i tecnici appartenenti alla cosiddetta squadra di manutenzione dei robot,che sospettano l’esistenza di misteriosi manovratori dietro l’operato delle mac‐chine. Le loro indagini li porteranno a chiedersi se la cibernetica possa conside‐rarsi l’ultimo gradino dell’evoluzione del pensiero, se esista una logica nelle stranecose che accadono e se abbia un senso cercare di comprenderla. Anzi, se qualun‐que cosa abbia un senso.