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Capitolo 4 Funzione giurisdizionale e rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa Sommario 1. Il rapporto tra le giurisdizioni. - 2. La disciplina delle questioni di giu- risdizione. - 3. Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito: la translatio iudicii.- 4. Il riparto della giurisdizione nelle controversie di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo. - 5. Risarcimento, pregiudiziale e Codice del processo: l’Adunanza plenaria n. 3/2011. 1. Il rapporto tra le giurisdizioni A) Il principio di separazione I rapporti tra due giurisdizioni possono essere: — di concorrenza, se entrambe le giurisdizioni possono decidere contemporanea- mente o successivamente del medesimo rapporto giuridico (in questo caso, però, c’è il pericolo di addivenire a due decisioni definitive e contraddittorie sullo stesso rapporto); — di subordinazione, quando una giurisdizione può, in tutto o in parte, riesaminare le decisioni di un’altra giurisdizione; — di alternazione, quando una stessa questione giuridica è di competenza di due giurisdizioni in virtù della volontà almeno di uno dei due contendenti; — di separazione, quando di uno stesso rapporto giuridico conosce un solo organo ad esclusione di ogni altro. La separazione, tuttavia non può essere considerata in senso assoluto, poiché la complessità dei rapporti giuridici impone che, per evitare contrasti tra giudicati, si stabiliscano nessi di coordinazione tra le giurisdizioni separate (CAMMEO). Nel nostro ordinamento è accolto il principio della separazione (NIGRO). Tale principio incontra numerose attenuazioni, per effetto di nessi di coordinazione (o talvolta di integrazione) tra giurisdizione del G.A. e giurisdizione del G.O., che possono sussistere o in relazione alla decisione delle questioni pregiudiziali o in relazione alla attuazione di due giudicati e, più in generale, agli effetti degli stessi. Edizioni Simone - Vol. 4/4 Compendio di Diritto processuale amministrativo e giustizia amministrativa

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Capitolo4Funzionegiurisdizionaleerapportitragiurisdizioneordinariaegiurisdizioneamministrativa

Sommario1. Ilrapportotralegiurisdizioni.-2.Ladisciplinadellequestionidigiu-risdizione.-3.Ildifettodigiurisdizionedelgiudiceamministrativoadito:latranslatio iudicii.-4.Ilripartodellagiurisdizionenellecontroversiedirisarcimentodeldannodalesionediinteresselegittimo.-5.Risarcimento,pregiudizialeeCodicedelprocesso:l’Adunanzaplenarian.3/2011.

1. Il rapporto tra le giurisdizioni

A) Ilprincipiodiseparazione

I rapporti tra due giurisdizioni possono essere:— di concorrenza, se entrambe le giurisdizioni possono decidere contemporanea-

mente o successivamente del medesimo rapporto giuridico (in questo caso, però, c’è il pericolo di addivenire a due decisioni definitive e contraddittorie sullo stesso rapporto);

— di subordinazione, quando una giurisdizione può, in tutto o in parte, riesaminare le decisioni di un’altra giurisdizione;

— di alternazione, quando una stessa questione giuridica è di competenza di due giurisdizioni in virtù della volontà almeno di uno dei due contendenti;

— di separazione, quando di uno stesso rapporto giuridico conosce un solo organo ad esclusione di ogni altro. La separazione, tuttavia non può essere considerata in senso assoluto, poiché la complessità dei rapporti giuridici impone che, per evitare contrasti tra giudicati, si stabiliscano nessi di coordinazione tra le giurisdizioni separate (CAMMEO).

Nel nostro ordinamento è accolto il principio della separazione (NIGRO). Tale principio incontra numerose attenuazioni, per effetto di nessi di coordinazione (o talvolta di integrazione) tra giurisdizione del G.A. e giurisdizione del G.O., che possono sussistere o in relazione alla decisione delle questioni pregiudiziali o in relazione alla attuazione di due giudicati e, più in generale, agli effetti degli stessi.

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Capitolo 474

B) Criterigenerali

Il sistema della doppia giurisdizione, detto anche del «doppio binario», comporta che, in relazione alle controversie in cui è parte una P.A., il G.o. ha giurisdizione in materia di diritti soggettivi ed il G.A. per la tutela degli interessi legittimi. La coesistenza di due diversi ordini di giurisdizioni, aventi una propria e differenziata competenza, ha posto notevoli problemi a dottrina e giurisprudenza in ordine all’identificazione dei criteri idonei ad operare il necessario riparto.

Dottrina

La dottrina ha ritenuto di poter affermare l’esistenza di una «doppia tutela» per il privato leso da un atto o comportamento dell’Ammini strazione e consistente nella possibilità di adire, per lo stesso episodio di vita, l’uno o l’altro ordine di giurisdizione (NIGRO).Al riguardo furono elaborate le seguenti teorie:a) teoria che distingue tra attività di gestione o d’imperio. Nel primo caso, venendo in rilievo

rapporti di tipo paritetico, le controversie, eventualmente sorte, non possono che investire diritti soggettivi, come tali riservati alla giurisdizione del G.O. Nella seconda ipotesi occorre, invece, distinguere tra attività discrezionale, idonea a degradare il diritto ad interesse, che come tale rientra nella giurisdizione del G.A., ed attività vincolata, dalla quale nascono solamente diritti soggettivi comportanti la giurisdizione del G.O. Entrambi i criteri sono stati criticati da dottrina e giurisprudenza in quanto: riguardo al primo, ai sensi dell’art. 2 della L.A.C., la giurisdizione del G.O. sussiste per tutti i diritti soggettivi e non solo per quelli inerenti a rapporti di diritto privato; riguardo al secondo, la dottrina più recente ne ammette la validità solo quando le norme regolative del potere siano poste nell’interesse del privato, mentre nel caso in cui rilevi un interesse della P.A., l’amministrato non può che vantare un mero interesse legittimo ;

b) teoria del petitum, in base alla quale il riparto delle giurisdizioni va attuato secondo la natura del provvedimento richiesto dall’interessato, cosicché la richiesta di eliminazione dell’atto amministrativo fonda la giurisdizione del G.A., mentre la richiesta di condanna della P.A. al risarcimento del danno (cd. doppia tutela) comporta la giurisdizione del G.O. (SCIALOJA);

c) teoria della causa petendi, secondo cui il criterio differenziatore si basa sulla natura della posizione giuridica dedotta in giudizio (diritto soggettivo o interesse legittimo);

d) teoria della norma violata, per la quale il riparto è operato sulla base delle norme che si ritengano violate. Secondo tale teoria, sostenuta da GUICCIARDI, detto criterio di riparto poggia sulla differenza intercorrente tra norme di azione, intese quali norme che regolano l’esercizio dei poteri della P.A. imponendole un determinato comportamento nell’interesse pubblico; e norme di relazione, che regolano i rapporti tra cittadini e P.A., attribuendo diritti ed obblighi reciproci. Orbene, la violazione di una norma di azione, posta a tutela di un interesse collettivo, comporta la vulnerazione di un interesse legit-timo del soggetto che abbia titolo per invocarne il rispetto. Per converso, la mancata uniformazione della P.A. ad una norma di relazione determina la lesione di un diritto soggettivo del cittadino.

Tale teoria è stata criticata da parte di quanti hanno osservato che:— il criterio proposto sposta solo, senza risolverlo, i termini del problema in quanto, una volta

affermato che il diritto soggettivo e l’interesse legittimo corrispondono rispettivamente a norme di relazione o di azione, rimane il problema irrisolto di stabilire in pratica di volta in volta quando una norma sia di azione o di relazione;

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— le norme di azione sono anch’esse «relazionali», in quanto «considerano» anche gli interessi dei privati, mentre le norme di relazione sono anch’esse di azione in quanto vincolano la condotta della P.A. (NIGRO);

e) teoria della prospettazione, che opera la differenziazione in base alla prospettazione della posizione giuridica operata dall’attore. Giudice competente sarà, pertanto, il G.O. o il G.A. a seconda che il cittadino ritenga di essere stato leso in un diritto soggettivo o in un interesse legittimo.

La giurisprudenza, dopo varie oscillazioni, ha ritenuto di adottare quale criterio primario quello della causa petendi. Ciò, tuttavia, non ha risolto il problema dell’individuazione delle ipotesi in cui il privato possa lamentare la lesione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 4-7-1949, n. 1657, seguendo l’impostazione della causa petendi, ha posto con chiarezza il criterio discretivo fra i due ordini di giurisdizioni, osservando che: «tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’Amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e giurisdizione del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere». In tal modo si è posto il collegamento seguente: cattivo uso del potere-interesse legittimo, carenza di potere-diritto soggettivo.La soluzione accolta dalla Cassazione si spiega in quanto:

— nel primo caso, sussistendo una norma di legge (principio di legalità dell’azione amministra-tiva) che attribuisce alla P.A. il potere di emanare l’atto, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’emanare l’atto, osservi i limiti, le forme e il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (cattivo uso del potere), interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa (G.A.);

— nel secondo caso, invece, l’atto amministrativo non è assolutamente idoneo a produrre un effetto degradatorio, non sussistendo una norma che attribuisca alla P.A. il potere di emanarlo (carenza di potere). Pertanto la posizione del privato, a fronte di un provvedimento nullo, è di diritto soggettivo e non degrada a mero interesse legittimo, con la conseguenza che sarà possibile ottenere una tutela adeguata davanti al G.O.

Il tradizionale riparto di giurisdizione per posizioni soggettive viene, però, meno, laddove il legislatore disponga un cd. riparto per blocchi di materie, cioè nel caso di attribuzione di giurisdizione esclusiva ad un’autorità giurisdizionale in ordine a determinate materie. In tale ipotesi il giudice può conoscere sia questioni inerenti diritti soggettivi che interessi legittimi: ciò implica ex se l’irrilevanza della situazione giuridica che si presume lesa.Il notevole vantaggio che tale criterio di riparto produce ha indotto il legislatore, nel tempo, ad au-mentare sempre più i casi di giurisdizione esclusiva del G.A., inducendo la Corte costituzionale ad affermare che tale tipologia di giurisdizione, ai sensi dell’art. 103 Cost., è ammissibile solo in limitate ipotesi, caratterizzate da un intreccio inscindibile tra posizione del privato e potere amministrativo.Ad oggi, la norma di riferimento per individuare le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è data dall’art. 133 del Codice del processo amministrativo (sulla giurisdizione esclusiva del G.A. v. infra Cap. 6, §7).

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Capitolo 476

Giurisprudenza

Un’interessante pronuncia giurisprudenziale ha posto in evidenza che “Poiché la distinzione fra interessi e diritti, necessaria ai fini del riparto nella generale giurisdizione di legittimità fra giudice amministrativo e giudice ordinario, è del tutto incerta nelle particolari materie di giurisdizione esclusiva, per poter ritenere sussistente la giurisdizione esclusiva dovrà farsi ricorso ad un altro criterio, comune alla giurisdizione esclusiva e a quella di legittimità, che il giudice delle leggi ha individuato nel fatto che la parte resistente è stata evocata in giudizio per atti, comportamenti od omissioni che sono espressione di un potere autoritativo. Il giudice amministrativo è dun-que giudice del potere pubblico nel momento dinamico dell’esercizio della funzione (C. Cost. 191/2006) e questo è l’unico criterio dirimente per stabilire l’attrazione alla giurisdizione esclusiva degli interessi legittimi e dei diritti coinvolti, tanto che è inutile, ammesso che sia possibile, tentare di distinguerli. Quindi non basta iscrivere una controversia nella particolare materia devoluta alla giurisdizione esclusiva perché questa si radichi in concreto, dovendosi a tal fine stabilire, sulla base della domanda, se l’Amministrazione sia stata tratta in giudizio nella sua veste di titolare del potere pubblico perché ha adottato o ha omesso di adottare un atto della corrispondente funzione” (T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 17-4-2014, n. 531).In tal senso è stato, da ultimo, precisato che nelle materie di giurisdizione esclusiva, «la giuri-sdizione del giudice amministrativo, anche con riguardo alle posizioni di diritto soggettivo fatte valere in giudizio, sussiste fintanto che l’amministrazione eserciti un pubblico potere, anche mediato, finalizzato al perseguimento del pubblico potere» (T.A.R. Lazio, Roma, sez. IIIter, 24-1-2017, n. 1279).

2. La disciplina delle questioni di giurisdizione

A) IIdifettodigiurisdizione

È regola costantemente affermata dai giudici amministrativi quella per cui la parte che ha adito una giurisdizione non può poi metterne in discussione la potestas iudicandi (C.d.S., sez. V, 29-10-2014, n. 5346; C.d.S., sez. VI, 27-8-2014, n. 4337).L’art. 9 del Codice del processo amministrativo disciplina le ipotesi in cui nel corso del giudizio amministrativo sorga un problema relativo alla giurisdizione ed individua le modalità per sollevare la relativa questione.Ebbene, mentre nel giudizio di primo grado il difetto di giurisdizione è rilevato anche d’ufficio, ossia direttamente dal giudice, limiti alla sua rilevabilità vengono posti rela-tivamente ai giudizi d’impugnazione. In tal caso, infatti, il difetto di giurisdizione è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, abbia statuito sulla giurisdizione (1).

(1) Si segnala che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 5-10-2016, n. 19912, aderendo ad un orientamento consolidato del Consiglio di Stato e rivedendo la propria precedente posizione, hanno affer-mato l’importante principio di diritto per cui «l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto» (nel caso di specie, la Corte ha, quindi, considerato corretta la decisione del Consiglio di Stato, che aveva rigettato l’appello proposto da due ricorrenti avverso una pronuncia del T.A.R., dolendosi del mancato rilievo, da parte del giudice di primo grado, della propria carenza di giurisdizione).

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Con tale formulazione codicistica il legislatore ha recepito l’orientamento della Corte di Cassazione sul cd. giudicato implicito sulla giurisdizione, formatosi con riguardo al processo civile (cfr. C.d.S., sez. V, 7-2-2012, n. 656).

Giurisprudenza

Il giudicato implicito sulla giurisdizione si concreta nella circostanza per cui la questione di giurisdizione non è più sollevabile dalle parti o rilevabile d’ufficio se nei gradi precedenti del giudizio non è stato posto il problema in maniera esplicita. In particolare, nella sentenza n. 24883/2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, interpretando restrittivamente l’art. 37 c.p.c., hanno individuato le ipotesi in cui si forma tale giudicato, affermando che “qualora il giudice decida espressamente sia sulla giurisdizione sia sul merito e la parte impugni solo sul merito, è precluso al giudice di appello e alla Cassazione il rilievo d’ufficio della questione di giurisdizione e alla parte interessata non è consentito introdurla in sede di legittimità se non l’abbia proposta anche in appello”. Lo stesso è a dirsi nell’ipotesi in cui i giudici di merito non abbiano dedicato un capo della sentenza alla questione della giurisdizione. In questo caso, infatti, si può ritenere che “qualsiasi decisione di merito implica la preventiva verifica della potestas iudicandi; tale verifica, in assenza di formale eccezione o questione sol-levata di ufficio, avviene comunque de plano (implicitamente) e acquista “visibilità” soltanto nel caso in cui la giurisdizione del giudice adito venga negata. In linea di principio, se la questione della giurisdizione non viene sollevata in alcun modo, significa che non vi è nessuna necessità che il giudice “mostri le proprie credenziali”. Ma, il fatto che la decisione non sia “visibile”, non significa che sia inesistente. Il giudice che decide il merito ha anche già deciso di poter decidere”.

B) Ilregolamentopreventivodigiurisdizione

Altra possibilità riconosciuta alle parti del giudizio, che vogliano contestare la giurisdi-zione del giudice adito, è data dalla possibilità di ricorrere all’istituto del regolamento preventivo di giurisdizione di cui all’art. 41 c.p.c., applicabile al processo ammini-strativo in virtù di un espresso richiamo alla detta disposizione, contenuto nell’art. 10 del Codice del processo amministrativo.In forza di tale rimando, nei giudizi innanzi ai tribunali amministrativi regionali è pos-sibile chiedere alle Sezioni unite della Corte di Cassazione di risolvere, con efficacia vincolante per tutti gli altri giudici, le questioni di giurisdizione, ossia di verificare, nel caso concreto, la sussistenza della giurisdizione amministrativa ovvero, eventualmente, di individuare l’autorità giudiziaria deputata a pronunciarsi.La ratio del regolamento preventivo di giurisdizione è quella di conseguire rapidamente, per sal-tum, una definitiva pronuncia sulla giurisdizione da parte dell’organo che, istituzionalmente, si occupa di regolare tali questioni, ossia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (DE NICTOLIS).Il regolamento preventivo di giurisdizione, inoltre, «non è un mezzo di impugnazione, in quanto implica propriamente l’inesistenza di una pronuncia sul merito: infatti, ai sensi dell’art. 41 c.p.c., il regolamento è esperibile finché la causa non sia decisa nel merito» (CARINGELLA).

L’art. 41 c.p.c. distingue due ipotesi, a seconda che la P.A. sia o meno parte in causa:— se la P.A. è parte in causa, come qualsiasi altro soggetto, può presentare istanza

alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affinché risolvano la questione di giurisdizione;

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Capitolo 478

— se la P.A. non è parte in causa, ma soltanto interessata ad un giudizio che si svolge tra altri soggetti, allora essa può chiedere alle Sezioni Unite della Cassazione, in ogni stato e grado del processo, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato, che sia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito (secondo il Codice di procedura civile, del G.O., essendo il sindacato rimesso ai poteri dell’autorità amministrativa).

In forza dell’ulteriore rinvio all’art. 367, comma 1, c.p.c., ad opera dello stesso art. 10 c.p.a., il regolamento preventivo di giurisdizione (che va proposto con ricorso, sottoscritto da un avvocato iscritto nell’albo delle giurisdizioni superiori, munito di procura speciale) produce l’effetto di sospendere il giudizio, se l’istanza non viene ritenuta manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manife-stamente infondata.

Regolamento preventivo di giurisdizione e misure cautelari Poiché la pendenza del giudizio non è suscettibile di interrompere l’esecuzione del provvedimento impugnato, il legislatore, nell’abrogato art. 30 L. 1034/1971, aveva previsto che la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, pur non sospendendo il giudizio di merito, non precludeva l’esame della domanda di sospensione del provvedimento impugnato. Era, dunque, possibile che, laddove il T.A.R. avesse ritenuto fondata la domanda di sospensione, insieme al giudizio fosse sospesa anche l’esecuzione del provvedimento impugnato.L’opzione legislativa operata nel Codice del processo amministrativo e di cui al comma 2 dell’art. 10, nel ribadire la possibilità di richiedere la misure cautelari nel corso del giudizio sospeso, è diretta nel senso di una decisa negazione delle stesse laddove il giudice innanzi al quale pende il giudizio non ritenga sussistente la propria giurisdizione.

3. Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito: la tran-slatio iudicii

A) L’incomunicabilitàtragiudiciappartenentiadordinigiurisdizionalidiversi

Come si è visto, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo accolto nel nostro ordinamento è fondato su di un sistema dualistico di giurisdizione, correlato alle diverse posizioni giuridiche soggettive che, di volta in volta, devono essere tutelate.Detto sistema può implicare non poche problematiche di carattere pratico, che si ripercuotono concretamente sul diritto di difesa del soggetto interessato da un’atti-vità dell’amministrazione, legate all’individuazione del giudice da investire di una determinata controversia. Può accadere che, nell’incertezza del giudice competente, il destinatario di un provvedimento erroneamente instauri un giudizio innanzi al giudice amministrativo (considerato il termine di 60 giorni per impugnare) in luogo del giudice ordinario, che, invece, sarebbe competente a decidere la questione specifica. In tale ipotesi si è in presenza di un difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito.

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Nel regime vigente ante L. 69/2009 e D.Lgs. 104/2010, in presenza di una sentenza con la quale il giudice adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, il privato poteva solo instaurare un nuovo giudizio innanzi all’autorità giurisdizionale effettivamente competente: tale modus operandi, però, metteva in evidenza la più grande disfunzione del nostro ordinamento, ovvero quella della cd. incomunicabilità tra giudici appartenenti ad ordini giurisdizionali diversi.

Ricorrendo agli artt. 50 e 367 c.p.c. e con l’estensione della possibilità di proporre istanza di regolamento di giurisdizione anche nel processo amministrativo (art. 30 L. T.A.R., oggi abrogato dal D.Lgs. 104/2010), nel nostro ordinamento è stata ritenuta possibile la cd. translatio iudicii — intendendo con tale espressione fare riferimento all’ipotesi in cui un giudice, con sentenza, declini la propria giurisdizione af-fermando la sussistenza di quella di altro giudice e il giudizio prosegua innanzi a quest’ultimo, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali collegati alla domanda originariamente proposta.La translatio, però, era ammessa unicamente nei casi in cui era riconosciuta la giuri-sdizione del giudice ordinario.Alcun margine di operatività era formalmente consentito nell’ipotesi inversa, cioè di declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore di un giudice speciale (amministrativo, tributario).

B) Gliinterventidellagiurisprudenzaedellegislatore

Su tale questione sono intervenuti dapprima i giudici della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale — che, con due importantissime pronunce, hanno aperto la strada ad una generale ammissione nel nostro ordinamento, in ipotesi di pronuncia sulla giurisdizione, del principio della translatio iudicii dal giudice ordinario a quello speciale e viceversa, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali scaturenti dalla domanda originariamente proposta — e, successivamente, il legislatore, prima con l’art. 59 L. 69/2009 e poi con l’art. 11 del Codice, rubricato «Decisione sulle questioni di giurisdizione».Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza del 22-2-2007, n. 4109, una volta ammesso il principio della translatio sia nel caso di ricorso ordinario ex art. 360, n. 1, c.p.c. nonché nel caso di regolamento preventivo di giurisdizione proponibile innanzi al giudice ordinario, ovvero innanzi al giudice amministrativo, contabile o tributario, ne hanno ammesso l’operatività anche in presenza di una semplice sentenza del giudice di merito declinatoria della giurisdizione. Anche i giudici della Consulta hanno manifestato il proprio favor nei confronti della trasmigrabilità del processo erroneamente instaurato presso un giudice sfornito di giurisdizione verso altro giudice in grado di pronunciarsi sulla controversia, ma, a differenza della Cassazione, hanno incentrato essenzialmente la problematica sulla salvezza degli effetti sostanziali e processuali della originaria domanda, essendo questo l’oggetto dell’ordinanza di rimessione.Con la sentenza n. 77 del 12-3-2007, infatti, i giudici della Corte costituzionale, partendo dal presupposto della unitarietà della funzione giurisdizionale, a prescindere dalla situazione sogget-tiva fatta valere, hanno affermato la necessità di eliminare dall’ordinamento il principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l’esigenza di instaurare ex novo il giudizio, senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio. In tale ottica è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della L.

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Capitolo 480

1034/1971, nella parte in cui non prevedeva la conservazione degli effetti della domanda nel pro-cesso proseguito, a seguito di declinatoria di giurisdizione, davanti al giudice munito della stessa.

Pertanto, con le sentenze nn. 77 e 4109 del 2007, i giudici hanno affermato l’operatività della cd. translatio iudicii non solo all’interno del medesimo ordine giurisdizionale, ma anche nel rapporto tra diversi ordini giurisdizionali, ogniqualvolta vi sia una pro-nuncia concernente la giurisdizione.In tale contesto (giurisprudenziale) si inserisce il successivo intervento del legislatore, operato, dapprima, con l’art. 59 L. 69/2009 e, poi, con l’art. 11 del Codice del processo amministrativo, che ha recepito e completato la precedente disciplina.Innanzitutto, il comma 1 della norma codicistica, riprendendo il principio generale anteriormente sancito, stabilisce, che il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione deve indicare, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito.In forza del comma 2 del suddetto articolo, laddove la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice o viceversa, la domanda giudizia-ria, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, conserva i suoi effetti sostanziali e processuali «se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato».Quando il giudizio, poi, è tempestivamente riproposto innanzi al giudice amministrativo, questi può sollevare il conflitto di giurisdizione, anche d’ufficio, alla prima udienza.Il comma 4 dell’art. 11 prende in considerazione l’ipotesi in cui in una controversia in-trodotta davanti ad un altro giudice, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscano quest’ultima al giudice amministrativo. Anche in tal caso, «ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite».Può accadere, inoltre, che l’errata individuazione del giudice adito si accompagni all’errata individuazione della situazione giuridica tutelata e, quindi, sui termini per esercitare l’azione. In tal caso, il comma 5 dell’articolo in esame prevede la possibilità, per il giudice, nel giudizio riproposto, di concedere la rimessione in termini per errore scusabile rispetto alle preclusioni e alle decadenze intervenute.Relativamente alle misure cautelari, queste perdono efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti, però, possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione (comma 7).Infine, se il giudizio viene riproposto innanzi al giudice amministrativo, le prove raccolte innanzi al giudice sprovvisto di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.

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4. Il riparto della giurisdizione nelle controversie di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo

A) Ilproblemadellagiurisdizionesulrisarcimento:unaricostruzionestorica

La questione della risarcibilità del danno connesso alla lesione di un interesse legittimo è stata a lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza a causa di un vuoto legislativo sull’argomento.Numerose erano le preclusioni, di ordine sostanziale e processuale, che impedivano un simile riconoscimento.Da un punto di vista di carattere sostanziale, infatti, veniva in rilievo la tradizionale interpretazio-ne dell’art. 2043 c.c. orientata nel senso che soltanto la lesione di un diritto soggettivo perfetto configurasse la fattispecie di danno ingiusto; in una prospettiva processualistica, invece, la pre-clusione derivava dalla struttura bifasica del sistema di giustizia amministrativa che, da una parte, concedeva al giudice amministrativo solo il potere di annullare l’atto lesivo dell’interesse legittimo, ma gli vietava di pronunciare una sentenza di condanna al risarcimento dei danni (in tal senso la vecchia formulazione dell’art. 7 L. 1034/1971), e, dall’altra parte, attribuiva al giudice ordinario il potere di emettere sentenze di condanna al risarcimento dei danni, ma gli precludeva la possibilità di giudicare degli interessi legittimi.Le motivazioni poste a sostegno dell’irrisarcibilità dei danni cagionati ad interessi legittimi sono state nel tempo confutate ed hanno condotto ad un ripensamento, prima sul piano giurisprudenziale e poi su quello legislativo, dell’originario assunto.La dottrina, infatti, aveva iniziato a criticare la restrittiva lettura dell’art. 2043 c.c. ed a denunciare come iniqua la sostanziale immunità della pubblica amministrazione che avesse esercitato ille-gittimamente le proprie funzioni provocando danni alla sfera patrimoniale dei soggetti privati. A ciò si aggiungeva l’estraneità al diritto europeo della distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, per cui quando l’ordinamento dell’Unione prevede una tutela risarcitoria per le situazioni giuridiche soggettive, una tutela risarcitoria altrettanto piena ed adeguata deve essere garantita anche da parte degli Stati membri, senza che questi interpongano ostacoli basati su una diversa qualificazione delle medesime situazioni giuridiche.Solo a seguito della storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 500/1999 (sulla quale v. retro Cap. 2, §3) si è aperta la strada all’ammissibilità di un’azione risarcitoria del danno da lesione di interessi legittimi (o danno da provvedimento). Ed infatti, secondo la Corte, tale lesione, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto, ma) giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. (re-sponsabilità aquiliana) ai fini della qualificazione del danno come ingiusto.Sulla scorta della detta decisione, il legislatore, con la L. 205/2000, ha modificato l’art. 7 L. 1034/1971 ed ha riconosciuto che il T.A.R., «nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali». Tale previsione è stata poi giudicata legittima dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 204/2004: secondo i giudici della Consulta il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova «materia» attri-buita alla giurisdizione del G.A., bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

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Capitolo 482

B) Gliorientamentigiurisprudenzialisullapregiudizialeamministrativa

Riconosciuta, quindi, anche legislativamente (art. 7 L. 1034/1971), la possibilità di adire il G.A. per ottenere il risarcimento del danno, rimaneva aperta la questione sulla necessità (o meno) di impugnare e di ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo lesivo, prima di poter conseguire il risarcimento del danno derivante dall’atto impugnato (cd. pregiudiziale amministrativa).Su tale questione posizioni contrapposte erano state assunte dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato.In particolare, la posizione assunta dalla Corte di Cassazione (tra le tante: Cass., SS.UU., ord. 13-6-2006, n. 13659; idem, 16-11-2007, n. 23741; idem, 23-12-2008, n. 30254; idem, ord. 6-3-2009, n. 5464), per cui poteva essere proposta al G.A. autonoma domanda risarcitoria senza la necessaria preventiva impugnazione del provvedimento lesivo, trovava un proprio fondamento legittimante in esigenze di tutela dei cittadini nei confronti della P.A., che in tal modo avrebbero goduto di una tutela più ampia, e nella inesistenza di una norma che assoggettasse, esplicita-mente, la domanda di risarcimento del danno ad un termine di decadenza. Conseguenze di tale orientamento erano la sussistenza della giurisdizione del G.A. per le domande risarcitorie da attività provvedimentale illegittima (Cass., SS.UU., 16-11-2007, n. 23741) e l’applicazione del termine prescrizionale di cinque anni (come per il processo civile), decorrente dalla data dell’illecito (Cass., SS.UU., 8-4-2008, n. 9040).Per converso, l’orientamento dei giudici amministrativi era nel senso della necessità del previo annullamento del provvedimento amministrativo, al fine di poter esperire, nei confronti della P.A., una valida azione di risarcimento del danno. Specificamente, si riteneva che l’azione risarcitoria avrebbe potuto essere proposta sia unitamente a quella di annullamento che in via autonoma, ma, in tale ultima ipotesi, essa sarebbe stata ammissibile solo a condizione che fosse stato impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che si fosse coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento. La posizione assunta dai giudici amministrativi era fondata su due ordini di motivi: il rischio di elusione del termine di decadenza di 60 giorni, qualora si consentisse ad un soggetto di far valere l’illegittimità di un provvedimento amministrativo (non contestata nei termini) ai fini del risarcimento nei termini di prescrizione; la mancata attribuzione al G.A. del potere di disappli-cazione, per cui il giudice amministrativo può solo conoscere del provvedimento in via principale ai fini del relativo annullamento (C.d.S., sez. VI, 3-2-2009, n. 587; già in precedenza: C.d.S., Ad. Plen., 22-10-2007, n. 12 e C.d.S., Ad. Plen., 26-3-2003, n. 4).

C) Ladisciplinadell’azionerisarcitoriaelapregiudizialeamministrativanelCodicedelprocesso

Il legislatore del 2010, risolvendo la querelle giurisprudenziale, ha dedicato alcuni commi dell’art. 30 del Codice del processo amministrativo all’azione risarcitoria innanzi al G.A.L’azione di risarcimento è consentita per riparare un danno ingiusto derivante dall’il-legittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. In ipotesi di giurisdizione di legittimità, quindi in tema di interessi legittimi, il riconoscimento dell’esperibilità di tale azione comporta che «il giudice amministrativo diventa il tutore a pieno titolo degli interessi legittimi» (BARTOLINI); nel caso di giurisdizione esclusiva, invece, il G.A. risarcisce anche il danno da lesione

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di diritti soggettivi. Con l’ulteriore precisazione che di ogni domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi, conosce in via esclusiva il giudice amministrativo. Sulla questione è, quindi, esclusa ogni possibile ingerenza del giudice ordinario.Con l’art. 30 c.p.a. viene, poi, definitivamente superata la questione della pregiu-diziale amministrativa (di cui si è detto alla lett. B), prevedendo la possibilità che l’azione di condanna, e, quindi, di risarcimento, possa essere esercitata anche auto-nomamente (nei casi di giurisdizione esclusiva e nelle ipotesi disciplinate dallo stesso art. 30). Il legislatore ha, dunque, sposato l’orientamento dell’autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, espresso dalle Sezioni Unite della Cassa-zione con sentenza n. 30254/2008. In conseguenza di tale principio, risulta così rimessa al soggetto leso la decisione sulla via giurisdizionale più consona alle sue esigenze.D’altra parte, già all’art. 7 del Codice, il legislatore, nel definire l’oggetto della giurisdizione del G.A., ha previsto che: la giurisdizione generale di legittimità investe le controversie relative ad «atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al ri-sarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma»; nelle materie di giurisdizione esclusiva, invece, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia que-stione di diritti soggettivi.

Ammessa, dunque, la possibilità di un’azione risarcitoria autonoma, il successivo comma 3 dell’art. 30 in questione introduce «un potente strumento di dissuasione ri-spetto all’opzione meramente risarcitoria» (FREGNI), che finisce per svuotare di ogni significato il potere di scelta del soggetto leso dall’azione amministrativa. La possibilità di un’azione risarcitoria autonoma è, infatti, ridimensionata dall’ampia discrezionalità riconosciuta al G.A. in ordine alla determinazione del risarcimento: questi, infatti, a tal fine valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e può arrivare addirittura ad escludere il risarcimento per quei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza «anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti» (quindi, anche l’annullamento dell’atto).Un’altra previsione che sicuramente costituisce un deterrente all’esercizio dell’azione autonoma di risarcimento è quella relativa al breve termine di decadenza (120 giorni) alla quale è subordinata (art. 30, comma 3).Per maggiori approfondimenti sull’azione di condanna si rinvia a quanto si dirà al §8 del Cap. 6.

5. Risarcimento, pregiudiziale e Codice del processo: l’Adunanza plenaria n. 3/2011

La questione della pregiudiziale amministrativa è stata decisa dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 23-3-2011, n. 3. Punto di partenza della complessa (ed esaustiva)

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Capitolo 484

parabola interpretativa della sentenza è la considerazione dell’assoluta autonomia della tutela risarcitoria da quella annullatoria.L’Adunanza plenaria parte dall’assunto secondo cui l’interesse legittimo non rileva esclusivamente come situazione meramente processuale, bensì si rivela posizione as-solutamente sostanziale, per cui «In questo quadro normativo, sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, risulta coerente che la domanda risarcitoria, ove si limiti alla richiesta di ristoro patrimoniale senza mirare alla cancellazione degli effetti prodotti del provvedimento, sia proponibile in via autonoma rispetto all’azione impugnatoria e non si atteggi più a semplice corollario di detto ultimo rimedio secondo una logica gerarchica che il codice del processo ha con chiarezza superato».Fatta questa premessa, il Supremo Consesso amministrativo sottolinea come il le-gislatore abbia optato per una soluzione intermedia tra la tesi della pregiudizialità pura di stampo processuale e quella della totale autonomia dei due rimedi. Ed infatti, si legge che: «non considerando l’omessa impugnazione quale sbarramento di rito, aprioristico ed astratto, valuta detta condotta come fatto concreto da apprezzare, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, per escludere il risarcimento dei danni evitabili per effetto del ricorso per l’annullamento, in unione con altri rimedi similmente e potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali i ricorsi amministrativi e l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati all’autotutela amministrativa (cd. invito all’autotutela). E tanto sulla scorta di una soluzione che conduce al rigetto, e non alla declaratoria di inammissibilità, della domanda avente ad oggetto danni che l’impu-gnazione, se proposta nel termine di decadenza, avrebbe consentito di scongiurare».Di assoluta rilevanza è l’interpretazione fornita in ordine ai rapporti tra condotta in concreto esigibile, obbligo di cooperazione e danno risarcibile, che conduce a con-siderare la domanda risarcitoria autonoma proponibile, ma infondata nel merito, relativamente ai danni che sarebbe stato possibile evitare con la tempestiva impu-gnazione; un coordinamento, dunque, non processuale ma sostanziale, tra il rimedio caducatorio e quello risarcitorio.L’analisi parte dall’art. 1227 c.c., disposizione non richiamata esplicitamente dall’art. 30, comma 3, del Codice, ma presente nella logica di fondo di quest’ultimo, che mira a circoscrivere il danno derivante dall’inadempimento entro i limiti che rappresentano una diretta conseguenza dell’altrui colpa. In sostanza il giudice amministrativo ritiene che «il divieto di tenere condotte contrarie a buona fede, che ha un ancoraggio costituzionale nel dettato dell’art. 2 Cost.» (principio di solida-rietà), «costituisce canone di valutazione anche delle condotte processuali ed opera anche nella fase patologica del rapporto obbligatorio». Bisogna, quindi, dare la preferenza a «un più duttile criterio interpretativo che, in coerenza con le clausole generali in materia di correttezza, buona fede e solidarietà di cui la norma in esame è espressione, consenta la valutazione della condotta complessiva, anche processuale, del creditore, con riguardo alle specificità del caso concreto».

In particolare, deve essere considerata condotta esigibile l’esperimento del ricorso per annullamento finalizzato alla rimozione della fonte del danno (il provvedimento), quale rimedio coniato dal legislatore al fine della tutela delle posizioni incise e della prevenzione del danno possibile. Ne deriva che quando si appuri che una tempestiva

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impugnazione avrebbe consentito di evitare o mitigare il danno, la scelta di non avvalersi della tutela nel complesso più semplice e meno aleatoria integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile.A evitare il rischio di una riproduzione della pregiudiziale di annullamento, la sentenza specifica che «a diversa conclusione si deve invece pervenire laddove la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto l’interesse all’annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione».Il massimo organo della giustizia amministrativa affronta anche il nodo dei profili pro-batori della buona fede, ponendo in luce la necessità di adattare l’applicazione della regola iuris sottesa all’art. 1227 c.c. alle peculiarità del processo amministrativo (A.M. SANDULLI): «si deve ritenere che […]sulla base di principi già desumibili dal quadro normativo precedente ed oggi recepiti dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, il Giudice amministrativo sia chiamato a valutare, senza necessità di eccezione di parte ed acquisendo anche d’ufficio gli elementi di prova all’uopo neces-sari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento e dell’utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente, evitato in tutto o in parte il danno. Un rilievo significativo è destinato ad assumere l’utilizzo del mezzo di prova delle presunzioni ex artt. 2727 e seguenti del codice civile, che consente di valutare se l’apprezzamento dell’illegittimità dell’atto operato in sede risarcitoria avrebbe portato anche all’annullamento dello stesso — dato, questo, in linea generale presumibile, vista l’identità dell’oggetto delle valutazioni — in modo da impedire, alla luce anche delle misure provvisorie adottabili in corso di giudizio o ante causam, di mitigare o ridurre il danno».

Giurisprudenza

I giudici amministrativi, con recenti decisioni, hanno fatto il punto sull’azione risarcitoria nel giudizio amministrativo, specificando che “Gli attuali insegnamenti giurisprudenziali (cfr.: Cons. St., A.P. n. 3/2011), in uno con la introduzione della conseguente disciplina normativa di cui al D.lvo 2 luglio 2010, n. 104, hanno ricomposto il contrasto anche con riferimento alle questioni sorte anche in epoca anteriore alla introduzione dell’attuale assetto normativo, atteso che la riferita soluzione giuridica rappresenta una mera ricognizione di principi ricavabili anche nel previgente sistema ordinamentale. In altre parole, ammessa l’autonomia dell’azione risarci-toria, questa, però, non può essere svincolata dallo scrutinio del comportamento assunto dal ricorrente nei termini di cui all’art. 1227 c.c. in grado, sulla base del condiviso canone “più probabilmente che non”, di vanificare, sino ad escludere, le conseguenze dannose del provvedimento non censurato dal ricorrente.Sul punto è intervenuto il recente insegnamento della Plenaria che ha riconosciuto il carattere ricognitivo dell’art. 30 cpa, così che il riferito rimedio era già ricavabile dal quadro normativo

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Capitolo 486

previgente, proprio perché non sono oggetto di risarcimento tutti quei danni evitabili at-traverso l’adozione di tutti gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.In altri termini, al danneggiato incombono, non solo oneri negativi (non aggravare il danno), ma anche positivi (evitare o ridurre il danno) nei limiti rappresentati dall’apprezzabile sacrificio.Al riguardo la Plenaria ha ritenuto, modificando un tramandato insegnamento, che anche l’azione giudiziaria e, nel caso di specie, la domanda di annullamento dell’atto costituisca comportamento esigibile in capo al destinatario del provvedimento lesivo, se tale misura era astrattamente idonea, in termini probabilistici, ad evitare totalmente, ovvero in parte, il danno (Cons. St., A.P. 23 marzo 2011, n. 3)”. (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 4-11-2014, n. 11082).Ed ancora, è stato precisato che «deve inoltre essere considerato che l’Adunanza Plenaria ha chiarito che la disposizione — art. 30, c. 3 c.p.a. — pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l’omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile. Operando una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di principio di auto-responsabilità, il codice del processo amministrativo sancisce la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omis-siva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa (secondo il criterio del “più probabilmente che non”: Cass., sezioni unite,11 gennaio 2008, n. 577; sez. III, 12 marzo 2010, n. 6045), recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi, (Consiglio di Stato, A.P., 23 marzo 2011, n. 3; ripresa anche di recente da TAR Puglia, Lecce sezione II, 16 marzo 2016, n. 489)» (T.A.R. Lazio, Roma, sez. IIIquater, 21-12-2016, n. 12706).

RIPARTo DELLA GIuRISDIzIonE TRAGIuDICE oRDInARIo E GIuDICE AMMInISTRATIVo

Sistema della doppia giurisdizione

XXXX

XX Giudiceordinario XZ dirittisoggettivi – carenzadipotere

XX Giudiceamministrativo XZ interessilegittimi – cattivousodelpotere

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Questionario1. Che tipo di rapporto può sussistere tra la giurisdizione amministrativa e la giuri-

sdizione ordinaria? (par. 1)

2. Quali sono le teorie elaborate dalla dottrina e poste a fondamento della ripartizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario? (par. 1)

3. Quando si parla di carenza di potere? (par. 1)

4. Cosa si intende per translatio iudicii? (par. 3)

5. Cosa si intende per pregiudizialità amministrativa? (par. 4)

6. È esperibile dinanzi al G.A. l’azione autonoma di risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo? (par. 4)

7. Nel giudizio amministrativo si può esperire il regolamento preventivo di giuri-sdizione? (par. 2)

8. Nei giudizi di impugnazione il G.A. può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdi-zione? (par. 2)