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G. V. Pallottino Maggio 2011 Appunti di Elettronica Parte I pag. Università di Roma Sapienza - Dipartimento di Fisica 1 PARTE I SEGNALI E SISTEMI 1. Alcuni esempi introduttivi Gli schemi illustrati nella figura rappresentano quattro tipici sistemi elettronici, che discuteremo brevemente allo scopo di fornire una introduzione esemplificativa ai sistemi, ai segnali e ai problemi di interesse nel campo dell'elettronica. Il primo esempio riguarda un sistema di acquisizione. Il trasduttore 1 T fornisce il segnale 1 Per trasduttore s'intende un dispositivo che trasferisce un segnale da una grandezza fisica di supporto a un'altra, di natura differente; per esempio da una grandezza non elettrica a una elettrica e in tal caso chiamato anche sensore.

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G. V. Pallottino – Maggio 2011 Appunti di Elettronica – Parte I pag. Università di Roma Sapienza - Dipartimento di Fisica

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PARTE I

SEGNALI E SISTEMI

1. Alcuni esempi introduttivi

Gli schemi illustrati nella figura rappresentano quattro tipici sistemi elettronici, che

discuteremo brevemente allo scopo di fornire una introduzione esemplificativa ai sistemi, ai segnali

e ai problemi di interesse nel campo dell'elettronica.

Il primo esempio riguarda un sistema di acquisizione. Il trasduttore1 T fornisce il segnale

1 Per trasduttore s'intende un dispositivo che trasferisce un segnale da una grandezza fisica di supporto a un'altra, di

natura differente; per esempio da una grandezza non elettrica a una elettrica e in tal caso chiamato anche sensore.

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x(t), che contiene sia l'informazione relativa all'andamento temporale della grandezza non elettrica

misurata sia un disturbo (rumore additivo). Si tratta di un segnale a basso livello, che l'amplificatore

A amplifica riproducendolo fedelmente e che il filtro F provvede a filtrare per migliorare il rapporto

segnale/rumore. Il convertitore A/D (analogico/digitale) trasforma infine il segnale analogico in

forma digitale permettendone l’acquisizione da parte di un calcolatore.

Il secondo esempio riguarda un sistema di trasmissione di dati. Qui il segnale x(t) ha natura

binaria, cioè consiste di una sequenza di impulsi a due livelli, che vengono trasmessi a distanza

attraverso un canale (per esempio una linea telefonica). All'uscita dal canale, il segnale y(t) è

deformato, rispetto a quello d'ingresso, sia dal rumore che dall'effetto della risposta del canale.

L'equalizzatore E (un particolare tipo di filtro) provvede a compensare gli effetti della risposta del

canale e a ridurre il rumore. Il rigeneratore RI (un discriminatore di segno) ritrasforma infine il

segnale nella forma iniziale di impulsi a due livelli.

Il terzo esempio riguarda il sistema di controllo del processo P (che consiste, per esempio,

nell'azionamento di un asse da parte di un motore). Qui si utilizza il principio della reazione

negativa in modo che l'uscita del processo (la posizione angolare dell'asse) segua fedelmente il

riferimento x(t), in particolare nel caso in cui questo subisca una variazione a gradino. A questo

provvedono il blocco di reazione H e il blocco di compensazione W, generando il segnale di

comando m(t).

L'ultimo esempio riguarda un sistema di alimentazione in continua. La corrente alternata

della rete viene prima rettificata dal raddrizzatore RA, poi filtrata e infine applicata al regolatore RE

che ne stabilizza il valore della tensione. Quest'ultimo dispositivo funziona in base al principio della

reazione negativa, cioè in modo simile a quello del sistema di controllo, ma utilizzando un

riferimento interno costante per produrre un'uscita costante.

Qui richiamiamo l'attenzione sulla natura dei segnali in gioco e soprattutto sulle funzioni di

elaborazione dei segnali che i vari blocchi sono chiamati a compiere (amplificare fedelmente un

segnale, trasmettere solo certe frequenze e non altre, rettificare un'onda sinusoidale, ecc.) negli

esempi precedenti.

Accenniamo ora brevemente al progetto dei sistemi elettronici. Il progetto di un sistema, in

generale, ha inizio attraverso la stesura delle specifiche, che ne stabiliscono le prestazioni essenziali

in relazioni agli obiettivi prefissati (un sistema di alimentazione, per esempio, deve fornire corrente

al carico collegato all'uscita mantenendo costante la tensione d'uscita entro limiti prefissati e con un

residuo di alternata inferiore a un valore prefissato, per variazioni date della tensione alternata

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d'ingresso, del carico e della temperatura).

Sulla base delle specifiche, che riguardano generalmente anche l'affidabilità (cioè la

probabilità che il sistema funzioni correttamente su un tempo prefissato in condizioni ambientali

prefissate Appendice C) e la spesa ammissibile, viene scelta la struttura generale del sistema,

tenendo conto delle tecnologie disponibili anche in relazione ai costi e al numero di apparati che si

intendono realizzare.

Si procede quindi al progetto di massima delle varie parti del sistema e poi al progetto

dettagliato dei circuiti che le costituiscono, sempre tenendo conto della componentistica disponibile

e dei costi relativi. In questa fase ci si avvale a volte di procedimenti basati su criteri di sintesi, ma

più spesso si procede invece per tentativi, cioè analizzando le prestazioni ottenibili con una data

struttura per verificare se sono accettabili, altrimenti esaminando altre soluzioni.

Notiamo, per concludere, che nella progettazione giocano tre fattori essenziali: la

conoscenza delle tecnologie realizzative disponibili, la conoscenza delle metodologie di progetto, in

particolare di analisi e di calcolo, e l'esperienza.

I SEGNALI

Come mostrano gli esempi fatti prima, la funzione essenziale dei sistemi, in elettronica, è

quella di elaborare segnali, intesi come grandezze fisiche variabili nel tempo che costituiscono

generalmente il supporto di informazioni. In quanto segue esamineremo prima alcune caratteristiche

generali dei segnali e poi alcune famiglie di segnali che si usano più di frequente.

2. Segnali analogici e digitali

Una distinzione fondamentale fra i segnali è quella che li suddivide in analogici e digitali. I

primi possono assumere qualsiasi valore in un intervallo prefissato, chiamato "gamma dinamica"

(per esempio è un segnale analogico una tensione variabile fra -15 e +15 volt). I segnali analogici

sono dunque grandezze reali. I segnali digitali (o numerici), invece, possono assumere solo valori

discreti appartenenti a un insieme finito; spesso si tratta di grandezze a due valori, cioè binarie.

La teoria dell'informazione stabilisce che l'informazione associata a un campione di un

segnale, misurata in bit, è data dal logaritmo in base due del numero dei diversi valori possibili che

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il segnale stesso può assumere (se sono tutti equiprobabili). L'informazione, a un dato istante,

relativa a un segnale digitale binario è dunque 1 bit (3,322 bit nel caso di un segnale digitale

decimale). L'informazione associata a un segnale analogico non è invece infinita, come potrebbe

sembrare. Il fatto è che gli infiniti valori che un segnale analogico può assumere non sono, in realtà,

tutti distinguibili fra loro a causa dei disturbi che sono sempre presenti in un sistema fisico reale (fra

cui, inevitabile, il rumore di fondo, che discende da proprietà fondamentali della materia, come

l'agitazione termica e la quantizzazione della carica elettrica Parte IX). Si conclude pertanto che

l'informazione associata a un segnale analogico, a un dato istante, è log2 N, dove N è il numero di

livelli effettivamente distinguibili, esprimibile come V/V, dove V è la gamma dinamica e V è

la fascia d'incertezza dovuta al rumore.

3. Segnali a tempo continuo e a tempo discreto

Un'altra distinzione fondamentale riguarda gli istanti di tempo a cui i segnali sono definiti. I

segnali a tempo continuo sono rappresentati da funzioni il cui dominio è costituito da tutti gli istanti

contenuti in un intervallo di tempo (o su tutto l'asse dei tempi): qui il tempo è una grandezza reale.

Il dominio dei segnali a tempo discreto è invece costituito da un insieme discreto di istanti, che nella

maggior parte dei casi sono fra loro equispaziati di un intervallo Tc detto passo di campionamento.

La tabella seguente raccoglie le denominazioni usate per designare i segnali in relazione alle due

suddivisioni che abbiamo considerato.

tempo reale discreto

ampiezza

reale segnali analogici (a tempo continuo) segnali campionati

discreta (non usati) segnali digitali

Per chiarire quanto è stato esposto, facciamo un esempio considerando il sistema mostrato

nella figura a pagina seguente, che provvede alla conversione di un segnale dalla forma analogica a

quella digitale (convertitore A/D).

Nel campionatore CA il segnale analogico d'ingresso x(t) viene campionato periodicamente,

cioè quantizzato secondo l'asse dei tempi agli istanti definiti dagli impulsi forniti dall'orologio O

con periodo Tc (il campionatore può essere immaginato, per semplicità, come un moltiplicatore che

fornisce in uscita il prodotto fra il segnale x(t) e gli impulsi di campionamento, intesi di durata

brevissima e di area unitaria). Si ottiene così il segnale campionato y(kTc), costituito da una

sequenza di impulsi (di ampiezza reale) agli istanti discreti di tempo kTc. Questo viene applicato al

quantizzatore Q, che produce in uscita il segnale discretizzato z(kTc) associando ad ogni

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determinato intervallo di valori di y il corrispondente valore di z (per esempio, z è uguale alla parte

intera di y). Il segnale z(kTc) viene poi rappresentato mediante un codice opportuno, usando più

sequenze di impulsi binari zi(kTc) in parallelo, ciascuna delle quali rappresenta un bit della parola di

codice. A quest'ultima operazione provvede il codificatore CO.

E' importante notare che l'operazione di quantizzazione di ampiezza non è reversibile (non

esiste, cioè, una corrispondente operazione inversa che permetta di ricostruire il segnale di

partenza); essa conduce pertanto a perdita d'informazione. L'operazione di quantizzazione

temporale, cioè il campionamento, può, invece, essere resa reversibile scegliendo il passo di

campionamento opportunamente piccolo rispetto alla velocità di variazione del segnale. Il teorema

del campionamento stabilisce, più precisamente, che un segnale x(t) a banda limitata, cioè il cui

contenuto spettrale svanisce al di sopra di una data frequenza fM, può essere ricostruito esattamente

quando si conoscano i suoi campioni, se questi sono equispaziati con passo:

(1) Tc 1/2fM

cioè se la frequenza di campionamento 1/Tc è maggiore o uguale della frequenza 2fM, detta

frequenza di Nyquist. La formula di ricostruzione è la seguente:

(2) sin( ( ))

( ) ( )( )

M cc

k M c

t kTx t x kT

t kT

Spesso, nella pratica, il segnale viene campionato a una frequenza maggiore di 2fM e diventa

possibile usare formule di ricostruzione approssimata più semplici della (2). Si usano, per esempio,

tecniche di interpolazione, la più semplice delle quali è quella di ordine zero (campionamento e

tenuta, sample and hold): in tal caso il segnale analogico ricostruito ha valore costante, pari a quello

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dell'ultimo campione, durante ciascun intervallo Tc.

Le tensioni, le correnti e tutte le altre grandezze fisiche variabili sono segnali analogici, in quanto funzioni reali

della variabile reale tempo. Notiamo che di solito anche le grandezze che costituiscono il supporto dei segnali digitali

sono, in realtà analogiche anch'esse (per convincersi di questo, basta osservare all'oscilloscopio l'andamento temporale

della forma d'onda di un segnale in un circuito logico). Si parla, però, di segnali campionati se si considera significativo

il valore della grandezza fisica di supporto (che può essere una sequenza di impulsi più o meno stretti) solo a

determinati valori discreti del tempo; si parla poi di segnali digitali solo se, oltre a restringere l'attenzione a determinati

istanti (come prima), si considera significativa solo l’appartenenza del valore della grandezza fisica a determinate

fasce di valori (per esempio, all'uscita di un circuito logico si possono considerare "0" tutti i valori della tensione fra 0 e

0,6 volt, "1" tutti i valori fra 3,2 e 5 volt; il significato di queste due fasce di valori viene poi riconosciuto correttamente

quando il segnale viene applicato all'ingresso di un altro circuito logico appartenente alla stessa "famiglia" del primo).

In quanto segue ci occuperemo degli andamenti temporali dei segnali, in particolare

analogici, considerando le funzioni che si usano più di frequente. Restringeremo così la nostra

attenzione ai soli segnali deterministici, che sono descritti da funzioni matematiche, a differenza dei

segnali casuali (o stocastici o aleatori) che sono invece descrivibili solo in termini delle loro

proprietà statistiche ( Parte IX). I segnali casuali sono infatti associati a fenomeni, come le

fluttuazioni (il rumore), di natura intrinsecamente statistica.

4. Funzioni sinusoidali

La famiglia delle funzioni sinusoidali presenta particolare interesse in elettronica, sia perché

il teorema di Fourier permette di scomporre in funzioni sinusoidali elementari tutte le funzioni

periodiche di interesse pratico (e l'integrale di Fourier compie analoga operazione su un'ampia

classe di funzioni aperiodiche) sia per altri motivi che vedremo. Rappresentiamo le funzioni

sinusoidali, cioè la classe dei seni e dei coseni, nella forma generale:

(3) x(t) = A sin (t + )

dove A rappresenta l'ampiezza (valore di picco); = 2f rappresenta la pulsazione o frequenza

angolare, che si misura in radianti/secondo (rad/s), mentre la frequenza f si misura in hertz (Hz);

rappresenta la fase, che si misura in radianti (o in gradi). Sono dunque sufficienti i valori di tre

parametri reali: A, e , per determinare tutto l'andamento temporale di una sinusoide.

Il valore efficace (root mean square, r.m.s.) della sinusoide (3) è

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(4) 2

0

1( )

2

T

eff

Ax x t dt

T

Le funzioni sinusoidali sono periodiche2 con periodo T = 1/f = 2/. Derivando o

integrando una sinusoide rispetto al tempo, quante volte si vuole, si ottiene ancora una sinusoide

della stessa frequenza. Sommando assieme due sinusoidi, esse mantengono la propria identità, in

particolare le loro frequenze. Il prodotto di due sinusoidi conduce invece a una somma di sinusoidi

con frequenze diverse da quelle di partenza.

Più in generale, si dimostra facilmente che eseguendo operazioni lineari (algebriche o

differenziali) su una combinazione lineare di sinusoidi di frequenze qualsiasi, si ottiene ancora una

combinazione lineare di sinusoidi delle stesse frequenze; eseguendo invece operazioni nonlineari si

ottengono anche sinusoidi a frequenze diverse di quelle di partenza, in particolare alle cosiddette

frequenze di combinazione:

(5) fnmp... = nf1 mf2 pf3 ..... con n, m, p, ... interi

dove fi sono le frequenze delle sinusoidi che interagiscono.

Esercizio. Determinare il contenuto in sinusoidi elementari del segnale x(t) = (cos1t + cos2t)3.

Quelle considerate sinora sono funzioni sinusoidali armoniche pure, che si estendono

sull'asse dei tempi da - a +. Oltre ad esse si considerano spesso sinusoidi che si estendono solo

sulla parte positiva dell'asse dei tempi e anche "pacchetti d'onda", cioè sinusoidi che assumono

valori diversi da zero solo in un determinato intervallo; queste ultime costituiscono un esempio di

segnale transitorio, cioè dotato di supporto temporale limitato.

Mediante l'integrale di Fourier si rileva che il contenuto spettrale di un pacchetto d'onda di

frequenza f non è una riga alla frequenza f (come nel caso armonico), ma costituisce uno spettro

continuo, tanto più esteso attorno a f quanto più breve è la durata del pacchetto.

2 Non sono periodiche, in generale, le funzioni sinusoidali a tempo discreto del tipo x(kTc)=sin(ωkTc+f), mentre è

sempre periodico il loro inviluppo.

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5. Funzioni periodiche

Fra le funzioni periodiche più usate in pratica consideriamo le onde quadre e le onde

triangolari. L'onda quadra simmetrica unitaria si può rappresentare nella forma

(6) x(t) = sgn(sin(t + ))

dove si è usata la funzione segno, che rappresenta appunto il segno del suo argomento (sgn(x)=1 se

x>0, sgn(x)=-1 se x<0). Le onde quadre presentano in ciascun periodo soltanto due discontinuità, in

corrispondenza alle transizioni di livello, sicché sono sviluppabili in serie di Fourier.

Sviluppando l'onda quadra mostrata nella figura a pagina seguente, cioè A sgn(cos t), si

ottiene:

(7) cos 3 cos 54

cos ...3 5

t tAx t t

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Queste onde, oltre alla fondamentale, contengono dunque solo le armoniche dispari, pesate

secondo l'inverso dell'ordine armonico.

Sviluppando in serie l'onda triangolare mostrata nella figura si ottiene:

(8)

2

cos 3 cos 58cos ...

9 25

t tAx t t

Le onde triangolari hanno dunque lo stesso contenuto spettrale delle onde quadre, ma pesato

diversamente, cioè secondo l'inverso del quadrato dell'ordine armonico. Questo risultato è in

accordo col fatto che un'onda triangolare costituisce l'integrale nel tempo dell'onda quadra della

stessa frequenza.

La definizione di valore efficace (4) può essere applicata alle onde quadre (xeff = A), alle

onde triangolari (xeff = A/3) e a qualsiasi altro segnale periodico.

Spesso il valore efficace di un segnale periodico si determina integrando e mediando il

quadrato del segnale su un intervallo più lungo del periodo. Il risultato di questa operazione è esatto

(cioè coincide con quello dato dalla (4)) solo se la durata dell'intervallo d'integrazione è un multiplo

del periodo; altrimenti si commette un errore che, in generale, si riduce al crescere del rapporto fra

la durata dell'intervallo e il periodo del segnale. Quanto si è detto conduce alla seguente definizione

alternativa di valore efficace:

(9) 2lim 1

( )2

o

o

T

effT

o o

x x t dtT T

dove 2To è il tempo di osservazione su cui si esegue l'integrazione, che però vale solo per segnali a

media nulla. Operando su tempo finito si ottiene una stima di xeff, la cui precisione dipende dalla

durata del tempo di osservazione.

Un vantaggio importantissimo della definizione (9) è che essa può essere applicata anche a

segnali non periodici, per esempio a segnali casuali, purché stazionari, cioè con proprietà statistiche

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indipendenti dal tempo.

Per ottenere la deviazione standard occorre invece sottrarre dal segnale x(t) il valor medio

xmedio, utilizzando la definizione:

(9a) 2lim 1

( ( ) )2

o

o

T

x medioT

o o

x t x dtT T

Ricordiamo infine che si definisce anche il fattore di picco (o di cresta), dato dal rapporto

fra l'ampiezza massima (valore di picco) e la deviazione standard (valore efficace per segnali a

media nulla). Questa grandezza è importante ai fini del dimensionamento della gamma dinamica al

fine di evitare che i segnali subiscano distorsione.

6. La famiglia delle funzioni impulsive

Un'altra importante famiglia di funzioni è costituita dalla funzione impulsiva, o delta di

Dirac, e dai suoi integrali successivi. Notiamo che non si tratta di funzioni ordinarie, ma di

"funzioni generalizzate", che si introducono nell'ambito della teoria delle distribuzioni3.

La funzione impulsiva unitaria, indicata con (t), è una funzione di area unitaria che assume

valore nullo ovunque eccetto l'origine e gode della proprietà integrale:

(10) 1t dt

con (t) = 0 per qualsiasi t 0

Si noti che tale funzione ha dimensioni fisiche pari all'inverso di quelle della variabile

d'integrazione (cioè hertz, nel caso della (10)). Con la notazione A(t-t0) si indica una delta di area

(o, come si dice abitualmente, di intensità) A al tempo t0. Le

funzioni impulsive si rappresentano graficamente con una

freccia verticale al tempo di occorrenza, di lunghezza

proporzionale all'intensità.

La funzione delta è pari: infatti (t-to) = (to-t). Essa gode inoltre della seguente proprietà,

detta di "campionamento":

(11) o ox t t t dt x t

3 Per ulteriori approfondimenti rimandiamo al corso di Metodi matematici.

A

to t

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La funzione impulsiva unitaria (t) può essere introdotta intuitivamente

come il limite di una sequenza di impulsi rettangolari la cui durata venga fatta

tendere a zero e la cui ampiezza, contemporaneamente, venga fatta tendere

all'infinito, col vincolo che l'area si mantenga unitaria.

L'impulso rettangolare a) è la derivata temporale del segnale b). Quando tende a zero, i due

segnali tendono, rispettivamente, all'impulso unitario e al gradino unitario.

Una definizione più rigorosa della funzione delta di Dirac è quella in termini di una

opportuna sequenza "regolare" di funzioni "buone"4 fn(t), tale cioè che il limite

lim

nn

f t x t dt

esiste e vale precisamente x(0). E' da questa proprietà che derivano la (10) e

la (11). Due esempi di sequenze siffatte, costituite dunque da funzioni ordinarie (in particolare prive

di discontinuità), sono i seguenti:

fn(t) = (n/1/2

exp(-nt2) ; gn(t) = sin(nt)/t

Nessuna grandezza fisica, in realtà, può

assumere valore infinito. E' dunque evidente che la

funzione (t) rappresenta solo un modello per la

rappresentazione di segnali, comunque variabili,

che però hanno durata brevissima e ampiezza

grandissima (come quando si considera il teorema

dell'impulso in meccanica). Questo modello è

estremamente utile ed efficace, non tanto per descrivere il segnale stesso, ma, sopratutto, per

studiare gli effetti che esso determina quando viene applicato a un sistema.

Quando in elettrostatica si parla di "carica puntiforme", in un punto Po, si utilizza implicitamente il concetto di

funzione delta: la carica puntiforme è infatti una delta di densità di carica, nel cui argomento figurano le tre coordinate

spaziali (xo,yo,zo) del punto Po: (x-xo,y-yo,z-zo). Sebbene una densità di carica infinita non abbia senso, il concetto di

carica puntiforme si rivela utilissimo (per esempio per calcolare il potenziale in un punto P diverso da Po). Discorso

analogo vale per la nozione di “massa puntiforme”.

L'integrale della (t) prende il nome di funzione gradino unitario (unit step function) e si

4 Per funzioni “buone” s’intendono quelle che sono derivabili dovunque un numero qualsiasi di volte e che, quando il

loro argomento x tende all’infinito, tendono a zero, assieme a tutte le loro derivate, più rapidamente di |x|-n

per qualsiasi

n.

n=1

n=7

2 0 20

0.5

1

1.51.493

0

f t 1( )

f t 4( )

f t 7( )

2.52.5 t

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indica con la notazione u(t) (oppure 1(t) o -1(t)):

(12) 0 0

1 0

t per tu t d

per t

Si tratta anche qui di una funzione generalizzata, che presenta una discontinuità all'origine,

dove il suo valore non è definito. Un gradino di ampiezza A, con discontinuità al tempo to, si indica

con la notazione Au(t-to).

A u(t-to)

Anche la funzione gradino unitario, come la delta, può essere considerata come il limite di

una sequenza di opportune funzioni.

Mediante successive integrazioni si ottengono altre funzioni usate in elettronica: la rampa

unitaria r(t) = t u(t), la

parabola unitaria p(t) = ½

t² u(t), e così via.

Usando opportune

combinazioni di queste

funzioni si possono

rappresentare molti segnali

di interesse pratico. Per

esempio, un impulso

rettangolare di ampiezza

unitaria nell'intervallo fra t1

e t2, si rappresenta con

x(t) = u(t-t1) - u(t-t2).

Esercizio. Rappresentare in termini di rampe e gradini un impulso trapezoidale di ampiezza A, che ha inizio al tempo t1

e termina al tempo t4, assumendo valore costante A fra t2 e t3.

Alcune delle funzioni che abbiamo appena considerato costituiscono in realtà soltanto dei modelli

dei segnali reali. Infatti, non sono realizzabili nè impulsi di durata nulla e di ampiezza infinita, nè

segnali che impieghino un tempo nullo per portarsi da un livello a un altro (gradini ideali). In

to

t

A

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particolare è ragionevole approssimare con una funzione delta un impulso reale, come quello

mostrato nella figura seguente, soltanto se la sua durata è significativamente inferiore al tempo

caratteristico di risposta del sistema a cui viene applicato per studiarne l'effetto. Perché allora la

risposta alla delta non differisce apprezzabilmente da quella all’impulso reale.

Un impulso che duri 1 microsecondo, per esempio, è bene approssimabile con una delta

quando venga applicato a un amplificatore per audiofrequenze, ma non così se costituisce l'ingresso

a un amplificatore con banda passante più estesa, con tempi caratteristici di risposta nella regione

del µs o ancora più brevi. In quest'ultimo caso, sarà necessario rappresentare con maggior dettaglio

l'andamento temporale dell'impulso per determinare più realisticamente il suo effetto.

Per caratterizzare un impulso reale x(t), che

abbia supporto temporale nell'intervallo t1, t2, si usano

in pratica i seguenti parametri:

l'ampiezza massima xM, l'area

(13) 2

1

t

tA x t dt

la cosiddetta "energia"5.

(14) 2

1

2t

tE x t dt

la durata T, definita come la distanza fra i due istanti dove il segnale assume valore pari alla metà

dell'ampiezza massima, e i due tempi di transizione. Questi sono il tempo di salita (rise time) tr,

definito come la distanza fra i due istanti in cui, nel fronte d'onda iniziale, il segnale assume valore

pari al 10% e al 90% del massimo6, e il tempo di discesa (fall time) tf, definito allo stesso modo del

precedente, ma per il fronte d'onda finale.

Le definizioni dei tempi di transizione date sopra sono dette pratiche o "empiriche" perché

rivolte a facilitare la misura di queste grandezze (per esempio, attraverso l'osservazione

all'oscilloscopio). Vedremo in seguito anche altre definizioni, di natura invece analitica.

5 Le dimensioni fisiche di questa grandezza non sono, in generale, quelli di un’energia. Tuttavia, se il segnale x(t)

rappresenta una corrente elettrica (una tensione), la grandezza E ha lo stesso valore numerico dell’energia dissipata in

un resistore unitario attraversato dalla corrente (ai terminali del quale sia applicata la tensione).

6 Questa particolare convenzione ha lo scopo pratico di facilitare la misura dei tempi di transizione nelle osservazioni

all’oscilloscopio.

| tr | | tf | t

xM

0,9

0,5

0,1

T

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I SISTEMI

7. Sistemi e modelli

Il termine sistema viene usato comunemente con uno spettro molto vasto di significati. Noi

lo useremo per indicare sia i sistemi fisici, naturali o artificiali, costituiti da un aggregato di più

elementi (o anche da un solo elemento), sia i modelli matematici che li rappresentano formalmente.

Il termine sistema può essere anche usato, a un livello ancora più astratto, per indicare una relazione

fra due funzioni del tempo, definita dall'operatore che, applicato alla prima, fornisce la seconda7.

L'aspetto modellistico ha un ruolo essenziale nella trattazione dei sistemi: dei molteplici

aspetti di un dato sistema fisico, un modello permette infatti di evidenziare solo quelli che hanno

rilevanza rispetto a un determinato punto di vista. Ne consegue che, a seconda dei casi, si potranno

considerare per un medesimo sistema modelli anche assai diversi fra loro. Nella modellizzazione

dei sistemi, poi, l'economia ha un ruolo essenziale: non soltanto occorre tener conto al meglio di

tutti gli aspetti che si considerano importanti ai fini che interessano, ma è opportuno limitarsi solo

ad essi. Si cerca sempre, infatti, di arrivare a una rappresentazione che sia, al tempo stesso,

adeguatamente significativa ma anche sufficientemente semplice.

Facciamo un esempio considerando un dispositivo, il resistore, che, solo in apparenza, si presenta come

semplicissimo e di ovvia rappresentazione. Il resistore può essere descritto in termini essenziali mediante la legge di

Ohm, se il punto di vista è puramente elettrico; dal punto di vista termico, d'altra parte, esso costituisce una sorgente di

calore e altri punti di vista ancora possono essere presi come base per la costruzione di altri modelli del resistore (trave

sospesa agli estremi, generatore di rumore, ...). Ciascuno di questi modelli, poi, può venire raffinato per rendere meglio

conto del comportamento del dispositivo: nel caso elettrico potremo tener conto della sua induttanza e capacità

parassita; nel caso termico, della sua capacità termica e della resistenza termica che incontra lo smaltimento verso

l'esterno del calore prodotto per effetto Joule; e così via. Ma a volte può essere necessario anche tenere conto

dell'interazione fra diversi punti di vista; per esempio, volendo tener conto della dipendenza dalla temperatura della

conducibilità elettrica del materiale che costituisce il resistore, occorrerà utilizzare un modello del dispositivo che ne

consideri, al tempo stesso, gli effetti elettrici e termici. E qui si potrebbe andare avanti a lungo.

Il modello matematico di un sistema fisico è costituito da un insieme di variabili, ciascuna

delle quali rappresenta una determinata grandezza fisica del sistema, e da un insieme di relazioni

matematiche fra le variabili. Il modello stabilisce così in modo formale il comportamento del

sistema.

7 Non è affatto detto, in generale, che a un "sistema" descritto da un dato operatore corrisponda effettivamente un

sistema fisico che realizzi tale operazione.

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A seconda dei casi, ci si può limitare a considerare le sole variabili di ingresso e di uscita,

attraverso le quali il sistema considerato interagisce con l'esterno, oppure anche variabili interne al

sistema stesso (alcune di queste, come vedremo, giocano un ruolo importantissimo). Nei sistemi

artificiali, costruiti per un determinato scopo, è generalmente semplice stabilire quali variabili

costituiscono gli ingressi e quali le uscite. Nei sistemi naturali questo, invece, non è affatto ovvio; la

scelta, tuttavia, è certamente guidata dagli obiettivi specifici che ciò si prefigge nella costruzione del

modello, oltre che dall'intuizione fisica. L’obbiettivo, generalmente, è quello di giungere a una

rappresentazione ingresso-uscita, che permetta di esprimere le grandezze d'uscita del sistema

come variabili dipendenti di opportune relazioni espresse in termini di variabili indipendenti

costituite dalle grandezze d'ingresso.

Così procedendo, l'elaborazione compiuta dal sistema viene ad essere caratterizzata da un

insieme di operatori k, uno per ciascuna variabile d'uscita, che fanno corrispondere in modo

univoco gli andamenti temporali di ciascuna delle uscite yk(t) a quelli dell'insieme degli ingressi

xh(t). Nel caso di un solo ingresso e di una sola uscita si ha:

x(t)

{y(t)

(15) y(t) = {x(t)

La natura di questi operatori dipende dalla natura dei modelli con cui si rappresentano i

sistemi. Il caso che considereremo più spesso è quello di operatori lineari integro-differenziali.

Facciamo un esempio relativo ad un circuito

RLC serie, in cui assumiamo come ingresso l'intensità

i(t) della corrente che lo attraversa e come uscita la

tensione v(t) ai suoi terminali.

L'equazione del circuito è:

(16) ( ) 1

( ) ( )tdi t

L R i t i d v tdt C

e si ha quindi

1 td

L R ddt C

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Una prima distinzione fra i sistemi va fatta in relazione al tipo dei segnali in gioco: analogici

o digitali, a tempo continuo o a tempo discreto. Qualsiasi circuito elettrico è evidentemente un

sistema analogico; un calcolatore elettronico, d'altra parte, sebbene sia anch'esso un sistema

analogico, viene rappresentato assai più efficacemente come un sistema digitale (generalmente,

infatti, non ci interessa il dettaglio fine del comportamento dei suoi circuiti, mentre ci interessano i

segnali digitali che esso presenta in uscita, a determinati istanti di tempo, in relazione agli ingressi

digitali ad esso applicati).

Consideriamo ora alcune proprietà fondamentali dei sistemi che riguardano più direttamente

il loro comportamento, in relazione alla natura delle elaborazioni che essi compiono sui segnali.

8. Sistemi statici e sistemi dinamici

Un sistema si dice statico (privo di memoria o istantaneo) quando le sue variabili d'uscita, a

qualsiasi istante, dipendono solo dai valori degli ingressi a quello stesso istante. Ciò significa che le

equazioni del sistema sono di tipo algebrico. Un sistema si dice invece dinamico (dotato di

memoria o non istantaneo) quando, a un istante qualsiasi, le sue variabili d'uscita dipendono anche

dai valori degli ingressi a tempi precedenti. Ciò significa che le equazioni del sistema sono di tipo

differenziale (oppure, nel caso dei sistemi a tempo discreto, si tratta di equazioni alle differenze).

Questa distinzione si applica sia ai sistemi analogici che a quelli digitali: questi ultimi sono

spesso chiamati combinatori se statici, sequenziali se dinamici (una porta logica è un elemento

statico, un flip-flop un elemento dinamico). Il fatto fisico essenziale che distingue i sistemi dinamici

da quelli statici è la presenza di elementi immagazzinatori di energia (condensatori, induttori,

capacità termiche, masse, molle, ...), da cui consegue la capacità di memorizzare informazioni.

In un sistema dinamico, la memoria del passato è associata proprio a questi elementi. La

conseguenza è che l'andamento temporale delle variabili interne e d'uscita di un sistema, a partire da

un dato istante, dipende sia dagli ingressi applicati a partire da quell'istante sia dall'insieme dei

valori (a quello stesso istante) delle variabili associate agli elementi immagazzinatori di energia.

Questi valori, che costituiscono una sintesi essenziale dell'effetto degli ingressi applicati da -

all'istante considerato, rappresentano l'insieme delle condizioni iniziali per le equazioni differenziali

(o alle differenze) del sistema. Per tale motivo queste particolari variabili interne sono chiamate

variabili di stato, e l'insieme dei loro valori, a ciascun istante, rappresenta lo stato del sistema. Per

esempio, le variabili di stato del circuito RLC considerato prima sono la tensione del condensatore e

la corrente attraverso l'induttore.

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L'elaborazione dinamica di un sistema riguarda solamente la dipendenza delle variabili di

stato dall'ingresso. L'uscita, infatti, dipende dallo stato (ed eventualmente anche dall'ingresso)

attraverso relazioni algebriche. Questa è la rappresentazione ingresso-stato-uscita, che è

schematizzata nella figura (dove lo stato è rappresentato con il vettore s(t), le cui componenti sono

le variabili di stato) per un sistema con un

ingresso e una uscita. Per quanto detto prima il

blocco A è un sistema dinamico, il blocco B un

sistema statico.

Un caso importante è quello dei sistemi descritti da equazioni differenziali alle derivate

parziali, dove ha interesse la distribuzione dell'energia nello spazio, oltre che il suo andamento nel

tempo. Questo è quanto riguarda, per esempio, le vibrazioni di una sbarra metallica o il campo

elettromagnetico in una cavità risonante. Qui il numero delle variabili di stato è evidentemente

infinito. Gli spostamenti dei punti della sbarra e le intensità dei campi nella cavità sono infatti

funzioni delle coordinate spaziali, oltre che del tempo. Di solito è possibile ricondurre questi

problemi in termini di una molteplicità di equazioni differenziali ordinarie, con la tecnica dello

sviluppo in modi normali.

Assumere un modello statico significa ignorare gli effetti di inerzia (di varia natura) che sono peraltro sempre

presenti in un sistema fisico reale, ammettendo così che l'uscita risponda istantaneamente all'ingresso e, in particolare,

che la risposta a una eccitazione sinusoidale sia sempre la stessa, per qualunque frequenza, anche se elevatissima.

Sebbene ciò sia certamente sbagliato in linea di principio, è evidente l'utilità di un modello statico per rappresentare i

fenomeni in cui gli effetti d'inerzia siano trascurabili sulla scala dei tempi (o delle frequenze) che interessa.

9. Sistemi lineari e sistemi nonlineari

Dal punto di vista formale, un sistema è lineare se tali sono le equazioni che ne

costituiscono il modello, altrimenti è nonlineare. Dal punto di vista fisico è più significativo

definire lineari i sistemi che verificano il principio di sovrapposizione degli effetti. Questo

principio stabilisce che in un sistema lineare, applicando al quale (separatamente) gli ingressi x1(t) e

x2(t) si ottengono rispettivamente le risposte y1(t) e y2(t), l'applicazione di una combinazione lineare

degli ingressi x(t)=ax1(t)+bx2(t) provoca la risposta y(t)=ay1(t)+by2(t) (per qualunque valore dei

coefficienti a e b, e per qualunque coppia di segnali d'ingresso x1(t) e x2(t)). Tutto ciò va considerato

al netto dell'effetto delle condizioni iniziali: pertanto, prima dell'applicazione dei vari ingressi, il

sistema si deve trovare nello stato di riposo, cioè con tutte le variabili di stato uguali a zero.

A x(t)

B y(t)

s(t)

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Il principio di sovrapposizione è evidentemente verificato dai sistemi descritti da equazioni

lineari. Esso presenta grande interesse anche dal punto di vista pratico dato che può essere utilizzato

come test sperimentale della linearità di un sistema.

Facciamo un esempio, per mostrare che la proporzionalità tra causa ed effetto (chiamata "omogeneità") non è

sufficiente a determinare la linearità di un sistema, perché occorre che sia verificata anche l'”additività”, richiesta

appunto dal principio di sovrapposizione degli effetti. Consideriamo un circuito che, quando la variabile d'ingresso

attraversa lo zero, produce in uscita un impulso di ampiezza pari alla derivata dell'ingresso a quell'istante. L'effetto è

proporzionale alla causa sicché il sistema è omogeneo; esso, però, non è additivo (applicando all’ingresso la somma di

due segnali, gli attraversamenti dello zero della somma si verificano a istanti diversi rispetto a quelli di ciascun segnale)

e quindi non è lineare.

L'importanza dei sistemi lineari è duplice: da un lato un gran numero di fenomeni fisici è

ragionevolmente descritto da equazioni lineari e un modello lineare è dunque appropriato per i

dispositivi basati su questi effetti, dall'altro si tende ad usare modelli lineari anche per sistemi che

tali non sono, dal momento che la trattazione matematica dei sistemi nonlineari è generalmente

assai più complessa di quella dei sistemi lineari (per questi ultimi esistono metodi di analisi che

sono applicabili in generale, non così per i sistemi nonlineari).

D'altra parte, l'interesse per i sistemi nonlineari deriva da almeno tre motivi:

1) molti fenomeni fisici sono intrinsecamente nonlineari, in particolare quelli su cui si basa

il funzionamento di dispositivi elettronici assai importanti;

2) molti sistemi fisici reali sono lineari solo in prima approssimazione; generalmente, infatti,

la linearità è verificata accuratamente solo su un intervallo limitato dei valori delle variabili: quando

questi diventano troppo piccoli entrano in gioco effetti di quantizzazione; quando diventano troppo

grandi, effetti di rottura;

3) l'elaborazione dei segnali richiede, in molti casi assai importanti, la disponibilità di

funzioni nonlineari, che si realizzano mediante appositi dispositivi e circuiti (raddrizzatori,

discriminatori, circuiti logici, ecc...).

A ciò si aggiunge l'interesse legato alla eccezionale varietà e ricchezza di comportamenti dei

sistemi nonlineari, nel quadro degli studi sulla dinamica nonlineare che sono da qualche tempo in

vivace sviluppo, e anche l'ovvia considerazione che, dal punto di vista matematico, la classe dei

sistemi nonlineari è straordinariamente più vasta di quelli lineari.

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Esempi di blocchi funzionali nonlineari usati in elettronica.

Qui non consideriamo i metodi che sono stati introdotti per l'analisi dei sistemi nonlineari

(in realtà solo per alcune particolari classi di tali sistemi). Accenniamo, invece, a due metodi di

linearizzazione dei sistemi nonlineari statici, che sono usati per ricondurne l'analisi nel quadro di

quelli lineari. Entrambi i metodi, ma sopratutto il primo, sono molto usati nella trattazione dei

dispositivi elettronici.

Consideriamo un sistema descritto dalla relazione ingresso-uscita:

(17) y = f(x)

che supponiamo derivabile, con derivata continua. Poiché si tratta di una relazione algebrica, il

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sistema è considerato statico ed è allora possibile tracciarne8 la curva caratteristica, cioè l'uscita in

funzione dell'ingresso.

Il primo metodo, detto di linearizzazione per piccoli segnali, consiste nello sviluppare in

serie l'equazione (17) attorno a un determinato valore xo della variabile d'ingresso, che stabilisce il

punto di lavoro del sistema, allo scopo di individuare una relazione lineare fra le variazioni delle

due variabili x e y (anziché fra le variabili stesse) rispetto ai valori (xo e yo) corrispondenti al punto

di lavoro.

Si ottiene così: y = f(xo) + (x-xo) [f’(x)]x=xo+ ...

da cui, trascurando gli altri termini dello sviluppo, si ottiene:

(18) 'o

o

ox x

y yyf x

x x x

dove l'approssimazione è tanto migliore quanto più piccole sono le variazioni dei segnali.

Questo metodo è applicabile anche quando una variabile d'uscita dipende da più variabili

d'ingresso x1, x2, ... . Qui il punto di lavoro è stabilito da un opportuno insieme di valori x1o, x2o, ...

La variazione dell'uscita rispetto al valore yo corrispondente al punto di lavoro si esprime allora

nella forma:

(19) y f’x1 x1 + f’x2 x2 + ...

dove intervengono le derivate parziali della funzione, tutte calcolate nel punto di lavoro.

Il secondo metodo di linearizzazione consiste invece nell'approssimare la relazione ingresso-

uscita con una caratteristica lineare a tratti, cioè suddividendo il dominio della funzione in più

intervalli in ciascuno dei quali essa possa essere approssimata con un andamento lineare. E quindi

fintanto che il segnale d'ingresso si mantiene entro uno di questi intervalli, il sistema si comporta

linearmente.

Applichiamo questi metodi di linearizzazione a un diodo a giunzione pn, descritto

dall'equazione i = a(e(v/b)

-1), dove le variabili i e v sono l'intensità della corrente che attraversa il

diodo e la differenza di potenziale fra i suoi terminali; a e b sono due costanti. Assumiamo come

ingresso la tensione v e come uscita la corrente i.

Il primo metodo fornisce la relazione

8 Questo non è possibile nel caso dei sistemi dinamici, perché l'uscita a un dato istante non dipende soltanto

dall'ingresso allo stesso istante, ma anche …

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/o ov b i ai a

ev b b

dove abbiamo indicato con i0 e v0 i valori delle variabili nel punto di lavoro. Notiamo che il

rapporto così ottenuto ha le dimensioni fisiche di una conduttanza; esso prende il nome di

conduttanza differenziale del diodo. Come mostra la figura, questo metodo consiste

nell'approssimare la curva caratteristica del dispositivo con la retta ad essa tangente nel punto di

lavoro.

Linearizzazione della curva

caratteristica di un diodo a

giunzione pn:

a) mediante la tangente nel

punto di lavoro;

b) con una approssimazione

lineare a tratti

Applicando il secondo metodo, scegliamo di suddividere l'asse v in due parti, introducendo

una tensione di soglia V*: nella prima parte (cioè per v<V*) la corrente i viene considerata nulla;

nella seconda (cioè per v>V*

) la corrente viene espressa dalla relazione i = G (v-V*), dove la

grandezza G rappresenta una conduttanza di valore opportuno. E' evidente dall'esempio che la scelta

del punto di soglia e, più in generale, la scelta del numero di intervalli in cui suddividere l'asse della

variabile d'ingresso è largamente arbitraria; in generale queste scelte saranno guidate da criteri di

utilità pratica.

10. Sistemi stazionari e sistemi non stazionari

Un sistema si dice stazionario (invariante nel tempo o permanente, time invariant) quando

la sua risposta a una eccitazione non dipende dal tempo a cui essa viene applicata: se l'ingresso x(t)

provoca la risposta y(t), allora l'ingresso x(t-T) causerà9

la risposta y(t-T), per qualsiasi valore di

T e per qualsiasi funzione x(t). Altrimenti si dice non stazionario (variabile nel tempo, time

variant).

I coefficienti che intervengono nelle equazioni di un sistema stazionario debbono essere

dunque indipendenti dal tempo, altrimenti il sistema non è stazionario. Un caso particolare di

sistemi non stazionari è quello dei sistemi probabilistici, in cui i coefficienti delle equazioni variano

con legge casuale e sono pertanto descritti in termini statistici.

9 Il sistema, all'atto dell'applicazione dei segnali x(t) e x(t-T), si deve trovare evidentemente nello stesso stato.

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Un criterio di approssimazione dei sistemi non stazionari in termini di sistemi stazionari

consiste nel supporre che le variazioni dei coefficienti avvengano molto lentamente, cioè su una

scala temporale assai più estesa di quella che riguarda gli andamenti dei segnali. Si può allora

suddividere l'asse dei tempi in più intervalli, in ciascuno dei quali i coefficienti siano

approssimativamente costanti.

Nel seguito ammetteremo sempre che l'ipotesi di stazionarietà sia verificata, salvo contraria

esplicita indicazione.

Esempio. Un problema di classificazione

Consideriamo il modulatore d'ampiezza, apparecchio usato nelle radiocomunicazioni per variare nel tempo l'ampiezza

di un'onda sinusoidale di alta frequenza (l'onda portante) secondo l'andamento di un segnale di bassa frequenza (onda

modulante), che contiene l'informazione e che si vuole trasmettere a distanza. L'uscita del modulatore è un'onda

modulata, che viene poi irradiata da un'antenna.

Chiamando m(t) il segnale modulante e p(t) = cos pt l'onda portante, l'uscita del modulatore è data

dall'espressione:

y(t) = p(t) (1 + m(t)) = cos pt + m(t) cos pt

Si tratta, chiaramente, di un sistema statico, che si può classificare come nonlineare oppure come non

stazionario. Se l'onda portante p(t) viene considerata come un segnale d'ingresso, il sistema è evidentemente nonlineare

(e stazionario). Ma se l'onda portante non viene considerata come un ingresso e il suo effetto viene rappresentato

mediante un coefficiente variabile nel tempo (cos pt), il sistema allora è non stazionario (e lineare).

Questi due diversi punti di vista sono rappresentati nei due schemi a blocchi qui sotto.

m(t) MODULATORE MODULATORE

D’AMPIEZZA D’AMPIEZZA

p(t) y(t) m(t) y(t)

Esercizio.

Individuare le frequenze contenute nel segnale y(t) dell’Esempio precedente quando il segnale modulante è:

m(t) = ½ cos mt con m << p.

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RISPOSTE CARATTERISTICHE

11. Risposta libera e risposta forzata

Consideriamo l'andamento temporale del segnale d'uscita y(t) di un sistema a partire da un

istante generico, che assumiamo come origine dell'asse dei tempi, senza perdita di generalità. Se da

t = 0 in poi l'ingresso x(t) è nullo, l'uscita è determinata unicamente dallo stato del sistema all'istante

iniziale e prende il nome di risposta libera o evoluzione libera.

I sistemi fisici sono dotati generalmente di memoria finita: gli onnipresenti effetti di

dissipazione fanno sì che l'energia in essi immagazzinata subisca trasformazioni irreversibili e

venga dissipata. Ne consegue che la risposta libera tende a zero al tendere del tempo all'infinito. In

altre parole, tutte le variabili di stato vanno ad assumere valori trascurabili dopo un tempo

sufficientemente lungo durante il quale gli ingressi siano identicamente nulli.

Quando, invece, a t = 0 il sistema si trova in riposo (stato zero) ed è soggetto a una

eccitazione x(t) (diversa da zero da t = 0 in poi), l'uscita è determinata unicamente dall'ingresso e

prende il nome di risposta forzata.

Nel caso generale, cioè quando si applica l'eccitazione a un sistema che non si trova a

riposo, il segnale d'uscita dipende sia dall'eccitazione sia dallo stato al tempo t = 0. In tal caso se il

sistema è lineare, e allora è verificato il principio di sovrapposizione degli effetti, la risposta

complessiva è costituita dalla somma dell'evoluzione libera e della risposta forzata. La risposta di

un sistema lineare, che al tempo t=0 si trova in uno stato determinato, all'ingresso x(t) si può dunque

esprimere nella forma:

(20) y(t) = yl(t) + yf(t)

dove yl(t) rappresenta l'evoluzione libera a partire dallo stato iniziale (a t = 0) ed yf(t) rappresenta la

risposta forzata all'eccitazione x(t) applicata da t = 0 in poi.

Si capisce, per quanto detto, che il ruolo dello stato iniziale è simile a quello dell'eccitazione

esterna, nel senso che concorrono entrambi a determinare l'andamento del segnale d'uscita del

sistema. Stato iniziale ed ingresso a partire dall'istante iniziale in poi costituiscono assieme

l'eccitazione generalizzata.

Nei sistemi a memoria finita, quando i segnali d'ingresso si estendono da un istante iniziale

all'infinito, con andamento costante o periodico, diventa significativo anche un altro modo di

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decomporre la risposta complessiva y(t). In questo caso ai tempi lunghi, quando si sono certamente

esauriti sia l'evoluzione libera sia l'effetto della brusca applicazione del segnale d'ingresso, la

risposta assume un andamento caratteristico, costante o periodico, che dipende solo dall'eccitazione

e prende il nome di risposta forzata in regime permanente o risposta permanente yp(t). Il segnale di

uscita, sempre nell’ipotesi di linearità del sistema, si può allora decomporre come segue:

(21) y(t) = yp(t) + yt(t) per t > 0

dove il termine yt(t),

chiamato risposta

transitoria, che si ottiene

sottraendo la risposta

permanente da quella

totale, si estende soltanto

sul tempo finito di

memoria del sistema.

12. Risposta in regime permanente sinusoidale

Nello studio dei sistemi, in particolare di quelli lineari, presenta particolare interesse la

risposta in regime permanente a una eccitazione sinusoidale (che si suppone dunque applicata a

partire da t = -). Questa, infatti, proprio e soltanto nel caso dei sistemi lineari e stazionari, è

costituita ancora da una sinusoide della stessa frequenza di quella applicata in ingresso.

A una data frequenza, dunque, un sistema lineare e stazionario è completamente

caratterizzato dal valore del rapporto fra l'ampiezza della sinusoide d'uscita e di quella d'ingresso, e

dalla differenza fra la fase della sinusoide d'uscita e di quella d'ingresso. Al variare della frequenza,

poi, il rapporto d'ampiezza e la differenza di fase vengono a costituire due funzioni reali della

frequenza: la cosiddetta risposta in frequenza (frequency response) del sistema.

Esaminiamo brevemente come si determinano queste due funzioni, quando si conosca

l'equazione ingresso-uscita di un sistema, usando il metodo simbolico di C. P. Steinmetz.

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Rappresentiamo l'ingresso e l'uscita con le forme simboliche10

:

(22) x(t) = X cos t X ejt

= X ejt

y(t) = Y cos (t+) Y ej(t+)

= Y ejt

dove la generica grandezza simbolica è costituita dal prodotto di una corrispondente grandezza

complessa indipendente dal tempo (indicata qui con sottolineatura per evitare ambiguità di simboli)

per il fattore ejt

. Sostituendo le grandezze simboliche nell'equazione differenziale del sistema ed

eseguendo le necessarie operazioni di derivazione e integrazione, si ottiene una equazione algebrica

con variabili complesse; da questa si ricava il rapporto fra le due grandezze simboliche, che

coincide evidentemente con quello fra le grandezze complesse Y e X:

(23) j t

j t

Ye YH

Xe X

Il rapporto H, che in generale è un numero complesso, permette poi di calcolare Y e

conoscendo X, cioè di determinare compiutamente la sinusoide d'uscita alla frequenza angolare

. Questo rapporto dipende in generale dalla frequenza che si considera. Si dimostra facilmente che

se i coefficienti dell'equazione differenziale del sistema sono reali (sistemi fisici) allora H è una

funzione complessa di , ma una funzione reale di j. Conviene dunque esplicitare questa

dipendenza nel simbolo del rapporto H, che pertanto indicheremo d'ora in poi con H(j). Questa

funzione, chiamata funzione di trasferimento in regime permanente sinusoidale, si può porre nella

forma polare oppure in quella rettangolare:

(24) H(j) = |H(j)| e j()

= Re[H] + j Im[H]

dove spesso la fase di H(j) si indica col simbolo /H(j). Qui il modulo |H(j)|, che rappresenta il

rapporto fra le ampiezze Y e X, e la fase (), che rappresenta lo sfasamento della sinusoide

d'uscita rispetto a quella d'ingresso, sono le due funzioni reali che costituiscono la risposta in

frequenza, chiamate rispettivamente caratteristica di ampiezza e caratteristica di fase.

10

In questa rappresentazione i segnali si ottengono prendendo la parte reale delle corrispondenti grandezze simboliche

(si può, tuttavia, anche scegliere una diversa convenzione).

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26

Dalla caratteristica di fase si ricavano altre due grandezze: la prima è il ritardo della

sinusoide d'uscita rispetto a quella d'ingresso

(25) T( = -()/

la seconda è il ritardo di gruppo

(25')

g

dT

d

cioè il ritardo subito dall’inviluppo di un pacchetto d'onda di frequenza angolare applicato

all'ingresso del circuito11

.

Quando la funzione H(j) esprime il rapporto fra la tensione e la corrente (simboliche) ai

morsetti di un circuito in regime sinusoidale permanente, essa prende il nome di impedenza e si

indica col simbolo Z:

(26) Z(j) = R() + j X()

dove R() si chiama resistenza, X() reattanza. Quando H(j) rappresenta il rapporto fra la

corrente e la tensione (simboliche) prende il nome di ammettenza e si indica col simbolo Y:

(27) Y(j) = G() + j B()

dove G() si chiama conduttanza, B() suscettanza.

Facciamo un esempio, applicando il metodo simbolico al circuito RLC serie, già considerato

prima. Sostituendo v(t) e i(t) nell'equazione (16) con le grandezze simboliche corrispondenti, V ejt

e I ejt

, e semplificando si ottiene

V = jLI + RI + I / jC

da cui l'ammettenza

1

1

IY j

V j L R j C

11

Consideriamo il segnale costituito dalla somma di due sinusoidi di ampiezza unitaria e frequenze angolari

, +. Il battimento fra queste crea una serie di pacchetti d'onda con inviluppo 2cost. All'uscita del

sistema, per si ha 2cos(t+())cos[td()/d)], cioè l'inviluppo dei pacchetti d'onda subisce il ritardo

-d()/d

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Da quest'ultima si ottengono il modulo e la fase:

2 2

1

1Y j

L C R

1/ arctang

L CY j

R

osservando che |Y(j)| presenta un massimo per

= o, dove o = 1/√(LC). Alla stessa frequenza,

la derivata della fase è massima.

Nella figura sono rappresentati i grafici

del modulo, in unità di decibel, e della fase

dell'ammettenza del circuito RLC espressi in

forma normalizzata, cioè in termini del rapporto

/o e del parametro Q = oL/R. Si nota il

fenomeno della risonanza, che è tanto più vistoso

quanto maggiore è il valore del Q.

Esprimere in decibel (dB) una grandezza reale x

significa trasformarla mediante la formula

(28) 20 log10(x)

Questa rappresentazione è molto usata in

elettronica per esprimere sia valori di ampiezza che,

sopratutto, rapporti di ampiezza, e questo per vari motivi.

Quando una grandezza può assumere valori che

differiscono di ordini di grandezza, il tracciamento del

grafico in decibel risulta molto più agevole e

rappresentativo che in unità lineari. Espressi in decibel,

inoltre, i rapporti di ampiezza determinati dal modulo delle funzioni di trasferimento usuali si prestano bene a una

rappresentazione approssimata (diagrammi di Bode, vedi Appendice B) del tipo lineare a tratti (cioè mediante spezzate)

in funzione del logaritmo della frequenza. E' poi evidente che il prodotto (il rapporto) di due grandezze espresse in

decibel è dato semplicemente dalla somma (dalla sottrazione) dei loro valori. Questo risulta assai comodo quando più

sistemi lineari sono collegati in cascata (l'uscita del primo costituisce l'ingresso del secondo, e così via) e si debba

determinare la risposta complessiva in regime sinusoidale permanente come prodotto delle risposte di questi sistemi.

Come si è detto, la formula (28) si usa per esprimere in decibel valori di ampiezza o di rapporti di ampiezza.

Nel caso di una grandezza p che rappresenti il quadrato di una ampiezza, cioè sia proporzionale alla potenza, oppure il

rapporto fra quadrati di ampiezze, si usa invece la formula:

(28’) 10 log10(p)

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28

dove è importante osservare che il valore in decibel dato dalla (28') coincide evidentemente con quello dato dalla (28) se

p = x².

Osserviamo che basta ricordare anche solo alcuni dati della tabella qui sotto per poter determinare a mente, sia

pure approssimativamente, il valore in decibel di qualsiasi numero.

x xdB x xdB

106

120 1 0

103

60 0,9 -0,9152.. -1

102

40 0,8 -1,938.. -2

10 20 1/2 0,707.. -3,010.. -3

9 19,08.. 19 0,5 -6,021.. -6

8 18,06.. 18 0,4 -7,959.. -8

10/2=7,071.. 16,99.. 17 1/10 0,3162.. -10

5 13.98.. 14 0,2 -13,98.. -14

4 12,04.. 12 2/10 0,141.. -16,99.. -17

10=3,162.. 10 0,1 -20

2 6,021.. 6 0,01 -40

2=1,414.. 3,010.. 3 10-3

-60

1 0 10-6

-120

L'andamento del modulo di H(j) con la frequenza, cioè la caratteristica di ampiezza,

stabilisce le proprietà filtranti di un sistema. Sotto questo punto di vista, i sistemi si possono

comportare come passabasso, che trasmettono tutte le frequenze dalla continua fino a un limite

superiore; passabanda, che trasmettono solo le frequenze comprese in un intervallo; passaalto, che

trasmettono solo le frequenze oltre un limite inferiore, ed eliminabanda, che trasmettono solo al di

fuori di un dato intervallo.

Una distinzione importante

è poi quella fra i sistemi che

trasmettono anche segnali

costanti, e quindi la componente

continua dei segnali, e quelli che

trasmettono solo segnali variabili,

ovvero la componente variabile

del segnale (chiamata spesso,

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anche se impropriamente, "componente alternata"). I primi, detti anche sistemi in continua, hanno

evidentemente |H(j0)| 0, mentre i secondi, detti sistemi in alternata, hanno H(j0) = 0.

Osserviamo ora che l'ammettenza del circuito RLC che abbiamo considerato prima è una

funzione continua della frequenza: proprietà assai importante di cui godono tutte le funzioni H(j)

dei sistemi che ci interessano. Le bande di frequenza trasmesse non presentano pertanto limiti netti.

I limiti delle bande di frequenza vengono espressi di solito in termini di frequenze di taglio (cutoff

frequencies, corner frequencies) che sono definite come quelle frequenze a cui il modulo della

risposta si riduce a 12 = 0,707.. (cioè -3 dB) di quello nella banda trasmessa uniformemente (o del

massimo in banda), ossia la risposta in potenza si dimezza.

Esercizio. Determinare analiticamente le due frequenze di taglio, f1 ed f2, e la larghezza di banda f2-f1 per l'ammettenza

del circuito RLC considerato prima.

La risposta in frequenza di un sistema lineare può essere determinata sperimentalmente12

eseguendo misure a più frequenze (di solito, a spaziatura uniforme su scala logaritmica)

nell'intervallo che interessa. In questo caso, ovviamente, il segnale d'ingresso non è armonico puro,

perché viene applicato solo a partire da un certo istante. A noi, d'altra parte, interessa la risposta

permanente, sicché dovremo attendere, per ciascuna misura, l'esaurimento della fase transitoria

iniziale, prima di registrare i valori del rapporto delle ampiezze e dello sfasamento. La durata di

questo intervallo è dominata dalla costante di tempo più lunga del sistema in esame.

Ai sistemi nonlineari il concetto di risposta in frequenza non è applicabile, dal momento che

l'uscita corrispondente a un ingresso sinusoidale contiene sinusoidi di altre frequenze, generalmente

armoniche di quella d'ingresso (e la frequenza d’ingresso, in casi particolari come y = x2, può

addirittura essere assente in uscita!).

Nel caso dei sistemi solo debolmente nonlineari la risposta in regime permanente

sinusoidale è costituita da una sinusoide distorta, che si può rappresentare come somma di una

sinusoide della stessa frequenza di quella d'ingresso e di varie armoniche di essa. Il rapporto fra il

valore efficace complessivo di queste ultime e quello della fondamentale è usato per caratterizzare

la distorsione d'ampiezza che si verifica in questi sistemi (un caso tipico è quello di un amplificatore

di potenza, vedi parte VII). Notiamo che questo rapporto dipende dal livello del segnale applicato:

12

La possibilità di ricostruire le caratteristiche di ampiezza e di fase interpolando i risultati sperimentali ottenuti

soltanto a un insieme di valori discreti della frequenza deriva dalla già menzionata proprietà di continuità di queste

funzioni.

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di solito (sebbene non sempre) la distorsione nonlineare aumenta, prima debolmente e poi più

fortemente, al crescere dell'ampiezza dell'ingresso.

Per questi sistemi il rapporto fra l'ampiezza della fondamentale in uscita e l'ampiezza

dell'ingresso non è costante, ma dipende dall'ampiezza dell'ingresso, perché non vi è proporzionalità

fra causa ed effetto. Questo rapporto d'altra parte può essere usato per caratterizzare la risposta in

frequenza dei sistemi debolmente nonlineari. Si introduce così la funzione descrittiva:

(29)

1 ,

,d

Y XH j X

X

dove Y1(, X) indica l'ampiezza della fondamentale (o prima armonica) in uscita, X l'ampiezza

della sinusoide d'ingresso. Tale funzione dipende dunque sia dalla frequenza che dall'ampiezza

dell'eccitazione. La caratterizzazione in termini di funzione descrittiva è usata anche per i sistemi

statici, nel qual caso la funzione dipende solo dall'ampiezza dell’ingresso e non dalla frequenza.

Esercizio. Determinare analiticamente la funzione descrittiva di un limitatore simmetrico ( figura a pag.19).

13. Le risposte indici

Un'altra caratterizzazione dinamica dei sistemi, che è molto usata per la sua diretta applicazione allo

studio dei fenomeni transitori (e che inoltre è applicabile, sia pure con opportune modifiche rispetto

alla trattazione che segue, anche a sistemi nonlineari e/o non stazionari) è costituita dalle cosiddette

risposte indici. Queste sono la risposta all'impulso unitario e la risposta al gradino unitario.

La prima è la

risposta impulsiva (impulse

response), che indicheremo

con h(t); la seconda è la

risposta indiciale o risposta

al gradino (step response),

che indicheremo con hu(t). Nel caso dei sistemi lineari la risposta indiciale è l'integrale della

risposta impulsiva:

(30) t

uh t h d

Infatti, se h(t) rappresenta la soluzione di un'equazione differenziale lineare con termine

noto (t), è evidente che la soluzione della stessa equazione con termine noto u(t), cioè costituito

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31

dall'integrale di (t), coincide con l'integrale di h(t), espresso dalla (30).

Per il principio di causalità13

gli andamenti delle risposte indici sono identicamente nulli per

t < 0. Per t che tende all'infinito, la risposta impulsiva (nei sistemi a memoria finita) tende a zero,

mentre la risposta indiciale tende a un valore finito nei sistemi che trasmettono la componente

continua dei segnali (H(j0) 0), e tende a zero in quelli che trasmettono solo le componenti

variabili (H(j0) = 0).

Il principio di causalità pone il vincolo h(t) = 0 per t < 0 per i sistemi fisicamente realizzabili. Questo principio tuttavia

non si applica ai sistemi usati per analizzare una sequenza temporale di dati, dopo che essa sia stata registrata. Questo è

il caso degli algoritmi che si applicano a dati registrati su supporto magnetico, mediante un programma su calcolatore,

avendo quindi a disposizione l'andamento sia passato che futuro del segnale. Un semplice esempio a tale riguardo è

quello di un filtro a media mobile, che assegna all'uscita, a ciascun istante di tempo, il valor medio dell'ingresso in un

intervallo T centrato in t, eseguendo l’operazione:

/ 2

/ 2

1 t T

t Ty t x d

T

Tale filtro ha risposta impulsiva: h(t) = [u(t+T/2) – u(t-T/2)]/T.

Nella risposta impulsiva del filtro a media mobile, come in quella di tutti i sistemi non realizzabili fisicamente,

si distinguono la parte causale (per t ≥ 0) e la parte anticausale (per t < 0).

Sappiamo che l'uscita di un sistema statico a un dato istante dipende solo dal valore

dell'ingresso allo stesso istante. Si conclude pertanto che le risposte indici di un sistema lineare

statico14

coincidono, rispettivamente, con un una funzione delta e con una funzione a gradino,

aventi un medesimo coefficiente di ampiezza.

Il calcolo delle risposte indici di un sistema può essere eseguito risolvendone l'equazione

differenziale ingresso-uscita. Più spesso, in pratica, si preferisce usare il metodo della

trasformazione di Laplace, che conduce più agevolmente al risultato: di questo ci occuperemo nella

IV parte del corso. Qui ci limitiamo a illustrare brevemente il calcolo delle risposte indici attraverso

la soluzione diretta dell'equazione, nel caso di un sistema descritto da un'equazione differenziale del

primo ordine: il circuito RC passabasso. I risultati che otterremo sono del tutto generali, perché

applicabili a qualunque sistema, di qualsiasi natura, che sia descritto dalla stessa equazione.

13

Tutti i sistemi fisici reali verificano evidentemente questo principio. La condizione che l’effetto segua e non preceda

la causa è chiamata anche condizione di “realizzabilità fisica”.

14 Nel caso dei sistemi nonlineari, le risposte indici usuali (definire per una eccitazione unitaria) perdono significato;

occorre infatti usare funzioni indici dipendenti da due argomenti: oltre al tempo a cui si considera la risposta anche

l'ampiezza dell'eccitazione. Pure nel caso dei sistemi non stazionari (supposti lineari) occorre usare funzioni indici

dipendenti da due argomenti: il tempo a cui si considera la risposta e l'istante di applicazione del segnale di eccitazione.

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32

Indicando con x(t) la

tensione d'ingresso e con

y(t) quella d'uscita si ha:

1 1

' ' ; ' 't t

x t Ri t i t dt y t i t dtC C

da cui l'equazione ingresso-uscita15

, dove = RC indica la costante di tempo del circuito:

(31) x(t) = y’(t) + y(t)

Calcoliamo ora la risposta indiciale del sistema, assumendo quindi x(t) = u(t), con la condizione

iniziale y(0) = 0. L'integrale generale dell'equazione omogenea associata alla (31) è evidentemente

yg(t) = Ae-t/ In questo semplice caso l'integrale particolare relativo al termine noto si determina

facilmente: yp(t) = 1. Specializzando la soluzione complessiva (y(t) = yg(t) + yp(t) = 1+ Ae-t/

)

rispetto alla condizione iniziale assegnata (y(0) = 0), si ottiene A = -1. La risposta indiciale è

dunque:

(32) hu(t) = [1 - exp(-t/)] u(t)

Derivando rispetto al tempo si ottiene quindi la risposta impulsiva:

(33)

exp t

h t u t

Questa si poteva ottenere direttamente dall'equazione del sistema, specializzando la

soluzione dell'omogenea associata alla condizione iniziale ricavata integrando ambo i membri della

(31) fra 0- e 0

+: [y(0

+)-y(0

-)] = 1, da cui A = 1/.

Esercizio. Decomporre la (32) nei due termini che costituiscono a) la risposta libera e la risposta forzata, b) la risposta

transitoria e la risposta permanente.

15

In questo caso particolare l'equazione ingresso-uscita coincide con l'equazione ingresso-stato del sistema, dal

momento che l'uscita coincide con l'unica variabile di stato del sistema.

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33

14. Relazioni fra risposte indici e risposta in frequenza

Completiamo l'analisi del sistema descritto dalla (31) determinandone la risposta in

frequenza con il metodo simbolico. Sostituendo nella (31) le grandezze simboliche per ricavarne il

rapporto Y/X, si ottiene la funzione di trasferimento:

(34) 1

1H j

j

(35) 2 2

1; arctang

1H j H j

/

La forma della (34) (e della (35)) permette di verificare che si tratta effettivamente di un

sistema passabasso, in particolare con risposta unitaria a frequenza zero, in accordo col fatto che il

valore asintotico della risposta indiciale (32) è unitario. Uguagliando la (35) a 1/2, si ottiene la

frequenza limite superiore (frequenza di taglio) del sistema:

(36) 1

1 0,16

2f

In generale, nella risposta

indiciale di un sistema si

distinguono i seguenti tempi

caratteristici:

- tempo di salita (rise time) tr ,

definito come l’intervallo fra i

due istanti in cui, nel fronte

d'onda iniziale, il segnale

assume valore pari al 10% e al

90% del massimo;

- ritardo (delay time) td, definito

dal tempo (misurato dall'applicazione del gradino) a cui la risposta raggiunge il 50% del valore

massimo (o del valore asintotico ai tempi lunghi);

- tempo di assestamento (settling time) ts. Quest'ultimo rappresenta il tempo (misurato

dall'applicazione del gradino) a partire dal quale la risposta normalizzata si mantiene

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definitivamente entro la fascia 1-, 1+, per un valore prefissato16

di .

A volte, come nel caso rappresentato nella figura, la risposta indiciale presenta un picco

isolato oppure una serie di oscillazioni smorzate. Si considerano allora anche altri parametri:

sovraelongazione (overshot) s, cioè ampiezza del picco o della prima oscillazione, periodo T delle

oscillazioni, ecc.

Applicando le definizioni precedenti alla risposta indiciale di un filtro RC, data dalla (32), si

ottengono i seguenti risultati:

(37) tr = 2,1972... 2,2

(38) td = 0,6931... 0,69

(39) ts = 6,9078... 7,0

avendo scelto = 10-3

nel calcolo del tempo di assestamento.

Sostituendo nella (37) l'espressione (36) della frequenza di taglio, che indichiamo qui con B

nel significato di banda passante, si ottiene la seguente relazione, assai importante e utile, fra la

risposta nel dominio del tempo e quella nel dominio della frequenza:

(40) B tr = 0,3497... 0,35

Ricordiamo che tutti i risultati precedenti, dalla (32) alla (40), sono validi esattamente per

qualsiasi sistema descritto dall'equazione differenziale (31) e non soltanto per il circuito RC. Si può

dimostrare poi che i risultati (37), (38) e (40) valgono con ottima approssimazione anche per i

sistemi passabanda che hanno ad alta frequenza lo stesso andamento dei sistemi passabasso descritti

dalla (34), purché la loro frequenza limite inferiore sia molto minore della frequenza limite

superiore (questo si verifica di solito in molti amplificatori, per esempio in quelli che coprono la

banda audio oppure quella video). Infine, la relazione (40), che presenta grandissima utilità pratica,

risulta valida, sia pure approssimativamente, anche per una classe più estesa di sistemi, descritti da

equazioni differenziali di grado superiore al primo (di solito, il prodotto B tr assume valori fra ~0,3 e

~0,45).

Le precedenti definizioni del tempo di salita tr e del ritardo td sono dette pratiche o

empiriche, perché intese a facilitarne la determinazione sperimentale. Per queste stesse grandezze si

usano anche delle diverse definizioni, dette analitiche, che indicheremo con simboli diversi per

16

La scelta di questo valore dipende dal caso che si considera. Per esempio, se il circuito costituisce il filtro che precede

un convertitore A/D, il valore di sarà ragionevolmente riferito all’ampiezza del quanto di conversione.

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evitare ambiguità. Tali definizioni si applicano soltanto ai sistemi passabasso, la cui risposta

indiciale tende, ai tempi lunghi, a un valore asintotico costante non nullo, purché essa presenti un

andamento monotono crescente (almeno approssimativamente).

Nelle definizioni analitiche interviene la risposta impulsiva normalizzata

hn(t) = h(t)/hu()

cioè divisa per il valore asintotico della risposta indiciale (che rappresenta l'area della h(t)). Il

ritardo e il tempo di salita e sono così definiti:

(41) 0

nth t dt

(42) 2

02 nt h t dt

dove la costante 2 è stata scelta in modo che il tempo di salita coincida con il tempo di salita tr

nel caso particolare dei sistemi con risposta impulsiva Gaussiana. Svolgendo il quadrato che figura

nella (42) e utilizzando la (41) si ottiene:

(43) 2 2

02 nt h t dt

Applicando le definizioni analitiche al caso del sistema descritto dalla (31) si ottiene:

; 2 2,506...

Le definizioni precedenti si possono usare anche per caratterizzare il ritardo e il tempo di

salita di un generico segnale f(t) (che non costituisca, cioè, la risposta indiciale di un sistema)

rispetto a un istante di tempo di riferimento, purché la funzione f(t) soddisfi le condizioni date sopra

(abbia andamento monotono crescente fra zero e un valore asintotico non nullo). In questo caso si

utilizzerà nelle formule la derivata normalizzata fn'(t) = f'(t)/f() della funzione f(t).

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15. Calcolo della risposta a una eccitazione qualsiasi con le risposte indici

La grande importanza delle funzioni indice sta nel fatto

che esse consentono di calcolare la risposta forzata a una

eccitazione di forma qualsiasi.

Supponiamo che l'ingresso x(t) sia costituito dalla

somma di tre impulsi rettangolari di durata , come mostrato nella figura:

x(t) = x1(t) + x2(t) + x3(t).

Questi impulsi, se è sufficientemente piccolo rispetto ai tempi caratteristici del sistema a

cui sono applicati, possono essere approssimati come segue17

con tre funzioni delta, nel senso che

l'effetto di ciascuno di essi è approssimativamente uguale all'effetto di una corrispondente funzione

impulsiva:

x(t) (t) – 2 (t-1) (t-3)

Dal momento che, per l'ipotesi di stazionarietà, se la risposta a (t) è h(t) quella a (t-T) sarà

h(t-T), si conclude, grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, che la risposta di un sistema

con risposta impulsiva h(t) all’eccitazione x(t) data sopra è:

y(t) h(t) - 2 h(t-1) + 3 h(t-3)

Esercizio. Tracciare il grafico del segnale d'uscita di un circuito RC passabasso con = 1 s, al quale è applicato

l'ingresso x(t) considerato sopra con = 0,25 s: a) ricavandolo in modo esatto, b) ricavandolo approssimando gli impulsi

mediante funzioni delta.

Supponiamo ora che x(t) sia un segnale di forma arbitraria. Suddividendo l'asse dei tempi in

intervalli di durata , possiamo esprimere x(t) nella forma della somma seguente:

(44) x(t) = x1(t) + x2(t) + ...

dove ciascuna componente xk(t) coincide con x(t) nel corrispondente intervallo k, k+ ed è nulla

altrove. Se è sufficientemente piccolo, ciascuna componente elementare xk(t) può essere

approssimata con una funzione delta di area x(tk) applicata al tempo τk, contribuendo così alla

risposta con il termine elementare corrispondente:

17

A stretto rigore, gli istanti di applicazione delle tre delta dovrebbero essere ritardati di rispetto al fronte iniziale

degli impulsi. Perché?

0 1 2 3 4 t

1 3

-2

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(45) yk(t) x(k) h(t-k)

Sommando tutti questi contributi si ha:

(46) y(t) k yk(t) = k x(k) h(t-k)

dove l'errore di approssimazione tende a zero quando tende a zero. In tal caso la sommatoria si

trasforma nel seguente integrale, detto di convoluzione:

(47) 0

t

y t x h t d

dove il limite inferiore d'integrazione rappresenta l'istante t = 0 a partire dal quale consideriamo la

risposta forzata del sistema (che si suppone trovarsi inizialmente nello stato zero) e il limite

superiore t è fissato dal principio di causalità (l'uscita fino al tempo t non è influenzata dai valori

dell'ingresso a tempi successivi).

L'integrale di convoluzione (47) si scrive anche nella seguente forma equivalente:

(48) 0

t

y t x t h d

dove l'integrazione si svolge nello stesso intervallo di prima, ma secondo un asse diretto in verso

opposto al precedente: con l'origine = 0 all’istante t e l'estremo superiore per = t, dove si ha

t-= 0. Le due forme (47) e (48) dell'integrale di

convoluzione possono essere interpretate graficamente

come è mostrato nella figura.

In alto. Calcolo del contributo elementare dell'ingresso al tempo '

all'uscita al tempo t' con l'integrale di convoluzione (47)

In basso. Calcolo con l'integrale di convoluzione (48)

La parte in alto suggerisce un metodo grafico per la

valutazione approssimata della risposta y(t') all’istante t',

applicando la (46) ai campioni delle funzioni x() e h(t'-

) che si trovano sulla stessa verticale.

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Qualche considerazione sui limiti d'integrazione usati nelle due espressioni (47) e (48) dell'integrale di

convoluzione. Essi derivano dal fatto che abbiamo scelto di occuparci della risposta forzata, considerando quindi

soltanto gli effetti dell'ingresso a partire da un istante determinato (t = 0) fino al tempo t al quale calcoliamo la risposta

(per l'ipotesi di causalità). Decidendo di calcolare l'effetto di un ingresso applicato a partire da un generico istante to (che

può anche assumere il valore to = -) scriveremo:

(49) 0

0 0

t t t

ty t x h t d x t h d

Nel caso invece dei sistemi non fisicamente realizzabili, come quelli usati nella elaborazione differita di dati

registrati in precedenza, cade il vincolo posto dalla causalità e si ha in generale:

(50) y t x h t d x t h d

Notiamo infine che ad espressioni analoghe alle (47) e (48) si perviene anche decomponendo il segnale

d’ingresso in funzioni a gradino elementari, anziché in funzioni impulsive. In tal caso l'ingresso viene rappresentato

dalla somma della funzione a gradino x(0)u(t) e di una sequenza di funzioni a gradino elementari, applicate agli istanti

tk, con coefficiente x(tk) - x(tk-). Ciascuna di queste contribuisce all'uscita y(t) con il termine elementare

[x(k)-x(k-1)] hu(t-k) .

16. Integrale di convoluzione e risposta impulsiva

L'integrale di convoluzione nella sua forma generale

(51) 1 2f t f f t d

definisce un'operazione binaria fra due funzioni. Nell'insieme delle funzioni ordinarie non esiste

l'elemento identità per tale operazione, cioè una funzione f2(t) che introdotta nella (51) dia

f(t) = f1(t). Questo elemento esiste solo se estendiamo l'insieme delle funzioni considerate a

comprendere anche la funzione impulsiva (t), tale che, per qualsiasi funzione ordinaria f(t), sia

(52) f t f t d

La (52) può essere assunta come definizione della funzione delta.

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17. Risposta in frequenza e risposta impulsiva

Consideriamo un sistema lineare e stazionario, non necessariamente fisicamente realizzabile e quindi con

risposta impulsiva h(t) che può assumere valori diversi da zero anche per t < 0. Calcoliamone la risposta al segnale

armonico complesso x(t) = X exp(jt) applicato a partire da - utilizzando l'integrale di convoluzione nella forma

generale (50):

(53) exp exp expy t X j t h d X j t j h d

Sappiamo già, d'altra parte, che in questo caso si ha y(t) = X exp(jt) H(j). Si conclude pertanto che la

funzione di trasferimento di un sistema coincide con la trasformata di Fourier della sua risposta impulsiva

(54) expH j j t h t dt

18. Risposta impulsiva e stabilità

Studiando il sistema descritto dalla equazione (31) si è trovato che la risposta impulsiva altro non è

che una particolare specializzazione della risposta libera alle condizioni iniziali stabilite a t=0+

dall'effetto di una funzione delta unitaria applicata all'ingresso. Questo risultato è generale: la

risposta impulsiva è costituita dai termini che compaiono nell'integrale generale dell'equazione

omogenea associata a quella del sistema. Nel caso dei sistemi differenziali questi termini sono

determinati dalle radici dell'equazione caratteristica. A ciascuna delle radici distinte pi corrisponde

un esponenziale, reale o complesso,

Ai exp(pit)

mentre in presenza di una radice p con molteplicità m la risposta contiene gli m termini

M0 exp(pt), M1 t exp(pt), ............ Mm-1 tm-1

exp(pt)

Ne consegue che l'andamento asintotico della risposta impulsiva per t che tende all'infinito è

comunque determinato dai termini esponenziali, più precisamente dal valore delle radici reali, o

delle parti reali delle eventuali radici complesse, dell'equazione caratteristica. Se anche uno soltanto

di questi è positivo, allora la risposta impulsiva diverge all'infinito, indicando che il sistema è

instabile. E quindi, perché sia h() = 0, occorre che tutti questi valori abbiano segno negativo.

Una condizione di stabilità usata spesso in elettronica è quella denominata stabilità b.i.b.o.

(bounded input-bounded output, ingresso limitato-uscita limitata), per cui a un ingresso x(t) limitato

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deve corrispondere sempre un'uscita y(t) anch'essa limitata. Più precisamente si richiede che valga

la seguente condizione per qualsiasi ingresso x(t):

se |x(t)| X per qualsiasi t, allora deve essere |y(t)| Y per X e Y finiti e per qualsiasi t

Questa particolare condizione di stabilità può essere espressa in termini della risposta

impulsiva ed equivale allora alla condizione di integrabilità assoluta di tale funzione:

(55) -

I = h t dt

Infatti se la (55) è verificata, allora, per qualsiasi x(t) limitata, si ha

- - -

= y t x t h d x t h dt X h dt X I

Oltre che condizione sufficiente, la (55) è anche necessaria. Considerando infatti la risposta

impulsiva h(t)=sin ot (corrispondente a una coppia di radici coniugate immaginarie) si ha

evidentemente I = . E allora se l'ingresso è x(t) = sin ot si ha:

2

- -0 = sin oy x h d d

19. Schemi a blocchi

In quanto precede abbiamo spesso rappresentato graficamente i sistemi mediante schemi a

blocchi. In questa rappresentazione, assai intuitiva, un sistema viene indicato con un rettangolo, le

variabili d'ingresso con frecce entranti nel rettangolo, le variabili d'uscita con frecce uscenti. E allo

stesso modo si indicano le varie parti, o sottosistemi, di sistemi complessi, e le loro

interconnessioni.

Gli schemi a blocchi sono molto usati perché evidenziano efficacemente come i vari

sottosistemi sono collegati fra loro e perché permettono di seguire il flusso dei segnali in un

sistema, individuando le elaborazioni compiute dai sottosistemi che essi attraversano. E' importante

osservare che la schematizzazione dei sistemi, e dei sottosistemi, in termini di schemi a blocchi

deriva evidentemente dalla loro rappresentazione mediante relazioni ingresso-uscita.

Alla base della rappresentazione mediante schemi a blocchi vi sono però due ipotesi

semplificatrici, che non sono quasi mai verificate rigorosamente e che vogliamo qui evidenziare.

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La prima è che la trasmissione dei segnali attraverso i sistemi avvenga in modo unilaterale,

cioè soltanto dall'ingresso verso l'uscita e non viceversa; e ciò non accade certamente nel caso delle

reti passive, come ad esempio per un partitore resistivo.

La seconda ipotesi è che un segnale non subisca alcuna modifica quando venga applicato

all'ingresso di un sistema. Si ammette, in particolare, che il segnale d'uscita di un sistema resti

inalterato anche quando venga a costituire l'ingresso di un altro sistema. Questo può verificarsi

soltanto approssimativamente, dal momento che il secondo sistema deve comunque assorbire

energia dal primo perché avvenga il trasferimento dell'informazione. L'approssimazione, d'altra

parte, è tanto migliore quanto maggiore è il rapporto fra l'energia disponibile all'uscita del primo

sistema e quella assorbita all'ingresso del secondo. Nel caso dei sistemi lineari e stazionari, per cui

si può utilizzare il concetto di impedenza, questa approssimazione è tanto migliore quanto maggiore

è il rapporto fra l'impedenza d'ingresso del secondo sistema e l'impedenza d'uscita del primo.

Entrambe le ipotesi precedenti non sono più necessarie quando i sistemi vengono rappresentati mediante

circuiti, ossia come interconnessione di una molteplicità di componenti elementari, nel caso elettrico caratterizzati da

relazioni fra correnti e tensioni. Ciascun tipo di questi elementi viene descritto da determinate equazioni, mentre altre

equazioni descrivono come i vari elementi sono collegati assieme. La rappresentazione circuitale, di cui ci occuperemo

nelle parti seguenti del corso, tiene conto infatti, in modo naturale e diretto, sia delle modifiche che il segnale all'uscita

di un sistema subisce quando viene applicato all'ingresso di un altro sistema, sia dell'eventuale flusso inverso dei

segnali, dall'uscita verso l'ingresso. Questo richiede però una maggiore complessità nella rappresentazione dei sistemi:

nella descrizione circuitale, infatti, all'ingresso e all'uscita dei sistemi, non è più sufficiente considerare una sola

grandezza fisica, ma ne occorrono due (tensione e corrente nei sistemi elettrici, forza e spostamento nei sistemi

meccanici, temperatura e quantità di calore nei sistemi termici, ecc.).

Vogliamo ora sottolineare una importantissima differenza nel comportamento dei sistemi

costituiti dal collegamento in cascata di due o più sottosistemi, a seconda che tutti i sottosistemi

costituenti siano lineari oppure uno (o più) di essi sia nonlineare, supponendo qui che le due ipotesi

precedenti (trasmissione unilaterale e interazione energetica trascurabile) siano entrambe verificate.

Nel primo caso il sistema complessivo è lineare e gode della importante proprietà che il suo

comportamento ingresso-uscita è invariante rispetto all'ordine con cui i sottosistemi vengono

collegati. Questo si dimostra immediatamente considerandone la risposta in regime sinusoidale

permanente: la funzione di trasferimento complessiva è data evidentemente dal prodotto delle

funzioni dei sottosistemi costituenti, sicché non dipende dall'ordine con cui essi si susseguono.

In pratica, tuttavia, può essere necessario tener conto anche di altre considerazioni. Per esempio, è certamente

vero che la funzione di trasferimento del sistema ottenuto collegando in cascata un preamplificatore a basso rumore e un

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amplificatore di potenza rimane la stessa anche quando si inverte l'ordine con cui si collegano i due sottosistemi. Però le

prestazioni delle due configurazioni saranno assai diverse per quanto riguarda sia il rumore che la potenza disponibile in

uscita.

Nel secondo caso, invece, cioè quando anche un solo sottosistema è nonlineare, il sistema

complessivo è nonlineare a sua volta e il suo comportamento ingresso-uscita dipende dalla

disposizione dei sottosistemi (questa dipendenza può essere rilevantissima: si rifletta, per esempio,

al caso in cui il filtro di livellamento preceda, anziché seguire, il circuito rettificatore di un

alimentatore).

Esercizio. Determinare l'equazione differenziale ingresso-uscita e la risposta in frequenza dei due sistemi nella figura

qui sotto, se i sottosistemi sono governati dalle seguenti equazioni, dove x indica l’ingresso e y l’uscita:

A y' = a y + b x

B y' = c y + d x

A B

B A

Esercizio. Calcolare la risposta a un impulso rettangolare, con ampiezza di 10 V e durata di 100 ms, del sistema

costituito da un limitatore simmetrico (pag.19), con guadagno 2 nella zona lineare e livelli di limitazione in uscita di 0,5

V, e da un circuito RC passabasso, con R=1 M e C=1µF:

a) se il limitatore precede il filtro, b) se il filtro precede il limitatore.

20. Grafi di flusso18

Una rappresentazione simile a quella degli schemi a blocchi è stata formalizzata da

S.J.Mason nel 1953, col nome di grafi di flusso (signal flow graphs), per analizzare il flusso dei

segnali attraverso i sistemi lineari e calcolarne la risposta ingresso-uscita. Un vantaggio di questo

metodo è che esso è utilizzabile anche quando i sistemi sono rappresentati in termini circuitali.

18

Le pagine che seguono sono riprodotte da

S. Cantarano, G.V. Pallottino Elettronica Integrata 1. Circuiti e sistemi analogici, Etas Libri, 1985

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