Non violenza e soluzione dei conflitti

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Nonviolenza e Soluzione di conflitti MARCO BRAGHERO PeaceWaves Mantova 7 maggio 2011

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Nonviolenzae

Soluzione di conflitti

MARCO BRAGHERO

PeaceWaves

Mantova7 maggio 2011

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1ª Parte

Violenza e Nonviolenza

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Riferimenti bibliografici

• Giuliano Pontara, Antigone o Creonte - Etica e politica nell’era atomica, Editori Riuniti, 1990

• Johan Galtung, Peace by Peaceful Means, International Peace Research Institute, Oslo, 1996

• Johan Galtung, Conflict Transformation by Peaceful Means, Undp, 2000

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A usa violenza verso B se e solo se:

1. A uccide B oppure infligge a B delle sofferenze o lesioni fisiche,

2. A fa ciò contro la volontà di B,

3. A fa ciò intenzionalmente,

4. A fa ciò mediante l'uso della forza fisica.

Nonviolenzametodi di lotta non militare

Violenza fisica attiva

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A usa violenza verso B se e solo se:

1. A uccide B oppure infligge a B delle sofferenze o lesioni fisiche

2. A fa ciò contro la volontà di B

3. A fa ciò intenzionalmente

Nonviolenzamodalità di lotta incruenta

Violenza fisica

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A usa violenza verso B se e solo se:

1. A uccide B oppure infligge a B delle sofferenze o lesioni fisiche o psichiche

2. A fa ciò contro la volontà di B

3. A fa ciò intenzionalmente

Nonviolenzamodalità di lotta a-violenta

Violenza

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Nonviolenza negativa

• I tre concetti di nonviolenza visti sono di tipo negativo, cioè negazioni dei corrispondenti concetti di violenza

• Metodi di lotta non militari, incruenti, o a-violenti possono essere applicati sia al servizio di cause giuste che di cause ingiuste

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Viene usata violenza verso B se e solo se:

1. a B vengono inflitte delle sofferenze o lesioni fisiche o psichiche

2. ciò avviene contro la volontà di B

Nonviolenza positivamodalità di lotta nonviolenta diretta sia alla soluzione di conflitti che a cambiamenti strutturali

Violenza strutturale

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Nonviolenza positiva

• Modalità di lotta attiva, aggressiva e costruttiva

• Concezione etica dell’uomo e della società:– Massimo accesso a potere e benessere per tutti– Uguaglianza e autonomia dell’individuo– Empatia nelle relazioni interpersonali

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Lotta Satyagraha

• Astensione dalla violenza• Disposizione al sacrificio• Rispetto per la verità• Impegno costruttivo• Gradualità dei mezzi

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Astensione dalla violenza

• La lotta deve comportare il minimo possibile di violenza psichica

• La lotta non comporta né la minaccia di lesione né la lesione effettiva degli interessi vitali della parte avversa

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Disposizione al sacrificio

• Il gruppo coinvolto deve essere disposto a tutti quei sacrifici che sono necessari a fare avanzare la propria causa e a minimizzare le sofferenze per l’avversario

• La disposizione a soffrire è testimonianza della serietà con cui si abbraccia la propria causa

• Le sofferenze sono in genere minori di quelle derivate da una lotta violenta

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Rispetto per la verità• Massima imparzialità ed obiettività in ogni

fase della lotta• Non porre obiettivi incompatibili con le

idee etiche alla base della nonviolenza positiva

• Non operare nella clandestinità• Essere disposti al dialogo ed a modificare la

propria posizione

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Impegno costruttivo

• Operare in modo da iniziare a realizzare, anche nella fase di lotta, il tipo di società che si vuole raggiungere

• Individuare programmi costruttivi da cui anche il gruppo avversario possa trarre benefici, ed in cui possa essere coinvolto

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Gradualità dei mezzi

• Non ricorrere a forme di lotta più radicali se prima non si sono tentate forme meno radicali (programmi costruttivi su cui fare convergere gli sforzi, tecniche di persuasione, tentativi di compromesso purché non sugli obiettivi essenziali)

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La lotta satyagraha bandisce sistematicamente l’uso, la minaccia e la preparazione della violenza perché:

• la violenza è considerata un male• l’impiego della violenza è controproducente• così facendo aumenta la possibilità di tenere sotto

controllo la reazione violenta dell’avversario, di umanizzarlo, e di condurre il conflitto in modo tale che alla fine non sbocchi nella comune rovina delle parti in lotta

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Insicurezza Repressione

Resistenzaviolenta

FrustrazioneInsicurezza

Israele

Palestina

Il ciclo della violenza

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• Impostando la lotta in base ai principi del satyagraha, è possibile trasformare conflitti antagonistici in conflitti non antagonistici, cioè conflitti tra parti che condividono alcuni interessi fondamentali e risolvibili senza l’uso della violenza.

• Impostare la lotta in modo tale da fare scaturire da essa fini che siano di comune interesse, creando così quel minimo di comunicazione tra le parti che è necessario ad uno sviluppo nonviolento della lotta.

• La nonviolenza positiva si fonda su una concezione ottimistica dell’uomo come essere razionale e capace di comportamento morale anche a livello collettivo e in situazioni di conflittualità acuta.

Satyagraha (1)

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La nonviolenza positiva, basata sul satyagraha, non è solo un mezzo di lotta, ma è anche un fine, che si configura in una società in cui il potere ed il benessere sono di tutti. La nonviolenza positiva è in questo senso anche una dottrina politica.

In questo senso, la nonviolenza positiva si distingue dal

• pacifismo assolutistico, il cui rifiuto della lotta armata viene dedotto dal principio morale assoluto del “non uccidere”;

• pacifismo pragmatico, che rifiuta la guerra e la lotta armata in considerazione dei gravi rischi che, anche a causa dell’enorme sviluppo odierno degli armamenti, questi tipo di lotta comporta.

Satyagraha (2)

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Dimensioni della violenza strutturale

• Politica• Militare• Economica• Culturale

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Dimensione PoliticaPace negativa Pace positiva

• Democratizzare gli stati– Diritti umani (ma de-occidentalizzati)– Referendum– Democrazia Diretta– Decentralizzazione

• Democratizzare l’Onu– Un paese un voto– Abolizione del diritto di veto– Seconda assemblea Onu– Elezioni dirette– Confederazioni

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Dimensione MilitarePace negativa Pace positiva

• Organizzazione militare orientata alla difesa• Delegittimazione delle armi• Difesa Popolare Nonviolenta (DPN)

• Forze di Peace-keeping• Sviluppo di competenze non militari• Corpi non militari di interposizione

(Berretti bianchi)

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Dimensione EconomicaPace negativa Pace positiva

• Internalizzare le esternalità• Privilegiare i propri fattori produttivi• Sviluppare le economie locali

• Condividere le esternalità• Scambi paritetici• Cooperazione Sud-Sud

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Dimensione CulturalePace negativa Pace positiva

• Mettere in discussione– l’individualismo– l’idea di superiorità etnica, di popolo eletto– l’idea di violenza e di guerra– i fondamentalismi religiosi ed ideologici

• Sviluppare attitudini al dialogo

• Convivialità e condivisione• Approccio olistico, globale• Libertà, giustizia, democrazia, tolleranza e

solidarietà.• Promozione della vita

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2ª Parte

Il conflitto

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Educazione alla PaceLa sfida di ogni educatore è educare alla pace non tanto nell’insegnare contenuti pacifisti, ma nel creare le condizioni (skills, ambienti, coerenza…) affinchè il rapporto possa mantenersi saldo anche nelle discordanze e nelle diversità. Fornire strumenti che facilitino il dialogo e le relazioni interne.

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Educazione alla PaceLa frontiera attuale dell’educazione alla pace non può che passare, attraverso la formazione, alla trasformazione non violenta e creativa dei conflitti e si fonderà sull’esperienza, con le metodologie tpiche della pedagogia attiva.

Le parole chiave: compartecipazione, condivisione, complessità, co-responsabilità,interdipendenza, interconnessione

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Educazione alla Pace

So-Stare nel conflitto e riconoscerlo dentro la logica della non violenza, viverlo come momento di crescita e di confronto.

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Educazione alla PaceOpportunità di educare alla Pace a scuola:

Scrivere in modo condiviso e partecipato:

il regolamento di istituto;

una parte del POF;

Il patto di corresponsabilità;

Il patto formativo di classe;

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Educazione alla PaceOpportunità di educare alla Pace nel territorio:

Le Istituzioni scolastiche partecipano con tutte le proprie componenti alla definzione di:

Accordi di rete;

Accordi di programma;

Progetti territoriali, regionali, nazionali, europei

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Life Skills Education Oms (1993)

Insieme di abilità personali e relazionali che permettono digovernare i rapporti con il resto delmondo ed affrontare positivamente lavita quotidiana

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Life Skills Education Oms (1993)

1.Autocoscienza 2.Gestione delle emozioni

3.Gestione dello stress 4.Senso critico

5.Decision making 6.Problem solving

7.Creatività8.Comunicazione efficace

9.Empatia 10.Skill per le relazioni interpersonali

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AUTOSTIMA

AUTOSTIMA

Gestione dello stress

Autocoscienza

Gestione delle emozioni

Empatia

Senso critico

Decision making

Problemsolving

Creatività

Comunicazione efficace

Skill per le relazioni interpersonali

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RIVOLUZIONE

La nostra epoca, riprendendo le fasi di Khun prima accennate, si trova tra la crisi dei vecchi paradigmi e il corso di una nova rivoluzione scientifica, quindi sarà protagonista di una profonda rivoluzione paradigmatica di cui si vedono già tutte le premesse ed anche una consapevolezza sempre più diffusa tra la società civile planetaria ed i vari movimenti sempre più e meglio interconnessi ed interdipendenti verso una “globalizzazione dei diritti umani” che induce alla speranza di un futuro che da pericoloso torni ad essere foriero di prospettive.

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RIVOLUZIONE

In questo senso le comunità educanti dovranno essere protagoniste di questa rivoluzione intesa nel senso che ben definisce Cornelius Castoriadis:” :”Rivoluzione non vuol dire né guerra civile né spargimento di sangue. Rivoluzione è il cambiamento di alcune istituzioni fondamentali della società ad opera della società stessa, l’autotrasformazione esplicita della società condensata in un tempo breve (…) Rivoluzione significa l’ingresso della maggioranza della comunità in una fase di attività politica, ovverosia costituente. L’immaginario sociale si mette al lavoro e lavora esplicitamente alla trasformazione delle istituzioni esistenti”

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Il conflitto

Comportamento

Atteggiamento Contraddizione

Conflitto=Atteggiamento+Comportamento+Contraddizione

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Un conflitto va affrontato sempre tenendo conto di tutte e tre le componenti Agenda per la pace di Boutros Ghali U.N. 1992 – prevede anche Prevention e Peace enforcement

Conflitto

Atteggiamento(Peacemaking)

Comportamento(Peacekeeping)

Contraddizione(Peacebuilding)

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• Porta a convincersi che i problemi derivano dall’odio e che possano essere risolti attraverso conversione, psicoterapia o educazione alla pace.

• Trascura il fatto che anche una persona normalmente non violenta in condizioni di perdurante frustazione può arrivare ad uccidere o a tollerare le uccisioni.

Concentrarsi solamente sugli atteggiamenti:

Esempio: il conflitto palestinese non può essere ridotto alla dimensione di conflitto etnico religioso.

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• Porta a vedere il problema solamente nella violenza.

• Addomesticare le persone può rendere la violenza meno apparente, la può spazzare sotto il tappeto, ma potrebbe non avere alcun impatto sulla contraddizione sottostante.

Concentrarsi solamente sui comportamenti:

Esempio: i falliti tentativi dall’inizio della seconda Intifada di raggiungere una tregua.

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• Porta a vedere il problema solamente in termini di ingegneria sociale e/o istituzionale.

• Porta ad imporre soluzioni, anche in modo violento, con l’effetto di aumentare il livello di odio e di violenza.

Concentrarsi solamente sulla contraddizione:

Esempio: la spartizione della Palestina raccomandata dalla risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu, del 1947.

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Livelli nel conflitto

Gli elementi del triangolo del conflitto, contraddizione, comportamento e atteggiamento, vanno esaminati a due livelli, quello più esterno e quello più profondo.

Ad esempio, dietro un conflitto che si presenta come conflitto di tipo politico-religioso si può celare, a livello più profondo,un conflitto sociale.

Oppure, dietro ad un conflitto su un argomento specifico eCircoscritto fra due persone o due gruppi di persone puòesserci anche una componente di genere o razziale.

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Parti ed obiettivi

Un conflitto ha parti; le parti hanno obiettivi

Conflitto complesso

obiettivi\parti 1 2 3 . . .1 Frustrazione Disputa2 Dilemma3...

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Complessità dei conflitti

• I Conflitti reali sono molto complessi• I conflitti elementari, (1,2) o (2,1) sono

solamente buoni per i manuali• Più complesso è il conflitto più spazio c’è

per una trasformazione nonviolenta del conflitto

• Quando si arriva al massimo della tensione in un conflitto, la prima vittima è la complessità del conflitto stesso

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Conflitto Israele-Palestina

• Ebrei secolari• Ebrei religiosi• Ebrei

ultranazionalisti • Palestinesi di Israele• Palestinesi dei

territori occupati• Palestinesi della

diaspora• Fondamentalisti

islamici

• Stato nazionale• Diritti ed

uguaglianza• Sviluppo

economico• Controllo delle

risorse• Sicurezza• Controllo dei

luoghi santi (Gerusalemme)

• Diritto al ritorno

Parti Obiettivi

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3ª Parte

Soluzione e trasformazione del conflitto

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Essere creativi per uscire dagli schemi rigidi del conflitto, facendo emergere un nuovo tipo di realtà.

• Su Gerusalemme ciascuna delle parti afferma il proprio diritto.

• La soluzione convenzionale è quella della spartizione che garantisce a ciascuna parte un diritto esclusivo su una porzione della città. Dietro c’è l’assunzione che ogni pezzo di terra del pianeta debba appartenere ad uno ed un solo stato.

• Una soluzione meno convenzionale è quella del condominio: una città unita, capitale di due stati ed amministrata congiuntamente.

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Trascendere il conflitto per trasformarlo,definendo nuovi obiettivi, allargando lo spazio concettuale del conflitto ed inserendo nuovi attori

• Ad esempio porsi come obiettivo di fare di Gerusalemme un centro culturale, economico e turistico per tutta l’area

• Includere nel discorso anche i paesi vicini rendendoli interessati ad uno sviluppo economico congiunto.

• Il risultato sarebbe un guadagno per tutti.

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Evitare l’errore di volere semplificare il conflitto ad esempio eliminando alcuni degli attori

• Ad esempio, nel conflitto israelo palestinese gli estremisti delle due parti fanno parte del conflitto e non devono essere cancellati.

• Cercare sempre il dialogo ed il loro coinvolgimento nel processo di trasformazione del conflitto.

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Operatori di pace (1)

• In un mondo sempre più piccolo (globalizzato) e in una ottica di crescente democratizzazione, la costruzione della pace non appartiene solamente ai politici e ai diplomatici.

• La interdipendenza da un lato e il facile accesso a strumenti di violenza richiedono un impegno diffuso per la pace, sia nel senso della soluzione dei conflitti che della creazione di una vera cultura di pace.

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Operatori di pace (2)• Motivazione: perché lo faccio, per loro, per me, per fare esperienza?• Conoscenza generale: posseggo una buona conoscenza generale sui conflitti?• Conoscenza specifica: ho conoscenze specifiche, o sono disponibile a capire gli

aspetti unici di questo conflitto?• Competenze: sono capace di parlare e di ascoltare, o tendo ad imporre le mie

opinioni?• Empatia: ho sufficiente maturità per capire i sentimenti degli altri, o tendo ad avere

pregiudizi e a proiettare sull’altro i miei sentimenti?• Nonviolenza: sono nonviolento nei pensieri, nelle parole e nelle azioni?• Creatività: vedo il conflitto come possibilità di creazione di nuove realtà o solo come

distruttore?• Compassione: sento le sofferenze attuali o potenziali delle vittime del conflitto, o esse

sono dei meri oggetti?• Perseveranza: ho la capacità di andare avanti se sorgono difficoltà o se le parti non

seguono i miei consigli?• Processo: mi considero io stesso parte di un processo di cambiamento e

miglioramento?

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Operatori di pace (3)

Profilo ideale di un operatore di pace (Galtung):

Donna, non troppo giovane, di qualsiasi razza, di classe media per quel che riguarda lo stato, il reddito e l’istruzione, guidata da una religione/ideologia non rigida, proveniente da un piccolo paese, collegata a municipalità e/o a ONG.

Il profilo di chi opera nei conflitti nel mondo è usualmente l’opposto: uomini, di mezz’età, bianchi, di classe alta per quel che riguarda stato, reddito e istruzione, spesso legati ad una religione/ideologia rigida (anche se in modo non cosciente), piuttosto legati a livelli governamentali a livello statale o internazionale che a quelli a livello locale o alle ONG.

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Obiettività

Cosa vuol dire per un operatore/operatrice di pace essere obiettivo/obiettiva?

• Essere vicini a tutte le parti in modo da avere sufficiente conoscenza del conflitto, ma distanti abbastanza da non essere attaccati ad una delle parti alle spese dell’altra.

• Rendere espliciti i criteri usati per formulare opinioni e proposte, ad esempio le esigenze ed i diritti umani basilari. In modo chiaro, basandosi sui criteri scelti, cercare linee d’azione nonviolente, creative e costruttive.

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Esigenze e diritti umani basilari

• Sopravvivenza• Benessere• Libertà• Identità

• Morte• Miseria• Repressione• Alienazione

Essere più attenti alle parti che hanno deficit in uno o più di questi diritti di base, cercando di essere creativi cercando soluzioni a loro favore, senza però creare deficit per gli altri. Una soluzione che non rispetti i diritti di base non può avere successo.

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Dialogo• Lo strumento è la parola, il logos; non tanto

parlarla, quanto condividerla.• Ascoltare e imparare dall’altro.• Non confondere il dialogo con un dibattito su chi

abbia ragione, cercando di imporre la propria soluzione.

• Comprendere la “verità” dell’altro, e a partire da essa ricercare un esito (soluzione) accettabile e sostenibile.

• Dare più importanza al dialogo come processo che alla conclusione.

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Dialogo, a che livello?

L’approccio convenzionale ai conflitti è legato all’idea dei vertici: si organizzano incontri a livello di élite, di leader. Un tipico esempio sono gli accordi di Dayton sul conflitto nella ex Yugoslavia, a cui parteciparono i presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia con dei diplomatici americani.

Un approccio alternativo consiste nel coinvolgere nel dialogo non solo le élite, ma anche la società civile e i media. Fare fiorire una molteplicità di dialoghi, incontri che portano ad una maggiore comprensione reciproca, ma anche a nuove creative idee. Diplomazia dal basso.

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Una prospettiva di lungo termine

• La logica militare porta ad aspettare che il conflitto maturi (che esploda) per risolverlo in modo violento. La violenza si traduce in prestigio per i politici, in accresciuto ruolo per i militari, in profitti per gli industriali.

• L’obiettivo di raggiungere soluzioni accettabili e sostenibili richiede tempo. Per una trasformazione profonda del conflitto è necessaria creatività, e più creative sono le idee che emergono, più tempo ci vuole perché vengano accettate.

• Lungo termine anche all’indietro: affrontare il conflitto prima che sia arrivato allo stadio della violenza. Prevenire!

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Empatia

Nonviolenza Creatività

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Empatia• Capacità di comprensione profonda, a livello

cognitivo ed emotivo, dell’Altro e della logica che lo guida.

• Cercare di identificare gli obiettivi che sono legittimi rispetto a criteri generali (universali).

• Ogni parte in conflitto ha, magari nascosto da parole ed azioni violente, un obiettivo valido sul quale costruire, purché sia incoraggiata a procedere in modo non violento e creativo.

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Un esempio : Una proposta per la Palestina di Galtung

[1] Palestine is recognized as a state following UN SecurityCouncil Resolutions 242 and 338, with the borders existing on 4 June 1967, with small land exchanges.

[2] East Jerusalem becomes the capital of Palestine.

[3] A Middle East Community with Israel, Palestine, Egypt,Jordan, Lebanon, Syria as full members, with water, arms, trade regimes based on multilateral consensus; and an Organization for Security and Cooperation in the Middle East with a broader base, analogous to the highly successful OSCE in Europe.

[4] This Community is supported by the EU, Nordic Community and ASEAN financially and for institution-building expertise.

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[5] Egypt and Jordan lease additional land to Palestine.

[6] Israel and Palestine become federations with two Israeli cantons in Palestine and two Palestinian cantons in Israel.

[7] The two neighbor capitals become a city confederation, also host to major regional, UN and ecumenical institutions.

[8] The right of return also to Israel is accepted in principle, numbers to be negotiated within the canton formula.

[9] Israel and Palestine have joint and equitable mutually beneficial economic ventures, joint peace education and joint border patrolling.

[10] Massive stationing of UN monitoring forces.

[11] Sooner or later a Truth and Reconciliation process. Mediating a peace package should not be a country, or a group of countries, but a respected person or a group of such persons.

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TEORIA DEI GIOCHI:La teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite modelli, ovvero uno studio delle decisioni individuali in situazioni in cui vi sono interazioni tra due o più soggetti, tali per cui le decisioni di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte di un rivale secondo un meccanismo di retroazione, e sono finalizzate al massimo guadagno del soggetto.

La nascita della moderna Teoria dei giochi può essere fatta coincidere con l'uscita del libro "Theory of Games and Economic Behavior" di John von Neumann e Oskar Morgenstern nel1944 anche se altri autori (quali Ernst Zermelo, Armand Borel e von Neumann stesso) avevano scritto, ante litteram, di teoria dei giochi. La strana coppia era formata, nell'ordine, da un matematico e da un economista.

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TEORIA DEI GIOCHI:Si può descrivere informalmente l'idea di questi due studiosi come il tentativo di descrivere matematicamente ("matematizzare") il comportamento umano in quei casi in cui l'interazione fra uomini comporta la vincita, o lo spartirsi, di qualche tipo di risorsa.Il più famoso studioso ad essersi occupato successivamente della Teoria dei giochi, in particolare per quel che concerne i "giochi non cooperativi", è il matematico John Forbes Nash Jr, al quale è dedicato il film di Ron Howard "A Beautiful Mind".

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TEORIA DEI GIOCHI:

La soluzione del gioco viene definita "equilibrio di Nash" ed è l'unica strategia con la quale tutti i giocatori ottimizzano il proprio payoff. La sua applicazione classica è l'economia industriale, dove viene adoperata per scegliere le strategie di mercato. Ma ci sono casi di applicazione anche in altri campi. Compresi studi sociologici e pacifisti. Un esempio del primo caso è il libro "Evoluzione della cooperazione"(in italiano "Giochi di reciprocità: l'insorgenza della cooperazione", Feltrinelli 1985) del matematico Robert Axelrod. Usando un modello di simulazione informatica Axelrod arrivò alla conclusione che:

1] ai fini del buon funzionamento generale del sistema e anche ai fini dell'interesse dei singoli individui, un atteggiamento di cooperazione è più conveniente di uno basato sull'egoismo stretto e a breve termine; 2] la cooperazione «emerge» per effetto di un processo di apprendimento ripetuto nel tempo, per evoluzione; non c'è bisogno a questo fine di ipotizzare valore sociali o culturali che la favoriscono.

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TEORIA DEI GIOCHI:

Ma prima di lui altri studiosi avevano raggiunto risultati simili. E qui arriviamo all'applicazione della Teoria dei Giochi agli studi per la Pace. Negli anni tra il 1960 e il 1962 tre studiosi statunitensi affrontarono questo studio: Thomas Schelling, Anatol Rapoport e Kenneth Boulding. Tutti e tre provarono ad applicare la Teoria dei Giochi per valutare l'evoluzione dei rapporti tra Est e Ovest, e spiegare con il ricorso alle tecniche del "problem solving" che i conflitti non necessariamente sono del tipo a "somma zero", per cui le ragioni di una parte debbano affermarsi a danno dell'altra.

Page 66: Non violenza e soluzione dei conflitti

TEORIA DEI GIOCHI:

L'uso della teoria dei giochi applicata ai conflitti internazionali, come ha riconosciuto Hakan Wiberg contribuì a chiarire alcuni concetti chiave come "razionalità", "equità", "utilità" (39), favorendo visioni capaci di illuminare i "decisori" politici rispetto alle scelte tra riarmo/disarmo, e ai comportamenti da mantenere nelle situazioni di crisi. In pratica applicando ai rapporti sociali e internazionali si giunse a conclusioni similari: per poter massimizzare le proprie scelte ( un calcolo puramente egoistico e utilitaristico ) bisogna incredibilmente essere altruisti e tener conto anche del massimo profitto altrui.

Page 67: Non violenza e soluzione dei conflitti

TEORIA DEI GIOCHI:

Quindi scelte di Pace e solidarietà sono migliori di scelte di guerra ed egoismo. Quindi ricapitolando, nel caso di guerra si rischia di perdere tutto ( e di avere anche payoff negativi ) e comunque non si massimizza il proprio payoff. Nel caso di dialogo e di mantenimento della Pace invece non si rischia nulla e si massimizza il proprio payoff.

Page 68: Non violenza e soluzione dei conflitti

TEORIA DEI GIOCHI:

Il premio Nobel per l'economia 2005 all'israeliano Robert Aumann (75)e all'americano Thomas Schelling (83 piano Marshall) per la loro teoria della decisione interattiva, che spiega il conflitto e la collaborazione attraverso la nota teoria dei giochi e aiuta a risolvere i contrasti nel commercio e negli affari. Dalla teoriadei giochi di Aumann, sulle relazioni di lungo periodo deriva un paradosso : il disarmo favorirebbe la guerra!" La condizione base per costruire la pace è non avere fretta. Se si vuole la pace subito, forse non la si otterrà mai. Ma se si ha tempo, forse si riuscirà a conseguirla in modo duraturo “Ma se la pace e' cosi' conveniente, perche' i popoli continuano a farsi la guerra ? In fondo la specie umana e' considerata razionale.- " L' errore è proprio pensare che la guerra sia un fenomeno irrazionale". Non lo e' affatto. Persino nel terrorismo c'e' razionalità. Ma è un comportamento nuovo, che nessuno di noi ha ancora compreso del tutto. Cercheremo di applicare i nostri comportamenti teorici anche a questo fenomeno. Solo comprendendo le ragioni che scatenano le guerre possiamo trovare delle soluzioni".

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Sconfiggere la guerra, costruire la pace:Articolo di Marcon ricostruzione sociale ruolo della società civile

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CASCHI BIANCHI DELL'ONU:

I recenti fatti dai Balcani all’Afghanistan hanno evidenziato ancora una volta la necessità che le Organizzazioni NonGovernative, le Associazioni di volontariato, per i diritti umani, per la pace trovino un maggior livello di coordinamento ed una più specifica preparazione per intervenire anche al di là dei nostri confini in funzione umanitaria a difesa dei più deboli, (vecchi e bambini, ricoverati negli ospedali, negli ospizi, negli orfanotrofi)L'invio di contingenti civili di volontari in funzione umanitaria, oltre a dare un aiuto concreto, assume un valore simbolico costruttivo e può contribuire a creare le condizioni più idonee al dialogo ed alla gestione pacifica del conflitto. Tali contingenti possono quindi essere un elemento importante sia per il mantenimento sia per la costruzione della pace.L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato, negli ultimi anni, diverse risoluzioni sull'impiego, nelle situazioni di crisi, di un particolare tipo di contingente denominato "Caschi Bianchi", con funzioni di pacificazione, di prevenzione e soluzione dei conflitti. In particolare ricordiamo il Rapporto del Segretario Generale dell'ONU all'Assemblea Generale ed al Consiglio Economico e Sociale in data 27 giugno 1995 (A/50/203/1995)I Caschi Bianchi sono stati impiegati in diverse regioni del mondo. (Angola, Armenia, Gaza, Haiti, Rwanda etc.)

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Non c’è Pace senza Giustiziail messaggio di Giovanni Paolo II nella giornata mondiale della Pace 8 dicembre 2001

“La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l'ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell'amore che è il perdono. Da oltre quindici secoli, nella Chiesa cattolica risuona l'insegnamento di Agostino di Ippona, il quale ci ha ricordato che la pace, a cui mirare con l'apporto di tutti, consiste nella tranquillitas ordinis, nella tranquillità dell'ordine (cfr De civitate Dei, 19, 13). La vera pace, pertanto, è frutto della giustizia, virtù morale e garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e sull'equa distribuzione di benefici e oneri. Ma poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com'è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati”…

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Non c’è Pace senza Giustiziail messaggio di Giovanni Paolo II nella giornata mondiale della Pace 8 dicembre 2001

Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell'ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell'ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali.

È proprio la pace fondata sulla giustizia e sul perdono che oggi è attaccata dal terrorismo internazionale. In questi ultimi anni, specialmente dopo la fine della guerra fredda, il terrorismo si è trasformato in una rete sofisticata di connivenze politiche, tecniche ed economiche, che travalica i confini nazionali e si allarga fino ad avvolgere il mondo intero. Si tratta di vere organizzazioni dotate spesso di ingenti risorse finanziarie, che elaborano strategie su vasta scala, colpendo persone innocenti, per nulla coinvolte nelle prospettive che i terroristi perseguono.

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Non c’è Pace senza Giustiziail messaggio di Giovanni Paolo II nella giornata mondiale della Pace 8 dicembre 2001

In quanto atto umano, il perdono è innanzitutto un'iniziativa del singolo soggetto nel suo rapporto con gli altri suoi simili. La persona, tuttavia, ha un'essenziale dimensione sociale, in virtù della quale intreccia una rete di rapporti in cui esprime se stessa: non solo nel bene, purtroppo, ma anche nel male. Conseguenza di ciò è che il perdono si rende necessario anche a livello sociale. Le famiglie, i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale.

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Neo Fondamentalismi

Crediamo che la contemporaneità abbia, su molte questioni, trasformato la dissociazione originaria tra etica e politica in una disgiunzione totale. Anche in tal senso ci spieghiamo Auschwitz, Hiroshima, il Gulag, Cernobyl, fino all’Iraq, l’Afghanistan e Fukushima. Pur non essendo possibile omologare tutti questi eventi terribili, è, forse, lecito fare di Auschwitz e di Hiroshima la metafora di una crisi epocale. Non tanto nel senso del freudiano "disagio della civiltà", quanto in quello dell'incapacità di un'epoca di uscire dalle sue aporie, ricercando risposte nel trascendimento di se stessa.

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La guerra è anche crisi della politica, non soltanto suo prolungamento (con altri mezzi). Dalla crisi della politica, intervenuta con l'apparizione della guerra, non se ne esce con la messa a punto di argomenti e strumenti di esclusiva pertinenza politica. La stessa rifondazione della politica non interessa soltanto la politica: ne investe, sì, lo statuto, ma lo trascende, verso una nuova semantica e un nuovo senso. Introdurre l'etica come termine attivo e autonomo tra pace e guerra ha un duplice significato. Innanzitutto, combatte l'illusione modernista che sia la politica, sempre e comunque, a reggere il filo della guerra. Secondariamente, contrasta la tendenza contemporanea che attraverso le "guerre civili" e le "guerre locali" (e/o "conflitti regionali") ha fornito la soluzione provvisoria e devastante alla crisi della politica, ridisegnando gli equilibri internazionali. In conclusione, la domanda non possono essere che queste: quale etica per quale politica? Solo da qui si può fronteggiare quell'altro fenomeno tipicamente contemporaneo che vede la crisi della guerra funzionare come fattore di regolazione e riconversione delle relazioni internazionali.

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Il nodo relazioni internazionali/principio etico, con in mezzo il triangolo pace/politica/guerra, è di scottante attualità, sia sul piano storico-empirico che su quello teorico-metodologico. Non a caso, costituisce uno dei crocevia più attraversati dal dibattito politico-filosofico contemporaneo e uno dei territori più manipolati dai codici simbolici dei media. Nella prospettiva realista enunciata da Morgenthau, lo Stato nazione sospende l'etica, non riconoscendole diritto di cittadinanza sull'estrema linea di frontiera delle relazioni internazionali. Le aspettative e le istanze di pace, pur avanzate da movimenti internazionali e da consistenti fette di "società civile", vengono bollate semplicemente come manifestazioni e pretese irrazionali, poiché non conformi al fine empirico della sicurezza. Qui lo Stato non può venir criticato, in base all'evidenza che attui o meno scelte "giuste" o "sbagliate"; ma soltanto se pone in essere politiche e scelte irrazionali: cioè, non conformi al fine empirico.

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L'angoscia che parte dalla possibilità della minaccia incombente dell'olocausto nucleare e della manipolazione genetica e dell'ambiente costituisce uno dei fulcri del pensiero pacifista. Non vogliamo qui sottolineare, come pure è stato correttamente e da più parti fatto, che in autori come G. Anders, R. Jungk e H. Jonas l'angoscia è stata trasformata e assunta come risorsa etica, politica ed esistenziale (7). Piuttosto, intendiamo soffermarci su quella che Jonas definisce "etica del futuro", costruita e concettualizzata di contro a quella del presente. In questa posizione, centro dell'etica tradizionale era l'uomo e il suo rapporto col mondo e la natura, dal cui giogo intende ad affrancarsi costantemente, per costruire l'epoca del suo dominio. Centro dell'etica del futuro è, invece, il pianeta. Sicurezza dell'uomo e delle sue costruzioni artificiali era l'antico imperativo categorico; sicurezza del sistema terra, entro la sicurezza dell'universo dato, è l'imperativo categorico nuovo.

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Per molti versi, si assiste ad una sorta di traslitterazione ecologica dei paradigmi hobbesiani e, più in generale, seicenteschi di "pace e sicurezza". Il fare poietico, la produzione/creazione in senso lato e profondo, è ora in grado di ri-produrre l'essere umano e alterare la sua natura, la sua stessa conformazione ed evoluzione biologica. A questi livelli, secondo gli assunti dell'etica del futuro e, aggiungiamo, secondo un'analisi materialistica complessa, la produzione scalza l'azione e il produrre (inteso in senso poietico), si rivela ontologicamente primario e ben più assorbente rispetto all'agire (8).Dunque, come conclude Jonas, bisogna comprendere che se la sfera del fare poietico è, ormai, penetrata nello spazio dell'agire essenziale, la moralità deve penetrare nella sfera del fare poietico. L'etica della responsabilità non è più un'etica dell'azione e del fine; bensì un'etica della creazione e della rappresentazione.

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Le proposte di Galtung per realizzare un ordine mondiale fondato sulla cooperazione internazionale e sulla pace, in cui il modello federativo possa garantire un riconoscimento reciproco, una condivisione delle forme di sovranità e un dialogo tra diversi. Il tema della riforma strutturale e della democratizzazione delle Nazioni Unite rappresenta dunque la logica conclusione del discorso di Galtung, in cui si intrecciano dimensione descrittiva e dimensione prescrittiva…

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Gli imperi vengono, gli imperi vanno. Nessun impero dura per sempre. Un impero è un insieme articolato di conquiste militari, dominio politico, sfruttamento economico e penetrazione culturale. Per una corretta definizione di cosa si intenda per impero non ci si può dunque ridurre alla sola dimensione economica. La conferma indiretta di questa teoria viene da un famoso pianificatore del Pentagono [Ralph Peters, colonnello dell’esercito americano durante gli anni ottanta e novanta, NdR], il quale ha affermato che il fine dell’esercito degli Stati Uniti sia quello di rendere il mondo sicuro per favorire, oltre all’interesse commerciale, l’offensiva culturale americana, prima di aggiungere con grande lungimiranza: “Toward this end there will be a fair amount of killing” (“Per questo scopo avremo un numero non trascurabile di morti”).A tal proposito è bene ricordare che, in seguito a settanta interventi militari a partire dal secondo dopoguerra, gli Stati Uniti si sono resi colpevoli della morte di un numero di persone compreso tra dodici e sedici milioni.