nanoparticelle_farmacologia
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INTRODUZIONE
Alla base del successo di ogni terapia farmacologia vi è il raggiungimento
di concentrazioni efficaci di un determinato principio attivo nel sito di
azione. Ciò tuttavia non è semplice da realizzare a causa di numerosi
fattori, alcuni di tipo fisiologico, altri relativi alle caratteristiche chimico
fisiche del farmaco stesso e alla velocità di disgregazione della forma
farmaceutica che lo veicola.
Tra i primi vi sono la vascolarizzazione e il flusso ematico della zona di
somministrazione, la permeabilità e l’estensione della superficie
assorbente, non ultimo il pH del mezzo. Tra i fattori legati alle proprietà
chimico-fisiche di un principio attivo vi sono la sua solubilità nei fluidi
biologici ed il suo coefficiente di ripartizione olio/acqua, il quale deve
essere tale da consentire sia l’attraversamento delle barriere epiteliali da
parte del farmaco sia la sua diffusione negli spazi inter- e intracellulari.
Se inoltre il principio attivo deve agire a livello di particolari distretti
dell’organismo quali il Sistema Nervoso Centrale (SNC), un ulteriore
ostacolo è rappresentato dalla presenza della Barriera Emato-Encefalica
(BEE), un vero e proprio “filtro biologico” che consente o impedisce alle
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molecole di passare dal sangue al cervello.
1. LA BARRIERA EMATO-ENCEFALICA (BEE)
La BEE regola la concentrazione e la clearance di composti endogeni ed
esogeni nel tessuto nervoso, garantendo l’omeostasi delle cellule cerebrali e
impedendone il contatto non solo con sostanze eventualmente dannose ma
anche con agenti terapeutici [Abbott, 2004]. Infatti più del 98% dei
composti di nuova sintesi, potenzialmente attivi a livello del SNC, non è in
grado di attraversarla [Béduneau et al., 2007].
Nonostante il volume cerebrale occupato dai capillari e dalle cellule
endoteliali sia rispettivamente dell’1% e dello 0.1%, i piccoli vasi cerebrali
si estendono su un’area pari a 20 m2, superficie che, in assenza della BEE,
permetterebbe alle piccole molecole di giungere alle cellule dell’encefalo in
meno di un secondo, poiché esse distano dai capillari in media non più di
20 µm [Pardridge, 2001].
A conferire tuttavia la selettività alla BEE è l’organizzazione anatomica dei
capillari stessi, i quali sono circondati da cellule quali astrociti (responsabili
del supporto strutturale del tessuto nervoso), periciti (cellule contrattili
separate dalla membrana basale mediante una matrice extracellulare di
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collagene) e microglia (macrofagi residenti nel SNC) [Blasi et al., 2007]
(Figura 1). Essi creano attorno ai vasi cerebrali una struttura altamente
organizzata le cui principali caratteristiche sono:
• presenza di tight junctions: conosciute anche come zonula
occludens, garantiscono un’efficace regolazione del transito di
sostanze attraverso la BEE in quanto costituiscono uno strato
continuo tra le cellule endoteliali e la sommità apicale delle
cellule epiteliali; inoltre le differenze riscontrate nella loro
morfologia comportano una diversa permeabilità delle varie aree
dell’encefalo [Lapierre, 2000; Wolburg and Lippoldt, 2002];
• assenza di fenestrature nei capillari della BEE;
• scarso fenomeno di pinocitosi;
• presenza di tre sistemi di trasporto (trasporto carrier-mediato,
trasporto mediato da recettori e trasporto attivo di efflusso);
• presenza di astrociti.
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Figura 1. Sezione di un capillare cerebrale
Il ruolo della BEE è inoltre adiuvato dalla presenza di altre due strutture:
una barriera emato-liquorale, che separa il sangue dal liquor ed è
rappresentata dai plessi corioidei e dalle leptomeningi, ed una barriera
liquor-encefalica, che separa il liquor dal tessuto nervoso vero e proprio.
1.1. Gli astrociti
Tali cellule costituiscono circa il 90% della massa cerebrale, hanno una
tipica forma a stella e presentano numerose estroflessioni, denominate
“end-feet”, che rivestono la membrana basale della BEE. Le loro funzioni
sembrano essere il mantenimento dell’omeostasi del cervello attraverso il
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controllo della concentrazione di ioni potassio, l’inattivazione dei
neurotrasmettitori, la regolazione e la produzione di fattori di crescita e di
citochine, da alcuni dei quali dipende l’espressione dell’apolipoproteina E
(Apo E) [Gee and Keller, 2005].
1.2. Trasporto di molecole attraverso la BEE
Una valida strategia per raggiungere concentrazioni efficaci di farmaci nel
SNC consiste nello sfruttare i diversi meccanismi di trasporto presenti sulla
BEE, come il processo di diffusione facilitata per sostanze endogene quali
glucosio e amminoacidi, oppure il processo di endocitosi mediata da
recettore per molecole quali insulina, transferrina e Apo E [Pardridge,
2001; Pardridge, 2003]. Grazie a queste due modalità di trasporto,
localizzate sul versante luminale della BEE, è possibile favorire il
passaggio all’interno del cervello di principi attivi o di loro adeguati veicoli
in grado di interagire con tali trasportatori o recettori.
Il trasporto mediato da carrier è un meccanismo di trasporto molto
espresso sull’endotelio dei vasi della BEE; esso permette il trasferimento di
molecole dal lume dei capillari cerebrali all’interno del cervello, regolando
il passaggio di composti che sono capaci – in altri distretti dell’organismo –
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di attraversare le membrane biologiche per semplice diffusione grazie alla
loro alta lipofilia, al loro peso molecolare inferiore a 500 Da e alla loro
parziale carica positiva [Pardridge, 2001; Abbott, 2004].
Dal momento che la semplice diffusione attraverso la BEE non è
consentita, i trasportatori hanno come ruolo primario quello di garantire,
nel tessuto nervoso, il sufficiente apporto di glucosio, amminoacidi
essenziali, acidi monocarbossilici e nucleosidi, necessari al funzionamento
e alla sopravvivenza delle cellule cerebrali. Sfruttando tali carriers è perciò
possibile che farmaci e profarmaci in grado di mimare le molecole
endogene e i nutrienti attraversino la BEE [Cornford and Hyman, 1999;
Bonina et al., 2000].
Uno di questi trasportatori localizzati sulla BEE è quello per il glucosio
GLUT1, dal quale dipende il passaggio dal sangue al SNC non soltanto di
D-glucosio ma anche di composti dalla struttura simile come il 2-
deossiglucosio, il galattosio e il mannosio [Pardridge, 1995]. La sua
espressione è diversamente regolata in seguito allo svilupparsi di tumori
nell’encefalo; è stato infatti dimostrato che il GLUT1 viene sovraespresso
in emangioblastomi cerebrali ma sottoespresso in glioblastoma multiforme
[Tsukamoto et al., 1996]. Si verifica invece, in altri tipi di gliomi, che
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l’isoforma predominante del recettore è la GLUT3, la quale è presente
anche nei neuroni del cervello sano [Boado et al., 1994]. Sfruttando proprio
l’elevata affinità per il carrier GLUT1 da parte di liposomi rivestiti con
derivati del mannosio (ad esempio p-aminofenil-α-mannoside), è stato
possibile veicolare con successo farmaci all’interno del SNC di topo
[Umezawa and Eto, 1988].
Un altro trasportatore che è presente sulla BEE e che può perciò essere utile
per introdurre principi attivi all’interno dell’encefalo è quello per la colina.
La colina, oltre ad essere il precursore del neurotrasmettitore acetilcolina, è
anche un componente della membrana fosfolipidica ed è dunque essenziale
per l’organismo umano [Allen and Smith, 2001]. In seguito al rilascio e alla
degradazione dell’acetilcolina, la colina viene captata dalle cellule nervose,
che possono così riutilizzarla, grazie al suo trasportatore espresso sulla
BEE; quest’ultimo presenta un’area carica negativamente che gli permette
di interagire con la colina e con altre sostanze aventi gruppi ammonici
quaternari, quali la carnitina e la tiamina [Lockman and Allen, 2002]. A
causa della maggiore attività delle cellule cancerose rispetto a quelle sane,
in sede di tumori cerebrali è stato riscontrato un incremento del trasporto
attivo della colina [Tedeschi et al., 1997]. In tali circostanze, nanoparticelle
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cariche positivamente preparate a partire da maltodestrine e rivestite con
1,2-dipalmitoil-sn-glicero-3-fosfatidilcolina sono risultate essere in grado
di permeare la BEE [Fenart et al., 1999]: è stato infatti dimostrato in vitro
che il loro passaggio attraverso un monostrato di cellule endoteliali è di 3-4
volte maggiore rispetto a sistemi nanoparticellari non rivestiti e si verifica
senza che venga alterata la permeabilità paracellulare, quindi
principalmente per effetto del trasportatore della colina sulla BEE.
Il trasporto mediato da recettore avviene grazie ad un processo di
endocitosi attraverso cui, in seguito al legame di un ligando col suo
specifico recettore localizzato sul versante luminale della BEE, si produce
una internalizzazione del complesso ligando-recettore dentro vescicole
endocitotiche [Vyas and Sihorkar, 2000].
Studi in vitro e in vivo hanno evidenziato la presenza di un’alta
concentrazione di recettori per l’insulina nei capillari cerebrali del coniglio
[Frank and Pardridge, 1981] e dell’uomo [Pardridge et al., 1985]. Duffy e
Pardridge, ad esempio, hanno dimostrato la transcitosi dell’ormone
attraverso la BEE in seguito ad iniezione nell’arteria carotidea di conigli
[Duffy and Pardridge, 1978].
I recettori per l’insulina sono spesso sovraespressi in numerosi tumori del
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cervello e la loro espressione aumenta in dipendenza dello stadio del
tumore [Elmlinger et al., 2001]. In tali circostanze inoltre è stata osservata
una elevata affinità dell’ormone al suo recettore, rendendo quest’ultimo un
valido candidato come direzionante per la veicolazione di farmaci
chemioterapici al cervello mediante l’uso di nanoparticelle [Glick et al.,
1989].
Tuttavia l’insulina, essendo un ormone peptidico, ha una bassa emivita e
ovviamente provoca ipoglicemia ad alte dosi; tale effetto sistemico
potrebbe essere limitato però dalla sostituzione del polipeptide con il
fattore di crescita insulina-simile (IGF), il quale ha il vantaggio di non
provocare un drastico abbassamento della concentrazione di glucosio nel
sangue, a meno che non venga adoperato in quantità di gran lunga maggiori
di quelle che verrebbero usate in terapia.
Dati sperimentali su cellule endoteliali di cervello isolato hanno dimostrato
che IGF-I e IGF-II subiscono endocitosi [Reinhardt and Bondy, 1994],
sebbene l’elevata interazione dell’IGF con le proteine ematiche influenzi
negativamente le sue potenzialità come direzionante [Ocrant, 1991].
I trasportatori di efflusso sono molto spesso responsabili dell’insuccesso
delle strategie discusse in precedenza poiché limitano l’efficacia
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terapeutica di principi attivi capaci di attraversare virtualmente la BEE.
La glicoproteina P (P-gp) è un trasportatore di efflusso ATP-dipendente ed
è presente nelle membrane apicali di differenti tipi di cellule epiteliali,
incluse quelle che formano la BEE [Schinkel et al., 1999; Stouch and
Gudmundsson, 2002]. Dal momento che l’azione della P-gp è uno dei
principali fattori che impedisce l’accumulo di numerose molecole a livello
del tessuto nervoso, la sua inibizione potrebbe essere una possibile
procedura per promuovere la penetrazione di farmaci nel SNC [Miller and
Kabanov, 1999; Kabanov et al., 2003].
È stato dimostrato che molti tensioattivi normalmente usati nelle
preparazioni farmaceutiche, quali i Poloxameri, assolvono a tale compito
[Kabanov et al., 2003].
2. SISTEMI COLLOIDALI PER LA SOMMINISTRAZIONE DI
PRINCIPI ATTIVI
Alla luce delle difficoltà associate ad una terapia farmacologica per
malattie del SNC, si comprende il motivo per il quale la moderna
tecnologia farmaceutica si è indirizzata alla progettazione ed al
perfezionamento di sistemi quali cellule “ghost”, nanoparticelle,
microcapsule, liposomi e micelle che permettano di superare tali
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inconvenienti [Cohen and Bernstein, 1996].
Un carrier, al fine di esplicare in modo ottimale la sua funzione e
aumentare il numero di interazioni tra il principio attivo che veicola e il suo
sito d’azione dovrebbe:
• degradarsi lentamente;
• essere sensibile a variazioni di pH o di temperatura;
• essere in grado di permanere in circolo abbastanza a lungo da
permettere il mantenimento della concentrazione terapeutica del
farmaco;
• accumularsi nel sito di azione attraverso il direzionamento attivo
ottenuto mediante la coniugazione con ligandi specifici dell’area
interessata [Lasic and Martin, 1995; Torchilin and Trubetskoy,
1995].
2.1. Liposomi
I liposomi sono dei sistemi colloidali largamente studiati e utilizzati per la
veicolazione di principi attivi e sono formati da fosfolipidi anfipatici
organizzati in un doppio strato (Figura 2). Vengono classificati, sulla base
delle loro dimensioni, in multilamellari (100-200 nm), vescicole
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unilamellari piccole (10-50 nm) e vescicole unilamellari grandi (LUV, 50-
1000 nm) [Chrai et al., 2001].
Figura 2. Struttura del doppio strato fosfolipidico dei liposomi
Le molecole inglobate al loro interno possono essere sia idrofile sia
lipofile, poiché esse possono situarsi rispettivamente nella fase interna
acquosa o tra le code idrofobe. Oltre al vantaggio di veicolare farmaci di
diversa natura, l’utilizzo di liposomi permette di incrementare la
permeazione di principi attivi attraverso la BEE, poiché alcuni costituenti
di tali sistemi sembrano inibire la P-gp [Rahman et al., 1992]. È stata
inoltre notata una diminuzione della clearance plasmatica di liposomi
peghilati, cioè sistemi in cui i fosfolipidi erano stati coniugati con PEG,
rispetto ai liposomi non peghilati [Allen, 1994].
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2.2. Nanoparticelle
Le nanoparticelle sono sistemi colloidali con un diametro medio compreso
tra 10 e 1000 nm. In esse il farmaco può essere disciolto, disperso o
racchiuso in una matrice, polimerica o lipidica, che ne modula la velocità e
il profilo di rilascio nell’organismo [Soppimath et al., 2001].
Le nanoparticelle polimeriche possono essere preparate a partire da
polimeri naturali o sintetici sotto forma di nanocapsule o nanosfere: le
nanocapsule sono sistemi vescicolari in cui il principio attivo si trova in
una cavità delimitata da una membrana polimerica; le nanosfere invece
sono dei sistemi matriciali in cui il farmaco è fisicamente e uniformemente
disperso in una matrice polimerica [Langer, 2000]. Grazie alle loro
dimensioni, le nanoparticelle si prestano ad essere somministrate per
qualsiasi via, ad attraversare le membrane biologiche, a proteggere i
principi attivi dall’inattivazione chimica e/o enzimatica, riducendone gli
effetti tossici e collaterali mediante la possibilità di direzionamento a
tessuti specifici, e a rilasciare i farmaci che veicolano direttamente
all’interno delle cellule, dalle quali sono captate mediante endocitosi
[Brigger et al., 2002].
Le nanoparticelle lipidiche solide (SLN) sono costituite da una matrice
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lipidica solida che è stabilizzata da un tensioattivo [Wissing et al., 2004].
Presentano, tra i vantaggi, stabilità di alcuni anni, ridotta tossicità dovuta
all’utilizzo di lipidi biodegradabili e ben tollerati dall’organismo,
dimensioni dell’ordine dei nanometri, tutte caratteristiche che ne
permettono la somministrazione per via parenterale. La capacità di
caricamento del principio attivo, che dipende dalla solubilità di
quest’ultimo nella miscela lipidica fusa, e la sua possibile espulsione in
seguito a transizioni polimorfiche [Freitas and Muller, 1999] rappresentano
degli svantaggi che sono stati superati dai carriers lipidici nanostrutturati
(NLC), costituiti da lipidi strutturalmente diversi tra loro [Heurtault et al.,
2002].
È stato dimostrato che nanoparticelle lipidiche solide peghilate in superficie
sono in grado di sfuggire al processo di opsonizzazione, inibiscono la P-gp
[Buckingham et al., 1995] e, grazie al trasporto passivo attraverso la BEE,
rilasciano i farmaci ai tumori del cervello [Koziara et al., 2004].
2.3. Micelle polimeriche
Le micelle polimeriche sono delle strutture con diametro compreso tra 5 e
100 nm che si ottengono dall’associazione spontanea in soluzione di
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copolimeri anfifilici formati da unità ripetitive idrofobe e idrofile, in
seguito al raggiungimento di una certa concentrazione (detta
concentrazione di aggregazione critica, CAC) e ad una data temperatura
(temperatura critica di micellizzazione, TMT). Al di sotto di questi valori le
macromolecole esistono come unimeri e al di sopra coesistono come
aggregati micellari in equilibrio con le singole unità [Torchilin, 2007].
Un sistema micellare ottimale dovrebbe:
• formarsi spontaneamente e incorporare al suo interno molecole
di principio attivo (quest’ultimo dovrebbe essere rilasciato in
forma libera in seguito al contatto col sito bersaglio);
• avere dimensioni di 10-20 nm affinché possa essere in grado di
giungere ai tessuti in seguito all’attraversamento delle
membrane;
• essere stabile in vivo per un tempo sufficientemente lungo;
• non causare effetti indesiderati;
• essere formato da componenti che possano essere eliminati
dall’organismo con facilità una volta completata la loro funzione
di veicolo [Kabanov et al., 2002].
Le micelle ottenute dall’aggregazione di unimeri anfifilici sono spesso più
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stabili dei sistemi ottenuti dalla micellizzazione di piccole molecole di
tensioattivo (queste ultime, per la loro natura, tendono anch’esse a formare
micelle in soluzione) e posseggono valori di CAC dell’ordine di circa 10-6
M, valore di due ordini di grandezza inferiore a quella di tensioattivi
convenzionali come il Polisorbato 80 [Kabanov et al., 2002].
La formazione delle micelle polimeriche è da attribuire ad un decremento
di energia libera del sistema, dovuto alla sottrazione dei gruppi lipofili
dall’interfaccia con il solvente acquoso, al ripristino dei legami a idrogeno
tra le molecole di acqua e alla formazione di interazioni tra la porzione
idrofila del polimero e il solvente; tale fenomeno è favorito anche
dall’instaurarsi di forze di van der Waals tra i gruppi idrofobi all’interno
del sistema, le quali permettono di ottenere un ulteriore guadagno
energetico [Jones and Leroux, 1999].
In acqua la struttura micellare ottenuta è del tipo core-shell, in cui i
segmenti lipofili si associano all’interno del sistema (core) mentre le
porzioni idrofile formano l’involucro esterno (shell) (Figura 3).
Le porzioni idrofobe e idrofile possono essere organizzate all’interno della
catena polimerica in maniera differente, dando origine a copolimeri
random, a blocchi o ramificati (graft) [Torchilin, 2001].
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Figura 3. Organizzazione strutturale di una micella
2.3.1. Metodi di preparazione delle micelle e incorporazione di farmaci al
loro interno
Le micelle polimeriche possono essere preparate con due diverse
metodologie, cioè per dissoluzione diretta o per dialisi.
Il primo metodo, adottato per copolimeri solubili in acqua, consiste nella
dispersione del copolimero in un mezzo acquoso a temperatura ambiente o
maggiore e ad una concentrazione superiore alla CAC.
I copolimeri con una bassa solubilità in acqua sono invece convertiti in
micelle attraverso il metodo della dialisi, che prevede la dissoluzione del
copolimero in un solvente organico miscibile con acqua, come ad esempio
dimetilsolfossido (DMSO), dimetilformammide (DMF), tetraidrofurano
(THF), e successiva dialisi in acqua.
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L’incorporazione di farmaci apolari all’interno delle micelle è resa
possibile dall’orientamento caratteristico core-shell assunto dai copolimeri
(Figura 4). Il principio attivo infatti, man mano che l’acqua viene spinta
all’esterno del sistema, interagisce sempre di più con il core idrofobico,
processo che avviene spontaneamente perché è energeticamente favorito.
All’aumentare della quota di farmaco che si solubilizza nella porzione
lipofila, cresce la probabilità che si verifichi un aumento del volume delle
micelle a causa dell’accumulo al loro interno del principio attivo.
Figura 4. Struttura core-shell di una micella e disposizione farmaco al suo interno.
L’efficacia dell’incorporazione dipende non solo dalla compatibilità tra
core idrofobo e farmaco incapsulato, ma anche da alcune caratteristiche di
quest’ultimo quali polarità, lipofilia ed eventuale carica; l’esito finale del
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processo dipende inoltre dalle dimensioni delle porzioni idrofile e lipofile
dei copolimeri poiché, se queste ultime sono predominanti rispetto alle
prime, le dimensioni del core micellare aumenteranno e permetteranno di
incorporare maggiori quantità di principio attivo [Allen et al., 1999].
L’incorporazione del farmaco nelle micelle può avvenire tramite
interazione di tipo fisico con le porzioni polimeriche idrofobiche o tramite
legame covalente del principio attivo alla macromolecola.
Se il farmaco è legato covalentemente al core idrofobo, la sua
incorporazione all’interno delle micelle procede simultaneamente con la
formazione del sistema; il rilascio del principio attivo risulterà controllato
dal processo di penetrazione dell’acqua nel core lipofilo, dalla
dissociazione micellare e dalla rottura del legame farmaco-copolimero.
Se l’incorporazione del principio attivo avviene invece attraverso
interazioni fisiche, il suo rilascio dal sistema risulterà dipendente dalla sua
velocità di diffusione nel core micellare e dalla disaggregazione delle
micelle. Per effettuare questo tipo di preparazione esistono due metodi
principali.
La preparazione per dissoluzione diretta di micelle polimeriche contenenti
farmaco prevede che una soluzione di copolimero disciolto in acqua venga
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aggiunta ad una soluzione organica di principio attivo, oppure che un
farmaco solubilizzato in un solvente organico volatile sia addizionato ad
una soluzione acquosa di micelle preformate, facendo evaporare
successivamente la fase organica.
Nel metodo per dialisi invece un principio attivo è disciolto insieme al
copolimero che formerà le micelle in un solvente organico e tale soluzione
è dializzata in acqua in un secondo momento [Harada and Kataoka, 1998;
Kwon et al., 1997 ].
2.3.2 .Caratterizzazione delle micelle polimeriche
Lo studio dimensionale e morfologico delle micelle polimeriche viene di
norma effettuato attraverso misure di light-scattering, tecnica che consente
di determinare dimensioni medie e geometria (es. di tipo sferico,
ellissoidale, vescicolare o tubulare) [Cameron et al., 1999].
La morfologia delle micelle polimeriche viene determinata dalla
conformazione dei copolimeri che le costituiscono, dalla loro
concentrazione e dal tipo di solvente utilizzato per la preparazione dei
sistemi. Strutture non sferiche sono spesso formate da copolimeri a blocchi
asimmetrici in cui la porzione lipofila è più corta di quella idrofila.
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2.3.3. Stabilità delle micelle polimeriche
La stabilità delle micelle polimeriche, così come il rilascio del principio
attivo in esse contenuto, sia in vitro sia in vivo, dipende dal valore della
CAC. L’equilibrio copolimero/micelle e la concentrazione al di sotto della
quale tale equilibrio si sposta verso la formazione dei monomeri sono
direttamente correlati con la stabilità termodinamica; la stabilità cinetica
invece dà informazioni sulla velocità reale di dissociazione delle micelle in
quanto, anche in seguito a diluizione a concentrazioni inferiori alla CAC,
possono ancora esistere micelle preformate per un tempo abbastanza lungo
da svolgere la loro funzione di carriers di farmaci.
In particolare lo stato fisico del core micellare, il contenuto di solvente in
quest’ultimo e il rapporto tra le regioni idrofile e idrofobe del copolimero
sono parametri che influenzano in modo determinante la stabilità cinetica
[Tian et al., 1993].
Il valore della CAC è condizionato dalle porzioni lipofile delle micelle
polimeriche poiché, all’aumentare della lunghezza del blocco idrofobo
rispetto a quella del blocco idrofilo, si ha generalmente una notevole
diminuzione dei valori di CAC, a cui fa seguito un incremento sensibile
della stabilità micellare [Kwon and Kataoka, 1995].
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2.3.4. Composizione delle micelle polimeriche
Numerose tipologie di polimeri sono state utilizzate per la costituzione di
molecole anfifiliche in grado di formare micelle.
Per la porzione idrofila sono frequentemente utilizzati i poli(etilen glicoli)
(PEGs) con un peso molecolare compreso tra 1 e 15 kDa [Kwon, 2003]. Il
largo uso di questo polimero è da ricercarsi nel basso costo, nella limitata
tossicità e nella sua elevata idratazione che stabilizza i sistemi
nanostrutturati in un mezzo acquoso [Calvo et al., 2001; Moghimi, 2002].
Adoperato nelle micelle, il PEG costituisce l’involucro esterno che
interagisce con l’ambiente biologico e conferisce le proprietà
farmacocinetiche al carrier, mentre il core micellare – formato dalle
porzioni idrofobe dei copolimeri – funge da reservoir non acquoso in cui il
principio attivo è disperso e protetto da possibili alterazioni chimiche che
possono verificarsi nell’ambiente biologico [Roberts et al., 2002; Veronese
and Harris, 2002; Torchilin, 2007]. Il PEG è capace di ridurre il
riconoscimento immunitario dei sistemi colloidali di cui fa parte ad opera
dei macrofagi del Sistema Reticolo-Endoteliale (RES) quali cellule di
Kupffer del fegato, macrofagi della milza o del midollo osseo [Couvreur
and Gref, 2006]. È stato inoltre approvato dalla Food and Drugs
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Administration (FDA) per le somministrazioni parenterali [Veronese and
Harris, 2002].
Altre valide alternative ai PEGs sono il poli(N-vinil-2-pirrolidone) (PVP),
dotato di un’alta biocompatibilità [Johnson et al., 1992] ed usato in
formulazioni come liposomi [Torchilin et al., 1994], nanoparticelle
[Sharma et al., 1996], microsfere [Moneghini et al., 2000] e micelle
polimeriche [Benahmed et al., 2001]; il poli(vinil alcol) e il suo copolimero
poli(vinilalcol-co-viniloleato), già usati per preparare micelle che
incrementano la permeazione transcutanea del retinil palmitato [Luppi et
al., 2002].
Le porzioni lipofile delle micelle sono normalmente costituite da composti
ottenuti dalla polimerizzazione di L-lisina [Katayose and Kataoka, 1998],
acido aspartico [Yokoyama et al., 1990; Harada and Kataoka, 1998], acido
D,L-lattico [Ramaswamy et al., 1997] e spermina [Kabanov and Kabanov,
1990].
Alcuni di tali monomeri formano blocchi polimerici idrofobi che
direttamente costituiscono il core lipofilo delle micelle; altri composti
(lisina, spermina) formano catene idrofile polimeriche che prima
complessano elettrostaticamente le molecole idrofobe di farmaco e poi
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formano il core delle micelle.
2.3.5. Proprietà delle micelle polimeriche
I vantaggi che si riscontrano nell’utilizzo delle micelle sono molteplici e
riguardano non solo le metodiche di preparazione, che risultano essere
semplici e riproducibili. Tali sistemi infatti permettono di incorporare nel
core idrofobico principi attivi poco solubili nei fluidi biologici,
veicolandoli e proteggendo molti di essi da alterazioni chimiche e/o
enzimatiche grazie allo shell idrofilo micellare, il quale garantisce anche la
dispersione in acqua delle micelle [Gref et al., 1995; Inoue et al., 1998].
Molecole polari invece, piuttosto che essere incorporate all’interno di tali
sistemi, potrebbero essere adsorbite sulla superficie delle micelle [Attwood
and Florence, 1983].
Queste ultime inoltre, come la maggior parte dei veicoli colloidali, quando
vengono somministrate per via parenterale, sono in grado di aumentare la
biodisponibilità e il tempo di permanenza dei farmaci nella circolazione
sistemica, aumentando la possibilità che i principi attivi si possano
accumulare nel sito bersaglio e contribuendo alla riduzione degli effetti
collaterali tossici [Jones and Leroux, 1999; Torchilin, 2001; Kwon and
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Kataoka, 1995].
I farmaci veicolati da micelle, grazie alle piccole dimensioni di queste
ultime, raggiungono spontaneamente aree in cui, a seguito di tumori o
infarti, si è verificato un aumento della permeabilità dei vasi; è stato infatti
dimostrato che l’incorporazione in micelle di sostanze anticancro come
l’adriamicina permette un maggiore accumulo del principio attivo in sede
tumorale piuttosto che in tessuti normali, minimizzando così gli effetti
indesiderati [Yuan et al., 1995].
Altra caratteristica importante di questi nanovettori è la possibilità di
coniugare sulla loro superficie dei ligandi specifici per alcuni tessuti [Gref
et al., 1995; Inoue et al., 1998]; ciò permette di ottenere un direzionamento
attivo verso una determinata regione dell’organismo e di aumentare
l’efficacia farmacologica di un farmaco incorporato nelle micelle.
2.3.6. Micelle direzionate e stimolo-sensibili
Esistono numerose possibilità per incrementare l’accumulo di sistemi
nanostrutturati in aree patologiche ben definite.
a) Targeting passivo
Numerosi fenomeni patologici, responsabili di provocare nell’organismo
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alterazioni di tipo infettivo, infiammatorio o ischemico, producono nelle
aree colpite anche una aumentata permeabilità dei vasi sanguigni che le
irrorano, facendo sì che si verifichi in tali sedi un accumulo preferenziale di
nanocarriers, comprese le micelle [Palmer et al., 1984; Maeda et al.,
2000]. Nei tumori solidi inoltre, insieme alla maggiore permeabilità dei
vasi, si riscontra uno scarso drenaggio linfatico dagli interstizi cellulari,
fenomeno che provoca un aumento della ritenzione della zona interessata
(effetto EPR) (Figura 5). Affinché si assista però alla diffusione e
all’accumulo di nanocarriers nei tessuti neoplastici, è necessario che le
dimensioni di questi sistemi colloidali siano paragonabili ai diametri delle
fenestrature dei capillari che irrorano le masse tumorali, diametri che
variano in base al tipo stesso di tumore [Yuan et al., 1995; Monsky et al.,
1999].
Le micelle infatti, rispetto ad altri sistemi come i liposomi, espletano bene
la funzione di vettori di principi attivi poiché le loro dimensioni sono
inferiori alle più piccole fenestrature riscontrate in sede tumorale. Risultati
interessanti a questo proposito sono stati ottenuti nel trattamento
dell’adenocarcinoma solido al colon di topo; la somministrazione di
adriamicina incorporata nelle micelle ha evidenziato un’efficacia maggiore
27
rispetto al farmaco libero [Yokoyama et al., 1999].
Figura 5. Effetto EPR
Oltre alle dimensioni, le porzioni che formano lo shell idrofilo possono
contribuire in maniera decisiva alla permanenza delle micelle nella
circolazione sistemica e al loro conseguente accumulo nel sito bersaglio. È
stato osservato infatti che sistemi micellari, come quelli formati da
oligomeri di PEG e fosfatidil etanolammina (PE), subiscono una clearance
minore all’aumentare delle dimensioni della porzione di PEG [Lukyanov et
al., 2002]. Ciò avviene probabilmente perché i residui di PEG creano un
maggiore impedimento sterico sul sistema e una minore interazione di esso
con le opsonine plasmatiche. Il tempo in cui tali micelle restano in circolo è
leggermente inferiore a quello dei liposomi rivestiti con PEG [Klibanov et
al., 1990], fenomeno che potrebbe essere in parte attribuito alle dimensioni
più piccole delle prime rispetto ai secondi e quindi al più rapido
farmaco
Particellecontenentifarmaco
Sito normale Sito tumoraleCellula endotelialevascolare
Torrente ematico
farmaco
Particellecontenentifarmaco
farmaco
Particellecontenentifarmaco
Sito normale Sito tumoraleCellula endoteliale vascolare
Torrente ematico
farmaco
Particellecontenentifarmaco
farmaco
Particellecontenentifarmaco
Sito normale Sito tumoraleCellula endotelialevascolare
Torrente ematico
farmaco
Particellecontenentifarmaco
farmaco
Particellecontenentifarmaco
Sito normale Sito tumoraleCellula endoteliale vascolare
Torrente ematico
28
attraversamento dei vasi [Weissig et al., 1998].
b) Micelle stimolo-sensibili
In molti dei tessuti interessati da processi patologici si assiste ad un
aumento di 2-5°C della temperatura e/o ad una diminuzione del pH di 1-2
unità rispetto ai valori fisiologici [Helmlinger et al., 1997; Tannock and
Rotin, 1989]. Si è perciò pensato di incrementare l’efficacia delle micelle
come veicoli di principi attivi rendendole capaci di disgregarsi e rilasciare i
farmaci in risposta a variazioni di pH o di temperatura.
Micelle sensibili a variazioni di pH o di temperatura sono ad esempio
quelle costituite da copolimeri della poli(N-isopropilacrilamide) con acido
poli(D,L-lattico), che sono in grado di disgregarsi nel sito bersaglio [Maeda
et al., 2000; Kohori et al., 1998]. Copolimeri a blocchi pH-sensibili sono
inoltre quelli costituiti da PEG e t-butil metacrilato, etil acrilato o n-butil
acrilato, che sono stati usati per preparare micelle contenenti nel core
indometacina e progesterone [Cammas et al., 1997].
È stato anche dimostrato che micelle formate da copolimeri a blocchi di
poli(2-etil-2-ossazolina)-b-poli(L-lattide) e caricate con doxorubicina sono
capaci di rilasciare questo principio attivo all’interno degli endosomi, al cui
29
interno il pH è acido [Jones et al., 2003; Wang et al., 2005].
Sono stati preparati nanocarriers termosensibili a partire da copolimeri a
blocchi di PEG e N-isopropilacrilamide/2-
[mono(mono/di)lattoilossipropilmetacrilamide] [Bae et al., 2005]. Tali
micelle polimeriche, all’aumentare della temperatura, sono in grado di
rilasciare una quantità maggiore di farmaco incorporato [Liu et al., 2005].
c) Targeting attivo mediante coniugazione con agenti direzionanti
La realizzazione di micelle polimeriche può prevedere la coniugazione
sulla loro superficie di molecole direzionanti [Gao et al., 2005]. Tra i
possibili ligandi vanno ricordati anticorpi [Liaw et al., 2001; Torchilin
2004], porzioni zuccherine, transferrina [Torchilin, 2004; Jule et al., 2003;
Ogris et al., 1999] e residui di folato [Dash et al., 2000]. Gli ultimi due
sono attualmente adoperati nel direzionamento di principi attivi a cellule
tumorali, poiché la maggior parte di esse presenta una sovraespressione
sulla loro superficie di recettori specifici per il folato e per la transferrina.
È stato dimostrato che micelle di dimensioni comprese tra 70 e 100 nm,
formate dai copolimeri anfifilici di PEG e polietileneimina, sono capaci di
direzionare attivamente farmaci, se coniugate con transferrina, a tumori che
30
sovraesprimono il suo recettore [Torchilin, 2004]. Analoghi risultati si sono
ottenuti preparando micelle che espongono sulla loro superficie residui di
folato [Park et al., 2005; Leamon and Low, 2001]. È risaputo infatti che i
carcinomi ovarici, nasofaringei, cervicali e del colon esprimono in maniera
non fisiologica alti livelli di recettori per il folato (FR-α) [Wu et al., 1999].
Sebbene FR-α sia espresso anche in tessuti normali come la placenta, i
tubuli prossimali dei reni e i plessi corioidei, in condizioni fisiologiche la
sua espressione è ridotta e limitata al versante apicale delle cellule
epiteliali, risultando non direttamente accessibile dal torrente ematico per
sistemi coniugati con residui di folato [Weitman et al., 1992].
3. DIREZIONAMENTO ATTIVO AL SNC
Nonostante i sistemi micellari possano accumularsi spontaneamente a
livello di un tumore grazie alla elevata e discontinua vascolarizzazione del
tessuto neoplastico, essi possono anche depositarsi in organi del RES quali
il fegato, la milza e i reni [Licciardi et al., 2006a]. Di conseguenza si può
ottenere un’insufficiente concentrazione del sistema terapeutico nel sito
tumorale.
Si è perciò cercato di ottenere un direzionamento attivo ad uno specifico
31
organo o tessuto al fine di diminuire gli effetti collaterali tossici del
principio attivo e potenziarne l’efficacia, riducendo al tempo stesso la quota
di farmaco da somministrare.
Per un possibile direzionamento attivo al SNC si sono avuti esiti molto
interessanti funzionalizzando la superficie dei sistemi colloidali con
tensioattivi idrofili come i Polisorbati 20, 40, 60 e 80, capaci di interagire
con l’endotelio cerebrale [Kreuter et al., 1997].
Una delle interpretazioni di tale interazione ritiene che ciò sia dovuto
all’adsorbimento di proteine plasmatiche come le apolipoproteine (Apo)
sulla superficie di sistemi rivestiti con Polisorbato (PS), quando questi
vengono somministrati per endovena. Luck [Luck, 1997] osservò infatti
l’adsorbimento di Apo E sulla superficie di nanoparticelle rivestite con
Polisorbato 20, 40, 60 e 80 in plasma umano.
Le Apo sono proteine anfipatiche in grado di legare i lipidi e sono
costituenti delle lipoproteine, aggregati molecolari deputati al trasporto di
colesterolo e trigliceridi nel sangue. L’apo E in particolare, interagendo con
un tipo di lipoproteine, le lipoproteine a bassa densità (Low Density
Lipoproteins, LDL), forma un complesso che viene riconosciuto da uno
specifico recettore, il quale è espresso copiosamente sul versante luminale
delle cellule endotelial
recettore e del complesso
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
[Dehouck et al., 1994; Meresse et al., 1989
In uno studio
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS
attraversare la BEE per interazione di tali s
successiva endocitosi mediata d
[Kreuter et al., 2002
delle cellule endotelial
recettore e del complesso
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
Dehouck et al., 1994; Meresse et al., 1989
Figura 6
In uno studio
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS
attraversare la BEE per interazione di tali s
successiva endocitosi mediata d
Kreuter et al., 2002
delle cellule endotelial
recettore e del complesso
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
Dehouck et al., 1994; Meresse et al., 1989
Figura 6. Processo di endocit
In uno studio condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS
attraversare la BEE per interazione di tali s
successiva endocitosi mediata d
Kreuter et al., 2002].
delle cellule endoteliali che formano la BEE. In seguito all’interazione del
recettore e del complesso LDL
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
Dehouck et al., 1994; Meresse et al., 1989
Processo di endocit
condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS
attraversare la BEE per interazione di tali s
successiva endocitosi mediata d
].
32
i che formano la BEE. In seguito all’interazione del
LDL-Apo E
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
Dehouck et al., 1994; Meresse et al., 1989
Processo di endocitosi in seguito al legame dell’Apo
condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS
attraversare la BEE per interazione di tali s
successiva endocitosi mediata dal recettore
i che formano la BEE. In seguito all’interazione del
Apo E, si assiste ad un processo di
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
Dehouck et al., 1994; Meresse et al., 1989].
osi in seguito al legame dell’Apo
condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS
attraversare la BEE per interazione di tali sistemi con l’Apo E e per
al recettore del complesso così formato
i che formano la BEE. In seguito all’interazione del
si assiste ad un processo di
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi
osi in seguito al legame dell’Apo
condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
polibutilcianoacrilato (PBCA), aventi in superficie il PS80, erano
istemi con l’Apo E e per
del complesso così formato
i che formano la BEE. In seguito all’interazione del
si assiste ad un processo di
endocitosi che garantisce al SNC il corretto apporto di lipidi (Figura 6
E con le LDL
condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
, erano capaci
istemi con l’Apo E e per
del complesso così formato
i che formano la BEE. In seguito all’interazione del
si assiste ad un processo di
Figura 6)
E con le LDL
condotto da Kreuter si osservò che nanoparticelle di
capaci di
istemi con l’Apo E e per
del complesso così formato
33
Numerosi studi in vivo hanno dimostrato che il PS80 presente sulla
superficie delle nanoparticelle costituisce un sito di legame per le Apo B e
le Apo E. Le nanoparticelle diventano così in grado di interagire con il
recettore per le LDL, prima di essere internalizzate dalle cellule endoteliali
del microcircolo cerebrale attraverso un processo di endocitosi mediata da
recettore [Kreuter et al., 1995; Alyautdin et al., 2001]. Appare evidente
perciò che le nanoparticelle rivestite con PS80 mimano le LDL adsorbite
sull’Apo E, proteina che è molto espressa nei tumori cerebrali [Murakami
et al., 1988].
Molecole attive come la dalargina e la loperamide furono incorporate in
nanoparticelle per essere veicolate al SNC [Schroeder et al., 1998;
Alyautdin et al., 1997]. Dopo somministrazione queste sostanze bioattive
non esibivano però alcuna azione terapeutica, in quanto non diffondevano
attraverso la BEE. Quando invece i due farmaci erano adsorbiti sulla
superficie di nanoparticelle di PBCA rivestite con PS80, si osservava un
pronunciato effetto analgesico 45 minuti dopo la somministrazione. Il
meccanismo alla base del trasferimento di tali nanoparticelle all’interno del
SNC rimane tuttavia non completamente chiarito.
In seguito a studi condotti successivamente, è stato proposto un probabile
34
effetto tossico delle nanoparticelle di PBCA funzionalizzate con PS80 nei
confronti della BEE: venne ipotizzato che questi sistemi aprissero le
giunzioni serrate tra le cellule endoteliali del microcircolo cerebrale, dando
luogo ad una traslocazione paracellulare [Olivier et al., 1999]. Studi in
vitro e in vivo condotti da Kreuter non hanno evidenziato alcuna
distruzione della BEE determinata dalla presenza di nanoparticelle di
PBCA rivestite con PS80, dal momento che la permeabilità di markers
extracellulari, come glucosio e inulina, non veniva modificata dalla
presenza di tali sistemi colloidali [Kreuter et al., 2003]. Ciò indicava
dunque il mantenimento dell’integrità delle vie paracellulari.
Nanoparticelle di PBCA rivestite con PS80 sono state recentemente
proposte come possibili carriers per il rilascio nel SNC del fattore di
crescita neuronale (NGF) [Abdel Wahab et al., 2005]; quest’ultimo è
essenziale per la sopravvivenza delle cellule gangliari periferiche e dei
neuroni colinergici centrali e, nonostante la sua impossibilità
nell’attraversare la BEE, la sua efficacia nel prevenire le patologie
neurodegenerative potrebbero renderlo idoneo al trattamento di malattie
come il morbo di Alzheimer e la malattia di Huntington. E’ stato
dimostrato infatti che la somministrazione sistemica a ratti di nanoparticelle
35
di PBCA, rivestite con PS80 e su cui veniva fatto adsorbire NGF,
annullavano con successo l’amnesia acuta indotta da scopolamina,
favorendo il ritorno della memoria.
Sono stati quindi proposti diversi meccanismi per spiegare il trasporto del
sistema nanoparticella-farmaco attraverso la BEE [ Kreuter 2001; Kreuter,
2004]; tra questi i più probabili risultano essere:
1) la realizzazione di un gradiente di concentrazione, che migliora la
diffusione passiva del principio attivo grazie al legame delle
nanoparticelle con la superficie interna dei capillari del cervello e
permette l’accumulo del farmaco;
2) l’uptake del carrier colloidale da parte delle cellule endoteliali
mediante endocitosi o transcitosi.