Le Persone e Le Cose

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Libro "Le persone e le cose" di Roberto Esposito.

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  • LDB

  • Roberto Esposito

    Le persone e le coseEinaudi

  • IntroduzioneSe c un postulato che sembra organizzare

    lesperienza umana fin dai suoi primordi, quello della divisione tra persone e cose.Nessun altro principio ha una radice altret-tanto profonda nella nostra percezione, eanche nella nostra coscienza morale, quantola convinzione che non siamo delle cose dalmomento che le cose sono il contrario dellepersone. Eppure ci che ci appare unevid-enza quasi naturale lesito di un lunghis-simo processo di disciplinamento che ha per-corso la storia antica e moderna modifican-done i contorni. Quando nelle Istituzioni ilgiurista romano Gaio individua nelle personee nelle cose le due categorie che, insieme aquella delle azioni processuali, costituisconola materia del diritto, non fa che conferirevalenza giuridica a un criterio ampiamentediffuso. Da allora esso, riprodotto in tutte le

  • codificazioni moderne, diventato il presup-posto che fa da sfondo implicito a ogni altraargomentazione di carattere giuridico, maanche filosofico, economico, politico, etico. Ilmondo della vita risulta tagliato da uno spar-tiacque che lo divide in due zone definitedalla loro opposizione reciproca. O si al diqua di esso, tra le persone, o di l, tra le cose,senza nessun segmento intermedio che possacongiungerle.

    Eppure gli studi antropologici raccontanouna storia diversa, ambientata in societ incui persone e cose fanno parte del medesimoorizzonte al punto non solo di interagire, madi integrarsi a vicenda. Pi che meri stru-menti, o oggetti di propriet esclusiva, lecose costituiscono il filtro attraverso il qualeuomini, non ancora modellati dal dispositivodella persona, entrano in relazione tra loro.Connessi in una pratica che precede la seg-mentazione della vita sociale nei linguaggiseparati della religione, delleconomia, del

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  • diritto, essi vedono nelle cose degli esseri an-imati in grado di influire sul proprio destinoe dunque meritevoli di cura particolare. Percogliere il profilo di queste societ nonbisogna guardarle dal lato delle persone nda quello delle cose, ma dallangolo divisuale del corpo. proprio questo, infatti, illuogo sensibile in cui le cose sembrano inter-agire con le persone, fino a divenirne unasorta di prolungamento simbolico e mater-iale. Per averne unidea, possiamo riferirci aci che oggi significano per noi alcuni oggettidellarte o della tecnica, apparentemente dot-ati di una vita propria che per certi versicomunica con la nostra.

    Gi questo accostamento fra societ ar-caiche ed esperienza contemporanea unariprova di come nella storia nulla scompaiasenza lasciare tracce, pur riproducendosi inmodalit spesso incomparabili. Non solo, maanche del fatto che lorizzonte moderno, ge-neticamente costituito alla confluenza tra

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  • filosofia greca, diritto romano e concezionecristiana, non esaurisce larco dei possibili.Ci che, nellepoca del suo tramonto, sembraprofilarsi una incrinatura del modellodicotomico allinterno del quale il mondodelle cose stato a lungo contrapposto, e sot-toposto, a quello delle persone. Quanto pigli oggetti tecnici incorporano, con il sapereche li ha resi fungibili, una sorta di vita sog-gettiva, tanto meno possibile schiacciarli inuna funzione esclusivamente servile. Allostesso tempo, attraverso luso delle biotecno-logie, quelle che un tempo apparivano mon-adi individuali, possono includere dentro dis elementi provenienti da altri corpi eperfino materiali inorganici. In questo modoil corpo umano diventa il canale di transito eloperatore, certo delicatissimo, di unarelazione sempre meno riducibile a una lo-gica binaria.

    Ma prima di rintracciare nel punto di vistadel corpo un diverso sguardo su cose e

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  • persone, bisogna ricostruire le coordinate dilungo periodo che hanno compresso, eancora comprimono, lesperienza umana en-tro tale binomio escludente. Anche perch atrovarsi esclusa stata proprio la dimensionedel corpo. Naturalmente non sul piano dellaprassi, che ha sempre ruotato intorno a esso,n su quello del potere, misurato propriodalla diversa facolt di padroneggiarne leprestazioni. Ma certo su quello del sapere,soprattutto giuridico e filosofico, che, nelcomplesso, ha teso a rimuovere la specificitdel corpo. Non rientrando n nella categoriadi persona n in quella di cosa, questo ha os-cillato a lungo tra luna e laltra senza trovareuna stabile collocazione. Se la persona, nellaconcezione giuridica romana come pure inquella, teologica, cristiana, non ha mai coin-ciso con il corpo vivente che la incarnava,anche la cosa stata in qualche modo decor-poreizzata, risolta in idea o in parola dallatradizione filosofica antica e moderna. In

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  • entrambi i casi come se la divisione di prin-cipio tra persona e cosa si fosse riprodotta inciascuna delle due, separandole dal loro con-tenuto corporeo.

    Quanto alla persona, gi il termine grecoda cui proviene d ragione dello scarto neiconfronti del corpo vivente. Come lamaschera non aderisce mai completamenteal viso che ricopre, cos la persona giuridicanon coincide con il corpo delluomo cui siriferisce. Se nella dottrina giuridica romanaessa indica, anzich lessere umano in quantotale, il suo ruolo sociale, in quella cristiana situata in un nucleo spirituale irriducibilealla dimensione corporea. Colpisce come ciche possiamo ben definire dispositivo dellapersona, nonostante le sue metamorfosi in-terne, non si liberi mai di questa frattura ori-ginaria. Posta dal diritto romano allinternodel genere umano tagliato da soglie di per-sonalit decrescenti che dallo stato del paterarrivano a quello, reificato, dello schiavo ,

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  • essa situata dalla dottrina cristiana nelladistinzione tra anima e corpo e dalla filosofiamoderna nella differenza tra sostanzapensante e sostanza estesa. In ciascuno diquesti casi, diversamente, il bios vienesezionato in due zone di differente valore,una delle quali subordinata allaltra.

    Quello che ne risulta una dialettica, divolta in volta rielaborata in forme nuove, trapersonalizzazione e depersonalizzazione. persona, a Roma, chi possiede, fra le altrecose, esseri umani anchessi schiacciati sulregime della cosa, come sono non solo glischiavi, ma, con diversa gradazione, tutti gliindividui alieni iuris, non padroni di sestessi. Una relazione di dominio che si ripro-duce, nella filosofia moderna fino a Kant eoltre, nella scomposizione dellidentit sog-gettiva in due nuclei asimmetrici, luno des-tinato a dirigere laltro secondo il proprio in-flessibile giudizio. Non sorprende che in taleconcezione luomo sia considerato un

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  • composto di razionalit e animalit, qualific-abile come persona solo nella misura in cui in grado di dominare lanimale che lo abita.Che questo coincida con la sfera del corpo,naturalmente soggetto a istinti e passioni, dragione della sua esclusione dallessenza pie-namente umana delluomo. Anche se quelloche viene escluso, perch estraneo al bi-nomio tra persona e cosa, proprio lele-mento che consente il transito dalluna allal-tra. Come hanno potuto, infatti, intere gen-erazioni di uomini, ridurre altri esseri umaniallo stato di cose, se non asservendone integ-ralmente il corpo alla propria volont?

    Ma questo non che il primo vettore dellaricostruzione genealogica qui delineata. Aesso se ne incrocia un altro, opposto e com-plementare, che gli fa da contrappunto. Alprocesso di depersonalizzazione delle per-sone corrisponde quello di derealizzazionedelle cose. Lepicentro, tematico e teoretico,del libro costituito dal nodo che collega le

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  • due categorie delle persone e delle cose nelmedesimo esito dissolutivo. Per coglierne ilsenso non bisogna perdere di vista il para-dossale incrocio tra unit e divisione che fadelluna il luogo di effettuazione dellaltra.Persone e cose sono assimilate, pur nel lorocontrasto, dalla medesima scissione che ledivide. Nei protocolli costitutivi del nostrosapere, infatti, le cose vengono investite dauna separazione simile a quella che taglia lepersone, cos da perdere progressivamente laloro sostanza. Se gi il diritto guarda allecose dal punto di vista formale dei rapportidi appartenenza, astraendo dai loro conten-uti materiali, la metafisica produce un ana-logo effetto di scarnificazione. La cosa vienedivisa da se stessa non appena la si radica inunidea trascendente, come fa Platone, oanche in un fondamento immanente, comevuole Aristotele. In ognuno dei casi, anzichcoincidere con la propria esistenza singolare,la cosa viene sospesa a unessenza che la

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  • oltrepassa, sia che questa venga posta fuoridi essa sia che venga situata al suo interno.Perfino Hegel, in un differente orizzontedialettico, afferma la cosa sullo sfondo delsuo negativo. quellimplicazione tra entee ni-ente conseguente alla riduzionemoderna della cosa a oggetto cuiHeidegger assegna il nome di nichilismo.

    Anche il linguaggio, allorch nomina lacosa, determina un pari effetto di scor-porazione. Trasformandola in parola, esso lasvuota di realt e ne fa un puro segno. Nonsolo il nome della rosa non coincide con larosa reale, ma ne annulla la concretezza sin-golare in un significante generale. In questoesito dissolutivo c qualcosa di pi dellafrattura che Foucault ha visto aprirsi tra pa-role e cose allorigine dellepoca moderna eche ha piuttosto a che fare con la forma in-trinsecamente negativa della lingua umana.Questa pu dire la cosa solo negandone lapresenza reale, trasferendola su un piano

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  • immateriale. Se, con un ampio giro di com-passo, dal terreno della lingua si passa aquello delleconomia, si assiste a un processonon troppo dissimile. La riduzione della cosaa merce, in prodotto di consumo e poi daquesto in materiale di scarto, determina uneffetto altrettanto dissolvente. Moltiplicatain una produzione tendenzialmente illimit-ata, la cosa perde la propria singolarit, di-venendo equivalente a infinite altre. Unavolta allineata in uno stock di oggetti inter-scambiabili, essa pronta a essere sostituitada un esemplare identico, e poi, quando nonserve pi, distrutta. Anche chi, a partire daBenjamin, vede nella riproducibilit tecnicauna liberazione della cosa dalla sua auratradizionale, non pu nascondere leffetto diperdita che essa determina nei confronti dichi la possiede.

    La tesi delle pagine seguenti che lunicamaniera per sciogliere questo nodo metafis-ico tra cosa e persona di accostarsi a esso

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  • dal punto di vista del corpo. Non coincid-endo n con la persona n con la cosa, ilcorpo umano apre un angolo di visuale ester-no alla scissione che luna proietta sullaltra.Si gi fatto riferimento a societ arcaicheconnotate da tipi di scambio diversi daquello mercantile. Ma non certo a esse aun passato irrevocabilmente perduto che illibro guarda. Lepoca moderna, n sul pianodel potere n su quello del sapere, super-abile allindietro. Il confronto che si apre semmai con una linea di pensiero che,dallinterno della modernit, percorre unatraiettoria diversa da quella, vincente, che vada Descartes a Kant. I nomi di Spinoza eVico, e poi quello, solitario, di Nietzsche rim-andano a una relazione con il corpo sottrattaalla dicotomia cartesiana tra res cogitans eres extensa e tesa a farne il luogo peculiare diunificazione della nostra esperienza indi-viduale e collettiva.

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  • In questa prospettiva il corpo non soloricostruisce la relazione tra persone e cosespezzata dalla grande divisione gaiana, maripercorre allinverso quel transito modernodalla res allobiectum che ha finito persvuotare la cosa dallinterno. Il segmento difilosofia novecentesca che rilegge il rapportofra cose e persone attraverso il filo del corpo la fenomenologia, soprattutto francese. Peressa il corpo delluomo ha una duplice fun-zione. Intanto di riempire lo iato, allinternodellessere umano, tra logos e bios prodottodal dispositivo separante della persona. E poiquella di restituire alloggetto intercambi-abile il suo carattere di cosa singolare. Daquesto lato come se, a contatto con il corpo,le cose acquistassero esse stesse un cuore chele riconduce al centro della nostra vita. Se lesottraiamo a un destino seriale e le reinseri-amo nel loro sfondo simbolico, ci accorgiamoche fanno parte di noi non meno di quantonoi siamo parte di esse. La tecnica biologica

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  • dellimpianto e del trapianto, che oggi im-mette nel corpo dellindividuo frammenti dicorpi altrui, o addirittura cose in forma dimacchine corporee, significativa di unatrasformazione che travolge i confini propri-etari della persona. Contro ogni prospettivanostalgicamente reattiva, bisogna vedere inquesta antropotecnica, cio nella nostra ca-pacit di modificare noi stessi, oltre che unpossibile rischio, una risorsa decisiva perlanimale costitutivamente tecnologico chefin dallorigine noi siamo.

    Ma, riportato al suo significato polivalente,il corpo umano ritrova anche una funzionepolitica, oggi divenuta assolutamente cent-rale. Naturalmente la politica ha sempreavuto un rapporto privilegiato con il corpodei singoli e delle popolazioni. Ma ci chefino a un certo momento passava per unaserie di filtri categoriali e mediazioniistituzionali si fa materia diretta delle nuovedinamiche politiche. La vita biologica, pi

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  • che semplice orizzonte, sempre pi insiemesoggetto e oggetto di potere. il passaggiocruciale cui Michel Foucault ha assegnatoprima di altri il nome di biopolitica, al-ludendo proprio al ruolo preminente assuntoin esso dal corpo. Non solo lindividuo, chenellepoca moderna era limitato alla nozioneformale di soggetto di diritto, tende a coin-cidere con la sua dimensione corporea. Maanche il popolo entra in un rapporto ineditocon una corporeit fatta di bisogni, desideri,necessit che riguardano la vita biologica intutti i suoi registri. In questo senso il corpodiventa sempre pi la posta in gioco di in-teressi contrastanti di carattere etico, giur-idico, teologico. E dunque epicentro di con-flitto politico. Ma ci, questo nuovo rilievodel corpo, pu determinare conseguenze di-verse e anche opposte di tipo escludenteoppure inclusivo. Se, schiacciato sulla sua di-mensione razziale, esso stato loggetto diunesclusione arrivata ai limiti

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  • dellannientamento, nella sua figura collet-tiva pu divenire operatore di ricomposiz-ione politica allinterno del popolo e deipopoli.

    Come diversi concetti politici fondament-ali, anche quello di popolo porta dentro di suna dualit costitutiva che tende a separarloda se stesso. Esso da un lato la totalit deicittadini in una forma che vuole coinciderecon la nazione. Ma dallaltro, fin dal demosgreco, nomina anche la sua parte subalternae, in senso proprio, popolare, plebea. Comeil dispositivo della persona, esso include alproprio interno una zona per altri versi es-clusa ed emarginata. Si pu dire che largaparte della storia politica occidentale ruotiintorno a questo margine mobile che al con-tempo unisce e separa i due popoli allin-terno di ogni popolo. Fin dallantica meta-fora dei due corpi del re, si sempre per-cepito, allinterno dellorganismo politico, undislivello fra testa e corpo, re e popolo,

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  • sovranit e rappresentanza che ne as-sicurava la funzionalit. Oggi, nel regime bi-opolitico contemporaneo, tale scarto resoancora pi tangibile dallingresso del corpoin ogni dinamica politica significativa. Lastessa persona del leader come era diver-samente accaduto ai capi totalitari e come inevitabile nella societ dello spettacolo non pi separabile dallesibizione continuadel proprio corpo, in una sovrapposizionemai cos integrale di dimensione pubblica edimensione privata.

    A questo incorporamento biopolitico dellapersona risponde, allaltro polo del quad-rante politico, il corpo, collettivo e imper-sonale, di masse di donne e di uomini chenon si riconoscono pi nei canali della rapp-resentanza. Naturalmente la composizione ditali soggettivit politiche varia a secondadelle situazioni e dei contesti. Ma ci che siintravede, nei movimenti di protesta che oggitornano a riempire le piazze di gran parte del

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  • mondo, linevitabile allargamento degli isti-tuti della democrazia al di l dei suoi confiniclassici e moderni. C, in quelle moltitudini,certo di differente tipo, qualcosa che precedeanche le loro rivendicazioni, costituita ap-punto dalla pressione congiunta di corpi chesi muovono allunisono. Ci cui essi fannosegno, con un carattere irriducibile al profilodisincarnato della persona, una riunionedelle due parti del popolo che non passi piper lesclusione di una di esse. Il compito cuitali eventi sembrano chiamarci, insomma, la rottura di quella macchina teologico-polit-ica che da tempo immemorabile unifica ilmondo attraverso la subordinazione dellasua parte pi debole. Quanto di tale richiestatrover risposta nei fatti, resta ancora inde-terminato. Sicuro solo che non immagin-abile alcun vero cambiamento delle attualiforme politiche senza una mutazione, altret-tanto profonda, delle nostre categorieinterpretative.

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  • Le persone e le cose

  • Capitolo primoPersone

    1. Possesso.Da tempo immemorabile la nostra civilt

    si basa sulla divisione pi netta fra persone ecose. Le persone sono definite soprattuttodal fatto di non essere cose e le cose dal fattodi non essere persone. Tra le due pare nonesserci nulla, n il suono delle parole n il tu-multo dei corpi. Il mondo stesso sembra ni-ente altro che la faglia naturale attraverso laquale le persone acquisiscono, o perdono, lecose. Il diritto romano con le Istituzioni diGaio pone la tripartizione fra azioni, per-sone e cose a fondamento di tutto lordina-mento giuridico (Inst., I, 8). vero chequesto testo lontano dal rappresentare lin-tera concezione giuridica romana, ma la sua

  • influenza in tutta la modernit stata deci-siva. Poche altre formulazioni hanno eser-citato cos a lungo un simile effetto. Tuttalesperienza umana tagliata da una lineache non prevede altre possibilit. Ogni entitdi cui il diritto si occupa, se non unazione,o una persona o una cosa, secondo una dis-tinzione semplice e chiara cosa la non-persona e persona la non-cosa.

    Tra esse passa una relazione di dominiostrumentale. Nel senso che il ruolo delle cose quello di servire, o comunque di ap-partenere, alle persone. Come cosa ci cheappartiene a una persona, cos gode dellostatuto di persona colui che possiede dellecose, che pu esercitare una padronanza sudi esse. Certo, vi sono cose che non pos-sibile dominare e che anzi in qualche modoci dominano, perch pi potenti di noi, comele forze della natura laltezza dellemontagne, le onde del mare, il tremito dellaterra. Ma in generale le cose sono

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  • considerate taciti schiavi 1 al servizio dellepersone. Esse stanno letteralmente al postodei servi. Se ogni strumento sostieneAristotele, citando un celebre versodellIliade (XVIII, 376) riuscisse acompiere la sua funzione o dietro uncomando o prevedendolo in anticipo [] icapi artigiani non avrebbero davvero bisognodi subordinati, n i padroni di schiavi (Pol.,I, 4, 1253b-1254a). Le cose ci sono necessar-ie. Senza di esse le persone resterebberoprive di tutto ci che serve alla vita. E, in ul-tima analisi, della vita stessa. Perci quelleche si possiedono sono definite beni, il cuiinsieme costituisce ci che, con un rimandoal pater, ancora oggi chiamiamopatrimonio. Ci sarebbe da riflettere sulfatto che lidea di bene coincida con quelladi cosa posseduta bene non una qualcheentit positiva, o anche un modo di essere,ma ci che si possiede 2. una testimonianzadella prevalenza assoluta dellavere

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  • sullessere che caratterizza da tempo la nos-tra cultura cosa non innanzitutto ci cheessa , quanto ci che qualcuno ha. Un pos-sesso su cui nessun altro pu avanzarepretese. Le cose, pur essendo state datealluomo in comune, finiscono sempre nelladisponibilit di un proprietario che pudisporne, usarle e anche distruggerle a suopiacimento. Esse sono nelle mani di chi lepossiede.

    Questultima espressione va intesa nel suosenso pi letterale. La mano che afferra etrattiene uno dei tratti costitutivi dellaspecie umana. Molti animali osservaCanetti afferrano con la bocca armata didenti, anzich con gli artigli o con le zampe.Per gli uomini la mano che non lascia lapresa un vero e proprio simbolo dipotere 3. Quando si parla della nostra manocome dellorgano che umanizza il mondocreando artefatti o suggellando promesse, sitende a trascurare un atto assai pi antico,

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  • che quello della nuda appropriazione. Lacosa innanzitutto di chi la prende. Esserea portata di mano significa, prima che us-abile con facilit, stare in pugno di chi la pos-siede. Per rivendicare lappartenenza contro-versa di una cosa, del resto, nel Foro romanoi contendenti ponevano materialmente unamano su di essa davanti al magistrato. Con-serere manum, incrociare le mani sulla cosacontesa, atto strettamente congiunto aquello della presa materiale su di essa 4. Percompletare il rituale di appartenenza, coluiche si pretendeva proprietario la toccava conla festuca, pronunciando la formula solenne:Dico che questa cosa mia secondo il di-ritto quiritario. Lelemento di proprietprevaleva perfino sullidentit della cosa. Ciche la qualificava essenzialmente non era ilsuo contenuto, quanto il suo essere di qual-cuno e di nessun altro in una forma noncontestabile.

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  • Tale pratica giudiziaria rinviava a unrituale ancora pi antico, in voga nel Lazioprimitivo, associato alla dichiarazione diguerra. Livio racconta che essa era precedutada una richiesta di restituzione delle cose de-tenute in modo illegittimo dallaltro popolo.Res repetere, richiedere le cose, era lultimoavvertimento prima di andare a prenderlecon la forza. Se esse non erano consegnate,dopo linvocazione agli di, arrivava la di-chiarazione di guerra (1, 32, 5-14). La guerrastessa era, in definitiva, fatta sempre per lecose per difendere le proprie o acquisirecon la violenza quelle altrui. A lungo ognialtra pi paziente forma di accrescimentoviene rifiutata e disprezzata. Si costituisceuna sorta di religione statale della guerra:suo scopo laccrescimento pi rapido pos-sibile 5. Per millenni il suo movente prin-cipale stato il saccheggio. Perci nessuncomandante di vecchio stampo avrebbeosato vietarlo ai propri uomini. La cattura

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  • delle cose, del bottino accumulato, a terra, aipiedi del vincitore, ha segnato per un tempoindefinito i rapporti di forza tra gli uomini.La stessa terra la prima cosa di cui leser-cito invasore simpossessa calpestandola,conquistandola, confinandola. La vittoriamilitare arride a chi riesce, alla fine, ad ap-propriarsi di un dato territorio, su cui pi-antare una bandiera diversa da quella che untempo vi sventolava. Da quel momento tuttele cose incluse in esso sono preda del nuovopadrone.

    Il rapporto fra guerra e propriet precededi molto quello definito giuridicamente.Anche, e soprattutto, nella patria del diritto,perch a Roma la guerra fu per secoli il solomezzo di acquisire qualcosa alla portata digente senza altre risorse. Essa era il modopi tipico di acquistare propriet, al puntoche per lungo tempo la pirateria stata con-siderata pi onorevole del commercio. Nellasua genesi, la propriet rimanda sempre a

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  • una prima appropriazione. Essa, nella suaforma primordiale, non si trasmette n sieredita si prende. Non per caso il dirittoarcaico pone sullo sfondo la figura del pas-saggio di propriet e anche quello che as-sumer il nome di diritto di successione. Lapropriet non ha nulla dietro di s, se nonlatto che la rende tale 6. Nella Roma pi an-tica non esisteva un delitto di rapina anchele prime donne romane erano state oggettodi un mitico ratto ai danni dei popoli confin-anti. Affermando che i Romani credevanoessenzialmente proprie le cose che sottraev-ano ai nemici (4, 16), Gaio vuol dire che, re-lativamente alla loro acquisizione, diritto eviolenza non sono separati da un limite insu-perabile. Il possibile collegamento etimologi-co tra praedium e praeda sottintende il fattoche il fondo territoriale legato alla praeda-tio. Non per caso gli atti pubblici cheavevano rapporto con la vendita e lacquistoerano contrassegnati da una lancia confitta

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  • nel terreno, a rappresentare la profondit deldiritto acquisito. Rispetto alla sua puntaaguzza, il legno arrotondato del bastone nonera che un simbolo indebolito. Perch qual-cosa divenisse propria in modo inequivoc-abile, doveva essere stata strappata allanatura o ad altri uomini. Proprio, in sensostretto, ci che si prende con la mano,manu captum, secondo il solenne istituto delmancipium. Certo, esiste il trasferimento dipropriet regolato giuridicamente. Ma laprima propriet nasce sempre dalloccu-pazione di uno spazio vuoto o dallimposses-samento di un oggetto senza padrone. Ciche non ancora caduto nelle mani di nes-suno a disposizione di chiunque se ne ap-propri. Il primo proprietario coincide colprimo occupante, cos come un animaleselvaggio appartiene a colui che per primo loha avvistato. Rispetto a questo atto iniziale ilius non ha che un ruolo successivo di garan-zia. Esso protegge il possessore da chi lo

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  • minacci o ne contesti il titolo, rovesciando sudi questi lonere della prova 7.

    Il diritto romano nella sua essenza patri-monialistico. In tal senso ha ragione Jheringquando afferma che alla sua base vi la nudarelazione economica 8. Lo stesso organismostatale, nella misura in cui si pu adoperarequesto termine a Roma, pensato sempre apartire dal diritto privato. perci chemanca una vera teoria della sovranit. Coscome manca una concezione soggettiva deldiritto a rendere qualcuno padrone di unbene, non il titolo giuridico, ma la sua pro-priet effettiva. La vindicatio in rem, cio larivendicazione della cosa, consisteva nel direres mea est, non ius mihi est, a riprovadel fatto che quello tra possessore e cosaposseduta un rapporto assoluto, che nonpassa per altri soggetti. Bench esistano var-ie specie di possesso per acquisto, eredit,donazione il suo archetipo resta la catturadi una res nullius, di una cosa di nessuno. In

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  • questo caso colui che la reclama pro suo noninvoca nessun altro rapporto giuridico, masolo la padronanza della cosa stessa. comese una parte della natura si fosse offertaspontaneamente alla sua presa, cadendogliletteralmente nelle mani. Ci che non era dinessuno ora suo. Egli lo riceve, lo prende,ne gode. Ogni altra appropriazione siriferisce, come prototipo originario, allaprima presa che rende pensabile tutte quelleche la seguono. Essa il nucleo irriducibilecontenuto in ogni riduzione giuridica.

    2. La grande divisione.Le cose conquistate si sottomettono a colui

    che le ha fatte proprie. Ma ci che in questomodo si gioca non solo il rapporto frauomini e cose, ma anche quello tra gliuomini il loro rango, il loro stato, il loropotere. il possesso delle cose, o la loro per-dita, a segnare, dopo una guerra, il vero

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  • discrimine fra vincitori e vinti. Ma anche, intempo di pace, il rapporto di forza che passatra le diverse persone, il loro differente gradodi personalit. Ben diversa, a Roma maoggi non poi cambiato troppo la condiz-ione di coloro che possiedono un patrimoni-um, come i patres, rispetto a quelli che nesono privi. Possedere un patrimonio vuoldire non solo avere le cose compresa quellacosa astratta, destinata ad acquisire tutte lealtre, che la moneta ma anche esercitareun dominio su coloro che ne hanno di meno,o non ne hanno affatto, e perci sonocostretti a mettersi nelle mani deiproprietari.

    In tal modo alla padronanza sulle cose siassocia la disponibilit sulle persone. Gi quiquella che vuole essere una opposizionecostitutiva si manifesta piuttosto come unaimplicazione reciproca. E anzi come il dis-positivo attraverso il quale persone e cose siincastrano in una sorta di chiasma che

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  • proietta sulle une il profilo delle altre. Nonsolo nel senso che il possesso, o meno, dellecose a definire la relazione tra le persone. Maanche in quello che alcune persone sonoridotte allo stato di cose pur restandoformalmente persone. Come afferma Gaiodella summa divisio, le persone a Roma sidividono in liberi e schiavi, i quali hanno cosun doppio statuto di persona, cui appar-tengono sul piano astratto delle denom-inazioni, e di cosa, cui sono in realt assimil-ati. Questa collocazione anfibia non riguardasolo i servi situati tra le res corporales econsiderati strumenti vocali, cose dotate divoce ma anche altre categorie, come mogli,figli, debitori insolventi, sempre in bilico trail regime della persona e quello della cosa.Nessuna di tali figure aveva una reale formadi autonomia, era giuridicamente indi-pendente, sui iuris 9. Ma essere alieni iuris,non appartenenti a se stessi, come tutti col-oro che non erano patres, significava essere

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  • in una dimensione assai prossima a quelladella cosa.

    paradossale che un ordine giuridicofondato sullopposizione frontale tra personee cose producesse un continuo slittamentodalle une alle altre, schiacciando alcuni es-seri umani nellorizzonte degli oggetti inan-imati. Naturalmente la reificazione del ser-vus non esclusiva di Roma, se gi per Aris-totele anche lo schiavo un oggetto di pro-priet animato e ogni servitore come unostrumento che ha precedenza sugli altri stru-menti (Pol., I, 4, 1253b). Ma questo transitocontinuo fra persone e cose non solo unaprocedura funzionale, ma la base stessa deldiritto romano. Se si analizzano i rituali diriduzione in schiavit, o quelli di cessione diun figlio da parte del padre a un altro padre-padrone, si riconosce in tutta la sua efficaciaperformativa questo dispositivo combinatodi personalizzazione e depersonalizzazione.Come per una sorta di inversione

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  • proporzionale, alla personalizzazione degliuni corrisponde immancabilmente la deper-sonalizzazione di altri, sottomessi ai primi.Quanti pi esseri umani ciascuno riesce aimmettere sul piano inclinato della cosa,tanto pi solidamente acquisisce il titolo dipersona. Si prenda il caso del dominio pienoe incontrollato esercitato dal creditore suldebitore insolvente, ridotto in suo possessoda vivo e da morto, al punto che anche il suocadavere poteva essere negato ai parenti elasciato insepolto. La somma dovuta era inquesto modo sostituita dal corpo del deb-itore, che diveniva perci oggetto di qualsiasiingiuria o violenza da parte del creditore.Mai come in quel caso il rapporto interper-sonale si tramutava in quello fra chi poten-ziava la propria persona e chi precipitavanellinferno della cosa. Come osserva in pro-posito Nietzsche, il sentimento dellob-bligazione personale ha avuto la propriaorigine nel pi antico e originario rapporto

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  • tra persone che ci sia, nel rapporto tra com-pratore e venditore, tra creditore e debitore:qui per la prima volta si pose persona difronte a persona, qui, per la prima volta, simisur persona con persona 10.

    La sostituzione del debito inevaso colcorpo del debitore lascia intravedere un as-petto finora coperto dalla relazione a due trapersone e cose. Ad articolarle tra loro proprio lelemento che sembra esclusodallorizzonte del diritto, cio il corpo. ilsuo uso e abuso a determinare, attraverso lapersonalizzazione degli uni, la reificazione dialtri. Come si esprime Simone Weil in unadelle pi appuntite critiche della nozione dipersona, a Roma la propriet era definitadal diritto di usare e di abusare. E in effetti lamaggior parte di quelle cose di cui il propri-etario aveva il diritto di usare e di abusareerano esseri umani 11. Sul piano normativoil corpo vivente non godeva di nessuno stat-uto giuridico proprio, essendo assimilato in

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  • linea di principio alla persona che lo in-carnava. Esso non poteva essere oggetto dinegozio o di sfruttamento nemmeno daparte della persona che lo abitava, visto che,secondo Ulpiano (9, 2, 13), dominus mem-brorum suorum nemo videtur, nessuno padrone delle proprie membra. In realt, incontrasto con tale condizione giuridicamenteprotetta, il corpo svolge un ruolo di primo pi-ano nella definizione delle relazioni socialiromane. macchina di lavoro, strumento digodimento, oggetto di dominio. Misura ilpotere esercitato dagli uni nei confronti deglialtri. il bersaglio mobile su cui si accumulail piacere e si scarica la violenza, spesso inmaniera congiunta e direttamente pro-porzionale. Tuttaltro che coincidente con lapersona, come vogliono i codici, esso spesso il canale di transito da questa allacosa. Lapparente ineluttabilit di tale slit-tamento dalluna allaltra, precisamente nelsistema giuridico che ne aveva teorizzato

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  • lassoluta diversit, lascia senza fiato: aRoma nessuno resta tutta la vita, dalla nas-cita alla morte, persona tutti transitano, al-meno per un certo periodo, per una condiz-ione non lontana da quella della cosaposseduta.

    Del resto tale scarto parte integrantedella categoria di persona fin dalla sua re-mota genesi. noto che letimologia grecadel termine rimanda alla maschera teatrale,poggiata sul volto dellattore, ma proprioperci mai coincidente con esso. Lo stessopersonaggio sempre diverso dallattore chedi volta in volta lo interpreta. come se il di-ritto riproducesse questo elemento di dupli-cit, di doppiezza, allinterno delluomo. Per-sona non luomo in quanto tale, ma solt-anto il suo status giuridico, che varia in baseai rapporti di forza con gli altri uomini nona caso i romani, alludendo al proprio ruolo,usavano la locuzione personam habere. Per-sona non si , ma si ha, come una facolt che,

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  • proprio perci, si pu anche perdere. Eccoperch, diversamente da quanto comune-mente si suppone, il paradigma di personaproduce non ununione ma una separazione.Esso separa non solo gli uni dagli altri,secondo determinati ruoli sociali, ma ancheil singolo individuo dalla propria entit bio-logica. Egli, essendo altro dalla maschera cheindossa, sempre esposto a una possibile de-personalizzazione, definita capitis diminutio,che pu arrivare fino alla completa perdita diidentit personale. Si potrebbe dire che lacategoria di persona ci che rende unaparte del genere umano, ma anche di ogniuomo, soggetta allaltra.

    A riprova della lunghissima durata diquesto dispositivo romano 12, si consideriche perfino il personalismo novecentesco,mosso dallobiettivo di rifondare i dirittiumani, ne riproduce il nocciolo paradig-matico vale a dire la separazione fun-zionale del soggetto dalla propria

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  • dimensione corporea. Come ha sostenuto ilfilosofo personalista Maritain, persona untutto signore di se stesso aggiungendoche, per essere tale, persona a tutti gli effetti,esso deve avere il pieno dominio della pro-pria parte animale. Luomo persona se, esolamente se, padrone assoluto dellani-male che lo abita 13. Naturalmente non tuttihanno la stessa attitudine alla propria dean-imalizzazione. Dalla sua maggiore o minoreintensit deriva il grado di umanit riconos-ciuto a ciascuno. E dunque anche la differ-enza di principio tra chi pu essere definitopersona e chi non lo pu. Tra chi personacomunque e chi lo solo a certe condizioni.In questo modo la scissione interna al sin-golo uomo si riproduce in quella del genereumano nel suo complesso. Lintera civilt gi-uridica fondata sul ius romano ne porta den-tro unimpronta ben visibile. Come si de-sume dal celebre trattato di Joseph PothierDes personnes et des choses, ancora nel XVIII

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  • secolo gli esseri umani sono separati in cetinon troppo diversi dalle categorie romane,secondo la gradazione che va dallo schiavo alnobile 14. A lungo quelle differenze giuridi-che sono state intese come vere e propriesoglie antropologiche, indicative di un di-verso grado di umanit. Basti pensare alfatto che listituto della schiavit, che oggi cipare affondare nelle tenebre di un remotopassato, stato abolito soltanto da meno didue secoli. Per riprodursi, come ben sap-piamo, in altre forme, tuttora diffuse, dischiavit di fatto. Il concetto di persona, chein linea di principio dovrebbe comportareluniversalizzazione di diritti inalienabili, stato a lungo adoperato per escludere alcunetipologie umane dai benefici accordati adaltre. Per farne delle persone-cose da usare edistruggere. Lunica differenza che passa trala schiavit romana, da un certo momento inpoi moderata da istituti protettivi, e quellaattuale sta nellefferatezza di questa. Tra uno

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  • schiavo frustato a morte nelle provincedellimpero, nellAlabama del XIX secolo oalle coste di Lampedusa, levento pi rac-capricciante resta di gran lunga lultimo.

    3. Due in uno.Si detto che il corpo, proprio perch

    privo di un peculiare stato giuridico,costituisce il tramite di passaggio dalla per-sona alla cosa. Non essendo investito inquanto tale dal diritto, esso oscilla tra le duedimensioni, consentendo la traduzionedelluna nellaltra. Ci vale per il genereumano nel suo complesso, tagliato da soglieantropologiche di separazione ed esclusione.Ma anche per il singolo individuo, diviso indue zone di differente valore, luna di naturarazionale o spirituale e laltra corporea. Taleesito leffetto performativo del dispositivodella persona. Ne abbiamo riconosciuto unaprima matrice nel diritto romano. Laltra fa

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  • capo al dogma cristiano dellIncarnazione diCristo. A prima vista labisso culturale che lesepara pu fare apparire improprio ogni ac-costamento. Ma se si distoglie lo sguardodagli scenari storici di primo piano, perrivolgerlo ai paradigmi che li sottendono,sintravedono delle omologie sorprendenti.Proprio in merito alla categoria di persona, ipunti di accostamento sono evidenti. Comesi siano incrociate le sue due concezioni quella giuridico-romana e quella teologico-cristiana questione complessa sulla qualela letteratura non sempre concorde. Se al-cuni interpreti rilevano linfluenza dellaprima sulla seconda, altri rovesciano il rap-porto. La questione, allinterno della con-cezione cristiana, resa ancora pi intricatadallintreccio che, nel termine persona, sidetermina fra la dottrina della Trinit equella dellIncarnazione. Gi in Tertulliano,il primo a tentare una sistemazione organicadella nozione, resta unevidente discrepanza:

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  • se nella Trinit la categoria di persona simoltiplica per tre, nellIncarnazione di Cristosi divide in due.

    Detto questo, e senza addentrarci nellecomplesse dispute patristiche, tra sfera giur-idica e sfera teologica resta una simmetria difondo. Per entrambe al centro del dispositivovi non soltanto la necessit di articolare fraloro unit e divisione, ma la subordinazioneconseguente di una parte della vita umananei confronti dellaltra. In questo senso hopotuto sostenere che diritto romano e teolo-gia cristiana costituiscono i due assi portantidi una macchina teologico-politica destinataa segnare per almeno due millenni la con-cezione occidentale del potere 15. Lasciandosullo sfondo questa questione, resta la cent-ralit che in essa gioca il concetto di personacome operatore di uno sdoppiamento dellor-ganismo vivente. Se nel diritto romano lascissione investe lintero genere umano, sep-arandolo in zone di differente rango, nella

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  • teologia cristiana taglia, differenziandola,lidentit del singolo individuo. Vero che,diversamente da quanto accade a Roma, peril cristianesimo ogni uomo in linea di prin-cipio persona, a immagine e somiglianza delsuo creatore. Ma tale appunto perch di-viso in due nature, luna spirituale e laltracorporea, questultima sottomessa allaprima. In tal modo si passa da una divisionefunzionale tra uomo e persona, come quellagiuridica romana, a una divisione di car-attere ontologico, allinterno del compostouomo-persona, tra le due sostanze che loformano.

    Tale bipolarit asimmetrica, tra due ambitiforniti di differente valore, riconoscibile,con differenti accenti, in tutti gli autori cristi-ani. cos in Agostino, che subordinanettamente la dimensione carnale a quellaincorporea. Bench necessario allesistenzadelluomo, tuttavia il corpo ne costituisce laparte inferiore e degradata. Al punto che

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  • lesigenza di sopperire ai suoi bisogni puben essere definita una malattia (Trin.,XI, 1, 1). Pur se nel corso della sua opera itoni di Agostino non restano gli stessi, la su-premazia dellanima sul corpo non viene maimessa in discussione. Essa trova la suaradice nella differenza insuperabile che, ginella persona di Cristo, subordina lelementoumano a quello divino. Secondo un trattotipico del dispositivo teologico-politico, sitratta anche in questo caso di uninclusioneescludente non lontana, nei suoi effetti, daquella giuridica. Ancora qui la persona ilcostrutto attraverso il quale due realt di di-versa natura si integrano in una forma chesubordina luna alla prevalenza dellaltra.Agostino non esita a fissare una sorta di ana-logia formale tra luso che Dio fa delluomonella persona di Cristo e quello che,nelluomo, lanima fa del corpo (Ep., 137).

    Nonostante differenze anche sensibili, sitratta di un primato dellanima sul corpo

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  • mai posto in dubbio da nessuno dei classicicristiani. Perfino per Tommaso, che puretende a temperare il dualismo agostinianocon il ricorso a categorie aristoteliche, la per-sona resta lambito entro il quale la ragioneesercita il pieno dominio dei propri atti(ST., I, q. 29, a.1). Quello che in Agostino solo un uso, qui assume il carattere di unpieno dominio. Lintero lessico dei Padri sicostituisce in una configurazione binaria chetrova unit solo nella sottomissione dellaparte inferiore. Le due citt di Agostino necostituiscono larchetipo teologico-politicoda cui tutti gli altri modelli in qualche mododerivano. Esse mettono in scena, su un pianocosmico-storico, lo stesso conflitto che, inogni persona, oppone le finalit dellanima aquelle del corpo. Soltanto quando avremovinto la battaglia contro il nostro stessocorpo, la citt di Dio prevarr su quelladelluomo. Lintera storia interpretata daAgostino come lo scontro senza tregua fra i

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  • due elementi, umano e divino, corporeo espirituale, che costituiscono, nel loro dissi-dio, lunit ancipite della persona. Finquando la guerra non sar finita, fin quandole potenze del bene non avranno soggiogatoquelle del male, lo scontro rester aperto elUno rimarr ostaggio del Due.

    Due sono anche i corpi del re che nelgrande affresco di Ernst Kantorowicz sullateologia politica medievale compongono lapersona regale 16. Alla sua base vi lanalogiache lega lorganismo umano alla doppianatura di Cristo, trasferita sul piano ec-cezionale della sovranit. Come la persona diCristo ha due sostanze, una mortale e laltraeterna, anche il re unisce, in ununica per-sona, due corpi il primo transeunte e ilsecondo immortale, trasmissibile senzasoluzione di continuit dinastica ai proprisuccessori. La semantica del corpo, caratter-istica dellInghilterra elisabettiana, rispetto aquella della persona, pi tipica del

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  • continente, non segna una differenza ril-evante rispetto al funzionamento del dispos-itivo. Allo stesso modo in cui la persona, siagiuridica che teologica, ingloba al suo inter-no una parte inferiore, cos il corpo politicodel re incorpora quello umano, conservandola propria incommensurabile alterit. Anchein questo caso, come nella persona, larelazione tra le due componenti ha il car-attere di ununione disgiuntiva. Esse, congi-unte nellunit della corona, divergono almomento della morte, quando uno dei duecorpi viene meno ed sostituito da un altro,diverso dal primo. Ma, come appunto animae corpo allinterno di ogni uomo, essi pos-sono collidere anche in vita, quando il revenga meno ai suoi doveri e si faccia trascin-are dai propri istinti. Allora un corpo pu es-sere contrapposto allaltro non solo daparte del sovrano, ma anche delle forze chegli si oppongano. Kantorowicz ricorda che,durante la rivoluzione, il Parlamento chiam

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  • a raccolta il popolo inglese in nome del corpopolitico del re Carlo I contro il suo corpo nat-urale, poi decapitato senza danni per ilprimo.

    Ci che la letteratura elisabettianapresenta nella forma di una macchinametafisica destinata a perpetuarsi nel tempopu anche esplodere nella tragedia dellas-soluta separazione. Il Riccardo II diShakespeare 17 ne costituisce lo scenario pivivido. Nella sua rappresentazione quello che uno sdoppiamento funzionale si sgrana inuna molteplicit indomabile. Il processo didecadenza dalla regalit divina al Nomedella regalit; e dal nome alla nuda miseriadelluomo 18 scandito da una serie di dis-integrazioni successive. Dalla triplice figuradel Re, del Matto e del Dio si passa a una fasein cui il corpo umano inizia a prevalere suquello politico al punto che la stessa regal-it viene a significare morte, nientaltro chemorte 19. come se, nella sua trasposizione

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  • tragica, la scissione della persona regale pre-valesse tanto sullunit da disperderne ancheil ricordo. Essa ormai attraversa, spaccan-doli, sia il corpo naturale che quello politicodel re, con un effetto di contaminazione re-ciproca. Allorch il re si accorge di identifi-carsi non con Cristo, ma col suo traditore, lamisura colma. Un corpo ha tradito laltro,Riccardo ha tradito Riccardo. Il volto disfattodel re che gli appare allo specchio lem-blema di un fallimento irrimediabile. Nellafinzione scenica il dispositivo della personava in mille pezzi insieme allo specchio che loriflette. I due corpi del re, definitivamente di-visi, giacciono, luno accanto allaltro, nellapolvere con i simboli della regalit spezzati.Al re non resta che prenderne atto: Con ilmio stesso potere la mia maest hanno col-pito, | Nel nome del Re, hanno tolto lacorona. | Cos la polvere distrugge ildiamante 20.

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  • 4. Uso e abuso.Se nella concezione cristiana il dispositivo

    della persona divide lessere vivente fra carnee spirito, nella filosofia moderna esso pen-etra nella stessa coscienza individuale. A es-sere in gioco non pi la relazione con unasfera trascendente, ma quella del soggettocon se stesso con la parte di s che rischiadi sfuggire al suo controllo o addirittura diessere dimenticata. per scongiurare talepossibilit che il Saggio sullintelletto umanodi Locke collega lidentit personale al fun-zionamento della memoria. Essa la capa-cit, da parte dellio, di autoidentificarsi, as-sumendo la responsabilit dei propri atti. Daqui il rilievo attribuito al nome proprio comeci che aggrega, lungo uno stesso filo, i sin-goli momenti di cui fatta una vita. Chi pugarantire che il vecchio di oggi sia il giovanedi un tempo o che lattuale folle sia lo stessoche una volta era sano? Locke pone talidomande su un terreno prettamente

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  • filosofico. Ma esse conservano pi di un rap-porto sia con il versante teologico che conquello giuridico della nozione di persona.Quanto al primo, non senza significato che,anche in rapporto al dibattito religioso deltempo, egli si riferisca ai misteri della Resur-rezione, in particolare alla possibilit chelanima si ritrovi, dopo la morte, in un corpodifferente da quello che aveva prima. Il prob-lema delle personalit multiple due per-sone incarnate in uno stesso corpo o duecorpi rappresentati dalla stessa persona era comunemente sollevato nelle discussioniteologiche sulla metempsicosi e la trasmi-grazione delle anime.

    Limplicazione della teoria lockeana con ildiritto ancora pi forte, anche se posta informa diversa che nel ius romano. Rispetto aquesto viene meno il rapporto biunivoco chelega, pur nello scarto, la maschera giuridicaal volto delluomo su cui posta. Gi la trat-tatistica tardomedievale aveva elaborato la

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  • nozione di una persona ficta o re-praesentata, riferendola a unentit non ne-cessariamente umana. Locke scioglie ogniresiduo nesso con il corpo vivente, legando lapersona al principio di attribuzione: perchci si possa definire persona, bisogna poterprovare, a s e agli altri, di essere lautoredelle proprie azioni e dei propri pensieri.Rispetto a tale esigenza, non pi in gioco nil rapporto con un determinato corpo, nquello con lanima. Ci che conta potererispondere degli atti che si sono commessi,assumendosene piena responsabilit. Daquesto lato la persona si avvia ad assumere ilsignificato moderno che siamo abituati aconferirle quello di un individuo consape-vole delle conseguenze dei propri gesti.

    Tuttavia tale passaggio, lungi dallelimin-are lo sdoppiamento, finisce per intensifi-carlo. Perch il soggetto possa formulare ungiudizio su se stesso, deve sapersi separareda s, assumendo la doppia parte

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  • dellimputato e del giudice. La categoria diattribuzione (to attribute) , infatti, con-nessa con quella di imputazione (to im-pute) entrambe possibili traduzioni delverbo greco kategorein. Anzi ci che quali-fica nel suo senso pi proprio lidea lockeanadi persona appunto la capacit giuridica, daparte di un tribunale o anche di se stesso, diimputare a qualcuno le azioni da luicommesse. Non per caso il filosofo definiscequello di persona un termine forense [aforensic term], che attribuisce le azioni e iloro meriti 21. Essa ci che, rendendo pos-sibile il giudizio, consente leventualecondanna. In tal modo Locke articola, allin-terno del soggetto, una scissione corrispond-ente a quella che nel diritto romano separavaluomo dal suo ruolo e nella dottrina cristi-ana lanima dal corpo. Riconoscergli il titolodi agente morale, significa renderlo con-temporaneamente soggetto di legge e oggettodi giudizio a un tempo giustificabile e

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  • giustiziabile. Cosicch il paradigma filosoficodi persona, orientato a ricostituire lidentitindividuale minacciata dalla dispersione,diviene il luogo di una divisione ancora pimarcata tra due piani della coscienza des-tinati a non poter mai del tutto coincidere.

    Kant fa un ulteriore passo in questadirezione, fissando in termini metafisici ciche Locke distingueva in senso funzionale.Egli non solo scinde il soggetto umano in dueentit differenti, sottoponendo luna al giud-izio dellaltra, ma stabilisce tra di esse unadiversit di essenza. Se nella Metafisica deicostumi le situa entrambe nel regime dellapersona, altrove specifica di non riferirsi auna doppia personalit, perch solo lio, liopenso e intuisco la persona, mentre liodelloggetto, che intuito da me, , come al-tri oggetti fuori di me, la cosa [Sache] 22. come se la persona espellesse fuori di s unasua parte, assimilandola a una semplice cosasu cui deve riguadagnare padronanza. In

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  • questa maniera si ristabilisce quel meccan-ismo che abbiamo rinvenuto, sia pure in altritermini, nella forma giuridica romana. Da unlato persona la categoria che li comprendeentrambi, dallaltro il criterio in base al qualeuno dei due poli subordina laltro facendoneunentit assimilabile alla cosa. Per usare itermini di Kant, mentre lhomo noumenon a tutti gli effetti persona, quello phaenomen-on lo solamente quando ubbidisce alprimo. Personalit la capacit del soggettodi sottomettere a se stesso una sua parte di-vergente e insieme la disponibilit diquestultima a rientrare nel possesso dellaprima.

    Colpisce, nellautore che porta il pensieromoderno al suo culmine critico, la ripropos-izione di un lessico giuridico di chiara im-pronta romanistica. vero che Kant riservala qualifica di persona solo alluomo libero,sciogliendo la contraddizione della summadivisio personarum. Ma poi riproduce, nei

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  • confronti degli individui subordinati, un rap-porto di oggettivazione non molto diverso daquello istituito nel ius. Con in pi unos-cillazione che addirittura accentua lele-mento di indistinzione fra persona e cosa. Ilmargine che le separa quello, assai prob-lematico, che distingue la padronanza dallapropriet: Un uomo pu ben esserepadrone di se stesso (sui iuris), ma non pro-prietario di se stesso (sui dominus) 23. Ciche distingue le due condizioni il confineche separa luso, consentito, dallabuso, ille-cito. Dei corpi di cui si padroni, ma nonproprietari, si pu fare uso, ma non abuso.Bisognerebbe interrogarsi sul ruolo decisivoche la categoria di uso ha avuto nella con-figurazione del lessico politico occidentale.Dove passi il suo confine dallabuso difficileindicare, rispetto alla nettezza della opposiz-ione romana tra persona e res. Che infattiKant sfuma attraverso una categoria giur-idica collocata precisamente nel loro punto

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  • di convergenza. Si tratta del diritto per-sonale reale. Se diritto reale quello relat-ivo alle cose e diritto personale quello relat-ivo alle persone, diritto personale reale con-siste nel possedere un oggetto esterno comeuna cosa e nellusarne come una per-sona 24.

    Torna a riprodursi, nellautore menosospettabile di atteggiamento acritico, loscivolamento della persona verso la cosa.Anche in questo caso il canale di transito traesse il corpo della persona assoggettata ecos tradotta nella dimensione della resposseduta. Ci vale non solo per i lavoratorial servizio del padrone, ma, proprio come neldiritto romano, anche per la moglie anchessa appropriabile dal marito nel corpocome oggetto di uso attraverso il possessodei suoi organi sessuali. Kant riconosce lin-coerenza di tale attribuzione conluguaglianza da lui stesso proclamata pertutte le persone libere. Ma la risolve, anzich

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  • eliminandola, estendendo il diritto di re-ificazione anche allaltro coniuge. Cosmentre una delle due persone acquistatadallaltra, proprio come una cosa, questa allasua volta acquisti reciprocamente laltra; cosessa ritrova di nuovo se stessa, e ristabiliscela sua personalit 25. Conformemente aldispositivo che orienta lintero discorso, in-somma, la personalit misurata dalla capa-cit reciproca di usare laltro come cosa. Pi-uttosto che il suo puro opposto, la cosa ap-pare qui come loperatore interno alla cat-egoria di persona ci che, soltanto essendoposseduta e consumata, rende questa vera-mente tale come soggetto di questo possesso.

    esattamente quanto Hegel rimprovera aKant nei Lineamenti di filosofia del diritto,cogliendone la subalternit allimpostazionegiuridica romana. Nonostante lispirazioneilluministica dei suoi scritti, Kant finisce perconfermare la distinzione tra persone suiiuris e persone alieni iuris, poste nella

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  • disponibilit delle prime. a ci che sirivolge la critica di Hegel. Mentre Kant nonpensa la persona in termini universali, ogniuomo va considerato persona indipendente-mente dal suo status. Da qui la riserva di He-gel rispetto al paradigma di persona da luiassunto allinterno dellorizzonte giuridico,ma rifiutato in quello, pi ampio, della soci-et civile. Tuttavia, pur prendendone espli-cite distanze, anche Hegel resta largamenteinfluenzato dal diritto romano. Quandosostiene che le persone si rapportano fra lorosolo come proprietari 26, lascia intendereche se la qualifica di persona a rendereluomo capace di possedere la cosa, solo lapropriet di questa a renderlo persona.Certo, per Hegel il diritto privato non cheun modo parziale e inadeguato di vivere irapporti umani, se paragonato alle sfere su-periori della societ e dello Stato. In essolinteresse particolare, anzich integrarsi,tende a contrapporsi a quello generale. Egli

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  • spinge tanto a fondo la propria critica da af-fermare che designare un individuo comepersona espressione di disprezzo 27. Cinon toglie che a fondamento di qualsiasi tipodi propriet Hegel ponga la capacit dipossedersi della persona. Lautoappro-priazione lunico possesso talmente per-fetto da diventare modello di ogni altra pro-priet. Ma che altro significa possedere in-tegralmente la propria persona, se non con-siderarla come una cosa disponibile alproprio volere? Ancora una volta si ripro-duce il meccanismo che pone le cose nelladisponibilit delle persone e le persone nelregime delle cose.

    5. Non-persone.Il riferimento allautoappropriazione della

    persona immette il discorso in unorbita anoi pi vicina, che rimanda al dibattito sullabioetica, nella sua doppia declinazione,

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  • cattolica e liberale. Si gi detto come il filo-sofo cattolico Jacques Maritain vedesse nellapersona unentit definita dalla padronanzasulla propria natura animale. Tale caratter-izzazione rimanda da un lato alla prospettivacristiana e dallaltro, attraverso la me-diazione tomista, alla definizione aristotelicadelluomo come animale razionale. Mauna volta assunta tale formula che articolaallinterno del genere umano animalit erazionalit le strade aperte restano due,percorse di fatto dai fronti che si erano scon-trati nellultimo conflitto mondiale: o si schi-accia la dimensione della ragione su quella,meramente biologica, del corpo, come hafatto il nazismo; oppure si consegna la parteanimale al dominio di quella razionale, comevuole il personalismo. Diversamente dalnazismo che, cancellando il profilo della per-sona, affida la propriet del corpo allo Stato,il personalismo liberale la assegna allindi-viduo che lo abita. Tale differenza di

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  • attribuzione, tuttaltro che trascurabile, nontoglie, per, che per entrambi il corpo rientriallambito della cosa appropriata. Da questopunto di vista perfino la bioetica cattolica,consegnando il destino del corpo delluomoal suo creatore, resta impigliata in una con-cezione non diversa, sul piano logico, dallealtre due.

    Se della prospettiva cattolica abbiamoriconosciuto le radici nella teologia politicadei Padri, quella liberale, oggi dominante,rimanda a una tradizione aperta da Locke eproseguita da Mill. vero che gi Cartesiodichiarava di credere che quel corpo, cheper un certo particolare diritto chiamavomio, [gli] appartenesse pi propriamente epi strettamente di qualsiasi altro 28. Maci che per lui ancora rimandava alla sferadellessere, in Locke si sposta in quelladellavere: bench la terra e tutte le creatureinferiori siano comuni a tutti gli uomini,ciascuno ha tuttavia la propriet della sua

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  • persona 29. Aggiungendo che su se stesso,sul proprio corpo e sulla propria mente, lin-dividuo sovrano 30, Mill non fa cheportare tale logica alle ultime conseguenze.Sovrapponendo la categoria di propriet aquella di sovranit, egli fa del corpo la cosadella propria persona. Per esser colto in tuttala sua portata, quanto Kant scrive sul dirittopersonale reale va ricondotto a questa lineadi ragionamento. Stretto fra persona e cosa,il corpo destinato a scivolare dallambitodella prima a quello della seconda. Una voltaimboccata questa direzione, si portati apercorrerla fino in fondo, come fa BertrandLemennicier allorch scrive: ciascuno proprietario di se stesso []. Il corpo umano un oggetto come un altro il cui proprietario perfettamente identificato 31.

    Ma lelemento forse pi sconcertante, nellaconcezione neoliberale, una ripresa espli-cita di categorie giuridiche romane che vamolto al di l anche delluso, assai pi

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  • sorvegliato, che ne faceva Kant. Se questipresupponeva comunque un principio diuniversalizzazione volto a estendere la cat-egoria di persona a ogni uomo, autorevoli es-ponenti della bioetica liberale, quali HugoEngelhardt e Peter Singer, non esitano aspezzare tale rapporto: non soltanto nonogni persona un essere umano, ma nonogni essere umano persona. Se tutti appar-tengono alla specie dellhomo sapiens, soloalcuni, e per un tempo limitato, entrano nelrecinto esclusivo della persona: Le personein senso stretto, afferma Engelhardt, vengono in essere solo qualche tempo probabilmente qualche anno dopo la nas-cita e probabilmente cessano di esisterequalche tempo prima della morte dellorgan-ismo 32. Come nel ius personarum, ilgenere umano suddiviso da soglie di per-sonalit che includono in maniera piena sologli adulti in buona salute, dotati di coscienzae dunque capaci di autodeterminazione. Al di

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  • l di questa frontiera, resa mobile dal pas-saggio di et e dallo stato di salute, si apre lalista delle persone in potenza, come gli in-fanti, delle semipersone, come gli anziani di-pendenti, delle non-persone, come i malatiin stato terminale e delle antipersone, come ifolli. Egli ribadisce:

    Il problema chenon tutti gli esseriumani sono persone.Per lo meno, non sonopersone nel sensostretto di agenti morali.Gli infanti non sonopersone. Gli individuiin stato di senilit avan-zata e i ritardati mentalimolto gravi non sonopersone in questa ac-cezione importantis-sima e centrale 33.

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  • Da qui alla tesi della padronanza sullenon-ancora, o non-pi, persone da partedelle vere persone il passaggio con-sequenziale. Non potendosi sostenere, e nonavendo neanche piena coscienza del propriostato, le prime hanno bisogno che qualcunodecida per loro non soltanto circa le cond-izioni della loro sussistenza, ma anche sullaopportunit di tenerle in vita o di spingerleverso la morte. Si fa gi cos per i feti. Cosaimpedisce di applicare lo stesso trattamentoai figli nati difettosi? si domanda Singer.Se ritorniamo allorigine della nostra civilt,egli argomenta, notiamo che lappartenenzaalla specie non costituiva di per s garanziadi sopravvivenza. Tra i Greci e i Romani, peresempio i neonati non avevano un dirittoalla vita automatico: quelli malaticci o de-formi venivano uccisi esponendoli alle in-temperie 34. Da parte sua Engelhardt,citando Gaio, si richiama direttamente almancipium esercitato dai patres sui figli,

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  • non diversamente dal diritto di preda chepone un animale catturato nelle mani delcacciatore:

    i figli, finch non siemancipano, non las-ciano la famiglia e nonsi mantengono da soli,restano nelle mani deiloro genitori e sonoquindi in parte di loropropriet (o, per ri-cordare lantico cos-tume romano, restanoin manu o nella potest-as dei genitori) 35.

    In pi, rispetto alla logica romana, valgonoadesso considerazioni di ordine economico,che impongono di ridurre il numero dellevite umane improduttive, in base al principiodi proporzionalit fra costi e benefici im-posto dal modello utilitarista. Secondo

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  • questo il bene, come il dolore, si calcola nonsui singoli individui, ma rispetto allinteracollettivit. Che ha tutto da guadagnare se,rinunciando a qualche vita che non meritadi essere vissuta 36, si pu migliorare quelladelle altre persone. vero che esiste un vin-colo morale anche verso gli appartenenti allaspecie dellhomo sapiens. Ma solo se sono ingrado di temere la morte e dunque spavent-ati dallidea che li si possa eliminare. Ci nonvale per coloro non ancora, o non pi, capacidi farlo. Certo, bisogna evitare che lessereumano soppresso soffra o che la sua soffer-enza sia superiore al beneficio sociale pro-dotto dalla sua morte. Ma non pi di quantosi fa con gli animali capaci di prestazioni su-periori a quelle di esseri umani sottosvilup-pati o irreversibilmente avariati: Il fatto cheun essere sia o non sia un membro della nos-tra specie argomenta Singer non , in s,pi rilevante per limmoralit dellucciderlo

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  • di quanto lo sia lappartenenza, per esempio,alla nostra razza 37.

    Che la difesa degli animali non umani sianon solo legittima, ma anche opportuna, scontato. Ma in questo caso essa costituisceil versante affermativo di una deperson-alizzazione inaudita nella filosofia moderna.Singer nega, a ragione, ogni possibile conti-guit con lideologia nazista, con largomentoche il personalismo utilitarista ha di mirauna societ pi giusta. Ma dimentica il fattoche nessun regime ha proclamato di agire innome dellingiustizia, salvo identificarla congli interessi biologici di un segmento diumanit. Come si diceva, ci che, nonostantele palesi differenze, lega concezioni tanto di-verse in un nesso inquietante quella sov-rapposizione tra animale e uomo implicitanella definizione di animal rationale. Se lasola ragione a distinguere luomo dalla pro-pria parte animale, questa pu indifferente-mente essere elevata alla superiorit della

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  • persona o ridotta alla inferiorit della cosa.Ci che in ogni caso manca il riferimento aun corpo vivente non coincidente n conluna n con laltra perch dotato di una pe-culiare consistenza ontologica.

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  • Capitolo secondoCose

    1. Il niente della cosa.La relazione tra la filosofia e la cosa

    sempre stata problematica. Non solo nelsenso che la cosa, nella sua concretezza sin-golare, si sottrae al logos filosofico, ma anchein quello, meno ovvio, che la filosofia tendead annientarla. La questione posta in tuttala sua radicalit da Heidegger nella confer-enza del 1950 dedicata appunto a La cosa.Alla domanda che cos una cosa? 1, eglicomincia a rispondere in negativo, es-cludendo che essa possa coincidere con unoggetto rappresentato o prodotto. La cosa inquanto tale risulta irraggiungibile dal puntodi vista della sua oggettivazione. appuntocontro questa difficolt che battono tutti i

  • tentativi filosofici di pensare la cosa, apartire da Platone e Aristotele. Per non par-lare del linguaggio scientifico, che, secondo ilfilosofo, ne avrebbe determinato una de-formazione ancora pi vistosa. Tentando dioggettivare la cosa, esso la distruggerebbeprima ancora di averla accostata. A questopunto, conclude Heidegger, la cosa inquanto cosa rimane interdetta, nulla, e in talsenso annientata 2.

    Allorigine di tale deriva, parallela alla de-personalizzazione della persona, vi unmutamento semantico che investe, depoten-ziandolo, il termine latino res. Esso, accosta-bile al verbo greco eiro che significa par-lare di qualcosa, trattare di una certa ques-tione , indica ci che riguarda gli uomini,un caso, o una causa, che li concerne. Da quilitaliano cosa e il francese chose. Maanche, in un senso affine, il lemma altote-desco Ding, o thing, che allude a una ri-unione per discutere di un tema controverso,

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  • lassemblea in cui si giudica di qualcosa. Giin questo elemento giuridico che caratterizzatutti i nomi della cosa da res, a Sache, aDing appare implicito il suo esito nichilist-ico, legato al divenire ben pi che allessere.La cosa, in quanto fatto o farsi, semprepresa nel processo che ne decide il destinoin unassemblea giudicante. Ma anche talesignificato, per cos dire sociale, a un certopunto si affievolisce fino a perdersi a favoredi un altro, pi neutro, che rimanda allenteprodotto o rappresentato. Il termine-con-cetto di ens, diffuso nel Medioevo, affonda lesue radici nella metafisica greca, anchessaincapace di trattare la cosa senza svuotarla.Da allora quella che chiamiamo ontologiaintreccia una relazione profonda col nichil-ismo, nella misura in cui la semanticadellente risulta inestricabilmente connessacon quella del ni-ente. Cos, non appena riportata allente, la cosa viene investita dallaforza di negazione che questo trasporta.

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  • Come mai? Perch la cosa, tradotta nel lin-guaggio dellente, finisce nellimbuto del ni-ente? Da questa domanda prende le mossePlatone. Se nella Repubblica egli si riferisce auna cosa della quale non si pu con certezzapensare che sia o non sia, n che siaambedue le cose, n che sia nessuna delledue (479c), nel Sofista arriva a una conclu-sione ancora pi inquietante. Non solo im-possibile negare che il niente sia, come cer-cava di fare Parmenide, ma bisogna con-venire che lente a sua volta scavato dal ni-ente. Come sostiene il personaggio delloStraniero, il non-ente ci si manifestatocome un determinato genere che tra gli al-tri, disseminato in tutti gli enti []; evid-ente che il non-ente partecipa dellente(260b-d). Dire ci che una qualunque cosasia nella sua individualit, qui e ora, implicasottintendere tutto quello che essa non lasua differenza da ogni altra. Gi cos, nellaf-fermare il questo qui nella sua unicit, il

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  • negativo penetra nel positivo e lo abita comeil suo presupposto ineliminabile.

    Senza spingerci troppo addentro in ques-tioni di filologia platonica, si pu affermareche tale esito nichilistico consegua propriodal tentativo di salvare le cose agganciandolea una sfera trascendente, vale a dire alla loroessenza ideale 3. Cos la cosa viene, per cosdire, separata da se stessa e divaricata in duelivelli, luno esterno e sovrastante laltro. Ma,in tal modo, la sua affermazione sul piano es-senziale finisce per comportarne la neg-azione su quello reale. Non potendo mai deltutto colmare la distanza dalla propria es-senza, la singola cosa risulta sempre insuffi-ciente e percorsa dal non essere. Findallinizio essa appare in difetto rispetto a cida cui pure trae significato. Fondata inunidea situata in alto, ma incapace di ad-eguarsi a essa, resta abbandonata alla pro-pria insufficienza. tale scarto da se stessa,implicito nel processo di entificazione, a

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  • esporre la cosa allurto dissolvente del ni-ente. Intendendo la cosa come ente, il logosfinisce per negarla.

    Anche Aristotele, che pure cerca di super-are il dualismo platonico fra la cosa e la suaidea, resta coinvolto nello stesso dispositivodi separazione e nullificazione. Partito dalconvincimento che impossibile che lastessa cosa, ad un tempo, appartenga e nonappartenga a una medesima cosa, secondo lostesso rispetto (Met., IV, 3, 1005b), egli fin-isce per arrivare proprio a questa conclu-sione. Volendo ricomporre la frattura apertada Platone, immette leidos allinterno dellacosa, facendone il suo sostegno. In tal modoil fondamento non posto pi in alto, nelcielo delle idee, ma al di sotto della cosastessa. Esso il suo sostrato (hypokeimenon) ci che resta stabile in ogni mutazione. Macos la scissione, ricomposta nei confrontidellesterno, penetra nella cosa stessa, divisatra una sostanza sottostante che non muta e

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  • la forma che di volta in volta essa assume:Sicch conclude Aristotele nel libro Idella Fisica chiaro da quanto si dettoche ogni cosa che viene ad essere sempreun composto: da un lato c quella certa cosache viene ad essere, dallaltro ci che vienead essere questa certa cosa (Phys., 190b).Tendendo sempre ad attualizzarsi, insomma,la cosa insieme uguale e diversa da quellache diviene. vero che, rispetto a Platone, loscarto non oltrepassa i confini della cosa. Maproprio per questo, perch interno a essa, lataglia ancora pi profondamente. Tuttaltroche ununit compatta, la cosa diviene unasorta di composto in cui ci che sottostantenon pu mai coincidere del tutto con quelloche emerge in superficie. La forma resta sep-arata dalla materia, come la causadalleffetto. Divisa tra il suo sotto e il suosopra, ancora una volta la cosa minaccia disfaldarsi.

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  • La maniera per superare questa contrad-dizione quella di legare la cosa a un princi-pio che presieda al suo movimento. quantoAristotele definisce motore immobile,secolarizzando la figura del Demiurgo pla-tonico. Ma tale svolta, allinterno dellametafisica greca, non fa che rendere ancorapi palese leteronomia della cosa. Nel mo-mento in cui la si fa dipendere da una causaesterna che la pone in essere, la cosa gipensata come difettiva e manchevole. Sitratta di un salto di paradigma che va ancheal di l del suo, pur rilevante, significato teo-logico, per investire il regime medesimodella cosa. Pi che un dato, questa diviene ilprodotto di un artefice, prima divino e poiumano, dal quale dipende la sua stessarealizzazione. In questo modo tutte le cosefiniscono per precipitare nella dimensioneproduttiva della techne. Anzich emersedallapertura della physis, secondo la con-cezione premetafisica, appaiono il risultato

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  • di una creazione in assenza della quale nonesisterebbero. Senza poterci fermare sulruolo decisivo giocato dalla dottrina cristianain questo salto di paradigma, chiaro lul-teriore scivolamento dellente verso il nienteche esso comporta. Quando Tommaso affer-mer che comparate a Dio le cose sononulla 4, il nodo fra ontologia e nichilismo ri-sulter definitivamente stretto.

    Il processo di dissolvimento della cosa, in-trinseco al suo trattamento metafisico, ap-pare ormai inevitabile. La sua trasposizionein ente anticipa quella costituzione in og-getto che Heidegger pone al centro del sag-gio sullEpoca dellimmagine del mondo. Senel Medioevo la cosa intesa come enscreatum, frutto dellazione creatrice di Dio,successivamente viene interpretata come ciche rappresentata o prodotta dalluomo.Ma entrare nel dispositivo della rapp-resentazione o della produzione significa, perla cosa, trasformata in oggetto, dipendere dal

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  • soggetto cos da perdere ogni autonomia.Con Descartes tale passaggio appare gicompiuto: Lente nel suo insieme percivisto in modo tale che diviene ente soltantoin quanto posto dalluomo che rappresentae produce 5. Non bisogna perdere di vista ilnesso che unifica, articolandoli, soggettiv-ismo e oggettivismo: senza soggetto rapp-resentante non si d cosa rappresentata eviceversa. Torna a stringersi quel nodo che laseparazione tra persone e cose vorrebbetagliare: esse si fronteggiano in un rapportodi reciproca fungibilit: come, per esseresoggetto, luomo moderno deve rendere log-getto dipendente dalla propria produzione,cos loggetto non pu esistere fuori dalla po-tenza ideativa del soggetto. La separazionekantiana, allinterno della cosa, tra fenomenoe noumeno, tra la cosa come ci appare e lacosa in s, porta questo sdoppiamento alsuo esito estremo. Mai come in questo casotorna a balenare limplicazione tra

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  • separazione della persona e dissoluzionedella cosa. Ognuna pu essere divisa dallal-tra solo a partire da ci che la separa da sestessa, rovesciandola nel proprio contrario.Cos, se la persona sempre esposta a di-ventare cosa, la cosa resta sempre soggetta aldominio della persona.

    2. Res.Se la filosofia tende, nei suoi costrutti con-

    cettuali, ad annientare la cosa, leffetto dis-solutivo del diritto non da meno. Una lungatradizione interpretativa ci ha abituati a con-trapporre elaborazione filosofica greca ed es-perienza giuridica romana secondo il dis-crimine astratto/concreto. Allastrazione diun universo fatto di idee, tipico dellametafisica greca, si opporrebbe la con-cretezza dei rapporti reali istituiti dal dirittoromano. In realt la relazione fra i duemondi assai pi complessa. Ferma

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  • restando lirriducibilit paradigmatica del iusromano al logos greco rimane tra essi pidi una corrispondenza. Anche il diritto pro-duce una sua metafisica, certo diversa, manon irrelativa a quella greca. vero che, adifferenza di questa, esso si riferisce semprea rapporti concreti di appartenenza,transazione, contratto che coinvolgono larelazione tra persone e cose. Ma in unaforma che, portandoli su un piano generale,li rende astratti. come se, per operare suisingoli casi, il diritto dovesse ricondurli a ununiverso di essenze ideali che vivono di unavita propria. In tale maniera i fatti, cuicomunque il diritto si rivolge, non vengonoguardati come tali, ma attraverso un filtrotrascendentale che li svuota del loro conten-uto concreto, proiettandoli in una sorta diuniverso parallelo. Per intervenire, ad esem-pio, su un caso di acquisto o di vendita, la gi-urisprudenza costruisce il modello astrattodella compravendita da cui desume le norme

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  • per regolarlo. Cos essa, proprio come lametafisica da cui pretende distaccarsi, agiscesulla vita separandola da se stessa e sdoppi-andola in due piani sovrapposti e solo suc-cessivamente ricomposti. Ci produce undoppio effetto di svuotamento e diidealizzazione. Da un lato rapporti, persone,cose vengono privati di ogni specificit ericondotti a formule generali; dallaltro strut-ture logiche e schemi ideali acquistano unostatuto ontologico di tipo fantasmatico, maproduttivo di potenti effetti reali.

    Per penetrare luniverso giuridico fondatoa Roma, e di l diffuso in tutto lOccidente,non bisogna lasciarsi sfuggire questa sin-golare connessione di realismo e metafisica,di concretezza e astrazione 6. Se ne sono vistigli effetti escludenti nella relazione tra le per-sone. Qualcosa di analogo accade rispettoalle cose. Lo stesso dispositivo giuridico chedetermina una reificazione delle prime, pro-duce una smaterializzazione delle seconde.

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  • Come le persone sono divise al proprio inter-no dalla linea che le oppone alle cose, cosqueste tendono a perdere la loro consistenza,situandosi in una dimensione formalizzatache le priva di sostanza. Nel diritto romano iltermine res non designa le cose del mondo,anche se resta in contatto con quelle. Esso caratterizzato da uno statuto doppio chetrascorre da un significato intensamente ma-teriale a uno puramente formale. Da un latores la cosa nella sua realt obiettiva, inquanto tale nettamente differente dalla per-sona che ne fa uso. Dallaltro essa rimanda alprocesso astratto che le assegna rilievo giur-idico. ci che ci si contende giuridicamentee la medesima contesa cosa e causa a untempo.

    Se si perde di vista tale connotato, che fadella cosa oggetto di procedura e proceduraessa stessa, non si accede alluniverso con-cettuale romano. Per identificarne il car-attere peculiare bisogna evitare di

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  • sovrapporlo alla metafisica greca come anchealla prospettiva moderna cogliendo tut-tavia le connessioni che lo legano a en-trambe. Res, nel senso romano dellespres-sione, ha ben poco a che vedere con un ele-mento della natura, ma anche con un arte-fatto umano. Non n ci che da sempreprecede luomo n lobiectum posto di fronteal soggetto quello che la lingua tedesca tra-duce con Gegenstand. Come si visto, nelsenso processuale di una messa in causa,essa semmai accostabile al greco pragma inteso come laffare, la questione, di cui sitratta. Pi che un dato, la cosa un fatto checi riguarda da vicino, che ci mette continua-mente in causa. Ad esempio res publica ci di cui ci si occupa dal punto di vistadellinteresse collettivo, come res communisquella che, non appartenendo a nessuno, ditutti.

    Quando si afferma che quello romano undiritto eminentemente oggettivo, per

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  • differenziarlo dal moderno, invece sogget-tivo, non bisogna conferire al termine un sig-nificato sostanziale. vero che in esso adominare non sono le persone, ma le cose ilcui possesso conferisce personalit. Inquesto senso le cose servono a fissare i rap-porti fra le persone, suddividendole in di-verse categorie, dai patres ai servi. Proprioper questo, tuttavia perch servono a fis-sare i rapporti fra le persone, suddividendolein differenti ruoli , in senso giuridico le cosemantengono uno statuto funzionale che alcontempo le svuota di contenuto. Ci nonvuol dire che la res non si riferisca a una re-alt esterna al mondo della natura o ai pro-dotti delluomo. Anzi, in un orizzonte nonteoretico ma operativo come quello del di-ritto, ci accade regolarmente. La res ro-mana non pura rappresentazione mentale,un costrutto logico senza riscontri nella vitareale. Essa occupa uno spazio e ha unadurata. Ma ci non le fornisce una valenza

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  • materiale. Della cosa, ci che interessa al di-ritto non la sostanza, ma la trama formalein cui inserita e che contribuisce a creare.In tal senso, nonostante la classica distin-zione tra res corporales, che possono esseretoccate, e res incorporales, che non lo pos-sono, le cose di cui si occupa il diritto appar-tengono tutte a questa seconda categoria. proprio esso, occupandosene, a renderle tali.Anche quelle che hanno un corpo, nel mo-mento in cui entrano nella sfera del ius, siseparano virtualmente da esso. come se, inquesto universo spettrale che arriva aspingere alcune persone nellorizzonte dellacosa, le cose fossero dissolte nella loro con-cretezza materiale ed esposte alla prova delnulla.

    Tale esito attiene al carattere autoreferen-ziale con cui il diritto si origina secondo unamodalit astratta destinata a comunicarsiallordine giuridico moderno. Da questopunto di vista si potrebbe dire che esso, forse

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  • pi della metafisica greca, costituisca il mod-ello epistemico su cui si forgiato linterosapere occidentale. Ma anche in un altrosenso, ancora pi intenso, il negativoavvolge, caratterizzandola, la dimensionedella res giuridica. Conosciamo il carattererigorosamente patrimonialistico del dirittoromano. Esso riguarda le cose prima dellepersone e le persone sempre in rapporto allecose. Ci che definisce le cose la loro ap-partenenza a uno, o a pi, proprietari. Anchequando non sono di nessuno, esse sonosempre in linea di principio appropriabili,non sfuggono al regime, almeno potenziale,dellappropriabilit. E tuttavia il diritto ro-mano non parte mai da questo, da un regis-tro positivo, ma sempre dal suo rovescio neg-ativo 7. Cio dalle cose non disponibili al pos-sesso. La loro differenza da quelle che losono fondativa dellintero diritto, al puntodi inaugurare la catena delle disgiunzioninelle Istituzioni di Gaio. Le cose si dividono

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  • inizialmente tra quelle che sono e quelle chenon sono in nostro patrimonio. Ma, anzichdalle prime, il discorso giuridico procededalle seconde. Le cose appropriabili nonsono definite di per s, ma come contrario diquelle che, a vario titolo, non lo sono. Moltoraramente, nelle fonti, si parla delle res inpatrimonio o in commercio se non comenegativo di quelle inalienabili, perch religi-ose o pubbliche. Lintero diritto privato, aRoma tanto predominante da assorbire quasiinteramente ogni altra dimensione giuridica,presuppone, insomma, una negativit che lopone in essere. un altro tratto parallelo,anche se asimmetrico, sia con la tradizionemetafisica aperta da Platone sia con la con-cezione cristiana. Lente attraversato dalniente perch in ultima analisi ne deriva commisto fin dallorigine col nulla da cui creato.

    Anche lordine giuridico mantiene un fon-damento negativo: ci che lecito quello

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  • che non vietato, cos come, a Roma, sonolibere le persone che non sono schiave. Illiber caratterizzato dal fatto di non essereservus. Anzi la condizione di cui pi si parlanel diritto romano proprio la schiavit, valea dire quella di coloro che non hanno prerog-ative giuridiche. Per spiegare cosa voglia diresui iuris si chiarisce cosa significhi alieni iur-is, ricavando per contrasto da questo il signi-ficato del primo termine. Ci vale anche, e amaggior ragione, per la cosa. Con una pro-cedura logica che, evitando la modalit af-fermativa, raddoppia la negazione, res man-cipi sono quelle che non sono nec mancipi.Linclusione di qualcosa nel campo del ius che a Roma comprende in ultima istanzatutte le cose nasce sempre daunesclusione. Non che a essere escluso ci che non incluso, ma incluso ci che non escluso. Se ci si bada, tutte le distinzioniche, a partire dalla summa divisio, gemmanole une dalle altre in una catena ininterrotta

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  • di alternative, si conformano a tale registronegativo. Ogni categoria non mai definitaper se stessa, ma attraverso ci che ne di-verge. Come le cose appropriabili sono lealtre dalle inappropriabili, le res humaniiuris sono quelle non divini iuris. A lorovolta, nellambito del diritto umano, le coseprivate sono quelle non pubbliche. E, anchetra le cose pubbliche, appartengono allor-ganismo politico quelle non di tutti, definiteinvece communes. Ma essere di tutti ulteri-ore e ultima divergenza non equivale a es-sere nullius, di nessuno, perch mentre leprime restano in ogni caso inappropriabili, leseconde, al momento inappropriate, sonoappropriabili da chi per primo se ne im-padronisca. In tal modo da ci che esclusosi genera lincluso e dal negativo il positivo.

    3. Le parole e le cose.

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  • Prima ancora del ius romano e del logosgreco, a negare le cose, nel loro contenutovivente, gi lesperienza del linguaggio. Cicontrasta con lidea diffusa che esso necostituisca il semplice veicolo di espressione.Che esista una corrispondenza naturale, oanche artificiale, tra le parole e le cose leparole come la forma verbale delle cose, lecose come il contenuto delle parole. Certo,come racconta il Genesi, quando il linguag-gio fu dato da Dio agli uomini, costituiva ilsegno stesso delle cose, rassomigliava a essecos da manifestarle nella maniera pitrasparente. Il senso, allora, pareva scaturiredalle cose come una sorgente dalla roccia o laluce dal sole. Poi, con il crollo della torre diBabele, tale corrispondenza si ruppe. Mentrele lingue si moltiplicavano, si apriva un varcosempre pi largo tra ciascuna di esse e lecose. Se nel XV secolo il linguaggio sembraancora parte del mondo, gi alla finedellUmanesimo si ritira da esso,

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  • chiudendosi nello spazio astratto dei segnirappresentativi. Lantico nodo tra parole ecose sciolto. Come le cose vedono cancel-larsi il nome inscritto sulla loro pelle, cos leparole smarriscono ogni accesso diretto allavita delle cose. Non solo il linguaggio non pi in grado di rivelare lenigma nascosto inesse, ma tende a renderlo sempre pi inde-cifrabile. Lesperienza allucinata di DonChisciotte segna, nellautunno del Rinasci-mento, la fine dellanalogia tra lessere e isuoi segni: La scrittura e le cose non sisomigliano. Tra esse, Don Chisciotte vagaallavventura 8. Ormai le parole, lontanedalle cose, si rifugiano nelle pieghe dei libri osi affastellano al fondo del delirio. Non es-sendo pi uno stampo del mondo, il linguag-gio pu al massimo tentare di tradurre quelloche non riesce naturalmente a esprimere.Gi per Cartesio la verit non pi posta nelnesso tra parole e cose, ma nella percezioneevidente di una coscienza presente a se

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  • stessa. Nulla pu pi garantire che tra signi-ficante e significato si dia una qualche cor-rispondenza. Nel nuovo regime di senso ilprofilo della differenza subentra al voltodella somiglianza sfigurandolo. Perch possadarsi rappresentazione, occorre una distanzatra segno e significato. Per affermare la cosa,il linguaggio deve staccarsi da essa e isolarsinel proprio universo autoreferenziale.

    Ma se cos, ogni affermazione finisce peravere una portata negativa. La lingua pu af-fermare la cosa solo negandone la presenzaviva. Quello che per Foucault laprirsi diuna fenditura pu ben essere inteso comeuna vera opera di negazione. Pi cheallavvento di una nuova episteme, essa riconducibile alla struttura delloperazionelinguistica. Nominare le cose, da parte dellinguaggio, non soltanto un atto neutrale,ma ha il carattere di unintromissione viol-enta. Quasi che, per far proprie le cose,ormai separate da essa, la lingua debba

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  • proiettare al loro interno la scissione cheporta originariamente dentro. Del resto, cheil linguaggio sia caratterizzato in modo es-senziale dalla negazione un dato di fattonon sempre rilevato dai filosofi, ma benpresente ai linguisti. Per Saussure la linguasi alimenta solo di opposizioni, di un insiemedi valori perfettamente negativi 9. Essa sidistingue dai codici comunicativi di tipo pre-linguistico, orientati naturalmente al con-senso, per la sua facolt di negare ci cherappresenta. Luso del non, come statoosservato 10, la pi rilevante prerogativadel discorso umano. Ma, a guardar bene, lanegativit del linguaggio, oltre che latto delrappresentare, investe anche la realt di ciche rappresenta. A essere negato, nella pro-cedura linguistica, non solo un dato mododi essere della cosa, ma, in un certo senso, lasua stessa esistenza. Per nominarla, la linguadeve trasporla in una dimensione diversa daquella reale. Non avendo alcuna relazione

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  • costitutiva con le cose che designano, in-somma, le parole sottraggono loro la realtche pure intendono esprimere. Solo smar-rendo la propria esistenza concreta, gli esserisono linguisticamente rappresentabili. Nelmomento stesso in cui viene nominata, lacosa perde il suo contenuto, trasferendosinello spazio senza spessore del segno. In talmodo il suo possesso, da parte del linguag-gio, coincide con il suo annientamento.

    Questo dispositivo nichilistico al centrodella filosofia di Hegel. Se nelle prime paginedella Logica egli porta a consapevolezza ilrapporto fra ente e niente gi intravisto nelSofista di Platone, nella Fenomenologia loaveva ricondotto al potere dissolvente dellinguaggio. La singola cosa questo pezzo dicarta, questa scatola di latta, questo tizzoneardente inattingibile da una lingua des-tinata a esprimersi secondo concetti univer-sali. Egli scrive:

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  • Nel reale tentativo dipronunziare la cosaessa si disintegrerebbe;coloro che ne iniz-iassero una descrizione,non la potrebbero con-durre a termine, madovrebbero lasciarla adaltri i quali poi, alla lorovolta, finirebbero colconfessare di discorreredi una cosa che non 11.

    Nel momento in cui il linguaggio tenta dicogliere il questo vale a dire la cosa nellasua concretezza singolare lo nega trasfer-endolo sul piano astratto delle categorie. Ciaccade perch, per afferrare concettualmentequal