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Iva Dichiarazione d’intento e plafond Iva di Marco Peirolo 2 La sospensione del rimborso Iva a seguito di constatazione di reati fiscali: la stretta penale di Gianfranco Antico 22 Il rapporto di accessorietà di Marco Peirolo 30 Imponibilità Iva per i compensi da “trasferta” percepiti dalle società di calcio della serie A di Clino De Ieso 46 Il caso risolto Aliquota Iva per il contratto di appalto relativo a più immobili di Centro studi tributari 54 Osservatorio L’osservatorio di giurisprudenza di Alberto Alfredo Ferrario 57 1 Iva in pratica n. 48/2020

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Iva

Dichiarazione d’intento e plafond Iva

di Marco Peirolo 2

La sospensione del rimborso Iva a seguito di constatazione di reati fiscali: la stretta penale

di Gianfranco Antico 22

Il rapporto di accessorietà

di Marco Peirolo 30

Imponibilità Iva per i compensi da “trasferta” percepiti dalle società di calcio della serie A

di Clino De Ieso 46

Il caso risolto

Aliquota Iva per il contratto di appalto relativo a più immobili

di Centro studi tributari 54

Osservatorio

L’osservatorio di giurisprudenza

di Alberto Alfredo Ferrario 57

1 Iva in pratica n. 48/2020

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Iva

2 Iva in pratica n. 48/2020

Iva in pratica n. 48/2020

Dichiarazione d’intento e plafond Iva di Marco Peirolo - dottore commercialista e componente del Fiscal Committee della Confédération Fiscale

Européenne

Esportatore abituale

I contribuenti che effettuano cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie, e operazioni

assimilate possono avere rilevanti crediti di Iva nei confronti dell’Erario. Tali cessioni, infatti, sono non

imponibili ai fini Iva e, quindi, gli operatori che le pongono in essere, non percependo il tributo a titolo

di rivalsa dai propri clienti esteri, non possono abbattere il credito d’imposta che hanno conseguito

all’atto dell’effettuazione di acquisti.

Un rimedio, talvolta solo parziale, a tale situazione è costituito dalla facoltà, ricorrendo talune

condizioni, di effettuare acquisti di beni e servizi e importazioni senza l’applicazione dell’Iva.

In base all’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972 è, infatti, previsto che costituiscono cessioni

all’esportazione, non imponibili ai fini Iva:

“le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le

prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni

intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare

beni e servizi senza pagamento dell’imposta”.

I contribuenti che possono avvalersi di tale facoltà sono quelli definiti correntemente “esportatori

abituali”, laddove tale status, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera a), D.L. 746/1983, si acquisisce

quando le operazioni che creano plafond nel periodo di riferimento (anno solare o 12 mesi precedenti

a seconda che il contribuente utilizzi rispettivamente il metodo solare o quello mensile) sono superiori

al 10% del volume d’affari determinato a norma dell’articolo 20, D.P.R. 633/1972, al netto:

− delle cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale, che l’articolo

7-bis, comma 1, D.P.R. 633/1972 non considera territorialmente rilevanti in Italia, ma che vanno

comunque fatturate in applicazione dell’articolo 21, comma 6, lettera a), D.P.R. 633/1972;

− delle operazioni di cui all’articolo 21, comma 6-bis, D.P.R. 633/1972, escluse da Iva per carenza del

presupposto territoriale (di cui agli articoli 7 - 7-septies, D.P.R. 633/1972), ma soggette comunque

all’obbligo di emissione della fattura se consistono in:

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3 Iva in pratica n. 48/2020

− cessioni di beni e prestazioni di servizi, diverse da quelle esenti di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1 -

4 e 9), D.P.R. 633/1972, effettuate nei confronti di un soggetto passivo che è debitore dell’imposta in

un altro Stato membro dell’Unione Europea;

− cessioni di beni e prestazioni di servizi che si considerano effettuate fuori dell’Unione Europea.

In pratica, nel modello di dichiarazione Iva annuale, le suddette operazioni extra territoriali,

comprese quelle relative ai beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale,

devono essere riportate nel rigo VE34 (Operazioni non soggette all’imposta ai sensi degli articoli

7 - 7-septies), D.P.R. 633/1972, ma il corrispondente importo, ai fini della verifica dello status di

esportatore abituale, deve essere sottratto dall’importo risultante dal rigo VE50 (Volume d’affari),

che esprime il volume d’affari del soggetto passivo.

In definitiva, per assumere la qualifica di esportatore abituale, le operazioni con l’estero registrate

nell’anno solare precedente devono essere superiori al 10% del volume d’affari “rettificato”, cioè

calcolato senza considerare delle operazioni evidenziate nel rigo VE34.

Volume d’affari “rettificato” (rigo VE50 – rigo VE34)

Volume d’affari

Operazioni imponibili (righi da VE1 a VE26)

+ operazioni che concorrono alla formazione del plafond (rigo VE30)

+ operazioni non imponibili per effetto della dichiarazione d’intento (rigo VE31)

+ altre operazioni non imponibili (rigo VE32)

+ operazioni esenti ex articolo 10, D.P.R. 633/1972 (rigo VE33)

+ operazioni soggette a “reverse charge” (rigo VE35)

+ operazioni non soggette a imposta effettuate nei confronti dei terremotati (rigo VE36)

+ operazioni effettuate nell’anno, ma con imposta esigibile in anni successivi (rigo VE37)

+ operazioni effettuate nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni e delle società ai sensi

dell’articolo 17-ter, D.P.R. 633/1972 (rigo VE38)

– operazioni non soggette a Iva per difetto del requisito territoriale (rigo VE34)

– operazioni effettuate in anni precedenti, ma con imposta esigibile nel 2019 (rigo VE39)

– cessioni di beni ammortizzabili e passaggi interni (rigo VE40)

ESEMPIO 1

Ad esempio, se il contribuente ha realizzato un volume d’affari (determinato come sopra indicato) pari

a 1.000 euro, lo status sarà acquisito se l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è pari o

superiore a 101 euro (superiore al 10% del volume d’affari). Al contrario, lo status non sarà acquisito se

l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è uguale o inferiore a 100 euro (uguale o

inferiore al 10% del volume d’affari).

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Trasferimento dello status di esportatore abituale

A determinate condizioni, lo status di esportatore abituale può essere traslato nei casi di affitto

d’azienda, conferimento di complessi aziendali, scissione societaria e cessione di azienda.

In particolare, nel caso di affitto d’azienda, l’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972 dispone che,

perché possa avere effetto il trasferimento del beneficio di utilizzazione della facoltà di acquistare

beni e servizi per cessioni all’esportazione, senza pagamento dell’imposta, è necessario che tale

trasferimento sia espressamente previsto nel relativo contratto e che ne sia data comunicazione

con lettera raccomandata entro 30 giorni all’ufficio Iva competente per territorio.

Si evidenzia a tale proposito che le “Dichiarazioni di inizio attività, variazione dati o cessazione attività” -

modelli AA7 (per i soggetti diversi dalle persone fisiche) e AA9 (per le persone fisiche) – contengono

un’apposita casella che deve essere barrata per comunicare l’intenzione di avvalersi del cennato

beneficio. Nel caso di acquisizione di azienda in affitto, la barratura della casella tiene luogo della

comunicazione prevista dall’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972. In particolare, l’adempimento

s’intende regolarmente rispettato con la compilazione della sezione 3 del quadro D del modello AA7 e

della sezione 3 del quadro E del modello AA9.

In caso di cessione/conferimento d’azienda, in un primo tempo era stato chiarito che il trasferimento,

in capo al cessionario/conferitario, del diritto di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’Iva

presuppone, da un lato, il passaggio di tutte le posizioni debitorie e creditorie e, dall’altro, il

proseguimento dell’attività di esportazione da parte del cessionario1. La giurisprudenza ha, però,

evidenziato che, nelle “trasformazioni sostanziali soggettive”, il trasferimento del plafond a favore

dell’avente causa non è subordinato al trasferimento di tutti i debiti/crediti dell’azienda, ma solo delle

posizioni attive e passive necessarie ad assicurare, in situazione di continuità, la prosecuzione

dell’attività d’impresa rivolta ai clienti non residenti2.

In linea con questa posizione, la risoluzione n. 165/E/2008 ha ritenuto sussistenti le condizioni per il

trasferimento del plafond nello specifico caso esaminato, in cui:

− oggetto di conferimento sono le divisioni che si occupano di esportazione e che proseguiranno la

medesima attività in seno alle società conferitarie;

− presso le conferitarie vengono trasferiti tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al ramo

aziendale oggetto di conferimento a eccezione dei debiti per gli stipendi verso i dipendenti relativi al

mese di dicembre, quelli per la tredicesima mensilità, nonché i relativi debiti per ritenute e contributi

1 Cfr. risoluzioni n. 549055/1974, n. 505229/1987, n. 621099/1989, n. 590157/1989 e n. 16/E/1996. 2 Cfr. CTR Torino, sentenza n. 8/XXVIII/2007.

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verso l’Erario e gli istituti previdenziali, che sono tuttavia posizioni che non incidono minimamente

sull’attività di esportazione del contribuente.

Ad avviso dell’Agenzia delle entrate, il trasferimento del plafond non è condizionato al passaggio

di tutti i rapporti con la clientela non residente o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie

e debitorie relative all’azienda o al ramo d’azienda ceduto o conferito. Il diritto a fruire dello

speciale trattamento fiscale previsto dalla norma nasce, infatti, dalla situazione obiettiva,

ovverosia dall’essere esportatore abituale nei limiti quantitativi previsti dalla relativa disciplina.

Situazione nella quale il cessionario/conferitario subentra per effetto del trasferimento dei

rapporti giuridici (attivi e passivi) relativi al complesso aziendale ceduto/conferito.

In caso di trasferimento del plafond, nei modelli AA7 e AA9, il cedente/conferente e il

cessionario/conferitario devono barrare, rispettivamente:

− la casella PL della sezione 2 del quadro D e la casella PL della sezione 1 del quadro D (modello AA7);

− la casella PL della sezione 2 del quadro E e la casella PL della sezione 1 del quadro E (modello AA9).

Comunicazione dei dati della dichiarazione d’intento

L’articolo 20, D.Lgs. 175/2014, nel modificare l’articolo 1, comma 1, lettera c), D.L. 746/1983, ha

spostato in capo all’esportatore abituale l’obbligo di comunicazione dei dati contenuti nella

dichiarazione d’intento.

A decorrere dal 1° gennaio 2015, l’esportatore abituale deve trasmettere telematicamente la

lettera d’intento all’Agenzia delle entrate, la quale rilascia apposita ricevuta telematica.

Successivamente, l’esportatore abituale dovrà consegnare al proprio fornitore la lettera d’intento

e la ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate.

Il fornitore deve, pertanto, verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle entrate della

dichiarazione d’intento.

Con la riformulazione del comma 4-bis dell’articolo 7, D.Lgs. 471/1997, è stata infatti prevista

l’applicazione della sanzione dal 100 al 200% dell’imposta a carico del cedente o del prestatore che

effettua cessioni o prestazioni senza addebito dell’imposta “prima di aver ricevuto da parte del

cessionario o committente la dichiarazione d’intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta

presentazione all’Agenzia delle entrate …”. Con la riforma del sistema sanzionatorio operata dal D.Lgs.

158/20915, tale sanzione, da proporzionale, è diventata fissa, applicandosi nella misura compresa tra

250 e 2.000 euro.

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6 Iva in pratica n. 48/2020

Come precisato dalla circolare n. 31/E/2014 (§ 11), il suddetto riscontro, a regime, può essere effettuato

secondo 2 modalità alternative.

Da subito, per tutti gli operatori, sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it è stata resa disponibile una

funzione a libero accesso attraverso la quale, inserendo il codice fiscale del fornitore, del cliente, nonché

il numero di protocollo della ricevuta telematica, è possibile effettuare il riscontro telematico. In un

secondo momento, per i soggetti abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, è divenuto possibile verificare

nel proprio “cassetto fiscale” l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento da parte

dell’esportatore abituale, unitamente alla ricevuta telematica.

Il fornitore, oltre a verificare che la dichiarazione d’intento sia stata comunicata all’Agenzia delle

entrate, deve riepilogare nella dichiarazione Iva annuale i dati contenuti nelle dichiarazioni

d’intento ricevute e, a tal fine, del modello di dichiarazione Iva è stato istituto il quadro VI,

rubricato “Dichiarazioni di intento ricevute”.

Resta inteso che la non imponibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972, prevista

per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dell’esportatore abituale,

presuppone che il fornitore dimostri, in caso di dichiarazione d’intento ideologicamente falsa, di essere

estraneo alla frode commessa dal cliente3.

Di regola, il fornitore, per non essere responsabile del mancato addebito dell’Iva in fattura, è tenuto a

effettuare una verifica di natura esclusivamente cartolare circa il contenuto della lettera d’intento,

riscontrando, cioè, che la stessa sia conforme al modello ministeriale e che contenga tutte le indicazioni

ivi previste4. La responsabilità del fornitore, infatti, non comprende il controllo sostanziale dei dati

esposti nella dichiarazione d’intento, “salvo che non si accerti un tentativo di frode concordata con il

presunto esportatore abituale”5.

È, pertanto, possibile ritenere che, anche nella nuova disciplina, oltre al controllo telematico imposto

dal D.Lgs. 175/2014, il fornitore resta obbligato a verificare, con la dovuta diligenza, lo status dichiarato

dall’esportatore abituale, non potendo astenersi dal compiere un’indagine volta a capire se la lettera

d’intento ricevuta sia, almeno apparentemente, veritiera oppure fraudolenta.

Venendo meno l’obbligo di comunicazione in capo al fornitore, risulta implicitamente abrogato l’articolo

1, comma 384, L. 311/2004 (Finanziaria 2015), in tema di responsabilità solidale con l’esportatore

abituale dell’imposta evasa, se correlata all’infedeltà della lettera d’intento.

3 Cfr. Cassazione, n. 12751/2011 e n. 176/2015. 4 Cfr. circolare n. 41/E/2005(§ 5.4). 5 Si veda nota precedente.

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7 Iva in pratica n. 48/2020

Novità applicabili dal 2020

L’articolo 12-septies, comma 1, lettera a), D.L. 34/2019 (il c.d. Decreto Crescita), convertito, con

modificazioni, dalla L. 58/2019, ha ulteriormente semplificato, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la

procedura prevista per l’emissione delle fatture in regime di non imponibilità nei confronti degli

esportatori abituali, eliminando l’obbligo:

− in capo all’esportatore abituale, di consegnare al proprio fornitore la dichiarazione d’intento e la

ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate;

− in capo al fornitore, di riepilogare nella dichiarazione Iva i dati contenuti nella dichiarazione

d’intento.

Secondo il riformulato articolo 1, comma 1, lettera c), D.L. 746/1983:

− l’esportatore deve trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle

entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica con indicazione del protocollo di ricezione;

− il fornitore deve riportare in fattura gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione

d’intento, che saranno invece indicati nella bolletta doganale in caso di importazione. A

quest’ultimo riguardo, per la verifica di tali indicazioni al momento dell’importazione, l’Agenzia

delle entrate mette a disposizione dell’Agenzia delle dogane la banca dati delle dichiarazioni

d’intento per dispensare l’operatore dalla consegna in dogana di copia cartacea delle

dichiarazioni d’intento e delle ricevute di presentazione.

Correlativamente, è stato modificato anche il comma 4-bis dell’articolo 7, D.Lgs. 471/1997,

prevedendo l’applicazione, in capo al fornitore, della sanzione, non più fissa ma proporzionale

(dal 100 al 200% dell’imposta), se le operazioni senza addebito d’imposta sono effettuate prima

di avere riscontrato per via telematica l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate della

dichiarazione d’intento.

Come già attualmente previsto, il predetto riscontro può avvenire:

− direttamente sul sito internet dell’Agenzia delle entrate, inserendo il codice fiscale del

dichiarante, nonché il numero di protocollo della ricevuta telematica;

− nel proprio cassetto fiscale.

Ai fini dell’attuazione della nuova disciplina è prevista l’emanazione di un apposito provvedimento

dell’Agenzia delle entrate e, stante la sua assenza, è possibile ritenere che gli esportatori abituali

debbano continuare ad adottare le regole finora applicate, inviando copia della dichiarazione d’intenti

e della ricevuta telematica al fornitore.

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8 Iva in pratica n. 48/2020

Sempre con effetto dal 1° gennaio 2020, il Decreto Crescita ha abrogato gli obblighi:

− di numerazione progressiva delle dichiarazioni d’intento, tanto per l’esportatore abituale quanto

per il fornitore;

− di annotazione delle dichiarazioni d’intento, entro 15 giorni dall’emissione, per l’esportatore

abituale, e di ricevimento, per il fornitore, in apposito registro tenuto a norma dell’articolo 39,

D.P.R. 633/1972;

− di annotazione degli estremi delle dichiarazioni d’intento nelle fatture emesse in base a esse.

Ritrattazione e revoca della dichiarazione d’intento

Le operazioni non imponibili ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972, a differenza

di quelle delle precedenti lettere a), b) e b-bis), “nascono” imponibili per diventare non imponibili a

seguito della trasmissione all’Agenzia delle entrate della dichiarazione d’intento.

L’individuazione della genesi delle cessioni e delle prestazioni poste in essere nei confronti degli

esportatori abituale è fondamentale, come sottolineato da Assonime nella circolare n. 20/2018, per

determinare il trattamento impositivo applicabile nel caso in cui al fornitore venga manifestata,

esplicitamente o per comportamento concludente, l’intenzione di non avvalersi più della facoltà di

acquistare beni/servizi senza applicazione dell’Iva.

Prima di approfondire tale ipotesi, è opportuno ricordare che la genesi delle operazioni effettuate

a favore degli esportatori abituali assume rilevanza anche nel caso in cui la dichiarazione

d’intento sia mendace.

In questa evenienza, il cessionario/committente non ha diritto di acquistare i beni/servizi senza

applicazione dell’imposta, in quanto l’operazione mantiene ab origine la qualifica di operazione

imponibile, essendo il passaggio alla non imponibilità collegato allo status di esportatore abituale

dell’acquirente e, dunque, alla corretta emissione e presentazione della dichiarazione d’intento.

Tenuto conto che la dichiarazione d’intento è da intendere come un atto fiscalmente rilevante e,

in quanto tale, ritrattabile dal cessionario/committente, la rimozione del vizio che esclude la non

imponibilità fa sì che l’operazione ridiventi imponibile.

Nella situazione in esame, il cedente/prestatore è obbligato, secondo la regola generale

dell’articolo 17, comma 1, D.P.R. 633/1972, all’applicazione dell’imposta mediante nota di

variazione in aumento a carico del cessionario/committente e, inoltre, al cessionario/committente

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9 Iva in pratica n. 48/2020

che abbia rettificato la dichiarazione d’intenti non si applica la sanzione proporzionale, dal 100

al 200% dell’imposta, siccome è stato eliminato completamente il rischio di perdita erariale6.

Passando all’ipotesi in cui l’esportatore abituale non intenda più avvalersi della facoltà di acquistare

beni/servizi senza Iva, da un lato, l’esportatore abituale può revocare la dichiarazione d’intento, senza

che sia previsto a tal fine un modello specifico e un obbligo di comunicazione all’Agenzia delle entrate

e, dall’altro, a seguito della revoca, il cedente/prestatore deve emettere fattura con addebito dell’Iva.

In tal senso, si richiamano le indicazioni dell’Agenzia delle entrate7, che sono allineate a quelle fornite

dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5174/2017, secondo cui,

“qualora la dichiarazione venga revocata, l’effetto esonerativo cessa immediatamente - o quantomeno dal

momento in cui essa è portata a conoscenza - e la fatturazione che venga emessa in un momento successivo

deve necessariamente tenerne conto, restando l’intera operazione soggetta al regime ordinario.

Costituisce regola generale, del resto, che le operazioni economiche sono imponibili, sicché la

mancanza di alcuna delle condizioni che legittimano il regime di esenzione comporta necessariamente

la piena riattivazione della regola generale, non potendosi considerare logicamente estendibile – oltre

che inammissibile, in quanto risultato di analogia – l’applicazione dei requisiti richiesti per la piena

efficacia della dichiarazione d’intenti all’opposta situazione”.

L’Agenzia delle Entrate, nel documento richiamato, ha ulteriormente aggiunto che,

“il cessionario può manifestare al cedente la volontà di non avvalersi dell’utilizzo del plafond anche

per alcune operazioni, senza per questo revocare del tutto la dichiarazione d’intento presentata”

e, inoltre,

“il cliente/esportatore abituale, che non intenda avvalersi della facoltà di acquistare beni e servizi senza

l’applicazione dell’Iva, e, dunque, dell’utilizzo del plafond, possa esprimere tale volontà non

necessariamente attraverso una manifestazione espressa, ma anche attraverso comportamenti concludenti.

Significativo in tal senso è, ad esempio, il pagamento dell’Iva addebitata in rivalsa da parte del

cedente/prestatore e l’esercizio del diritto alla detrazione”.

È il caso di osservare che la detrazione è ammessa al di fuori di un contesto di frode, nel qual caso la

disposizione dell’articolo 6, comma 6, D.Lgs. 471/1997, novellata dalla Legge di Bilancio 2018,

renderebbe indetraibile l’imposta.

6 Cfr. Cassazione, n. 8362/2002. 7 Cfr. consulenza giuridica n. 954-6/2018 dell’11 luglio 2018.

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10 Iva in pratica n. 48/2020

Formazione del plafond

Le operazioni con l’estero rilevanti ai fini della formazione del plafond e dello status di esportatore

abituale sono tutte quelle che vanno indicate nel rigo VE30 della dichiarazione Iva annuale e che

concorrono, in base all’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, alla formazione del plafond di cui

all’articolo 2, comma 2, L. 28/1997, cioè del limite monetario entro il quale l’esportatore abituale

può acquistare/importare beni/servizi senza applicazione dell’Iva, salvo le eccezioni (ad esempio

fabbricati e aree fabbricabili e beni/servizi a imposta indetraibile). Per contro, le operazioni con

l’estero che non sono rilevanti ai fini né della formazione del plafond, né della verifica dello status

di esportatore abituale sono indicate nel rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili).

Operazioni rilevanti

Le operazioni con l’estero rilevanti ai fini della formazione del plafond e dello status di esportatore

abituale sono quelle indicate nel rigo VE30.

Rigo VE30 (Operazioni che concorrono alla formazione del plafond)

Cessioni all’esportazione (articolo 8, comma 1, lettere a), b) e b-bis), D.P.R. 633/1972)

Operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione, se effettuate nell’attività propria dell’impresa (articolo 8-

bis, comma 1, D.P.R. 633/1972)

Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, se effettuati nell’attività propria dell’impresa

(articolo 9, comma 1, D.P.R. 633/1972)

Operazioni con lo Stato della Città del Vaticano e con la Repubblica di San Marino (articolo 71, comma 1, D.P.R.

633/1972)

Operazioni non imponibili effettuate con organismi internazionali o in base a trattati e accordi internazionali

(articolo 72, D.P.R. 633/1972)

Cessioni intracomunitarie (articolo 41, commi 1 e 2, D.L. 331/1993), comprese le cessioni intracomunitarie

effettuate in base a una “triangolazione comunitaria”

Triangolazioni nazionali (articolo 58, comma 1, D.L. 331/1993)

Cessioni intracomunitarie di beni prelevati da un deposito Iva, con trasporto o spedizione in altro Paese membro

(articolo 50-bis, comma 4, lettera f), D.L. 331/1993)

Cessioni di beni prelevati da un deposito Iva con trasporto o spedizione fuori dell’Unione Europea (articolo 50-

bis, comma 4, lettera g), D.L. 331/1993)

Cessioni intracomunitarie di prodotti agricoli e ittici, anche se non compresi nella Tabella A, parte prima,

effettuate da produttori agricoli di cui all’articolo 34, D.P.R. 633/1972 (articolo 51, comma 3, D.L. 331/1993)

Margine delle operazioni non imponibili relative ai beni usati (articolo 37, comma 1, D.L. 41/1995)

Nel modello di dichiarazione Iva annuale, il rigo VE30 è composto da 5 campi. In particolare, nel campo

1 (operazioni che concorrono alla formazione del plafond) occorre indicare il totale delle esportazioni e

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Iva

11 Iva in pratica n. 48/2020

delle altre operazioni non imponibili rilevanti ai fini della determinazione del plafond. Inoltre, è

necessario specificare distintamente:

− nel campo 2 (Esportazioni), l’ammontare complessivo delle esportazioni di beni effettuate nell’anno

di cui all’articolo 8, comma 1, lettere a), b) e b-bis), D.P.R. 633/1972, comprese:

• le cessioni, nei confronti dei cessionari o commissionari di questi, eseguite mediante trasporto o

spedizione di beni fuori dal territorio dell’Unione Europea, a cura o a nome del cedente o dei suoi

commissionari;

• le cessioni di beni prelevati da un deposito Iva con trasporto o spedizione fuori del territorio

dell’Unione Europea (articolo 50-bis, comma 4, lettera g), D.L. 331/1993);

− nel campo 3 (Cessioni intracomunitarie), il dato complessivo delle cessioni intracomunitarie di beni,

tenendo conto delle variazioni di cui all’articolo 26, D.P.R. 633/1972, annotate nel registro delle fatture

emesse o in quello dei corrispettivi;

− nel campo 4 (Cessioni verso San Marino), l’ammontare di tutte le cessioni di beni effettuate nei

confronti di operatori sammarinesi;

− nel campo 5 (Operazioni assimilate), l’ammontare complessivo delle operazioni assimilate alle

cessioni all’esportazione.

Operazioni irrilevanti

Le operazioni con l’estero che non sono rilevanti ai fini né della verifica dello status di esportatore

abituale, né della formazione del plafond sono indicate nel rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili).

Rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili)

Cessioni a viaggiatori extra comunitari (articolo 38-quater, comma 1, D.P.R. 633/1972)

Cessioni relative a beni in transito doganale nel territorio dello Stato o depositati in luoghi soggetti a vigilanza

doganale

Cessioni di beni destinati a essere introdotti in depositi Iva (articolo 50-bis, comma 4, lettera c), D.L. 331/1993)

Cessioni di beni custoditi in un deposito Iva e prestazioni di servizi aventi a oggetto beni ivi custoditi (articolo

50-bis, comma 4, lettere e) e h), D.L. 331/1993)

Trasferimenti da un deposito Iva a un altro (articolo 50-bis, comma 4, lettera i), D.L. 331/1993)

Quota-parte dei corrispettivi che non costituisce “margine” nelle cessioni di beni usati e coincide con il prezzo

di acquisto (articolo 37, comma 1, D.L. 331/1993)

Prestazioni di servizi rese al di fuori dell’Unione Europea da agenzie di viaggio e turismo rientranti nel regime

speciale di cui al D.M. 340/1999 (articolo 74-ter, D.P.R. 633/1972)

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Iva

12 Iva in pratica n. 48/2020

Gestione del plafond nella dichiarazione Iva annuale

In ottemperanza all’articolo 10, D.P.R. 435/2001, il quadro VC si compone di 6 colonne nelle quali vanno

indicati, per ciascun mese, nei righi da VC1 a VC12, i seguenti dati:

− colonna 1: ammontare del plafond utilizzato per acquisti in Italia e per acquisti intracomunitari;

− colonna 2: ammontare del plafond utilizzato per importazioni di beni;

− colonna 3: volume d’affari, suddiviso per ogni mese, relativo all’anno di riferimento della

dichiarazione. A partire dall’anno 2013, la colonna deve essere compilata indicando l’ammontare

mensile delle operazioni effettuate con esclusione di quelle individuate dall’articolo 21, comma 6-bis,

D.P.R. 633/1972, che concorrono infatti alla determinazione del volume d’affari ma non devono essere

considerate ai fini della verifica dello status di esportatore abituale;

− colonna 4: ammontare delle cessioni all’esportazione, operazioni assimilate e/o servizi internazionali,

cessioni intracomunitarie, etc., effettuate mensilmente nello stesso anno oggetto della dichiarazione;

− colonna 5: volume d’affari suddiviso per ogni mese dell’anno che precede quello di riferimento della

dichiarazione;

− colonna 6: ammontare delle cessioni all’esportazione; operazioni assimilate, servizi internazionali,

cessioni intracomunitarie, etc., effettuate mensilmente, sempre nell’anno che precede quello di

riferimento della dichiarazione.

Le istruzioni relative alla compilazione della dichiarazione Iva precisano che, nelle ipotesi di

trasferimento del beneficio di utilizzo del plafond, ad esempio affitto d’azienda o cessione d’azienda, le

colonne 1 e 2 del quadro VC devono essere compilate dal soggetto subentrante a partire dalla data di

utilizzo del plafond ricevuto.

Infine, nel rigo VC14 va indicata la disponibilità del plafond al 1° gennaio dell’anno di riferimento della

dichiarazione, ovvero alla data del trasferimento del beneficio di utilizzo nelle ipotesi, ad esempio, di

affitto o cessione d’azienda.

Tale ammontare ha una validità:

− annuale per coloro che utilizzano il plafond solare, che ovviamente diminuisce con l’effettuazione dei

singoli acquisti nel corso dello stesso anno;

− per il solo mese di gennaio dell’anno di riferimento della dichiarazione per i contribuenti che

utilizzano il plafond mensile, atteso il particolare calcolo che tale metodologia comporta.

Al fine di evidenziare il metodo adottato per la determinazione del plafond nell’anno oggetto della

dichiarazione, il contribuente deve barrare:

− la casella 2 del rigo VC14, relativa all’ipotesi di calcolo rapportato all’anno precedente (metodo solare);

− ovvero la casella 3 nell’ipotesi di calcolo rapportato ai 12 mesi precedenti (metodo mensile).

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Iva

13 Iva in pratica n. 48/2020

Momento in cui il plafond si considera utilizzato

Come precisato dalle istruzioni, ai fini dell’individuazione del momento in cui il plafond si considera

utilizzato, non bisogna tenere conto delle registrazioni delle fatture di acquisto o delle bollette doganali

di importazioni, bensì del momento di effettuazione degli acquisti stessi.

Ne deriva che, per la compilazione del rigo VF14 (Acquisti e importazioni senza pagamento d’imposta,

con utilizzo del plafond), occorre fare riferimento al momento di registrazione; per contro, per la

compilazione del quadro VC, colonne 1 e 2, occorre avere riguardo al momento di effettuazione

dell’operazione di acquisto o di importazione, individuato secondo i criteri indicati dalla circolare n.

8/D/2003 (§ 3), ossia in relazione:

alla data di consegna o spedizione, per quanto riguarda l’acquisto di beni “nazionali” (articolo 6, comma

1, D.P.R. 633/1972);

− alla data del pagamento del corrispettivo, per quanto riguarda le prestazioni di servizi (articolo 6,

comma 3, D.P.R. 633/1972);

− alla data dell’accettazione della bolletta doganale di importazione, per quanto riguarda le

importazioni di beni nel territorio dello Stato italiano (articolo 36, comma 2, D.P.R. 43/1973);

− alla data di inizio del trasporto/spedizione dal Paese membro di partenza, per quanto riguarda gli

acquisti intracomunitari di beni (articolo 39, comma 1, D.L. 331/1993).

Plafond solare e plafond mensile

Fermo restando che la scelta del metodo del plafond deve essere evidenziata nel rigo VC14,

l’esportatore abituale può decidere se utilizzare il plafond di cui dispone:

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Iva

14 Iva in pratica n. 48/2020

− con il sistema del plafond fisso (o solare): in tal caso, il periodo di riferimento corrisponde alle

operazioni che concorrono alla formazione del plafond registrate nell’anno solare precedente;

− con il sistema del plafond mobile (o mensile): in tal caso, il periodo di riferimento è individuato

nei 12 mesi precedenti (12 mesi mobili, non coincidenti necessariamente con l’anno solare) e

questo sistema può essere utilizzato solo dai contribuenti che hanno iniziato l’attività da almeno

12 mesi8. Come precisato dalla risoluzione n. 77/E/2002, nella determinazione del plafond mensile

si procede all’inizio di ogni mese a rideterminare il plafond disponibile in misura pari

all’ammontare delle cessioni registrate nei 12 mesi precedenti al netto degli acquisti effettuati

senza Iva nello stesso periodo; in particolare, dall’ammontare complessivo delle cessioni viene

detratto l’importo delle cessioni relative al tredicesimo mese precedente e un pari importo viene

detratto dal totale degli utilizzi effettuati, sino a concorrenza degli stessi9.

L’opzione per l’utilizzo di un sistema piuttosto che l’altro deve avvenire all’inizio dell’anno solare, in

particolare10:

− prima che venga presentata la dichiarazione Iva annuale, sulla base del comportamento “attivo”

dell’esportatore abituale. La disponibilità e l’utilizzo del plafond non deve essere più evidenziata in

appositi registri, fermo restando che il citato D.P.R. 435/2001 ha previsto l’obbligo dell’esportatore

abituale di fornire i dati all’Amministrazione finanziaria, ove ne venga fatta richiesta;

− dopo la presentazione della dichiarazione Iva annuale, anche sulla base della compilazione del quadro VC.

La circolare n. 8/D/2003 ha specificato che, ai fini dell’opzione per l’utilizzo di un sistema piuttosto che

l’altro, assume rilevanza il “comportamento attivo” del contribuente, confermato, in sede di

dichiarazione Iva, dalla compilazione dell’apposito quadro destinato agli esportatori abituali,

contenente una casella da barrare allo scopo di indicare il metodo utilizzato.

È il caso, tuttavia, di ricordare che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9028/2011, ha negato che

il diritto di acquistare beni/servizi senza Iva sia precluso all’esportatore abituale che abbia omesso di

compilare il quadro VC e che, nella specie, non abbia comunicato la scelta del regime del plafond mobile.

Per superare la violazione contestata dall’ufficio, è stato valorizzato il comportamento concludente

dell’operatore, che deve intendersi ammesso a esercitare le opzioni relative al regime dell’Iva qualora

la contabilità obbligatoria sia adeguatamente uniformata al regime scelto.

8 Cfr. circolare n. 8/D/2003 (§ 4), cit. 9 Si veda anche la circolare n. 73/E/1984. 10 Cfr. circolare n. 8/D/2003 (§ 4), cit.

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Iva

15 Iva in pratica n. 48/2020

Ad assumere rilevanza sono, pertanto, le condizioni sostanziali per l’acquisto senza applicazione

dell’imposta, vale a dire – in particolare – la qualifica di esportatore abituale, l’esistenza di un plafond

disponibile e la comunicazione dei dati della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate.

Tale conclusione è confermata dalla sentenza n. 19366/2018, con la quale la Suprema Corte ha

esaminato gli effetti dell’omessa comunicazione all’Agenzia delle entrate del trasferimento del plafond

in caso di affitto d’azienda.

Anche se tale omissione comporta la violazione dell’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972, i giudici di

legittimità hanno escluso che all’affittuario sia precluso il beneficio collegato al plafond, in assenza di

un danno erariale e della circostanza che, nel caso di specie, il contratto di affitto d’azienda, contenente

la clausola di trasferimento del plafond, era stato regolarmente registrato, cosicché l’Amministrazione

finanziaria risultava in possesso di tutti i dati necessari per una concreta ed effettiva attività di controllo.

In caso di passaggio:

− dal plafond fisso a quello mobile, il plafond disponibile al 1° gennaio è pari all’ammontare delle

operazioni con l’estero registrate nell’anno solare precedente;

− dal plafond mobile a quello fisso, il plafond disponibile al 1° gennaio è pari a quello che sarebbe

risultato disponibile per il mese di gennaio se si fosse mantenuto il metodo del plafond mobile;

di conseguenza, secondo la risoluzione n. 77/E/2002, l’esportatore abituale deve, ancora e per

l’ultima volta, seguire il procedimento per il calcolo del plafond mobile partendo dall’importo

delle operazioni attive non imponibili e degli utilizzi del mese di dicembre dell’anno precedente,

sottraendo da entrambe le operazioni non imponibili del tredicesimo mese precedente. Infatti,

considerato il particolare meccanismo di calcolo che governa il metodo mobile, la risultanza che

emerge da tale calcolo rappresenta l’ammontare del plafond creato ed effettivamente non

utilizzato alla data del 1° gennaio dell’anno che si intende gestire con il metodo fisso.

Plafond libero e plafond vincolato

In base all’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, i cessionari che intervengono in una operazione

di triangolazione possono avvalersi del plafond di cui dispongono:

− integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati nello stato originario nei 6 mesi

successivi alla loro consegna (plafond a utilizzo vincolato);

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Iva

16 Iva in pratica n. 48/2020

− nei limiti della differenza tra il plafond complessivo di cui dispongono e l’ammontare delle

cessioni dei beni effettuate nei loro confronti nello stesso anno senza Iva, in quanto esportate in

triangolazione, per gli acquisti di altri beni/servizi (plafond a utilizzo libero).

I contribuenti che si trovano nella situazione di disporre di un plafond vincolato sono coloro che

intervengono in una triangolazione in qualità di primo cessionario/secondo cedente. Ciò avviene nelle

seguenti ipotesi:

1. esportazione in triangolazione prevista dall’articolo 8, comma 1, lettera a), D.P.R. 633/1972, in cui il

cessionario nazionale conferisce l’incarico al cedente di inviare la merce fuori dal territorio dell’Unione

Europea;

2. cessione intracomunitaria in triangolazione prevista dal combinato disposto degli articoli 40, comma

2, e 41, D.L. 331/1993, in cui il soggetto nazionale acquista beni in altro Stato membro e li fa trasportare

direttamente dal primo cedente nello Stato membro del proprio cessionario comunitario, designato

quale debitore d’imposta;

3. cessione intracomunitaria in triangolazione prevista dall’articolo 58, comma 1, D.L. 331/1993, in cui

il soggetto nazionale conferisce l’incarico al primo cedente italiano di inviare i beni direttamente in

altro Stato membro, a destinazione del proprio cessionario.

ESEMPIO 2

Le operazioni in triangolazione di cui ai punti 1 e 2, possono configurarsi come segue:

− IT1 (soggetto passivo d’imposta in Italia) vende a IT2 (anch’egli soggetto passivo d’imposta in Italia)

merce per 10.000 euro;

− IT2 cede a sua volta la merce a UE o a extra UE (soggetto passivo d’imposta in altro Paese UE o in un

Paese extra UE) per 11.000 euro;

− la merce è spedita o consegnata nel Paese di destinazione (UE o extra UE) dal soggetto IT1 su incarico

del soggetto IT2.

In tale esempio, la prima cessione da IT1 a IT2 è non imponibile ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera

a), D.P.R. 633/1972 o dell’articolo 58, comma 1, D.L. 331/1993, a seconda del Paese di destinazione

finale dei beni; la successiva cessione da IT2 a UE o a extra UE è, rispettivamente, una cessione

intracomunitaria o una cessione all’esportazione non imponibile Iva ai sensi dell’articolo 8, comma 1,

lettera a), D.P.R. 633/1972 o dell’articolo 41, comma 1, D.L. 331/1993.

Pertanto:

− IT1 dispone di un plafond di 10.000 euro liberamente utilizzabile;

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Iva

17 Iva in pratica n. 48/2020

− IT2 dispone di un duplice plafond:

• 1.000 euro (pari alla differenza tra il corrispettivo dei beni ceduti e quello dei beni acquistati:

11.000 - 10.000) liberamente utilizzabile;

• 10.000 euro (pari al corrispettivo dei beni acquistati) a utilizzo vincolato, con il quale potrà

acquistare beni da esportare nello stato originario entro 6 mesi dalla data in cui gli sono stati

consegnati.

Modalità di regolarizzazione dello splafonamento

Qualora siano effettuate operazioni senza addebito dell’Iva oltre il limite del plafond disponibile,

nei confronti del cessionario/committente si applica la sanzione prevista dall’articolo 7, comma

4, D.Lgs. 471/1997 (dal 100 al 200% dell’imposta), oltre al recupero dell’imposta non assolta e

degli interessi.

Tale violazione è, tuttavia, regolarizzabile e, in tal senso, sono stati forniti chiarimenti con diversi

documenti di prassi che si sono susseguiti nel tempo (si veda la tabella seguente).

Documento di prassi Soluzione

Nota Agenzia delle entrate

n. 39186 del 10 marzo 1999

In caso di splafonamento, la violazione non può essere ricondotta a una ipotesi

di tardivo versamento da parte del cedente o prestatore, che ricevuta la

dichiarazione d’intento, legittimamente ha emesso fattura senza addebito di

imposta.

Al cessionario o committente è, inoltre, riconosciuta la possibilità di sanare la

violazione commessa mediante:

emissione, entro i termini previsti dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, di

un’apposita autofattura in duplice esemplare da presentare al competente

ufficio, secondo lo schema previsto dall’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997;

versamento, entro gli stessi termini, della maggiore imposta, degli interessi e

della sanzione di cui all’articolo 7, comma 4, D.Lgs. 471/1997, in misura ridotta

ai sensi del citato articolo 13, D.Lgs. 472/1997;

annotazione dell’autofattura nel registro Iva degli acquisti, ai fini di esercitare

il diritto alla detrazione.

Poiché, in tale evenienza, l’Iva regolarizzata confluisce nella dichiarazione Iva

sia tra l’imposta a credito sia tra i versamenti effettuati, al fine di evitare una

doppia detrazione, la medesima deve essere indicata in dichiarazione anche

in una posta a debito

Circolare n. 98/E/2000

(risposta 8.2.3)

L’Agenzia delle entrate ha confermato la stessa procedura come misura

alternativa alla richiesta al proprio cedente o prestatore di effettuare le

corrispondenti variazioni in aumento dell’Iva non addebitata in fattura, ai sensi

dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972.

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Iva

18 Iva in pratica n. 48/2020

Laddove il cessionario o committente voglia sanare la violazione mediante

l’emissione di un’autofattura, in un’ottica semplificativa del sistema, il

versamento dell’imposta e degli interessi può anche essere effettuato

attraverso la contabilizzazione in sede di liquidazione periodica, con

indicazione nel rigo VP8, colonna 1, della dichiarazione mensile o trimestrale

(allora in vigore). Anche in tal caso, l’autofattura deve essere presentata al

competente ufficio locale dell’Agenzia delle entrate e annotata nel registro

degli acquisti

Circolare n. 50/E/2002 (§ 24.2) L’Agenzia delle entrate ha fatto rinvio a tutte e 3 le diverse modalità di

regolarizzazione dello splafonamento:

• richiesta di emissione delle note di variazione in aumento al proprio cedente

o prestatore;

• emissione di autofattura e versamento diretto dell’imposta, delle sanzioni e

degli interessi;

• assolvimento dell’imposta, comprensiva degli interessi, in sede di

liquidazione periodica.

È stato, inoltre, confermato che, quando la regolarizzazione avviene in sede di

liquidazione periodica, il cessionario o committente deve versare la sola

sanzione prevista dall’articolo 7, comma 4, D.Lgs. 471/1997

Circolare n. 12/E/2008

(risposta 10.4)

Nel fornire indicazioni circa la regolarizzazione di violazioni commesse in 2

diversi periodi d’imposta, per uno dei quali non era più possibile far confluire

la maggiore Iva nella liquidazione periodica dell’anno in cui era stata

commessa la violazione, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la

regolarizzazione della violazione è possibile anche oltre i termini previsti per

ravvedere la sanzione (il termine ultimo per ravvedere, nel 2008, era quello

previsto dalla lettera b) dell’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, ossia il termine di

presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui la violazione era

stata commessa), puntualizzando che, in tal caso, la sanzione è irrogata

dall’ufficio. Ciò a significare che la regolarizzazione spontanea dello

splafonamento non è necessariamente subordinata al contestuale pagamento

delle sanzioni in misura ridotta

Circolare n. 10/E/2010

(risposta 3.7)

L’Agenzia delle entrate ha confermato la possibilità di detrarre l’Iva

evidenziata nell’autofattura e versata mediante modello F24

Con la risoluzione n. 16/E/2017, l’Agenzia delle entrate è intervenuta in risposta a un’istanza di

interpello, in cui si fa presente che:

“L’istante, che nel 2015, per un errore informatico, ha effettuato acquisti senza applicazione dell’Iva

oltre il limite del plafond disponibile, chiede chiarimenti in merito alla possibilità di ravvedere la

violazione commessa. In particolare, l’istante fa presente che, per regolarizzare contabilmente la

violazione commessa secondo la procedura n. 3 descritta nella circolare n. 50/E/2002, § 24.2 (emissione

di autofattura e contabilizzazione in sede di liquidazione periodica), ha emesso autofattura per ciascun

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Iva

19 Iva in pratica n. 48/2020

fornitore e le ha annotate nel registro degli acquisti e delle vendite, in data 31 dicembre 2015, facendo

confluire la maggiore Iva nella liquidazione periodica relativa al mese di dicembre. L’istante

intenderebbe, pertanto, versare tramite modello F24 esclusivamente la sanzione prevista dall’articolo

7, comma 4, D.Lgs. 471/1997, in misura ridotta, ai sensi dell'articolo 13, D.Lgs. 472/1997, nonché gli

interessi sull’Iva a debito, calcolati al 31 dicembre 2015. Il dubbio interpretativo nasce dal fatto che la

procedura di regolarizzazione sopra richiamata, delineata nella circolare n. 50/E/2002, non è stata

riproposta nei diversi documenti di prassi emanati successivamente, che hanno trattato il medesimo

argomento”.

La circolare n. 98/E/2000, confermata dalla circolare n. 50/E/2002, ha chiarito che, laddove il

contribuente voglia sanare la violazione mediante l’emissione di un’autofattura, “in un’ottica

semplificativa del sistema, il versamento dell’imposta e degli interessi potrebbe anche essere effettuato

attraverso la contabilizzazione in sede di liquidazione periodica, con indicazione nel rigo VP8, colonna 1,

della dichiarazione mensile o trimestrale [allora in vigore]”. Anche in tal caso, l’autofattura deve essere

presentata al competente ufficio locale dell’Agenzia delle entrate e annotata nel registro degli acquisti.

Come indicato dalla risoluzione n. 16/E/2017

“questa forma alternativa di regolarizzazione in sede di liquidazione periodica può essere adottata

entro il 31 dicembre dell’anno in cui si è realizzato lo splafonamento e non oltre”.

Le successive circolari n. 12/E/2008 e n. 12/E/2010 non hanno fatto alcun rinvio alla procedura di

regolarizzazione in esame, “perché destinate a fornire chiarimenti circa specifici casi di violazioni

concernenti il plafond per i quali detta forma di regolarizzazione era ormai inibita.

In particolare, la circolare n. 12/E/2008 ha fornito indicazioni circa la regolarizzazione di violazioni commesse

in due diversi periodi di imposta, per uno dei quali non era più possibile far confluire la maggiore Iva nella

liquidazione periodica dell'anno in cui era stata commessa la violazione.

In tale sede è stato affermato, inoltre, il principio secondo cui la regolarizzazione della violazione è possibile

anche oltre i termini previsti per ravvedere la sanzione (il termine ultimo per ravvedere, nel 2008, era quello

previsto dalla lettera b) dell’articolo 13, ossia il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno

in cui la violazione era stata commessa), precisando che, in tal caso, la sanzione è irrogata dall’ufficio. Ciò a

significare che la regolarizzazione spontanea dello splafonamento non è necessariamente subordinata al

contestuale pagamento delle sanzioni in misura ridotta.

La circolare n. 12/E/2010 ha, invece, semplicemente confermato la possibilità di detrarre l’Iva evidenziata

nell’autofattura e versata mediante modello F24”.

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Iva

20 Iva in pratica n. 48/2020

Modalità di

regolarizzazione

Adempimenti

Nota di variazione Richiesta al cedente/prestatore di effettuare le variazioni in aumento dell’Iva, ai

sensi dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972; resta, comunque, a carico dell’acquirente

il pagamento degli interessi e delle sanzioni, anche tramite l’istituto del

ravvedimento operoso di cui all’articolo 13, D.Lgs. 472/1997

Autofattura Emissione di un’autofattura da parte del cessionario/committente, in duplice

esemplare, contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore, il numero

progressivo delle fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta

che avrebbe dovuto essere applicata. Dopodiché, occorre provvedere:

• a versare l’imposta e gli interessi;

• ad annotare l’autofattura nel registro degli acquisti;

• a presentare, in analogia con la procedura prevista dall’articolo 6, comma 8,

D.Lgs. 471/1997, una copia dell’autofattura al competente ufficio dell’Agenzia

delle entrate;

• a indicare in dichiarazione una posta a debito pari all’Iva assolta al fine di

evitare una doppia detrazione;

• a versare, in caso di ravvedimento, la sanzione di cui all’articolo 7, comma 4,

D.Lgs. 471/1997, in misura ridotta ai sensi del citato articolo 13, D.Lgs. 472/1997

Autofattura e liquidazione

periodica

Emissione di un’autofattura e computo della maggiore Iva in sede di liquidazione

periodica. In particolare, occorre provvedere:

• a emettere un’autofattura, con le caratteristiche sopra richiamate, entro il 31

dicembre dell’anno di splafonamento;

• a assolvere l’Iva in sede di liquidazione periodica, mediante annotazione, entro

il 31 dicembre del medesimo anno, della maggiore imposta e dei relativi interessi

nel registro delle vendite, nonché annotazione dell’autofattura anche nel registro

degli acquisti;

• a presentare una copia dell'autofattura al competente ufficio dell’Agenzia delle

entrate;

• a versare, in caso di ravvedimento operoso, la sanzione prevista dall’articolo 7,

comma 4, D.Lgs. 471/1997

In conformità con i chiarimenti resi con la circolare n. 50/E/2002, secondo cui la presentazione

dell’autofattura al competente ufficio costituisce l’adempimento finale della procedura di

regolarizzazione, la risoluzione n. 16/E/2017 ha precisato che “tale obbligo può essere assolto

anche in un momento successivo alla liquidazione/versamento dell’imposta, e al conseguente esercizio

del diritto alla detrazione mediante annotazione dell’autofattura nel registro degli acquisiti, purché la

consegna avvenga entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva nella quale sono riepilogati

i risultati delle singole liquidazioni periodiche ed è determinata l’imposta a debito o a credito relativa

all’anno in cui la violazione è stata regolarizzata. La presentazione in ufficio dell’autofattura in un

momento successivo all’esercizio della detrazione, purché entro il termine della presentazione della

dichiarazione Iva, non pregiudica, infatti, il controllo da parte dell’Agenzia delle entrate della posizione

del cessionario, autore della violazione, senza alcuna conseguenza sulla posizione del cedente”.

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Iva

21 Iva in pratica n. 48/2020

SCHEDA DI SINTESI

Gli esportatori abituali hanno diritto di acquistare e importare beni/servizi nei limiti del plafond,

cioè delle operazioni con l’estero relative all’anno precedente o ai 12 mesi precedenti.

L’esportatore abituale deve:

- trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate, che rilascia

apposita ricevuta telematica;

- consegnare al proprio fornitore, ovvero in dogana, la dichiarazione d’intento e la ricevuta di

presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate.

Il fornitore, invece, è tenuto a riepilogare nel quadro VI della dichiarazione Iva annuale i dati

contenuti nella dichiarazione d’intento.

Dal 2020:

- l’esportatore deve trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle

entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica con indicazione del protocollo di ricezione;

- il fornitore deve riportare in fattura gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione

d’intento, che sono invece indicati nella bolletta doganale in caso di importazione.

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Iva

22 Iva in pratica n. 48/2020

Iva in pratica n. 48/2020

La sospensione del rimborso Iva a

seguito di constatazione di reati fiscali:

la stretta penale di Gianfranco Antico - pubblicista

Premessa

Come noto, il sistema sanzionatorio penal tributario, delineato nel D.Lgs. 74/2000, unitamente ai

successivi interventi legislativi1, è stato profondamente rivisitato dal D.Lgs. 158/2015.

Il D.L. 124/2019, convertito con modificazioni in L. 157/2019, che ha inasprito le pene per alcuni reati,

introdotto la c.d. confisca allargata2 e la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in

relazione alla commissione di reati tributari3, impatta altresì sul comma 8 dell’articolo 38-bis, D.P.R.

633/19724, norma che prevede che "Nel caso in cui nel periodo relativo al rimborso sia stato constatato

uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000, l'esecuzione dei rimborsi di cui al presente articolo è

sospesa, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta indicata nelle fatture o in altri documenti

illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale".

La sospensione del rimborso a seguito di reati

Il comma 8, dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 - sostanzialmente identico alla precedente

formulazione contenuta nel comma 3 del previgente articolo 38-bis - si è limitato ad aggiornare i

riferimenti normativi relativi alle fattispecie penali previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, D.L. 429/1982,

1 Articolo 1, comma 414, L.311/2004; articolo 35, comma 7, D.L. 223/2006, convertito in L. 248/2006; articolo 29, D.L. 78/2010, convertito in

L. 122/2010; D.L. 138/2011, convertito in L. 148/2011. 2 Il nuovo articolo 12-ter, D.Lgs. 74/2000 prevede, in caso di condanna (o patteggiamento della pena) per alcuni delitti in materia di imposte

sui redditi e Iva, l’applicazione della c.d. confisca allargata di cui all’articolo 240-bis, c.p. e dunque la possibilità di confiscare denaro, beni o

altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere

titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito. 3 In particolare, è stato inserito l’articolo 25-quinquiesdecies nel catalogo dei reati che, in base al D.Lgs. 231/2001, costituiscono presupposto

della responsabilità amministrativa degli enti. 4 Come modificato dall’articolo 13, D.Lgs. 175/2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014, che ha rimodulato sostanzialmente la disciplina

relativa all'esecuzione dei rimborsi Iva, al fine di semplificare e accelerarne l'erogazione. Come rilevato dalla circolare n. 32/E/2014, la

normativa “presenta un cambio di impostazione radicale nel rapporto tra fisco e contribuente, eliminando l'obbligo generalizzato di prestazione della

garanzia, con la conseguente significativa riduzione dei costi per ottenere i rimborsi annuali e trimestrali nonché con la contrazione della tempistica

di lavorazione per il venir meno della fase amministrativa di richiesta e di riscontro della validità delle garanzie”.

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Iva

23 Iva in pratica n. 48/2020

convertito in L. 516/1982, ed è posto a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di gravi

illeciti penali, basati sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

In merito al contenuto della norma, la circolare n. 32/E/2014 ha precisato che la sospensione in

argomento opera nei limiti di seguito indicati:

− le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 devono essere state constatate con

riferimento al medesimo periodo d'imposta per il quale è stata presentata richiesta di rimborso dell'Iva5;

− la sospensione del rimborso non può essere disposta per un importo superiore all'ammontare dell'Iva

esposta nelle fatture o negli altri documenti illecitamente emessi o utilizzati.

Pertanto, la conoscenza da parte dell’ufficio delle fattispecie sopra richiamate comporta la sospensione

del rimborso, inibendo alcuna valutazione discrezionale. Sospensione del rimborso che opera fino alla

definizione del procedimento penale, indipendentemente dall'esito (cfr. circolare n. 31/E/2014).

La “constatazione” coincide già con il momento della verbalizzazione nel processo verbale giornaliero

ovvero nel pvc, ovvero in altri atti, indipendentemente dall’inoltro della denuncia penale o ancor più

dall’esercizio dell’azione penale. Il reato, infatti, si considera constatato, una volta acquisita la notitia

criminis.

Inoltre, ai fini della sospensione, non rileva l'eventuale definizione dell'obbligazione tributaria

sottostante.

I reati interessati

Se la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e Iva, introdotta dal D.Lgs. 74/2000, ha operato

un radicale rovesciamento dei principi che stavano alla base del D.L. 429/1982, convertito nella L.

5 La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8295/2014, ha fornito una serie di importanti indicazioni sul tema affrontato. Osserva la Corte,

innanzitutto, che “questa fattispecie prevede una sospensione del rimborso in ragione della "constatazione" di un reato, senza far riferimento ad

alcuno degli atti tipici del processo penale e ricollega il termine finale della sospensione alla "definizione del relativo procedimento penale", senza

prevedere alcuna comunicazione o notificazione preventiva alla parte”. Prosegue la sentenza affermando che “la formulazione ampia della norma

e l'esigenza di bilanciamento tra gli interessi dello Stato e quelli del contribuente fanno ritenere applicabile la sospensione del rimborso D.P.R.

633/1972, ex articolo 38-bis quando ricorra la constatazione di un reato, e dunque anche quando l'attività investigativa sia in corso e i suoi esiti non

sono ancora compiutamente maturati”. Viene, altresì, rimarcata la differenza con quanto previsto dall’articolo 23, D.Lgs. 472/1997, in tema di

violazioni amministrative, che colloca il provvedimento di sospensione al momento conclusivo dell'attività di controllo dell’Amministrazione

finanziaria, quando la stessa ha formalizzato le sue determinazioni in un atto tipico di cui la parte deve essere informata. Pertanto, “nel caso

in esame non possono trovare applicazione le disposizioni relative ai presupposti della sospensione facoltativa del rimborso dettate dal D.Lgs.

472/1997, articolo 23 in relazione a violazioni amministrative, che la subordinano a precisi atti formali della Amministrazione finanziaria "la notifica

dell'atto di contestazione o di irrigazione della sanzione, ancorché non definitivo". Cfr. anche la sentenza n. 24917/2013, secondo cui “la tesi in

diritto della parte ricorrente secondo cui la S. non potrebbe subire le conseguenze pregiudizievoli determinate da fatti illeciti cui essa è estranea, in

quanto la norma tributaria legittima la sospensione dei rimborsi Iva soltanto in caso di coinvolgimento diretto del contribuente nel procedimento

penale, e dunque nel caso in cui gli atti di indagine – in quanto diretti all’accertamento della commissione del reato e sempre che non risultino affetti

da vizi di invalidità – si siano svolti nei confronti del contribuente quale soggetto “indagato”, appare del tutto carente nella esposizione delle premesse

in fatto, non avendo la ricorrente neppure indicato i documenti sui quali si fonderebbe l’assunto e che dovrebbero smentire la diversa ricostruzione

della fattispecie concreta cui è pervenuto il giudice territoriale laddove ha affermato, contrariamente a quanto allegato in ricorso dalla società, che

gli atti di indagine penale erano stati svolti proprio nei confronti della società contribuente, quindi per ciò stesso da ritenersi anch’essa coinvolta nel

procedimento penale”.

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Iva

24 Iva in pratica n. 48/2020

516/1982, l’attuazione della delega fiscale - D.Lgs. 158/2015 – ha determinato un nuovo cambiamento

del regime penale tributario.

Resta fermo, comunque, che i reati interessati sono quelli di cui all’articolo 2 e all’articolo 8, D.Lgs.

74/2000. Reati di frode, basati sostanzialmente sull’emissione e sull’utilizzo di fatture false rilasciate

da imprese fittizie (dette anche “società di comodo”, o “cartiere” o “missing trader”), create al solo fine

di consentire ad altri operatori economici di evadere le imposte, attraverso la giustificazione contabile

delle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate magari da ulteriori imprese, realmente operative,

che vengono celate al Fisco6.

La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti

Il D.Lgs. 158/2015 è intervenuto sull’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, sopprimendo la parola “annuali” e

ampliando il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini del reato ivi previsto7. Con la soppressione della

parola “annuali” si amplia il raggio d’azione del reato, che si estende a una delle dichiarazioni relative

alle imposte sui redditi e all’Iva.

Il reato è stato interessato dalle modifiche apportate dal D.L. 124/2019, convertito con modifiche in L.

157/2019. In particolare, le lettere a) e b), del comma 1, dell’articolo 39, D.L. 124/2019, sono intervenute

sul delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti, novellando l’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 74/2000.

Per effetto delle modifiche apportate la pena è elevata (lettera a) prevedendo la reclusione da 4 a 8

anni (oggi da 1 anno e 6 mesi a 6 anni). Inoltre, la lettera b) ha inserito un comma 2-bis in base al quale

la pena è più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni)

quando l’ammontare del passivo fittizio è inferiore a 100.000 euro.

Il D.L. prevede, inoltre, l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando i passivi fittizi sono

superiori a 200.000 euro (valore innalzato nel corso dell’esame in commissione rispetto agli originari

100.000 euro), e della responsabilità amministrativa dell’ente. Pertanto, mentre per l’applicazione della

6 Nel caso in cui siano coinvolti altri operatori a livello europeo, il meccanismo frodatorio vede la presenza di un soggetto nazionale, che

formalmente effettua cessioni non imponibili di beni verso una “cartiera” avente sede in altro Paese comunitario, senza che i beni lascino mai

il territorio nazionale, in quanto destinati, in realtà, ad altri soggetti nazionali, che li acquistano a prezzi concorrenziali. A sua volta, la “cartiera”

estera cede cartolarmente gli stessi beni a un ulteriore “società di comodo” italiana, che rivende le merci ai reali acquirenti nazionali senza

assolvere agli obblighi tributari. La “cartiera” nazionale assume su di sé il debito d’imposta che sorge al momento della cessione nazionale,

ma omette di versare l’Iva all’Erario e in breve tempo cessa l’attività, mentre il cessionario ha il vantaggio di detrarre l’imposta sull’acquisto e

nel contempo farsi retrocedere dalla “cartiera” l’Iva corrisposta in fattura (cfr. circolare n. 1/2018 della G. di F.). 7 Come riportato nello studio degli uffici della Camera e del Senato a commento della disposizione normativa, “la modifica apportata, pertanto,

estende la portata della sanzione penale a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Iva, comprese quelle che vengono presentate in

occasione di operazioni straordinarie o nell’ambito di procedure concorsuali”, che possono avere una cadenza temporale diversa dall’anno.

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25 Iva in pratica n. 48/2020

pena più grave è sufficiente che i passivi fittizi ammontino a 100.000 euro, per l’applicazione della

confisca allargata occorre che tale cifra sia raddoppiata.

Infine, a seguito di una modifica introdotta in Commissione, anche il delitto di dichiarazione fraudolenta

mediante uso di documenti per operazioni inesistenti può estinguersi attraverso l’integrale pagamento

del debito tributario, purché lo stesso intervenga prima che l'autore del reato abbia avuto formale

conoscenza di una indagine a suo carico (si veda infra, lettera q-bis)).

La circolare n. 1/2018 della G. di F. ha specificato che

“il soggetto che semplicemente detenga le fatture relative a operazioni fittizie emesse da altri oppure

le annoti in contabilità senza trasfonderne le risultanze in dichiarazione non può essere chiamato a

rispondere in sede penale neanche a titolo di tentativo, stante il chiaro disposto dell’articolo 6, D.Lgs.

74/2000. Lo scopo di una siffatta previsione consiste nel lasciare la possibilità al contribuente

“scoperto” in occasione di controlli fiscali di “ravvedersi” spontaneamente, presentando – ove non lo

abbia già fatto e qualora sia ancora nei termini - una dichiarazione veritiera e corretta, garantendo

all’Erario l’immediata percezione del debito d’imposta”.

Il manuale sui controlli della G. di F. – circolare n. 1/2018 - conferma il rilievo penale del concetto di

“inesistenza”, che deve essere inteso “in senso comprensivo di ogni genere di divergenza fra la realtà

documentata e quella effettiva”, concetto, peraltro fatto proprio dalla Corte di Cassazione:

− sentenza n. 46785/2011: ciò che tipizza la nozione di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti è tanto l’inesistenza dell’operazione economica, oggettiva o soggettiva, totale o parziale,

quanto la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro

documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie;

− sentenza n. 28352/2013: il reato sussiste nelle ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (quando

la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), di inesistenza relativa (l'operazione vi sia stata,

ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) e, infine, di sovrafatturazione “qualitativa” (quando

la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti);

− sentenza n. 36359/2019: in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, l'onere di

dimostrare la corrispondenza tra i costi sostenuti a titolo di corrispettivo delle prestazioni ricevute e

quelli documentati dalle fatture emesse dall'impresa che tali prestazioni non ha reso, ricade su chi

intende giovarsi della deducibilità di tali costi ai fini delle imposte sul reddito e della detrazione dell'Iva

indicata in fattura, non potendo la pubblica accusa farsi carico di ricostruire la effettività di tali costi

quando non sono nemmeno noti i fornitori della prestazione. Né, può ritenersi indefettibile, in caso di

fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, la necessaria collusione tra emittente della fattura

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Iva

26 Iva in pratica n. 48/2020

e utilizzatore della prestazione, soprattutto quando non è certa nemmeno la effettiva corrispondenza

tra i costi documentati e quelli realmente sostenuti. In ogni caso, il dolo del delitto di utilizzazione di

fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, “è ravvisabile

nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la

prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall'emittente, conseguendo in tal

modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l'Iva versata dall'utilizzatore della fattura non è stata pagata

dall'esecutore della prestazione medesima”;

− sentenza n. 50362/2019: “l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture

per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non

incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo 2, D.Lgs. 74/2000, il

quale, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra

quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo”; 8

Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

L'articolo 8, D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui

redditi o dell’Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Come osservato nella circolare n. 154/E/2000 “La condotta consiste nella emissione o nel rilascio di fatture

o di altri documenti per operazioni inesistenti, a nulla rilevando la loro effettiva utilizzazione da parte del

soggetto ricevente; essa, dunque, è speculare rispetto a quella descritta dall'articolo 2 del decreto in

argomento, differenziandosene sul piano strutturale, dal momento che nella seconda fattispecie la mera

utilizzazione di documentazione comprovante operazioni inesistenti non integra, ex se, gli estremi del reato”.

Soggetto attivo del delitto è chiunque emette fatture o documenti per operazioni inesistenti, anche se,

come precisato nella circolare n. 154/E/2000, non obbligato alla tenuta delle scritture contabili; la

fattispecie criminosa, infatti, non prevede alcuna particolare qualificazione per i soggetti agenti.

L'oggetto materiale del reato è la fattura o il documento emesso per operazioni inesistenti, la cui

definizione è fornita dall'articolo 1, lettera a), D.Lgs. 74/2000 (per "fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle

8 “Nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, la falsità può essere riferita anche

all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione. Per soggetti diversi da quelli effettivi si devono quindi intendere coloro che, pur avendo

apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun

rapporto con il contribuente finale (così Cassazione n. 27392/2012). Per quanto attiene, invece, anche le imposte dirette, la giurisprudenza prevalente

di questa Corte ritiene che l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti,

anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo

2, D.Lgs. 74/2000, il quale, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal

punto di vista oggettivo o soggettivo (sul punto: Cassazione n. 4236/2018 e n. 30874/2018, n. 4236/2018). La giurisprudenza prevalente ritiene quindi

inesistente una differenziazione tra imposte dirette e indirette”.

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Iva

27 Iva in pratica n. 48/2020

norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che

indicano i corrispettivi o l'Iva in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a

soggetti diversi da quelli effettivi).

Anche per questo delitto l'elemento soggettivo richiede il dolo specifico, consistente nel fine di

consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o dell’Iva.

Il reato si consuma all'atto dell'emissione o del rilascio della fattura o del documento per operazioni

inesistenti.

Le lettere l) e m), del comma 1, dell’articolo 39, D.L. 124/2019, hanno modificato il delitto di emissione

di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 8, D.Lgs. 74/2000.

Le norme introdotte hanno aumentato la pena (da 4 anni a 8 anni), analogamente a quanto fatto per il

parallelo delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti. Inoltre, la lettera m) inserisce un comma 2-bis in base al quale la pena è più bassa (ovvero

si mantiene la precedente pena della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) quando l’importo indicato

nelle fatture o nei documenti e relativo a operazioni inesistenti è inferiore, per il periodo d’imposta

considerato, a 100.000 euro.

Il D.L. prevede, inoltre, l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando l’importo non rispondente

al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200.000 euro.

Trova applicazione la responsabilità amministrativa degli enti.

Il reato di emissione – in considerazione della particolare offensività della condotta - è integrato

indipendentemente dalla circostanza che la fattura sia poi effettivamente utilizzata dal destinatario

nella propria dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva (“al fine di consentire a terzi

l’evasione”).

Per la G. di F. – circolare n. 1/2018 - il riferimento all’emissione anche di “documenti”, senza ulteriore

specificazione, relativi a operazioni fittizie, determina la configurazione del delitto in esame quale reato

comune, così che lo stesso può essere posto in essere non soltanto da soggetti tenuti all’impianto e alla

conservazione di scritture contabili.

La stessa G. di F., in ordine al significato dell’espressione “mezzi fraudolenti”, richiama i precedenti

orientamenti giurisprudenziali che nel tempo hanno individuato, con riferimento alla previgente

formulazione dell’articolo 3, D.Lgs. 74/2000, un’ampia casistica, ritenendoli sussistenti in una serie di

ipotesi:

− utilizzo di documenti contraffatti o alterati, diversi dalle fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti oggetto di falsità sia ideologica che materiale, per i quali si applica la disposizione di cui

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Iva

28 Iva in pratica n. 48/2020

all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, quali, ad esempio: l’imputazione di spese relative a investimenti

inesistenti sorretta da predisposizione di contratti ideologicamente falsi9;

− contratti simulati (ovvero rogiti notarili attestanti compravendite immobiliari) con indicazione di un

prezzo di vendita molto inferiore al reale10;

− tenuta di una doppia contabilità, di per sé sola non sufficiente a integrare l’ipotesi delittuosa, che può

essere ravvisata, tuttavia, laddove il contribuente si avvalga di un sistema articolato e complesso per

realizzare sistematicamente il nero, sia in entrata sia in uscita, con creazione di specifici codici e procedure

di accesso idonei a prospettare a terzi dati fraudolentemente alterati nel corso di eventuali ispezioni11;

− rinvenimento da parte degli organi di controllo della contabilità “in nero” in luogo diverso da quello

indicato dal contribuente per la custodia delle scritture12;

− fittizia intestazione di rapporti finanziari su cui accreditare elementi attivi destinati a non essere

contabilizzati13 ;

− sistematica emissione di titoli di credito senza indicazione del beneficiario al fine di occultare i

pagamenti14.

SCHEDA DI SINTESI

Il sistema sanzionatorio penal tributario, delineato nel D.Lgs. 74/2000, unitamente ai successivi

interventi legislativi, è stato profondamente rivisitato dal D.Lgs. 158/2015. Il D.L. 124/2019,

che ha inasprito le pene per alcuni reati, introdotto la c.d. confisca allargata e la responsabilità

amministrativa delle persone giuridiche in relazione alla commissione di reati tributari, impatta

altresì sul comma 8 dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972.

Il comma 8, dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 si è limitato ad aggiornare i riferimenti

normativi relativi alle fattispecie penali previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, D.L. 429/1982,

ed è posto a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di gravi illeciti penali, basati

sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

La circolare n. 32/E/2014 ha precisato che la sospensione in argomento opera nei limiti di

seguito indicati: le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 devono essere

state constatate con riferimento al medesimo periodo d'imposta per il quale è stata presentata

9 Cassazione, sentenza n. 14616/2012. 10 Cassazione, sentenza n. 9414/1996. 11 Cassazione, sentenza n. 13641/2002. 12 Cassazione, sentenza n. 1402/2005. 13 Cassazione, sentenza n. 13098/2009. 14 Cassazione, sentenza n. 36977/2005.

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Iva

29 Iva in pratica n. 48/2020

richiesta di rimborso dell'Iva; la sospensione del rimborso non può essere disposta per un

importo superiore all'ammontare dell'Iva esposta nelle fatture o negli altri documenti

illecitamente emessi o utilizzati.

La conoscenza da parte dell’ufficio delle fattispecie sopra richiamate comporta la sospensione

del rimborso, inibendo alcuna valutazione discrezionale. Sospensione del rimborso che opera

fino alla definizione del procedimento penale, indipendentemente dall'esito (cfr. circolare n.

31/E/2014). La “constatazione” coincide già con il momento della verbalizzazione nel processo

verbale giornaliero ovvero nel pvc, ovvero in altri atti, indipendentemente dall’inoltro della

denuncia penale o ancor più dall’esercizio dell’azione penale. Il reato, infatti, si considera

constatato, una volta comunque acquisita la notitia criminis. Inoltre, ai fini della sospensione,

non rileva l'eventuale definizione dell'obbligazione tributaria sottostante.

L’articolo 2, D.Lgs. 74/2000 è interessato dalle modifiche apportate dal D.L. 124/2019, per

effetto delle quali la pena è elevata, prevedendo la reclusione da 4 a 8 anni. Inoltre, la pena è

più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni)

quando l’ammontare del passivo fittizio è inferiore a 100.000 euro. Il D.L. prevede, inoltre,

l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando i passivi fittizi sono superiori a 200.000

euro, e della responsabilità amministrativa dell’ente. Pertanto, mentre per l’applicazione della

pena più grave è sufficiente che i passivi fittizi ammontino a 100.000 euro, per l’applicazione

della confisca allargata occorre che tale cifra sia raddoppiata. Infine, anche il delitto di

dichiarazione fraudolenta mediante uso di documenti per operazioni inesistenti può estinguersi

attraverso l’integrale pagamento del debito tributario, purché lo stesso intervenga prima che

l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di una indagine a suo carico.

L'articolo 8, D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte

sui redditi o dell’Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Le lettere l) e m), comma 1, articolo 39, D.L. 124/2019, hanno modificato il delitto di emissione

di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 8, D.Lgs. 74/2000. Le

norme introdotte hanno aumentato la pena, analogamente a quanto fatto per il parallelo delitto

di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

(da 4 anni a 8 anni). Inoltre, la pena è più bassa (ovvero si mantiene la precedente pena della

reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) quando l’importo indicato nelle fatture o nei documenti

e relativo a operazioni inesistenti è inferiore, per il periodo d’imposta considerato, a 100.000

euro. Il D.L. prevede inoltre l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando l’importo

non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200.000 euro.

Trova applicazione la responsabilità amministrativa degli enti.

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Iva

30 Iva in pratica n. 48/2020

Iva in pratica n. 48/2020

Il rapporto di accessorietà di Marco Peirolo - dottore commercialista e componente del Fiscal Committee della Confédération Fiscale

Européenne

Ai fini Iva, ciascuna prestazione deve essere considerata distinta e indipendente (articolo 1, § 2,

Direttiva 2006/112/CE), ma questa regola generale può essere derogata quando l’operazione si

compone di più elementi, dovendosi così determinare se gli stessi siano distinti, oppure

costituiscano un’unica prestazione.

Quest’ultima ipotesi ricorre in 2 casi, segnatamente:

− in presenza di un rapporto di accessorietà, cioè quando una prestazione si considera principale,

mentre l’altra è a essa accessoria;

− quando le prestazioni rese siano talmente connesse da formare, oggettivamente, una sola

prestazione economica indissociabile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale.

Normativa di riferimento in merito al rapporto di accessorietà

L’articolo 78, § 1, lettera b), Direttiva 2006/112/CE stabilisce che, nella base imponibile, devono essere

comprese le spese accessorie quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di

assicurazione, addebitate dal fornitore al cliente.

Nella normativa interna, il principio di accessorietà è previsto dall’articolo 12, D.P.R. 633/1972, secondo cui:

− il trasporto, la posa in opera, l’imballaggio, il confezionamento, la fornitura di recipienti o contenitori

e le altre cessioni o prestazioni accessorie a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, effettuati

direttamente dal fornitore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente a Iva

nei rapporti fra le parti dell’operazione principale;

− se l’operazione principale è soggetta a Iva, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie

imponibili concorrono a formarne la base imponibile.

Affinché, quindi, le cessioni o prestazioni accessorie a una operazione principale non siano assoggettate

autonomamente all’imposta è indispensabile che le stesse siano effettuate:

− nei confronti dello stesso destinatario dell’operazione principale;

− direttamente dal soggetto che pone in essere l’operazione principale, ovvero da 1/3, purché per conto

e a spese del primo.

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Iva

31 Iva in pratica n. 48/2020

Presupposti del rapporto di accessorietà

È ormai consolidato, per lo meno sul piano amministrativo, l’orientamento in base al quale il rapporto

di accessorietà presuppone un duplice presupposto, di tipo soggettivo e oggettivo.

Requisito dell’identità soggettiva

Sotto il primo profilo, è richiesta l’identità dei soggetti tra i quali intercorrono le operazioni

principale e accessoria1.

Sul punto, il comma 1 dell’articolo 12, D.P.R. 633/1972 dispone che le prestazioni accessorie

devono essere effettuate “direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese”.

In questa seconda ipotesi, giuridicamente riconducibile al mandato con rappresentanza, il principio

dell’identità soggettiva resta “impregiudicato”, posto che il rapporto contrattuale con il “terzo” si colloca

a monte del soggetto che realizza l’operazione principale, tant’è che quest’ultimo riaddebiterà al

cessionario/committente il corrispettivo dell’operazione accessoria2.

ESEMPIO 1 – Trasporto di beni resa dal vettore su commissione del cedente

Riguardo alla prestazione di trasporto, nel rapporto contrattuale instaurato tra il cedente e il

vettore, è dato osservare che, se il trasporto viene effettuato per conto e a spese del cedente, il

carattere accessorio della prestazione di trasporto viene a configurarsi, in base all’articolo 12, D.P.R.

633/1972, soltanto nel rapporto tra le parti dell’operazione principale, vale a dire nel rapporto

cedente-cessionario, assumendo il vettore la veste di “terzo” rispetto ai soggetti dell’operazione

principale.

Nella situazione descritta, la prestazione di trasporto resa dal vettore su commissione del cedente

riveste, pertanto, un’autonoma rilevanza, in quanto la natura accessoria della prestazione è ipotizzabile

soltanto in un rapporto di relazione che presuppone, necessariamente, la presenza di 2 operazioni

effettuate dallo stesso soggetto, quando invece, nel caso prospettato, l’operazione è unica e, quindi,

autonoma.

Conseguentemente, il corrispettivo relativo alla prestazione di trasporto è autonomamente soggetto a

fatturazione e a Iva con l’aliquota ordinaria (22%)3.

1 Cfr., per tutte, risoluzioni n. 6/E/1998, n. 216/E/2002, n. 230/E/2002, n. 120/E/2003, n. 167/E/2003, n. 337/E/2008 e n. 367/E/2008. 2 Cfr. risoluzione n. 550145/1988. 3 Cfr. risoluzione n. 550145/1988, cit..

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Iva

32 Iva in pratica n. 48/2020

ESEMPIO 2 – Visure ipocatastali utilizzate nella fase istruttoria della concessione dei prestiti

Si consideri il caso di una società che ha ricevuto da un istituto di credito l’incarico di eseguire visure

ipocatastali da utilizzare nella fase istruttoria della concessione dei prestiti.

Il dubbio è se tali prestazioni di servizi siano esenti da Iva in quanto relative a operazioni creditizie e

finanziarie ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 1), D.P.R. 633/1972, ovvero in quanto accessorie alle

suddette operazioni creditizie e finanziarie.

Nella fattispecie, l’esecuzione delle visure ipocatastali, pur costituendo un’attività strumentale alla

valutazione degli affidamenti, è una semplice attività tecnica che non svolge le stesse funzioni

specifiche ed essenziali delle operazioni di finanziamento effettuate dalle aziende di credito e non è

idonea a modificare direttamente le situazioni giuridiche ed economiche soggettive; condizioni, queste,

richieste dalla Corte di Giustizia4.

Pertanto, le prestazioni di servizi di visure ipocatastali effettuate nei confronti delle aziende di credito

non rientrano nel regime di esenzione Iva di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1), D.P.R. 633/1972.

Resta da esaminare se le prestazioni in argomento possano essere considerate esenti da Iva in quanto

accessorie all’operazione principale di finanziamento.

In tale contesto, mancano, tuttavia, i presupposti giuridici per la qualificazione come accessoria

dell’operazione in questione.

Le visure ipocatastali, diversamente da quanto richiesto dall’articolo 12, D.P.R. 633/1972, sono

effettuate da un soggetto del tutto distinto dal prestatore dell’operazione principale e sono rese non al

soggetto finanziato, bensì all’azienda erogatrice del prestito.

Infatti, le medesime visure fanno parte della complessa attività interna dell’azienda di credito,

propedeutica all’erogazione del finanziamento e non formano oggetto del rapporto contrattuale tra

banca e cliente.

Nella fattispecie prospettata, non si ravvisa, pertanto, l’esistenza dei presupposti giuridici per poter

considerare i servizi di esecuzione delle visure ipocatastali come prestazioni accessorie rispetto alle

operazioni creditizie di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1), D.P.R. 633/1972.

Le prestazioni di servizi in esame vanno, quindi, assoggettate a Iva con l’aliquota ordinaria (22%)5.

A differenza della normativa interna, l’articolo 78, Direttiva 2006/112/CE non richiede che le

operazioni accessorie siano effettuate direttamente dal fornitore, ovvero per suo conto e a sue

spese. È, infatti, sufficiente che le citate operazioni siano addebitate dal fornitore al cliente.

4 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-2/95 del 5 giugno 1997. 5 Cfr. risoluzione n. 216/E/2002, cit..

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Iva

33 Iva in pratica n. 48/2020

Sul punto, la giurisprudenza comunitaria, dopo avere affermato, in un primo tempo, che l’accessorietà

presuppone l’identità dei soggetti che effettuano, rispettivamente, l’operazione principale e quella

secondaria6, ha stabilito che il rapporto di accessorietà non viene meno quando la prestazione

secondaria è resa da un soggetto diverso da quello che fornisce la prestazione principale.

È dato osservare che le pronunce della Corte di Giustizia che hanno affrontato questa questione

si riferiscono esclusivamente alle operazioni esenti da Iva, sicché andrebbe stabilito se lo stesso

principio sia applicabile anche alle operazioni imponibili e a quelle non imponibili.

In caso affermativo, tenuto conto della difformità tra la normativa comunitaria e la normativa interna,

lo Stato e il contribuente si troverebbero in 2 posizioni di forza ben distinte, in quanto7:

− mentre lo Stato non può che pretendere l’applicazione della disciplina nazionale, non potendo

invocare la diretta applicabilità della disciplina comunitaria non correttamente recepita;

− il contribuente può scegliere se applicare la disciplina interna, ovvero quella comunitaria.

In sede, quindi, di contenzioso, il soggetto che ha compiuto l’operazione accessoria sarebbe legittimato

a richiedere l’applicazione diretta della normativa comunitaria, laddove per il medesimo sia vantaggiosa

l’applicazione dello stesso regime Iva dell’operazione principale.

Causa C-392/11 del 27 settembre 2012 – Oneri locativi

La sentenza qualifica come prestazione unitaria, nella specie esente da Iva, l’operazione avente per

oggetto la locazione di un immobile strumentale e i servizi a esso relativi (c.d. “oneri locativi”), anche se

resi da un soggetto diverso dal locatore.

La locazione è stata fatturata in regime di esenzione siccome il locatore non ha esercitato l’opzione per

l’imponibilità di cui all’articolo 137, § 1, lettera d), Direttiva 2006/112/CE. Il locatario ha ritenuto che i

servizi collegati all’immobile costituissero prestazioni autonome, da assoggettare a imposta.

La Corte di Giustizia UE ha, invece, propeso per l’unicità della prestazione, avuto riguardo, allo stesso

tempo, all’aspetto formale, rappresentato dal contenuto del contratto di locazione, e all’aspetto

sostanziale, vale a dire la ragione economica sottesa alla sua stipula, essendo innegabile che il locatario

ha voluto non soltanto ottenere il diritto di occupare l’immobile, ma anche di beneficiare di un insieme di

servizi resi dal locatore.

L’unicità, in particolare, discende dal nesso di accessorietà che lega i servizi (prestazioni secondarie) alla

locazione (prestazione principale); tant’è che i giudici comunitari giustificano la conclusione raggiunta

affermando, alla luce della giurisprudenza in materia, che non si può apprezzare che l’ottenimento delle

prestazioni di servizi in parola costituisca un fine a sé stante per il locatario medio di locali come quelli di

cui trattasi nel procedimento principale, ma costituisca piuttosto il mezzo per fruire, nelle migliori

condizioni, della prestazione principale, cioè della locazione di superfici commerciali.

6 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-349/96 del 25 febbraio 1999. 7 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-203/10 del 3 marzo 2011, sentenza causa C-226/07 del 17 luglio 2008, sentenza causa C-184/04 del

30 marzo 2006, sentenza causa C-168/95 del 26 settembre1996, sentenza cause riunite C-6/90 e C 9/90 del 19 novembre 1991, sentenza

causa C-80/86 dell’8 ottobre 1987, e sentenza causa C-152/84 del 26 febbraio 1986.

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Iva

34 Iva in pratica n. 48/2020

L’unicità della prestazione, peraltro, non può essere esclusa per il semplice fatto che i servizi, anziché dal

locatore, potrebbero essere resi da un terzo.

Da tale conclusione si desume la compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’articolo 9, comma 4, L.

392/1978 (legge sull’equo canone), secondo il quale gli oneri condominiali, se addebitati dal locatore al

conduttore, devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione. Sul punto, la

sentenza relativa alla causa C-572/07 dell’11 giugno 2009 aveva, invece, escluso il regime di esenzione

applicato al servizio di pulizia degli spazi comuni di un edificio concesso in locazione nel presupposto, tra

l’altro, che il medesimo possa essere fornito con modalità diverse, in particolare:

da un terzo che fatturi il costo di detto servizio direttamente ai locatari, ovvero

dal proprietario che impieghi a tale scopo il suo personale o che faccia ricorso a un’impresa di pulizie

Causa C-453/05 del 21 giugno 2007 – Consulenza finalizzata alla concessione di prestiti

La sentenza stabilisce che la prestazione di consulenza con la quale un soggetto analizza la situazione

patrimoniale e finanziaria dei suoi clienti affinché gli stessi possano ottenere un credito assume carattere

accessorio rispetto all’attività creditizia, per cui sono entrambe operazioni esenti da Iva ai sensi

dell’articolo 135, § 1, lettera b), Direttiva 2006/112/CE.

Nel caso esaminato, una società, tramite l’intermediazione di un suo subagente che opera come consulente

finanziario, mette a disposizione di privati diversi prodotti finanziari, quali crediti, di cui essa, in

precedenza, ha stabilito le condizioni generali con gli istituti di credito.

Il consulente finanziario reperisce i clienti potenziali e, dopo un’analisi della loro situazione patrimoniale

e finanziaria, propone agli stessi i prodotti finanziari idonei a soddisfare le loro necessità. Se il cliente si

dichiara interessato a un credito, il consulente predispone una proposta di contratto vincolante che, dopo

la firma del cliente, trasmette alla società, la quale ne controlla la regolarità. Quest’ultima invia la proposta

di contratto all’istituto di credito ai fini dell’erogazione del finanziamento.

Se il contratto viene concluso, la società percepisce dall’istituto di credito una commissione e, a sua volta,

la società versa al consulente finanziario, quale subagente e come contropartita per il suo intervento nella

conclusione del contratto, una provvigione. Da parte sua, il cliente non paga alcuna provvigione né alla

società, né al consulente finanziario.

Secondo la Corte di Giustizia UE, la circostanza che le prestazioni fornite dalla DVAG e dal suo subagente

siano remunerate dagli istituti di credito solamente a condizione che i clienti reperiti e consigliati dal

consulente finanziario concludano un contratto di credito induce a ritenere che l’operazione di

negoziazione costituisca la prestazione principale, essendo la prestazione della consulenza di natura

meramente accessoria. D’altro canto, la negoziazione di crediti appare come la prestazione decisiva sia per

i beneficiari del credito sia per gli istituti che lo elargiscono, dal momento che l’attività di consulenza

finanziaria si svolge solo in una fase preliminare ed è limitata all’assistenza offerta al cliente nella scelta,

fra i diversi prodotti finanziari, di quelli maggiormente appropriati alla sua situazione e alle sue esigenze

Causa C-76/99 dell’11 gennaio 2001 – Prelievo di sangue e suo trasporto a laboratorio di analisi

La sentenza afferma che la prestazione di prelievo e la trasmissione del prelievo a un laboratorio

specializzato costituiscono prestazioni strettamente connesse alle analisi, con la conseguenza che le

stesse devono seguire il medesimo regime Iva di queste ultime e, pertanto, devono qualificarsi come esenti

ai sensi dell’articolo 132, § 1, lettera b), Direttiva 2006/112/CE, riferito all’ospedalizzazione e alle cure

modiche, nonché alle operazioni a esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico

oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici

e diagnostici e altri istituti della stessa natura e debitamente riconosciuti.

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Iva

35 Iva in pratica n. 48/2020

Il caso di specie riguarda i rapporti tra 2 laboratori di analisi cliniche, laddove il paziente che deve

sottoporsi ad analisi si rivolge a un primo laboratorio che effettua esclusivamente il prelievo,

successivamente trasmesso a un secondo laboratorio che effettua le analisi ed emette fattura al paziente

in regime di esenzione da Iva, in quanto trattasi di prestazione medica.

Anche la trasmissione del prelievo dal primo al secondo laboratorio avviene dietro pagamento di un

corrispettivo, rispetto al quale la Corte ha riconosciuto il carattere di accessorietà in quanto rispondente

all’esigenza di offrire al paziente la maggiore affidabilità possibile delle analisi cliniche.

Il nesso di accessorietà, nella fattispecie, ricorre perché la trasmissione del prelievo si colloca

temporalmente tra la fase del prelievo e quella della sua analisi, sicché è strettamente connessa a

quest’ultima, secondo le considerazioni sopra esposte.

Diversa, invece, è la conclusione per le operazioni che si posizionano a monte della prestazione sanitaria e che

sono, si può dire, propedeutiche alla prestazione stessa, come nel caso della fornitura di attrezzature, macchinari

e materiali necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, per la quale, quindi, l’esenzione non compete

Un’interpretazione più estensiva della locuzione “per suo conto e a sue spese” è riconosciuta,

dalla stessa Amministrazione finanziaria, per i servizi accessori ai servizi culturali, artistici,

sportivi, educativi e affini, che fino al 31 dicembre 2010 dovevano essere tassati nel luogo in cui

erano materialmente svolti, anche se resi nei confronti di soggetti passivi Iva8.

Con la circolare n. 37/E/2011 (§ 3.1.4), l’Agenzia delle entrate ha affermato che, in considerazione

dell’attuale formulazione del testo normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in

materia, si deve ritenere che il concetto di accessorietà nell’ambito dei servizi culturali, scientifici e

simili debba essere inteso, con riferimento al profilo soggettivo dell’operazione, in senso più ampio

rispetto a quanto in precedenza previsto. In sostanza, al fine di qualificare una prestazione di servizi

come accessoria rispetto a quella principale, pur restando confermata la necessaria strumentalità della

prima rispetto alla seconda, è opportuno prescindere dall’identità dei soggetti coinvolti nell’operazione

principale e in quella accessoria: come affermato dalla Corte di Giustizia, piuttosto, devono essere

considerate accessorie a un’attività artistica, scientifica o affine tutte le prestazioni che, senza costituire

direttamente una siffatta attività, rappresentino un presupposto necessario della realizzazione

dell’attività principale, indipendentemente dalla persona che presta tali servizi9.

Requisito oggettivo

Sotto il secondo profilo, cioè quello oggettivo, è necessario, come costantemente sottolineato

dalla Corte di Giustizia10, che l’operazione secondaria non costituisca per la clientela un fine a sé

8 Cfr. articolo 7-quinquies, D.P.R. 633/1972. 9 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-327/94 del 26 settembre 1996 e sentenza C-114/05 del 9 marzo 2006. 10 Cfr., per tutte, Corte di Giustizia, sentenza causa C-251/05 del 6 luglio 2006, sentenza causa C-380/99 del 3 luglio 2001, sentenza causa C-

349/96 del 25 febbraio 1999, cit. e sentenza cause riunite C-308/96 e C-94/97 del 22 ottobre 1998.

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36 Iva in pratica n. 48/2020

stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal

prestatore. Ciò vale, in particolare, quando 2 o più prestazioni fornite al cliente siano a tal punto

connesse da formare, oggettivamente, una prestazione economica indissociabile la cui

scomposizione avrebbe carattere artificioso.

Lo stesso principio è condiviso dall’Amministrazione finanziaria11, secondo la quale la sussistenza

del rapporto di accessorietà richiede, allo stesso tempo, la convergenza di tutte le prestazioni

nella direzione della realizzazione di un unico obiettivo e un nesso di dipendenza funzionale delle

prestazioni accessorie rispetto alla prestazione principale. In particolare, occorre che le

prestazioni accessorie siano effettuate proprio per il fatto che esiste una prestazione principale,

in combinazione con la quale possono portare a un determinato risultato perseguito.

Conclusivamente, sono accessorie solo le operazioni poste in essere dal medesimo soggetto in

necessaria connessione con l’operazione principale alla quale, quindi, accedono e che hanno, di norma,

la funzione di integrare, completare o rendere possibile la suddetta prestazione o cessione principale.

Effetti del principio di accessorietà

Il principio di accessorietà implica che all’operazione accessoria sia attribuita la stessa natura e

lo stesso trattamento di quella principale.

Affinché all’operazione accessoria sia attribuita la stessa natura e lo stesso trattamento di quella

principale è richiesto che la prestazione accessoria sia, per sua natura, imponibile. In base, infatti,

all’articolo 12, comma 2, D.P.R. 633/1972, l’imponibilità dell’operazione accessoria è la condizione

necessaria affinché, in presenza di un’operazione principale soggetta a Iva (imponibile, non

imponibile o esente), all’operazione accessoria sia applicato lo stesso regime dell’operazione

principale.

Le prestazioni accessorie che non siano di per sé imponibili restano, pertanto, escluse dalla base

imponibile anche se l’operazione principale è imponibile.

ESEMPIO 3 – Interessi da dilazione di pagamento

Gli interessi da dilazione di pagamento, avendo natura esente da Iva ai sensi dell’articolo 10, comma 1,

n. 1), D.P.R. 633/1972, mantengono tale natura anche se accessori a un’operazione imponibile12.

11 Si veda la nota 1. 12 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-349/96 del 25 febbraio 1999, cit..

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37 Iva in pratica n. 48/2020

A una diversa conclusione è giunta la giurisprudenza comunitaria nella sentenza relativa alla causa C-

281/91 del 27 ottobre 1993, affermando che il pagamento differito del prezzo di acquisto di un bene,

dietro corresponsione dei relativi interessi, può essere considerato, in linea di principio, quale

concessione di un credito esente da imposta e che, qualora il fornitore di un bene accetti che

l’acquirente differisca il pagamento del prezzo, dietro corresponsione dei relativi interessi, sino alla

consegna, si deve ritenere che i detti interessi siano compresi nel valore complessivo del bene, anche

quando il contratto li distingua dal prezzo. In pratica, gli interessi da dilazione di pagamento non

rappresentano la controprestazione del credito concesso all’acquirente, come tale esente da Iva, ma un

elemento della controprestazione ottenuta per la cessione del bene, di cui ne segue il relativo regime

impositivo.

Nello stesso senso può richiamarsi anche la sentenza di cui alla causa C-34/99 del 15 maggio 2001, ove

si afferma che, anche qualora la prestazione di servizi consistente nell’asserita fornitura del credito

potesse distinguersi dalla cessione di beni, la suddetta prestazione dovrebbe, in circostanze come quelle

di cui trattasi nella causa principale, essere considerata come comunque accessoria all’operazione

principale della vendita di beni.

Operazioni accessorie a cessioni/prestazioni soggette ad aliquote Iva diverse

Se l’operazione accessoria si riferisce a più cessioni o prestazioni soggette ad aliquote Iva

differenti, il corrispettivo della prima deve essere ripartito in proporzione alle diverse basi

imponibili, con successiva applicazione della corrispondente aliquota13.

Prezzo unico forfetario per beni/servizi soggetti ad aliquote Iva differenti

Nella risoluzione n. 56/E/2017, l’Agenzia delle entrate, in merito all’individuazione della corretta

aliquota Iva da applicare ad alcune confezioni di erbe aromatiche composte anche da basilico,

rosmarino e salvia – soggette all’aliquota Iva del 5% ai sensi del n. 1-bis) della Tabella A, Parte II-bis,

allegata al D.P.R. 633/1972 – ha chiarito che “indipendentemente dal fatto che ci sia o meno una

prevalenza di piante aromatiche assoggettabili ad aliquota ridotta, la presenza nella stessa confezione di

piante aromatiche diverse da quelle elencate dal n. 1-bis) della Tabella A, Parte II-bis citata, comporterà

l’assoggettamento dell’intera confezione all’aliquota ordinaria”.

Identiche conclusioni sono contenute nella risoluzione n. 142/E/1999, ove si osserva che, “nella

13 Cfr. risoluzione n. 331171/1980 e n. 363556/1976 e circolare n. 32/501388/1973 (§ XVII).

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Iva

38 Iva in pratica n. 48/2020

fattispecie prospettata si prevede l’effettuazione di una pluralità di operazioni a fronte delle quali, tra l’altro,

è prevista la corresponsione di un corrispettivo unico forfettario con la conseguenza che per le stesse non è

dato applicare il corrispondente trattamento Iva differenziato secondo le disposizioni dianzi citate.

Per le suesposte considerazioni, pertanto, alle prestazioni di che trattasi si rende applicabile l’Iva con

l’aliquota massima prevista per le opere ricomprese nella fattispecie negoziale in discorso, ossia quella del

10%”.

L’Amministrazione finanziaria è allineata alla posizione della Corte di Giustizia nel ritenere che alla

prestazione considerata come unica debba applicarsi una sola aliquota Iva, ma quest’ultima dovrebbe

essere individuata in funzione del rapporto di prevalenza esistente tra gli elementi che compongono

l’operazione economicamente unitaria e non applicando, “a prescindere”, l’aliquota più alta.

Nella sentenza di cui alla causa C-463/16 del 18 gennaio 2018, la Corte di Giustizia ha, infatti, affermato

che la qualifica stessa come prestazione unica di un’operazione che comporta più elementi implica

l’applicazione della medesima aliquota Iva. La facoltà, lasciata agli Stati membri, di assoggettare i

diversi elementi che compongono una prestazione unica a più aliquote Iva comporterebbe, infatti, la

scomposizione artificiale di tale prestazione e rischierebbe di alterare la funzionalità del sistema

dell’Iva, in violazione della giurisprudenza che ha sancito tale principio.

La circostanza che sia possibile identificare il prezzo corrispondente a ciascun elemento distinto che

compone la prestazione unica non è idonea a giustificare alcuna deroga alla conclusione che precede,

anche perché – come sottolineato dai giudici comunitari –

“il principio di neutralità fiscale rischierebbe di essere compromesso, poiché due prestazioni uniche,

composte da due o più elementi distinti, che sono, sotto tutti gli aspetti, simili, potrebbero dover essere

assoggettate, secondo detta ipotesi, ad aliquote Iva distinte applicabili ai suddetti elementi, a seconda

che sia o meno possibile identificare il prezzo corrispondente a tali diversi elementi”.

Ritornando alle indicazioni della prassi amministrativa sopra richiamate, è vero che le aliquote ridotte

costituiscono un’eccezione e devono essere applicate in modo restrittivo, ma c’è da chiedersi se sia

effettivamente corretto prescindere dal rapporto di prevalenza tra i beni/servizi ceduti/resi a fronte di

un corrispettivo unitario, in particolar modo quando l’operatore sia in grado di supportarlo sul piano

probatorio. In effetti, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9661/2017 sembra smentire

l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, laddove nel caso esaminato – relativo alla cessione

di un fabbricato unitariamente considerato avente prevalente destinazione strumentale – viene

confermata l’applicazione dell’aliquota ordinaria. Se, dunque, la destinazione prevalente dell’immobile

fosse stata abitativa è lecito ritenere che si sarebbe concluso per l’aliquota ridotta.

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Iva

39 Iva in pratica n. 48/2020

Le criticità evidenziate rispetto alle indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria sono state

superate, da ultimo, dalla risoluzione n. 51/E/2019, con la quale è stato chiarito che

“la presenza nella stessa confezione di erbe aromatiche assoggettate ad aliquote differenti - per le

quali non sia possibile riscontrare una predominanza che conferisca il “carattere essenziale” nel senso

precisato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli [si veda la nota n. 94063 del 28 agosto 2018] -

conformemente a quanto affermato nella risoluzione n. 142/E/1999, comporterà l’assoggettamento

dell’intera confezione all’aliquota Iva più elevata e, come affermato nella risoluzione n. 56/E/2017,

“all’aliquota ordinaria” qualora nella confezione vi sia anche la presenza di erbe la cui cessione sia

assoggettata ad aliquota ordinaria”.

Prezzo unico forfetario per operazioni principale e accessoria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17836/2018, ha affermato che il contratto con il quale

un soggetto italiano (nella specie, una società operante nel ramo informatico) si impegna, a fronte

della pattuizione di un compenso unitariamente determinato, a commercializzare i prodotti di un

altro soggetto appartenente alla UE offrendo, altresì, una serie di altri servizi, tecnici e

amministrativi, costituenti il mezzo per una migliore fruizione dei prodotti commercializzati, va

considerato, ai fini dell’applicazione dell’imposta, come un’unica operazione economica, sicché

non è possibile scindere i servizi di intermediazione propriamente detti dagli altri servizi offerti,

da ritenersi accessori ai primi e, quindi, soggetti al medesimo regime impositivo.

Ne consegue che, se i servizi di intermediazione resi al committente di altro Stato membro sono

non imponibili ai sensi dell’articolo 40, comma 8, D.L. 331/1993, nel testo applicabile ratione

temporis, lo stesso trattamento si applica anche ai servizi accessori.

Nel caso di specie, l’intermediario italiano ha curato la promozione e la vendita nel territorio nazionale

dei prodotti, hardware e software, del committente di altro Stato membro, prestando a tal fine anche

alcuni servizi di natura amministrativa e tecnica, a fronte di un corrispettivo unitario, pari al totale dei

costi, incrementati da un “mark up”.

Per stabilire se ai servizi amministrativi e tecnici sia applicabile il medesimo regime impositivo

previsto per l’attività di intermediazione, la Suprema Corte ha preso in considerazione la volontà

delle parti risultante dal contratto, il cui scopo principale è quello di procedere alla

commercializzazione dei prodotti del committente, atteso che tutti gli altri servizi offerti

dall’intermediario sono diretti al raggiungimento di tale finalità: il committente, infatti, vende

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40 Iva in pratica n. 48/2020

hardware e software, per cui è necessario, per rendere appetibile il prodotto commercializzato,

offrire servizi di consulenza sull’utilizzo dei prodotti, di formazione del personale, di

finanziamento per l’acquisto, di garanzia e di manutenzione, tutti diretti a una migliore

commercializzazione dei beni offerti alla clientela.

I servizi amministrativi e tecnici ben possono, dunque, rientrare nel concetto di servizi accessori,

unico essendo l’obiettivo economico che si sono prefissati i contraenti e unico essendo anche

l’interesse degli acquirenti dei prodotti hardware e software, che, secondo l’id quod plerumque

accidit, non procedono all’acquisto di tali beni se non sono corredati da tutta una serie di servizi

accessori, quali quelli offerti dalla società in questione.

La circostanza che il contratto abbia, nelle intenzioni dei contraenti, un’unica finalità è

comprovata anche dalla pattuizione di un corrispettivo unitario, non già differenziato per i singoli

servizi offerti, come sarebbe stato logico prevedere nel caso in cui l’intermediario si fosse

impegnato a rendere prestazioni ontologicamente diverse14.

Per le considerazioni esposte, l’ordinanza n. 17836/2018 ha, pertanto, affermato che “il contratto con il

quale un soggetto italiano (nella specie, una società operante nel ramo informatico) si impegna, a fronte della

pattuizione di un compenso unitariamente determinato, a commercializzare i prodotti di un altro soggetto

appartenente alla UE offrendo, altresì, una serie di altri servizi, tecnici e amministrativi, costituenti il mezzo

per una migliore fruizione dei prodotti commercializzati, va considerato, ai fini dell’applicazione dell’imposta,

quale un’unica operazione economica, sicché non è possibile scindere i servizi di intermediazione

propriamente detti dagli altri servizi offerti, da ritenersi accessori ai primi”.

Separata fatturazione delle operazioni accessorie

È consentito di fatturare le prestazioni accessorie separatamente da quelle principali, salvo

l’indicazione degli estremi delle fatture relative a queste ultime, per il necessario collegamento15.

Lo stesso principio è stato ribadito dall’Amministrazione finanziaria in riferimento alle spese di trasporto

di beni al di fuori dell’Unione Europea, in relazione cioè a cessioni all’esportazione16.

È stato, infatti, precisato che i trasporti effettuati per conto e a spese del cedente costituiscono

prestazioni accessorie alla cessione all’esportazione, per cui i relativi corrispettivi si considerano parte

14 Sul punto, è comunque il caso di ricordare che, con la sentenza di cui alla citata causa C-463/16 del 18 gennaio 2018, la Corte di Giustizia

UE ha affermato che l’operazione può essere definita come economicamente unica, in dipendenza del nesso di accessorietà che lega

l’operazione secondaria a quella principale, anche se le parti hanno valorizzato distintamente i singoli elementi che compongono l’operazione. 15 Cfr. circolare n. 198/E/1996; risoluzioni n. 405397/1983 e n. 501976/1974. 16 Cfr. risoluzione n. 405397/1983, cit..

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41 Iva in pratica n. 48/2020

del prezzo complessivo della cessione, a nulla influendo che gli stessi siano addebitati distintamente

in fattura.

Ne consegue che tali corrispettivi concorrono a formare l’ammontare del plafond che l’esportatore, ai

sensi dell’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, può utilizzare per effettuare acquisti di beni e servizi

senza pagamento dell’imposta.

ESEMPIO 4 – Addebito del costo di trasporto

In merito all’ambito applicativo del principio di accessorietà, può osservarsi che il separato addebito

del costo di trasporto può verificarsi in 2 distinte ipotesi, che ricorrono, rispettivamente, quando:

1. nell’ambito della stessa fattura di vendita, il costo del trasporto è evidenziato separatamente dal

corrispettivo della cessione;

2. il costo del trasporto è addebitato al cessionario comunitario successivamente all’emissione della

fattura di vendita.

Nella prima ipotesi, non dovrebbero esserci dubbi in merito alla natura accessoria della prestazione di

trasporto, la quale – anche se addebitata in fattura distintamente dal corrispettivo pattuito per la

cessione – rientra nel regime di non imponibilità previsto per le operazioni intracomunitarie attive e,

quindi, va inserita nel modello INTRA 1-bis17.

Nella seconda ipotesi, occorre richiamare la posizione dell’Amministrazione finanziaria in merito al

trattamento Iva dell’addebito delle spese di trasporto nelle operazioni interne. La circolare n.

198/E/1996 (§ 2.1), confermando la risoluzione n. 501976/1974, ha consentito di fatturare le suddette

prestazioni accessorie separatamente da quelle principali, salvo l’indicazione degli estremi delle fatture

relative a queste ultime, per il necessario collegamento.

Allo stesso modo, può ritenersi che, anche nelle operazioni con l’estero, la fattura con la quale viene

addebitato il trasporto al cliente non residente beneficia della non imponibilità di cui:

− all’articolo 41, D.L. 331/1993, se l’operazione principale è una cessione intracomunitaria;

− all’articolo 8, D.P.R. 633/1972, se l’operazione principale è una cessione all’esportazione.

Nel primo caso, il cedente italiano è tenuto a presentare il modello INTRA 1-ter al fine di rettificare

l’ammontare imponibile della cessione, se la fattura di riaddebito del trasporto viene emessa

successivamente alla presentazione del modello INTRA 1-bis. Nello specifico, la variazione deve essere

indicata nell’elenco relativo al periodo nel corso del quale la medesima è stata registrata (o avrebbe

dovuto essere registrata).

17 Cfr. risoluzione n. 405397/1983, cit., relativa alle cessioni all’esportazione.

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42 Iva in pratica n. 48/2020

Infine, si fa presente che, nell’ipotesi in cui l’addebito del trasporto non sia “accessorio”, la prestazione

assume natura “generica” ai sensi dell’articolo 7-ter, D.P.R. 633/1972, con la conseguenza che – nei

rapporti “B2B” – deve essere emessa fattura, senza applicazione dell’Iva, ai sensi dell’articolo 21, comma

6-bis, D.P.R. 633/1972. L’addebito delle spese di trasporto nei confronti del cessionario/committente

stabilito in altro Paese UE deve essere pertanto riportato nel modello INTRA 1-quater18.

Riaddebito di spese accessorie

Il riaddebito delle spese è disciplinato, dal punto di vista civilistico, dalle norme in materia di mandato,

le quali distinguono a seconda che il mandatario sia “trasparente” od “opaco”, in funzione, cioè, della

spendita o meno del nome del mandante nei rapporti con i terzi.

Ai fini Iva, il riaddebito operato nell’ambito del mandato con rappresentanza è regolato dall’articolo 15,

comma 1, n. 3), D.P.R. 633/1972, che esclude dalla base imponibile le somme dovute a titolo di rimborso

delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate.

Il riaddebito effettuato in esecuzione del mandato senza rappresentanza presuppone, invece, che

l’interposizione del mandatario non sia “trasparente”, siccome gli effetti delle operazioni compiute da

tale soggetto non sono acquisiti direttamente nella sfera giuridica del mandante; a seguito, infatti, della

“finzione” prevista dall’articolo 3, comma 3, ultimo periodo, D.P.R. 633/1972, le prestazioni di servizi

rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei

rapporti tra il mandante e il mandatario.

In pratica, per questa tipologia di mandato, si presume l’esistenza di un doppio passaggio dei servizi,

rispettivamente dal mandante al mandatario (mandato alla vendita) e dal mandatario al mandante

(mandato all’acquisto), che implica la necessità di determinare una duplice base imponibile:

− “interna”, cioè relativa al rapporto tra il mandante e il mandatario, ed

− “esterna”, cioè relativa al rapporto tra il mandatario e il terzo committente o il terzo prestatore, a

seconda che il mandato sia alla vendita o all’acquisto.

In particolare, l’articolo 13, comma 2, lettera b), D.P.R. 633/1972 stabilisce che la base imponibile, per i

passaggi di servizi dal mandante al mandatario o dal mandatario al mandante, è costituita dal prezzo

di vendita pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione (mandato alla vendita), ovvero dal

prezzo di acquisto pattuito dal mandatario, aumentato della provvigione (mandato all’acquisto).

La disciplina esposta realizza la più complessa finalità di dare un assetto fiscale ai rapporti interni, tra

mandante e mandatario, imperniato su una “finzione giuridica” che omologhi totalmente ai servizi resi

18 Cfr. circolare n. 36/E/2010, Parte II (§ 18).

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43 Iva in pratica n. 48/2020

o ricevuti dal mandatario quelli da lui resi al mandante o da quest’ultimo ricevuti. Ne consegue che

l’equiparazione riguarda anche la natura e il connesso regime impositivo della prestazione effettuata

dal mandatario nei confronti del mandante o dal mandante nei confronti del mandatario, che non può

essere ricondotta, ai fini Iva, a una semplice attività di sostituzione personale nello svolgimento di

un’attività giuridica, ma riveste lo stesso carattere della prestazione resa dal mandatario al terzo

committente o dal terzo prestatore al mandatario.

Nella pratica, accade con una certa frequenza che le spese sostenute dal mandatario siano

ribaltate al mandante con una maggiorazione (c.d. “mark up”), talvolta pattuita in misura forfetaria.

In questa ipotesi, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che il riaddebito, anche se operato

con una maggiorazione, segue il trattamento Iva proprio del mandato senza rappresentanza19,

sicché il mandatario – in sede di fatturazione del passaggio interno del servizio – deve applicare

il medesimo regime impositivo che caratterizza la prestazione ricevuta, salvo l’eventuale diverso

trattamento dovuto alla diversa rilevanza fiscale dell’operazione.

ESEMPIO 5 – Servizio pubblicitario/promozionale

Per formulare un esempio, il servizio pubblicitario/promozionale reso al mandatario è soggetto a Iva,

ma diventa escluso da imposta, ai sensi dell’articolo 7-ter, D.P.R. 633/1972, se riaddebitato al mandante

non stabilito in Italia.

È opportuno osservare che la posizione della prassi amministrativa in merito all’irrilevanza del ricarico

in sede di ribaltamento della prestazione al mandante è stata disattesa dalla giurisprudenza

comunitaria.

Nella sentenza della Corte di Giustizia di cui alla causa C-224/11 del 17 gennaio 2013, riguardante il caso

di una società di leasing che ha imposto al cliente l’obbligo di assicurare il bene acquisito in locazione e che

ne ha sostenuto inizialmente il relativo costo per poi riaddebitarlo tal quale, è stato espressamente

affermato che il costo riaddebitato mantiene natura assicurativa a condizione che non sia maggiorato.

Al di là della questione del mark up, un ulteriore limite applicativo della “fictio iuris” che caratterizza lo

schema del mandato senza rappresentanza è rappresentato dalla natura accessoria delle spese oggetto

di riaddebito.

Se il riaddebito si considera accessorio, ai sensi dell’articolo 12, D.P.R. 633/1972, a una prestazione

principale, il suo trattamento impositivo risulta automaticamente “assorbito” da quello proprio

19 Cfr. risoluzione n. 6/E/1998.

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44 Iva in pratica n. 48/2020

dell’operazione principale, siccome tutte le volte in cui ricorre il rapporto di accessorietà si deve negare

che l’operazione accessoria sia suscettibile di avere, nei rapporti tra le parti dell’operazione principale,

un trattamento fiscale, ai fini Iva, autonomo e diverso da quello previsto per l’operazione principale cui

accede20.

ESEMPIO 6 – Servizio pubblicitario/promozionale accessorio alla cessione

Ritornando all’esempio precedentemente formulato, riguardante il costo del servizio

pubblicitario/promozionale riaddebitato al mandante non residente, la natura “generica” della

prestazione è obliterata dal regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie o

all’esportazione poste in essere dal mandatario nei confronti del mandante se viene accertato che il

riaddebito soddisfa i requisiti per essere considerato ancillare a quello delle cessioni.

SCHEDA DI SINTESI

Ai fini Iva, ciascuna prestazione deve essere considerata, di regola, come autonoma e

indipendente. Tuttavia, quando un’operazione comprende più elementi, si pone la questione se

la stessa deve essere considerata come costituita da una prestazione unica o da diverse

prestazioni distinte e indipendenti da valutare separatamente dal punto di vista dell’Iva.

In via generale, una prestazione deve essere considerata unica in 2 ipotesi alternative, vale a

dire:

1. quando 2 o più elementi forniti dal cedente/prestatore sono così strettamente collegati da

formare, oggettivamente, un’unica prestazione economica indissociabile la cui scomposizione

avrebbe carattere artificiale;

2. quando una o più prestazioni costituiscono la prestazione principale, mentre l’altra o le altre

prestazioni costituiscono una prestazione accessoria o più prestazioni accessorie cui si applica

la stessa disciplina Iva della prestazione principale. In particolare, una prestazione si considera

accessoria (e non principale) quando non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì

il mezzo per fruire al meglio del servizio principale fornito al cedente/prestatore.

Affinché un’operazione possa considerarsi accessoria a una operazione principale è necessario:

a. dal punto di vista soggettivo, che l’operazione accessoria sia effettuata:

1. nei confronti dello stesso destinatario dell’operazione principale;

20 Cfr. risoluzione n. 6/E/1998, cit.

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45 Iva in pratica n. 48/2020

2. direttamente dal cedente/prestatore dell’operazione principale, ovvero per suo conto e a

sue spese;

b. dal punto di vista oggettivo, che:

1. l’operazione accessoria e quella principale siano rivolte al raggiungimento dello stesso

obiettivo;

2. esista un nesso di dipendenza funzionale dell’operazione accessoria rispetto a quella

principale, ossia che la prestazione accessoria sia effettuata in ragione della prestazione

principale, in combinazione con la quale è diretta al raggiungimento di un determinato

risultato;

3. l’operazione accessoria acceda a quella principale al fine di integrarla, completarla o

renderla possibile.

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46 Iva in pratica n. 48/2020

Iva in pratica n. 48/2020

Imponibilità Iva per i compensi da

“trasferta” percepiti dalle società di

calcio della serie A di Clino De Ieso - avvocato, Studio P. Centore & Associati - Genova – Milano

Il collegamento tra prestazione e controprestazione, quale elemento essenziale dell’economicità

dell’operazione e, dunque, della sua rilevanza ai fini Iva, presuppone un rapporto di natura

sinallagmatica. Con tale motivazione, la Cassazione ha deciso, con sentenza n. 33040/2019, per

l’imponibilità Iva dei compensi percepiti da una società di calcio professionistica per la partecipazione

alle gare in trasferta del campionato di calcio di serie A.

I due elementi del prelievo Iva: consumo e pagamento del corrispettivo

Il concetto di prelievo al consumo è espresso nell’articolo 1, § 2, Direttiva 2006/112/CE: “Il principio del

sistema comune dell'Iva consiste nell'applicare ai beni e ai servizi un'imposta generale sui consumi

esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni

intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d'imposizione”.

Mentre l’onerosità dell’operazione, quale presupposto essenziale della rilevanza dell’operazione ai fini

Iva e, pertanto, del prelievo al consumo, è prescritto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi al

successivo articolo 2, § 1, Direttiva 2006/112/CE: “Sono soggette all'Iva le operazioni seguenti:

a) le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo

che agisce in quanto tale;

c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo

che agisce in quanto tale”.

Sicché, sul piano sistematico, il consumo non è, di per sé, sufficiente per il prelievo dell’imposta.

Considerando che il presupposto dell’Iva1 è duplice: nel senso che – come si evince dalla lettura delle

disposizioni della Direttiva – risulta indispensabile il consumo ma, al tempo stesso, che esso sia

oneroso.

1 Diversamente da altre imposte indirette simili, ma non uguali, quali, ad esempio, le accise.

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47 Iva in pratica n. 48/2020

Entrambi (consumo e prelievo) si realizzano qualora siano riferiti a un’operazione economica.

Nonostante questa definizione sia assente nel D.P.R. 633/1972, essa va determinata (non solo, ma

anche) in riferimento all’onerosità dell’operazione, cioè, dall’esistenza a priori2 e a posteriori – rispetto

all’effettuazione dell’operazione – di una controprestazione pattuita fra le parti.

Consumo e onerosità si manifestano come elementi concorrenti della rilevanza consentendo, quindi, di

stabilire che: “quando il diritto sostanziale tassa unicamente il corrispettivo effettivamente pagato dal

destinatario per merci o servizi, mentre la tecnica impositiva fa riferimento al corrispettivo pattuito, i

due sistemi devono, prima o poi, essere conciliati. Ciò viene garantito dall’articolo 90, § 1, Direttiva Iva,

il quale prevede la corrispondente rettifica del debito d’imposta iniziale dell’impresa che eroga la

prestazione”3.

La sentenza Tolsma

Il nesso di collegamento tra prestazione e controprestazione è ben chiarito nella famosa sentenza

Tolsma4. La controversia nasce dall’opposizione del contribuente al recupero l’Iva per la sua attività di

musicista. Quest’ultimo, in particolare, suonava nella pubblica via esortando i passanti a versargli un

“obolo” e porgendo loro una ciotola.

Per il signor Tolsma si tratta di un servizio privo del requisito dell’onerosità. Dato che la prestazione musicale

offerta ai passanti non risulterebbe “condizionata ad alcun "corrispettivo o compenso". L'obolo che i passanti gli

2 Per l’esistenza a priori della controprestazione, si rinvia alle conclusioni del 14 giugno 2016 rese dall’avvocato generale Nils Wahl, Causa

C-432/15, Baštová, punti 29 e 30, ove si annota giustamente che: “Chiaramente, la mia conclusione sarebbe diversa se la messa a disposizione di

cavalli a organizzatori di corse non avesse luogo nel contesto di un’attività commerciale. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, se un proprietario di

cavalli da corsa partecipasse a eventi unicamente per soddisfare un hobby personale o soltanto per avvalersi della detrazione dell’Iva assolta a monte

per il mantenimento di cavalli impiegati solo a fini privati. A tale riguardo, può essere utile ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata,

un’attività dev’essere considerata economica soltanto se essa è esercitata al fine di ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità o, in altri

termini, a titolo oneroso. Tuttavia, gli introiti non possono essere realizzati se un’attività viene esercitata esclusivamente a titolo non oneroso, o senza

la reale prospettiva di ricevere un qualche corrispettivo. Pertanto, un’attività svolta, seppure da un soggetto passivo, solo come hobby, a fini ricreativi,

o senza prospettiva alcuna di ricevere in cambio un beneficio economico diretto o indiretto non rientra nell’attività economica di detta persona. A sua

volta, ciò ha ovvie ripercussioni sulla detraibilità (o sulla non-detraibilità) dell’Iva assolta a monte. La direttiva Iva, in effetti, comprende anche

disposizioni che disciplinano la situazione di un bene destinato all’impresa per l’uso privato del soggetto passivo”. La Corte enfatizza tale concetto

e, dai punti 27 a 29 della sentenza C-432/15 del 10 novembre 2016, Baštová, puntualizza che: “… a norma dell’articolo 2, § 1, lettera c), della

Direttiva Iva, che definisce l’ambito di applicazione dell’Iva, sono assoggettate a tale imposta le “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso”.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, la possibilità di qualificare una prestazione di servizi come “operazione a titolo oneroso” presuppone

unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto

esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni

e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario (si veda, in particolare, sentenze C-16/93

del 3 marzo 1994, Tolsma, punti 13 e 14, nonché C-174/14 del 29 ottobre 2015, Saudaçor, punto 32). Dalla giurisprudenza della Corte si evince poi

che il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente

ricevuto (si veda, per analogia, sentenze C-16/93 del 3 marzo 1994, Tolsma, punto 19, e C-16/00 del 27 settembre 2001, Cibo Participations, punto

43)”. 3 Così, le conclusioni dell’8 giugno 2017 presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Di Maura, C-246/16 del 23 novembre 2017,

punto 25. 4 Corte di Giustizia, sentenza causa C-16/93 del 3 marzo 1994.

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48 Iva in pratica n. 48/2020

elargiscono sarebbe al di fuori di qualsiasi obbligo”5. In replica, l’ente impositore obietta che alcuni dei passanti

elargiscono l’obolo al signor Tolsma per ricompensarlo della musica che egli fa ascoltare.

Il che dimostrerebbe, secondo l’Autorità fiscale, l’esistenza di un collegamento diretto tra il servizio

prestato e il compenso percepito e, dunque, il carattere oneroso della prestazione: essendo, invece,

irrilevante il fatto che il compenso non sia pattuito tra i passanti e il musicista.

La questione sottoposta alla Corte di Giustizia è, quindi, incentrata sull’esatta qualificazione della

prestazione musicale nell’ambito delle prestazioni rilevanti ai fini Iva.

Sul punto, l’avvocato generale osserva acutamente che il compenso dipende “dalla spontanea decisione

di alcuni passanti di versare una somma a loro discrezione”. Evidenziando, inoltre, che “la "prestazione"

[musicale] … non viene affatto definita contrattualmente né quanto al principio né quanto alla sua portata”.

Del resto, il sig. Tolsma “suona spontaneamente l'organetto e può cessare di farlo in qualsiasi momento. Per

altro verso, i passanti sono liberi di decidere quanto tempo soffermarsi ad ascoltarlo”. … Così, alcuni passanti

depositeranno nella ciotola del ricorrente una somma più elevata senza intrattenersi per ascoltarlo, mentre

altri indugeranno ad ascoltarlo senza elargire nulla6.

Alla luce di ciò, l’avvocato generale propone la non imponibilità Iva dell’esibizione musicale offerta, in

quanto essa non risulterebbe configurabile come una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso.

Ed è esattamente la soluzione raggiunta dalla Corte di Giustizia, secondo cui l’onerosità non va intesa

in senso assoluto, ma in senso relativo, ossia, in dipendenza di un rapporto contrattuale nato tra i 2

soggetti (prestatore -committente).

Più in dettaglio, secondo i giudici europei, tra il suonatore ambulante e i passanti non intercorre “alcuna

pattuizione tra le parti, giacché i passanti versano spontaneamente un obolo del quale stabiliscono

l'ammontare a loro arbitrio. Per l'altro, non sussiste alcuna correlazione necessaria tra la prestazione musicale

e le oblazioni a essa conseguenti. Così, i passanti non chiedono che il musicista suoni per loro; inoltre, essi

versano delle somme non già in funzione della prestazione musicale, bensì in funzione di motivazioni

soggettive, tra le quali possono intervenire considerazioni di simpatia. Infatti, mentre alcune persone

depositano nella ciotola del musicista una somma talora elevata senza trattenersi ad ascoltare, altre si

soffermano per un certo tempo ad ascoltare la musica senza lasciare alcun obolo.

D' altro canto, … il fatto che il musicista suoni in pubblico allo scopo di raccogliere del denaro e che in tale

occasione riceva di fatto determinate somme è irrilevante ai fini della qualificazione della controversa attività

come prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi della sesta direttiva. Questa interpretazione non viene

5 Così, il punto 4 delle conclusioni del 20 gennaio 1994 presentate dall'avvocato generale Lenz nella causa Tolsma citata. 6 Punti da 17 a 19 delle conclusioni del caso Tolsma citate.

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49 Iva in pratica n. 48/2020

infirmata dalla circostanza che un musicista … chieda del denaro e possa di fatto confidare nel conseguimento

di determinate somme suonando sulla pubblica via. Tali oblazioni sono infatti prettamente gratuite e

aleatorie e il loro importo è praticamente impossibile da determinare”.

Pertanto, concludono i giudici europei, “esula dalla nozione di "prestazione di servizi effettuata a titolo

oneroso" … un'attività che consiste nel suonare sulla pubblica via e per la quale nessun corrispettivo viene

pattuito, pur quando l'interessato richieda una ricompensa in denaro e percepisca determinate somme, il cui

ammontare tuttavia non sia determinato o determinabile” (punti da 17 a 20).

Riassumendo: secondo l’autorevole e consolidato insegnamento della Corte di Giustizia, la tassazione

con Iva di una prestazione presuppone l’esistenza di un nesso tra il servizio reso e il controvalore

ricevuto. E tale nesso diretto esiste quando tra il fornitore e il cliente intercorre un rapporto giuridico

nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni sinallagmatiche e, quindi, il

compenso ricevuto dal fornitore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al cliente7.

Il caso materiale e i fatti di causa

La controversia della sentenza in commento riguarda una nota squadra di calcio professionistica. Nella

specie, si discute della natura imponibile o non imponibile Iva del compenso che la squadra ospite, in

virtù della normativa prevista dalla Federazione sportiva, riceve dalla squadra che gioca in casa in

occasione delle partite del campionato di calcio di serie A.

Brevemente la vicenda nei termini essenziali.

Alla società contribuente veniva notificato un avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2000, con il

quale l’Agenzia delle entrate riprendeva a tassazione una maggiore Iva, oltre le consequenziali somme

a titolo di interessi e sanzioni.

L’ente impositore sosteneva che il trasferimento del denaro tra le 2 squadre, raccolto dal prezzo dei

biglietti d’ingresso pagati dagli spettatori per assistere all’evento sportivo, sia imponibile ai fini Iva

avendo una finalità non mutualistica o associativa, ma commutativa in quanto esso presupporrebbe uno

scambio di reciproche prestazioni.

Invece la società, in disaccordo con la posizione dell’Agenzia delle entrate, si opponeva facendo valere

la non imponibilità dell’operazione8.

7 In tal senso, cfr. Corte di Giustizia, sentenza 19 dicembre 2018, Causa C-51/18, Commissione/ Austria, EU:C:2018:1035, punto 34; sentenza 5

luglio 2018, Causa C-544/16, punti 36 e 37. 8 Per le norme nazionali di riferimento, si rinvia all’articolo 2, comma 3, lettera a), D.P.R. 633/1972, che così recita: “Non sono considerate

cessioni di beni … le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro”. E, inoltre, all’articolo 3, comma 1 del medesimo Decreto Iva in

forza del quale: “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato,

spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.

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50 Iva in pratica n. 48/2020

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso con sentenza confermata dalla CTR la quale, in particolare,

rilevava che: “con riferimento all'omessa fatturazione di operazioni imponibili relative a somme erogate ad

altre società di calcio per la partecipazione della propria rappresentativa a partite disputate fuori Roma, …

non sussisteva alcuno scopo mutualistico nella predetta operazione, che derivava invece dal rapporto

commutativo inerente la prestazione dell'attività calcistica tra le 2 società partecipanti alla gara”.

In seguito, il giudizio proseguiva innanzi alla Corte Cassazione. In tale fase processuale, la società

insisteva nel ribadire che la fonte del trasferimento del denaro non ha natura sinallagmatica e, quindi,

imponibile, “bensì trovi ragione nella finalità mutualistica cui mira l'associazione delle squadre calcistiche

alle relative federazioni”.

Tanto è vero - sottolinea la contribuente - che “una lettura corretta dell’articolo 30, comma 2, emanato

dalla Lega Nazionale Professionisti, … avrebbe condotto a ritenere evidente la finalità associativa del

trasferimento di denaro …, con assoluta esclusione di qualsivoglia corrispettività ai fini della invece ritenuta

assoggettabilità a Iva.”.

Da qui, conclude la società, l’errore commesso dalla CTR nell’affermare “la natura commutativa della

partecipazione della società alla gara della società ospite”.

Inquadramento del tema

Un primo aspetto, propedeutico alla soluzione del caso di specie, concerne la qualificazione della

società all’interno dell’ordinamento italiano9.

Sul punto, la Cassazione ricorda che la parte contribuente oltre a essere una società di capitali quotata

risulta anche associata alle Federazioni sportive e, come tale, deve rispettare le norme regolamentari

stabilite da quest’ultime, sotto pena di incorrere nelle sanzioni della giustizia sportiva.

E la normativa associativa, precisano i supremi giudici, “prevede una specifica destinazione di parte della

somma di denaro raccolta in occasione della manifestazione sportiva che interferisce con la normativa

tributaria statale”. In particolare, la “provvista in denaro oggetto di transazione è costituita, sempre per

effetto della normativa di fonte privatistica, dall'ammontare dell'incasso che la squadra ospitante raccoglie

per effetto del prezzo dei titoli di legittimazione che vengono offerti al pubblico degli spettatori (abbonamenti,

biglietti di ingresso e similari)”.

9 A riguardo la Commissione Europea, nell’ambito del diritto di concorrenza, ha attribuito alle società professionistiche sportive la natura di

impresa. Non solo, ma la stessa Commissione ha constatato che sia la FIFA (cioè, l’associazione internazionale delle federazioni calcistiche)

che la FIGC rappresentano, a loro volta, imprese. Cfr., per tutte, le conclusioni dell'avvocato generale Lenz, causa C-415/93 del 20 settembre

1995, Bosman, punti 254 e 275: “Come la Commissione ha correttamente fatto rilevare nel corso della trattazione orale, non si tratta qui di contratti

collettivi, bensì di semplici accordi orizzontali tra società calcistiche. Già per questo motivo l'argomentazione dell'UEFA non può essere accolta. Non

si vede infatti per quale motivo accordi o decisioni di questo tipo non dovrebbero ricadere nell'ambito di applicazione” della disciplina in materia di

concorrenza che riguarda, com’è noto, “gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate”.

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51 Iva in pratica n. 48/2020

Da ciò è agevole dedurre che, ai fini fiscali, il nodo centrale della questione ruota intorno al dubbio, che

la Cassazione è chiamata ad affrontare e risolvere, se la società avrebbe dovuto fatturare con Iva la

percentuale dell’incasso ricevuto e, dunque, se il trasferimento delle somme, effettuato in osservanza

dell’obbligo associativo, rappresenti o meno un'operazione rilevante ai fini Iva.

La posizione della Cassazione

Va detto, fin da subito, che la sentenza in commento ha condiviso la soluzione del giudice di merito e,

dunque, confermato la natura imponibile del passaggio di denaro, seppur con una diversa e ben più

articolata motivazione.

Anzitutto, secondo la Cassazione, “va negato … che la transazione oggetto di lite possa astrattamente

iscriversi nella solidarietà mutualistica che abbraccia le finalità associative delle squadre di calcio

professionistiche”.

D’altronde, “nella specie il denaro che transita è raccolto in conseguenza della partecipazione del pubblico

all'evento sportivo. Ciò significa che il denaro incassato dalla società ospitante è il corrispettivo di un servizio

(lo spettacolo calcistico), che essa offre al pubblico, il quale paga il prezzo del biglietto per assistere alla

prestazione sportiva.

Da tanto discende che, nel momento in cui la normativa associativa interviene per disciplinare la sorte di tale

somma, imponendone un riversamento parziale alla società ospitata, non vi è alcuna modificazione della

natura dell'incasso, che resta sempre e comunque un corrispettivo per la prestazione del servizio che

entrambe le squadre rendono al pubblico pagante”.

A questo punto la Corte osserva, senza alcun indugio, che “Resta in conclusione escluso che i compensi

percepiti per la partecipazione agli incassi delle partite giocate in trasferta abbiano natura mutualistica, il

cui tratto caratterizzante consiste nell'intento di realizzare non già il profitto, ma l'immediato vantaggio dei

soci dell'ente che persegue il suddetto fine”10.

Incomparabilità tra i premi di preparazione e i compensi percepiti per l’evento sportivo

Interessantissimo è il ragionamento della Cassazione relativamente alla qualificazione Iva dei premi di

preparazione. Tali premi, osserva la Corte, sono costituiti dagli importi pagati dalla società che possiede

10 Ne deriva, sul piano processuale, il rigetto della “richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea” formulata dalla

Società. Infatti, come precisato nella sentenza in commento, “va rilevato che non esiste alcun diritto della parte all'automatico rinvio pregiudiziale

ogni qualvolta - come nella specie - la Corte di Cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cassazione SS.UU. n. 14042/2016), bastando che le

ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek vs Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia

manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni vs Italia)”.

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52 Iva in pratica n. 48/2020

il cartellino del calciatore in favore delle squadre che hanno, in precedenza, tesserato il giocatore

contribuendo, pertanto, a formarlo per la sua crescita professionale nelle categorie superiori.

Sicché, nel caso dei premi: “la somma di denaro … non proviene dalla vendita dei biglietti a terzi, ma deve

essere corrisposta dalla società di categoria superiore con un prelievo diretto dal proprio patrimonio, seppur

sempre nella misura anch'essa stabilita dalla normativa secondaria federale (con un criterio di aumento

proporzionale a seconda della categoria di appartenenza del giocatore debuttante)”.

Pertanto, il “contributo economico” imposto dalle regole federali “alla società di categoria superiore per

compensare quelle inferiori per il contributo formativo alla preparazione del calciatore, che potrebbe

corrispondere a una finalità di mutualità calcistica”, non è assolutamente comparabile con la “quota in

denaro di un incasso ricavata dell'esborso fatto da terzi per ottenere la legittimazione ad assistere alla

prestazione sportiva di entrambe le squadre, che è qualificabile come "ricavo tipico". … Ne consegue che per

l'incasso di tale importo vi sia obbligo di fatturazione, al pari di ogni altro derivante da servizi resi a terzi”11.

Riflessioni conclusive

La sentenza in commento è meritevole di attenzione perché tocca un profilo fondamentale del sistema

Iva e, precisamente, il requisito dell’onerosità dell’operazione12.

Ebbene, riprendendo le indicazioni della Corte di Giustizia, perché l’operazione sia rilevante deve

sussistere un collegamento diretto tra la fornitura di beni o servizi effettuati e il corrispettivo ricevuto13.

Viceversa, se l’attività di un operatore economico consiste nel fornire esclusivamente prestazioni senza

contropartita diretta, non vi è alcuna base imponibile e il servizio, in quanto gratuito, non è soggetto a

Iva14.

11 Si veda l’articolo 74-quater, D.P.R. 633/1972 che, nel richiamare le prestazioni di servizi indicate nella Tabella C, assoggetta a Iva gli introiti

“da spettacoli sportivi, di ogni genere, ovunque si svolgono”. “E ciò perché – si legge nella sentenza in commento – “le prestazioni della società

calcistica ospite sono soggette a imposizione sul valore aggiunto, essendo realizzate da un soggetto passivo d'imposta (società professionistica) che

effettua prestazioni servizi (di spettacolo sportivo) secondo il requisito di territorialità, generando pertanto reddito d'impresa, come riconosciuto dalla

storica sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 174/1971 e da ultimo ribadito da questa sezione con la sentenza n. 345/2019”. 12 In tema, la Corte di Giustizia ha ripetutamente ribadito la necessità di una stretta correlazione tra prestazione e controprestazione. Tra tante,

si veda la sentenza C-380/99 del 3 luglio 2001, Bertelsmann, punto 17, ove i giudici europei hanno stabilito che: “Per interpretare a tale scopo

la nozione di «corrispettivo» di cui all'articolo 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante,

il corrispettivo di una fornitura di beni può consistere in una prestazione di servizi e costituirne la base imponibile ai sensi di detta disposizione se

sussiste un nesso diretto fra la fornitura dei beni e la prestazione dei servizi e se il valore di quest'ultima può essere espresso in denaro (v.,

segnatamente, le già citate sentenze Naturally Yours Cosmetics, punti 11, 12 e 16, e Empire Stores, punto 12)”. 13 Per tali motivi sembra del tutto irrilevante ai fini Iva il richiamo, nella parte motiva della sentenza in commento, alla disciplina civilistica.

Più in dettaglio, la Cassazione osserva che: “dopo la Riforma del diritto societario del 2004, la natura mutualistica non è più sinonimo di neutralità

fiscale. Invero, con la Riforma, come è noto, le società cooperative, che hanno sempre costituito l'archetipo della mutualità, essendo essa la causa

associativa immanente in tale forma di organizzazione, sono state distinte, proprio a fini fiscali, in cooperative a mutualità prevalente e cooperative

a mutualità non prevalente …. In linea di principio, quindi, argomentare la natura mutualistica di un'organizzazione per inferirne l'esonero da

tassazione di ogni transazione che la riguardi per effetto di tale natura è in via di principio errato, giacché la vigente legislazione dimostra che esistono

fattispecie in cui, pur perseguendo una finalità mutualistica, la corporazione è assoggettata a un trattamento fiscale speciale nell'ipotesi che non si

rispettino i parametri previsti dalla legge per il riconoscimento del carattere di mutualità”. 14 In altre parole, deve sussistere un sinallagma diretto tra la prestazione e la controprestazione che si manifesta in presenza di un rapporto

giuridico tra il soggetto che effettua il servizio e chi lo paga.

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53 Iva in pratica n. 48/2020

L’onerosità dell’operazione – si badi bene - va intesa in senso europeo15 e, quindi, non deve essere

valutata in relazione all’ammontare della controprestazione, essendo sufficiente che essa esista come

scambio del bene o del servizio ricevuto16. Fermo restando che risulta ininfluente anche l’eventuale

sproporzione tra prestazione e controprestazione17.

SCHEDA DI SINTESI

Il collegamento tra la prestazione e la controprestazione rappresenta un elemento essenziale

dell’economicità dell’operazione e, dunque, della sua rilevanza ai fini Iva che esiste quando tra

il fornitore e il cliente intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno

scambio di reciproche prestazioni sinallagmatiche e quindi, il compenso ricevuto dal fornitore

costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al cliente.

Ne consegue l’imponibilità Iva dei compensi percepiti da una società di calcio professionistica

per la partecipazione alle gare in trasferta del campionato di calcio di serie A

15 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-37/08 del 3 settembre 2009, RCI Europe, punto 24: “A tale proposito, la Corte ha già statuito che una

prestazione di servizi viene effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’articolo 2, punto 1, VI Direttiva, ed è dunque imponibile, soltanto quando tra il

prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso

ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (si veda, in particolare, sentenze causa C-16/93 del 3 marzo

1994, Tolsma, Racc. pag. I-743, punto 14, causa C-172/96 del 14 luglio 1998, First National Bank of Chicago, Racc. pag. I-4387, punti 26-29, e causa

C-174/00 del 21 marzo 2002, Kennemer Golf, Racc. pag. I-3293, punto 39)”. 16 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-154/80 del 5 febbraio 1981, Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats GA, punti da 13 a 15: “si desume

inoltre, dall'uso dei termini, “a titolo oneroso”' e “cio che è ricevuto quale corrispettivo”, in primo luogo che il controvalore di una prestazione di servizi

deve poter essere espresso in denaro, il che è del resto confermato” dalla Direttiva la quale stabilisce che l'aliquota normale dell'Iva è stabilita …

secondo una percentuale … della base imponibile, cioè in una determinata proporzione di ciò che costituisce il controvalore della prestazione di

servizi, il che implica che questo controvalore possa essere espresso in una somma di danaro; in secondo luogo, che questo controvalore e un valore

soggettivo, giacchè l'imponibile per le prestazioni di servizi e il corrispettivo realmente ricevuto, non già un valore stimato secondo criteri obiettivi.

Di conseguenza, la prestazione di servizi per la quale non è ricevuto alcun corrispettivo soggettivo determinato, non è una prestazione di servizi “a

titolo oneroso” e non è quindi imponibile ai sensi della … Direttiva. Ne consegue che non si può parlare di controvalore … nel caso di una cooperativa

esercente un deposito di merci la quale non riscuota dai propri soci alcun diritto di custodia per la prestazione fornita”. 17 Come indica la Corte di Giustizia nella sentenza causa C-520/14 del 12 maggio 2016, Gemeente Borsele, punti da 25 a 27: “Nel caso di specie,

occorre constatare che il contributo dei genitori ai costi di trasporto scolastico non è calcolato in funzione dei costi reali dei servizi forniti. Infatti, l’importo

di tale contributo dei genitori non è collegato né al numero dei kilometri percorsi quotidianamente, né al costo per tragitto per ogni allievo trasportato, né

alla frequenza dei tragitti. Tuttavia, la circostanza che un’operazione economica venga svolta a un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante

ai fini della qualificazione di tale operazione come “negozio a titolo oneroso”. Quest’ultima nozione presuppone, infatti, unicamente l’esistenza di un nesso

diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi e il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo (si veda, in tal senso, le sentenze

C-102/86 dell’8 marzo 1988, Apple and Pear Development Council, punto 12, e C-412/03 del 20 gennaio 2005, Hotel Scandic Gåsabäck, punto 22). Pertanto,

il pagamento da parte di circa 1/3 dei genitori dei bambini trasportati di un contributo al trasporto scolastico consente di concludere che il comune di

Borsele ha eseguito una prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 2, § 1, lettera c), Direttiva Iva”.

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Il caso risolto

54 Iva in pratica n. 48/2020

Iva in pratica n. 48/2020

Aliquota Iva per il contratto di appalto

relativo a più immobili di Centro studi tributari

Il caso

Alfa Srl, immobiliare di costruzione, ha acquistato un terreno edificabile sul quale intende costruire

alcune abitazioni, non accatastate nelle categorie A/1, A/8 o A/9, e prive dei requisiti per essere

considerate quali "case di lusso", per poi cederle a privati.

A tal fine, Alfa Srl intende sottoscrivere un contratto di appalto per la costruzione con la Beta Srl, società

che controlla Alfa Srl al 75%.

Si chiede quale sia la corretta Iva da applicare.

La soluzione

L’articolo 10, comma 1, n. 8-bis), D.P.R. 633/1972, introduce la regola generale per le cessioni di

fabbricati o di porzioni di fabbricato abitativi, consistente nell’esenzione Iva.

Fanno eccezione a tale regola generale:

1. le cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi entro 5 anni dall’ultimazione

della costruzione o dell’intervento;

2. le cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo

atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;

3. le cessioni di fabbricati abitativi destinati ad “alloggi sociali”, per le quali nel relativo atto il cedente

abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imponibilità.

Nel caso di cessioni infraquinquennali effettuate dalle imprese costruttrici o di rispristino del fabbricato

ceduto, l’imponibilità è per obbligo di legge. Le stesse cessioni, al contrario, se realizzate oltre il

quinquennio, sono soggette al regime “naturale” di esenzione, salva l’opzione per l’imponibilità espressa

dalle imprese costruttrici o di ripristino all’atto della cessione.

Il n. 127-undecies), Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972, stabilisce che le cessioni di fabbricati

abitativi (non aventi le caratteristiche di abitazioni “di lusso” secondo i criteri stabiliti dal D.M. 2 agosto

1969), effettuate dalla imprese costruttrici, scontano l’Iva con applicazione dell’aliquota ridotta del 10%,

salva l’applicazione dell’aliquota del 4% qualora il cessionario sia in possesso dei requisiti “prima casa”

di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986.

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Il caso risolto

55 Iva in pratica n. 48/2020

Per effetto delle modifiche apportare dall’articolo 33, comma 1, D.Lgs. 175/2014, allo scopo di

armonizzare l’applicazione dell’agevolazione “prima casa” in campo Iva e imposta di registro, il

riferimento alle abitazioni definibili non “di lusso” sulla base dei parametri stabiliti dal D.M. 2 agosto

1969 è stato sostituito da quello della classificazione catastale.

Nell’ambito della disciplina Iva, in luogo del richiamo alle abitazioni non “di lusso”, così come definite

dal D.M. 2 agosto 1969, è stato introdotto il riferimento alla classificazione catastale, sicché

l’agevolazione “prima casa” è ammessa, anche agli effetti dell’Iva, per gli immobili abitativi rientranti

nelle categorie A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7, A/11.

Ai fini dell’imposta di registro, già dallo scorso 1° gennaio 2014 è stata prevista, a opera del D.Lgs.

23/2015, l’irrilevanza della definizione di immobile “di lusso” di cui al citato D.M. 2 agosto 1969, in

favore del criterio collegato alla classificazione catastale degli immobili.

Ne consegue che, per le case di abitazione accatastate nelle categorie catastali A/2, A/3, A/4, A/5, A/6,

A/7 o A/11, l’aliquota applicabile è quella ridotta del 10%, di cui al n. 127-undecies), Tabella A, Parte III,

allegata al D.P.R. 633/1972, mentre, per le case di abitazione accatastate nelle categorie catastali A/1,

A/8 o A/9, si applica l’aliquota ordinaria.

Le cessioni di fabbricati abitativi aventi le caratteristiche di abitazione “di lusso” sono, invece, soggette

a Iva con applicazione dell’aliquota ordinaria.

Nel caso di specie, la costruzione delle case di abitazione non accatastate nelle categorie A/1, A/8 o A/9

avviene, per mezzo di un contratto d’appalto, a opera della società controllante.

In base ai n. 21) e n. 39), Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. 633/1972, alle prestazioni di servizi,

dipendenti da contratti d’appalto, relative alla costruzione di case diverse da quelle classificate nelle

categorie catastali A/1, A/8 e A/9 si applica l’aliquota Iva ridotta del 4% se il destinatario dell’abitazione

è in possesso dei requisiti per l’agevolazione “prima casa”.

Di contro, se tale destinatario non è in possesso dei predetti requisiti, trova applicazione l’aliquota

ridotta del 10%, ai sensi del n. 127-quaterdecies), Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972.

Nel caso in cui i lavori di costruzione siano stati affidati, sulla base di un unico contratto d’appalto, dalla

società di costruzione controllata, si ritiene preclusa la possibilità di differenziare il trattamento Iva a

seconda della posizione soggettiva dell’effettivo destinatario dell’abitazione, titolare o meno del

beneficio “prima casa”, con conseguente applicabilità, in via esclusiva, dell’aliquota ridotta del 10%.

In tal senso depone la circolare n. 1/E/1994, capitolo II, § 2, che richiama l’inscindibilità del contratto

d’appalto ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva.

La circolare ha chiarito che l’aliquota del 4% non è applicabile nei casi in cui una persona fisica, nei cui

confronti ricorrano le condizioni per l’agevolazione “prima casa”, commetta in appalto la costruzione di

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Il caso risolto

56 Iva in pratica n. 48/2020

un intero edificio avente le caratteristiche dei fabbricati Tupini, di cui all’articolo 13, L. 408/1949,

comprendente più unità abitative.

Ciò in quanto “questa fattispecie non concretizza, in realtà l’ipotesi della costruzione della prima casa, attesa

la inscindibilità del relativo contratto di appalto”, per cui si rende applicabile la diversa aliquota del 10%.

Come successivamente precisato sempre dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 164/E/1998, la

riportata argomentazione, connessa all’ipotesi in cui una sola persona fisica appalta la realizzazione di

un intero fabbricato, non appare, a ben vedere, riferibile alla diversa fattispecie caratterizzata dal fatto

che più soggetti conferiscono, per il tramite di un unico rappresentante, l’appalto per la costruzione di

un fabbricato non “di lusso” comprendente più abitazioni, con l’effetto giuridico predeterminato di

consentire a ciascuno dei soggetti mandanti di acquisire la proprietà di un’unica unità immobiliare.

Nell’ipotesi in esame, quindi, “deve ammettersi la possibilità teorica di valutare diversamente, ai fini della

determinazione dell’aliquota Iva applicabile, la posizione di ognuno dei soggetti destinatari degli

appartamenti da realizzare, sempreché dall’unico contratto di appalto sia dato evincere con precisione l’esatto

corrispettivo corrispondente a ciascuna delle unità immobiliari comprese nell’immobile”.

Le indicazioni dell’Amministrazione finanziaria sono utili anche per il caso di specie, ritenendo che,

poiché il contratto d’appalto è stato stipulato, per l’insieme delle abitazioni da realizzare, dalla società

di costruzione controllata con la propria controllante, l’aliquota Iva applicabile è quella del 10%.

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Osservatorio

57 Iva in pratica n. 48/2020

Iva in pratica n. 48/2020

L’osservatorio di giurisprudenza di Alberto Alfredo Ferrario - avvocato

Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Iva – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 98 – Facoltà,

per gli Stati membri, di applicare un’aliquota Iva ridotta a talune cessioni di beni e

prestazioni di servizi – Allegato III, punto 12 – Aliquota Iva ridotta applicabile all’affitto

di posti per campeggio e di posti per roulotte– Questione dell’applicazione di questa

aliquota ridotta alla locazione di spazi di ormeggio per imbarcazioni in un porto turistico

– Confronto con la locazione di aree destinate al parcheggio di veicoli – Parità di

trattamento – Principio della neutralità fiscale

Corte di Giustizia UE, sentenza C-715/18 del 19 dicembre 2019

L’articolo 98, § 2, Direttiva 2006/112/CE, in combinato disposto con l’Allegato III, punto 12, di tale

Direttiva, deve essere interpretato nel senso che l’aliquota ridotta Iva, prevista in tale disposizione, per

l’affitto di posti per campeggio e di posti per roulotte non è applicabile alla locazione di spazi di

ormeggio per imbarcazioni.

Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Iva – Direttiva 2006/112/CE – Operazioni imponibili

– Detrazione dell’imposta assolta a monte – Acquisto di beni immobili non iscritti nel

registro immobiliare nazionale – Spese connesse alla prima iscrizione in tale registro

sostenute dall’acquirente – Ricorso a società terze specializzate – Partecipazione a una

prestazione di servizi o a spese per investimenti effettuate per le esigenze di un’impresa

Corte di Giustizia UE, sentenza C-707/18 del 19 dicembre 2019

La Direttiva 2006/112/CE, deve essere interpretata nel senso che non osta a che le parti di

un’operazione diretta a trasferire la proprietà di immobili concordino una clausola secondo la quale il

futuro acquirente sopporterà in tutto o in parte le spese attinenti alle formalità amministrative connesse

a tale operazione, in particolare quelle relative alla prima iscrizione di tali immobili nel registro

immobiliare nazionale. Tuttavia, la sola presenza di una clausola siffatta in una promessa sinallagmatica

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Osservatorio

58 Iva in pratica n. 48/2020

di vendita di immobili non è determinante per stabilire se il futuro acquirente disponga di un diritto

alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto relativa al pagamento delle spese derivanti dalla prima

iscrizione degli immobili in parola nel registro immobiliare nazionale.

La Direttiva 2006/112/CE, in particolare il suo articolo 28, deve essere interpretata nel senso che,

nell’ambito di una promessa sinallagmatica di vendita di immobili non iscritti nel registro immobiliare

nazionale, si ritiene che il futuro acquirente soggetto passivo il quale, conformemente agli impegni

contrattuali che si è assunto nei confronti del futuro venditore, compie le azioni necessarie alla prima

iscrizione degli immobili in parola in tale registro avvalendosi di servizi forniti da terzi soggetti passivi,

abbia fornito a titolo personale, al futuro venditore, i servizi in questione, ai sensi di tale articolo 28,

anche qualora le parti del contratto abbiano convenuto che il prezzo di vendita dei suddetti immobili

non include il controvalore delle operazioni catastali.

Iva all’importazione – Estrazione dai depositi Iva - Reverse charge

Corte di Cassazione, sentenza n. 33216/2019

L’Erario non può pretendere il pagamento dell’Iva all’importazione dal soggetto passivo che, non

avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di

sospensione di cui al D.L. 331/1993, articolo 50-bis, comma 4, lettera b), qualora costui abbia già

provveduto all'adempimento, sebbene tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo

dell'inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e

delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell'Iva, realizzata dall'importatore

per effetto dell'immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere,

pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione.

Credito Iva – Cessione di azienda - Trasferimento

Corte di Cassazione, sentenza n. 33965/2019

In caso di cessione dell'azienda, il credito Iva relativo all'azienda ceduta può essere escluso dalla

cessione del compendio aziendale, essendo la disciplina prevista dagli articoli 2558 e 2559, cod. civ.

derogabile per volontà delle parti, salva la notifica, ai fini della opponibilità della cessione

all'Amministrazione finanziaria, della cessione del credito Iva a termini dell'articolo 69, comma 1, R.D.

2440/1923, in deroga al disposto di cui all'articolo 2559, cod. civ. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui il

credito Iva sia stato escluso dalla cessione dell'azienda, il cedente è legittimato a richiederne il

rimborso, ove ne sussistano i presupposti.

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Osservatorio

59 Iva in pratica n. 48/2020

Iva servizi internazionali non imponibili

Corte di Cassazione, sentenza n. 31770/2019

Non sono imponibili ai fini Iva, ex articolo 9, comma 1, n. 6, D.P.R. 633/1972, anche quei lavori di

ammodernamento, rifacimento e riqualificazione di impianti interni a porti, aeroporti, autoporti -

destinati per propria natura a fornire servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali - pur

se tali opere vengono dislocate, all'interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla precedente.

Iva detrazione – operazioni soggettivamente inesistenti

Corte di Cassazione, sentenza n. 33320/2019

In tema di Iva, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni

soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare

non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che

l'operazione si inseriva in un'evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a

elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando

l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del

contraente; ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, spetta al contribuente dimostrare

di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza

massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in

rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della

contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.

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60 Iva in pratica n. 48/2020

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