Iva - Euroconference · 2020-01-29 · Iva 2 Iva in pratica n. 48/2020 Iva in pratica n. 48/2020...
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Iva
Dichiarazione d’intento e plafond Iva
di Marco Peirolo 2
La sospensione del rimborso Iva a seguito di constatazione di reati fiscali: la stretta penale
di Gianfranco Antico 22
Il rapporto di accessorietà
di Marco Peirolo 30
Imponibilità Iva per i compensi da “trasferta” percepiti dalle società di calcio della serie A
di Clino De Ieso 46
Il caso risolto
Aliquota Iva per il contratto di appalto relativo a più immobili
di Centro studi tributari 54
Osservatorio
L’osservatorio di giurisprudenza
di Alberto Alfredo Ferrario 57
1 Iva in pratica n. 48/2020
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2 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
Dichiarazione d’intento e plafond Iva di Marco Peirolo - dottore commercialista e componente del Fiscal Committee della Confédération Fiscale
Européenne
Esportatore abituale
I contribuenti che effettuano cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie, e operazioni
assimilate possono avere rilevanti crediti di Iva nei confronti dell’Erario. Tali cessioni, infatti, sono non
imponibili ai fini Iva e, quindi, gli operatori che le pongono in essere, non percependo il tributo a titolo
di rivalsa dai propri clienti esteri, non possono abbattere il credito d’imposta che hanno conseguito
all’atto dell’effettuazione di acquisti.
Un rimedio, talvolta solo parziale, a tale situazione è costituito dalla facoltà, ricorrendo talune
condizioni, di effettuare acquisti di beni e servizi e importazioni senza l’applicazione dell’Iva.
In base all’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972 è, infatti, previsto che costituiscono cessioni
all’esportazione, non imponibili ai fini Iva:
“le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le
prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni
intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionari, o importare
beni e servizi senza pagamento dell’imposta”.
I contribuenti che possono avvalersi di tale facoltà sono quelli definiti correntemente “esportatori
abituali”, laddove tale status, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera a), D.L. 746/1983, si acquisisce
quando le operazioni che creano plafond nel periodo di riferimento (anno solare o 12 mesi precedenti
a seconda che il contribuente utilizzi rispettivamente il metodo solare o quello mensile) sono superiori
al 10% del volume d’affari determinato a norma dell’articolo 20, D.P.R. 633/1972, al netto:
− delle cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale, che l’articolo
7-bis, comma 1, D.P.R. 633/1972 non considera territorialmente rilevanti in Italia, ma che vanno
comunque fatturate in applicazione dell’articolo 21, comma 6, lettera a), D.P.R. 633/1972;
− delle operazioni di cui all’articolo 21, comma 6-bis, D.P.R. 633/1972, escluse da Iva per carenza del
presupposto territoriale (di cui agli articoli 7 - 7-septies, D.P.R. 633/1972), ma soggette comunque
all’obbligo di emissione della fattura se consistono in:
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− cessioni di beni e prestazioni di servizi, diverse da quelle esenti di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1 -
4 e 9), D.P.R. 633/1972, effettuate nei confronti di un soggetto passivo che è debitore dell’imposta in
un altro Stato membro dell’Unione Europea;
− cessioni di beni e prestazioni di servizi che si considerano effettuate fuori dell’Unione Europea.
In pratica, nel modello di dichiarazione Iva annuale, le suddette operazioni extra territoriali,
comprese quelle relative ai beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale,
devono essere riportate nel rigo VE34 (Operazioni non soggette all’imposta ai sensi degli articoli
7 - 7-septies), D.P.R. 633/1972, ma il corrispondente importo, ai fini della verifica dello status di
esportatore abituale, deve essere sottratto dall’importo risultante dal rigo VE50 (Volume d’affari),
che esprime il volume d’affari del soggetto passivo.
In definitiva, per assumere la qualifica di esportatore abituale, le operazioni con l’estero registrate
nell’anno solare precedente devono essere superiori al 10% del volume d’affari “rettificato”, cioè
calcolato senza considerare delle operazioni evidenziate nel rigo VE34.
Volume d’affari “rettificato” (rigo VE50 – rigo VE34)
Volume d’affari
Operazioni imponibili (righi da VE1 a VE26)
+ operazioni che concorrono alla formazione del plafond (rigo VE30)
+ operazioni non imponibili per effetto della dichiarazione d’intento (rigo VE31)
+ altre operazioni non imponibili (rigo VE32)
+ operazioni esenti ex articolo 10, D.P.R. 633/1972 (rigo VE33)
+ operazioni soggette a “reverse charge” (rigo VE35)
+ operazioni non soggette a imposta effettuate nei confronti dei terremotati (rigo VE36)
+ operazioni effettuate nell’anno, ma con imposta esigibile in anni successivi (rigo VE37)
+ operazioni effettuate nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni e delle società ai sensi
dell’articolo 17-ter, D.P.R. 633/1972 (rigo VE38)
– operazioni non soggette a Iva per difetto del requisito territoriale (rigo VE34)
– operazioni effettuate in anni precedenti, ma con imposta esigibile nel 2019 (rigo VE39)
– cessioni di beni ammortizzabili e passaggi interni (rigo VE40)
ESEMPIO 1
Ad esempio, se il contribuente ha realizzato un volume d’affari (determinato come sopra indicato) pari
a 1.000 euro, lo status sarà acquisito se l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è pari o
superiore a 101 euro (superiore al 10% del volume d’affari). Al contrario, lo status non sarà acquisito se
l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è uguale o inferiore a 100 euro (uguale o
inferiore al 10% del volume d’affari).
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4 Iva in pratica n. 48/2020
Trasferimento dello status di esportatore abituale
A determinate condizioni, lo status di esportatore abituale può essere traslato nei casi di affitto
d’azienda, conferimento di complessi aziendali, scissione societaria e cessione di azienda.
In particolare, nel caso di affitto d’azienda, l’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972 dispone che,
perché possa avere effetto il trasferimento del beneficio di utilizzazione della facoltà di acquistare
beni e servizi per cessioni all’esportazione, senza pagamento dell’imposta, è necessario che tale
trasferimento sia espressamente previsto nel relativo contratto e che ne sia data comunicazione
con lettera raccomandata entro 30 giorni all’ufficio Iva competente per territorio.
Si evidenzia a tale proposito che le “Dichiarazioni di inizio attività, variazione dati o cessazione attività” -
modelli AA7 (per i soggetti diversi dalle persone fisiche) e AA9 (per le persone fisiche) – contengono
un’apposita casella che deve essere barrata per comunicare l’intenzione di avvalersi del cennato
beneficio. Nel caso di acquisizione di azienda in affitto, la barratura della casella tiene luogo della
comunicazione prevista dall’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972. In particolare, l’adempimento
s’intende regolarmente rispettato con la compilazione della sezione 3 del quadro D del modello AA7 e
della sezione 3 del quadro E del modello AA9.
In caso di cessione/conferimento d’azienda, in un primo tempo era stato chiarito che il trasferimento,
in capo al cessionario/conferitario, del diritto di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’Iva
presuppone, da un lato, il passaggio di tutte le posizioni debitorie e creditorie e, dall’altro, il
proseguimento dell’attività di esportazione da parte del cessionario1. La giurisprudenza ha, però,
evidenziato che, nelle “trasformazioni sostanziali soggettive”, il trasferimento del plafond a favore
dell’avente causa non è subordinato al trasferimento di tutti i debiti/crediti dell’azienda, ma solo delle
posizioni attive e passive necessarie ad assicurare, in situazione di continuità, la prosecuzione
dell’attività d’impresa rivolta ai clienti non residenti2.
In linea con questa posizione, la risoluzione n. 165/E/2008 ha ritenuto sussistenti le condizioni per il
trasferimento del plafond nello specifico caso esaminato, in cui:
− oggetto di conferimento sono le divisioni che si occupano di esportazione e che proseguiranno la
medesima attività in seno alle società conferitarie;
− presso le conferitarie vengono trasferiti tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al ramo
aziendale oggetto di conferimento a eccezione dei debiti per gli stipendi verso i dipendenti relativi al
mese di dicembre, quelli per la tredicesima mensilità, nonché i relativi debiti per ritenute e contributi
1 Cfr. risoluzioni n. 549055/1974, n. 505229/1987, n. 621099/1989, n. 590157/1989 e n. 16/E/1996. 2 Cfr. CTR Torino, sentenza n. 8/XXVIII/2007.
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verso l’Erario e gli istituti previdenziali, che sono tuttavia posizioni che non incidono minimamente
sull’attività di esportazione del contribuente.
Ad avviso dell’Agenzia delle entrate, il trasferimento del plafond non è condizionato al passaggio
di tutti i rapporti con la clientela non residente o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie
e debitorie relative all’azienda o al ramo d’azienda ceduto o conferito. Il diritto a fruire dello
speciale trattamento fiscale previsto dalla norma nasce, infatti, dalla situazione obiettiva,
ovverosia dall’essere esportatore abituale nei limiti quantitativi previsti dalla relativa disciplina.
Situazione nella quale il cessionario/conferitario subentra per effetto del trasferimento dei
rapporti giuridici (attivi e passivi) relativi al complesso aziendale ceduto/conferito.
In caso di trasferimento del plafond, nei modelli AA7 e AA9, il cedente/conferente e il
cessionario/conferitario devono barrare, rispettivamente:
− la casella PL della sezione 2 del quadro D e la casella PL della sezione 1 del quadro D (modello AA7);
− la casella PL della sezione 2 del quadro E e la casella PL della sezione 1 del quadro E (modello AA9).
Comunicazione dei dati della dichiarazione d’intento
L’articolo 20, D.Lgs. 175/2014, nel modificare l’articolo 1, comma 1, lettera c), D.L. 746/1983, ha
spostato in capo all’esportatore abituale l’obbligo di comunicazione dei dati contenuti nella
dichiarazione d’intento.
A decorrere dal 1° gennaio 2015, l’esportatore abituale deve trasmettere telematicamente la
lettera d’intento all’Agenzia delle entrate, la quale rilascia apposita ricevuta telematica.
Successivamente, l’esportatore abituale dovrà consegnare al proprio fornitore la lettera d’intento
e la ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate.
Il fornitore deve, pertanto, verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle entrate della
dichiarazione d’intento.
Con la riformulazione del comma 4-bis dell’articolo 7, D.Lgs. 471/1997, è stata infatti prevista
l’applicazione della sanzione dal 100 al 200% dell’imposta a carico del cedente o del prestatore che
effettua cessioni o prestazioni senza addebito dell’imposta “prima di aver ricevuto da parte del
cessionario o committente la dichiarazione d’intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta
presentazione all’Agenzia delle entrate …”. Con la riforma del sistema sanzionatorio operata dal D.Lgs.
158/20915, tale sanzione, da proporzionale, è diventata fissa, applicandosi nella misura compresa tra
250 e 2.000 euro.
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6 Iva in pratica n. 48/2020
Come precisato dalla circolare n. 31/E/2014 (§ 11), il suddetto riscontro, a regime, può essere effettuato
secondo 2 modalità alternative.
Da subito, per tutti gli operatori, sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it è stata resa disponibile una
funzione a libero accesso attraverso la quale, inserendo il codice fiscale del fornitore, del cliente, nonché
il numero di protocollo della ricevuta telematica, è possibile effettuare il riscontro telematico. In un
secondo momento, per i soggetti abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, è divenuto possibile verificare
nel proprio “cassetto fiscale” l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento da parte
dell’esportatore abituale, unitamente alla ricevuta telematica.
Il fornitore, oltre a verificare che la dichiarazione d’intento sia stata comunicata all’Agenzia delle
entrate, deve riepilogare nella dichiarazione Iva annuale i dati contenuti nelle dichiarazioni
d’intento ricevute e, a tal fine, del modello di dichiarazione Iva è stato istituto il quadro VI,
rubricato “Dichiarazioni di intento ricevute”.
Resta inteso che la non imponibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972, prevista
per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dell’esportatore abituale,
presuppone che il fornitore dimostri, in caso di dichiarazione d’intento ideologicamente falsa, di essere
estraneo alla frode commessa dal cliente3.
Di regola, il fornitore, per non essere responsabile del mancato addebito dell’Iva in fattura, è tenuto a
effettuare una verifica di natura esclusivamente cartolare circa il contenuto della lettera d’intento,
riscontrando, cioè, che la stessa sia conforme al modello ministeriale e che contenga tutte le indicazioni
ivi previste4. La responsabilità del fornitore, infatti, non comprende il controllo sostanziale dei dati
esposti nella dichiarazione d’intento, “salvo che non si accerti un tentativo di frode concordata con il
presunto esportatore abituale”5.
È, pertanto, possibile ritenere che, anche nella nuova disciplina, oltre al controllo telematico imposto
dal D.Lgs. 175/2014, il fornitore resta obbligato a verificare, con la dovuta diligenza, lo status dichiarato
dall’esportatore abituale, non potendo astenersi dal compiere un’indagine volta a capire se la lettera
d’intento ricevuta sia, almeno apparentemente, veritiera oppure fraudolenta.
Venendo meno l’obbligo di comunicazione in capo al fornitore, risulta implicitamente abrogato l’articolo
1, comma 384, L. 311/2004 (Finanziaria 2015), in tema di responsabilità solidale con l’esportatore
abituale dell’imposta evasa, se correlata all’infedeltà della lettera d’intento.
3 Cfr. Cassazione, n. 12751/2011 e n. 176/2015. 4 Cfr. circolare n. 41/E/2005(§ 5.4). 5 Si veda nota precedente.
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7 Iva in pratica n. 48/2020
Novità applicabili dal 2020
L’articolo 12-septies, comma 1, lettera a), D.L. 34/2019 (il c.d. Decreto Crescita), convertito, con
modificazioni, dalla L. 58/2019, ha ulteriormente semplificato, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la
procedura prevista per l’emissione delle fatture in regime di non imponibilità nei confronti degli
esportatori abituali, eliminando l’obbligo:
− in capo all’esportatore abituale, di consegnare al proprio fornitore la dichiarazione d’intento e la
ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate;
− in capo al fornitore, di riepilogare nella dichiarazione Iva i dati contenuti nella dichiarazione
d’intento.
Secondo il riformulato articolo 1, comma 1, lettera c), D.L. 746/1983:
− l’esportatore deve trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle
entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica con indicazione del protocollo di ricezione;
− il fornitore deve riportare in fattura gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione
d’intento, che saranno invece indicati nella bolletta doganale in caso di importazione. A
quest’ultimo riguardo, per la verifica di tali indicazioni al momento dell’importazione, l’Agenzia
delle entrate mette a disposizione dell’Agenzia delle dogane la banca dati delle dichiarazioni
d’intento per dispensare l’operatore dalla consegna in dogana di copia cartacea delle
dichiarazioni d’intento e delle ricevute di presentazione.
Correlativamente, è stato modificato anche il comma 4-bis dell’articolo 7, D.Lgs. 471/1997,
prevedendo l’applicazione, in capo al fornitore, della sanzione, non più fissa ma proporzionale
(dal 100 al 200% dell’imposta), se le operazioni senza addebito d’imposta sono effettuate prima
di avere riscontrato per via telematica l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate della
dichiarazione d’intento.
Come già attualmente previsto, il predetto riscontro può avvenire:
− direttamente sul sito internet dell’Agenzia delle entrate, inserendo il codice fiscale del
dichiarante, nonché il numero di protocollo della ricevuta telematica;
− nel proprio cassetto fiscale.
Ai fini dell’attuazione della nuova disciplina è prevista l’emanazione di un apposito provvedimento
dell’Agenzia delle entrate e, stante la sua assenza, è possibile ritenere che gli esportatori abituali
debbano continuare ad adottare le regole finora applicate, inviando copia della dichiarazione d’intenti
e della ricevuta telematica al fornitore.
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8 Iva in pratica n. 48/2020
Sempre con effetto dal 1° gennaio 2020, il Decreto Crescita ha abrogato gli obblighi:
− di numerazione progressiva delle dichiarazioni d’intento, tanto per l’esportatore abituale quanto
per il fornitore;
− di annotazione delle dichiarazioni d’intento, entro 15 giorni dall’emissione, per l’esportatore
abituale, e di ricevimento, per il fornitore, in apposito registro tenuto a norma dell’articolo 39,
D.P.R. 633/1972;
− di annotazione degli estremi delle dichiarazioni d’intento nelle fatture emesse in base a esse.
Ritrattazione e revoca della dichiarazione d’intento
Le operazioni non imponibili ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972, a differenza
di quelle delle precedenti lettere a), b) e b-bis), “nascono” imponibili per diventare non imponibili a
seguito della trasmissione all’Agenzia delle entrate della dichiarazione d’intento.
L’individuazione della genesi delle cessioni e delle prestazioni poste in essere nei confronti degli
esportatori abituale è fondamentale, come sottolineato da Assonime nella circolare n. 20/2018, per
determinare il trattamento impositivo applicabile nel caso in cui al fornitore venga manifestata,
esplicitamente o per comportamento concludente, l’intenzione di non avvalersi più della facoltà di
acquistare beni/servizi senza applicazione dell’Iva.
Prima di approfondire tale ipotesi, è opportuno ricordare che la genesi delle operazioni effettuate
a favore degli esportatori abituali assume rilevanza anche nel caso in cui la dichiarazione
d’intento sia mendace.
In questa evenienza, il cessionario/committente non ha diritto di acquistare i beni/servizi senza
applicazione dell’imposta, in quanto l’operazione mantiene ab origine la qualifica di operazione
imponibile, essendo il passaggio alla non imponibilità collegato allo status di esportatore abituale
dell’acquirente e, dunque, alla corretta emissione e presentazione della dichiarazione d’intento.
Tenuto conto che la dichiarazione d’intento è da intendere come un atto fiscalmente rilevante e,
in quanto tale, ritrattabile dal cessionario/committente, la rimozione del vizio che esclude la non
imponibilità fa sì che l’operazione ridiventi imponibile.
Nella situazione in esame, il cedente/prestatore è obbligato, secondo la regola generale
dell’articolo 17, comma 1, D.P.R. 633/1972, all’applicazione dell’imposta mediante nota di
variazione in aumento a carico del cessionario/committente e, inoltre, al cessionario/committente
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che abbia rettificato la dichiarazione d’intenti non si applica la sanzione proporzionale, dal 100
al 200% dell’imposta, siccome è stato eliminato completamente il rischio di perdita erariale6.
Passando all’ipotesi in cui l’esportatore abituale non intenda più avvalersi della facoltà di acquistare
beni/servizi senza Iva, da un lato, l’esportatore abituale può revocare la dichiarazione d’intento, senza
che sia previsto a tal fine un modello specifico e un obbligo di comunicazione all’Agenzia delle entrate
e, dall’altro, a seguito della revoca, il cedente/prestatore deve emettere fattura con addebito dell’Iva.
In tal senso, si richiamano le indicazioni dell’Agenzia delle entrate7, che sono allineate a quelle fornite
dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5174/2017, secondo cui,
“qualora la dichiarazione venga revocata, l’effetto esonerativo cessa immediatamente - o quantomeno dal
momento in cui essa è portata a conoscenza - e la fatturazione che venga emessa in un momento successivo
deve necessariamente tenerne conto, restando l’intera operazione soggetta al regime ordinario.
Costituisce regola generale, del resto, che le operazioni economiche sono imponibili, sicché la
mancanza di alcuna delle condizioni che legittimano il regime di esenzione comporta necessariamente
la piena riattivazione della regola generale, non potendosi considerare logicamente estendibile – oltre
che inammissibile, in quanto risultato di analogia – l’applicazione dei requisiti richiesti per la piena
efficacia della dichiarazione d’intenti all’opposta situazione”.
L’Agenzia delle Entrate, nel documento richiamato, ha ulteriormente aggiunto che,
“il cessionario può manifestare al cedente la volontà di non avvalersi dell’utilizzo del plafond anche
per alcune operazioni, senza per questo revocare del tutto la dichiarazione d’intento presentata”
e, inoltre,
“il cliente/esportatore abituale, che non intenda avvalersi della facoltà di acquistare beni e servizi senza
l’applicazione dell’Iva, e, dunque, dell’utilizzo del plafond, possa esprimere tale volontà non
necessariamente attraverso una manifestazione espressa, ma anche attraverso comportamenti concludenti.
Significativo in tal senso è, ad esempio, il pagamento dell’Iva addebitata in rivalsa da parte del
cedente/prestatore e l’esercizio del diritto alla detrazione”.
È il caso di osservare che la detrazione è ammessa al di fuori di un contesto di frode, nel qual caso la
disposizione dell’articolo 6, comma 6, D.Lgs. 471/1997, novellata dalla Legge di Bilancio 2018,
renderebbe indetraibile l’imposta.
6 Cfr. Cassazione, n. 8362/2002. 7 Cfr. consulenza giuridica n. 954-6/2018 dell’11 luglio 2018.
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10 Iva in pratica n. 48/2020
Formazione del plafond
Le operazioni con l’estero rilevanti ai fini della formazione del plafond e dello status di esportatore
abituale sono tutte quelle che vanno indicate nel rigo VE30 della dichiarazione Iva annuale e che
concorrono, in base all’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, alla formazione del plafond di cui
all’articolo 2, comma 2, L. 28/1997, cioè del limite monetario entro il quale l’esportatore abituale
può acquistare/importare beni/servizi senza applicazione dell’Iva, salvo le eccezioni (ad esempio
fabbricati e aree fabbricabili e beni/servizi a imposta indetraibile). Per contro, le operazioni con
l’estero che non sono rilevanti ai fini né della formazione del plafond, né della verifica dello status
di esportatore abituale sono indicate nel rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili).
Operazioni rilevanti
Le operazioni con l’estero rilevanti ai fini della formazione del plafond e dello status di esportatore
abituale sono quelle indicate nel rigo VE30.
Rigo VE30 (Operazioni che concorrono alla formazione del plafond)
Cessioni all’esportazione (articolo 8, comma 1, lettere a), b) e b-bis), D.P.R. 633/1972)
Operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione, se effettuate nell’attività propria dell’impresa (articolo 8-
bis, comma 1, D.P.R. 633/1972)
Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, se effettuati nell’attività propria dell’impresa
(articolo 9, comma 1, D.P.R. 633/1972)
Operazioni con lo Stato della Città del Vaticano e con la Repubblica di San Marino (articolo 71, comma 1, D.P.R.
633/1972)
Operazioni non imponibili effettuate con organismi internazionali o in base a trattati e accordi internazionali
(articolo 72, D.P.R. 633/1972)
Cessioni intracomunitarie (articolo 41, commi 1 e 2, D.L. 331/1993), comprese le cessioni intracomunitarie
effettuate in base a una “triangolazione comunitaria”
Triangolazioni nazionali (articolo 58, comma 1, D.L. 331/1993)
Cessioni intracomunitarie di beni prelevati da un deposito Iva, con trasporto o spedizione in altro Paese membro
(articolo 50-bis, comma 4, lettera f), D.L. 331/1993)
Cessioni di beni prelevati da un deposito Iva con trasporto o spedizione fuori dell’Unione Europea (articolo 50-
bis, comma 4, lettera g), D.L. 331/1993)
Cessioni intracomunitarie di prodotti agricoli e ittici, anche se non compresi nella Tabella A, parte prima,
effettuate da produttori agricoli di cui all’articolo 34, D.P.R. 633/1972 (articolo 51, comma 3, D.L. 331/1993)
Margine delle operazioni non imponibili relative ai beni usati (articolo 37, comma 1, D.L. 41/1995)
Nel modello di dichiarazione Iva annuale, il rigo VE30 è composto da 5 campi. In particolare, nel campo
1 (operazioni che concorrono alla formazione del plafond) occorre indicare il totale delle esportazioni e
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delle altre operazioni non imponibili rilevanti ai fini della determinazione del plafond. Inoltre, è
necessario specificare distintamente:
− nel campo 2 (Esportazioni), l’ammontare complessivo delle esportazioni di beni effettuate nell’anno
di cui all’articolo 8, comma 1, lettere a), b) e b-bis), D.P.R. 633/1972, comprese:
• le cessioni, nei confronti dei cessionari o commissionari di questi, eseguite mediante trasporto o
spedizione di beni fuori dal territorio dell’Unione Europea, a cura o a nome del cedente o dei suoi
commissionari;
• le cessioni di beni prelevati da un deposito Iva con trasporto o spedizione fuori del territorio
dell’Unione Europea (articolo 50-bis, comma 4, lettera g), D.L. 331/1993);
− nel campo 3 (Cessioni intracomunitarie), il dato complessivo delle cessioni intracomunitarie di beni,
tenendo conto delle variazioni di cui all’articolo 26, D.P.R. 633/1972, annotate nel registro delle fatture
emesse o in quello dei corrispettivi;
− nel campo 4 (Cessioni verso San Marino), l’ammontare di tutte le cessioni di beni effettuate nei
confronti di operatori sammarinesi;
− nel campo 5 (Operazioni assimilate), l’ammontare complessivo delle operazioni assimilate alle
cessioni all’esportazione.
Operazioni irrilevanti
Le operazioni con l’estero che non sono rilevanti ai fini né della verifica dello status di esportatore
abituale, né della formazione del plafond sono indicate nel rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili).
Rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili)
Cessioni a viaggiatori extra comunitari (articolo 38-quater, comma 1, D.P.R. 633/1972)
Cessioni relative a beni in transito doganale nel territorio dello Stato o depositati in luoghi soggetti a vigilanza
doganale
Cessioni di beni destinati a essere introdotti in depositi Iva (articolo 50-bis, comma 4, lettera c), D.L. 331/1993)
Cessioni di beni custoditi in un deposito Iva e prestazioni di servizi aventi a oggetto beni ivi custoditi (articolo
50-bis, comma 4, lettere e) e h), D.L. 331/1993)
Trasferimenti da un deposito Iva a un altro (articolo 50-bis, comma 4, lettera i), D.L. 331/1993)
Quota-parte dei corrispettivi che non costituisce “margine” nelle cessioni di beni usati e coincide con il prezzo
di acquisto (articolo 37, comma 1, D.L. 331/1993)
Prestazioni di servizi rese al di fuori dell’Unione Europea da agenzie di viaggio e turismo rientranti nel regime
speciale di cui al D.M. 340/1999 (articolo 74-ter, D.P.R. 633/1972)
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12 Iva in pratica n. 48/2020
Gestione del plafond nella dichiarazione Iva annuale
In ottemperanza all’articolo 10, D.P.R. 435/2001, il quadro VC si compone di 6 colonne nelle quali vanno
indicati, per ciascun mese, nei righi da VC1 a VC12, i seguenti dati:
− colonna 1: ammontare del plafond utilizzato per acquisti in Italia e per acquisti intracomunitari;
− colonna 2: ammontare del plafond utilizzato per importazioni di beni;
− colonna 3: volume d’affari, suddiviso per ogni mese, relativo all’anno di riferimento della
dichiarazione. A partire dall’anno 2013, la colonna deve essere compilata indicando l’ammontare
mensile delle operazioni effettuate con esclusione di quelle individuate dall’articolo 21, comma 6-bis,
D.P.R. 633/1972, che concorrono infatti alla determinazione del volume d’affari ma non devono essere
considerate ai fini della verifica dello status di esportatore abituale;
− colonna 4: ammontare delle cessioni all’esportazione, operazioni assimilate e/o servizi internazionali,
cessioni intracomunitarie, etc., effettuate mensilmente nello stesso anno oggetto della dichiarazione;
− colonna 5: volume d’affari suddiviso per ogni mese dell’anno che precede quello di riferimento della
dichiarazione;
− colonna 6: ammontare delle cessioni all’esportazione; operazioni assimilate, servizi internazionali,
cessioni intracomunitarie, etc., effettuate mensilmente, sempre nell’anno che precede quello di
riferimento della dichiarazione.
Le istruzioni relative alla compilazione della dichiarazione Iva precisano che, nelle ipotesi di
trasferimento del beneficio di utilizzo del plafond, ad esempio affitto d’azienda o cessione d’azienda, le
colonne 1 e 2 del quadro VC devono essere compilate dal soggetto subentrante a partire dalla data di
utilizzo del plafond ricevuto.
Infine, nel rigo VC14 va indicata la disponibilità del plafond al 1° gennaio dell’anno di riferimento della
dichiarazione, ovvero alla data del trasferimento del beneficio di utilizzo nelle ipotesi, ad esempio, di
affitto o cessione d’azienda.
Tale ammontare ha una validità:
− annuale per coloro che utilizzano il plafond solare, che ovviamente diminuisce con l’effettuazione dei
singoli acquisti nel corso dello stesso anno;
− per il solo mese di gennaio dell’anno di riferimento della dichiarazione per i contribuenti che
utilizzano il plafond mensile, atteso il particolare calcolo che tale metodologia comporta.
Al fine di evidenziare il metodo adottato per la determinazione del plafond nell’anno oggetto della
dichiarazione, il contribuente deve barrare:
− la casella 2 del rigo VC14, relativa all’ipotesi di calcolo rapportato all’anno precedente (metodo solare);
− ovvero la casella 3 nell’ipotesi di calcolo rapportato ai 12 mesi precedenti (metodo mensile).
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13 Iva in pratica n. 48/2020
Momento in cui il plafond si considera utilizzato
Come precisato dalle istruzioni, ai fini dell’individuazione del momento in cui il plafond si considera
utilizzato, non bisogna tenere conto delle registrazioni delle fatture di acquisto o delle bollette doganali
di importazioni, bensì del momento di effettuazione degli acquisti stessi.
Ne deriva che, per la compilazione del rigo VF14 (Acquisti e importazioni senza pagamento d’imposta,
con utilizzo del plafond), occorre fare riferimento al momento di registrazione; per contro, per la
compilazione del quadro VC, colonne 1 e 2, occorre avere riguardo al momento di effettuazione
dell’operazione di acquisto o di importazione, individuato secondo i criteri indicati dalla circolare n.
8/D/2003 (§ 3), ossia in relazione:
alla data di consegna o spedizione, per quanto riguarda l’acquisto di beni “nazionali” (articolo 6, comma
1, D.P.R. 633/1972);
− alla data del pagamento del corrispettivo, per quanto riguarda le prestazioni di servizi (articolo 6,
comma 3, D.P.R. 633/1972);
− alla data dell’accettazione della bolletta doganale di importazione, per quanto riguarda le
importazioni di beni nel territorio dello Stato italiano (articolo 36, comma 2, D.P.R. 43/1973);
− alla data di inizio del trasporto/spedizione dal Paese membro di partenza, per quanto riguarda gli
acquisti intracomunitari di beni (articolo 39, comma 1, D.L. 331/1993).
Plafond solare e plafond mensile
Fermo restando che la scelta del metodo del plafond deve essere evidenziata nel rigo VC14,
l’esportatore abituale può decidere se utilizzare il plafond di cui dispone:
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14 Iva in pratica n. 48/2020
− con il sistema del plafond fisso (o solare): in tal caso, il periodo di riferimento corrisponde alle
operazioni che concorrono alla formazione del plafond registrate nell’anno solare precedente;
− con il sistema del plafond mobile (o mensile): in tal caso, il periodo di riferimento è individuato
nei 12 mesi precedenti (12 mesi mobili, non coincidenti necessariamente con l’anno solare) e
questo sistema può essere utilizzato solo dai contribuenti che hanno iniziato l’attività da almeno
12 mesi8. Come precisato dalla risoluzione n. 77/E/2002, nella determinazione del plafond mensile
si procede all’inizio di ogni mese a rideterminare il plafond disponibile in misura pari
all’ammontare delle cessioni registrate nei 12 mesi precedenti al netto degli acquisti effettuati
senza Iva nello stesso periodo; in particolare, dall’ammontare complessivo delle cessioni viene
detratto l’importo delle cessioni relative al tredicesimo mese precedente e un pari importo viene
detratto dal totale degli utilizzi effettuati, sino a concorrenza degli stessi9.
L’opzione per l’utilizzo di un sistema piuttosto che l’altro deve avvenire all’inizio dell’anno solare, in
particolare10:
− prima che venga presentata la dichiarazione Iva annuale, sulla base del comportamento “attivo”
dell’esportatore abituale. La disponibilità e l’utilizzo del plafond non deve essere più evidenziata in
appositi registri, fermo restando che il citato D.P.R. 435/2001 ha previsto l’obbligo dell’esportatore
abituale di fornire i dati all’Amministrazione finanziaria, ove ne venga fatta richiesta;
− dopo la presentazione della dichiarazione Iva annuale, anche sulla base della compilazione del quadro VC.
La circolare n. 8/D/2003 ha specificato che, ai fini dell’opzione per l’utilizzo di un sistema piuttosto che
l’altro, assume rilevanza il “comportamento attivo” del contribuente, confermato, in sede di
dichiarazione Iva, dalla compilazione dell’apposito quadro destinato agli esportatori abituali,
contenente una casella da barrare allo scopo di indicare il metodo utilizzato.
È il caso, tuttavia, di ricordare che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9028/2011, ha negato che
il diritto di acquistare beni/servizi senza Iva sia precluso all’esportatore abituale che abbia omesso di
compilare il quadro VC e che, nella specie, non abbia comunicato la scelta del regime del plafond mobile.
Per superare la violazione contestata dall’ufficio, è stato valorizzato il comportamento concludente
dell’operatore, che deve intendersi ammesso a esercitare le opzioni relative al regime dell’Iva qualora
la contabilità obbligatoria sia adeguatamente uniformata al regime scelto.
8 Cfr. circolare n. 8/D/2003 (§ 4), cit. 9 Si veda anche la circolare n. 73/E/1984. 10 Cfr. circolare n. 8/D/2003 (§ 4), cit.
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15 Iva in pratica n. 48/2020
Ad assumere rilevanza sono, pertanto, le condizioni sostanziali per l’acquisto senza applicazione
dell’imposta, vale a dire – in particolare – la qualifica di esportatore abituale, l’esistenza di un plafond
disponibile e la comunicazione dei dati della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate.
Tale conclusione è confermata dalla sentenza n. 19366/2018, con la quale la Suprema Corte ha
esaminato gli effetti dell’omessa comunicazione all’Agenzia delle entrate del trasferimento del plafond
in caso di affitto d’azienda.
Anche se tale omissione comporta la violazione dell’articolo 8, comma 4, D.P.R. 633/1972, i giudici di
legittimità hanno escluso che all’affittuario sia precluso il beneficio collegato al plafond, in assenza di
un danno erariale e della circostanza che, nel caso di specie, il contratto di affitto d’azienda, contenente
la clausola di trasferimento del plafond, era stato regolarmente registrato, cosicché l’Amministrazione
finanziaria risultava in possesso di tutti i dati necessari per una concreta ed effettiva attività di controllo.
In caso di passaggio:
− dal plafond fisso a quello mobile, il plafond disponibile al 1° gennaio è pari all’ammontare delle
operazioni con l’estero registrate nell’anno solare precedente;
− dal plafond mobile a quello fisso, il plafond disponibile al 1° gennaio è pari a quello che sarebbe
risultato disponibile per il mese di gennaio se si fosse mantenuto il metodo del plafond mobile;
di conseguenza, secondo la risoluzione n. 77/E/2002, l’esportatore abituale deve, ancora e per
l’ultima volta, seguire il procedimento per il calcolo del plafond mobile partendo dall’importo
delle operazioni attive non imponibili e degli utilizzi del mese di dicembre dell’anno precedente,
sottraendo da entrambe le operazioni non imponibili del tredicesimo mese precedente. Infatti,
considerato il particolare meccanismo di calcolo che governa il metodo mobile, la risultanza che
emerge da tale calcolo rappresenta l’ammontare del plafond creato ed effettivamente non
utilizzato alla data del 1° gennaio dell’anno che si intende gestire con il metodo fisso.
Plafond libero e plafond vincolato
In base all’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, i cessionari che intervengono in una operazione
di triangolazione possono avvalersi del plafond di cui dispongono:
− integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati nello stato originario nei 6 mesi
successivi alla loro consegna (plafond a utilizzo vincolato);
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16 Iva in pratica n. 48/2020
− nei limiti della differenza tra il plafond complessivo di cui dispongono e l’ammontare delle
cessioni dei beni effettuate nei loro confronti nello stesso anno senza Iva, in quanto esportate in
triangolazione, per gli acquisti di altri beni/servizi (plafond a utilizzo libero).
I contribuenti che si trovano nella situazione di disporre di un plafond vincolato sono coloro che
intervengono in una triangolazione in qualità di primo cessionario/secondo cedente. Ciò avviene nelle
seguenti ipotesi:
1. esportazione in triangolazione prevista dall’articolo 8, comma 1, lettera a), D.P.R. 633/1972, in cui il
cessionario nazionale conferisce l’incarico al cedente di inviare la merce fuori dal territorio dell’Unione
Europea;
2. cessione intracomunitaria in triangolazione prevista dal combinato disposto degli articoli 40, comma
2, e 41, D.L. 331/1993, in cui il soggetto nazionale acquista beni in altro Stato membro e li fa trasportare
direttamente dal primo cedente nello Stato membro del proprio cessionario comunitario, designato
quale debitore d’imposta;
3. cessione intracomunitaria in triangolazione prevista dall’articolo 58, comma 1, D.L. 331/1993, in cui
il soggetto nazionale conferisce l’incarico al primo cedente italiano di inviare i beni direttamente in
altro Stato membro, a destinazione del proprio cessionario.
ESEMPIO 2
Le operazioni in triangolazione di cui ai punti 1 e 2, possono configurarsi come segue:
− IT1 (soggetto passivo d’imposta in Italia) vende a IT2 (anch’egli soggetto passivo d’imposta in Italia)
merce per 10.000 euro;
− IT2 cede a sua volta la merce a UE o a extra UE (soggetto passivo d’imposta in altro Paese UE o in un
Paese extra UE) per 11.000 euro;
− la merce è spedita o consegnata nel Paese di destinazione (UE o extra UE) dal soggetto IT1 su incarico
del soggetto IT2.
In tale esempio, la prima cessione da IT1 a IT2 è non imponibile ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera
a), D.P.R. 633/1972 o dell’articolo 58, comma 1, D.L. 331/1993, a seconda del Paese di destinazione
finale dei beni; la successiva cessione da IT2 a UE o a extra UE è, rispettivamente, una cessione
intracomunitaria o una cessione all’esportazione non imponibile Iva ai sensi dell’articolo 8, comma 1,
lettera a), D.P.R. 633/1972 o dell’articolo 41, comma 1, D.L. 331/1993.
Pertanto:
− IT1 dispone di un plafond di 10.000 euro liberamente utilizzabile;
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17 Iva in pratica n. 48/2020
− IT2 dispone di un duplice plafond:
• 1.000 euro (pari alla differenza tra il corrispettivo dei beni ceduti e quello dei beni acquistati:
11.000 - 10.000) liberamente utilizzabile;
• 10.000 euro (pari al corrispettivo dei beni acquistati) a utilizzo vincolato, con il quale potrà
acquistare beni da esportare nello stato originario entro 6 mesi dalla data in cui gli sono stati
consegnati.
Modalità di regolarizzazione dello splafonamento
Qualora siano effettuate operazioni senza addebito dell’Iva oltre il limite del plafond disponibile,
nei confronti del cessionario/committente si applica la sanzione prevista dall’articolo 7, comma
4, D.Lgs. 471/1997 (dal 100 al 200% dell’imposta), oltre al recupero dell’imposta non assolta e
degli interessi.
Tale violazione è, tuttavia, regolarizzabile e, in tal senso, sono stati forniti chiarimenti con diversi
documenti di prassi che si sono susseguiti nel tempo (si veda la tabella seguente).
Documento di prassi Soluzione
Nota Agenzia delle entrate
n. 39186 del 10 marzo 1999
In caso di splafonamento, la violazione non può essere ricondotta a una ipotesi
di tardivo versamento da parte del cedente o prestatore, che ricevuta la
dichiarazione d’intento, legittimamente ha emesso fattura senza addebito di
imposta.
Al cessionario o committente è, inoltre, riconosciuta la possibilità di sanare la
violazione commessa mediante:
emissione, entro i termini previsti dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, di
un’apposita autofattura in duplice esemplare da presentare al competente
ufficio, secondo lo schema previsto dall’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997;
versamento, entro gli stessi termini, della maggiore imposta, degli interessi e
della sanzione di cui all’articolo 7, comma 4, D.Lgs. 471/1997, in misura ridotta
ai sensi del citato articolo 13, D.Lgs. 472/1997;
annotazione dell’autofattura nel registro Iva degli acquisti, ai fini di esercitare
il diritto alla detrazione.
Poiché, in tale evenienza, l’Iva regolarizzata confluisce nella dichiarazione Iva
sia tra l’imposta a credito sia tra i versamenti effettuati, al fine di evitare una
doppia detrazione, la medesima deve essere indicata in dichiarazione anche
in una posta a debito
Circolare n. 98/E/2000
(risposta 8.2.3)
L’Agenzia delle entrate ha confermato la stessa procedura come misura
alternativa alla richiesta al proprio cedente o prestatore di effettuare le
corrispondenti variazioni in aumento dell’Iva non addebitata in fattura, ai sensi
dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972.
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18 Iva in pratica n. 48/2020
Laddove il cessionario o committente voglia sanare la violazione mediante
l’emissione di un’autofattura, in un’ottica semplificativa del sistema, il
versamento dell’imposta e degli interessi può anche essere effettuato
attraverso la contabilizzazione in sede di liquidazione periodica, con
indicazione nel rigo VP8, colonna 1, della dichiarazione mensile o trimestrale
(allora in vigore). Anche in tal caso, l’autofattura deve essere presentata al
competente ufficio locale dell’Agenzia delle entrate e annotata nel registro
degli acquisti
Circolare n. 50/E/2002 (§ 24.2) L’Agenzia delle entrate ha fatto rinvio a tutte e 3 le diverse modalità di
regolarizzazione dello splafonamento:
• richiesta di emissione delle note di variazione in aumento al proprio cedente
o prestatore;
• emissione di autofattura e versamento diretto dell’imposta, delle sanzioni e
degli interessi;
• assolvimento dell’imposta, comprensiva degli interessi, in sede di
liquidazione periodica.
È stato, inoltre, confermato che, quando la regolarizzazione avviene in sede di
liquidazione periodica, il cessionario o committente deve versare la sola
sanzione prevista dall’articolo 7, comma 4, D.Lgs. 471/1997
Circolare n. 12/E/2008
(risposta 10.4)
Nel fornire indicazioni circa la regolarizzazione di violazioni commesse in 2
diversi periodi d’imposta, per uno dei quali non era più possibile far confluire
la maggiore Iva nella liquidazione periodica dell’anno in cui era stata
commessa la violazione, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la
regolarizzazione della violazione è possibile anche oltre i termini previsti per
ravvedere la sanzione (il termine ultimo per ravvedere, nel 2008, era quello
previsto dalla lettera b) dell’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, ossia il termine di
presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui la violazione era
stata commessa), puntualizzando che, in tal caso, la sanzione è irrogata
dall’ufficio. Ciò a significare che la regolarizzazione spontanea dello
splafonamento non è necessariamente subordinata al contestuale pagamento
delle sanzioni in misura ridotta
Circolare n. 10/E/2010
(risposta 3.7)
L’Agenzia delle entrate ha confermato la possibilità di detrarre l’Iva
evidenziata nell’autofattura e versata mediante modello F24
Con la risoluzione n. 16/E/2017, l’Agenzia delle entrate è intervenuta in risposta a un’istanza di
interpello, in cui si fa presente che:
“L’istante, che nel 2015, per un errore informatico, ha effettuato acquisti senza applicazione dell’Iva
oltre il limite del plafond disponibile, chiede chiarimenti in merito alla possibilità di ravvedere la
violazione commessa. In particolare, l’istante fa presente che, per regolarizzare contabilmente la
violazione commessa secondo la procedura n. 3 descritta nella circolare n. 50/E/2002, § 24.2 (emissione
di autofattura e contabilizzazione in sede di liquidazione periodica), ha emesso autofattura per ciascun
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19 Iva in pratica n. 48/2020
fornitore e le ha annotate nel registro degli acquisti e delle vendite, in data 31 dicembre 2015, facendo
confluire la maggiore Iva nella liquidazione periodica relativa al mese di dicembre. L’istante
intenderebbe, pertanto, versare tramite modello F24 esclusivamente la sanzione prevista dall’articolo
7, comma 4, D.Lgs. 471/1997, in misura ridotta, ai sensi dell'articolo 13, D.Lgs. 472/1997, nonché gli
interessi sull’Iva a debito, calcolati al 31 dicembre 2015. Il dubbio interpretativo nasce dal fatto che la
procedura di regolarizzazione sopra richiamata, delineata nella circolare n. 50/E/2002, non è stata
riproposta nei diversi documenti di prassi emanati successivamente, che hanno trattato il medesimo
argomento”.
La circolare n. 98/E/2000, confermata dalla circolare n. 50/E/2002, ha chiarito che, laddove il
contribuente voglia sanare la violazione mediante l’emissione di un’autofattura, “in un’ottica
semplificativa del sistema, il versamento dell’imposta e degli interessi potrebbe anche essere effettuato
attraverso la contabilizzazione in sede di liquidazione periodica, con indicazione nel rigo VP8, colonna 1,
della dichiarazione mensile o trimestrale [allora in vigore]”. Anche in tal caso, l’autofattura deve essere
presentata al competente ufficio locale dell’Agenzia delle entrate e annotata nel registro degli acquisti.
Come indicato dalla risoluzione n. 16/E/2017
“questa forma alternativa di regolarizzazione in sede di liquidazione periodica può essere adottata
entro il 31 dicembre dell’anno in cui si è realizzato lo splafonamento e non oltre”.
Le successive circolari n. 12/E/2008 e n. 12/E/2010 non hanno fatto alcun rinvio alla procedura di
regolarizzazione in esame, “perché destinate a fornire chiarimenti circa specifici casi di violazioni
concernenti il plafond per i quali detta forma di regolarizzazione era ormai inibita.
In particolare, la circolare n. 12/E/2008 ha fornito indicazioni circa la regolarizzazione di violazioni commesse
in due diversi periodi di imposta, per uno dei quali non era più possibile far confluire la maggiore Iva nella
liquidazione periodica dell'anno in cui era stata commessa la violazione.
In tale sede è stato affermato, inoltre, il principio secondo cui la regolarizzazione della violazione è possibile
anche oltre i termini previsti per ravvedere la sanzione (il termine ultimo per ravvedere, nel 2008, era quello
previsto dalla lettera b) dell’articolo 13, ossia il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno
in cui la violazione era stata commessa), precisando che, in tal caso, la sanzione è irrogata dall’ufficio. Ciò a
significare che la regolarizzazione spontanea dello splafonamento non è necessariamente subordinata al
contestuale pagamento delle sanzioni in misura ridotta.
La circolare n. 12/E/2010 ha, invece, semplicemente confermato la possibilità di detrarre l’Iva evidenziata
nell’autofattura e versata mediante modello F24”.
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20 Iva in pratica n. 48/2020
Modalità di
regolarizzazione
Adempimenti
Nota di variazione Richiesta al cedente/prestatore di effettuare le variazioni in aumento dell’Iva, ai
sensi dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972; resta, comunque, a carico dell’acquirente
il pagamento degli interessi e delle sanzioni, anche tramite l’istituto del
ravvedimento operoso di cui all’articolo 13, D.Lgs. 472/1997
Autofattura Emissione di un’autofattura da parte del cessionario/committente, in duplice
esemplare, contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore, il numero
progressivo delle fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta
che avrebbe dovuto essere applicata. Dopodiché, occorre provvedere:
• a versare l’imposta e gli interessi;
• ad annotare l’autofattura nel registro degli acquisti;
• a presentare, in analogia con la procedura prevista dall’articolo 6, comma 8,
D.Lgs. 471/1997, una copia dell’autofattura al competente ufficio dell’Agenzia
delle entrate;
• a indicare in dichiarazione una posta a debito pari all’Iva assolta al fine di
evitare una doppia detrazione;
• a versare, in caso di ravvedimento, la sanzione di cui all’articolo 7, comma 4,
D.Lgs. 471/1997, in misura ridotta ai sensi del citato articolo 13, D.Lgs. 472/1997
Autofattura e liquidazione
periodica
Emissione di un’autofattura e computo della maggiore Iva in sede di liquidazione
periodica. In particolare, occorre provvedere:
• a emettere un’autofattura, con le caratteristiche sopra richiamate, entro il 31
dicembre dell’anno di splafonamento;
• a assolvere l’Iva in sede di liquidazione periodica, mediante annotazione, entro
il 31 dicembre del medesimo anno, della maggiore imposta e dei relativi interessi
nel registro delle vendite, nonché annotazione dell’autofattura anche nel registro
degli acquisti;
• a presentare una copia dell'autofattura al competente ufficio dell’Agenzia delle
entrate;
• a versare, in caso di ravvedimento operoso, la sanzione prevista dall’articolo 7,
comma 4, D.Lgs. 471/1997
In conformità con i chiarimenti resi con la circolare n. 50/E/2002, secondo cui la presentazione
dell’autofattura al competente ufficio costituisce l’adempimento finale della procedura di
regolarizzazione, la risoluzione n. 16/E/2017 ha precisato che “tale obbligo può essere assolto
anche in un momento successivo alla liquidazione/versamento dell’imposta, e al conseguente esercizio
del diritto alla detrazione mediante annotazione dell’autofattura nel registro degli acquisiti, purché la
consegna avvenga entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva nella quale sono riepilogati
i risultati delle singole liquidazioni periodiche ed è determinata l’imposta a debito o a credito relativa
all’anno in cui la violazione è stata regolarizzata. La presentazione in ufficio dell’autofattura in un
momento successivo all’esercizio della detrazione, purché entro il termine della presentazione della
dichiarazione Iva, non pregiudica, infatti, il controllo da parte dell’Agenzia delle entrate della posizione
del cessionario, autore della violazione, senza alcuna conseguenza sulla posizione del cedente”.
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21 Iva in pratica n. 48/2020
SCHEDA DI SINTESI
Gli esportatori abituali hanno diritto di acquistare e importare beni/servizi nei limiti del plafond,
cioè delle operazioni con l’estero relative all’anno precedente o ai 12 mesi precedenti.
L’esportatore abituale deve:
- trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle entrate, che rilascia
apposita ricevuta telematica;
- consegnare al proprio fornitore, ovvero in dogana, la dichiarazione d’intento e la ricevuta di
presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate.
Il fornitore, invece, è tenuto a riepilogare nel quadro VI della dichiarazione Iva annuale i dati
contenuti nella dichiarazione d’intento.
Dal 2020:
- l’esportatore deve trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle
entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica con indicazione del protocollo di ricezione;
- il fornitore deve riportare in fattura gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione
d’intento, che sono invece indicati nella bolletta doganale in caso di importazione.
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22 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
La sospensione del rimborso Iva a
seguito di constatazione di reati fiscali:
la stretta penale di Gianfranco Antico - pubblicista
Premessa
Come noto, il sistema sanzionatorio penal tributario, delineato nel D.Lgs. 74/2000, unitamente ai
successivi interventi legislativi1, è stato profondamente rivisitato dal D.Lgs. 158/2015.
Il D.L. 124/2019, convertito con modificazioni in L. 157/2019, che ha inasprito le pene per alcuni reati,
introdotto la c.d. confisca allargata2 e la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in
relazione alla commissione di reati tributari3, impatta altresì sul comma 8 dell’articolo 38-bis, D.P.R.
633/19724, norma che prevede che "Nel caso in cui nel periodo relativo al rimborso sia stato constatato
uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000, l'esecuzione dei rimborsi di cui al presente articolo è
sospesa, fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta indicata nelle fatture o in altri documenti
illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale".
La sospensione del rimborso a seguito di reati
Il comma 8, dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 - sostanzialmente identico alla precedente
formulazione contenuta nel comma 3 del previgente articolo 38-bis - si è limitato ad aggiornare i
riferimenti normativi relativi alle fattispecie penali previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, D.L. 429/1982,
1 Articolo 1, comma 414, L.311/2004; articolo 35, comma 7, D.L. 223/2006, convertito in L. 248/2006; articolo 29, D.L. 78/2010, convertito in
L. 122/2010; D.L. 138/2011, convertito in L. 148/2011. 2 Il nuovo articolo 12-ter, D.Lgs. 74/2000 prevede, in caso di condanna (o patteggiamento della pena) per alcuni delitti in materia di imposte
sui redditi e Iva, l’applicazione della c.d. confisca allargata di cui all’articolo 240-bis, c.p. e dunque la possibilità di confiscare denaro, beni o
altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere
titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito. 3 In particolare, è stato inserito l’articolo 25-quinquiesdecies nel catalogo dei reati che, in base al D.Lgs. 231/2001, costituiscono presupposto
della responsabilità amministrativa degli enti. 4 Come modificato dall’articolo 13, D.Lgs. 175/2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014, che ha rimodulato sostanzialmente la disciplina
relativa all'esecuzione dei rimborsi Iva, al fine di semplificare e accelerarne l'erogazione. Come rilevato dalla circolare n. 32/E/2014, la
normativa “presenta un cambio di impostazione radicale nel rapporto tra fisco e contribuente, eliminando l'obbligo generalizzato di prestazione della
garanzia, con la conseguente significativa riduzione dei costi per ottenere i rimborsi annuali e trimestrali nonché con la contrazione della tempistica
di lavorazione per il venir meno della fase amministrativa di richiesta e di riscontro della validità delle garanzie”.
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23 Iva in pratica n. 48/2020
convertito in L. 516/1982, ed è posto a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di gravi
illeciti penali, basati sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
In merito al contenuto della norma, la circolare n. 32/E/2014 ha precisato che la sospensione in
argomento opera nei limiti di seguito indicati:
− le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 devono essere state constatate con
riferimento al medesimo periodo d'imposta per il quale è stata presentata richiesta di rimborso dell'Iva5;
− la sospensione del rimborso non può essere disposta per un importo superiore all'ammontare dell'Iva
esposta nelle fatture o negli altri documenti illecitamente emessi o utilizzati.
Pertanto, la conoscenza da parte dell’ufficio delle fattispecie sopra richiamate comporta la sospensione
del rimborso, inibendo alcuna valutazione discrezionale. Sospensione del rimborso che opera fino alla
definizione del procedimento penale, indipendentemente dall'esito (cfr. circolare n. 31/E/2014).
La “constatazione” coincide già con il momento della verbalizzazione nel processo verbale giornaliero
ovvero nel pvc, ovvero in altri atti, indipendentemente dall’inoltro della denuncia penale o ancor più
dall’esercizio dell’azione penale. Il reato, infatti, si considera constatato, una volta acquisita la notitia
criminis.
Inoltre, ai fini della sospensione, non rileva l'eventuale definizione dell'obbligazione tributaria
sottostante.
I reati interessati
Se la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e Iva, introdotta dal D.Lgs. 74/2000, ha operato
un radicale rovesciamento dei principi che stavano alla base del D.L. 429/1982, convertito nella L.
5 La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8295/2014, ha fornito una serie di importanti indicazioni sul tema affrontato. Osserva la Corte,
innanzitutto, che “questa fattispecie prevede una sospensione del rimborso in ragione della "constatazione" di un reato, senza far riferimento ad
alcuno degli atti tipici del processo penale e ricollega il termine finale della sospensione alla "definizione del relativo procedimento penale", senza
prevedere alcuna comunicazione o notificazione preventiva alla parte”. Prosegue la sentenza affermando che “la formulazione ampia della norma
e l'esigenza di bilanciamento tra gli interessi dello Stato e quelli del contribuente fanno ritenere applicabile la sospensione del rimborso D.P.R.
633/1972, ex articolo 38-bis quando ricorra la constatazione di un reato, e dunque anche quando l'attività investigativa sia in corso e i suoi esiti non
sono ancora compiutamente maturati”. Viene, altresì, rimarcata la differenza con quanto previsto dall’articolo 23, D.Lgs. 472/1997, in tema di
violazioni amministrative, che colloca il provvedimento di sospensione al momento conclusivo dell'attività di controllo dell’Amministrazione
finanziaria, quando la stessa ha formalizzato le sue determinazioni in un atto tipico di cui la parte deve essere informata. Pertanto, “nel caso
in esame non possono trovare applicazione le disposizioni relative ai presupposti della sospensione facoltativa del rimborso dettate dal D.Lgs.
472/1997, articolo 23 in relazione a violazioni amministrative, che la subordinano a precisi atti formali della Amministrazione finanziaria "la notifica
dell'atto di contestazione o di irrigazione della sanzione, ancorché non definitivo". Cfr. anche la sentenza n. 24917/2013, secondo cui “la tesi in
diritto della parte ricorrente secondo cui la S. non potrebbe subire le conseguenze pregiudizievoli determinate da fatti illeciti cui essa è estranea, in
quanto la norma tributaria legittima la sospensione dei rimborsi Iva soltanto in caso di coinvolgimento diretto del contribuente nel procedimento
penale, e dunque nel caso in cui gli atti di indagine – in quanto diretti all’accertamento della commissione del reato e sempre che non risultino affetti
da vizi di invalidità – si siano svolti nei confronti del contribuente quale soggetto “indagato”, appare del tutto carente nella esposizione delle premesse
in fatto, non avendo la ricorrente neppure indicato i documenti sui quali si fonderebbe l’assunto e che dovrebbero smentire la diversa ricostruzione
della fattispecie concreta cui è pervenuto il giudice territoriale laddove ha affermato, contrariamente a quanto allegato in ricorso dalla società, che
gli atti di indagine penale erano stati svolti proprio nei confronti della società contribuente, quindi per ciò stesso da ritenersi anch’essa coinvolta nel
procedimento penale”.
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24 Iva in pratica n. 48/2020
516/1982, l’attuazione della delega fiscale - D.Lgs. 158/2015 – ha determinato un nuovo cambiamento
del regime penale tributario.
Resta fermo, comunque, che i reati interessati sono quelli di cui all’articolo 2 e all’articolo 8, D.Lgs.
74/2000. Reati di frode, basati sostanzialmente sull’emissione e sull’utilizzo di fatture false rilasciate
da imprese fittizie (dette anche “società di comodo”, o “cartiere” o “missing trader”), create al solo fine
di consentire ad altri operatori economici di evadere le imposte, attraverso la giustificazione contabile
delle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate magari da ulteriori imprese, realmente operative,
che vengono celate al Fisco6.
La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti
Il D.Lgs. 158/2015 è intervenuto sull’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, sopprimendo la parola “annuali” e
ampliando il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini del reato ivi previsto7. Con la soppressione della
parola “annuali” si amplia il raggio d’azione del reato, che si estende a una delle dichiarazioni relative
alle imposte sui redditi e all’Iva.
Il reato è stato interessato dalle modifiche apportate dal D.L. 124/2019, convertito con modifiche in L.
157/2019. In particolare, le lettere a) e b), del comma 1, dell’articolo 39, D.L. 124/2019, sono intervenute
sul delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti, novellando l’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 74/2000.
Per effetto delle modifiche apportate la pena è elevata (lettera a) prevedendo la reclusione da 4 a 8
anni (oggi da 1 anno e 6 mesi a 6 anni). Inoltre, la lettera b) ha inserito un comma 2-bis in base al quale
la pena è più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni)
quando l’ammontare del passivo fittizio è inferiore a 100.000 euro.
Il D.L. prevede, inoltre, l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando i passivi fittizi sono
superiori a 200.000 euro (valore innalzato nel corso dell’esame in commissione rispetto agli originari
100.000 euro), e della responsabilità amministrativa dell’ente. Pertanto, mentre per l’applicazione della
6 Nel caso in cui siano coinvolti altri operatori a livello europeo, il meccanismo frodatorio vede la presenza di un soggetto nazionale, che
formalmente effettua cessioni non imponibili di beni verso una “cartiera” avente sede in altro Paese comunitario, senza che i beni lascino mai
il territorio nazionale, in quanto destinati, in realtà, ad altri soggetti nazionali, che li acquistano a prezzi concorrenziali. A sua volta, la “cartiera”
estera cede cartolarmente gli stessi beni a un ulteriore “società di comodo” italiana, che rivende le merci ai reali acquirenti nazionali senza
assolvere agli obblighi tributari. La “cartiera” nazionale assume su di sé il debito d’imposta che sorge al momento della cessione nazionale,
ma omette di versare l’Iva all’Erario e in breve tempo cessa l’attività, mentre il cessionario ha il vantaggio di detrarre l’imposta sull’acquisto e
nel contempo farsi retrocedere dalla “cartiera” l’Iva corrisposta in fattura (cfr. circolare n. 1/2018 della G. di F.). 7 Come riportato nello studio degli uffici della Camera e del Senato a commento della disposizione normativa, “la modifica apportata, pertanto,
estende la portata della sanzione penale a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Iva, comprese quelle che vengono presentate in
occasione di operazioni straordinarie o nell’ambito di procedure concorsuali”, che possono avere una cadenza temporale diversa dall’anno.
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25 Iva in pratica n. 48/2020
pena più grave è sufficiente che i passivi fittizi ammontino a 100.000 euro, per l’applicazione della
confisca allargata occorre che tale cifra sia raddoppiata.
Infine, a seguito di una modifica introdotta in Commissione, anche il delitto di dichiarazione fraudolenta
mediante uso di documenti per operazioni inesistenti può estinguersi attraverso l’integrale pagamento
del debito tributario, purché lo stesso intervenga prima che l'autore del reato abbia avuto formale
conoscenza di una indagine a suo carico (si veda infra, lettera q-bis)).
La circolare n. 1/2018 della G. di F. ha specificato che
“il soggetto che semplicemente detenga le fatture relative a operazioni fittizie emesse da altri oppure
le annoti in contabilità senza trasfonderne le risultanze in dichiarazione non può essere chiamato a
rispondere in sede penale neanche a titolo di tentativo, stante il chiaro disposto dell’articolo 6, D.Lgs.
74/2000. Lo scopo di una siffatta previsione consiste nel lasciare la possibilità al contribuente
“scoperto” in occasione di controlli fiscali di “ravvedersi” spontaneamente, presentando – ove non lo
abbia già fatto e qualora sia ancora nei termini - una dichiarazione veritiera e corretta, garantendo
all’Erario l’immediata percezione del debito d’imposta”.
Il manuale sui controlli della G. di F. – circolare n. 1/2018 - conferma il rilievo penale del concetto di
“inesistenza”, che deve essere inteso “in senso comprensivo di ogni genere di divergenza fra la realtà
documentata e quella effettiva”, concetto, peraltro fatto proprio dalla Corte di Cassazione:
− sentenza n. 46785/2011: ciò che tipizza la nozione di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti è tanto l’inesistenza dell’operazione economica, oggettiva o soggettiva, totale o parziale,
quanto la natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro
documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie;
− sentenza n. 28352/2013: il reato sussiste nelle ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (quando
la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), di inesistenza relativa (l'operazione vi sia stata,
ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) e, infine, di sovrafatturazione “qualitativa” (quando
la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti);
− sentenza n. 36359/2019: in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti, l'onere di
dimostrare la corrispondenza tra i costi sostenuti a titolo di corrispettivo delle prestazioni ricevute e
quelli documentati dalle fatture emesse dall'impresa che tali prestazioni non ha reso, ricade su chi
intende giovarsi della deducibilità di tali costi ai fini delle imposte sul reddito e della detrazione dell'Iva
indicata in fattura, non potendo la pubblica accusa farsi carico di ricostruire la effettività di tali costi
quando non sono nemmeno noti i fornitori della prestazione. Né, può ritenersi indefettibile, in caso di
fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, la necessaria collusione tra emittente della fattura
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26 Iva in pratica n. 48/2020
e utilizzatore della prestazione, soprattutto quando non è certa nemmeno la effettiva corrispondenza
tra i costi documentati e quelli realmente sostenuti. In ogni caso, il dolo del delitto di utilizzazione di
fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, “è ravvisabile
nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la
prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall'emittente, conseguendo in tal
modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l'Iva versata dall'utilizzatore della fattura non è stata pagata
dall'esecutore della prestazione medesima”;
− sentenza n. 50362/2019: “l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture
per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non
incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo 2, D.Lgs. 74/2000, il
quale, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra
quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo”; 8
Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
L'articolo 8, D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui
redditi o dell’Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Come osservato nella circolare n. 154/E/2000 “La condotta consiste nella emissione o nel rilascio di fatture
o di altri documenti per operazioni inesistenti, a nulla rilevando la loro effettiva utilizzazione da parte del
soggetto ricevente; essa, dunque, è speculare rispetto a quella descritta dall'articolo 2 del decreto in
argomento, differenziandosene sul piano strutturale, dal momento che nella seconda fattispecie la mera
utilizzazione di documentazione comprovante operazioni inesistenti non integra, ex se, gli estremi del reato”.
Soggetto attivo del delitto è chiunque emette fatture o documenti per operazioni inesistenti, anche se,
come precisato nella circolare n. 154/E/2000, non obbligato alla tenuta delle scritture contabili; la
fattispecie criminosa, infatti, non prevede alcuna particolare qualificazione per i soggetti agenti.
L'oggetto materiale del reato è la fattura o il documento emesso per operazioni inesistenti, la cui
definizione è fornita dall'articolo 1, lettera a), D.Lgs. 74/2000 (per "fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle
8 “Nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, la falsità può essere riferita anche
all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione. Per soggetti diversi da quelli effettivi si devono quindi intendere coloro che, pur avendo
apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun
rapporto con il contribuente finale (così Cassazione n. 27392/2012). Per quanto attiene, invece, anche le imposte dirette, la giurisprudenza prevalente
di questa Corte ritiene che l'indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti,
anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall'articolo
2, D.Lgs. 74/2000, il quale, nel riferirsi all'uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal
punto di vista oggettivo o soggettivo (sul punto: Cassazione n. 4236/2018 e n. 30874/2018, n. 4236/2018). La giurisprudenza prevalente ritiene quindi
inesistente una differenziazione tra imposte dirette e indirette”.
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norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che
indicano i corrispettivi o l'Iva in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a
soggetti diversi da quelli effettivi).
Anche per questo delitto l'elemento soggettivo richiede il dolo specifico, consistente nel fine di
consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o dell’Iva.
Il reato si consuma all'atto dell'emissione o del rilascio della fattura o del documento per operazioni
inesistenti.
Le lettere l) e m), del comma 1, dell’articolo 39, D.L. 124/2019, hanno modificato il delitto di emissione
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 8, D.Lgs. 74/2000.
Le norme introdotte hanno aumentato la pena (da 4 anni a 8 anni), analogamente a quanto fatto per il
parallelo delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti. Inoltre, la lettera m) inserisce un comma 2-bis in base al quale la pena è più bassa (ovvero
si mantiene la precedente pena della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) quando l’importo indicato
nelle fatture o nei documenti e relativo a operazioni inesistenti è inferiore, per il periodo d’imposta
considerato, a 100.000 euro.
Il D.L. prevede, inoltre, l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando l’importo non rispondente
al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200.000 euro.
Trova applicazione la responsabilità amministrativa degli enti.
Il reato di emissione – in considerazione della particolare offensività della condotta - è integrato
indipendentemente dalla circostanza che la fattura sia poi effettivamente utilizzata dal destinatario
nella propria dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva (“al fine di consentire a terzi
l’evasione”).
Per la G. di F. – circolare n. 1/2018 - il riferimento all’emissione anche di “documenti”, senza ulteriore
specificazione, relativi a operazioni fittizie, determina la configurazione del delitto in esame quale reato
comune, così che lo stesso può essere posto in essere non soltanto da soggetti tenuti all’impianto e alla
conservazione di scritture contabili.
La stessa G. di F., in ordine al significato dell’espressione “mezzi fraudolenti”, richiama i precedenti
orientamenti giurisprudenziali che nel tempo hanno individuato, con riferimento alla previgente
formulazione dell’articolo 3, D.Lgs. 74/2000, un’ampia casistica, ritenendoli sussistenti in una serie di
ipotesi:
− utilizzo di documenti contraffatti o alterati, diversi dalle fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti oggetto di falsità sia ideologica che materiale, per i quali si applica la disposizione di cui
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all’articolo 2, D.Lgs. 74/2000, quali, ad esempio: l’imputazione di spese relative a investimenti
inesistenti sorretta da predisposizione di contratti ideologicamente falsi9;
− contratti simulati (ovvero rogiti notarili attestanti compravendite immobiliari) con indicazione di un
prezzo di vendita molto inferiore al reale10;
− tenuta di una doppia contabilità, di per sé sola non sufficiente a integrare l’ipotesi delittuosa, che può
essere ravvisata, tuttavia, laddove il contribuente si avvalga di un sistema articolato e complesso per
realizzare sistematicamente il nero, sia in entrata sia in uscita, con creazione di specifici codici e procedure
di accesso idonei a prospettare a terzi dati fraudolentemente alterati nel corso di eventuali ispezioni11;
− rinvenimento da parte degli organi di controllo della contabilità “in nero” in luogo diverso da quello
indicato dal contribuente per la custodia delle scritture12;
− fittizia intestazione di rapporti finanziari su cui accreditare elementi attivi destinati a non essere
contabilizzati13 ;
− sistematica emissione di titoli di credito senza indicazione del beneficiario al fine di occultare i
pagamenti14.
SCHEDA DI SINTESI
Il sistema sanzionatorio penal tributario, delineato nel D.Lgs. 74/2000, unitamente ai successivi
interventi legislativi, è stato profondamente rivisitato dal D.Lgs. 158/2015. Il D.L. 124/2019,
che ha inasprito le pene per alcuni reati, introdotto la c.d. confisca allargata e la responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche in relazione alla commissione di reati tributari, impatta
altresì sul comma 8 dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972.
Il comma 8, dell’articolo 38-bis, D.P.R. 633/1972 si è limitato ad aggiornare i riferimenti
normativi relativi alle fattispecie penali previste dall’articolo 4, comma 1, n. 5, D.L. 429/1982,
ed è posto a garanzia dell’Amministrazione finanziaria, in presenza di gravi illeciti penali, basati
sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
La circolare n. 32/E/2014 ha precisato che la sospensione in argomento opera nei limiti di
seguito indicati: le fattispecie delittuose di cui agli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000 devono essere
state constatate con riferimento al medesimo periodo d'imposta per il quale è stata presentata
9 Cassazione, sentenza n. 14616/2012. 10 Cassazione, sentenza n. 9414/1996. 11 Cassazione, sentenza n. 13641/2002. 12 Cassazione, sentenza n. 1402/2005. 13 Cassazione, sentenza n. 13098/2009. 14 Cassazione, sentenza n. 36977/2005.
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richiesta di rimborso dell'Iva; la sospensione del rimborso non può essere disposta per un
importo superiore all'ammontare dell'Iva esposta nelle fatture o negli altri documenti
illecitamente emessi o utilizzati.
La conoscenza da parte dell’ufficio delle fattispecie sopra richiamate comporta la sospensione
del rimborso, inibendo alcuna valutazione discrezionale. Sospensione del rimborso che opera
fino alla definizione del procedimento penale, indipendentemente dall'esito (cfr. circolare n.
31/E/2014). La “constatazione” coincide già con il momento della verbalizzazione nel processo
verbale giornaliero ovvero nel pvc, ovvero in altri atti, indipendentemente dall’inoltro della
denuncia penale o ancor più dall’esercizio dell’azione penale. Il reato, infatti, si considera
constatato, una volta comunque acquisita la notitia criminis. Inoltre, ai fini della sospensione,
non rileva l'eventuale definizione dell'obbligazione tributaria sottostante.
L’articolo 2, D.Lgs. 74/2000 è interessato dalle modifiche apportate dal D.L. 124/2019, per
effetto delle quali la pena è elevata, prevedendo la reclusione da 4 a 8 anni. Inoltre, la pena è
più bassa (ovvero si mantiene la pena attuale, della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni)
quando l’ammontare del passivo fittizio è inferiore a 100.000 euro. Il D.L. prevede, inoltre,
l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando i passivi fittizi sono superiori a 200.000
euro, e della responsabilità amministrativa dell’ente. Pertanto, mentre per l’applicazione della
pena più grave è sufficiente che i passivi fittizi ammontino a 100.000 euro, per l’applicazione
della confisca allargata occorre che tale cifra sia raddoppiata. Infine, anche il delitto di
dichiarazione fraudolenta mediante uso di documenti per operazioni inesistenti può estinguersi
attraverso l’integrale pagamento del debito tributario, purché lo stesso intervenga prima che
l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di una indagine a suo carico.
L'articolo 8, D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte
sui redditi o dell’Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Le lettere l) e m), comma 1, articolo 39, D.L. 124/2019, hanno modificato il delitto di emissione
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’articolo 8, D.Lgs. 74/2000. Le
norme introdotte hanno aumentato la pena, analogamente a quanto fatto per il parallelo delitto
di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(da 4 anni a 8 anni). Inoltre, la pena è più bassa (ovvero si mantiene la precedente pena della
reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) quando l’importo indicato nelle fatture o nei documenti
e relativo a operazioni inesistenti è inferiore, per il periodo d’imposta considerato, a 100.000
euro. Il D.L. prevede inoltre l’applicazione della confisca allargata, ma solo quando l’importo
non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200.000 euro.
Trova applicazione la responsabilità amministrativa degli enti.
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Iva in pratica n. 48/2020
Il rapporto di accessorietà di Marco Peirolo - dottore commercialista e componente del Fiscal Committee della Confédération Fiscale
Européenne
Ai fini Iva, ciascuna prestazione deve essere considerata distinta e indipendente (articolo 1, § 2,
Direttiva 2006/112/CE), ma questa regola generale può essere derogata quando l’operazione si
compone di più elementi, dovendosi così determinare se gli stessi siano distinti, oppure
costituiscano un’unica prestazione.
Quest’ultima ipotesi ricorre in 2 casi, segnatamente:
− in presenza di un rapporto di accessorietà, cioè quando una prestazione si considera principale,
mentre l’altra è a essa accessoria;
− quando le prestazioni rese siano talmente connesse da formare, oggettivamente, una sola
prestazione economica indissociabile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale.
Normativa di riferimento in merito al rapporto di accessorietà
L’articolo 78, § 1, lettera b), Direttiva 2006/112/CE stabilisce che, nella base imponibile, devono essere
comprese le spese accessorie quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di
assicurazione, addebitate dal fornitore al cliente.
Nella normativa interna, il principio di accessorietà è previsto dall’articolo 12, D.P.R. 633/1972, secondo cui:
− il trasporto, la posa in opera, l’imballaggio, il confezionamento, la fornitura di recipienti o contenitori
e le altre cessioni o prestazioni accessorie a una cessione di beni o a una prestazione di servizi, effettuati
direttamente dal fornitore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente a Iva
nei rapporti fra le parti dell’operazione principale;
− se l’operazione principale è soggetta a Iva, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie
imponibili concorrono a formarne la base imponibile.
Affinché, quindi, le cessioni o prestazioni accessorie a una operazione principale non siano assoggettate
autonomamente all’imposta è indispensabile che le stesse siano effettuate:
− nei confronti dello stesso destinatario dell’operazione principale;
− direttamente dal soggetto che pone in essere l’operazione principale, ovvero da 1/3, purché per conto
e a spese del primo.
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31 Iva in pratica n. 48/2020
Presupposti del rapporto di accessorietà
È ormai consolidato, per lo meno sul piano amministrativo, l’orientamento in base al quale il rapporto
di accessorietà presuppone un duplice presupposto, di tipo soggettivo e oggettivo.
Requisito dell’identità soggettiva
Sotto il primo profilo, è richiesta l’identità dei soggetti tra i quali intercorrono le operazioni
principale e accessoria1.
Sul punto, il comma 1 dell’articolo 12, D.P.R. 633/1972 dispone che le prestazioni accessorie
devono essere effettuate “direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese”.
In questa seconda ipotesi, giuridicamente riconducibile al mandato con rappresentanza, il principio
dell’identità soggettiva resta “impregiudicato”, posto che il rapporto contrattuale con il “terzo” si colloca
a monte del soggetto che realizza l’operazione principale, tant’è che quest’ultimo riaddebiterà al
cessionario/committente il corrispettivo dell’operazione accessoria2.
ESEMPIO 1 – Trasporto di beni resa dal vettore su commissione del cedente
Riguardo alla prestazione di trasporto, nel rapporto contrattuale instaurato tra il cedente e il
vettore, è dato osservare che, se il trasporto viene effettuato per conto e a spese del cedente, il
carattere accessorio della prestazione di trasporto viene a configurarsi, in base all’articolo 12, D.P.R.
633/1972, soltanto nel rapporto tra le parti dell’operazione principale, vale a dire nel rapporto
cedente-cessionario, assumendo il vettore la veste di “terzo” rispetto ai soggetti dell’operazione
principale.
Nella situazione descritta, la prestazione di trasporto resa dal vettore su commissione del cedente
riveste, pertanto, un’autonoma rilevanza, in quanto la natura accessoria della prestazione è ipotizzabile
soltanto in un rapporto di relazione che presuppone, necessariamente, la presenza di 2 operazioni
effettuate dallo stesso soggetto, quando invece, nel caso prospettato, l’operazione è unica e, quindi,
autonoma.
Conseguentemente, il corrispettivo relativo alla prestazione di trasporto è autonomamente soggetto a
fatturazione e a Iva con l’aliquota ordinaria (22%)3.
1 Cfr., per tutte, risoluzioni n. 6/E/1998, n. 216/E/2002, n. 230/E/2002, n. 120/E/2003, n. 167/E/2003, n. 337/E/2008 e n. 367/E/2008. 2 Cfr. risoluzione n. 550145/1988. 3 Cfr. risoluzione n. 550145/1988, cit..
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32 Iva in pratica n. 48/2020
ESEMPIO 2 – Visure ipocatastali utilizzate nella fase istruttoria della concessione dei prestiti
Si consideri il caso di una società che ha ricevuto da un istituto di credito l’incarico di eseguire visure
ipocatastali da utilizzare nella fase istruttoria della concessione dei prestiti.
Il dubbio è se tali prestazioni di servizi siano esenti da Iva in quanto relative a operazioni creditizie e
finanziarie ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 1), D.P.R. 633/1972, ovvero in quanto accessorie alle
suddette operazioni creditizie e finanziarie.
Nella fattispecie, l’esecuzione delle visure ipocatastali, pur costituendo un’attività strumentale alla
valutazione degli affidamenti, è una semplice attività tecnica che non svolge le stesse funzioni
specifiche ed essenziali delle operazioni di finanziamento effettuate dalle aziende di credito e non è
idonea a modificare direttamente le situazioni giuridiche ed economiche soggettive; condizioni, queste,
richieste dalla Corte di Giustizia4.
Pertanto, le prestazioni di servizi di visure ipocatastali effettuate nei confronti delle aziende di credito
non rientrano nel regime di esenzione Iva di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1), D.P.R. 633/1972.
Resta da esaminare se le prestazioni in argomento possano essere considerate esenti da Iva in quanto
accessorie all’operazione principale di finanziamento.
In tale contesto, mancano, tuttavia, i presupposti giuridici per la qualificazione come accessoria
dell’operazione in questione.
Le visure ipocatastali, diversamente da quanto richiesto dall’articolo 12, D.P.R. 633/1972, sono
effettuate da un soggetto del tutto distinto dal prestatore dell’operazione principale e sono rese non al
soggetto finanziato, bensì all’azienda erogatrice del prestito.
Infatti, le medesime visure fanno parte della complessa attività interna dell’azienda di credito,
propedeutica all’erogazione del finanziamento e non formano oggetto del rapporto contrattuale tra
banca e cliente.
Nella fattispecie prospettata, non si ravvisa, pertanto, l’esistenza dei presupposti giuridici per poter
considerare i servizi di esecuzione delle visure ipocatastali come prestazioni accessorie rispetto alle
operazioni creditizie di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1), D.P.R. 633/1972.
Le prestazioni di servizi in esame vanno, quindi, assoggettate a Iva con l’aliquota ordinaria (22%)5.
A differenza della normativa interna, l’articolo 78, Direttiva 2006/112/CE non richiede che le
operazioni accessorie siano effettuate direttamente dal fornitore, ovvero per suo conto e a sue
spese. È, infatti, sufficiente che le citate operazioni siano addebitate dal fornitore al cliente.
4 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-2/95 del 5 giugno 1997. 5 Cfr. risoluzione n. 216/E/2002, cit..
Iva
33 Iva in pratica n. 48/2020
Sul punto, la giurisprudenza comunitaria, dopo avere affermato, in un primo tempo, che l’accessorietà
presuppone l’identità dei soggetti che effettuano, rispettivamente, l’operazione principale e quella
secondaria6, ha stabilito che il rapporto di accessorietà non viene meno quando la prestazione
secondaria è resa da un soggetto diverso da quello che fornisce la prestazione principale.
È dato osservare che le pronunce della Corte di Giustizia che hanno affrontato questa questione
si riferiscono esclusivamente alle operazioni esenti da Iva, sicché andrebbe stabilito se lo stesso
principio sia applicabile anche alle operazioni imponibili e a quelle non imponibili.
In caso affermativo, tenuto conto della difformità tra la normativa comunitaria e la normativa interna,
lo Stato e il contribuente si troverebbero in 2 posizioni di forza ben distinte, in quanto7:
− mentre lo Stato non può che pretendere l’applicazione della disciplina nazionale, non potendo
invocare la diretta applicabilità della disciplina comunitaria non correttamente recepita;
− il contribuente può scegliere se applicare la disciplina interna, ovvero quella comunitaria.
In sede, quindi, di contenzioso, il soggetto che ha compiuto l’operazione accessoria sarebbe legittimato
a richiedere l’applicazione diretta della normativa comunitaria, laddove per il medesimo sia vantaggiosa
l’applicazione dello stesso regime Iva dell’operazione principale.
Causa C-392/11 del 27 settembre 2012 – Oneri locativi
La sentenza qualifica come prestazione unitaria, nella specie esente da Iva, l’operazione avente per
oggetto la locazione di un immobile strumentale e i servizi a esso relativi (c.d. “oneri locativi”), anche se
resi da un soggetto diverso dal locatore.
La locazione è stata fatturata in regime di esenzione siccome il locatore non ha esercitato l’opzione per
l’imponibilità di cui all’articolo 137, § 1, lettera d), Direttiva 2006/112/CE. Il locatario ha ritenuto che i
servizi collegati all’immobile costituissero prestazioni autonome, da assoggettare a imposta.
La Corte di Giustizia UE ha, invece, propeso per l’unicità della prestazione, avuto riguardo, allo stesso
tempo, all’aspetto formale, rappresentato dal contenuto del contratto di locazione, e all’aspetto
sostanziale, vale a dire la ragione economica sottesa alla sua stipula, essendo innegabile che il locatario
ha voluto non soltanto ottenere il diritto di occupare l’immobile, ma anche di beneficiare di un insieme di
servizi resi dal locatore.
L’unicità, in particolare, discende dal nesso di accessorietà che lega i servizi (prestazioni secondarie) alla
locazione (prestazione principale); tant’è che i giudici comunitari giustificano la conclusione raggiunta
affermando, alla luce della giurisprudenza in materia, che non si può apprezzare che l’ottenimento delle
prestazioni di servizi in parola costituisca un fine a sé stante per il locatario medio di locali come quelli di
cui trattasi nel procedimento principale, ma costituisca piuttosto il mezzo per fruire, nelle migliori
condizioni, della prestazione principale, cioè della locazione di superfici commerciali.
6 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-349/96 del 25 febbraio 1999. 7 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-203/10 del 3 marzo 2011, sentenza causa C-226/07 del 17 luglio 2008, sentenza causa C-184/04 del
30 marzo 2006, sentenza causa C-168/95 del 26 settembre1996, sentenza cause riunite C-6/90 e C 9/90 del 19 novembre 1991, sentenza
causa C-80/86 dell’8 ottobre 1987, e sentenza causa C-152/84 del 26 febbraio 1986.
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34 Iva in pratica n. 48/2020
L’unicità della prestazione, peraltro, non può essere esclusa per il semplice fatto che i servizi, anziché dal
locatore, potrebbero essere resi da un terzo.
Da tale conclusione si desume la compatibilità con l’ordinamento comunitario dell’articolo 9, comma 4, L.
392/1978 (legge sull’equo canone), secondo il quale gli oneri condominiali, se addebitati dal locatore al
conduttore, devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione. Sul punto, la
sentenza relativa alla causa C-572/07 dell’11 giugno 2009 aveva, invece, escluso il regime di esenzione
applicato al servizio di pulizia degli spazi comuni di un edificio concesso in locazione nel presupposto, tra
l’altro, che il medesimo possa essere fornito con modalità diverse, in particolare:
da un terzo che fatturi il costo di detto servizio direttamente ai locatari, ovvero
dal proprietario che impieghi a tale scopo il suo personale o che faccia ricorso a un’impresa di pulizie
Causa C-453/05 del 21 giugno 2007 – Consulenza finalizzata alla concessione di prestiti
La sentenza stabilisce che la prestazione di consulenza con la quale un soggetto analizza la situazione
patrimoniale e finanziaria dei suoi clienti affinché gli stessi possano ottenere un credito assume carattere
accessorio rispetto all’attività creditizia, per cui sono entrambe operazioni esenti da Iva ai sensi
dell’articolo 135, § 1, lettera b), Direttiva 2006/112/CE.
Nel caso esaminato, una società, tramite l’intermediazione di un suo subagente che opera come consulente
finanziario, mette a disposizione di privati diversi prodotti finanziari, quali crediti, di cui essa, in
precedenza, ha stabilito le condizioni generali con gli istituti di credito.
Il consulente finanziario reperisce i clienti potenziali e, dopo un’analisi della loro situazione patrimoniale
e finanziaria, propone agli stessi i prodotti finanziari idonei a soddisfare le loro necessità. Se il cliente si
dichiara interessato a un credito, il consulente predispone una proposta di contratto vincolante che, dopo
la firma del cliente, trasmette alla società, la quale ne controlla la regolarità. Quest’ultima invia la proposta
di contratto all’istituto di credito ai fini dell’erogazione del finanziamento.
Se il contratto viene concluso, la società percepisce dall’istituto di credito una commissione e, a sua volta,
la società versa al consulente finanziario, quale subagente e come contropartita per il suo intervento nella
conclusione del contratto, una provvigione. Da parte sua, il cliente non paga alcuna provvigione né alla
società, né al consulente finanziario.
Secondo la Corte di Giustizia UE, la circostanza che le prestazioni fornite dalla DVAG e dal suo subagente
siano remunerate dagli istituti di credito solamente a condizione che i clienti reperiti e consigliati dal
consulente finanziario concludano un contratto di credito induce a ritenere che l’operazione di
negoziazione costituisca la prestazione principale, essendo la prestazione della consulenza di natura
meramente accessoria. D’altro canto, la negoziazione di crediti appare come la prestazione decisiva sia per
i beneficiari del credito sia per gli istituti che lo elargiscono, dal momento che l’attività di consulenza
finanziaria si svolge solo in una fase preliminare ed è limitata all’assistenza offerta al cliente nella scelta,
fra i diversi prodotti finanziari, di quelli maggiormente appropriati alla sua situazione e alle sue esigenze
Causa C-76/99 dell’11 gennaio 2001 – Prelievo di sangue e suo trasporto a laboratorio di analisi
La sentenza afferma che la prestazione di prelievo e la trasmissione del prelievo a un laboratorio
specializzato costituiscono prestazioni strettamente connesse alle analisi, con la conseguenza che le
stesse devono seguire il medesimo regime Iva di queste ultime e, pertanto, devono qualificarsi come esenti
ai sensi dell’articolo 132, § 1, lettera b), Direttiva 2006/112/CE, riferito all’ospedalizzazione e alle cure
modiche, nonché alle operazioni a esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico
oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici
e diagnostici e altri istituti della stessa natura e debitamente riconosciuti.
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35 Iva in pratica n. 48/2020
Il caso di specie riguarda i rapporti tra 2 laboratori di analisi cliniche, laddove il paziente che deve
sottoporsi ad analisi si rivolge a un primo laboratorio che effettua esclusivamente il prelievo,
successivamente trasmesso a un secondo laboratorio che effettua le analisi ed emette fattura al paziente
in regime di esenzione da Iva, in quanto trattasi di prestazione medica.
Anche la trasmissione del prelievo dal primo al secondo laboratorio avviene dietro pagamento di un
corrispettivo, rispetto al quale la Corte ha riconosciuto il carattere di accessorietà in quanto rispondente
all’esigenza di offrire al paziente la maggiore affidabilità possibile delle analisi cliniche.
Il nesso di accessorietà, nella fattispecie, ricorre perché la trasmissione del prelievo si colloca
temporalmente tra la fase del prelievo e quella della sua analisi, sicché è strettamente connessa a
quest’ultima, secondo le considerazioni sopra esposte.
Diversa, invece, è la conclusione per le operazioni che si posizionano a monte della prestazione sanitaria e che
sono, si può dire, propedeutiche alla prestazione stessa, come nel caso della fornitura di attrezzature, macchinari
e materiali necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, per la quale, quindi, l’esenzione non compete
Un’interpretazione più estensiva della locuzione “per suo conto e a sue spese” è riconosciuta,
dalla stessa Amministrazione finanziaria, per i servizi accessori ai servizi culturali, artistici,
sportivi, educativi e affini, che fino al 31 dicembre 2010 dovevano essere tassati nel luogo in cui
erano materialmente svolti, anche se resi nei confronti di soggetti passivi Iva8.
Con la circolare n. 37/E/2011 (§ 3.1.4), l’Agenzia delle entrate ha affermato che, in considerazione
dell’attuale formulazione del testo normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in
materia, si deve ritenere che il concetto di accessorietà nell’ambito dei servizi culturali, scientifici e
simili debba essere inteso, con riferimento al profilo soggettivo dell’operazione, in senso più ampio
rispetto a quanto in precedenza previsto. In sostanza, al fine di qualificare una prestazione di servizi
come accessoria rispetto a quella principale, pur restando confermata la necessaria strumentalità della
prima rispetto alla seconda, è opportuno prescindere dall’identità dei soggetti coinvolti nell’operazione
principale e in quella accessoria: come affermato dalla Corte di Giustizia, piuttosto, devono essere
considerate accessorie a un’attività artistica, scientifica o affine tutte le prestazioni che, senza costituire
direttamente una siffatta attività, rappresentino un presupposto necessario della realizzazione
dell’attività principale, indipendentemente dalla persona che presta tali servizi9.
Requisito oggettivo
Sotto il secondo profilo, cioè quello oggettivo, è necessario, come costantemente sottolineato
dalla Corte di Giustizia10, che l’operazione secondaria non costituisca per la clientela un fine a sé
8 Cfr. articolo 7-quinquies, D.P.R. 633/1972. 9 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-327/94 del 26 settembre 1996 e sentenza C-114/05 del 9 marzo 2006. 10 Cfr., per tutte, Corte di Giustizia, sentenza causa C-251/05 del 6 luglio 2006, sentenza causa C-380/99 del 3 luglio 2001, sentenza causa C-
349/96 del 25 febbraio 1999, cit. e sentenza cause riunite C-308/96 e C-94/97 del 22 ottobre 1998.
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36 Iva in pratica n. 48/2020
stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal
prestatore. Ciò vale, in particolare, quando 2 o più prestazioni fornite al cliente siano a tal punto
connesse da formare, oggettivamente, una prestazione economica indissociabile la cui
scomposizione avrebbe carattere artificioso.
Lo stesso principio è condiviso dall’Amministrazione finanziaria11, secondo la quale la sussistenza
del rapporto di accessorietà richiede, allo stesso tempo, la convergenza di tutte le prestazioni
nella direzione della realizzazione di un unico obiettivo e un nesso di dipendenza funzionale delle
prestazioni accessorie rispetto alla prestazione principale. In particolare, occorre che le
prestazioni accessorie siano effettuate proprio per il fatto che esiste una prestazione principale,
in combinazione con la quale possono portare a un determinato risultato perseguito.
Conclusivamente, sono accessorie solo le operazioni poste in essere dal medesimo soggetto in
necessaria connessione con l’operazione principale alla quale, quindi, accedono e che hanno, di norma,
la funzione di integrare, completare o rendere possibile la suddetta prestazione o cessione principale.
Effetti del principio di accessorietà
Il principio di accessorietà implica che all’operazione accessoria sia attribuita la stessa natura e
lo stesso trattamento di quella principale.
Affinché all’operazione accessoria sia attribuita la stessa natura e lo stesso trattamento di quella
principale è richiesto che la prestazione accessoria sia, per sua natura, imponibile. In base, infatti,
all’articolo 12, comma 2, D.P.R. 633/1972, l’imponibilità dell’operazione accessoria è la condizione
necessaria affinché, in presenza di un’operazione principale soggetta a Iva (imponibile, non
imponibile o esente), all’operazione accessoria sia applicato lo stesso regime dell’operazione
principale.
Le prestazioni accessorie che non siano di per sé imponibili restano, pertanto, escluse dalla base
imponibile anche se l’operazione principale è imponibile.
ESEMPIO 3 – Interessi da dilazione di pagamento
Gli interessi da dilazione di pagamento, avendo natura esente da Iva ai sensi dell’articolo 10, comma 1,
n. 1), D.P.R. 633/1972, mantengono tale natura anche se accessori a un’operazione imponibile12.
11 Si veda la nota 1. 12 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-349/96 del 25 febbraio 1999, cit..
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37 Iva in pratica n. 48/2020
A una diversa conclusione è giunta la giurisprudenza comunitaria nella sentenza relativa alla causa C-
281/91 del 27 ottobre 1993, affermando che il pagamento differito del prezzo di acquisto di un bene,
dietro corresponsione dei relativi interessi, può essere considerato, in linea di principio, quale
concessione di un credito esente da imposta e che, qualora il fornitore di un bene accetti che
l’acquirente differisca il pagamento del prezzo, dietro corresponsione dei relativi interessi, sino alla
consegna, si deve ritenere che i detti interessi siano compresi nel valore complessivo del bene, anche
quando il contratto li distingua dal prezzo. In pratica, gli interessi da dilazione di pagamento non
rappresentano la controprestazione del credito concesso all’acquirente, come tale esente da Iva, ma un
elemento della controprestazione ottenuta per la cessione del bene, di cui ne segue il relativo regime
impositivo.
Nello stesso senso può richiamarsi anche la sentenza di cui alla causa C-34/99 del 15 maggio 2001, ove
si afferma che, anche qualora la prestazione di servizi consistente nell’asserita fornitura del credito
potesse distinguersi dalla cessione di beni, la suddetta prestazione dovrebbe, in circostanze come quelle
di cui trattasi nella causa principale, essere considerata come comunque accessoria all’operazione
principale della vendita di beni.
Operazioni accessorie a cessioni/prestazioni soggette ad aliquote Iva diverse
Se l’operazione accessoria si riferisce a più cessioni o prestazioni soggette ad aliquote Iva
differenti, il corrispettivo della prima deve essere ripartito in proporzione alle diverse basi
imponibili, con successiva applicazione della corrispondente aliquota13.
Prezzo unico forfetario per beni/servizi soggetti ad aliquote Iva differenti
Nella risoluzione n. 56/E/2017, l’Agenzia delle entrate, in merito all’individuazione della corretta
aliquota Iva da applicare ad alcune confezioni di erbe aromatiche composte anche da basilico,
rosmarino e salvia – soggette all’aliquota Iva del 5% ai sensi del n. 1-bis) della Tabella A, Parte II-bis,
allegata al D.P.R. 633/1972 – ha chiarito che “indipendentemente dal fatto che ci sia o meno una
prevalenza di piante aromatiche assoggettabili ad aliquota ridotta, la presenza nella stessa confezione di
piante aromatiche diverse da quelle elencate dal n. 1-bis) della Tabella A, Parte II-bis citata, comporterà
l’assoggettamento dell’intera confezione all’aliquota ordinaria”.
Identiche conclusioni sono contenute nella risoluzione n. 142/E/1999, ove si osserva che, “nella
13 Cfr. risoluzione n. 331171/1980 e n. 363556/1976 e circolare n. 32/501388/1973 (§ XVII).
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38 Iva in pratica n. 48/2020
fattispecie prospettata si prevede l’effettuazione di una pluralità di operazioni a fronte delle quali, tra l’altro,
è prevista la corresponsione di un corrispettivo unico forfettario con la conseguenza che per le stesse non è
dato applicare il corrispondente trattamento Iva differenziato secondo le disposizioni dianzi citate.
Per le suesposte considerazioni, pertanto, alle prestazioni di che trattasi si rende applicabile l’Iva con
l’aliquota massima prevista per le opere ricomprese nella fattispecie negoziale in discorso, ossia quella del
10%”.
L’Amministrazione finanziaria è allineata alla posizione della Corte di Giustizia nel ritenere che alla
prestazione considerata come unica debba applicarsi una sola aliquota Iva, ma quest’ultima dovrebbe
essere individuata in funzione del rapporto di prevalenza esistente tra gli elementi che compongono
l’operazione economicamente unitaria e non applicando, “a prescindere”, l’aliquota più alta.
Nella sentenza di cui alla causa C-463/16 del 18 gennaio 2018, la Corte di Giustizia ha, infatti, affermato
che la qualifica stessa come prestazione unica di un’operazione che comporta più elementi implica
l’applicazione della medesima aliquota Iva. La facoltà, lasciata agli Stati membri, di assoggettare i
diversi elementi che compongono una prestazione unica a più aliquote Iva comporterebbe, infatti, la
scomposizione artificiale di tale prestazione e rischierebbe di alterare la funzionalità del sistema
dell’Iva, in violazione della giurisprudenza che ha sancito tale principio.
La circostanza che sia possibile identificare il prezzo corrispondente a ciascun elemento distinto che
compone la prestazione unica non è idonea a giustificare alcuna deroga alla conclusione che precede,
anche perché – come sottolineato dai giudici comunitari –
“il principio di neutralità fiscale rischierebbe di essere compromesso, poiché due prestazioni uniche,
composte da due o più elementi distinti, che sono, sotto tutti gli aspetti, simili, potrebbero dover essere
assoggettate, secondo detta ipotesi, ad aliquote Iva distinte applicabili ai suddetti elementi, a seconda
che sia o meno possibile identificare il prezzo corrispondente a tali diversi elementi”.
Ritornando alle indicazioni della prassi amministrativa sopra richiamate, è vero che le aliquote ridotte
costituiscono un’eccezione e devono essere applicate in modo restrittivo, ma c’è da chiedersi se sia
effettivamente corretto prescindere dal rapporto di prevalenza tra i beni/servizi ceduti/resi a fronte di
un corrispettivo unitario, in particolar modo quando l’operatore sia in grado di supportarlo sul piano
probatorio. In effetti, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9661/2017 sembra smentire
l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, laddove nel caso esaminato – relativo alla cessione
di un fabbricato unitariamente considerato avente prevalente destinazione strumentale – viene
confermata l’applicazione dell’aliquota ordinaria. Se, dunque, la destinazione prevalente dell’immobile
fosse stata abitativa è lecito ritenere che si sarebbe concluso per l’aliquota ridotta.
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39 Iva in pratica n. 48/2020
Le criticità evidenziate rispetto alle indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria sono state
superate, da ultimo, dalla risoluzione n. 51/E/2019, con la quale è stato chiarito che
“la presenza nella stessa confezione di erbe aromatiche assoggettate ad aliquote differenti - per le
quali non sia possibile riscontrare una predominanza che conferisca il “carattere essenziale” nel senso
precisato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli [si veda la nota n. 94063 del 28 agosto 2018] -
conformemente a quanto affermato nella risoluzione n. 142/E/1999, comporterà l’assoggettamento
dell’intera confezione all’aliquota Iva più elevata e, come affermato nella risoluzione n. 56/E/2017,
“all’aliquota ordinaria” qualora nella confezione vi sia anche la presenza di erbe la cui cessione sia
assoggettata ad aliquota ordinaria”.
Prezzo unico forfetario per operazioni principale e accessoria
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17836/2018, ha affermato che il contratto con il quale
un soggetto italiano (nella specie, una società operante nel ramo informatico) si impegna, a fronte
della pattuizione di un compenso unitariamente determinato, a commercializzare i prodotti di un
altro soggetto appartenente alla UE offrendo, altresì, una serie di altri servizi, tecnici e
amministrativi, costituenti il mezzo per una migliore fruizione dei prodotti commercializzati, va
considerato, ai fini dell’applicazione dell’imposta, come un’unica operazione economica, sicché
non è possibile scindere i servizi di intermediazione propriamente detti dagli altri servizi offerti,
da ritenersi accessori ai primi e, quindi, soggetti al medesimo regime impositivo.
Ne consegue che, se i servizi di intermediazione resi al committente di altro Stato membro sono
non imponibili ai sensi dell’articolo 40, comma 8, D.L. 331/1993, nel testo applicabile ratione
temporis, lo stesso trattamento si applica anche ai servizi accessori.
Nel caso di specie, l’intermediario italiano ha curato la promozione e la vendita nel territorio nazionale
dei prodotti, hardware e software, del committente di altro Stato membro, prestando a tal fine anche
alcuni servizi di natura amministrativa e tecnica, a fronte di un corrispettivo unitario, pari al totale dei
costi, incrementati da un “mark up”.
Per stabilire se ai servizi amministrativi e tecnici sia applicabile il medesimo regime impositivo
previsto per l’attività di intermediazione, la Suprema Corte ha preso in considerazione la volontà
delle parti risultante dal contratto, il cui scopo principale è quello di procedere alla
commercializzazione dei prodotti del committente, atteso che tutti gli altri servizi offerti
dall’intermediario sono diretti al raggiungimento di tale finalità: il committente, infatti, vende
Iva
40 Iva in pratica n. 48/2020
hardware e software, per cui è necessario, per rendere appetibile il prodotto commercializzato,
offrire servizi di consulenza sull’utilizzo dei prodotti, di formazione del personale, di
finanziamento per l’acquisto, di garanzia e di manutenzione, tutti diretti a una migliore
commercializzazione dei beni offerti alla clientela.
I servizi amministrativi e tecnici ben possono, dunque, rientrare nel concetto di servizi accessori,
unico essendo l’obiettivo economico che si sono prefissati i contraenti e unico essendo anche
l’interesse degli acquirenti dei prodotti hardware e software, che, secondo l’id quod plerumque
accidit, non procedono all’acquisto di tali beni se non sono corredati da tutta una serie di servizi
accessori, quali quelli offerti dalla società in questione.
La circostanza che il contratto abbia, nelle intenzioni dei contraenti, un’unica finalità è
comprovata anche dalla pattuizione di un corrispettivo unitario, non già differenziato per i singoli
servizi offerti, come sarebbe stato logico prevedere nel caso in cui l’intermediario si fosse
impegnato a rendere prestazioni ontologicamente diverse14.
Per le considerazioni esposte, l’ordinanza n. 17836/2018 ha, pertanto, affermato che “il contratto con il
quale un soggetto italiano (nella specie, una società operante nel ramo informatico) si impegna, a fronte della
pattuizione di un compenso unitariamente determinato, a commercializzare i prodotti di un altro soggetto
appartenente alla UE offrendo, altresì, una serie di altri servizi, tecnici e amministrativi, costituenti il mezzo
per una migliore fruizione dei prodotti commercializzati, va considerato, ai fini dell’applicazione dell’imposta,
quale un’unica operazione economica, sicché non è possibile scindere i servizi di intermediazione
propriamente detti dagli altri servizi offerti, da ritenersi accessori ai primi”.
Separata fatturazione delle operazioni accessorie
È consentito di fatturare le prestazioni accessorie separatamente da quelle principali, salvo
l’indicazione degli estremi delle fatture relative a queste ultime, per il necessario collegamento15.
Lo stesso principio è stato ribadito dall’Amministrazione finanziaria in riferimento alle spese di trasporto
di beni al di fuori dell’Unione Europea, in relazione cioè a cessioni all’esportazione16.
È stato, infatti, precisato che i trasporti effettuati per conto e a spese del cedente costituiscono
prestazioni accessorie alla cessione all’esportazione, per cui i relativi corrispettivi si considerano parte
14 Sul punto, è comunque il caso di ricordare che, con la sentenza di cui alla citata causa C-463/16 del 18 gennaio 2018, la Corte di Giustizia
UE ha affermato che l’operazione può essere definita come economicamente unica, in dipendenza del nesso di accessorietà che lega
l’operazione secondaria a quella principale, anche se le parti hanno valorizzato distintamente i singoli elementi che compongono l’operazione. 15 Cfr. circolare n. 198/E/1996; risoluzioni n. 405397/1983 e n. 501976/1974. 16 Cfr. risoluzione n. 405397/1983, cit..
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41 Iva in pratica n. 48/2020
del prezzo complessivo della cessione, a nulla influendo che gli stessi siano addebitati distintamente
in fattura.
Ne consegue che tali corrispettivi concorrono a formare l’ammontare del plafond che l’esportatore, ai
sensi dell’articolo 8, comma 2, D.P.R. 633/1972, può utilizzare per effettuare acquisti di beni e servizi
senza pagamento dell’imposta.
ESEMPIO 4 – Addebito del costo di trasporto
In merito all’ambito applicativo del principio di accessorietà, può osservarsi che il separato addebito
del costo di trasporto può verificarsi in 2 distinte ipotesi, che ricorrono, rispettivamente, quando:
1. nell’ambito della stessa fattura di vendita, il costo del trasporto è evidenziato separatamente dal
corrispettivo della cessione;
2. il costo del trasporto è addebitato al cessionario comunitario successivamente all’emissione della
fattura di vendita.
Nella prima ipotesi, non dovrebbero esserci dubbi in merito alla natura accessoria della prestazione di
trasporto, la quale – anche se addebitata in fattura distintamente dal corrispettivo pattuito per la
cessione – rientra nel regime di non imponibilità previsto per le operazioni intracomunitarie attive e,
quindi, va inserita nel modello INTRA 1-bis17.
Nella seconda ipotesi, occorre richiamare la posizione dell’Amministrazione finanziaria in merito al
trattamento Iva dell’addebito delle spese di trasporto nelle operazioni interne. La circolare n.
198/E/1996 (§ 2.1), confermando la risoluzione n. 501976/1974, ha consentito di fatturare le suddette
prestazioni accessorie separatamente da quelle principali, salvo l’indicazione degli estremi delle fatture
relative a queste ultime, per il necessario collegamento.
Allo stesso modo, può ritenersi che, anche nelle operazioni con l’estero, la fattura con la quale viene
addebitato il trasporto al cliente non residente beneficia della non imponibilità di cui:
− all’articolo 41, D.L. 331/1993, se l’operazione principale è una cessione intracomunitaria;
− all’articolo 8, D.P.R. 633/1972, se l’operazione principale è una cessione all’esportazione.
Nel primo caso, il cedente italiano è tenuto a presentare il modello INTRA 1-ter al fine di rettificare
l’ammontare imponibile della cessione, se la fattura di riaddebito del trasporto viene emessa
successivamente alla presentazione del modello INTRA 1-bis. Nello specifico, la variazione deve essere
indicata nell’elenco relativo al periodo nel corso del quale la medesima è stata registrata (o avrebbe
dovuto essere registrata).
17 Cfr. risoluzione n. 405397/1983, cit., relativa alle cessioni all’esportazione.
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42 Iva in pratica n. 48/2020
Infine, si fa presente che, nell’ipotesi in cui l’addebito del trasporto non sia “accessorio”, la prestazione
assume natura “generica” ai sensi dell’articolo 7-ter, D.P.R. 633/1972, con la conseguenza che – nei
rapporti “B2B” – deve essere emessa fattura, senza applicazione dell’Iva, ai sensi dell’articolo 21, comma
6-bis, D.P.R. 633/1972. L’addebito delle spese di trasporto nei confronti del cessionario/committente
stabilito in altro Paese UE deve essere pertanto riportato nel modello INTRA 1-quater18.
Riaddebito di spese accessorie
Il riaddebito delle spese è disciplinato, dal punto di vista civilistico, dalle norme in materia di mandato,
le quali distinguono a seconda che il mandatario sia “trasparente” od “opaco”, in funzione, cioè, della
spendita o meno del nome del mandante nei rapporti con i terzi.
Ai fini Iva, il riaddebito operato nell’ambito del mandato con rappresentanza è regolato dall’articolo 15,
comma 1, n. 3), D.P.R. 633/1972, che esclude dalla base imponibile le somme dovute a titolo di rimborso
delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate.
Il riaddebito effettuato in esecuzione del mandato senza rappresentanza presuppone, invece, che
l’interposizione del mandatario non sia “trasparente”, siccome gli effetti delle operazioni compiute da
tale soggetto non sono acquisiti direttamente nella sfera giuridica del mandante; a seguito, infatti, della
“finzione” prevista dall’articolo 3, comma 3, ultimo periodo, D.P.R. 633/1972, le prestazioni di servizi
rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei
rapporti tra il mandante e il mandatario.
In pratica, per questa tipologia di mandato, si presume l’esistenza di un doppio passaggio dei servizi,
rispettivamente dal mandante al mandatario (mandato alla vendita) e dal mandatario al mandante
(mandato all’acquisto), che implica la necessità di determinare una duplice base imponibile:
− “interna”, cioè relativa al rapporto tra il mandante e il mandatario, ed
− “esterna”, cioè relativa al rapporto tra il mandatario e il terzo committente o il terzo prestatore, a
seconda che il mandato sia alla vendita o all’acquisto.
In particolare, l’articolo 13, comma 2, lettera b), D.P.R. 633/1972 stabilisce che la base imponibile, per i
passaggi di servizi dal mandante al mandatario o dal mandatario al mandante, è costituita dal prezzo
di vendita pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione (mandato alla vendita), ovvero dal
prezzo di acquisto pattuito dal mandatario, aumentato della provvigione (mandato all’acquisto).
La disciplina esposta realizza la più complessa finalità di dare un assetto fiscale ai rapporti interni, tra
mandante e mandatario, imperniato su una “finzione giuridica” che omologhi totalmente ai servizi resi
18 Cfr. circolare n. 36/E/2010, Parte II (§ 18).
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43 Iva in pratica n. 48/2020
o ricevuti dal mandatario quelli da lui resi al mandante o da quest’ultimo ricevuti. Ne consegue che
l’equiparazione riguarda anche la natura e il connesso regime impositivo della prestazione effettuata
dal mandatario nei confronti del mandante o dal mandante nei confronti del mandatario, che non può
essere ricondotta, ai fini Iva, a una semplice attività di sostituzione personale nello svolgimento di
un’attività giuridica, ma riveste lo stesso carattere della prestazione resa dal mandatario al terzo
committente o dal terzo prestatore al mandatario.
Nella pratica, accade con una certa frequenza che le spese sostenute dal mandatario siano
ribaltate al mandante con una maggiorazione (c.d. “mark up”), talvolta pattuita in misura forfetaria.
In questa ipotesi, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che il riaddebito, anche se operato
con una maggiorazione, segue il trattamento Iva proprio del mandato senza rappresentanza19,
sicché il mandatario – in sede di fatturazione del passaggio interno del servizio – deve applicare
il medesimo regime impositivo che caratterizza la prestazione ricevuta, salvo l’eventuale diverso
trattamento dovuto alla diversa rilevanza fiscale dell’operazione.
ESEMPIO 5 – Servizio pubblicitario/promozionale
Per formulare un esempio, il servizio pubblicitario/promozionale reso al mandatario è soggetto a Iva,
ma diventa escluso da imposta, ai sensi dell’articolo 7-ter, D.P.R. 633/1972, se riaddebitato al mandante
non stabilito in Italia.
È opportuno osservare che la posizione della prassi amministrativa in merito all’irrilevanza del ricarico
in sede di ribaltamento della prestazione al mandante è stata disattesa dalla giurisprudenza
comunitaria.
Nella sentenza della Corte di Giustizia di cui alla causa C-224/11 del 17 gennaio 2013, riguardante il caso
di una società di leasing che ha imposto al cliente l’obbligo di assicurare il bene acquisito in locazione e che
ne ha sostenuto inizialmente il relativo costo per poi riaddebitarlo tal quale, è stato espressamente
affermato che il costo riaddebitato mantiene natura assicurativa a condizione che non sia maggiorato.
Al di là della questione del mark up, un ulteriore limite applicativo della “fictio iuris” che caratterizza lo
schema del mandato senza rappresentanza è rappresentato dalla natura accessoria delle spese oggetto
di riaddebito.
Se il riaddebito si considera accessorio, ai sensi dell’articolo 12, D.P.R. 633/1972, a una prestazione
principale, il suo trattamento impositivo risulta automaticamente “assorbito” da quello proprio
19 Cfr. risoluzione n. 6/E/1998.
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44 Iva in pratica n. 48/2020
dell’operazione principale, siccome tutte le volte in cui ricorre il rapporto di accessorietà si deve negare
che l’operazione accessoria sia suscettibile di avere, nei rapporti tra le parti dell’operazione principale,
un trattamento fiscale, ai fini Iva, autonomo e diverso da quello previsto per l’operazione principale cui
accede20.
ESEMPIO 6 – Servizio pubblicitario/promozionale accessorio alla cessione
Ritornando all’esempio precedentemente formulato, riguardante il costo del servizio
pubblicitario/promozionale riaddebitato al mandante non residente, la natura “generica” della
prestazione è obliterata dal regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie o
all’esportazione poste in essere dal mandatario nei confronti del mandante se viene accertato che il
riaddebito soddisfa i requisiti per essere considerato ancillare a quello delle cessioni.
SCHEDA DI SINTESI
Ai fini Iva, ciascuna prestazione deve essere considerata, di regola, come autonoma e
indipendente. Tuttavia, quando un’operazione comprende più elementi, si pone la questione se
la stessa deve essere considerata come costituita da una prestazione unica o da diverse
prestazioni distinte e indipendenti da valutare separatamente dal punto di vista dell’Iva.
In via generale, una prestazione deve essere considerata unica in 2 ipotesi alternative, vale a
dire:
1. quando 2 o più elementi forniti dal cedente/prestatore sono così strettamente collegati da
formare, oggettivamente, un’unica prestazione economica indissociabile la cui scomposizione
avrebbe carattere artificiale;
2. quando una o più prestazioni costituiscono la prestazione principale, mentre l’altra o le altre
prestazioni costituiscono una prestazione accessoria o più prestazioni accessorie cui si applica
la stessa disciplina Iva della prestazione principale. In particolare, una prestazione si considera
accessoria (e non principale) quando non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì
il mezzo per fruire al meglio del servizio principale fornito al cedente/prestatore.
Affinché un’operazione possa considerarsi accessoria a una operazione principale è necessario:
a. dal punto di vista soggettivo, che l’operazione accessoria sia effettuata:
1. nei confronti dello stesso destinatario dell’operazione principale;
20 Cfr. risoluzione n. 6/E/1998, cit.
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45 Iva in pratica n. 48/2020
2. direttamente dal cedente/prestatore dell’operazione principale, ovvero per suo conto e a
sue spese;
b. dal punto di vista oggettivo, che:
1. l’operazione accessoria e quella principale siano rivolte al raggiungimento dello stesso
obiettivo;
2. esista un nesso di dipendenza funzionale dell’operazione accessoria rispetto a quella
principale, ossia che la prestazione accessoria sia effettuata in ragione della prestazione
principale, in combinazione con la quale è diretta al raggiungimento di un determinato
risultato;
3. l’operazione accessoria acceda a quella principale al fine di integrarla, completarla o
renderla possibile.
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46 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
Imponibilità Iva per i compensi da
“trasferta” percepiti dalle società di
calcio della serie A di Clino De Ieso - avvocato, Studio P. Centore & Associati - Genova – Milano
Il collegamento tra prestazione e controprestazione, quale elemento essenziale dell’economicità
dell’operazione e, dunque, della sua rilevanza ai fini Iva, presuppone un rapporto di natura
sinallagmatica. Con tale motivazione, la Cassazione ha deciso, con sentenza n. 33040/2019, per
l’imponibilità Iva dei compensi percepiti da una società di calcio professionistica per la partecipazione
alle gare in trasferta del campionato di calcio di serie A.
I due elementi del prelievo Iva: consumo e pagamento del corrispettivo
Il concetto di prelievo al consumo è espresso nell’articolo 1, § 2, Direttiva 2006/112/CE: “Il principio del
sistema comune dell'Iva consiste nell'applicare ai beni e ai servizi un'imposta generale sui consumi
esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni
intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d'imposizione”.
Mentre l’onerosità dell’operazione, quale presupposto essenziale della rilevanza dell’operazione ai fini
Iva e, pertanto, del prelievo al consumo, è prescritto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi al
successivo articolo 2, § 1, Direttiva 2006/112/CE: “Sono soggette all'Iva le operazioni seguenti:
a) le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo
che agisce in quanto tale;
c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo
che agisce in quanto tale”.
Sicché, sul piano sistematico, il consumo non è, di per sé, sufficiente per il prelievo dell’imposta.
Considerando che il presupposto dell’Iva1 è duplice: nel senso che – come si evince dalla lettura delle
disposizioni della Direttiva – risulta indispensabile il consumo ma, al tempo stesso, che esso sia
oneroso.
1 Diversamente da altre imposte indirette simili, ma non uguali, quali, ad esempio, le accise.
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47 Iva in pratica n. 48/2020
Entrambi (consumo e prelievo) si realizzano qualora siano riferiti a un’operazione economica.
Nonostante questa definizione sia assente nel D.P.R. 633/1972, essa va determinata (non solo, ma
anche) in riferimento all’onerosità dell’operazione, cioè, dall’esistenza a priori2 e a posteriori – rispetto
all’effettuazione dell’operazione – di una controprestazione pattuita fra le parti.
Consumo e onerosità si manifestano come elementi concorrenti della rilevanza consentendo, quindi, di
stabilire che: “quando il diritto sostanziale tassa unicamente il corrispettivo effettivamente pagato dal
destinatario per merci o servizi, mentre la tecnica impositiva fa riferimento al corrispettivo pattuito, i
due sistemi devono, prima o poi, essere conciliati. Ciò viene garantito dall’articolo 90, § 1, Direttiva Iva,
il quale prevede la corrispondente rettifica del debito d’imposta iniziale dell’impresa che eroga la
prestazione”3.
La sentenza Tolsma
Il nesso di collegamento tra prestazione e controprestazione è ben chiarito nella famosa sentenza
Tolsma4. La controversia nasce dall’opposizione del contribuente al recupero l’Iva per la sua attività di
musicista. Quest’ultimo, in particolare, suonava nella pubblica via esortando i passanti a versargli un
“obolo” e porgendo loro una ciotola.
Per il signor Tolsma si tratta di un servizio privo del requisito dell’onerosità. Dato che la prestazione musicale
offerta ai passanti non risulterebbe “condizionata ad alcun "corrispettivo o compenso". L'obolo che i passanti gli
2 Per l’esistenza a priori della controprestazione, si rinvia alle conclusioni del 14 giugno 2016 rese dall’avvocato generale Nils Wahl, Causa
C-432/15, Baštová, punti 29 e 30, ove si annota giustamente che: “Chiaramente, la mia conclusione sarebbe diversa se la messa a disposizione di
cavalli a organizzatori di corse non avesse luogo nel contesto di un’attività commerciale. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, se un proprietario di
cavalli da corsa partecipasse a eventi unicamente per soddisfare un hobby personale o soltanto per avvalersi della detrazione dell’Iva assolta a monte
per il mantenimento di cavalli impiegati solo a fini privati. A tale riguardo, può essere utile ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata,
un’attività dev’essere considerata economica soltanto se essa è esercitata al fine di ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità o, in altri
termini, a titolo oneroso. Tuttavia, gli introiti non possono essere realizzati se un’attività viene esercitata esclusivamente a titolo non oneroso, o senza
la reale prospettiva di ricevere un qualche corrispettivo. Pertanto, un’attività svolta, seppure da un soggetto passivo, solo come hobby, a fini ricreativi,
o senza prospettiva alcuna di ricevere in cambio un beneficio economico diretto o indiretto non rientra nell’attività economica di detta persona. A sua
volta, ciò ha ovvie ripercussioni sulla detraibilità (o sulla non-detraibilità) dell’Iva assolta a monte. La direttiva Iva, in effetti, comprende anche
disposizioni che disciplinano la situazione di un bene destinato all’impresa per l’uso privato del soggetto passivo”. La Corte enfatizza tale concetto
e, dai punti 27 a 29 della sentenza C-432/15 del 10 novembre 2016, Baštová, puntualizza che: “… a norma dell’articolo 2, § 1, lettera c), della
Direttiva Iva, che definisce l’ambito di applicazione dell’Iva, sono assoggettate a tale imposta le “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso”.
Secondo una giurisprudenza costante della Corte, la possibilità di qualificare una prestazione di servizi come “operazione a titolo oneroso” presuppone
unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto
esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni
e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario (si veda, in particolare, sentenze C-16/93
del 3 marzo 1994, Tolsma, punti 13 e 14, nonché C-174/14 del 29 ottobre 2015, Saudaçor, punto 32). Dalla giurisprudenza della Corte si evince poi
che il carattere incerto della stessa esistenza di un compenso spezza il nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso eventualmente
ricevuto (si veda, per analogia, sentenze C-16/93 del 3 marzo 1994, Tolsma, punto 19, e C-16/00 del 27 settembre 2001, Cibo Participations, punto
43)”. 3 Così, le conclusioni dell’8 giugno 2017 presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Di Maura, C-246/16 del 23 novembre 2017,
punto 25. 4 Corte di Giustizia, sentenza causa C-16/93 del 3 marzo 1994.
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48 Iva in pratica n. 48/2020
elargiscono sarebbe al di fuori di qualsiasi obbligo”5. In replica, l’ente impositore obietta che alcuni dei passanti
elargiscono l’obolo al signor Tolsma per ricompensarlo della musica che egli fa ascoltare.
Il che dimostrerebbe, secondo l’Autorità fiscale, l’esistenza di un collegamento diretto tra il servizio
prestato e il compenso percepito e, dunque, il carattere oneroso della prestazione: essendo, invece,
irrilevante il fatto che il compenso non sia pattuito tra i passanti e il musicista.
La questione sottoposta alla Corte di Giustizia è, quindi, incentrata sull’esatta qualificazione della
prestazione musicale nell’ambito delle prestazioni rilevanti ai fini Iva.
Sul punto, l’avvocato generale osserva acutamente che il compenso dipende “dalla spontanea decisione
di alcuni passanti di versare una somma a loro discrezione”. Evidenziando, inoltre, che “la "prestazione"
[musicale] … non viene affatto definita contrattualmente né quanto al principio né quanto alla sua portata”.
Del resto, il sig. Tolsma “suona spontaneamente l'organetto e può cessare di farlo in qualsiasi momento. Per
altro verso, i passanti sono liberi di decidere quanto tempo soffermarsi ad ascoltarlo”. … Così, alcuni passanti
depositeranno nella ciotola del ricorrente una somma più elevata senza intrattenersi per ascoltarlo, mentre
altri indugeranno ad ascoltarlo senza elargire nulla6.
Alla luce di ciò, l’avvocato generale propone la non imponibilità Iva dell’esibizione musicale offerta, in
quanto essa non risulterebbe configurabile come una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso.
Ed è esattamente la soluzione raggiunta dalla Corte di Giustizia, secondo cui l’onerosità non va intesa
in senso assoluto, ma in senso relativo, ossia, in dipendenza di un rapporto contrattuale nato tra i 2
soggetti (prestatore -committente).
Più in dettaglio, secondo i giudici europei, tra il suonatore ambulante e i passanti non intercorre “alcuna
pattuizione tra le parti, giacché i passanti versano spontaneamente un obolo del quale stabiliscono
l'ammontare a loro arbitrio. Per l'altro, non sussiste alcuna correlazione necessaria tra la prestazione musicale
e le oblazioni a essa conseguenti. Così, i passanti non chiedono che il musicista suoni per loro; inoltre, essi
versano delle somme non già in funzione della prestazione musicale, bensì in funzione di motivazioni
soggettive, tra le quali possono intervenire considerazioni di simpatia. Infatti, mentre alcune persone
depositano nella ciotola del musicista una somma talora elevata senza trattenersi ad ascoltare, altre si
soffermano per un certo tempo ad ascoltare la musica senza lasciare alcun obolo.
D' altro canto, … il fatto che il musicista suoni in pubblico allo scopo di raccogliere del denaro e che in tale
occasione riceva di fatto determinate somme è irrilevante ai fini della qualificazione della controversa attività
come prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi della sesta direttiva. Questa interpretazione non viene
5 Così, il punto 4 delle conclusioni del 20 gennaio 1994 presentate dall'avvocato generale Lenz nella causa Tolsma citata. 6 Punti da 17 a 19 delle conclusioni del caso Tolsma citate.
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49 Iva in pratica n. 48/2020
infirmata dalla circostanza che un musicista … chieda del denaro e possa di fatto confidare nel conseguimento
di determinate somme suonando sulla pubblica via. Tali oblazioni sono infatti prettamente gratuite e
aleatorie e il loro importo è praticamente impossibile da determinare”.
Pertanto, concludono i giudici europei, “esula dalla nozione di "prestazione di servizi effettuata a titolo
oneroso" … un'attività che consiste nel suonare sulla pubblica via e per la quale nessun corrispettivo viene
pattuito, pur quando l'interessato richieda una ricompensa in denaro e percepisca determinate somme, il cui
ammontare tuttavia non sia determinato o determinabile” (punti da 17 a 20).
Riassumendo: secondo l’autorevole e consolidato insegnamento della Corte di Giustizia, la tassazione
con Iva di una prestazione presuppone l’esistenza di un nesso tra il servizio reso e il controvalore
ricevuto. E tale nesso diretto esiste quando tra il fornitore e il cliente intercorre un rapporto giuridico
nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni sinallagmatiche e, quindi, il
compenso ricevuto dal fornitore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al cliente7.
Il caso materiale e i fatti di causa
La controversia della sentenza in commento riguarda una nota squadra di calcio professionistica. Nella
specie, si discute della natura imponibile o non imponibile Iva del compenso che la squadra ospite, in
virtù della normativa prevista dalla Federazione sportiva, riceve dalla squadra che gioca in casa in
occasione delle partite del campionato di calcio di serie A.
Brevemente la vicenda nei termini essenziali.
Alla società contribuente veniva notificato un avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2000, con il
quale l’Agenzia delle entrate riprendeva a tassazione una maggiore Iva, oltre le consequenziali somme
a titolo di interessi e sanzioni.
L’ente impositore sosteneva che il trasferimento del denaro tra le 2 squadre, raccolto dal prezzo dei
biglietti d’ingresso pagati dagli spettatori per assistere all’evento sportivo, sia imponibile ai fini Iva
avendo una finalità non mutualistica o associativa, ma commutativa in quanto esso presupporrebbe uno
scambio di reciproche prestazioni.
Invece la società, in disaccordo con la posizione dell’Agenzia delle entrate, si opponeva facendo valere
la non imponibilità dell’operazione8.
7 In tal senso, cfr. Corte di Giustizia, sentenza 19 dicembre 2018, Causa C-51/18, Commissione/ Austria, EU:C:2018:1035, punto 34; sentenza 5
luglio 2018, Causa C-544/16, punti 36 e 37. 8 Per le norme nazionali di riferimento, si rinvia all’articolo 2, comma 3, lettera a), D.P.R. 633/1972, che così recita: “Non sono considerate
cessioni di beni … le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro”. E, inoltre, all’articolo 3, comma 1 del medesimo Decreto Iva in
forza del quale: “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato,
spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
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50 Iva in pratica n. 48/2020
Il giudice di primo grado respingeva il ricorso con sentenza confermata dalla CTR la quale, in particolare,
rilevava che: “con riferimento all'omessa fatturazione di operazioni imponibili relative a somme erogate ad
altre società di calcio per la partecipazione della propria rappresentativa a partite disputate fuori Roma, …
non sussisteva alcuno scopo mutualistico nella predetta operazione, che derivava invece dal rapporto
commutativo inerente la prestazione dell'attività calcistica tra le 2 società partecipanti alla gara”.
In seguito, il giudizio proseguiva innanzi alla Corte Cassazione. In tale fase processuale, la società
insisteva nel ribadire che la fonte del trasferimento del denaro non ha natura sinallagmatica e, quindi,
imponibile, “bensì trovi ragione nella finalità mutualistica cui mira l'associazione delle squadre calcistiche
alle relative federazioni”.
Tanto è vero - sottolinea la contribuente - che “una lettura corretta dell’articolo 30, comma 2, emanato
dalla Lega Nazionale Professionisti, … avrebbe condotto a ritenere evidente la finalità associativa del
trasferimento di denaro …, con assoluta esclusione di qualsivoglia corrispettività ai fini della invece ritenuta
assoggettabilità a Iva.”.
Da qui, conclude la società, l’errore commesso dalla CTR nell’affermare “la natura commutativa della
partecipazione della società alla gara della società ospite”.
Inquadramento del tema
Un primo aspetto, propedeutico alla soluzione del caso di specie, concerne la qualificazione della
società all’interno dell’ordinamento italiano9.
Sul punto, la Cassazione ricorda che la parte contribuente oltre a essere una società di capitali quotata
risulta anche associata alle Federazioni sportive e, come tale, deve rispettare le norme regolamentari
stabilite da quest’ultime, sotto pena di incorrere nelle sanzioni della giustizia sportiva.
E la normativa associativa, precisano i supremi giudici, “prevede una specifica destinazione di parte della
somma di denaro raccolta in occasione della manifestazione sportiva che interferisce con la normativa
tributaria statale”. In particolare, la “provvista in denaro oggetto di transazione è costituita, sempre per
effetto della normativa di fonte privatistica, dall'ammontare dell'incasso che la squadra ospitante raccoglie
per effetto del prezzo dei titoli di legittimazione che vengono offerti al pubblico degli spettatori (abbonamenti,
biglietti di ingresso e similari)”.
9 A riguardo la Commissione Europea, nell’ambito del diritto di concorrenza, ha attribuito alle società professionistiche sportive la natura di
impresa. Non solo, ma la stessa Commissione ha constatato che sia la FIFA (cioè, l’associazione internazionale delle federazioni calcistiche)
che la FIGC rappresentano, a loro volta, imprese. Cfr., per tutte, le conclusioni dell'avvocato generale Lenz, causa C-415/93 del 20 settembre
1995, Bosman, punti 254 e 275: “Come la Commissione ha correttamente fatto rilevare nel corso della trattazione orale, non si tratta qui di contratti
collettivi, bensì di semplici accordi orizzontali tra società calcistiche. Già per questo motivo l'argomentazione dell'UEFA non può essere accolta. Non
si vede infatti per quale motivo accordi o decisioni di questo tipo non dovrebbero ricadere nell'ambito di applicazione” della disciplina in materia di
concorrenza che riguarda, com’è noto, “gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate”.
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51 Iva in pratica n. 48/2020
Da ciò è agevole dedurre che, ai fini fiscali, il nodo centrale della questione ruota intorno al dubbio, che
la Cassazione è chiamata ad affrontare e risolvere, se la società avrebbe dovuto fatturare con Iva la
percentuale dell’incasso ricevuto e, dunque, se il trasferimento delle somme, effettuato in osservanza
dell’obbligo associativo, rappresenti o meno un'operazione rilevante ai fini Iva.
La posizione della Cassazione
Va detto, fin da subito, che la sentenza in commento ha condiviso la soluzione del giudice di merito e,
dunque, confermato la natura imponibile del passaggio di denaro, seppur con una diversa e ben più
articolata motivazione.
Anzitutto, secondo la Cassazione, “va negato … che la transazione oggetto di lite possa astrattamente
iscriversi nella solidarietà mutualistica che abbraccia le finalità associative delle squadre di calcio
professionistiche”.
D’altronde, “nella specie il denaro che transita è raccolto in conseguenza della partecipazione del pubblico
all'evento sportivo. Ciò significa che il denaro incassato dalla società ospitante è il corrispettivo di un servizio
(lo spettacolo calcistico), che essa offre al pubblico, il quale paga il prezzo del biglietto per assistere alla
prestazione sportiva.
Da tanto discende che, nel momento in cui la normativa associativa interviene per disciplinare la sorte di tale
somma, imponendone un riversamento parziale alla società ospitata, non vi è alcuna modificazione della
natura dell'incasso, che resta sempre e comunque un corrispettivo per la prestazione del servizio che
entrambe le squadre rendono al pubblico pagante”.
A questo punto la Corte osserva, senza alcun indugio, che “Resta in conclusione escluso che i compensi
percepiti per la partecipazione agli incassi delle partite giocate in trasferta abbiano natura mutualistica, il
cui tratto caratterizzante consiste nell'intento di realizzare non già il profitto, ma l'immediato vantaggio dei
soci dell'ente che persegue il suddetto fine”10.
Incomparabilità tra i premi di preparazione e i compensi percepiti per l’evento sportivo
Interessantissimo è il ragionamento della Cassazione relativamente alla qualificazione Iva dei premi di
preparazione. Tali premi, osserva la Corte, sono costituiti dagli importi pagati dalla società che possiede
10 Ne deriva, sul piano processuale, il rigetto della “richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea” formulata dalla
Società. Infatti, come precisato nella sentenza in commento, “va rilevato che non esiste alcun diritto della parte all'automatico rinvio pregiudiziale
ogni qualvolta - come nella specie - la Corte di Cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cassazione SS.UU. n. 14042/2016), bastando che le
ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek vs Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia
manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni vs Italia)”.
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52 Iva in pratica n. 48/2020
il cartellino del calciatore in favore delle squadre che hanno, in precedenza, tesserato il giocatore
contribuendo, pertanto, a formarlo per la sua crescita professionale nelle categorie superiori.
Sicché, nel caso dei premi: “la somma di denaro … non proviene dalla vendita dei biglietti a terzi, ma deve
essere corrisposta dalla società di categoria superiore con un prelievo diretto dal proprio patrimonio, seppur
sempre nella misura anch'essa stabilita dalla normativa secondaria federale (con un criterio di aumento
proporzionale a seconda della categoria di appartenenza del giocatore debuttante)”.
Pertanto, il “contributo economico” imposto dalle regole federali “alla società di categoria superiore per
compensare quelle inferiori per il contributo formativo alla preparazione del calciatore, che potrebbe
corrispondere a una finalità di mutualità calcistica”, non è assolutamente comparabile con la “quota in
denaro di un incasso ricavata dell'esborso fatto da terzi per ottenere la legittimazione ad assistere alla
prestazione sportiva di entrambe le squadre, che è qualificabile come "ricavo tipico". … Ne consegue che per
l'incasso di tale importo vi sia obbligo di fatturazione, al pari di ogni altro derivante da servizi resi a terzi”11.
Riflessioni conclusive
La sentenza in commento è meritevole di attenzione perché tocca un profilo fondamentale del sistema
Iva e, precisamente, il requisito dell’onerosità dell’operazione12.
Ebbene, riprendendo le indicazioni della Corte di Giustizia, perché l’operazione sia rilevante deve
sussistere un collegamento diretto tra la fornitura di beni o servizi effettuati e il corrispettivo ricevuto13.
Viceversa, se l’attività di un operatore economico consiste nel fornire esclusivamente prestazioni senza
contropartita diretta, non vi è alcuna base imponibile e il servizio, in quanto gratuito, non è soggetto a
Iva14.
11 Si veda l’articolo 74-quater, D.P.R. 633/1972 che, nel richiamare le prestazioni di servizi indicate nella Tabella C, assoggetta a Iva gli introiti
“da spettacoli sportivi, di ogni genere, ovunque si svolgono”. “E ciò perché – si legge nella sentenza in commento – “le prestazioni della società
calcistica ospite sono soggette a imposizione sul valore aggiunto, essendo realizzate da un soggetto passivo d'imposta (società professionistica) che
effettua prestazioni servizi (di spettacolo sportivo) secondo il requisito di territorialità, generando pertanto reddito d'impresa, come riconosciuto dalla
storica sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 174/1971 e da ultimo ribadito da questa sezione con la sentenza n. 345/2019”. 12 In tema, la Corte di Giustizia ha ripetutamente ribadito la necessità di una stretta correlazione tra prestazione e controprestazione. Tra tante,
si veda la sentenza C-380/99 del 3 luglio 2001, Bertelsmann, punto 17, ove i giudici europei hanno stabilito che: “Per interpretare a tale scopo
la nozione di «corrispettivo» di cui all'articolo 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante,
il corrispettivo di una fornitura di beni può consistere in una prestazione di servizi e costituirne la base imponibile ai sensi di detta disposizione se
sussiste un nesso diretto fra la fornitura dei beni e la prestazione dei servizi e se il valore di quest'ultima può essere espresso in denaro (v.,
segnatamente, le già citate sentenze Naturally Yours Cosmetics, punti 11, 12 e 16, e Empire Stores, punto 12)”. 13 Per tali motivi sembra del tutto irrilevante ai fini Iva il richiamo, nella parte motiva della sentenza in commento, alla disciplina civilistica.
Più in dettaglio, la Cassazione osserva che: “dopo la Riforma del diritto societario del 2004, la natura mutualistica non è più sinonimo di neutralità
fiscale. Invero, con la Riforma, come è noto, le società cooperative, che hanno sempre costituito l'archetipo della mutualità, essendo essa la causa
associativa immanente in tale forma di organizzazione, sono state distinte, proprio a fini fiscali, in cooperative a mutualità prevalente e cooperative
a mutualità non prevalente …. In linea di principio, quindi, argomentare la natura mutualistica di un'organizzazione per inferirne l'esonero da
tassazione di ogni transazione che la riguardi per effetto di tale natura è in via di principio errato, giacché la vigente legislazione dimostra che esistono
fattispecie in cui, pur perseguendo una finalità mutualistica, la corporazione è assoggettata a un trattamento fiscale speciale nell'ipotesi che non si
rispettino i parametri previsti dalla legge per il riconoscimento del carattere di mutualità”. 14 In altre parole, deve sussistere un sinallagma diretto tra la prestazione e la controprestazione che si manifesta in presenza di un rapporto
giuridico tra il soggetto che effettua il servizio e chi lo paga.
Iva
53 Iva in pratica n. 48/2020
L’onerosità dell’operazione – si badi bene - va intesa in senso europeo15 e, quindi, non deve essere
valutata in relazione all’ammontare della controprestazione, essendo sufficiente che essa esista come
scambio del bene o del servizio ricevuto16. Fermo restando che risulta ininfluente anche l’eventuale
sproporzione tra prestazione e controprestazione17.
SCHEDA DI SINTESI
Il collegamento tra la prestazione e la controprestazione rappresenta un elemento essenziale
dell’economicità dell’operazione e, dunque, della sua rilevanza ai fini Iva che esiste quando tra
il fornitore e il cliente intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno
scambio di reciproche prestazioni sinallagmatiche e quindi, il compenso ricevuto dal fornitore
costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al cliente.
Ne consegue l’imponibilità Iva dei compensi percepiti da una società di calcio professionistica
per la partecipazione alle gare in trasferta del campionato di calcio di serie A
15 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-37/08 del 3 settembre 2009, RCI Europe, punto 24: “A tale proposito, la Corte ha già statuito che una
prestazione di servizi viene effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’articolo 2, punto 1, VI Direttiva, ed è dunque imponibile, soltanto quando tra il
prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso
ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (si veda, in particolare, sentenze causa C-16/93 del 3 marzo
1994, Tolsma, Racc. pag. I-743, punto 14, causa C-172/96 del 14 luglio 1998, First National Bank of Chicago, Racc. pag. I-4387, punti 26-29, e causa
C-174/00 del 21 marzo 2002, Kennemer Golf, Racc. pag. I-3293, punto 39)”. 16 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza causa C-154/80 del 5 febbraio 1981, Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats GA, punti da 13 a 15: “si desume
inoltre, dall'uso dei termini, “a titolo oneroso”' e “cio che è ricevuto quale corrispettivo”, in primo luogo che il controvalore di una prestazione di servizi
deve poter essere espresso in denaro, il che è del resto confermato” dalla Direttiva la quale stabilisce che l'aliquota normale dell'Iva è stabilita …
secondo una percentuale … della base imponibile, cioè in una determinata proporzione di ciò che costituisce il controvalore della prestazione di
servizi, il che implica che questo controvalore possa essere espresso in una somma di danaro; in secondo luogo, che questo controvalore e un valore
soggettivo, giacchè l'imponibile per le prestazioni di servizi e il corrispettivo realmente ricevuto, non già un valore stimato secondo criteri obiettivi.
Di conseguenza, la prestazione di servizi per la quale non è ricevuto alcun corrispettivo soggettivo determinato, non è una prestazione di servizi “a
titolo oneroso” e non è quindi imponibile ai sensi della … Direttiva. Ne consegue che non si può parlare di controvalore … nel caso di una cooperativa
esercente un deposito di merci la quale non riscuota dai propri soci alcun diritto di custodia per la prestazione fornita”. 17 Come indica la Corte di Giustizia nella sentenza causa C-520/14 del 12 maggio 2016, Gemeente Borsele, punti da 25 a 27: “Nel caso di specie,
occorre constatare che il contributo dei genitori ai costi di trasporto scolastico non è calcolato in funzione dei costi reali dei servizi forniti. Infatti, l’importo
di tale contributo dei genitori non è collegato né al numero dei kilometri percorsi quotidianamente, né al costo per tragitto per ogni allievo trasportato, né
alla frequenza dei tragitti. Tuttavia, la circostanza che un’operazione economica venga svolta a un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante
ai fini della qualificazione di tale operazione come “negozio a titolo oneroso”. Quest’ultima nozione presuppone, infatti, unicamente l’esistenza di un nesso
diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi e il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo (si veda, in tal senso, le sentenze
C-102/86 dell’8 marzo 1988, Apple and Pear Development Council, punto 12, e C-412/03 del 20 gennaio 2005, Hotel Scandic Gåsabäck, punto 22). Pertanto,
il pagamento da parte di circa 1/3 dei genitori dei bambini trasportati di un contributo al trasporto scolastico consente di concludere che il comune di
Borsele ha eseguito una prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 2, § 1, lettera c), Direttiva Iva”.
Il caso risolto
54 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
Aliquota Iva per il contratto di appalto
relativo a più immobili di Centro studi tributari
Il caso
Alfa Srl, immobiliare di costruzione, ha acquistato un terreno edificabile sul quale intende costruire
alcune abitazioni, non accatastate nelle categorie A/1, A/8 o A/9, e prive dei requisiti per essere
considerate quali "case di lusso", per poi cederle a privati.
A tal fine, Alfa Srl intende sottoscrivere un contratto di appalto per la costruzione con la Beta Srl, società
che controlla Alfa Srl al 75%.
Si chiede quale sia la corretta Iva da applicare.
La soluzione
L’articolo 10, comma 1, n. 8-bis), D.P.R. 633/1972, introduce la regola generale per le cessioni di
fabbricati o di porzioni di fabbricato abitativi, consistente nell’esenzione Iva.
Fanno eccezione a tale regola generale:
1. le cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi entro 5 anni dall’ultimazione
della costruzione o dell’intervento;
2. le cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo
atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
3. le cessioni di fabbricati abitativi destinati ad “alloggi sociali”, per le quali nel relativo atto il cedente
abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imponibilità.
Nel caso di cessioni infraquinquennali effettuate dalle imprese costruttrici o di rispristino del fabbricato
ceduto, l’imponibilità è per obbligo di legge. Le stesse cessioni, al contrario, se realizzate oltre il
quinquennio, sono soggette al regime “naturale” di esenzione, salva l’opzione per l’imponibilità espressa
dalle imprese costruttrici o di ripristino all’atto della cessione.
Il n. 127-undecies), Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972, stabilisce che le cessioni di fabbricati
abitativi (non aventi le caratteristiche di abitazioni “di lusso” secondo i criteri stabiliti dal D.M. 2 agosto
1969), effettuate dalla imprese costruttrici, scontano l’Iva con applicazione dell’aliquota ridotta del 10%,
salva l’applicazione dell’aliquota del 4% qualora il cessionario sia in possesso dei requisiti “prima casa”
di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986.
Il caso risolto
55 Iva in pratica n. 48/2020
Per effetto delle modifiche apportare dall’articolo 33, comma 1, D.Lgs. 175/2014, allo scopo di
armonizzare l’applicazione dell’agevolazione “prima casa” in campo Iva e imposta di registro, il
riferimento alle abitazioni definibili non “di lusso” sulla base dei parametri stabiliti dal D.M. 2 agosto
1969 è stato sostituito da quello della classificazione catastale.
Nell’ambito della disciplina Iva, in luogo del richiamo alle abitazioni non “di lusso”, così come definite
dal D.M. 2 agosto 1969, è stato introdotto il riferimento alla classificazione catastale, sicché
l’agevolazione “prima casa” è ammessa, anche agli effetti dell’Iva, per gli immobili abitativi rientranti
nelle categorie A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7, A/11.
Ai fini dell’imposta di registro, già dallo scorso 1° gennaio 2014 è stata prevista, a opera del D.Lgs.
23/2015, l’irrilevanza della definizione di immobile “di lusso” di cui al citato D.M. 2 agosto 1969, in
favore del criterio collegato alla classificazione catastale degli immobili.
Ne consegue che, per le case di abitazione accatastate nelle categorie catastali A/2, A/3, A/4, A/5, A/6,
A/7 o A/11, l’aliquota applicabile è quella ridotta del 10%, di cui al n. 127-undecies), Tabella A, Parte III,
allegata al D.P.R. 633/1972, mentre, per le case di abitazione accatastate nelle categorie catastali A/1,
A/8 o A/9, si applica l’aliquota ordinaria.
Le cessioni di fabbricati abitativi aventi le caratteristiche di abitazione “di lusso” sono, invece, soggette
a Iva con applicazione dell’aliquota ordinaria.
Nel caso di specie, la costruzione delle case di abitazione non accatastate nelle categorie A/1, A/8 o A/9
avviene, per mezzo di un contratto d’appalto, a opera della società controllante.
In base ai n. 21) e n. 39), Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. 633/1972, alle prestazioni di servizi,
dipendenti da contratti d’appalto, relative alla costruzione di case diverse da quelle classificate nelle
categorie catastali A/1, A/8 e A/9 si applica l’aliquota Iva ridotta del 4% se il destinatario dell’abitazione
è in possesso dei requisiti per l’agevolazione “prima casa”.
Di contro, se tale destinatario non è in possesso dei predetti requisiti, trova applicazione l’aliquota
ridotta del 10%, ai sensi del n. 127-quaterdecies), Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. 633/1972.
Nel caso in cui i lavori di costruzione siano stati affidati, sulla base di un unico contratto d’appalto, dalla
società di costruzione controllata, si ritiene preclusa la possibilità di differenziare il trattamento Iva a
seconda della posizione soggettiva dell’effettivo destinatario dell’abitazione, titolare o meno del
beneficio “prima casa”, con conseguente applicabilità, in via esclusiva, dell’aliquota ridotta del 10%.
In tal senso depone la circolare n. 1/E/1994, capitolo II, § 2, che richiama l’inscindibilità del contratto
d’appalto ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva.
La circolare ha chiarito che l’aliquota del 4% non è applicabile nei casi in cui una persona fisica, nei cui
confronti ricorrano le condizioni per l’agevolazione “prima casa”, commetta in appalto la costruzione di
Il caso risolto
56 Iva in pratica n. 48/2020
un intero edificio avente le caratteristiche dei fabbricati Tupini, di cui all’articolo 13, L. 408/1949,
comprendente più unità abitative.
Ciò in quanto “questa fattispecie non concretizza, in realtà l’ipotesi della costruzione della prima casa, attesa
la inscindibilità del relativo contratto di appalto”, per cui si rende applicabile la diversa aliquota del 10%.
Come successivamente precisato sempre dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 164/E/1998, la
riportata argomentazione, connessa all’ipotesi in cui una sola persona fisica appalta la realizzazione di
un intero fabbricato, non appare, a ben vedere, riferibile alla diversa fattispecie caratterizzata dal fatto
che più soggetti conferiscono, per il tramite di un unico rappresentante, l’appalto per la costruzione di
un fabbricato non “di lusso” comprendente più abitazioni, con l’effetto giuridico predeterminato di
consentire a ciascuno dei soggetti mandanti di acquisire la proprietà di un’unica unità immobiliare.
Nell’ipotesi in esame, quindi, “deve ammettersi la possibilità teorica di valutare diversamente, ai fini della
determinazione dell’aliquota Iva applicabile, la posizione di ognuno dei soggetti destinatari degli
appartamenti da realizzare, sempreché dall’unico contratto di appalto sia dato evincere con precisione l’esatto
corrispettivo corrispondente a ciascuna delle unità immobiliari comprese nell’immobile”.
Le indicazioni dell’Amministrazione finanziaria sono utili anche per il caso di specie, ritenendo che,
poiché il contratto d’appalto è stato stipulato, per l’insieme delle abitazioni da realizzare, dalla società
di costruzione controllata con la propria controllante, l’aliquota Iva applicabile è quella del 10%.
Osservatorio
57 Iva in pratica n. 48/2020
Iva in pratica n. 48/2020
L’osservatorio di giurisprudenza di Alberto Alfredo Ferrario - avvocato
Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Iva – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 98 – Facoltà,
per gli Stati membri, di applicare un’aliquota Iva ridotta a talune cessioni di beni e
prestazioni di servizi – Allegato III, punto 12 – Aliquota Iva ridotta applicabile all’affitto
di posti per campeggio e di posti per roulotte– Questione dell’applicazione di questa
aliquota ridotta alla locazione di spazi di ormeggio per imbarcazioni in un porto turistico
– Confronto con la locazione di aree destinate al parcheggio di veicoli – Parità di
trattamento – Principio della neutralità fiscale
Corte di Giustizia UE, sentenza C-715/18 del 19 dicembre 2019
L’articolo 98, § 2, Direttiva 2006/112/CE, in combinato disposto con l’Allegato III, punto 12, di tale
Direttiva, deve essere interpretato nel senso che l’aliquota ridotta Iva, prevista in tale disposizione, per
l’affitto di posti per campeggio e di posti per roulotte non è applicabile alla locazione di spazi di
ormeggio per imbarcazioni.
Rinvio pregiudiziale – Fiscalità – Iva – Direttiva 2006/112/CE – Operazioni imponibili
– Detrazione dell’imposta assolta a monte – Acquisto di beni immobili non iscritti nel
registro immobiliare nazionale – Spese connesse alla prima iscrizione in tale registro
sostenute dall’acquirente – Ricorso a società terze specializzate – Partecipazione a una
prestazione di servizi o a spese per investimenti effettuate per le esigenze di un’impresa
Corte di Giustizia UE, sentenza C-707/18 del 19 dicembre 2019
La Direttiva 2006/112/CE, deve essere interpretata nel senso che non osta a che le parti di
un’operazione diretta a trasferire la proprietà di immobili concordino una clausola secondo la quale il
futuro acquirente sopporterà in tutto o in parte le spese attinenti alle formalità amministrative connesse
a tale operazione, in particolare quelle relative alla prima iscrizione di tali immobili nel registro
immobiliare nazionale. Tuttavia, la sola presenza di una clausola siffatta in una promessa sinallagmatica
Osservatorio
58 Iva in pratica n. 48/2020
di vendita di immobili non è determinante per stabilire se il futuro acquirente disponga di un diritto
alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto relativa al pagamento delle spese derivanti dalla prima
iscrizione degli immobili in parola nel registro immobiliare nazionale.
La Direttiva 2006/112/CE, in particolare il suo articolo 28, deve essere interpretata nel senso che,
nell’ambito di una promessa sinallagmatica di vendita di immobili non iscritti nel registro immobiliare
nazionale, si ritiene che il futuro acquirente soggetto passivo il quale, conformemente agli impegni
contrattuali che si è assunto nei confronti del futuro venditore, compie le azioni necessarie alla prima
iscrizione degli immobili in parola in tale registro avvalendosi di servizi forniti da terzi soggetti passivi,
abbia fornito a titolo personale, al futuro venditore, i servizi in questione, ai sensi di tale articolo 28,
anche qualora le parti del contratto abbiano convenuto che il prezzo di vendita dei suddetti immobili
non include il controvalore delle operazioni catastali.
Iva all’importazione – Estrazione dai depositi Iva - Reverse charge
Corte di Cassazione, sentenza n. 33216/2019
L’Erario non può pretendere il pagamento dell’Iva all’importazione dal soggetto passivo che, non
avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di
sospensione di cui al D.L. 331/1993, articolo 50-bis, comma 4, lettera b), qualora costui abbia già
provveduto all'adempimento, sebbene tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo
dell'inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e
delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell'Iva, realizzata dall'importatore
per effetto dell'immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere,
pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione.
Credito Iva – Cessione di azienda - Trasferimento
Corte di Cassazione, sentenza n. 33965/2019
In caso di cessione dell'azienda, il credito Iva relativo all'azienda ceduta può essere escluso dalla
cessione del compendio aziendale, essendo la disciplina prevista dagli articoli 2558 e 2559, cod. civ.
derogabile per volontà delle parti, salva la notifica, ai fini della opponibilità della cessione
all'Amministrazione finanziaria, della cessione del credito Iva a termini dell'articolo 69, comma 1, R.D.
2440/1923, in deroga al disposto di cui all'articolo 2559, cod. civ. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui il
credito Iva sia stato escluso dalla cessione dell'azienda, il cedente è legittimato a richiederne il
rimborso, ove ne sussistano i presupposti.
Osservatorio
59 Iva in pratica n. 48/2020
Iva servizi internazionali non imponibili
Corte di Cassazione, sentenza n. 31770/2019
Non sono imponibili ai fini Iva, ex articolo 9, comma 1, n. 6, D.P.R. 633/1972, anche quei lavori di
ammodernamento, rifacimento e riqualificazione di impianti interni a porti, aeroporti, autoporti -
destinati per propria natura a fornire servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali - pur
se tali opere vengono dislocate, all'interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla precedente.
Iva detrazione – operazioni soggettivamente inesistenti
Corte di Cassazione, sentenza n. 33320/2019
In tema di Iva, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni
soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare
non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che
l'operazione si inseriva in un'evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a
elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando
l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del
contraente; ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, spetta al contribuente dimostrare
di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza
massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in
rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della
contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
60 Iva in pratica n. 48/2020
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settembre 2015
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