Inserto "New economy" - Giugno 2010

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I supplemento al numero 6 - Anno II - giugno 2010 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org New Economy Si attribuisce a Lenin l’affer- mazione secondo la quale anche una cuoca potrebbe assumere la carica di Capo dello Stato. Il padre del primo Stato de- mocratico popolare della storia dell’umanità intende- va dire, non che “chiunque” poteva aspirare a ricoprire una carica tanto importante solo per essere nato e vivere in uno Stato liberato dalla segregazione sociale impo- sta da ristrette classi domi- nati, ma proprio per l’essere nato e vivere in un simile Stato di uguali “chiunque” (anche una “semplice” cuo- ca) sarebbe stato posto nelle condizioni di accedere ad un percorso di conoscenza, preparazione ed esperienza che lo avrebbe potenzial- mente reso in grado di svol- gere egregiamente anche quella alta funzione. Due millenni e mezzo pri- ma, un greco illuminato af- fermava che, benché pochi fossero in grado di “fare po- litica”, cioè di essere prepa- rati e capaci anche di assu- mere la carica di Capo dello Stato, tutti tuttavia erano in grado di giudicare l’operato degli esperti della politica. La fine dell’ultimo secolo sembra avere disperso sia l’insegnamento ateniese, che il progetto leninista. Oggi pochi, molto pochi, sanno “fare politica” e qua- si nessuno è più in grado di giudicarla (il che consente a quei pochi di continuare a fare ciò che non sono asso- lutamente capaci di fare). La perversa coniugazione della mancanza di controllo e di giudizio critico con l’ot- tusità dell’ignoranza fa sì che quei “pochi” siano per- sino convinti di essere bra- vissimi, anzi “geniali”. In queste condizioni versa oggi il governo dell’econo- mia mondiale. Pochi cialtroni, auto incen- sati e pluridecorati di “ma- ster” e titoli accademici strepitosi scambiati tra loro stessi come i famosi “panet- toni d’oro massiccio e dia- manti” degli amministratori della multinazionale datri- ce di lavoro di Fantozzi (il personaggio inventato da Paolo Villaggio, non il “bec- chino” dell’Alitalia di Stato), che si scambiavano tra di loro regali di natale esage- ratamente costosi ma asso- lutamente identici rimanen- do, alla fine, nelle stesse condizioni di partenza, hanno oggi l’arroganza e la presunzione di governare un’economia mondiale che, invece, se ne va per la sua strada come un tornado in- controllato e imprevedibile. Tanti, quasi tutti, restano a bocca aperta a bere non ca- lici, ma intere damigiane di geniali cialtronerie rese ap- parentemente “intelligenti” dall’uso (abuso) di termini inglesi, anglicizzati o persi- no anglo-inventati (il termi- ne “neologismo” è troppo scientifico per essere utiliz- zato in questo caso). Futures, swap, rating, mib- tel, dow jones, derivati (per usare almeno una parola in lingua italiana) riempiono persino le cronache rosa (oltre a quelle “nere” da co- dice penale fiscale e valuta- rio) e, allora, ecco soprag- giungere altri termini: disa- vanzo, pil, deficit e infine manovra fiscale da “mille” miliardi. I mercati (finanziari ovvia- mente, di quelli “reali” ci so- no rimasti solo quelli “del- l’antiquariato”), gli investi- tori, o meglio la fiducia de- gli investitori, sono i totem sacri della new economy globalizzata. Gli investitori, soprattutto. Ma chi sono gli investitori? La cuoca di Lenin avrebbe sicuramente un’idea e una risposta tanto semplice quanto chiara. “Investitore” è qualcuno che, dovendo o volendo da- re fiducia a un bene o anche a una persona, o a un pro- getto o a un’idea, la studia, la vigila, la segue nel suo apparire ed evolversi per af- scambiare quote percentua- li ideali di un appartamento che, sommate tutte assie- me, risultano raggiungere un valore anche di molto superiore a quello reale (di acquisto o vendita) dell’im- mobile intero? Probabilmente direbbe che si tratta di investitori in- competenti o pazzi, o am- bedue le cose assieme. Ma subito dopo, con la for- za “granitica” del semplice buon senso, direbbe che non si tratta di “investitori”, ma di “speculatori”, di “sciacalli”. E allora cosa sono i “merca- ti” dove questi speculatori scorrazzano saltando da un titolo all’altro, da uno Stato all’altro, senza eseguire nes- suna seria valutazione, stu- dio, approfondimento su ciò che comprano o vendono, affidano o distruggono? Cosa sono questi “mercati” dove un giorno si guadagno cifre da capogiro e un altro si “bruciano” (altro termine “demenziale”) ricchezze puramente immaginarie, del tutto indipendenti dalla realtà materiale alla quale fingono di riferirsi? Sono le “piazze virtuali” do- ve si consumano alcuni dei più grandi crimini contro l’umanità, dove un ordine di acquisto o di vendita può di- struggere, e questo “real- Il termine “new economy” è stato coniato nel 1998 dal saggista statunitense Kevin Kelly col best-seller “New Rules for a New Economy” nel quale ha elencato le regole per affrontare i nuovi mercati: cogliere la corrente, massimizzare i profitti, cercare l'abbondanza, scegliere la libertà, niente armonia tutto flusso, l'opportunità prima dell'efficienza. “La new economy”, disse il Gatto, “offre la possibilità di operare in un mercato globale, abbattendo i costi di gestione e consentendo alle imprese di non essere vincolate a uno spazio definito e così creare uno stato di permanente crescita costante, bassa disoccupazione, e stabilità” . Ma come funziona? "Te lo spiego subito" , disse la Volpe . " Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c'è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d'oro. Poi ricopri la buca con un po' di terra: l'annaffi con due secchie d'acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell'albero carico di tanti zecchini d'oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno." “Che brave persone!" pensò dentro di sé Pinocchio. La Cuoca di Lenin mente”, un intero raccolto di soia, di mais, di zucchero, o un intero anno di lavoro di minatori di rame, di carbo- ne, di petrolio, condannan- do alla povertà, alla fame, al- la carestia interi popoli. Ma torniamo alla cuoca di Lenin. Di fronte agli schizzofrenici “sobbalzi” di un titolo azio- nario, ad esempio, di un’in- dustria automobilistica che sempre la stessa è e resta, con i suoi stabilimenti, mac- chinari, progetti e prodotti, la cuoca di Lenin si porrebbe la più semplice e più ovvia delle domande: ma questa industria è in grado realmen- te di produrre qualcosa di buono, di valido, di funzio- nante, di appetibile, o no? E se la risposta è no; che co- sa si fa, che cosa si deve fa- re “realmente” (“maglionci- no girocollo” a parte) per ri- sanarla e rilanciarla? “Lanciare” un futures? Uno swap? No! Bisognerebbe (bisogna, su- bito!) lavorare a un nuovo progetto, un nuovo prodot- to, un nuovo macchinario o un intero nuovo sistema produttivo. Così si esce dalla crisi, da qualsiasi crisi: con l’uso del- le “mani” e non con gli “an- glicismi”. E la cuoca di Lenin è diven- tata “manager”. fidarla e/o esserne recipro- camente affidato. “Investitore” è qualcuno che ragiona e valuta nel tempo medio o persino lungo. Nell’attuale mercato finan- ziario i “nuovi investitori” entrano ed escono spesso in frazioni di secondo, affida- no e abbandonano beni e progetti che non hanno (non possono avere) neppure sommariamente valutato. Nella loro irrazionalità, pa- radossalmente, i “nuovi in- vestitori” finiscono per es- sere loro stessi i creatori della “fiducia” (di una falsa fiducia). Non s’immagina neppure quante sono le società quo- tate alla borsa che hanno un valore di scambio azio- nario, cioè una sommatoria aritmetica del prezzo dei loro titoli, anche notevol- mente superiore al valore reale delle consistenze del loro patrimonio aziendale, incluse le pure astratte po- tenzialità di crescita e di sviluppo. Cosa direbbe a questo pun- to la cuoca di Lenin se ve- desse gli odierni geni della finanza investire (o meglio fare investire agli altri) in beni fittiziamente valutati molto al di sopra del loro valore reale? Cosa direbbe la cuoca di Le- nin se vedesse, ad esempio, Inserto a cura di Sandro Ridolfi

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Mensile d'informazione politica e cultura dell'Associazione comunista "Luciana Fittaioli", via del Grano 11-13 Foligno (PG) Italia

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I

supplemento al numero 6 - Anno II - giugno 2010 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

New Economy

Si attribuisce a Lenin l’affer-mazione secondo la qualeanche una cuoca potrebbeassumere la carica di Capodello Stato.Il padre del primo Stato de-mocratico popolare dellastoria dell’umanità intende-va dire, non che “chiunque”poteva aspirare a ricoprireuna carica tanto importantesolo per essere nato e viverein uno Stato liberato dallasegregazione sociale impo-sta da ristrette classi domi-nati, ma proprio per l’esserenato e vivere in un simileStato di uguali “chiunque”(anche una “semplice” cuo-ca) sarebbe stato posto nellecondizioni di accedere adun percorso di conoscenza,preparazione ed esperienzache lo avrebbe potenzial-mente reso in grado di svol-gere egregiamente anchequella alta funzione.Due millenni e mezzo pri-ma, un greco illuminato af-fermava che, benché pochifossero in grado di “fare po-litica”, cioè di essere prepa-rati e capaci anche di assu-mere la carica di Capo delloStato, tutti tuttavia erano ingrado di giudicare l’operatodegli esperti della politica.La fine dell’ultimo secolosembra avere disperso sial’insegnamento ateniese,che il progetto leninista.Oggi pochi, molto pochi,

sanno “fare politica” e qua-si nessuno è più in grado digiudicarla (il che consente aquei pochi di continuare afare ciò che non sono asso-lutamente capaci di fare).La perversa coniugazionedella mancanza di controlloe di giudizio critico con l’ot-tusità dell’ignoranza fa sìche quei “pochi” siano per-sino convinti di essere bra-vissimi, anzi “geniali”.In queste condizioni versaoggi il governo dell’econo-mia mondiale.Pochi cialtroni, auto incen-sati e pluridecorati di “ma-ster” e titoli accademicistrepitosi scambiati tra lorostessi come i famosi “panet-toni d’oro massiccio e dia-manti” degli amministratoridella multinazionale datri-ce di lavoro di Fantozzi (ilpersonaggio inventato daPaolo Villaggio, non il “bec-chino” dell’Alitalia di Stato),che si scambiavano tra diloro regali di natale esage-ratamente costosi ma asso-lutamente identici rimanen-do, alla fine, nelle stessecondizioni di partenza,hanno oggi l’arroganza e lapresunzione di governareun’economia mondiale che,invece, se ne va per la suastrada come un tornado in-controllato e imprevedibile.Tanti, quasi tutti, restano abocca aperta a bere non ca-

lici, ma intere damigiane digeniali cialtronerie rese ap-parentemente “intelligenti”dall’uso (abuso) di terminiinglesi, anglicizzati o persi-no anglo-inventati (il termi-ne “neologismo” è tropposcientifico per essere utiliz-zato in questo caso).Futures, swap, rating, mib-tel, dow jones, derivati (perusare almeno una parola inlingua italiana) riempionopersino le cronache rosa(oltre a quelle “nere” da co-dice penale fiscale e valuta-rio) e, allora, ecco soprag-giungere altri termini: disa-vanzo, pil, deficit e infinemanovra fiscale da “mille”miliardi.I mercati (finanziari ovvia-mente, di quelli “reali” ci so-no rimasti solo quelli “del-l’antiquariato”), gli investi-tori, o meglio la fiducia de-gli investitori, sono i totemsacri della new economyglobalizzata.Gli investitori, soprattutto.Ma chi sono gli investitori?La cuoca di Lenin avrebbesicuramente un’idea e unarisposta tanto semplicequanto chiara.“Investitore” è qualcunoche, dovendo o volendo da-re fiducia a un bene o anchea una persona, o a un pro-getto o a un’idea, la studia,la vigila, la segue nel suoapparire ed evolversi per af-

scambiare quote percentua-li ideali di un appartamentoche, sommate tutte assie-me, risultano raggiungereun valore anche di moltosuperiore a quello reale (diacquisto o vendita) dell’im-mobile intero?Probabilmente direbbe chesi tratta di investitori in-competenti o pazzi, o am-bedue le cose assieme.Ma subito dopo, con la for-za “granitica” del semplicebuon senso, direbbe chenon si tratta di “investitori”,ma di “speculatori”, di“sciacalli”.E allora cosa sono i “merca-ti” dove questi speculatoriscorrazzano saltando da untitolo all’altro, da uno Statoall’altro, senza eseguire nes-suna seria valutazione, stu-dio, approfondimento su ciòche comprano o vendono,affidano o distruggono?Cosa sono questi “mercati”dove un giorno si guadagnocifre da capogiro e un altrosi “bruciano” (altro termine“demenziale”) ricchezzepuramente immaginarie,del tutto indipendenti dallarealtà materiale alla qualefingono di riferirsi?Sono le “piazze virtuali” do-ve si consumano alcuni deipiù grandi crimini control’umanità, dove un ordine diacquisto o di vendita può di-struggere, e questo “real-

Il termine “new economy” è stato coniato nel 1998 dal saggista statunitense Kevin Kelly col best-seller “New Rules for a New Economy”nel quale ha elencato le regole per affrontare i nuovi mercati: cogliere la corrente, massimizzare i profitti, cercare l'abbondanza,scegliere la libertà, niente armonia tutto flusso, l'opportunità prima dell'efficienza.“La new economy”,disse il Gatto, “offre la possibilità di operare in un mercato globale, abbattendo i costi di gestione econsentendo alle imprese di non essere vincolate a uno spazio definito e così creare uno stato di permanente crescita costante,bassa disoccupazione, e stabilità”. Ma come funziona?"Te lo spiego subito", disse la Volpe. "Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c'è un campo benedetto, chiamato da tutti ilCampo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d'oro. Poi ricopri la bucacon un po' di terra: l'annaffi con due secchie d'acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamentea letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosatrovi? Trovi un bell'albero carico di tanti zecchini d'oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno."“Che brave persone!"pensò dentro di sé Pinocchio.

La Cuoca di Leninmente”, un intero raccoltodi soia, di mais, di zucchero,o un intero anno di lavoro diminatori di rame, di carbo-ne, di petrolio, condannan-do alla povertà, alla fame, al-la carestia interi popoli.Ma torniamo alla cuoca diLenin.Di fronte agli schizzofrenici“sobbalzi” di un titolo azio-nario, ad esempio, di un’in-dustria automobilistica chesempre la stessa è e resta,con i suoi stabilimenti, mac-chinari, progetti e prodotti,la cuoca di Lenin si porrebbela più semplice e più ovviadelle domande: ma questaindustria è in grado realmen-te di produrre qualcosa dibuono, di valido, di funzio-nante, di appetibile, o no?E se la risposta è no; che co-sa si fa, che cosa si deve fa-re “realmente” (“maglionci-no girocollo” a parte) per ri-sanarla e rilanciarla?“Lanciare” un futures? Unoswap? No!Bisognerebbe (bisogna, su-bito!) lavorare a un nuovoprogetto, un nuovo prodot-to, un nuovo macchinario oun intero nuovo sistemaproduttivo.Così si esce dalla crisi, daqualsiasi crisi: con l’uso del-le “mani” e non con gli “an-glicismi”.E la cuoca di Lenin è diven-tata “manager”.

fidarla e/o esserne recipro-camente affidato.“Investitore” è qualcuno cheragiona e valuta nel tempomedio o persino lungo.Nell’attuale mercato finan-ziario i “nuovi investitori”entrano ed escono spesso infrazioni di secondo, affida-no e abbandonano beni eprogetti che non hanno (nonpossono avere) neppuresommariamente valutato.Nella loro irrazionalità, pa-radossalmente, i “nuovi in-vestitori” finiscono per es-sere loro stessi i creatoridella “fiducia” (di una falsafiducia).Non s’immagina neppurequante sono le società quo-tate alla borsa che hannoun valore di scambio azio-nario, cioè una sommatoriaaritmetica del prezzo deiloro titoli, anche notevol-mente superiore al valorereale delle consistenze delloro patrimonio aziendale,incluse le pure astratte po-tenzialità di crescita e disviluppo.Cosa direbbe a questo pun-to la cuoca di Lenin se ve-desse gli odierni geni dellafinanza investire (o megliofare investire agli altri) inbeni fittiziamente valutatimolto al di sopra del lorovalore reale?Cosa direbbe la cuoca di Le-nin se vedesse, ad esempio,

Inserto a cura di Sandro Ridolfi

II

Nell’immaginario collettivo,e meglio potremmo dire nel-la retorica di regime, il PianoMarshall viene legato alleimmagini dei soldati ameri-cani che lanciano dai carriarmati sigarette e cioccolatead una popolazione affama-ta di cibo e di pace e alle na-vi granarie che scaricano neiporti italiani casse piene diogni “ben di Dio”.Il Piano Marshall è stato inverità molto di più e anchemolto di diverso.Passata l’euforia (o la sogge-zione) filo americana, oggidel Piano Marshall si dannodue letture, una politica euna economica, molto piùserie e veritiere.Quanto alla lettura politica,in questa sede dedicata all’e-conomia, ci limiteremo a ri-cordarne la funzione strate-gica per la sottomissionedell’intero continente euro-peo al nuovo gigante econo-mico e militare d’oltre ocea-

no, abilmente sostenuta an-che dalla minaccia, total-mente inventata dagli USA,della “guerra fredda” conl’antagonista “bolscevico”.Sotto il profilo politico-milita-re il Piano ha perfettamentefunzionato e ancora funzio-na non solo con la presenzadelle basi militari USA sparsenel continente europeo, maanche con l’evidente sotto-missione dell’Unione Euro-pea alle politiche imperialistedel (pre)potente alleato d’ol-tre oceano nell’aggressionealla Yugoslavia, nell’invasio-ne dell’Iraq e oggi nell’occu-pazione dell’Afganistan.Ben altra, e sotto un certopunto di vista persino“istruttiva” per i tempi cor-renti, è invece la lettura delprofilo economico di quellaenorme operazione di sussi-dio alle economie europeedistrutte nei cinque anni del-la guerra mondiale.Se per un verso, infatti, il Pia-

no Marshall (negli USA deno-minato “Foreing AssistanceAct”) rappresentò realmenteun enorme aiuto alla ricostru-zione delle economie dei Pae-si dell’Europa occidentale, peraltro verso rappresentò la piùcoraggiosa e intelligente ope-razione di rilancio dell’econo-mia americana, anch’essa for-temente provata dall’enormedispendio di risorse richiestodalla guerra mondiale.Il Piano Marshall ha realizza-to, forse, la più lucida appli-cazione del principio di basedell’economica capitalista:quello del mercato.Perché un sistema economi-co produca, dia occupazio-ne, realizzi ricchezza (ini-quamente ripartita è il se-condo principio del capitali-smo!) occorre che esista unmercato in grado di assorbi-re (comprare e consumare) iprodotti tanto dell’agricoltu-ra che dell’industria.Il sistema economico ameri-cano alla fine della guerraera entrato in una gravissi-ma crisi e nel 1946 si conta-vano negli USA circa 10 mi-lioni di disoccupati; finita laguerra occorreva riconverti-re l’industria bellica e nellostesso tempo trovare i mer-cati dove collocare le nuoveproduzioni civili.L’Europa, l’unico grande po-tenziale mercato, era di-strutta, occorreva finanziar-ne la rinascita per renderlacapace di assorbire le nuoveproduzioni americane.Il governo americano finan-ziò dunque la nascita deinuovi mercati dove colloca-re i propri prodotti ricorren-do a un procedimento estre-

mamente semplice: gli USAtenevano e gestivano i “cor-doni della borsa”, sicchéogni erogazione economicanasceva già destinata all’ac-quisto di prodotti americani.In sostanza l’intero finanzia-mento americano alla rico-struzione dell’Europa torna-va negli Stati Uniti sotto for-ma di esportazioni.In soli tre anni, tanto durò ilPiano Marshall, i disoccupa-ti negli USA scesero da 10 a2 milioni!La spesa pubblica, l’indebita-mento pubblico si era tra-sformato in consumo crean-do il mercato essenziale perlo sviluppo dell’economiadello stesso Stato “donatore”.Cinquanta anni più tardi inFrancia, in un contesto poli-tico-economico formalmen-te del tutto diverso, ma so-stanzialmente affatto ugua-le, è stato ipotizzato e tenta-to, ma in questo secondo ca-so non portato a termine, unprogetto similare.I mercati, o l’unico grandemercato globalizzato delmondo si stava saturando inmodi e per ragioni diverse, epersino opposte, ma sostan-zialmente convergenti quan-to agli effetti pratici.Da un lato la smisurata ag-gressività del capitalismooccidentale stava uccidendoogni potenzialità di sviluppodel mercato del terzo mon-do, da altro lato la vertigino-sa crescita dei sistemi pro-duttivi degli Stati emergentidell’estremo oriente stavainvadendo non solo i merca-ti del terzo mondo ma anchequelli dello stesso primomondo occidentale, da ulti-

mo l’enorme concentrazionedelle ricchezze all’internodegli stessi Paesi dell’occi-dente capitalista stava impo-verendo la propria popola-zione e quindi deprimendo imercati interni.La chiusura, o quanto menola contrazione dei mercatiavrebbe a breve avuto l’ine-vitabile conseguenza di col-pire la produzione.La risposta social-comunistafrancese, ben diversa daquella imperialista nordamericana, fu quella di im-maginare una vasta ridistri-buzione del reddito, sot-traendo (almeno in parte) laricchezza alle parassitarieaccumulazioni delle renditecapitalistiche per rimetterlanel ciclo della produzione.Lo strumento prefiguratodal primo ministro Lionel Jo-spin e dalla sua ministro dellavoro Martine Aubry fuquello della riduzione dell’o-rario di lavoro a 35 ore che,a parità di stipendio, avreb-be prodotto una maggioreoccupazione, trasferendo ailavoratori quota parte deiredditi delle imprese.Non c’era nulla di “sovversi-vo” in quella proposta chealla fine mirava a sostenerela sopravvivenza del sistemaeconomico capitalista.

Si narra del commercianteebreo che pur di fare l’ultimoaffare della sua vita vende lapistola al suo assassino.Questo stanno facendo i capi-talisti di tutto l’occidente che,pur di non perdere anche lesole briciole delle loro semprepiù grandi e superflue ric-chezze, tremano alla sola ideadi dover dividere almeno unaparte del mal tolto con le pro-prie vittime e così, facendomorire queste ultime, finiran-no per morire anche loro.Si narra ancora di un signorecol maglione giro collo chechiude uno stabilimento ita-liano licenziando tutti i di-pendenti per spostare laproduzione in un paese do-ve la manodopera costa mol-to meno e così fabbricare ipropri prodotti ad un prez-zo più basso. Bravo. Oraperò si tratta di venderli, me-no costosi ma comunque dapagare, venderli a chi? Nonai nuovi dipendenti tropposottopagati per permetterse-li, non ai vecchi dipendentidisoccupati, non in altri mer-cati poveri o invasi da unaconcorrenza ancora piùcompetitiva.Che ne farà dei propri pro-dotti meno costosi ma chenessuno può comprare?“Bang”

Muovendo dal principio chegli strumenti di gestione del-l’economia sono solo stru-menti e non hanno “colore” eche quello che conta è l’usoche ne viene fatto, Deng osòquello stesso esperimentopensato da Lenin aprendo al-la libertà d’iniziativa privatasia nelle campagne che so-prattutto nelle realtà urbanepiù ricche, tenendo ferma-mente nelle mani dello Statol’industria pesante, quellastrategica, il credito e le risor-se energetiche.Ciò che differiva tra le due si-tuazioni era il contesto inter-nazionale: la Cina non erasotto minaccia di attacco mi-litare, il crollo dell’Unione So-vietica aveva attenuato l’ag-gressività dei Paesi imperiali-sti, distratti anche da moltealtre situazioni di conflitto indiverse parti del Mondo.Il pericolo era tuttavia mol-to grande e questo spiega,al di fuori di ogni retorica

falso libertaria, la durezzadella reazione proprio daparte dell’ “innovatore”Deng alla rivolta di PiazzaTienanmen che rischiava difar fallire un progetto chepuntava a fare emergeredalla miseria e dalla famemillenaria centinaia di mi-lioni di cinesi.Il risultato della NEP cinese èsotto gli occhi di tutti ed è inprogresso.L’economia cresce vertigino-samente, ma dietro l’irruenzadell’arricchimento individua-le, si consolida e vigila un po-tente Stato centralizzato chenon solo contiene gli eccessidella deriva consumista, magiorno dopo giorno e annodopo anno sempre più drenala nuova ricchezza verso ilprogetto comunista dellacreazione di una società giu-sta, equa e solidale, dove ilbenessere è patrimonio co-mune e naturale della perso-na umana.

Dal Piano Marshall alle 35 ore di JospinSpesa pubblica e distribuzione dei redditisostengono lo sviluppo economico

La NEP, da Mosca a Pechino, da Lenin a DengGli strumenti del capitalismo al serviziodel comunismo

Lionel Jospin, primo ministro francese, e Martine Aubry,ministro del lavoro, autori della legge delle “35 ore

Al momento della rivoluzio-ne d’ottobre l’Impero Russoera nel pieno della primaguerra mondiale con circadieci milioni di soldati alfronte.Il primo atto del nuovo go-verno bolscevico fu la firmadel trattato di pace di Brest-Litosvk che, al costo di vasteperdite territoriali e di unanotevole parte delle risorseminerarie, pose comunquetermine alla guerra.La fine della guerra mondialenon fece però cessare gli at-tacchi da parte delle forzecontrorivoluzionarie che co-stituirono l’Armata Bianca,sostenuta da alcuni governioccidentali (Francia e Inghil-

terra), composta anche da ef-fettivi polacchi, ungheresi ececoslovacchi.L’Armata Rossa, creata e gui-data da Trotski, riuscì a tene-re testa e infine a sconfigge-re, dopo circa quattro anni diguerra, le forze controrivolu-zionarie.La situazione economica delPaese era però scesa ai mini-mi termini, con le campagnedevastate dagli attraversa-menti degli eserciti e le cittàin crisi di approvvigionamen-ti alimentari. Anche l’indu-stria era appena agli albori,totalmente convertita alleproduzioni belliche.Fu in quel disastroso conte-sto che Lenin decise quellache allora, lui stesso, definìuna “ritirata”.La “ritirata” era la NEP, Nuo-va Politica Economica, cheaprì il sistema economico so-vietico, statalizzato e centra-lizzato, a margini di iniziati-va privata, e ciò sia all’internodel Paese che con scambicommerciali e tecnologicicon i Paesi capitalisti.La svolta economica più rile-vante interessò l’agricoltura,con la concessione ai proprie-tari terrieri della libertà dicoltivazione alla condizione

del conferimento allo Stato diquota parte dei raccolti ne-cessari ad alimentare le cittàe la nascita della piccola im-prenditoria urbana, restandonelle mani dello Stato l’indu-stria pesante e l’energia.Il risultato fu sorprendente-mente positivo e nacquero inbreve tempo due nuove classiabbienti: i contadini ricchi det-ti “kulaki” e i piccoli imprendi-tori urbani detti “nepmany”che, con il loro crescente pote-re economico, iniziarono amettere in discussione i prin-cipi dello Stato socialista.Morto Lenin ancora nel pienodell’esperimento della NEPsarà Stalin a porre fine allastessa, riconducendo tuttal’economica, agricola e indu-striale, sotto il controllo del-lo Stato socialista.Era il 1929, in Germania laRepubblica di Weimar stavavivendo gli ultimi giorni e dilì a poco sarebbe salito al po-tere Hitler, in Italia era giàstabilmente al potere il fasci-smo, in tutti gli Stati europeie nell’estremo oriente monta-va un nuovo clima di guerrache individuava nell’UnioneSovietica il primo dei nemicida distruggere.Tramontata l’ipotesi trotkista

della espansione della rivolu-zione comunista in Europa,prevalse l’opzione stalinistadella difesa della “roccaforteassediata” che non potevapermettersi elementi di squi-librio interni, per prepararsial più presto alla inevitabileaggressione da parte dei nuo-vi nazionalismi europei.Un insegnamento tuttaviarestò dell’esperimento dellaNEP, quello della consapevo-lezza che la costruzione diuna società socialista avevala necessità di sviluppareun’economia in grado disoddisfare i bisogni popola-ri anche al costo di ricorrereagli strumenti dell’avversa-rio di classe.Sessanta anni più tardi que-sto insegnamento sarà ripre-so dal più grande Stato co-munista: la Cina.Fallito il progetto del “balzoin avanti” (dall’agricolturacollettivizzata all’industriapesante) prefigurato da Mao,il primo successore di Maoalla guida del Partito e delPaese, Deng Xiaoping, lanciòl’esperimento della NEP ci-nese con lo storico slogan“non importa il colore delgatto, l’importante è cheprenda il topo”.

Deng Xiaoping

Stalin, Lenin, Kalinin

III

Per le cosiddette persone di“sinistra” Cuba è stata e re-sta ancora un faro di libertàe di speranza di cambiamen-to del mondo.Per le persone di “destra”,asservite al pensiero domi-nante dell’Impero nord ame-ricano, Cuba è la spina nelfianco che 50 anni di embar-go non hanno strappato eche ora guida il riscatto deipopoli del centro e del sudAmerica che si stanno af-francando dal giogo nordamericano.Sconfitti sul piano militaree su quello dello strangola-mento economico, gli impe-rialisti e i loro gregari oggiingiuriano Cuba con l’accu-sa di mancanza di democra-zia e di repressione del dis-senso.Se c’è un fondo di verità inqueste accuse è, semmai,proprio quello della possibi-lità a Cuba del formarsi diun dissenso che ha un pre-supposto essenziale: l’eman-cipazione della fame e dall’i-gnoranza.Solo chi mangia e studia puòesprimere consenso o dis-senso; lo schiavo (di diritto odi fatto) analfabeta non haneppure gli strumenti perpensare, può al più ribellarsicome una tigre in catene manon è in grado di progettareil proprio futuro.Di questo sono ben consape-voli le classi dominati che, intutta la storia dell’umanità,hanno sempre tenuto rigo-rosamente escluso il popolodall’accesso al sapere, ge-stendo ignoranza e povertàcome potenti strumenti digoverno.Se dunque oggi a Cuba c’è, oalmeno ci può essere, dis-senso è perché nei 50 anni di“tremendo” regime comuni-sta sono state create le con-dizioni economiche, sociali eculturali perché la popola-zione fosse in grado di pen-sare, magari anche dissen-

tendo dal potere costituito.Per analizzare, comprenderee, infine, giudicare l’econo-mia cubana bisogna però fa-re prima uno sforzo d’imma-ginazione che oggi, dopo irecenti eventi del terremotodi Haiti e la maggiore visibi-lità delle condizioni degliStati liberati del centro e sudAmerica, non è difficile.Cuba non è Europa né nordAmerica (Usa-Canada), Cubaè nel cuore del profondo etragico terzo mondo centro-sud americano.Cinquanta anni fa Cuba eranelle stesse condizioni eco-nomiche e sociali in cui sitrovano, ancora oggi, Haiti,Santo Domingo, le borgatedi Caracas o di Rio; oggi èimparagonabile (!)Un dato molto semplice ed’immediata comprensionepuò aiutare a comprenderel’abisso che oggi separa Cu-ba dal resto degli altri Paesicentro-sud americani: l’ac-qua, e precisamente la pota-bilità dell’acqua.L’acqua è il veicolo dal qualepassa oltre l’80% delle malat-tie del mondo, in altri termi-ni la potabilizzazione del-l’acqua potrebbe, da sola, far

scomparire l’80% delle ma-lattie nel mondo, ovviamen-te nel terzo mondo.Chiunque abbia avuto occa-sione di fare qualche viaggioanche nei più vicini Stati me-diterranei (medio oriente,nord Africa) ha sicuramenteavuto le istruzioni, e se le haviolate ne ha personalmentesubito le conseguenze, sullamassima attenzione da pre-stare all’acqua da bere.Ebbene a Cuba, in qualsiasiparte dell’isola, tutta l’acquaè potabile.Gli indici di mortalità, infan-tile e senile, di salute fisica elongevità, di esposizione amalattie in genere della po-polazione di Cuba sono no-tevolmente inferiori a quellidel più ricco Paese del mon-do, degli Stati Uniti.Ma Cuba batte ampiamentel’Impero nord americano an-che sul piano della istruzio-ne di massa, con indici didiffusione e di eccellenza,percentualmente alla pro-pria popolazione, imparago-nabili con quelli USA.Questo è il frutto di 50 annidi politica economica e so-ciale comunista.E’ esportando medicine e

medici, tecnologia di basee tecnici, dal Sud Africa diMandela al Venezuela diChavez, che Cuba oggisoddisfa i propri fabbiso-gni di petrolio e in generedi tutti quei beni che lascarsa produttività dellasua terra, estremamentelussureggiante ma pove-rissima di proteine e diminerali nobili, non è ingrado di produrre.Varrà di ricordare che oltre50 anni fa Avana, che all’e-poca era la Miami degli StatiUniti, veniva alimentata di-rettamente dalla Florida,non essendo l’intera isola diCuba in grado di sostenerequella che allora era una ve-ra e propria metropoli nordamericana, sede “prediletta”della mafia ebrea e USA.Premesso questo quadrostorico e di contesto ancheattuale, si può procedere al-l’esame e al giudizio sullecondizioni attuali dell’eco-nomia cubana.Cuba non è certamente ric-ca, anzi è sicuramente pove-ra nonostante i 50 anni di ot-timo governo comunista, maè viva ancora oggi a distanzadi 20 anni dal crollo dell’U-

nione Sovietica alla cui eco-nomia, o forse è meglio dire:“dalla” cui economia era di-pendente.Nei trenta anni di adesioneal sistema economico delcosiddetto “socialismo rea-le” Cuba ha ricevuto aiuti,proporzionalmente, im-pressionanti: si parla di cir-ca il doppio del proprio PILannuo (usiamo un terminecapitalista).Come ha investito questienormi aiuti è già detto nellerighe precedenti: emergendoda una condizione di sotto-sviluppo, arretratezza eco-nomica e culturale spavento-sa (all’inizio della rivoluzio-ne comunista, nel 1960, lapopolazione cubana erapressoché tutta analfabeta enell’oriente “nero” vigevanoancora forme di sostanzialeschiavitù).Oggi, come detto, l’acqua èpotabile e i laureati cubani“invadono” i paesi emergen-ti dall’oppressione degli im-peri occidentali.Alla dissoluzione dell’Unio-ne Sovietica Cuba si è trova-ta improvvisamente senzaquegli enormi aiuti che, oltrea consentirle di realizzare lestrutture di base di uno sta-to moderno (ospedali, scuo-le, abitazioni, infrastrutture,ecc.), le garantivano anche lastessa alimentazione dellapopolazione.Se proviamo a paragonarel’odierna, indubbiamentegravissima, crisi economicache ha colpito la Grecia altrauma economico subito daCuba 20 anni fa siamo lonta-ni, come si dice, “anni luce”.Eppure Cuba non solo è so-pravvissuta, ma ha anchecontinuato orgogliosamentea tenere testa al nemiconord americano, proseguen-do nel suo ruolo di faro di li-bertà per i popoli oppressidi tutto il (terzo) mondo(non solo nel sud e centroAmerica, ma anche nell’e-stremo oriente, dal Nepal al-l’India, Cuba è conosciuta eammirata).Questo è stato possibile gra-zie alla forte cultura socialee solidale che i 50 anni di

“feroce” governo comunistahanno sviluppato e fattocrescere nella popolazionecubana.Sotto la guida del Partito Co-munista la popolazione hasaputo non solo dividere econdividere l’improvvisapovertà, ma ha anche sapu-to scegliere a cosa rinuncia-re e cosa invece difendere atutti i costi per sperare nelfuturo.La crisi economica non hacolpito la sanità e la salutein genere, non ha colpito l’i-struzione e la scienza in ge-nere, ha colpito non certo il“lusso”, che non era mai ar-rivato a Cuba, ma almeno il“di più”.Gli alberghi e tutte le strut-ture ricettive, costruite ap-positamente per i cubani ne-gli “anni d’oro”, sono stateinteramente ed esclusiva-mente dedicate alla princi-pale risorsa del turismo, co-sì come (è solo un esempio,ma indicativo) le aragosteche i cubani hanno smessodi mangiare per esportarle ecosì scambiare un’aragosta,sufficiente a sfamare almassimo 4 persone, con 10polli, in grado di sfamare 40persone.Di questi esempi se ne po-trebbero fare mille, ma quel-li ora esposti possono daregià un’idea sufficiente percomprendere come è statopossibile che un “microbo”di Paese sotto attacco dellapiù grande potenza militaredella storia, è riuscito a so-pravvivere al tifone che hainvece polverizzato le assaipiù ricche economie dai Pae-si dell’est europeo.Lo stato sociale, la difesaostinata e irrinunciabiledello stato sociale ha sal-vato quel Paese e oggi,grazie anche al crescentenumero degli Stati delcentro e sub Americaemancipati dal giogo USA,Cuba ha più che ragione-voli aspettative di ripresae di rilancio della propriaeconomia, senza averemai dubitato dell’ideale edel progetto di una nuovasocietà comunista.

L’esperienza cubanaL’economia sociale che resiste alla crisi

La teoria marxiana(*) del “plusvalore”Come e da dove nasce il capitalismo

Il “capitale” non nasce nédalla circolazione dellemerci, né dalla sua variante-evoluzione circolazione deldenaro.La circolazione delle merci èsolo il punto di partenza delcapitale, ma è nel momento incui le merci mutano il loro va-lore da “consumo” a “scam-bio” e che il denaro da mezzodi “intermediazione” diventamerce di “scambio”, che iniziail percorso di formazione delcapitale.La circolazione delle merci, diper sé e per la natura propria

delle merci, non produce au-mento di valore (salvo la truf-fa) in quanto è destinata alconsumo e si scambia con al-tra merce parimenti destinataal consumo, e dunque il valore(di consumo) complessivo pa-reggia e torna a “zero”, sino al-la creazione di nuove merci dascambiare.Anche la circolazione del de-naro, che da mezzo di inter-mediazione (la merce si vendeper denaro ed il denaro ricava-to serve a comprare merce)può divenire il punto di par-tenza e di arrivo della sua

stessa circolazione (denaroper acquistare merce che vie-ne venduta per altro denaro),non muta la sua “quantità” al-la fine del ciclo perché equi-varrà sempre al valore dellamerce comprata e vendutache, come sopra detto, saràsempre “pari”.Perché alla fine della “circola-zione” (sia che si tratti di mer-ce-denaro-merce o denaro-merce-denaro) il denaro si ac-cresca ed ecceda il valore dellamerce scambiata, così diven-tando “capitale”, occorre che inquesto percorso intervenga

un’altra merce (più precisa-mente un ulteriore componen-te necessario per la produzio-ne della merce-prodotto finale)che viene acquistata a un valo-re inferiore a quello della suaproduzione.Questa merce, la sola che puòessere scambiata al di sottodel suo costo è la merce “for-za lavoro”.La merce (o meglio il prodottofinale che diviene il bene dascambiare o vendere) si com-pone di due parti: la prima so-no i mezzi e i materiali di ba-se che hanno un loro valore“costante”, nel senso di “ugua-le” a quello di acquisto (esclu-dendo sempre la truffa, la vio-lenza o l’usura); la seconda è illavoro umano che, utilizzan-do quei mezzi e materiali, litrasforma in un prodotto fina-le nuovo.Questa seconda componentedel processo di produzionenon ha un valore “costante”,perché è inesauribile e sempreabbondante.Questa componente dellaprodotto finale è l’unica chepuò essere acquistata, e poirivenduta incorporata nelprodotto finale, a prezzidifferenti.Facciamo un esempio: perprodurre un certo “bene” oc-

corre un determinato quan-titativo di materia prima,grezza o semilavorata, que-sta componente ha un valo-re “costante” in quanto sem-pre “pari” alle altre merciscambiate; occorre l’uso(usura) di macchinari, anchequesti a valore “costante”cioè “pari” nello scambiodelle merci; occorrono anco-ra risorse energetiche, servi-zi, uso di infrastrutture, ecc.,sempre a valore “costante” e“pari”; infine occorre l’ulti-ma risorsa che ha il compitodi coniugare tutte le altrecomponenti e di trasformar-le nel prodotto finale: questerisorsa è la “forza lavoro”.Quest’ultima risorsa, che poi èessa stessa “merce” da com-prare e vendere, è l’unica anon avere un valore “costan-te” perché dipendente dallecondizioni del contesto nelquale viene acquistata e ven-duta; può valere di più o dimeno a seconda del luogo di“acquisto”, dei rapporti di for-za politici e sociali, dei bisognidello stesso venditore della“forza lavoro”.“Economizzando” su questacomponente del prodotto fi-nale il proprietario dei mezzidi produzione, che è poi ilproprietario del denaro neces-

sario ad acquistare tali mezzie materiali, realizza una “dif-ferenza”, che costituisce il“plusvalore”.Il “plusvalore” sottratto al co-sto reale della “forza lavoro” èla sostanza del “capitale”.Non è dunque né la quantità,né la qualità, né la velocità dicircolazione delle merci o deldenaro che genera il “capitale”(o se vogliamo chiamarla: laricchezza).Il “capitale” nasce bensì in oc-casione del percorso dellaproduzione e circolazionedelle merci-denaro, ma è“dentro” lo sfruttamento chein tale percorso di produzio-ne e di scambio viene fattodella componente “merceforza lavoro”.Il capitalismo non nasce,non si fonda, non si svilup-pa dalla capacità di redditi-vità del “capitale-denaro”,che di per sé non produce“frutti” (vedi in prima pagi-na gli “zecchini” di Pinoc-chio), ma dallo sfruttamen-to del lavoro umano.Il capitalismo è lo sfruttamen-to dell’uomo sull’uomo.(*) Il termine “marxiano”identifica l’opera di Marx;“marxista” è l’ideologia chepoggia le sue fondamenta esviluppa il pensiero di Marx.

Los tres Presidentes: Ugo, Fodel, Evo

IV

Inserto speciale di Piazza del Grano - Anno II - numero 6 - giugno 2010

I comunisti sdegnano di nasconderele loro opinioni e le loro intenzioni.Dichiarano apertamente che i loro fini possonoessere raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente.Le classi dominanti tremino al pensierod'una rivoluzione comunista.I proletari non hanno da perdere che le loro catene.Hanno un mondo da guadagnare.

PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!