Inserto "Quale onore" - Giugno 2011

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supplemento al numero 6 - Anno III - giugno 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org I Viviamo in un secolo di pace, si sente spesso ripe- tere, la guerra è lontana, appartiene al nostro pas- sato e non ci toccherà più. Non ci toccherà più, ap- punto, perché toccherà al- tri popoli, altre realtà, una volta lontanissime ma via via sempre più vicine a noi. La guerra ci sta giran- do intorno. Viviamo anco- ra in un’ “isola felice”, ma sino a quando? E soprat- tutto, quanta parte di re- sponsabilità abbiamo noi stessi in quelle guerre, nel provocarle, nel sostenerle, nell’entrarci dentro, an- che! A noi non può acca- dere, si sente ancora ripe- tere, noi non scivoleremo mai nelle barbarie delle pulizie etniche, dei mas- sacri religiosi, delle ditta- ture militari, noi siamo “diversi”, noi siamo più “civili”, noi siamo “buoni”. La storia non ci dice affat- to questo. La nostra storia ci tramanda al contrario testimonianze di un’indo- le violenta e sanguinaria del popolo italiano che nulla ha da invidiare (se si può usare questo termi- ne) alla ferocia nazista, al razzismo dei colonialisti inglesi, francesi, porto- ghesi e altri, o all’odierno bestiale all’imperialismo nord americano. In questo inserto vogliamo ricorda- re alcuni episodi che di- mostrano come la guerra, le situazioni cioè in cui al- la politica negoziata si so- stituisce quella combattu- ta, è stata in grado di tra- sformare dei “normali” contadini, operai, giovani studenti, in bestie feroci e sanguinarie. “Eseguivo gli ordini”, “Difendevo la mia patria”, “Lo imponeva la mia religione”, sono alcu- ne tra le tante giustifica- zioni che i criminali di guerra hanno sempre cer- cato di addurre a discrimi- nante delle loro inescusa- bili responsabilità, fino a giungere alla più grave, perché più subdola e ipo- crita giustificazione: “Lo facevano anche loro, anzi loro erano peggiori”, che pone le basi per la finale conclusione “liberatoria”: “tutti i morti sono uguali e tutti i morti vanno onora- ti”, meglio ancora se “igno- ti”. La foto che apre questa pagina è forse l’esempio più espressivo ad uno stesso della bestialità del- la guerra e della follia del- la sue (di qualsiasi) giusti- ficazioni. Per cinque anni dal 1914 al 1918 milioni di europei si sono massacra- ti lungo le linee di immagi- nari confini dei rispettivi Stati, tutti e ciascuno per difendere il sacro territo- rio delle rispettive patrie. Quelle linee immaginarie e innaturali sono state “san- tificate” da milioni di ra- gazzi morti e oggi non esi- stono neppure più; i popo- li dei due versanti appar- tengono (o almeno aspira- no ad appartenere) a un unico grande Stato/patria unitario. Perché allora quel massacro? E ancora perché tutti quegli altri in- numerevoli e interminabi- li massacri che insangui- nano la storia dell’umani- tà? Per questa volta, in questo inserto, non parle- remo delle ragioni econo- miche che ne costituisco- no le reali ragioni storiche. Vogliamo guardare all’in- dole umana, alla “sovra- struttura” culturale ed eti- ca che muove e condizio- na i comportamenti degli esseri umani. Se è vero, co- me dice il Presidente Mao, che almeno il 90 cento de- gli uomini sono “buoni”, dobbiamo concludere che é la guerra che, segnando la fine della convivenza ci- vile e sociale, produce que- sta “mutazione genetica”. Se è la guerra che trasfor- ma l’uomo in bestia, allora nella guerra non può es- serci alcun onore, ma solo miseria, disgusto e vergo- gna. Nel 1910 l’Italia inva- se la Libia e diede inizio a un massacro delle popola- zioni indigene che si pro- trasse per decenni, dalla monarchia costituzionale illuminata (governo Giolit- ti), alla conversione fasci- sta dei re piemontesi. Nel 2011 l’Italia sta di nuovo bombardando la Libia, uc- cidendo uomini, donne e bambini. Allora si parlava di una di una missione “ci- vilizzatrice”, oggi si parla di una missione “demo- cratica e umanitaria”. Le bombe e i proiettili sono sempre gli stessi. Domani onoreremo altri morti, tut- ti uguali, tutti eroi, tutti ignoti. Peggio di Marzabotto, per- ché non fu rappresaglia. Peggio di Sebrenica perché morirono anche donne, vecchi e bambini. Tra il 9 e l’11 aprile 1939 una caro- vana di «salmerie» dei par- tigiani di Abebè Aregai, lea- der del movimento di libe- razione etiope, si era rifu- giata in un sistema di grot- te nella località di Amba Aradam dopo essere stata individuata dall’aviazione italiana. Lì venne circonda- ta da truppe italiane in mi- sura soverchiante per nu- mero ed arma- menti. Circa 800 etiopi uscirono dalle grotte e si ar- resero, ma venne- ro tutti subito fuci- lati o gettati vivi in un burrone. Gli al- tri, in prevalenza vecchi, donne e bambini, che prov- vedevano alla cura dei feriti e al so- stentamento dei partigiani alla macchia, in numero non ancora stimato, rimasero all’interno delle grotte. L’ordine da Roma fu peren- torio: stroncare la ribellio- ne che perdurava sulle montagne ancora dopo tre anni dall´ingresso di Bado- glio ad Addis Abeba. Ma stanare i ribelli era impos- sibile, così il 9 aprile la grot- ta venne attaccata con bombe a gas d’arsina e con la micidiale iprite che deva- stò le trincee della Grande Guerra. L’Italia aveva firma- to il bando internazionale di queste armi letali, ma le ha poi usate in grande stile nella guerra d’Etiopia. Nel- la grotta il “bombardamen- to speciale” venne eseguito dal “plotone chimico” del- la divisione Granatieri di Savoia, da sempre ritenuta una delle più “nobili” delle Forze Armate italiane, per ordine diretto del generale Ugo Cavallero o dello stes- so Amedeo di Savoia, pure lui di “nobile” reputazione. A completare il massacro, nel tentativo di “bonifica- re” il reticolo di grotte, le truppe italiane fecero uso di lanciafiamme e infine, fecero saltare gli ingressi delle grotte, sigillando den- tro per sempre ogni even- tuale superstite. I meticolo- si telegrammi scambiati tra i comandi italiani sono istantanee dall’inferno. «Si prevede che fetore cadave- ri et carogne impediscano portare at termine esplora- zione caverna che in que- sto sarà ostruita facendo brillare mine. Accertati fi- nora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate Dalla Libia alla Libia, passando per Etiopia, Slovenia, Grecia, Jugoslavia, Somalia e Iraq Quale Onore? Quale Onore? Amba Aradam, una strage italiana nascosta La guerra è un’attività bestiale La guerra è un’attività bestiale che trasforma gli uomini in bestie che trasforma gli uomini in bestie altre 12 donne et 9 bambi- ni. Rinvenuti 16 fucili, mu- nizioni et varie armi bian- che». La rappresaglia delle Fosse Ardeatine di Kappler non fu peggiore. Il governa- tore della regione di Gon- dar, Alessandro Pirzio Biro- li, di rinomata famiglia di esploratori, “usava” butta- re i capitribù ribelli nelle ac- que del Lago Tana con un masso legato al collo; Achille Starace ammazza- va i prigionieri di persona in un sadico tiro al bersa- glio e, poiché non soffriva- no abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Non fu cer- tamente una “missio- ne civilizzatrice” quel- la italiana in Etiopia, ma il collaudo del raz- zismo finito poi nei forni di Birkenau. Il ge- nerale Badoglio, già tra i responsabili della “rotta di Caporetto” nella prima guerra mondiale e poi, dopo la deposizione di Mus- solini da parte del re pie- montese e l’armistizio con gli alleati, capo del governo italiano, fece agli etiopi ciò che Saddam fece ai Curdi. Solo che Saddam è stato portato in giudizio, con- dannato e giustiziato, l’Ita- lia non ha mai risposto dei suoi crimini. E così ancora oggi “ambaradam”, nel les- sico familiare, è una parola che fa ridere: vuol dire “al- legra confusione” e una im- portate via di Roma è anco- ra intitolata a quell’ “alle- gro” episodio!

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Mensile d'informazione politica e cultura dell'Associazione comunista "Luciana Fittaioli" con sede a Foligno (PG)

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supplemento al numero 6 - Anno III - giugno 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

I

Viviamo in un secolo dipace, si sente spesso ripe-tere, la guerra è lontana,appartiene al nostro pas-sato e non ci toccherà più.Non ci toccherà più, ap-punto, perché toccherà al-tri popoli, altre realtà, unavolta lontanissime ma viavia sempre più vicine anoi. La guerra ci sta giran-do intorno. Viviamo anco-ra in un’ “isola felice”, masino a quando? E soprat-tutto, quanta parte di re-sponsabilità abbiamo noistessi in quelle guerre, nelprovocarle, nel sostenerle,nell’entrarci dentro, an-che! A noi non può acca-dere, si sente ancora ripe-tere, noi non scivoleremomai nelle barbarie dellepulizie etniche, dei mas-sacri religiosi, delle ditta-ture militari, noi siamo“diversi”, noi siamo più“civili”, noi siamo “buoni”.La storia non ci dice affat-to questo. La nostra storiaci tramanda al contrariotestimonianze di un’indo-le violenta e sanguinariadel popolo italiano chenulla ha da invidiare (se sipuò usare questo termi-ne) alla ferocia nazista, alrazzismo dei colonialistiinglesi, francesi, porto-ghesi e altri, o all’odiernobestiale all’imperialismonord americano. In questoinserto vogliamo ricorda-re alcuni episodi che di-mostrano come la guerra,le situazioni cioè in cui al-la politica negoziata si so-stituisce quella combattu-ta, è stata in grado di tra-

sformare dei “normali”contadini, operai, giovanistudenti, in bestie feroci esanguinarie. “Eseguivo gliordini”, “Difendevo la miapatria”, “Lo imponeva lamia religione”, sono alcu-ne tra le tante giustifica-zioni che i criminali diguerra hanno sempre cer-cato di addurre a discrimi-nante delle loro inescusa-bili responsabilità, fino agiungere alla più grave,perché più subdola e ipo-crita giustificazione: “Lofacevano anche loro, anziloro erano peggiori”, chepone le basi per la finaleconclusione “liberatoria”:“tutti i morti sono uguali etutti i morti vanno onora-ti”, meglio ancora se “igno-ti”. La foto che apre questapagina è forse l’esempiopiù espressivo ad unostesso della bestialità del-la guerra e della follia del-la sue (di qualsiasi) giusti-ficazioni. Per cinque annidal 1914 al 1918 milioni dieuropei si sono massacra-ti lungo le linee di immagi-nari confini dei rispettiviStati, tutti e ciascuno perdifendere il sacro territo-rio delle rispettive patrie.Quelle linee immaginarie einnaturali sono state “san-tificate” da milioni di ra-gazzi morti e oggi non esi-stono neppure più; i popo-li dei due versanti appar-tengono (o almeno aspira-no ad appartenere) a ununico grande Stato/patriaunitario. Perché alloraquel massacro? E ancoraperché tutti quegli altri in-

numerevoli e interminabi-li massacri che insangui-nano la storia dell’umani-tà? Per questa volta, inquesto inserto, non parle-remo delle ragioni econo-miche che ne costituisco-no le reali ragioni storiche.Vogliamo guardare all’in-dole umana, alla “sovra-struttura” culturale ed eti-ca che muove e condizio-na i comportamenti degliesseri umani. Se è vero, co-me dice il Presidente Mao,che almeno il 90 cento de-gli uomini sono “buoni”,dobbiamo concludere cheé la guerra che, segnandola fine della convivenza ci-vile e sociale, produce que-sta “mutazione genetica”.Se è la guerra che trasfor-ma l’uomo in bestia, alloranella guerra non può es-serci alcun onore, ma solomiseria, disgusto e vergo-gna. Nel 1910 l’Italia inva-se la Libia e diede inizio aun massacro delle popola-zioni indigene che si pro-trasse per decenni, dallamonarchia costituzionaleilluminata (governo Giolit-ti), alla conversione fasci-sta dei re piemontesi. Nel2011 l’Italia sta di nuovobombardando la Libia, uc-cidendo uomini, donne ebambini. Allora si parlavadi una di una missione “ci-vilizzatrice”, oggi si parladi una missione “demo-cratica e umanitaria”. Lebombe e i proiettili sonosempre gli stessi. Domanionoreremo altri morti, tut-ti uguali, tutti eroi, tuttiignoti.

Peggio di Marzabotto, per-ché non fu rappresaglia.Peggio di Sebrenica perchémorirono anche donne,vecchi e bambini. Tra il 9 el’11 aprile 1939 una caro-vana di «salmerie» dei par-tigiani di Abebè Aregai, lea-der del movimento di libe-razione etiope, si era rifu-giata in un sistema di grot-te nella località di AmbaAradam dopo essere stataindividuata dall’aviazioneitaliana. Lì venne circonda-ta da truppe italiane in mi-sura soverchiante per nu-mero ed arma-menti. Circa 800etiopi uscironodalle grotte e si ar-resero, ma venne-ro tutti subito fuci-lati o gettati vivi inun burrone. Gli al-tri, in prevalenzavecchi, donne ebambini, che prov-vedevano alla curadei feriti e al so-stentamento deipartigiani allamacchia, in numero nonancora stimato, rimaseroall’interno delle grotte.L’ordine da Roma fu peren-torio: stroncare la ribellio-ne che perdurava sullemontagne ancora dopo treanni dall´ingresso di Bado-glio ad Addis Abeba. Mastanare i ribelli era impos-sibile, così il 9 aprile la grot-ta venne attaccata conbombe a gas d’arsina e conla micidiale iprite che deva-stò le trincee della GrandeGuerra. L’Italia aveva firma-to il bando internazionale

di queste armi letali, ma leha poi usate in grande stilenella guerra d’Etiopia. Nel-la grotta il “bombardamen-to speciale” venne eseguitodal “plotone chimico” del-la divisione Granatieri diSavoia, da sempre ritenutauna delle più “nobili” delleForze Armate italiane, perordine diretto del generaleUgo Cavallero o dello stes-so Amedeo di Savoia, purelui di “nobile” reputazione.A completare il massacro,nel tentativo di “bonifica-re” il reticolo di grotte, le

truppe italiane fecero usodi lanciafiamme e infine,fecero saltare gli ingressidelle grotte, sigillando den-tro per sempre ogni even-tuale superstite. I meticolo-si telegrammi scambiati trai comandi italiani sonoistantanee dall’inferno. «Siprevede che fetore cadave-ri et carogne impediscanoportare at termine esplora-zione caverna che in que-sto sarà ostruita facendobrillare mine. Accertati fi-nora 800 cadaveri, uccisialtri sei ribelli. Risparmiate

Dalla Libia alla Libia, passando per Etiopia,Slovenia, Grecia, Jugoslavia, Somalia e Iraq

Quale Onore?Quale Onore?

Amba Aradam,una strage italiana nascosta

La guerra è un’attività bestialeLa guerra è un’attività bestialeche trasforma gli uomini in bestieche trasforma gli uomini in bestie

altre 12 donne et 9 bambi-ni. Rinvenuti 16 fucili, mu-nizioni et varie armi bian-che». La rappresaglia delleFosse Ardeatine di Kapplernon fu peggiore. Il governa-tore della regione di Gon-dar, Alessandro Pirzio Biro-li, di rinomata famiglia diesploratori, “usava” butta-re i capitribù ribelli nelle ac-que del Lago Tana con unmasso legato al collo;Achille Starace ammazza-va i prigionieri di personain un sadico tiro al bersa-glio e, poiché non soffriva-

no abbastanza, primali feriva con un colpoai testicoli. Non fu cer-tamente una “missio-ne civilizzatrice” quel-la italiana in Etiopia,ma il collaudo del raz-zismo finito poi neiforni di Birkenau. Il ge-nerale Badoglio, già trai responsabili della“rotta di Caporetto”nella prima guerramondiale e poi, dopola deposizione di Mus-

solini da parte del re pie-montese e l’armistizio congli alleati, capo del governoitaliano, fece agli etiopi ciòche Saddam fece ai Curdi.Solo che Saddam è statoportato in giudizio, con-dannato e giustiziato, l’Ita-lia non ha mai risposto deisuoi crimini. E così ancoraoggi “ambaradam”, nel les-sico familiare, è una parolache fa ridere: vuol dire “al-legra confusione” e una im-portate via di Roma è anco-ra intitolata a quell’ “alle-gro” episodio!

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sono dati certi, cioè reali e

verificati, dei numeri di ta-

li ritorsioni (includendovi

peraltro anche quelle legit-

timate dalle responsabilità

criminali di molti degli oc-

cupanti italiani). Non si

tratta qui (e comunque

mai) di confrontare nume-

ri, né di cercare giustifica-

zioni di azione/reazione

(che pure hanno un loro

indubbio significato politi-

co ed etico), quanto di vo-

ler richiamare la

memoria e la con-

sapevolezza di

una responsabilità

storica che se non

riconosciuta, am-

messa e denuncia-

ta, può riprodurre

nel futuro analo-

ghe, se non pro-

prio identiche, vi-

cende di violenza

e bestialità, e que-

sto, purtroppo, è

accaduto e non

una sola volta e

neppure in un re-

moto passato, an-

zi forse proprio

oggi si sta ripeten-

do con la follia

della guerra “uma-

nitaria” in Libia.

Un’ultima nota non di po-

ca importanza. Le vicende

narrate sono, come ogni

notizia, dato o informazio-

ne pubblicata da questo

giornale, verificate e verifi-

cabili. Se andrete negli ap-

positi siti internet le trove-

rete narrate anche una

crudezza e violenza assai

maggiore. In quei siti (o al-

meno in taluni di essi) tro-

verete però anche una “im-

barazzante” tesi giustifica-

tiva del comportamento

della “brava gente” italiana

che in brevissima sintesi

afferma: gli italiani non so-

no stati da meno dei tede-

schi nel compiere

atti di violenza ai

danni dei popoli in-

vasi, i tedeschi tut-

tavia lo facevano

perché era nella lo-

ro “natura crimina-

le”, gli italiani no,

gli italiani lo faceva-

no perché erano dei

pezzenti come e

forse persino di più

dei popoli violenta-

ti. Così quando i

“bravi” soldati ita-

liani durante un ra-

strellamento dei vil-

laggi sloveni sac-

cheggiavano le case

prima di bruciarle e

inviavano ai loro

parenti in Italia vec-

chie scarpe, vestiti

usati, pentole e posate, e

poi facevano morire di

freddo, malattie e fame i

vecchie e i bambini nei

campi di concentramento,

lo facevano perché erano

così poveri da dover ruba-

re le scarpe per non anda-

re a piedi nudi e certamen-

te non potevano dividere

un pane che non bastava

neppure per loro. Doman-

da: è una giustificazione?

O è l’espressione più chia-

ra ed evidente di quanto

una guerra può trasforma-

re degli esseri umani,

quanto meno normali in

condizioni normali, in be-

stie?II III

Non è Buchenwald, non è Mauthausen, non è Auschwitz. Le foto provengono dal campo di concetramento e stermi-nio creato dall’Esercito Italiano nell’isola di Arbe (Rab) durante il tentativo di genocidio etnico del popolo slovenonella follia della “italianizzazione” delle aree della Slovenia e della Dalmazia lasciate al governo italiano dall’eserci-to tedesco che aveva travolto le difese serbe. Arbe era uno dei campi “nascosti” d’internamento della popolazione ci-vile slovena creati dall’esercito italiano per rappresaglia alla resistenza partigiana iugoslava che continuava a in-fliggere pesanti perdite agli invasori. La particolarità di Arbe, come degli altri simili campi di stermino, era datadalla presenza solamente di bambini, donne e anziani, perchè i giovani partigiani non venivano mai catturati. Dal-le tombe censite ad Arbe sono stati stimati 1.500 morti su una popolazione di circa 15.000 internati. Simon Wiesen-thal, tuttavia, ha stimato le morti in oltre 4.000, circa un terzo degli internati. Le cause delle morti furono essenzial-mente la fame, il freddo e le malattie epidemiche per mancanza di qualsiasi cura, considerando che l’occultamentodei campi impediva alla Croce Rossa ogni intervento umanitario. La shoah è stata una tragedia indiscutibilmenteenorme alla quale non sono stati estranei il governo e il popolo italiano, il genocidio sloveno è però un fatto total-mente italiano che l’opportunismo del cambio di alleanze da parte dei “reali” piemontesi in fuga e l’eroica resistenzadei partigiani italiani, sottraendo l’Italia al tribunale per i crimini di guerra, ha impedito di accertare e punire.E’ giusto celebrare il “giorno della memoria” dello sterminio ebraico e ricordarlo incessantemente alle nostre nuovegenerazioni, ma è fuori discussione che ai “figli dei figli” dei criminali di Arbe dovrebbero anzitutto essere ricordati icrimini commessi dai loro avi, motivatamente e documentalmente rifiutando la aberrante logica del “conto pari”delle asseite foibe jugoslave.

Nella primavera del 1941

l’esercito tedesco travolge

le difese del Regno di Ju-

goslavia che viene fram-

mentato in una serie di

stati e distretti distinti a

seconda dell’etnia e del-

l’influenza politica degli

alleati dell’Asse. All’Italia,

accorsa con il suo esercito

dopo il collasso della Jugo-

slavia, viene assegnata la

Slovenia, parte delle coste

dalmate sino a Cattaro e il

Montenegro in “ono-

re” della regina Ele-

na. La Croazia viene

costituita in regno

formalmente incoro-

nando il “nobile” Ai-

mone di Savoia Ao-

sta duca di Spoleto,

che in verità non sa-

lirà mai al trono, e

affidata concreta-

mente al governo del

criminale nazista

Ante Pavelic. Al mo-

mento dell’ingresso

dell’esercito italiano

nel territorio jugo-

slavo la presenza di

cittadini di origine e

lingua italiana era

estremamente mo-

desta ed essenzial-

mente concentrata

nell’Istria. Nessuna pre-

senza significativa italia-

na, così come nessuna in-

fluenza economica, com-

merciale o cultuale inter-

correva tra l’Italia e la con-

finante Slovenia. Nella fol-

lia imperiale propria del

fascismo, ma pienamente

condivisa dalla casa reale

piemontese e dalle classi

dominanti italiane, nacque

allora l’idea della creazio-

ne di una provincia slove-

na parte integrante del ter-

ritorio del Regno d’Italia.

Ebbe così inizio un proces-

so italianizzazione di quei

territori che, da culturale

con la soppressione

della lingua slovena e

l’imposizione di quel-

la italiana, l’allontana-

mento dei non italiani

da ogni impiego pub-

blico e soprattutto

dell’insegnamento,

ben presto si trasfor-

mò in una vera e pro-

pria pulizia etnica,

portata all’estremo di

una folle proposta

avanzata a Mussolini

da Italo Sauro, figlio

dell’eroe Nazario della

prima guerra mondia-

le, di deportare tutti i

giovani sloveni ultra

quattordicenni in Ger-

mania, soluzione “per

fortuna” respinta da-

gli stessi tedeschi. La

brutalità e la violenza del-

l’occupazione italiana pro-

vocò una reazione di resi-

stenza nei territori occu-

pati dagli italiani non mi-

nore di quella sorta nei re-

stanti territori della ex Ju-

goslavia sotto il dominio

tedesco. L’esercito italia-

no, nonostante l’impiego

di truppe scelte dei grana-

tieri di Sardegna e un con-

sistente numero di Carabi-

nieri Reali, non riuscì mai

a tenere testa alla resisten-

za slava, nonostante tre

successive offensive a va-

sto raggio, alcune con l’im-

piego dei mercenari cetni-

ci e l’aiuto di reparti tede-

schi. La risposta a tale im-

potenza fu l’avvio di una

strategia di “terra brucia-

ta”, con il sistematico sac-

cheggio dei paesi, la di-

struzione di interi villaggi

e la deportazione massic-

cia di civili presunti soste-

nitori della resistenza. Nel-

la quasi totalità si trattava

di donne, bambini e anzia-

ni non in grado di unirsi

alla resistenza. A tal fine

vennero creati numerosi

campi di concentramento,

taluni anche nell’Italia cen-

trale in Toscana e in Um-

bria, dove vennero concen-

trati circa 30.000 deporta-

ti. Nel febbraio 1942, al

massimo dell’impotenza

della guerra contro la resi-

stenza slava sempre più

forte e sostenuta dalla po-

polazione, l’esercito italia-

no circondò la capitale del-

la provincia, Lubiana, con

un reticolato di filo spina-

to in cerchi concentrici

lungo circa 41 chilometri,

passando al setaccio quar-

tiere per quartiere la città.

Nel corso dei circa 29 me-

si di occupazione italiana

della Slovenia, tra fucilati e

morti nei campi di concen-

tramento, vennero uccisi

circa 13.000 sloveni pari al

2,6% della popolazione.

Già prima dell’armistizio

dell’8 settembre 1943 i

rapporti di forza tra l’eser-

cito occupante e la resi-

stenza jugoslava unificata

sotto la guida di Tito e del

partito comunista, erano

totalmente cambiati ed eb-

be inizio una rotta disa-

strosa dell’esercito italia-

no che venne fermata solo

dalla durezza dello scon-

tro ancora in corso tra

l’esercito di liberazione ju-

goslavo e le truppe tede-

sche (va ricordato che i

partigiani jugoslavi in que-

gli anni impegnarono da

soli un numero di divisio-

ne tedesche equivalente a

quello di quelle impegnate

dal fronte alleato in Italia).

Il successivo passaggio

dell’Italia dalla parte degli

alleati e, soprattutto gli ac-

cordi di Yalta, all’epoca ri-

spettati dai comunisti ju-

goslavi, impedirono l’an-

nessione dell’area di Trie-

ste alla nuova Repubblica

Jugoslava, ma invertirono

totalmente il processo di

italianizzazione della Dal-

mazia e della Slovenia a

vantaggio del ritorno nelle

loro case e territori degli

slavi deportati dall’eserci-

to italiano. Il revisionismo

storico, forte della sottra-

zione della nuova Italia an-

tifascista e repubblicana ai

processi per i crimini di

guerra intrapresi a carico

dei nazisti tedeschi, ha

cercato di “pareggiare” il

conto della barbarie del-

l’occupazione italiana con

le reazioni, certamente

non meno dure e vendica-

tive, della resistenza jugo-

slava vincitrice. E’ nata co-

sì la retorica delle “foibe”

(cavità naturali del terreno

carsico istriano) nelle qua-

li sarebbero state sepolte

collettivamente le vittime

delle vendetta slava. E’ si-

curamente un dato storico

e assolutamente (quanto

bestialmente) coerente

con la barbarie dei tempi,

quello di una sanguinosa

vendetta della resistenza

slava tornata nel possesso

dei propri territori liberati

dall’occupazione militare

straniera, anche se non vi

Un esercito di “morti di fame”che rubava le scarpe ai deportati

per non andare a piedi scalzi

Nel 1993 l’Italia partecipò

con il suo esercito alla mis-

sione IBIS deliberata dal-

l’ONU per ripristinare la pa-

ce nella Somalia del dopo

Siad Barre, incendiata dalle

guerre tribali e religiose.

L’Italia vi partecipò dappri-

ma con la divisione di para-

cadutisti della Folgore, co-

mandata dal colonnello Loi,

poi sostituita dal battaglio-

ne S. Marco dei Lagunari.

L’esito della missione mili-

tare, che oltre l’Italia vide

l’impiego anche di truppe di

altri paesi, fu sostanzial-

mente nullo nel breve perio-

do, disastroso in quello lun-

go che, com’è noto, ci mo-

stra ancora oggi una situa-

zione di guerra civile per

bande mercenarie, intrise di

fondamentalismi religiosi,

fino alla comparsa di stabili

e vaste organizzazioni di pi-

rati del mare. Le responsabi-

lità politiche della disastro

somalo sono enormi e risal-

gono già prima della guerra

mondiale e poi al decennio

di protettorato italiano post

bellico. Più gravi ancora le

responsabilità morali che

hanno visto sotto un forte

legame politico tra i sociali-

smo italiano e il sedicente

socialismo somalo, una

enormità di intrighi econo-

mici, finanziari e commer-

ciali con il pesante coinvol-

gimento di importanti so-

cietà italiane. Per chi lo ri-

corda ancora fu proprio nel

corso dell’indagine su que-

ste connivenze trasversali

politico economiche italiane

che venne uccisa la giorna-

lista Ilaria Alpi. Ma se que-

sto non fosse sufficiente oc-

correrà ancora ricordare la

vergogna del comporta-

mento delle nostre truppe

ai danni della popolazione

“soccorsa”. Già durante l’in-

tervento “umanitario”

emersero documenti che

provavano il compimento

da parte di soldati italiani di

crimini di violenza, torture,

sevizie, stupri. Sui fatti ven-

nero aperte diverse inchie-

ste giudiziarie sia da parte

della magistratura militare

che da quella civile italiano,

nonché costituita una com-

missione d’inchiesta parla-

mentare. Tutte le inchieste

vennero insabbiate. I due

comandanti del contingen-

te italiano dapprima si auto

sospesero, poi, placate le ac-

que, vennero perfino pro-

mossi. L’unico condannato

in primo grado, poi prescrit-

to in appello, fu il soldato

Emilio Ercole (18 mesi per

“abuso d’autorità”) in quan-

to indiscutibilmente “im-

mortalato” in una foto men-

tre applicava dei cavi elettri-

ci ai genitali di un ragazzo

somalo legato a terra

Somalia 1993Missione “umanitaria” 1

Iraq 2004Missione “umanitaria” 2

Dal giugno 1940, al settem-

bre 1943, l'esercito italiano

combatté la stessa guerra di

aggressione della Germania

nazista.! La lotta contro i

"banditi" slavi o greci, fu

condotta con modalità di

guerra dure, talvolta spieta-

te, che in Grecia furono rese

ancor più aspre dalla penu-

ria alimentare. Le autorità

greche segnalarono stupri

di massa. Il comando tede-

sco in Macedonia arrivò a

protestare con gli italiani

per il ripetersi delle violenze

contro i civili. Il capo della

polizia di Elassona, Nikola-

os Bavaris, scrisse una lette-

ra di denuncia ai comandi

italiani e alla Croce rossa in-

ternazionale: "Vi vantate di

essere il Paese più civile

d'Europa, ma crimini come

questi sono commessi solo

da barbari". Fu internato,

torturato, deportato in Ita-

lia. Il 16 febbraio 1943 a Do-

menikon, un piccolo villag-

gio della Grecia centrale si-

tuato in Tessaglia, l'intera

popolazione maschile tra i

14 e gli 80 anni venne truci-

data. Nei dintorni di Dome-

nikon, poco prima della

strage, un attacco partigia-

no aveva provocato la mor-

te di 9 soldati italiani. Il ge-

nerale della divisione Pine-

rolo Cesare Benelli, ordinò

la repressione: centinaia di

uomini circondarono il vil-

laggio, rastrellarono la po-

polazione e catturarono più

di 150 uomini dai 14 agli 80

anni. Li tennero in ostaggio

fino a che, nel cuore della

notte, procedettero alla fuci-

lazione. L'episodio rappre-

senta uno dei più efferati

crimini di guerra commessi

dall'Italia durante la Secon-

da guerra mondiale.! Questo

episodio non fu sporadico:

secondo la storica Lidia San-

tarelli fu il primo di una se-

rie di episodi repressivi nel-

la primavera-estate 1943

conseguenti a una circolare

del generale Carlo Geloso,

comandante delle forze ita-

liane di occupazione, in cui

per ciò che concerne la lotta

ai ribelli si adottò il princi-

pio cardine della responsa-

bilità collettiva; per annien-

tare il movimento partigia-

no, quindi, andavano an-

nientate le comunità locali.

Grecia: una faccia una razza?La strage di Domenikon

Sulle ragioni della partecipa-

zione del nostro esercito al-

l’aggressione, invasione e

devastazione dell’Iraq ab-

biamo già scritto in un pre-

cedente inserto specifica-

mente dedicato al massacro

iracheno. Nel breve articolo

dedicato alla presenza del

contingente italiano in Iraq

abbiamo spiegato, richia-

mando informazioni rese

note dalla stessa ENI, il per-

ché dell’assegnazione pro-

prio agli italiani dell’area di

Nassirya dove la compagnia

petrolifera italiana aveva ot-

tenuto dal perfido “rais”

delle importantissime con-

cessioni per l’estrazione del

petrolio. Che non si è tratta-

to di una missione umanita-

ria, semmai qualcuno aves-

se avuto all’epoca dei dubbi,

i fatti di poi hanno dimo-

strato la sfacciata pretestuo-

sità delle giustificazioni in-

ventate dagli USA. Così co-

m’è oggi chiaro il disastro

che l’invasione ha provoca-

to all’intero paese ridotto in

miseria, sprofondato nel ca-

os, nell’illegalità e nella vio-

lenza praticamente assolu-

ta. Ma che non si era tratta-

to di una missione umanita-

ria era stato ben chiaro subi-

to anche a nostri soldati, ca-

lati una realtà di vera pro-

pria guerra di resistenza

contro gli eserciti invasori e

questo indifferentemente

dalle simpatie della popola-

zione “liberata” dalla ditta-

tura per il rais Saddam. E di

vera e propria guerra fu l’ap-

proccio della nostre truppe

nel controllo del territorio,

culminato con la così detta

“battaglia dei ponti” quan-

do, nella notte tra il 5 e il 6

agosto del 2004, i soldati

italiani, in preda al panico e

nella totale impreparazione

e disordine organizzativo

dei comandi si trovarono a

fare fuoco su civili, facendo

saltare un’ambulanza e un

autobus. Anche questi fatti

furono sempre negati dai

comandi e dai politici italia-

ni, ma le registrazioni delle

comunicazioni audio tra i

nostri soldati testimoniano

senza ombra di dubbio che

vi fu l’ordine di sparare su

qualsiasi cosa si muovesse,

anzi “annichilire” come eb-

be modo di gridare trionfal-

mente uno dei tiratori italia-

ni dopo avere “steso” qual-

cuno, qualcuno uomo, don-

na, civile, terrorista, qualcu-

no, uno qualsiasi insomma,

comunque un iracheno.

Page 3: Inserto "Quale onore" - Giugno 2011

sono dati certi, cioè reali e

verificati, dei numeri di ta-

li ritorsioni (includendovi

peraltro anche quelle legit-

timate dalle responsabilità

criminali di molti degli oc-

cupanti italiani). Non si

tratta qui (e comunque

mai) di confrontare nume-

ri, né di cercare giustifica-

zioni di azione/reazione

(che pure hanno un loro

indubbio significato politi-

co ed etico), quanto di vo-

ler richiamare la

memoria e la con-

sapevolezza di

una responsabilità

storica che se non

riconosciuta, am-

messa e denuncia-

ta, può riprodurre

nel futuro analo-

ghe, se non pro-

prio identiche, vi-

cende di violenza

e bestialità, e que-

sto, purtroppo, è

accaduto e non

una sola volta e

neppure in un re-

moto passato, an-

zi forse proprio

oggi si sta ripeten-

do con la follia

della guerra “uma-

nitaria” in Libia.

Un’ultima nota non di po-

ca importanza. Le vicende

narrate sono, come ogni

notizia, dato o informazio-

ne pubblicata da questo

giornale, verificate e verifi-

cabili. Se andrete negli ap-

positi siti internet le trove-

rete narrate anche una

crudezza e violenza assai

maggiore. In quei siti (o al-

meno in taluni di essi) tro-

verete però anche una “im-

barazzante” tesi giustifica-

tiva del comportamento

della “brava gente” italiana

che in brevissima sintesi

afferma: gli italiani non so-

no stati da meno dei tede-

schi nel compiere

atti di violenza ai

danni dei popoli in-

vasi, i tedeschi tut-

tavia lo facevano

perché era nella lo-

ro “natura crimina-

le”, gli italiani no,

gli italiani lo faceva-

no perché erano dei

pezzenti come e

forse persino di più

dei popoli violenta-

ti. Così quando i

“bravi” soldati ita-

liani durante un ra-

strellamento dei vil-

laggi sloveni sac-

cheggiavano le case

prima di bruciarle e

inviavano ai loro

parenti in Italia vec-

chie scarpe, vestiti

usati, pentole e posate, e

poi facevano morire di

freddo, malattie e fame i

vecchie e i bambini nei

campi di concentramento,

lo facevano perché erano

così poveri da dover ruba-

re le scarpe per non anda-

re a piedi nudi e certamen-

te non potevano dividere

un pane che non bastava

neppure per loro. Doman-

da: è una giustificazione?

O è l’espressione più chia-

ra ed evidente di quanto

una guerra può trasforma-

re degli esseri umani,

quanto meno normali in

condizioni normali, in be-

stie?II III

Non è Buchenwald, non è Mauthausen, non è Auschwitz. Le foto provengono dal campo di concetramento e stermi-nio creato dall’Esercito Italiano nell’isola di Arbe (Rab) durante il tentativo di genocidio etnico del popolo slovenonella follia della “italianizzazione” delle aree della Slovenia e della Dalmazia lasciate al governo italiano dall’eserci-to tedesco che aveva travolto le difese serbe. Arbe era uno dei campi “nascosti” d’internamento della popolazione ci-vile slovena creati dall’esercito italiano per rappresaglia alla resistenza partigiana iugoslava che continuava a in-fliggere pesanti perdite agli invasori. La particolarità di Arbe, come degli altri simili campi di stermino, era datadalla presenza solamente di bambini, donne e anziani, perchè i giovani partigiani non venivano mai catturati. Dal-le tombe censite ad Arbe sono stati stimati 1.500 morti su una popolazione di circa 15.000 internati. Simon Wiesen-thal, tuttavia, ha stimato le morti in oltre 4.000, circa un terzo degli internati. Le cause delle morti furono essenzial-mente la fame, il freddo e le malattie epidemiche per mancanza di qualsiasi cura, considerando che l’occultamentodei campi impediva alla Croce Rossa ogni intervento umanitario. La shoah è stata una tragedia indiscutibilmenteenorme alla quale non sono stati estranei il governo e il popolo italiano, il genocidio sloveno è però un fatto total-mente italiano che l’opportunismo del cambio di alleanze da parte dei “reali” piemontesi in fuga e l’eroica resistenzadei partigiani italiani, sottraendo l’Italia al tribunale per i crimini di guerra, ha impedito di accertare e punire.E’ giusto celebrare il “giorno della memoria” dello sterminio ebraico e ricordarlo incessantemente alle nostre nuovegenerazioni, ma è fuori discussione che ai “figli dei figli” dei criminali di Arbe dovrebbero anzitutto essere ricordati icrimini commessi dai loro avi, motivatamente e documentalmente rifiutando la aberrante logica del “conto pari”delle asseite foibe jugoslave.

Nella primavera del 1941

l’esercito tedesco travolge

le difese del Regno di Ju-

goslavia che viene fram-

mentato in una serie di

stati e distretti distinti a

seconda dell’etnia e del-

l’influenza politica degli

alleati dell’Asse. All’Italia,

accorsa con il suo esercito

dopo il collasso della Jugo-

slavia, viene assegnata la

Slovenia, parte delle coste

dalmate sino a Cattaro e il

Montenegro in “ono-

re” della regina Ele-

na. La Croazia viene

costituita in regno

formalmente incoro-

nando il “nobile” Ai-

mone di Savoia Ao-

sta duca di Spoleto,

che in verità non sa-

lirà mai al trono, e

affidata concreta-

mente al governo del

criminale nazista

Ante Pavelic. Al mo-

mento dell’ingresso

dell’esercito italiano

nel territorio jugo-

slavo la presenza di

cittadini di origine e

lingua italiana era

estremamente mo-

desta ed essenzial-

mente concentrata

nell’Istria. Nessuna pre-

senza significativa italia-

na, così come nessuna in-

fluenza economica, com-

merciale o cultuale inter-

correva tra l’Italia e la con-

finante Slovenia. Nella fol-

lia imperiale propria del

fascismo, ma pienamente

condivisa dalla casa reale

piemontese e dalle classi

dominanti italiane, nacque

allora l’idea della creazio-

ne di una provincia slove-

na parte integrante del ter-

ritorio del Regno d’Italia.

Ebbe così inizio un proces-

so italianizzazione di quei

territori che, da culturale

con la soppressione

della lingua slovena e

l’imposizione di quel-

la italiana, l’allontana-

mento dei non italiani

da ogni impiego pub-

blico e soprattutto

dell’insegnamento,

ben presto si trasfor-

mò in una vera e pro-

pria pulizia etnica,

portata all’estremo di

una folle proposta

avanzata a Mussolini

da Italo Sauro, figlio

dell’eroe Nazario della

prima guerra mondia-

le, di deportare tutti i

giovani sloveni ultra

quattordicenni in Ger-

mania, soluzione “per

fortuna” respinta da-

gli stessi tedeschi. La

brutalità e la violenza del-

l’occupazione italiana pro-

vocò una reazione di resi-

stenza nei territori occu-

pati dagli italiani non mi-

nore di quella sorta nei re-

stanti territori della ex Ju-

goslavia sotto il dominio

tedesco. L’esercito italia-

no, nonostante l’impiego

di truppe scelte dei grana-

tieri di Sardegna e un con-

sistente numero di Carabi-

nieri Reali, non riuscì mai

a tenere testa alla resisten-

za slava, nonostante tre

successive offensive a va-

sto raggio, alcune con l’im-

piego dei mercenari cetni-

ci e l’aiuto di reparti tede-

schi. La risposta a tale im-

potenza fu l’avvio di una

strategia di “terra brucia-

ta”, con il sistematico sac-

cheggio dei paesi, la di-

struzione di interi villaggi

e la deportazione massic-

cia di civili presunti soste-

nitori della resistenza. Nel-

la quasi totalità si trattava

di donne, bambini e anzia-

ni non in grado di unirsi

alla resistenza. A tal fine

vennero creati numerosi

campi di concentramento,

taluni anche nell’Italia cen-

trale in Toscana e in Um-

bria, dove vennero concen-

trati circa 30.000 deporta-

ti. Nel febbraio 1942, al

massimo dell’impotenza

della guerra contro la resi-

stenza slava sempre più

forte e sostenuta dalla po-

polazione, l’esercito italia-

no circondò la capitale del-

la provincia, Lubiana, con

un reticolato di filo spina-

to in cerchi concentrici

lungo circa 41 chilometri,

passando al setaccio quar-

tiere per quartiere la città.

Nel corso dei circa 29 me-

si di occupazione italiana

della Slovenia, tra fucilati e

morti nei campi di concen-

tramento, vennero uccisi

circa 13.000 sloveni pari al

2,6% della popolazione.

Già prima dell’armistizio

dell’8 settembre 1943 i

rapporti di forza tra l’eser-

cito occupante e la resi-

stenza jugoslava unificata

sotto la guida di Tito e del

partito comunista, erano

totalmente cambiati ed eb-

be inizio una rotta disa-

strosa dell’esercito italia-

no che venne fermata solo

dalla durezza dello scon-

tro ancora in corso tra

l’esercito di liberazione ju-

goslavo e le truppe tede-

sche (va ricordato che i

partigiani jugoslavi in que-

gli anni impegnarono da

soli un numero di divisio-

ne tedesche equivalente a

quello di quelle impegnate

dal fronte alleato in Italia).

Il successivo passaggio

dell’Italia dalla parte degli

alleati e, soprattutto gli ac-

cordi di Yalta, all’epoca ri-

spettati dai comunisti ju-

goslavi, impedirono l’an-

nessione dell’area di Trie-

ste alla nuova Repubblica

Jugoslava, ma invertirono

totalmente il processo di

italianizzazione della Dal-

mazia e della Slovenia a

vantaggio del ritorno nelle

loro case e territori degli

slavi deportati dall’eserci-

to italiano. Il revisionismo

storico, forte della sottra-

zione della nuova Italia an-

tifascista e repubblicana ai

processi per i crimini di

guerra intrapresi a carico

dei nazisti tedeschi, ha

cercato di “pareggiare” il

conto della barbarie del-

l’occupazione italiana con

le reazioni, certamente

non meno dure e vendica-

tive, della resistenza jugo-

slava vincitrice. E’ nata co-

sì la retorica delle “foibe”

(cavità naturali del terreno

carsico istriano) nelle qua-

li sarebbero state sepolte

collettivamente le vittime

delle vendetta slava. E’ si-

curamente un dato storico

e assolutamente (quanto

bestialmente) coerente

con la barbarie dei tempi,

quello di una sanguinosa

vendetta della resistenza

slava tornata nel possesso

dei propri territori liberati

dall’occupazione militare

straniera, anche se non vi

Un esercito di “morti di fame”che rubava le scarpe ai deportati

per non andare a piedi scalzi

Nel 1993 l’Italia partecipò

con il suo esercito alla mis-

sione IBIS deliberata dal-

l’ONU per ripristinare la pa-

ce nella Somalia del dopo

Siad Barre, incendiata dalle

guerre tribali e religiose.

L’Italia vi partecipò dappri-

ma con la divisione di para-

cadutisti della Folgore, co-

mandata dal colonnello Loi,

poi sostituita dal battaglio-

ne S. Marco dei Lagunari.

L’esito della missione mili-

tare, che oltre l’Italia vide

l’impiego anche di truppe di

altri paesi, fu sostanzial-

mente nullo nel breve perio-

do, disastroso in quello lun-

go che, com’è noto, ci mo-

stra ancora oggi una situa-

zione di guerra civile per

bande mercenarie, intrise di

fondamentalismi religiosi,

fino alla comparsa di stabili

e vaste organizzazioni di pi-

rati del mare. Le responsabi-

lità politiche della disastro

somalo sono enormi e risal-

gono già prima della guerra

mondiale e poi al decennio

di protettorato italiano post

bellico. Più gravi ancora le

responsabilità morali che

hanno visto sotto un forte

legame politico tra i sociali-

smo italiano e il sedicente

socialismo somalo, una

enormità di intrighi econo-

mici, finanziari e commer-

ciali con il pesante coinvol-

gimento di importanti so-

cietà italiane. Per chi lo ri-

corda ancora fu proprio nel

corso dell’indagine su que-

ste connivenze trasversali

politico economiche italiane

che venne uccisa la giorna-

lista Ilaria Alpi. Ma se que-

sto non fosse sufficiente oc-

correrà ancora ricordare la

vergogna del comporta-

mento delle nostre truppe

ai danni della popolazione

“soccorsa”. Già durante l’in-

tervento “umanitario”

emersero documenti che

provavano il compimento

da parte di soldati italiani di

crimini di violenza, torture,

sevizie, stupri. Sui fatti ven-

nero aperte diverse inchie-

ste giudiziarie sia da parte

della magistratura militare

che da quella civile italiano,

nonché costituita una com-

missione d’inchiesta parla-

mentare. Tutte le inchieste

vennero insabbiate. I due

comandanti del contingen-

te italiano dapprima si auto

sospesero, poi, placate le ac-

que, vennero perfino pro-

mossi. L’unico condannato

in primo grado, poi prescrit-

to in appello, fu il soldato

Emilio Ercole (18 mesi per

“abuso d’autorità”) in quan-

to indiscutibilmente “im-

mortalato” in una foto men-

tre applicava dei cavi elettri-

ci ai genitali di un ragazzo

somalo legato a terra

Somalia 1993Missione “umanitaria” 1

Iraq 2004Missione “umanitaria” 2

Dal giugno 1940, al settem-

bre 1943, l'esercito italiano

combatté la stessa guerra di

aggressione della Germania

nazista.! La lotta contro i

"banditi" slavi o greci, fu

condotta con modalità di

guerra dure, talvolta spieta-

te, che in Grecia furono rese

ancor più aspre dalla penu-

ria alimentare. Le autorità

greche segnalarono stupri

di massa. Il comando tede-

sco in Macedonia arrivò a

protestare con gli italiani

per il ripetersi delle violenze

contro i civili. Il capo della

polizia di Elassona, Nikola-

os Bavaris, scrisse una lette-

ra di denuncia ai comandi

italiani e alla Croce rossa in-

ternazionale: "Vi vantate di

essere il Paese più civile

d'Europa, ma crimini come

questi sono commessi solo

da barbari". Fu internato,

torturato, deportato in Ita-

lia. Il 16 febbraio 1943 a Do-

menikon, un piccolo villag-

gio della Grecia centrale si-

tuato in Tessaglia, l'intera

popolazione maschile tra i

14 e gli 80 anni venne truci-

data. Nei dintorni di Dome-

nikon, poco prima della

strage, un attacco partigia-

no aveva provocato la mor-

te di 9 soldati italiani. Il ge-

nerale della divisione Pine-

rolo Cesare Benelli, ordinò

la repressione: centinaia di

uomini circondarono il vil-

laggio, rastrellarono la po-

polazione e catturarono più

di 150 uomini dai 14 agli 80

anni. Li tennero in ostaggio

fino a che, nel cuore della

notte, procedettero alla fuci-

lazione. L'episodio rappre-

senta uno dei più efferati

crimini di guerra commessi

dall'Italia durante la Secon-

da guerra mondiale.! Questo

episodio non fu sporadico:

secondo la storica Lidia San-

tarelli fu il primo di una se-

rie di episodi repressivi nel-

la primavera-estate 1943

conseguenti a una circolare

del generale Carlo Geloso,

comandante delle forze ita-

liane di occupazione, in cui

per ciò che concerne la lotta

ai ribelli si adottò il princi-

pio cardine della responsa-

bilità collettiva; per annien-

tare il movimento partigia-

no, quindi, andavano an-

nientate le comunità locali.

Grecia: una faccia una razza?La strage di Domenikon

Sulle ragioni della partecipa-

zione del nostro esercito al-

l’aggressione, invasione e

devastazione dell’Iraq ab-

biamo già scritto in un pre-

cedente inserto specifica-

mente dedicato al massacro

iracheno. Nel breve articolo

dedicato alla presenza del

contingente italiano in Iraq

abbiamo spiegato, richia-

mando informazioni rese

note dalla stessa ENI, il per-

ché dell’assegnazione pro-

prio agli italiani dell’area di

Nassirya dove la compagnia

petrolifera italiana aveva ot-

tenuto dal perfido “rais”

delle importantissime con-

cessioni per l’estrazione del

petrolio. Che non si è tratta-

to di una missione umanita-

ria, semmai qualcuno aves-

se avuto all’epoca dei dubbi,

i fatti di poi hanno dimo-

strato la sfacciata pretestuo-

sità delle giustificazioni in-

ventate dagli USA. Così co-

m’è oggi chiaro il disastro

che l’invasione ha provoca-

to all’intero paese ridotto in

miseria, sprofondato nel ca-

os, nell’illegalità e nella vio-

lenza praticamente assolu-

ta. Ma che non si era tratta-

to di una missione umanita-

ria era stato ben chiaro subi-

to anche a nostri soldati, ca-

lati una realtà di vera pro-

pria guerra di resistenza

contro gli eserciti invasori e

questo indifferentemente

dalle simpatie della popola-

zione “liberata” dalla ditta-

tura per il rais Saddam. E di

vera e propria guerra fu l’ap-

proccio della nostre truppe

nel controllo del territorio,

culminato con la così detta

“battaglia dei ponti” quan-

do, nella notte tra il 5 e il 6

agosto del 2004, i soldati

italiani, in preda al panico e

nella totale impreparazione

e disordine organizzativo

dei comandi si trovarono a

fare fuoco su civili, facendo

saltare un’ambulanza e un

autobus. Anche questi fatti

furono sempre negati dai

comandi e dai politici italia-

ni, ma le registrazioni delle

comunicazioni audio tra i

nostri soldati testimoniano

senza ombra di dubbio che

vi fu l’ordine di sparare su

qualsiasi cosa si muovesse,

anzi “annichilire” come eb-

be modo di gridare trionfal-

mente uno dei tiratori italia-

ni dopo avere “steso” qual-

cuno, qualcuno uomo, don-

na, civile, terrorista, qualcu-

no, uno qualsiasi insomma,

comunque un iracheno.

Page 4: Inserto "Quale onore" - Giugno 2011

IV

La guerra, questo mostro che porta gli uomini a massacrarsi gli uni con glialtri, finirà con l'essere eliminata dallo sviluppo della società umana, e in unfuturo non molto lontano. Ma per eliminarla vi è un solo mezzo: opporre laguerra alla guerra. La storia conosce solo due tipi di guerre: le guerre

giuste e le guerre ingiuste. Tutte le guerre rivoluzionarie sono giuste. ( Mao)

Brigate Internazionali fu ilnome collettivo dato aigruppi di volontari che sirecarono in Spagna, perappoggiare l'esercito re-pubblicano e combatterele forze fasciste comanda-te dal generale FranciscoFranco, durante la guerracivile spagnola. Le BrigateInternazionali si distinse-ro nella difesa di Madrid ein particolare nella batta-glia di Guadalajara. Il 21settembre 1938 il primoministro spagnolo JuanNegrín, su pressione delledemocrazie occidentaliimpegnate nella politica dinon intervento, decise il ri-tiro dal fronte delle Briga-te internazionali. Il totaledei volontari intervenuti inSpagna sotto l'egida delleBrigate internazionali fu dicirca 59.000 unità, di cuicirca la metà risultaronoalla fine della guerra “di-spersi” (verosimilmentepassati nelle file dell’eser-cito regolare o comunquein clandestinità). I primicontingenti delle BrigateInternazionali furono so-stenuti logisticamente dalComintern. I volontari

Di tutti i popoli, di tutte le razze, veniste a noi come fratelli,figli della Spagna immortale,

e nei giorni più duri della nostra guerra,quando la capitale della Repubblica spagnola era minacciata,

foste voi, valorosi compagni delle Brigate Internazionali,che contribuiste a salvarla con il vostro entusiasmo combattivo,

il vostro eroismo e il vostro spirito di sacrificio(Dolores Ibarruri, la “Pasionaria”)

La Divisione Ravenna“Armata Bulow””

giunsero daben 53 nazionidei cinque con-tinenti. OgniBrigata erasuddivisa inbattaglioni. Pri-ma delle Briga-te Internazio-nali si costitui-rono dellespontanee co-lonne, come laColonna Italia-

na di ispirazione prevalen-temente libertaria e gielli-sta (Giustizia e Libertà)creata da Carlo Rosselli,Mario Angeloni e CamilloBerneri o come la CenturiaGastone Sozzi formata dacomunisti che, al suo scio-glimento, confluì nel Bat-taglione Garibaldi formatoa fine ottobre '36. Occorreanche ricordare che diver-si anarchici, come quellidella Colonna Italiana, nonvollero entrare nel ricosti-tuito Esercito Popolare elasciarono la Spagna. Icontingenti più numerosierano costituiti da: france-si (circa 9.000) tedeschi(circa 5000), Italiani (circa4050), statunitensi (circa3000), britannici (circa2.000) e canadesi (circa1.000). In rapporto al nu-mero della popolazionedel paese d'origine, il con-tingente più numeroso fuquello cubano: 800 volon-tari. Fra loro va ricordatol'intellettuale Pablo de laTorriente Brau, caduto inbattaglia, che lasciò scrittauna delle più calzanti fra-si circa l'epopea interna-zionalista e combattente

All’inizio nel 1944 nel-l’area di Ravenna comin-ciarono a formarsi nume-rose brigate partigiane cheprogressivamente conflui-rono nella 28 Brigata Gari-baldi “Mario Gordini”. Aorganizzarla e comandar-la fu Arrigo Boldrini, nomedi battaglia “Bulow”. La no-vità della tecnica di com-battimento della 28 Briga-ta fu nella scelta della di-scesa dalle montagne inpianura. La Divisione Ra-venna, o Armata Bulow,forte di circa 1.000 uominiaffrontò ripetutamentescontri in campo apertocon le forze tedesche e lebrigate di camice nere cheinfestavano la Romagna.

La forza di combattimentoe la capacità militare del-l’Armata fece sì che fu pro-prio la divisione partigianaa liberare Ravenna conuna operazione ideata ediretta dal ComandanteBulow e appoggiata in se-conda linea dalle truppealleate. Con l’avanzare delfronte alleato oltre la “li-nea gotica”, le brigate par-tigiane che già operavanodietro le linee tedescheconfluivano nel ricostitui-to esercito italiano, ancorachiamato Corpo dei Volon-tari della Libertà, costi-tuendo i due gruppi dicombattimento Friuli eCremona (il terzo, Legna-no, non farà in tempo a en-

in Spagna, "Per noi, oggi, ilconcetto di Patria è Uni-versale." Nelle Brigate In-ternazionali militaronomolti noti personaggi del-la politica e della cultura:gli inglesi George Orwell eStephen Spender, JohnCornford; i francesi Tri-stan Tzara, Simone Weil eAndré Malraux, organizza-tore di una squadriglia ae-rea di caccia; gli statuni-tensi Ernest Hemingway eDos Passos. Molti altri in-tellettuali appoggiarono leBrigate Internazionali, pursenza intervenire militar-mente nella guerra civile,fra questi Samuel Beckett,Bertolt Brecht, Pearl Buck,William Faulkner, Pa-blo Neruda, StephenSpender, John Stein-beck e Virginia Woolf.Molti furono gli ebreiche combatterono trale file delle Brigate In-ternazionali. Un Batta-glione fu formato com-pletamente da ebreiper lo più comunisti.La battaglia più signifi-cativa per la difesa diMadrid fu quella diGuadalajara (8 marzo-23 marzo 1937). Fucombattuta tra le forzedella seconda repub-blica spagnola e nume-rose unità delle Brigate in-ternazionali da una parte,e i nazionalisti di Franci-sco Franco affiancati dalleunità del Corpo truppe vo-lontarie italiane (CTVI) dal-l'altra. La battaglia si con-cluse con il successo deirepubblicani che impedì lacaduta di Madrid. La batta-

glia iniziò con un'offensi-va fascista italiana; secon-do i piani del comandanteitaliano, generale MarioRoatta, le forze italianeavrebbero dovuto circon-dare le difese di Madrid danord-ovest e, dopo essersiriunite con i nazionalistisul fiume Jarama, insiemeavrebbero attaccato la ca-pitale. Dopo 30 minuti dicannoneggiamenti e attac-chi aerei gli italiani inizia-rono ad avanzare verso la50ma brigata repubblica-na. Grazie anche ai carrileggeri, riuscirono a spez-zare le linee nemiche, maarrivò in rinforzo la XII Bri-gata internazionale com-

posta dai battaglioni Ja-rosaw Dabrowski e Giu-seppe Garibaldi. A Torijale truppe italiane del CTVIsi scontrarono con il batta-glione italiano Garibaldisubendo una pesantesconfitta. La controffensi-va repubblicana mise infuga le truppe italiane in

Spagna 1937, battaglia di Guadalajara,la prima sconfitta del fascismo da partedella resistenza comunista

Luigi Longo, Comandante “Gallo”

preda al panico e fu soloper la maggiore resistenzadella divisione Littorio chei contingente italiano sisalvò dal disastro comple-to, organizzando una riti-rata ordinata. La battagliadi Guadalajara fu l'ultimavittoria repubblicana diuna certa importanza, an-che se inutile per le sortidel conflitto, ed ebbe ungrande effetto sul moraledelle truppe. Sul pianostrategico, la vittoria re-pubblicana evitò l'accer-chiamento di Madrid, met-tendo fine alla speranza diFranco di schiacciare laRepubblica con un assaltodecisivo alla sua capitale.

Guadalajara fu invece unduro colpo per il moraledei fascisti italiani, e unapesante perdita di presti-gio personale per il ditta-tore Benito Mussolini, cheaveva personalmente or-chestrato lo schieramentodelle sue truppe, sperandodi ricavare gloria in caso di

successo. Gli italiani per-sero circa 6.000 uomini eun considerevole numerodi carri leggeri e aerei.Inoltre, l'esercito repubbli-cano catturò una grossaquantità di equipaggia-menti di cui aveva ungrande bisogno. Le lezionitattiche della battaglia fu-rono ambigue e male in-terpretate. Il fallimentodell'offensiva italiana fuinteso come una dimostra-zione della vulnerabilità diattacchi portati avanti daunità corazzate in condi-zioni sfavorevoli e controuna difesa di fanteria benorganizzata. I comandimilitari francesi concluse-

ro che le truppe mec-canizzate non fosse-ro un elemento deci-sivo nella guerra mo-derna con un'eccezio-ne degna di nota inCharles de Gaulle. Itedeschi, invece, noncommisero questo er-rore, ritenendo il falli-mento di Guadalajarafrutto di errori ed in-competenze da partedei comandanti italia-ni. Gli unici grandiprotagonisti dellabattaglia furono i vo-lontari delle BrigateInternazionali, unita-

mente agli uomini delleunità repubblicane. In par-ticolare Guadalajara restanegli annali della 12ª Bri-gata - Battaglione Garibal-di formato dai volontariantifascisti comunisti ita-liani come la prima vitto-ria della resistenza italia-na contro il fascismo.

trare in battaglia). Questetruppe volontarie veniva-no equipaggiate e armatedagli alleati, ma organizza-te e disciplinate sotto il co-mando di ufficiali del vec-chio esercito italiano. Il lo-ro ruolo fu strategico, nonsolo sotto il profilo politi-co e morale per dimostra-

te agli alleati che l’Italia,che aveva appena rinnega-to l’alleanza con i tedeschicon l’armistizio del set-tembre 1943 e la fuga delre da Roma, aveva ancheun’ “anima” non fascista,ma soprattutto per evitarein moltissimi casi devasta-zioni alle cittadine occupa-

te dalle truppe tedeschesottoposte a massiccibombardamenti terrestrie aerei dall’esercito alleato.Agli ex partigiani, infatti,gli alleati affidarono com-piti di avanguardia e di“stanamento” delle più ar-roccate postazioni tede-sche e fasciste con com-battimenti ravvicinati cheevitavano l’uso delle armipesanti nei centri abitati.Per la sua capacità orga-nizzativa e operativa gli al-leati consentirono all’ “Ar-mata Bulow” di rimanereinquadrata autonoma-mente con i propri ufficia-li, ai quali riconobbero laparità dei gradi. L’ArmataBulow affiancò la divisionecanadese e il gruppo dicombattimento Cremonaper tutta la risalita delfronte alleato sino all’ulti-ma battaglia del Sennio

che determinò il collassodelle difese tedesche. Do-po il famoso “pernacchio”al re (al luogotenente Um-berto) tutte le formazionidi combattimento compo-ste da partigiani comunistivennero disarmate e smo-bilitate senza neppure fo-gli di congedo.

Arrigo Boldrini “Bulow”decorato con la medagliad’oro dal comandantedelle truppe alleateL’ “Armata Bulow” sfila per le vie di Ravenna liberata