IL DIALETTO DI BAGNOREGIO

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IL DIALETTO DI BAGNOREGIO NEI VERSI DI FILIPPO PAPAROZZI Flavio Frezza Include “I cinquanta sonetti di Bocella De-Caoni” (1903) e il “Glossario” di Alessandro Gaddi (1932)

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IL DIALETTO DI BAGNOREGIO NEI VERSI DI FILIPPO PAPAROZZI

Flavio Frezza

Include “I cinquanta sonetti di Bocella De-Caoni” (1903)

e il “Glossario” di Alessandro Gaddi (1932)

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IL DIALETTO DI BAGNOREGIO NEI VERSI DI FILIPPO PAPAROZZI

Flavio Frezza

Include “I cinquanta sonetti di Bocella De-Caoni” (1903)

e il “Glossario” di Alessandro Gaddi (1932)

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Presentazione - Francesco Bigiotti

Prefazione - Giuseppe Medori

Simboli e abbreviazioni

Saggio di un’analisi del dialetto bagnorese 1. Introduzione 2. Filippo Paparozzi, poeta civitonico 3.Lagrafiadelpoeta 4. Principali caratteristiche linguistiche 5. Le alterazioni linguistiche del Gaddi 6. Conclusioni

Introduzione ai sonetti

I cinquanta sonetti di Bocella De-Caoni (1903) - Filippo Paparozzi

Il glossario del Gaddi: descrizione e criteri d’edizione

Glossario (1932) - Alessandro Gaddi

Documenti orali 1. “Una questione religiosa” 2. Testi dialettali 3. Commenti linguistici Bibliografia

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INDICE

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PRESENTAZIONE

Il dialetto, le tradizioni popolari, i dettagli più minuti della cultura materiale, rappresentano, non meno degli innumere-voli pregi architettonici e paesaggistici di Bagnoregio e del suo territorio, importanti pagine della storia della nostra comunità, che abbiamo voluto omaggiare, in que-sto particolare periodo dell’anno, con una nuova pubblicazione, nella linea inaugura-ta lo scorso Natale con la stampa del bel libro di Vilma Catarcione, A la mi’ Civita: storie e vocaboli di ieri (Viterbo 2011). Il presente volume, ad opera di Flavio Frezza, studioso delle parlate della nostra Teverina, prende in esame i sonetti del poeta vernacolo di Civita di Bagnoregio, Filippo Paparozzi, dati alle stampe nel 1903, con-frontandoli con la raccolta edita nel 1932 da un altro illustre bagnorese, il prof. Alessandro Gaddi, e quindi con i testi dialettali più recenti. Ciò che più conta, forse, è che l’autore non ha voluto fermarsi alla “parola scritta”, ma ha ritenuto fondamentale intervistare alcuni nostri concittadini, soprattutto anziani, andando così a ricostruire, con le loro testimonianze, l’evoluzione di alcuni fenomeni linguistici nell’arco di ol-tre un secolo. Come è noto, i dialetti sono sottoposti ad una sempre più rapida ero-sione e trasformazione. La godibilità di un testo da parte della popolazio-ne, l’incedere dei ricordi, il rinsaldamento del sentimento comunitario, devonoquindiessereaccompagnatidaunostudiorigorosoescientificodelle nostre parlate, oggi, per ovvi motivi, non più rimandabile.

Francesco BigiottiSindaco di Bagnoregio

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Civita di Bagnoregio (foto di Massimo Calanca)

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PREFAZIONE

Flavio Frezza è autore di varie pubblicazioni che riguardano, per lo più,letradizionipopolari.Esseriflettonosoprattuttoilsuoambientee,inmodospecifico,ilterritoriodiGrotteSantoStefano,doveèvissutoconisuoigenitorieisuoinonniinalcuniperiodidell’anno.Standoinpaesee sentendo parlare la gente del volgo, ed in particolare i vecchi, quando godevanolafittaombradelleantichecase,ènatoinlui,giàinclineapro-fonde considerazioni, l’amore per questo semplice linguaggio, scoprendo in esso quelle parole dialettali che non esistono nei vocabolari. Questo modo di parlare, l’adolescente Frezza l’ha trovato vezzoso ed armonico emoltoadattoasignificareciòchequestagentevolevadire.Daquestosentire e poi dal dialogare con questi vecchi è incominciata la sua interes-sante ricerca, estendendola a molti altri paesi della Teverina. Questa terra, quasi sub-regione ad ovest del medio corso del Tevere, trovandosi nell’AltoLazio e avendoper confine la verdeUmbria e leridenticollinetoscane,èunagrandevallericcadiinfinitiidiomilecuiparole hanno molteplici declinazioni, sintagmi e modi di dire che variano di paese in paese. LostudiosoFrezza,dialcunideitantidialettièdiventatounfineeprofondo conoscitore tanto che ne può parlare in maniera disinvolta, con grande cognizione e, soprattutto, con rara passione. L’autore, con la pub-blicazione di questo ulteriore studio sul vernacolo, ci consegna un mag-giore approfondimento del dialetto rurale di queste terre e, in particolare, di Bagnoregio, di cui Civita costituisce il vero ed antico centro storico. ÈnellatroppoaccidentatacampagnadiCivita,ènelsuodifficileiso-lamento, è tra i “caoni” di “Bocella” che lo studioso di dialetti ha trovato la materia ideale per una più canonica esegesi della parole usate dal Papa-rozzi nel suo noto libro “I mi ’ersi”. È proprio di questo poeta vernacolo e del suo interessante libro, che per noi civitonici ha costituito il primo linguaggio trasmessoci dai nostri padri, che lo scrittore Bonaventura Tec-chi dice: “senza di lui, non è più possibile scrivere versi in dialetto nel nostro paese”.

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Questo particolare idioma, così incisivo e fiorito, codificato dalgrande poeta delle crete ed espresso in vero linguaggio locale, è stato il prototipo per altri poeti vernacoli che con i loro libri hanno dato lustro alla città di Bagnoregio. Il suo modo di poetare, sui problemi di “Bocella De-Caoni”, è piaciuto almaestroAngeloRamacci che, sul suo esem-pio,sempreindialettohascrittoi“Sonetticu’lacoa”;èpiaciutoanchealReverendodonEnricoRighiche,dotatodiun facileparlare faceto,anch’esso ha pubblicato sull’esempio dei precedenti poeti dialettali, un suolibrodaltitolo:“Sonetteriarotana”.Ancherecentementequestodia-letto è rivissuto negli scritti di Vilma Catarcione che, avendo trascorso la suainfanziaaCivita,finoall’etàadolescenziale,l’haassimilatomegliodi altri con tutte quelle sfumature dovute alla trasformazione e alla nor-male evoluzione del linguaggio locale. Al Frezza, noi di Bagnoregio, dobbiamo essere riconoscenti perché fra i dialetti della Teverina ha preferito il nostro, facendone un’analisi approfondita,degnadiungrandefilologo. Prendendo in esame i libri di Paparozzi, delRamacci, delRighi,dellaCatarcioneedi altrineènataquasiunafilologiacomparatacheFrezza, con il suo studio sulla parola dialettale, fa rivivere in noi un vasto panorama della cultura popolare di cui Paparozzi è il caposcuola.

Giuseppe Medori

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accr. accrescitivoagg. aggettivoant. antiquato (v. in via di disuso)antifr. antifrasticoarc. arcaico (v. desueta)B v. in uso a BagnoregioCB v. in uso a Civita di B.centr. v. dei dial. dell’Italia centralecfr. confrontadial. dialetto;dialettaledim. diminutivodispr. dispregiativoes. esempioespr. espressioneeuf. eufemismof. femminilefig. figuratofraz. frazionegloss. glossarioibid. ibidemid. idemit. italianoimpers. impersonaleimpf. imperfettoind. indicativointer. interiezioneintr. intransitivolat. latinolett. letterario;letteralmenteloc. localitàm. maschilep. participiopass. passatoperf. perfettopl. pluralepres. presentepron. pronome;pronominaletop. toponimotr. transitivoraro v. di scarso impiegorec. recenterif. riferitorifl. riflessivo

rust. rustico (v. in uso nel contado)s. sottosec. secoloseg. seguentes.f. sostantivo femminiles.m. sostantivo maschilesopr. soprannomeSS StradaStataletop. toponimotr. transitivouff. ufficialev. voce;verbovd. vedi

- può indicare un’interruzione improvvisa della pronuncia.… tra parentesi quadre, possono segnalare l’omissione diunpassaggiononrilevante; fuori parentesi, possono indicare una pausa breve.() possono contenere un fonema dallapronunciaindefinita.[] possono contenere un’integrazione al testo originale.{} contengono una forma ipotetica o ricostruita.<> contengono una forma del dialetto attuale.* forma tratta dai sonetti.? può segnalare un dubbio del raccoglitore./ scansione di versi.| separa i singoli contesti linguistici e gli elementi fraseologici.|| separa funzioni grammaticali, sezioni del glossario, ecc.:→ rinvioallavoceprincipale.> introduce un’alterazione delGaddi;evolvein.< evolve da.

SIMBOLI E ABBREVIAZIONI

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RitrattodiFilippoPaparozzi (tratto da I mi’ ersi, cit.)

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SAGGIO DI UN’ANALISI DEL DIALETTO BAGNORESE1

“I cinquanta sonetti di Bocella De-Caoni” (1903) nella riedizione di Alessandro Gaddi (1932)

1. Introduzione

a) Cenni sulla dialettologia nel Viterbese

La situazione linguistica della Tuscia viterbese, notoriamente fram-mentata, anche per via delle convergenze con le aree limitrofe, e per le numeroseinfluenzedaquesteprovenienti2, è stata per lungo tempo tra-

1) L’edizione originale del saggio era inizialmente destinata ad apparire in altra sede, ma i tempi dilatati di pubblicazione – con il conseguente rischio di dare alle stampe del materiale non più aggiornato – mi hanno spinto a rivolgermi al Comune di Bagnoregio che–nellapersonadelSindacoFrancescoBigiotti–haintelligentementeaccettatodipubblicareloscritto,sebbeneditipononstrettamentedivulgativo.Siterràquindicontodel contesto in cui vede la luce il presente lavoro e della conseguente necessità di conci-liare le esigenze degli studiosi all’opportunità di rendere comprensibile quanto esposto a un pubblico non specializzato. Questi fattori mi hanno spinto, tra l’altro, a limitare l’impiego di tecnicismi e a rinunciare ad alcuni approfondimenti, pur cercando di man-tenere, nell’esposizione delle informazioni, il medesimo rigore metodologico che ne ha ispirato la raccolta (vd. note 12, 14 e 16). Colgo l’occasione per ringraziare, oltre al sig. Sindaco,l’AssessoreGiuseppinaCentoscudiperladisponibilità,ilpersonaledell’uf-ficioanagrafecomunaleperleinformazioniprocuratemi,LuigiCimarraperipreziosiconsigli, Enrica Ciorba per l’aiuto nella trascrizione dei sonetti e nella revisione delle bozze, Giancarlo Baciarello per le delucidazioni storiche, Massimo Calanca per le foto-grafie,CesareFantiperleoperazionidifotoritocco,GiuseppeMedoriperlalusinghieraprefazione e, inoltre, tutte le mie fonti, tra le quali sono grato, in particolare, a Vilma Catarcione,VincenzoEleuterieBonaventuraRocchi.2)“SepassiamopoiadesaminarepiùdavicinolasituazionelinguisticadelViterbe-se, ci accorgiamo che nelle fasce periferiche del territorio appaiono salde convergenze conleregionicontigue:peresempio,lungoilconfinesettentrionaledellaprovinciaèravvisabile una consistente pressione, durata nel corso dei secoli, del prestigioso mo-dellotoscano;tendenzeumbrevistoses’irradianonellavallatadelTevere,penetrandoall’interno; innegabili influenze romanesche sono percepibili soprattutto nella fasciameridionale.Inoltre,taliinfluenzeeconvergenzenonrestanocircoscritte,comepreve-dibile,allaperiferia,macoinvolgonopiùomenol’interoterritorio.Sisarebbetentatidi affermare alla prima impressione, senza tuttavia poterlo ancora provare che siamo

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scurata dagli specialisti, complice la perdurante carenza di infrastrutture in grado di permettere rapidi collegamenti tra i maggiori centri di studio e la nostra provincia. Fatte salve le inchieste effettuate, nella prima metà del secolo scor-so, per l’Atlante linguistico ed etnografico italo-svizzero(AIS)el’Atlan-te linguistico italiano (ALI, in corso di pubblicazione)3, e le rilevazioni svolte da Michele Melillo nel ’584, bisognerà attendere gli anni ’70 al-lorché i dialettologi Francesco Petroselli e Luigi Cimarra, entrambi di origine locale, diedero alle stampe i primi risultati delle proprie indagini, condottesecondocriteriscientifici,relativealletradizioniorali(blasonipopolari5, detti e proverbi, folclore infantile) e alla cultura materiale (vi-ticoltura, canapicoltura) del territorio di nostro interesse6. Soltantoinannirecentissimi,acuradeimedesimistudiosi,sièpotu-to disporre di un primo quadro d’insieme dei dialetti dell’area7 e dell’av-vio di uno strumento come l’auspicato “Vocabolario dialettale della Tu-scia viterbese”, avente lo scopo di salvaguardare il patrimonio lessicale della nostra provincia tramite la pubblicazione di una serie di volumi basati interamente sui documenti orali raccolti nel corso di quarant’anni

in presenza d’una tipica area di transizione all’interno della più ampia realtà centrale della penisola, percorsa in epoche diverse da correnti linguistiche di varia provenienza” (C&P 2008:27-28).3)Traipuntid’inchiestasielencano,perl’AIS,Acquapendente,Montefiascone,Ronci-glioneeTarquiniae,perl’ALI,Montefiascone,Bagnaia(oggifraz.diViterbo),Cellere,Montalto di Castro, Monteromano e Vetralla.4) Nell’estate del 1958 Melillo effettuò alcuni rilevamenti nel Bagnorese (nel capoluo-go, a Civita e nella borgata di Mercatello) e in altre località della Provincia di Viterbo, ovveroProceno,Acquapendente,Lubriano,LeMosse (fraz.diMontefiascone),Chia(fraz.diSorianonelCimino),LaQuercia(fraz.diViterbo),OrteeCaprarola.Stralcidiquesteregistrazioni–depositate,inseguito,pressolaDiscotecadiStato–appaiono,corredatidabrevimasignificativicommentilinguistici,in:Melillo1970:492-504,514-523.5) Con il termine “blasoni popolari” si fa riferimento a quei documenti – in massima parte orali – mirati a enfatizzare le differenze tra il proprio gruppo di appartenenza e “gli altri”, considerati “diversi” per appartenenza etnica o di classe.6) Ci si limita a citare le opere che includono, tra le località oggetto d’indagine, Bagno-regioelesuefrazioni.AcuradiPetroselli:Blaspop.II,ViteI-II;acuradiCimarraePetroselli: C&P 2001, 2008.7)Cisiriferisceal“ProfilolinguisticodellasubareaciminanelcontestodellaTusciaviterbese” (C&P 2008:27-110).

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di indagine sul campo8. Il quadro della conoscenza delle nostre parlate si allarga, poi, consi-derando i saggi descrittivi di alcuni vernacoli9 e i glossari settoriali dedi-cati alle attività lavorative tradizionali10, nonché alcune opere di carattere amatoriale, di qualità oscillante11. L’attenzione dedicata al patrimonio orale non implica, tuttavia, che debbano essere trascurate le fonti scritte, soprattutto remote, le quali per-

8) La collana, coordinata da Francesco Petroselli, si propone di coprire l’intero territo-rioprovincialetramiteunaseriedimonografierelativeaicentrimaggiormenterappre-sentativi delle rispettive subaree. La serie include, al momento, tre volumi, dedicati ai dialetti di Viterbo (Petroselli 2009), Blera (Petroselli 2010) e Civita Castellana (Cimarra 2011). Nel momento in cui si scrive sono in fase di redazione i vocabolari dialettali di CanepinaeSant’Oreste (RM), entrambiacuradiCimarraePetroselli.Èopportunosegnalareanchelaprimaraccoltalessicale,redattasecondocriteriscientifici,dedica-ta interamente a un centro della nostra provincia, Fabrica diRoma (Monfeli 1993).Per quanto riguarda le immediate vicinanze di Bagnoregio, assume grande rilevanza un’operarelativaalterritorioorvietano(M&U1992),laquale,invirtùdell’affinitàlin-guistica di detta subarea con una parte consistente del Viterbese, include tra le località d’inchiestaAcquapendenteeMontefiascone.9)Limitandociagliscrittidicaratterescientifico,sidispone,almomento,diunasinte-ticadescrizionedelleparlatedell’Orvietano,connotizierelativeadalcunicentridellanostra provincia (Mattesini 1983), nonché di contributi più dettagliati dedicati ai verna-coli di Blera (Mattesini 1996) e Canepina (Petroselli 1990). Per la Teverina, si rimanda alle brevi annotazioni sul dialetto della frazione viterbese di Fastello (Frezza 2012:5-8), mentreèinfaseavanzatadiredazioneunamonografiadedicataaGrotteSantoStefano(fraz.diViterbo),acuradellostessostudioso.Sicita,infine,unsaggiorelativoalle“di-namichelinguistichealconfinetraToscanaeLazio”,concennisualcunidialettidellanostrasubarea(Dinam.2002).Vd.anchenota7.10)Sifariferimentoaglistudisullapescaesull’ambientelacualerelativiai laghidiVico(Silvestrini1984)eBolsena(Casaccia1986)–quest’ultimoconglossariodiEnzoMattesini (ibid.:110-132) –, oltre che al recente repertorio lessicale dedicato ai settori semantici connessi alla “gara del solco dritto” di Fastello: allevamento bovino, aratura, semina, parti del campo, geomorfologia del territorio e composizione della società con-tadina(Frezza2012:29-62).Occorreinfinemenzionareunaccuratoglossariosettorialeproveniente dalla contigua campagna amerina (Zappetta 2006:135-174) e uno studio etimologico contenente un glossarietto con voci dialettali di alcuni centri del Viterbese, con l’inclusione di Bagnoregio (Alinei 2009).11)Ci si limita a segnalare lemonografie riguardanti due centri contermini, ovveroCastiglioneinTeverina(Corradini2004)eBolsena(C&T2005);quest’ultimarisultapiuttostoaffidabile,siaperlapuntigliositàdellaricercacheperquantoattieneilsistemadi trascrizione utilizzato.

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mettono, anzi, un’utile comparazione tra le antiche parlate e l’attuale uso orale12. Ci si riferisce, ad esempio, agli statuti dei nostri comuni13, ma an-che a raccolte di diverso spessore, contenenti testi formalizzati, racconti, poesie e sonetti14.12)Alfinedipoterdisporrediinformazioniaggiornatesulleparlatedellazona,sonostati compiuti alcuni sopralluoghi a Bagnoregio e Civita, dove si è avuta cura di inter-vistare cittadini nativi, per lo più anziani, occupati in attività di diverso genere (agri-coltura,allevamento,sartoria,attivitàestrattive,commercio,insegnamento).Sonostatieffettuati soltanto due rilevamenti nelle frazioni di Vetriolo e Castel Cellesi, dove, come si vedrà, sono emerse situazioni dialettali sensibilmente differenti da quelle riscontrate nel capoluogo. Allo scopo di non appesantire la lettura, si è stabilito di limitare i raf-fronticonicentri limitrofi,facendoviricorsounicamentepercontestualizzarealcunecaratteristichelinguistichediparticolareinteresse.Siètenutoconto,atalfine,siadeitesti inbibliografiachedeidocumentiorali raccoltinelcorsodiprecedenti inchiestenellaTeverina,icuicentrihannofattocapo,persecoli,allaDiocesidiBagnoregio,conleeccezionidiCellenoeFastello, facentipartediquellamontefiasconese.Nel1986amboivescovadivennerosoppressieiloroterritoriaccorpatiallaDiocesidiViterbo,in virtù della bolla papale Qui non sine.13)Cisilimitaacitare,perl’areainesame,glistatutiinvolgarediBagnoregio(Statuto1985),diCivitellad’Agliano(G&P1985)edell’odiernoSanMicheleinTeverina(G&P1995),nonchéunaraccoltadibandicomunalidiGraffignano(Mancini2010).Peral-cune considerazioni linguistiche sugli statuti della subarea, si rimanda a Cipriano 1993.14)FrancescoUgolini,nelbasilare“Rapportosuidialettidell’Umbria”,utilizzapro-ficuamenteunaselezionediversidialettaliaccantoamaterialiraccoltisulcampo;alfinedieffettuaredeiraffrontitraleparlatedell’UmbriaequelledelViterbese,lostu-dioso include alcune notizie relative al dialetto di Bagnoregio, basate, si direbbe, su uno spoglio dei sonetti del Paparozzi, che pure l’autore ha tralasciato di citare (Ugolini 1970:475-479). Per quanto riguarda il presente studio, si è fatto ricorso, oltre che alle risorse già segnalate, a testi di diverso genere, tra i quali assume particolare rilevanza il breve racconto “La Tonna” (Medori 1982:84-88), ove lo scrittore ha riprodotto fedel-mente,negliscambidibattutetraiprotagonisti,laparlatainusoaitempidellastampa;unincontroconlostudioso,nativodiCivita,hapermessolaverificadellevocielalorotrascrizioneingrafiafoneticasemplificata.Sièdimostratadiunacertautilitàlaconsul-tazionediProietti1995; l’autore, recentementescomparso,forniscevivide immaginidella propria infanzia a Civita durante il ventennio fascista e, nel corso della narrazione, cita antroponimi, soprannomi, termini dialettali, scambi di battute, ecc. Assume rile-vanza,inunamonografiadicaratterestoricodedicataallafrazione,lasezione“Civitaoggi”,contenenteunpreziosoelencodiantroponimi,soprannomietoponimi(Signorel-li1979:43-47).Ancheinquesticasi,èstatopossibileverificarebuonapartedeimateria-lipressoinostriinformatorietrascriverlisecondocriteriscientifici.Perquantoriguardai componimenti poetici, omettendo, per ora, quelli del Paparozzi, si è tenuto conto, con una certa prudenza, di una raccolta proveniente dal capoluogo comunale, esposta, però,

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b) bagnoregio e CiVita: due Varietà distinte?

Prima di presentare il poeta e di addentrarsi nell’analisi linguistica, occorre almeno far cenno dell’appartenenza delle parlate del Bagnore-se,sottoilprofilofoneticoemorfo-sintattico,alpiùampiogruppodeidialetti mediani15, nonché delle numerose concordanze con le subaree limitrofe,anchealdifuorideiconfiniprovinciali. Per quanto attiene le differenze tra le varietà di Bagnoregio e Civi-ta – le quali, a dire dei parlanti, sarebbero sensibili e immediatamente percepibili (si sènte sùbbito, nò?) –, ci si limita, per il momento, a notare come, almeno nella fase attuale, i due centri condividano la medesima fenomenologia di base, e a sottolineare come le maggiori differenze ri-levate consistano, per quanto concerne il civitonico, nella persistenza di alcuni tratti antiquati o arcaicizzanti, che si vedranno meglio in seguito16.alleinfluenzedialettalidiCivita,luogodinascitadeigenitoridelversificatore(Ramacci1969).Sièinveceritenutosuperfluoutilizzare,aifinidiunraffrontolinguistico,un’ul-teriorecollezionepoeticabagnorese,successivaaquelladelRamaccie,comequesta,volutamentesoggettaagliinflussicivitonici(Righi1983).Digrandeausiliosonorisul-tati, poi, i testi di Vilma Catarcione, originaria di Civita: uno di questi è analogo, per forma e contenuti, a quello del Proietti (Catarcione 1997), mentre il secondo lavoro, re-centissimo(Catarcione2011),èstrettamenteinerenteall’oggettodellanostraricerca;ladisponibilità della scrittrice ci ha permesso di trascrivere con precisione le voci di mag-gioreinteresse.Simenziona,poi,unapubblicazionedicaratterescientifico,contenenteracconti e testi formalizzati, che include, tra le località d’indagine, Bagnoregio, Civita eVetriolo(Galli1992);tuttaviailsistemaditrascrizione,estremamentesemplificato,rende solo in parte le caratteristiche fonetiche. Le medesime osservazioni valgono per un volume relativo alla medicina popolare nella Teverina, ove sono incluse, tra le altre, le medesime località del Bagnorese indagate dal Galli (Amici 1992).15) Il gruppo dei dialetti mediani include, grossomodo, le parlate in uso nel Lazio, in Umbria e in parte delle Marche e dell’Abruzzo.16) Per quanto attiene le condizioni linguistiche del Bagnorese ai tempi del Gaddi, appare di qualche utilità una sua osservazione, secondo la quale la parlata di Civita “è piùsomiglianteall’umbro,mentrespiccatissimaèaRotalatendenzatoscana”(Gaddiin: Paparozzi 1932:XIX). L’asserzione dello studioso lascia pensare a una maggiore affinitàtrailcivitonicoeleparlatedell’Umbria,omegliodell’Orvietano,eallamag-giore penetrazione, nel dialetto del capoluogo, di voci di lingua o italianizzanti, il che troverebbe conferma nelle condizioni attuali. Per quanto riguarda la situazione odierna, si è data particolare rilevanza, nei dati che si andranno a presentare, al piano fonetico, dedicandoqualcheattenzioneaicampidellessicoedellamorfo-sintassi.Sonoesclusi,invece,iraffrontitralecadenzedialettali;tuttaviasifapresentecome,ancheinquesto

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Meriterebbero, invece, una trattazione a parte le parlate delle fra-zioni di Vetriolo e Castel Cellesi – quest’ultima aggregata a Bagnoregio soltanto nel 192817 –, caratterizzate da una tipologia più spiccatamente “volsino-orvietana”18.

2. Filippo Paparozzi, poeta civitonico

a) “boCella” e la prima edizione dei sonetti (1903)

Filippo Paparozzi nacque a Civita di Bagnoregio nel 1828 da una famigliabenestanteilcuicapostipiteScipione,notaiooriginariodiGal-lese, si stanziò nel Bagnorese nel 1594. Acculturato, dialettofono, dotato di interessi poliedrici19, il Paparozzi si fece portavoce degli umori della caso, secondo i parlanti, le differenze sarebbero notevoli. La provenienza dei materiali registrati viene indicata, di norma, con l’apposizione della sigla di località tra paren-tesitonde:B=Bagnoregio,CB=Civita.Sisegnala,tuttavia,chestantelasostanzialeuniformità fenomenologica delle due parlate, si è preferito, nei casi non insidiosi, non apporrealcunasigla,alloscopodinonappesantirelalettura.Sifapresente,inoltre,chedatalacomprensibiledifficoltàneltrovarefonticivitonicheaffidabili,lamaggiorpartedei materiali presentati è di provenienza bagnorese.17) Vd. nota 24.18)Conquestadefinizionedicomodosivuoleindicarel’insiemedelleparlateinusonell’Orvietano,sullaspondaorientaledellagodiBolsenaeinpartedellaTeverina,ca-ratterizzate dalla presenza del dittongo -jè- – in opposizione a -jé- (vd. nota 34) –, dalla trasformazione costante di -ifinalein-e (vd. nota 56) e dalla preposizione ma “a” “in” (vd. nota 64). Tutti questi tratti si ritrovano anche nel dialetto del capoluogo provinciale (almeno nel registro antiquato), che però si distingue dalle varietà “volsino-orvietane” perl’assenzadialcunecaratteristichesignificative,tralequalisicitano,atitolodiesem-pio,ildileguodellaconsonantenellapreposizione“di”(vd.nota60),l’aggettivoindefi-nito che “qualche” (vd. nota 66) e il pronome le “lo” “li” “la” “le” (vd. nota 98), comuni, invece, al dialetto di Bagnoregio.19) Le fonti scritte non indicano esplicitamente Civita quale luogo di nascita di Filippo Paparozzi, sebbene la popolazione locale dia la notizia per certa. Figlio di Francesco e Giacinta Gentili-Acciari, Filippo venne introdotto dal padre, perito agrimensore e amministratore patrimoniale, all’interesse per la musica, e fu iniziato allo studio del pia-nofortedalsopranoErminiaFrezzolini,suaparente,originariadiOrvieto.Allapassioneper la poesia contribuì, probabilmente, l’amicizia tra suo padre e un poeta umanista, il canonicoOttavioZannini,professorenelseminariodiBagnoregio.LapersonalitàdelPaparozzi era caratterizzata, secondo lo studioso Alessandro Gaddi (vd. nota 26), da una “bontà trasparente […] mallevadrice al suo spirito faceto e satirico, che tutti acco-

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popolazione del piccolo centro tiberino, assumendo l’identità del poeta contadino Bocella De-Caoni, ovvero, nell’antica parlata civitonica, “pic-cola voce dei calanchi”20. Votato all’improvvisazione, l’attività poetica del Paparozzi fu prin-cipalmente orale, tanto che i suoi testi vennero dati alle stampe, per la prima volta, soltanto nel 1903 – sei anni prima della sua scomparsa –, grazieall’iniziativadell’amicofarmacista,giàgaribaldino,SeveroVenci,glievano in buona parte, pur naturalmente evitando d’esserne colpiti” (Gaddi in: Papa-rozzi1932:XXI).DelversificatorecivitonicoscrisseroancheintellettualicomeAnto-nioDivizianieBonaventuraTecchi;seilprimolodefinì“poetadiunpopoloonesto,triste e laborioso”, nei cui sonetti è avvertibile “solo quel sapore di ingenuo, di umile, di buonsenso e di pacato umorismo che sorge dalla millenaria esperienza e saggezza della stirpe” (http://www.altatuscia.info/2010/03/uomini-illustri-bagnoregio.html), il secondo sottolineò come l’“isolamento di Civita, già allora, al tempo del Paparozzi, gravissimo, la ristrettezza singolare dell’ambiente, che ne faceva un piccolo mondo, un’isola lontana da ogni abitato, davano un colore, un sapore speciale alle ribellioni, ai lamenti del povero Bocella de’ Caoni, e infatti, nella prima parte della raccolta dei versi del Paparozzi (riedita egregiamente nel 1932 da Alessandro Gaddi […]), l’argomento principaleèlarivalitàtraCitaeRota”(Tecchiin:Ramacci1969:4).Cheilpoetafossedialettofono lo si evince da quanto riportato dallo stesso Gaddi, secondo il quale il Sor Pippo“SignorFilippo”,qualoranonfosse“invena”direcitareversi,sicongedavadachi gliene facesse richiesta con la locuzione gna che aja! “bisogna che me ne vada” (Gaddi in: Paparozzi 1932:XXII). Le fonti consultate non danno notizie sui titoli di studioconseguitidalpoeta;ciònonostante,ilsuolivelloculturalesipuòevinceredallaconoscenza del latino, di cui fa uso in alcuni componimenti (ibid.:81-115). Non si hanno notizie certe neanche sulle sue fonti di reddito, sebbene i cittadini ricordino che il poeta fossebenestanteedisponessedialcuneproprietàterriere.SuamoglieAgneseDaddi,originaria di Bolsena, morì nel 1882, trentasettenne, dopo dodici anni di matrimonio, edebbeconluiduefigli,FrancescoeMarianna,iquali,inseguitoalnuovomatrimoniodelpadre,venneroaccolti incasaDaddiaBolsena.Francesco,natonel1874,vennequindiiscrittoalseminariodiOrvieto,chefrequentòconsuccesso,coltivando,almenoa partire da allora, la passione per il componimento in versi, come si evince dal sonetto “Risposta”,aluidedicatodalpadre(ibid.:120).AlcuniversidiFrancesco,siainlinguacheneldialettodiBolsena,appaiono,acuradelfiglioFilippo,in:Paparozzi1995:60-69. Per un quadro sommario della vita di Filippo Paparozzi e dei suoi familiari, cfr. ibid.:57-59, e Gaddi in: Paparozzi 1932:XIX-XXVI.20)Secondouninformatorecivitonicoilpoeta,nellasceltadellopseudonimo,siispiròa un contadino realmente esistito, il cui appellativo, tramandato, si direbbe, in ambito familiare, è tuttora in uso: cfr. Bbocèlla e quélli di Bbocèlla “la famiglia di Bbocèlla”. Ilnomignoloèdocumentatoanchein:Signorelli1979:46.Perbreviconsiderazionilin-guistiche sul soprannome, vd. nota 62.

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con il titolo Cinquanta sonetti in dialetto civitonico di Bocella De-Caoni (cit.)21. I versi del poeta, al quale, in anni recenti, il Comune di Bagnoregio ha intitolato una via22,raffiguranolospiritocontadinoelamiseriadellavita rurale, dei quali egli fu attento osservatore, senza perderne di vista gli aspetti più positivi e genuini (P’aì lo sgrao der fucatico VIII, Che ber campà ch’adera! X, Nun si caccia più a campà XXXIV, passim). Non mancano versi dedicati alla malinconia e alla rassegnazione della popolazione di Cîta “Civita”23 (Sempre di male in pejo XXXV), cosciente, secondo il Paparozzi, di un passato illustre (Imitanno l’antinati XLVI), ormai offuscato dall’impietoso accanirsi degli agenti atmosferici sui terreni argillosi del centro, causa primaria della sua rovina (La ruina di micchì VI). Le attenzioni di Bocella ricadono, in particolare, sulla schiacciante supremazia di Rota, l’attuale Bagnoregio24 (Chi fija e chi fijastra?! XIV, 21)DalloscambiodicorrispondenzatrailVencieilPaparozzi,riprodottonellepagineiniziali del libretto, emergono la modestia del poeta e la sua ritrosia nel veder pubblicati ipropriversi.SitrascrivonoalcunipassaggidellaletteradelVenci:“Anzituttodebboindirizzarvi un sentito ringraziamento della gentil compiacenza che avete avuto verso dimenelsecondarefinalmenteilmiovivodesiderio,espressovidagrantempo,conconcedermivarivostriSonettidistilegiocosointornoalvolgaredialettodegliabitantidell’antica contrada di Civita. […] Col fermo convincimento di non fare cosa sgradevo-le a chicchessia, anzi di procurare qualche diletto agli amanti di poesie scherzose, così misonodecisodiconsegnareallastampaisunnominatiSonetti:eciòchesiricaveràdalla vendita di essi, sarà erogato a vantaggio di un’opera meritoria” (Venci in: Papa-rozzi1903:3-4).Seguelarispostadelpoeta:“SonotenutissimoaisentimentiespressinelvostrograziosofogliotestèrimessomiinmeritoadalcuniSonetti,chehocomposti,permeromiodiletto,sulvernacolodellaContradadiCivita.Sonlietoaltresìdiavernefatto un dono, sebbene riconosca di nessun valore, perchè confortato dal dolce pensiero, cheliavrestefattistampareperun’operadegnadilode[…].SperopoicheibenevolilettorideisurriferitiSonettimiuserannoindulgenza,unendosiconvoiperraggiungereil bramato scopo” (ibid.:5).22) La targa reca l’iscrizione “Via Filippo Paparozzi. Poeta vernacolo 1828-1909”. La viasi trova inun“rione”diBagnoregio,di recenteedificazione,dettopopolarmenteCìvita Nòva, poiché vi risiedono numerose famiglie di origine civitonica.23) Per la forma dialettale Cîta, con dileguo di -v- intervocalica, vd. nota 61.24) La città di Bagnoregio, in seguito “Bagnorea”, era formata da tre contrade principa-li:Civita(lapiùanticaeimportante),Rota(l’odiernocapoluogo)eMercato(oggiMer-catello, per un periodo sede del municipio). In seguito al rovinoso terremoto del 1695, aCivitasubentròRota,coniltrasferimentoinquestacontradadellasedecomunale,del

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La banna XXII, ‘R fiotto è libboro XLVIII, passim). È proprio l’eterna ri-valità tra la frazione e il capoluogo ad animare buona parte dei sonetti (La scunuscenzia II, ‘Na quistione riligiosa XXIV, La mostra de le rilichie XXXIX,passim),tantoefficacidaessereentratiapienonellatradizioneoraledelBagnoreseedeicentrilimitrofi25. Altri argomenti ricorrenti sono l’esaltazione delle peculiarità del-la piccola contrada e della sua valle (Le campane di Cîta III, ‘R domo aripulito XII, L’aria barsamica di Cîta XXXVIII, passim), nonché la devozionealsantocivitonicopereccellenza,SanBonaventura(La casa di san Minintura XXXIII, ‘R munumento di san Minintura XXXVII). Abbondano gli episodi umoristici (‘R cacciadenti IV, La svertezza d’un bannarolo VII, ‘R daguirotipo XLI, passim), talvolta segnati da una certa vena critica, soprattutto nei confronti dell’amministrazione comu-nale (La strada de’ Punticelli L). Altri componimenti, poi, denunciano vizi e cattive abitudini della popolazione (‘R pidocchio rifatto XX, Un pate scioperato XXXI, ‘R gio-co de’ lotto XLII, passim) e le precarie condizioni igienico-sanitarie del centro (Accidera che puzza! XXVI). In qualche caso, invece, la malizia, il sarcasmo, il campanilismo e lastessafiguradelpoetacontadino(descrittaabilmenteinLo so da mì seminario e della sede vescovile. Nel 1922, con regio decreto, venne ripristinato l’antico nome di Bagnoregio, con il quale si fa attualmente riferimento al solo capoluogo. La popolazioneresidentenelBagnoresecontaattualmente3.670unità;diqueste,soltantouna decina risiedono a Civita, mentre nelle più popolose frazioni di Castel Cellesi e Vetriolo risiedono rispettivamente circa 250 e 500 persone. Tra le località citate, merita un commento Castel Cellesi, il cui territorio è stato annesso al Bagnorese soltanto nel 1928, in seguito alla perdita dell’autonomia comunale. Per l’etimologia popolare del toponimo“Bagnoregio”,sirimandaaBlaspop.II:854;perunapproccioscientifico,cfr.DT1991:56(s.v.Bagnorègio).25)Sisottolineacomegliinformatori,siacivitonicichebagnoresi,nelparlaredell’an-ticarivalitàdicampanile,abbianospessofinitopercitarespontaneamenteisonettidelPaparozzi. La rielaborazione, più o meno cosciente, dei versi in blasoni popolari è am-piamentedocumentataaCivita,LubrianoeSanMicheleinTeverina(Blaspop.II:910,912, 945, passim). Alcuni versi del poeta sono giunti, inoltre, nel più distante centro di Proceno, dove, tuttavia, vengono utilizzati per dileggiare gli abitanti di Lubriano (ibid.:843). Cfr. anche Proietti 1995:125-126. In più di un caso si è notato come, da parte di individui che conoscono soltanto marginalmente i versi del poeta, rime e battute venganoattribuitenonalPaparozzistessomaanonmegliospecificati“contadinidellavalle”, e contestualizzati all’interno di storielle che si pretendono realmente accadute.

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c’ho da fà I ed É mejo d’emicrà XXIX) sembrano svanire, dando luogo a versi intrisi unicamente di sentimenti benevoli quali l’affetto, la stima, la solidarietà (La maestra senza patente V, ‘R curato proisorio XIII, Ma sposi noelli XV, passim).

b) le riedizioni del gaddi (1932) e della pro loCo (1993)

Ventinove anni dopo la stampa della raccolta, lo studioso Alessandro Gaddi, nativo di Bagnoregio26, decise di pubblicarne una nuova edizione, intitolata I mi’ ersi. I sonetti di Bocella De-Caoni. Il pranzo. Gli stoppi-nacei. Varie(cit.),arricchitadaannotazionistorico-biografiche(ibid.:IX-XXVI), da una “Nota per la lettura e per il dialetto” (ibid.:XXIX-XXXI), da un glossario composto da 221 entrate (ibid.:125-135) e da numerosi testi inediti (ibid.:9, 30, 41, passim), ma non esente da ripetute e consi-stenti manipolazioni di carattere linguistico, stilistico e censorio27.26)AlessandroGaddi(Bagnoregio1882-Roma1974),figliodiPioedEmanuelaMac-chioni,celibe,fudirettorediuncollegiopersordomutiaRoma,suacittàd’adozione.Nel 1952 lo studioso prese la residenza nel paese natale, pur continuando a vivere nella capitale e trascorrendo a Bagnoregio soprattutto le stagioni estive. Non è stato possibile ottenere informazioni certe sui suoi titoli di studio, anche se il suo livello culturale e i suoiinteressisonodesumibili,tral’altro,daalcunisaggidicaratterefilosoficoe,so-prattutto, pedagogico, con particolare riguardo all’istruzione dei sordomuti (vd. alme-noGaddi1958a,1958b).CofondatoredelCentrodiStudiBonaventuriani,“bagnoreseautentico e di vecchia famiglia, attaccatissimo alle tradizioni del ‘natio loco’” (Tecchi 1958:24), ma non dialettofono, viene descritto, da chi ebbe modo di frequentarlo, come “unapersonacomposta,dallebuonemaniere,moltofineedintelligente”(testimonianzadi Giuseppe Medori). Per un accurato “albero genealogico con annotazioni storiche” dei GaddidiBagnoregio,sirimandaaDiviziani1957.27)SinotacomeilGaddinonaccenniallenumerosealterazionidaluiadoperate,sebbe-ne queste riguardino tutti i sonetti riprodotti, e spesso numerosi versi del medesimo te-sto.L’unicotipodimodificaacuifariferimentoriguardal’eliminazionedellaresagra-ficadelrafforzamentosintattico(vd.nota41).Rari,maconsistenti,sonogliinterventidi tipo censorio (pe’ ffa cacà tre culi, bio cornuto! > pe fa sazià tre corpi, zio cornuto!, m’è scappa ’na correa “ho scoreggiato” > un vento mi scappò).Altrevoltelemodifichesembrano dettate da preferenze stilistiche (assaggia un fiasco > arria ma’ n fiasco, ’sta moda nun cummiene a un cuntadino > ste mode ch’hanno ’r fume cittadino).Sistematicisono gli interventi sui segni diacritici e la punteggiatura, volti, almeno in qualche caso, a migliorare la leggibilità del testo da parte dei lettori non nativi (uscia “uscita” > ùscia, scarciofini“carciofi”>scarciòfini). Alle note esplicative del Paparozzi, che corredano alcunisonetti,nefuronoaggiuntealtredalGaddi,alloscopodiprecisareilsignificatodi

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Gli interventi arbitrari sui versi del poeta furono, già allora, oggetto dicriticadapartediunaltrointellettualebagnorese,AntonioDiviziani,ilquale si augurava che i componimenti, in un’eventuale ristampa, venisse-ro riportati alla forma originale28. Bisognerà attendere oltre sessant’anni affinché il suo desiderio potesse essere esaudito, grazie alla pubblica-zione di una nuova edizione intitolata I mi’ ersi (I sonetti di Bocella De-Caoni). Varie (cit.), curata dalla Pro Loco di Bagnoregio e arricchita da illustrazioniedaalcunicomponimentifinoadalloraignoti29. Tuttavia, per quanto attiene l’oggetto del presente studio, ossia il pianolinguistico,sipuòosservarecomelemodificheintrodottedalGad-di offrano numerosi spunti per un’analisi diacronica – relativa, cioè, ai cambiamenti avvenuti nel tempo – del dialetto bagnorese, poiché, come si vedrà, esse tendono, in genere, a italianizzare il linguaggio del Papa-rozzi, adeguandolo, forse, alla parlata in uso ai tempi della ristampa30.

certi termini dialettali, oppure di integrare le notizie storico-ambientali fornite dal poeta. Nell’edizione del 1932, i componimenti vennero suddivisi secondo la seguente struttu-ra:“IsonettidiBocellaDe-Caoni”(Paparozzi1932:5-77);“Ilpranzo”(ibid.:81-100);“Glistoppinacei” (ibid.:102-115);“Varie” (ibid.:119-122). Ilprimocapitolocontienei cinquanta sonetti pubblicati in precedenza, riordinati secondo gli argomenti trattati e frammistiadalcuniinediti;icapitolirestanticontengono,invece,materialideltuttoine-diti. In anni più recenti, la prima parte venne ripresa integralmente, alterazioni incluse, inunamonografiadedicataaCivita,all’internodellasezione“Venapoeticapopolare”(Signorelli1979:51-83).28)Siveda,atalproposito,l’introduzioneallapiùrecenteedizionedeisonetti(anoni-mo in: Paparozzi 1993:7).29) L’edizione della Pro Loco può dirsi, al momento, la più completa e – se non fosse per i numerosi refusi, parzialmente corretti a mano nella copia in mio possesso – la più fedele, poiché basata, per quanto possibile, sui manoscritti del poeta, custoditi dal nipote Filippo, scomparso in anni recenti. Il volume contiene tutti i sonetti pubblicati in precedenza,piùaltriinediti,peruntotaledi71testi;restanoesclusisoltanto“Ilpranzo”e“Glistoppinacei”,giàeditidalGaddi(vd.nota27).Sonopresenti,poi,10illustra-zioni ispirate ai sonetti, realizzate dal “capitano Balani Libero del XXXII Battaglione controcarrodiC.A.GranatieridiSardegnadurantelasuapermanenzaaBagnoregionelperiodo della II Guerra Mondiale” (anonimo in: Paparozzi 1993:8).30) È opportuno segnalare come le forme linguistiche utilizzate dal poeta potrebbero non corrispondere esattamente a quelle in uso nel centro: il fatto che il Paparozzi, nel proclamare i suoi versi, si immedesimasse nel contadino Bocella, lascerebbe ipotizzare che abbia potuto adottare forme già allora arcaicizzanti o proprie del registro rustico, in uso nella valle. Per la possibile introduzione di voci estranee alla parlata dell’area, vd. anche nota 43.

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3.Lagrafiadelpoeta

Il sistema di scrittura adoperato dal Paparozzi è, come ci si aspet-terebbe,estremamentesemplificato.Lagrafiaprescelta,oltreanondarconto di alcuni fenomeni di interesse limitato, poiché diffusi nell’intero Viterbese e oltre31, non segnala, ovviamente, un tratto assai noto della parlata bagnorese, ovvero la presenza della cosiddetta “gorgia toscana”, che consiste nella pronuncia “aspirata” – o, meglio, spirantizzata – della consonante “c dura” o k in posizione intervocalica32. Gli accenti, se presenti, hanno mero valore tonico e non indicano il timbro delle vocali33.Dallagrafianonrisulta,quindi,untrattopiuttostovistoso della parlata bagnorese e civitonica, ovvero la pronuncia chiusa di e nel dittongo -jé- (chjésa, maniéra, piéde), predominante rispetto alla vocale aperta in -jè- (chjèsa, manièra, piède), propria della lingua nazio-nale e attestata, ad esempio, nelle frazioni di Castel Cellesi e Vetriolo34.

31) Non si rinvengono, ad esempio, notizie del passaggio sistematico di -s- a -z- nei nessi -ls-, -ns- e -rs- (fórze “forse”, divèrzi “diversi”, penzióne “pensione”), mentre si ha qualchetracciadellamodificadi-n- in -m- prima di -p- e -b- (’m po’ “un po’”).32) A Bagnoregio è attestata la forma anta “canta” (C&P 2008:50). La tendenza – che riguarda anche altre consonanti, come la t – venne documentata pure dal Melillo, nel territoriodiMontefiascone,che l’attribuìalle influenzedel“toscano,chesi ritira la-sciando impressioni profondissime” (Melillo 1970:500). Si rileva lo stesso fatto fo-neticoalconfineconilSenese(Acquapendente)e,inproporzionidifferenti,inalcunelocalità tiberine: aGrotte SantoStefano, ad esempio, si registra il raroum bùo “un buco” e, a Fastello, apito “capito”. Tuttavia, a Bagnoregio, il fenomeno è tanto evidente da essere percepito, dagli abitanti della Teverina, come un tratto peculiare del dialetto di detto centro ed essere quindi imitato nella citazione di blasoni popolari (si rimanda, a tal proposito, a Blaspop. I:123).33) Perciò non emergono le oscillazioni del timbro di -e-tonicaneisuffissiin-ell-, per i quali si registrano le seguenti forme: Bbocèlla, Mercatéllo, Mercatèllo, Punticélli. Cfr., tra i numerosi esempi disponibili, anche vignarèlla “vigna di piccole dimensio-ni”, cancèllo, mucchjettéllo “mucchietto” (Vite I:14, 25, 134). Anche il toponimo Bba-gnorèa (rec. Bbagnorèggio) viene pronunciato, talvolta, con tonica chiusa.34)Sia aBagnoregio che aCivita si annotanofiéra, piéde, chjésa e piétra, accanto a fièra, da piède “in fondo”, marciapiède e piètra. Per Bagnoregio, cfr. anche il raro chjèsa (Blaspop. II:856). Nella Teverina e nelle subaree limitrofe si annotano ambo le forme: si registra il dittongo -jè-, con e aperta – oltre che a Castel Cellesi e Vetriolo –, a Castiglione,intornoallagodiBolsenaenell’Orvietanoe,nelterritoriocomunaleviter-bese,nellaborgatadiPratoleva–alconfineconBagnoregio–,aFastello,aGrotteSanto

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Il poeta, d’altro canto, ha cura di segnalare – sia pure non sistemati-camente – la pronuncia intensa di alcuni fonemi, quali la -i- intervocalica, resa col segno j (giojello)35, e la nasale gn, trascritta come ggn (maggnà “mangiare”, caggnata “cambiata”)36. Altre unità sonore per le quali il poeta segnala una realizzazione in-tensa sono soggette, nell’uso orale, a esiti oscillanti. Ci si riferisce, nello specifico,all’occlusivabilabialeb in posizione iniziale, intervocalica e prima di consonante (bbon giorno, ribbustezza “robustezza”, ubbriaco)37 e alla fricativa palatale g (ggiù, fraggello)38. Lagrafiamettepoiinevidenza,anchesenonmetodicamente,ilraf-forzamento delle consonanti iniziali di alcuni avverbi (ccà “qua”, cchi “qui”, llà, llì, ttusì “così”)39 e dei pronomi “lo” “li” “la” “le” in certe Stefanoenellostessocapoluogoprovinciale;lapronuncia-jé-, prevalente nell’Amerino esuiCimini,èinvecesistematicaaCelleno,Graffignano,SanMicheleeinalcunefra-zionidelComunediViterbo(Montecalvello,Roccalvecce).35) Il medesimo segno è utilizzato anche per indicare il passaggio -li- > -jj- (fijo), pres-sochégeneralizzatonell’usoorale.Inaltricasi,nellagrafiadelPaparozzi,ilfonemaèsoggetto a dileguo, come nel toponimo Muntione. Nelle parlate attuali, cfr. pïà “piglia-re” (B), Muntijjóne (B) e Muntïóne (CB). Presso alcuni parlanti civitonici si è registrato un tratto non documentato dal Paparozzi, ma comune al registro antiquato di altri centri della subarea (Celleno, Fastello, Vitorchiano), ovvero la presenza di -gghj-, in luogo del più comune -jj- (cfr. cigghjo “ciglio”, figghjo“figlio”,figghja“figlia”estrégghja “stri-glia”), mentre a Bagnoregio il fenomeno è stato lessicalizzato in scanagghjà “valutare approssimativamente”. Forme analoghe sono documentate sia in prossimità della To-scana (Ischia di Castro) che nella zona sud-orientale della provincia (cfr. C&P 2008:65).36) Anche questo tratto è comune alle varianti locali della lingua nazionale.37) Cfr. gli italianizzanti i bbuòi e tranzitàbbile, i quali appaiono accanto a numerose eccezioni, documentate anche dal Petroselli: cfr. Civita sò stati batiżżati “battezzati” (Blaspop.II:913);cfr.BagnoregioBagnorèa, bèlle, le bròsce “segmenti di corteccia” (ibid.:856,Vite I:95, 129). Si hannooscillazioni analoghe anche in altri centri dellaTeverina: limitandoci all’area settentrionale del Comune di Viterbo, si registrano l mi babbo(Fastello,GrotteSantoStefano,Pratoleva),dal tu babbo “a tuo padre” (Valle-bona), l’hanno butto “buttato” (Fastello) ed è brutto(GrotteSantoStefano).Ilmancatorafforzamentoèsolitamenteconfinatoallevociconb- iniziale, mentre, in corpo di pa-rola,ilraddoppiamentosiverificasistematicamente,conrareeccezioniaFastello(ròba, Robèrto).38) Cfr. artiggiani e arrìvono ggiù, accanto a si piégono giù (CB), senza raddoppio. Anche in questo caso, analogamente a quanto rilevato per il fonema b (vd. nota prece-dente), il rafforzamento sembra però manifestarsi senza eccezioni all’interno di parola.39) La consonante iniziale di questi avverbi è frequentemente soggetta a raddoppiamen-

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strutture sintattiche (ce ll’à)40. La maggior parte di tali espedienti viene però epurata dal Gaddi, il quale,inoltre,ritieneopportunomodificarelagrafiadelpoetadoveque-sta indichi il raddoppiamento sintattico, ossia la pronuncia intensa della consonante iniziale di un termine prodotta dall’elemento di sintassi che lo precede, il quale sarà di norma un monosillabo (più raramente un bisil-labo)oppurel’infinitodiunverboinformatronca,terminantepervocaletonica.

Ess.: l’ha ffatti so pporello “sono povero” perchè mma mmì “perché a me” menà mma mmì “percuotermi, malmenarmi” e nno cchi “e non chi” a ffassi “a farsi” pe’ ffà “per fare”41

to, anche in posizione non sintattica. Cfr. gli attuali qqua, qqui, llà, llì, ccusì.40) Anche questa tendenza è soggetta ad alcune oscillazioni: cfr. ce ll’ha, ce ll’avéino, te l’ha ddétto, quante l’émo passate “quante ne abbiamo passate”.41) Lo studioso argomenta la propria decisione di eliminare la rappresentazione del trattofonetico–propria,secondolui,dell’“anticagrafiadeldialetto”–,citandoilseneseGiulio Ferreri (le cui attenzioni, come quelle del Gaddi, si rivolsero principalmente alla pedagogiadeisordomuti),ilquale,attraversoalcuneesemplificazioni,illustravalapre-senzadelrafforzamentosintatticonellalinguanazionale;essendoilfenomenocomuneall’italiano,“talidoppiedovrebberofigurarealloraanchenellagrafiadellalingua,cheoffre in Toscana, alcuni casi dello stesso fenomeno del dialetto” (Gaddi in: Paparozzi 1932:XXIX).Sinota,però,comeilrafforzamento,aBagnoregioeCivita,nonsiadeguinecessariamente alla condizioni della lingua nazionale o del toscano: cfr. a Ccìvita, a Rróma, su qquésta, sólo tu cce le pòi fà, e ppói, più ppìccoli, qqui ddavanti, però cc’è qqué ddi differènza, pe mmàggio “nel mese di maggio”, hò ccuminciato, mi ci sò ttro-vato, è mmèjjo, mannà ttanta “mandare”. Gli elementi “perché” e “che” producono esiti oscillanti: cfr. perché ssiamo, e pperchè sennò, che nnói, che ddòrme, che cc’avéino, che c’èra, che divènta. In larga parte della Tuscia il fenomeno è prodotto anche dalla congiunzione “se”, ma nel bagnorese si registra regolarmente se piovéa, se lasciamo, si c’èra. Per alcune notizie sul rafforzamento sintattico nella subarea cimina (con cenni sulla situazione in altre località del Viterbese in nota), vd. C&P 2008:70-72.

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4. Principali caratteristiche linguistiche

a) ConCordanze tra il paparozzi e il gaddi

Sfogliandoi testidelpoetaemergonoalcunifenomenidiuncertointeresse, talmente caratteristici da subire, da parte del Gaddi, soltanto modifichesporadicheodipococonto. Occorresegnalare,poi,comeitrattichesivannoapresentare,sianocomuni, a meno che non si segnali diversamente, alle varietà tuttora in uso a Bagnoregio e a Civita42.

b) Cenni sul lessiCo

Un primo esame dell’impianto lessicale, senz’altro bisognoso di ap-profondimenti, permette di rilevare come il vocabolario del Paparozzi –inlineadimassimaabbastanzaaffidabile43 – accomuni in genere il dia-letto bagnorese alle subaree limitrofe44 e, in molti casi, alla stessa lingua nazionale. Sisegnalacomelevocivurticarai “rivoltolerai”, pronchisino “tipo di cappotto corto”, gnaolone “carponi”, grugno “volto”, le farde “il frac”

42)Datalasededipubblicazione,maancheperevidentiragionidispazio,cisilimiterà,in linea di massima, a citare i tratti più caratterizzanti, ignorando la maggior parte di quei fenomeni che, trovando attestazione soltanto in determinate voci, possono essere considerati marginali.43) Non si darà conto, in questa sede, di alcuni lessemi utilizzati dal poeta, estranei al dialettoattualeedovuti, forse,a influenzecólteoa influssiprovenientidall’esterno,lacuirealerappresentativitàdelcivitonicodifine‘800vasenz’altroapprofondita.Inqualche caso, specialmente in corrispondenza di rima, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a neologismi coniati dal poeta: in un sonetto (La strada de’ Punticelli L) si leggono, in rima, trappila “trappola”, sbottila (vd. gloss. sbottilà), frottila “frottola”, sfrappila (vd. gloss. sfrappilassi), Nottila(sopr.;altroveNottola), nappila (lett. “nap-pa”;vd.gloss.nàppila), tippe e tappila (vd. gloss. tippe e ttàppila), fiottila “lamenti” (cfr. dial. fiòtti), a rottila “a rotoli”, mittala “metterla”, di nuovo sbottila, bittala “bet-tola”, borbottila “borbotta”, cittala(vd.nota46);almenoalcunediquesteformesonoquantomeno “sospette”.44) La stessa considerazione vale, naturalmente, per le altre parlate del Viterbese: per un’esemplificazionedeiterminicomuniallaToscanaealrestodell’Italiamediana,sirimanda a C&P 2008:28-30.

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e la torre “cappello a cilindro, tuba” siano ben note agli anziani e come, nella maggior parte dei casi, trovino conferma ben al di là del territorio comunale45. Il termine cittala “bambina” richiama il toscano citto e ha riscontri nelleparlatedellagodiBolsenaedell’Orvietano46. La locuzione inorca su “carica sulle spalle!”47 è da relazionare al sostantivo òrca “spalla” – attestatoaBolsena,Orvieto48eaSanMicheleinTeverina–,mentretrovariscontro, in ampia parte del Viterbese, la voce mazzarella, che indica un bastone di lunghezza variabile, dalla testa grande, usato come pungolo per il bestiame, ma anche come arma da difesa49. I verbi arzà “alzare” e cuntà “contare” sono immediatamente ricon-ducibili alle forme di lingua, così come le nomenclature dei dolci men-zionati dal poeta (ciarde, ciammelli)50. Facilmente comprensibili sono anche i termini mira “guarda!”, sciamo “folla” lett. “sciame”, untà “un-gere” e, in senso traslato, alocco “fesso, tonto”51. Anche l’arcaico muccì

45) Cfr., nella parlata attuale, vurticà, a gnaolóne e grugno. Nel capoluogo comunale si ricordano le voci plonchisino, farde e tórre, oggi sostituite rispettivamente da cap-puttino, fracche e tubba. Per quanto riguarda le subaree contermini, cfr. grugno (M&U 1992:231, Petroselli 2009:323), prònchise (ibid.:475), farda “falda del cappello” “falda di abito” (M&U 1992:187, Petroselli 2009:283). Per gli altri lessemi, vd. gloss. arïur-ticà, gnaolóne, tórre, vurticà.46) Le voci cìtolo e cìtala, comuni al bagnorese e al registro rustico, non risultano in uso a Civita. Vd. anche gloss. cìtolo. Lo scempiamento di -tt- in cittala – ovvero la sua riduzione in -t-, attestata anche altrove (vd. nota 94) –, sembrerebbe dunque essersi realizzato successivamente alla redazione dei sonetti, ammettendo che gli stessi rispec-chiassero fedelmente l’autentico uso orale.47) Nel citare i versi del Paparozzi, le fonti pronunciano sistematicamente annòrca sù! / innòrca sù!, con raddoppio di nasale. Vd. gloss. inorcà.48) Cfr. gloss. inorcà.49)Sihannoattestazionidelterminemazzarèlla dalconfineconlaToscana,aTrevina-no (fraz. di Acquapendente), sino a Civita Castellana e Blera (Cimarra 2010:339-340, Petroselli 2010:448), passando per laTeverina (Fastello,Grotte Santo Stefano) e lasubarea cimina (Canepina).50) Per la voce ciarde, cfr. gli attuali ciarle (CB) e cialle (B). Per ciammelli (anche in: Proietti 1995:94), cfr. ciammèlli e l’italianizzante ciammèlle (CB), forse di recente introduzione.51) La maggior parte di questi termini trova ampi riscontri nei materiali raccolti nella subarea, mentre mirà, d’uso corrente a Civita, è attestato in altre località del Viterbese e dell’Orvietano;cfr.gloss.sprumirà.

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“fuggire”, non ricordato, in genere, dalle fonti, è ricollegabile all’italiano antico “mucciare”52. Nonèuncaso,sidirebbe,chelemodifichedelGaddi,qualoranonsiano dovute a interventi censori, siano limitate a un numero ridotto di casi, i quali potrebbero scaturire – più che da constatazioni relative alla vitalità delle voci stesse – da preferenze di tipo stilistico.

Ess.: sprimuto (dalle tasse) > cirnuto (forse “cernuto, setacciato”) galla “giovane arrogante, bellimbusto”53 > canajume mutria (voce di lingua) > arbagia “albagia, alterigia”54

Lo stesso Gaddi, d’altronde, nell’evidente tentativo di nobilitare il dialettolocale,cheeglidefinisce“umbro-toscano”,tendeasottolinearecomeilbagnoreseabbia“tuttalasostanzaeilfioredellalinguatoscana,come se n’ha la prova nelle parole antiquate, o d’uso men generale nella lingua italiana, vive nel nostro parlare e nel senese”, e si caratterizzi per lapresenzadi“modificazionifonologiche”chelorendono“prossimopa-rente dell’orvietano” (Gaddi in: Paparozzi 1932:XXX-XXXI)55.

52)Soltantoalcunefontiricordanoilterminemuccì, attribuendolo, talvolta, al registro rustico. La voce era un tempo in uso anche in altre località della Teverina: cfr. Montecal-vello muccì, Vallebona mucci via!, Case Nuove (fraz. di Civitella d’Agliano) muccéte, munè! muccéte ché ècco i ggentarmi! (per la trasformazione -nd- > -nt- in “gendarmi”, vd. nota 93). Vd. gloss. muccì.53) Vd. gloss. galla.54) Cfr. arbàggia (Ramacci1969:34).AViterbolavocearbaggìa “boria, albagia” è propria del registro cittadino (Petroselli 2009:133).55) Lo studioso, partendo da queste considerazioni, cita alcune osservazioni del poeta vernacolodiOrvieto,GiuseppeCardarelli,asserendocheilbagnorese,comel’orvieta-no, “più che vero dialetto potrebbe chiamarsi lingua provinciale caratterizzata da una certa pronunzia, da un certo accento o cantilena, e da certi costrutti atti a rendere la lingua più vera e naturale veste del pensiero del popolo che la parla” (Cardarelli, cit. da Gaddiin:Paparozzi1932:XXXI;lepartiincorsivosonodell’autore).IlGaddiavvalo-ra, in questo modo, un’opinione dilettantesca ma, purtroppo, ancora diffusa, la quale, piùchenobilitareleparlatelocali,finiscepersvilirle,dipingendolecomedeformazionidella lingua nazionale, indegne, se ne potrebbe concludere, dello studio rigoroso e siste-matico che esse meritano.

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c) VoCalismo

Sinota,innanzitutto,laconservazionedi-ifinaleneipluralimaschi-li (i denti, li santi), la quale, secondo il Gaddi, costituirebbe una delle poche caratteristiche che distinguono la parlata bagnorese da quella di Orvieto,nellaqualesiregistranoregolarmenteuscitein-e (le dènte, le sante)56. Più interessante è il mantenimento di -i nella preposizione “di”, nei pronomi “mi” “ti” “gli” “si” “ci” “vi” e nelle voci verbali.

Ess.: la casa di quer santo ’n po’ di tutto ji resta poco“èinfindivita”lett.“glirestapoco” nun si fida vi farò divvi “dirvi” passacci “passarci”

Tali forme, comuni al toscano, rappresentano una delle caratteristi-che più rilevanti delle parlate locali poiché risultano circoscritte a Ba-gnoregio e a Civita, in opposizione all’esito in -e registrato in quasi tutti i dialetti dell’Italia mediana (nun ze fida, divve, passacce,ecc.).Sembra,tuttavia, che l’area d’espansione del fenomeno fosse un tempo più vasta, vistocherisultainalcunitestidialettalidiSanMicheleinTeverina57.56) Cfr. “Non digrada la i in e nel plurale dei nomi maschili e nella preposizione di, che riducesi nell’orvietano ad e e nel bagnoregese ad i” (Gaddi in: Paparozzi 1932:XXXI). Il plurale ambigenere, insieme alle forme maschili terminanti in -e, è attestato in par-te delle campagne bagnoresi (le libbre “i libri”, le sindacate), con l’inclusione delle frazioni Vetriolo (le sòrde, le civitònice) e Castel Cellesi (i castellane “gli abitanti di Castel Cellesi”, i sòrde, i faciòle e, al femminile, i patate), ed è in uso, poi, in altri centri della Teverina (Celleno, Pratoleva, Fastello, Castiglione, Lubriano), intorno al lago di Bolsena,aViterboenell’Orvietano.Tuttavia,aBagnoregioeaCivita,dovesiha,inge-nere, il mantenimento di -i, si raccolgono alcune forme irregolari, come mórto attaccate “molto attaccati, affezionati” e le vècchje “i vecchi”. Cfr. anche li contadine (Vite I:1). Costituisce invece un fenomeno morfologico, e non fonetico, la presenza di -efinaleneisostantivi femminili che, in lingua, terminano in -i: cfr. le canzóne, le paréte, da tutte le parte “ovunque”, ste ggènte “queste persone”. Cfr. anche radice “radici” (Vite II:208).57)NellecommedieineditediSanMichele,redatteneglianni’70dall’autoredialettale

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Anchelevociconassenzadianafonesifiorentina–cioècon-é- e -ó- in luogo, rispettivamente, di -i- e -u- toniche – vengono rispettate dal Gaddi (gramegna “gramigna”, vence “vince”, donca “dunque”, ogna “unghia”). Il fenomeno doveva allora avere una certa vitalità, mentre oggi non risulta che in alcune voci58.

d) Consonantismo

Non subisce le alterazioni del Gaddi un tratto caratteristico dei dialetti mediani, ovvero la trasformazione dei nessi -mb- > -mm- (sopr. Bomma lett. “bomba”, cummatto “tratto, ho a che fare” lett. “combatto”, cumminà “combinare”) e -nd- > -nn- (annà “andare”, quanno “quando”), con la sola eccezione data da un antroponimo (Don Fiordinanno > Don Fiordinando).Seoggil’assimilazioneprogressiva-nd- > -nn- appare in leggero regresso, dell’altra tendenza (-mb- > -mm-) non restano, ormai,

montefiasconeseMarioLozziinbasealletestimonianzedeglianzianidelluogo,sileg-ge costantemente mi pare, sposàmisi! “sposiamoci!”, vi dico di nò, ecc. Il fenomeno è però del tutto desueto, tanto che oggi si registrano esclusivamente voci in -e, forse per influenzadelcapoluogocomunale,Civitellad’Agliano,acui ilpiccolocentrovenneaggregato nel 1928. A Bagnoregio e Civita, invece, tali forme rappresentano tuttora la norma, tanto da essere fatte oggetto di blasone da parte degli abitanti dei centri limi-trofi:cfr.dimmi!, fatti cónto!, ntennémisi! “capiamoci!”, sbrigàmisi! “sbrighiamoci!”, stammi bbène!, rifacémici! “rifacciamoci!”, cóme ti pare, m par di carzóni di cotóne “unpaio”.Sirilevano,tuttavia,alcuneeccezioni,comeinme tòcca ridì “occorre che io ripeta” e sta cazzo e sta pulìtica “di”, registrate a Bagnoregio. Per lo stesso centro, cfr. anche pezzétto de légno, tèmpo de guèrra(ViteI:73,II:235).Originaleèpurelasitua-zionediCapranica,nondistantedalconfineconlaProvinciadiRoma,dovesipossonoudire costantemente i “di”, ci sentimo, si ni vanno “se ne vanno”, ti dico, ti si fa ggiórno, cóme si chjama? Nel dialetto viterbese risulta, poi, l’alternanza tra si, dajji / dalli, di, ni e i più noti ce / se, dajje, de, ne (Petroselli 2009:220, s.v. ce1, 262, s.v. dajje, 263, s.v. de, 406, s.v. ni2).58) Cfr. Civita dónque (e l’arc. dónca), matrégna, patrégno, vénci “vinci” (e vencitóre), ncoméncia “comincia”. Per la frazione, vd. anche il soprannome Nasotenta(Signorelli1979:46). Per il lessico della viticoltura, cfr. lémito“confinedelcampo”,fénto“finto”e pónta “estremità del tralcio” lett. “punta” (Vite I:30, 147, Vite II:259). Cfr. anche dipegna “dipingere”, lengua, donque, stregne “stringere”, malegna(Ramacci1969:29,45, 90, 103). Il Paparozzi scrive, inoltre, deto (oggi antiquato) e depegna (ma il Gaddi trascrive dipegna).

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che poche tracce59. Molto vistosa è pure la caduta della consonante d-in“di”,finoallatotale scomparsa della preposizione.

Ess.: la cuntrad’i Rota“lacontradadiRota” a pipp’i cocco “nel migliore dei modi” lett. “a pipa di cocco” ’m po’ ciccia “un po’ di carne”60

La scomparsa di -v- tra vocali non costituisce, di per sé, una peculia-ritàdelleparlatelocali,vistocherisultaattestatabenoltreiconfinidellaTuscia. Ciò che colpisce è la sua generalizzazione, poiché – secondo i versi del Paparozzi, suffragati dai ricordi degli anziani – il dileguo, nel registro arcaico di Civita, sembra quasi non conoscere eccezioni, persino qualora la v si presenti in posizione iniziale in contesto di frase.

Ess.: diaolo nee “neve” traajo “travaglio, armatura per la ferratura o per la monta delle vacche” le ’ene “le vene” la mi ’ita “la mia vita” la saccoccia ‘ota “la tasca vuota” la ’all’i Cîta “la valle di Civita” ’mmi ’ersi “i miei versi”

59) La situazione è analoga a quanto rilevato negli altri centri della Teverina. Per il soprannome Bomma le fonti ricordano unicamente la variante Bbómba. Cfr., però, l’an-troponimo Colómma “Colomba”, ricordato dagli anziani, e il soprannome Piommotto (Signorelli1979:43),da“piombo”,entrambiattestatiaCivita.Lesolevociincui,neimateriali registrati, si mantiene la trasformazione -mb- > -mm-, sembrano essere com-matta / commatte (vd. gloss. cummatta) e il già citato ciammèlli. Il fenomeno, un tempo, doveva essere piuttosto diffuso, come sembrano dimostrare la forma gamma “gamba”, untempoinusonellavalle,elapresenza,nelloStatutodiBagnoregio,dell’ipercorret-tismo vendembia, confermato dall’attuale vellémbia(Statuto1985:95,ViteII:276).Cfr.anche rimmombà, bomma, tromma, piommo(Ramacci1969:26,33,46,passim).60) Cfr. a ppipp’i còcco, la valle i Cìvita, la casa el fàscio di Bbagnorèggio, n quintale i grano, n quintal’i pane.IlfenomenoècomuneallasubareadellagodiBolsena,all’Or-vietano e al resto della Teverina, mentre ne rimane escluso il capoluogo provinciale.

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Il fenomeno appare oggi con una certa frequenza soprattutto nelle voci verbali, e lo si registra in posizione iniziale soltanto in rari casi61. Sivuolesegnalare,poi,unaltrotrattoarcaico,ovveroilbetacismo,che consiste nella sostituzione di b a v (bboce “voce”, sbocià “svociare”). Diquestatendenzanonrestanoormaichepochetracce62.

e) morfo-sintassi

Per il nesso latino -rj- che, nell’Italia mediana, si risolve general-mente in -r- (pecoraro “pastore di pecore”, porcaro “porcaio”), si regi-stra la scomparsa sistematica della consonante.

Ess.: ciuciao “ciociaro” gennao “gennaio” rifinaa “mucchio di neve o ciarpame accumulato dal vento” telao “telaio” tortoo “tortore del carico sul carro”

61) Forme come caa, caallo, caalla, diàolo (pl. diàili), nèe “neve”, pròa e véscoo erano un tempo ampiamente attestate a Civita. In posizione iniziale, si registrano, a Bagno-regio, due isolati sò nnato ìa “sono andato via” e le acche. Il toponimo Cîta, che gli informatori talvolta pronunciano con un percepibile allungamento di -i-, viene ascritto al registro arcaico, o ricordato con intento blasonico dagli abitanti dei centri limitro-fi:cfr.CastelCellesivò venì a Ccita? La vitalità del fenomeno, all’interno delle voci verbali, è invece comprovata dalla seguente serie: éi “avevi”, avéa, aémo “abbiamo”, dicéa, diceamo, dovéa, facéa, mettéa, metteamo, mettéino “mettevano”, portaa, toccaa, venìa. Il Gaddi, nelle sue note linguistiche, dà grande risalto alla “caduta quasi costante della v in principio e nel corpo della parola”, che costituirebbe una delle più peculiari “caratteristichepropriedelbagnoregeseneirispettidell’Orvietano”(Gaddiin:Paparoz-zi1932:XXXI).NeisonettidelRamacci,ildileguodiv- è attestato soltanto in alcune strutture che includono le voci del verbo “volere”: ciulìa “ci voleva”, ciòle “ci vuole”, j’olémo “gli vogliamo”, t’oi“tivuoi”(Ramacci1969:13,18,33,passim).Cfr.anchediino “divino”, ruidezza, Cita, impruiso “improvviso”, Vesco “vescovo”, nee (ibid.:11, 12, 13, passim). Per Civita, cfr. anche Don Daide(Signorelli1979:46).AGrotteSantoStefanocfr.ilraroddu òrte “due volte”, e a Fastello ddu acche “due vacche” e n’altra òlta “volta”. Cfr. C&P 2008:56-57.62) Ai desueti bboce e sbocià va aggiunto il soprannome Bbocèlla (vd. nota 20). La forma bbóceèattestatasianell’OrvietanocheaFabricadiRoma(vd. gloss. bbóce). Per la diffusione del fenomeno, cfr. anche C&P 2008:52-53.

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Il tratto viene ricordato soltanto dagli anziani di Civita, e presso i parlanti è oggi possibile ascoltare esclusivamente forme in -aro (telaro) e nel sempre più frequente -ajjo (telajjo)63. Un elemento altamente caratterizzante è costituito dall’impiego del-la preposizione ma“a”“in”,comuneaicentridellaTeverinaconfinanticonl’OrvietanoeconillagodiBolsenae,almenountempo,nelcapo-luogo provinciale e nelle sue immediate vicinanze.

ma “a”: ma nnoi “a noi” ma ‘n prete “ad un prete” ma run matto “a un matto” ma’ sordi “ai sordi” ma la su’ padrona “alla sua proprietaria”

ma “in”: mar sacco “nel sacco” jò mmar funno der caone “nel fondo del calanco” mma’ sturmenti “negli strumenti” ma le funtane “nelle fontane” mmin casa “in casa”

Taleelementosubisce,talvolta,lemodifichedelGaddi(ma chi “a chi” > man chi, ma qquer “in quel” > man quer), ma non viene mai ri-portatoalleformedilingua.Sebbenelapreposizionesiainregresso,sene può registrare l’uso, sia pure non sistematico, anche tra i parlanti non

63) Un’informatrice civitonica ricorda le seguenti voci, proprie del registro arcaico: ciociao, ggennao, febbrao, mulinao “mugnaio”, pecorao.Oggi il fenomeno soprav-vive all’interno di un testo formalizzato: Pecorao magnaricotta / va min chiesa e ’n s’anginocchia / nun si leva ’r cappelletto / pecorao malidetto (Catarcione 1997:163). Il tratto linguistico trova conferma fuori subarea, a Canepina – dove gallinao, molinaa e delao “telaio” sono tuttora d’uso comune (C&P 2008:65-66) – e nei pressi di Perugia – dove risultano, ad esempio, febbrèo “febbraio”, gennèo “gennaio”, mugnèo “mugnaio”, piecurèo “pecoraio” (Moretti 1973:237, 260, 367, 449). Le fonti sottolineano come, nel Bagnorese, le varianti in -ajjo siano di recente introduzione: cfr. carzolajjo e il già citato telajjo, accanto ai più conservativi carzulari, telaro, furnaro, capomulinaro. Nel lessico della viticoltura, cfr. vicciutara “vite selvatica”, scapicollatóro “pendio ripido”, piantinaro “vivaio” (Vite I:11, 43, 79).

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particolarmente conservativi64. Assai appariscenti appaiono pure gli avverbi di luogo in me- / mi-, oggi in regresso ma ancora attestati in larga parte dell’area viterbese-orvietana, con l’inclusione dell’intera Teverina.

Ess.: micchì / micchine “qui” meccà “qua” mellà “là” mellaò “laggiù” (Gaddi: > mellajò)

Accanto a queste forme, si nota la presenza di “costì (lì, vicino a chi ascolta)” (lo scarco stì “il franamento costì”) e del derivato “costassù (lassù, vicino a chi ascolta)”, talvolta alterato dal Gaddi (stassù / mestas-sù > lassù / mellassù)65.

64) Il poeta scrive ma mmì, ma anche a mmì. Cfr. gli attuali ma m pòsto “in un posto”, ma la bbócca “in bocca”, man chi “a chi”, ma le pècore “alle”, man quésto “a”, ma mmé “a me”, ma llue “a lui” e, a Civita, min casa “in casa” e min chjésa“inchiesa”.Sirileva la preposizione ma “a” “in” in tutto il Bagnorese, sulla sponda orientale del lago diBolsena,nell’Orvietano,aViterbo(dovesopravvivequasisoltantoinlocuzionifisse)e,percorrendolaSSCassiaindirezionedellacapitale,lasiregistrafinoaBlera,doverisulta, però, voce di scarsa occorrenza (Petroselli 2010:421). Per quanto riguarda la Teverina, la preposizione è attestata a Castiglione, Celleno, Fastello, Pratoleva e Lubria-no. Vd. anche gloss. ma. La particella, in questa subarea, si contrappone a da “a” “in”, inusoneiterritoridiGraffignano,GrotteSantoStefanoeRoccalvecce,cosìcomeinalcuni centri dei Cimini – anticipati da Bomarzo e Vitorchiano – e dell’Amerino. A tali forme si aggiunge la preposizione ne“a”“in”aSanMichele(ne llui “a lui”, néi bbòvi “ai buoi”) e Civitella, confermata anche a Castiglione, dove appare in compresenza con ma: regalelo ne me, dallo ne lue (Corradini 2004:173, s.v. ne).65)Si registrano, incontesto libero,gli avverbidi luogomeqquà “qua”, meqquassù “quassù”, miqquì “qui”, mellà “là”, millì “lì” e melaggiù “laggiù”. Forme come mi-stì “costì” e mellajjó “laggiù” – attestate aCivitafino allafine del secolo scorso –,sono oggi ascrivibili al registro antiquato, mentre micchì, cca “qua” e ccajjó / meccajjó “quaggiù”, ricordate dagli abitanti della frazione, appaiono del tutto in disuso (la forma micchì, in particolare, viene ricondotta all’uso linguistico dei cittadini nati nella se-condametàdelXIXsec.).Sinota,atalproposito,comel’assorbimentodell’elementolabiovelare qu- in kk- (ccajò “quaggiù”) venga rispettato dal Gaddi, il quale provvede anzi a introdurlo ove non lo abbia fatto il poeta (qui > chì). Cfr. “miccchì [sic] si dice a Civita - micquiaBagnoregio”(Ramacci1969:13;lepartiincorsivosonodell’autore).Vd. anche gloss. ccà, llà, stì.

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Sembrasignificativa,poi,lapresenzadell’aggettivoche “qualche” (’che vvorta“qualchevolta”),affiancoaquarche66, nonché dei tipi popò “un po’” (popò spiccio “un po’ veloce”)67 e di nuelle “da nessuna parte” “affatto, minimamente, mica”68. Si segnalano, inoltre, i pronomi tonicimì “me”, tì “te” e sì “se”, ancorainusonellaparlatacivitonicadifine‘900etuttoravitaliinalcunicentri minori della Teverina69. Assumono una certa rilevanza alcuni casi di metaplasmo – ovvero di passaggio da una coniugazione verbale all’altra –, non estranei alla parlata odierna.

Ess.: stemo “stiamo” mittìa “metteva” parìa “sembrava” Seilpassaggiodallasecondaallaterzaconiugazioneparrebbeco-mune a tutta la subarea e oltre (almeno per quanto riguarda le parlate arcaiche)70, il cambiamento dalla prima alla seconda sembrerebbe cono-scere una minore espansione71.

66)L’aggettivoindefinitoche “qualche” è attestato nell’intera Teverina, intorno al lago diBolsenaeaOrvieto;vd.gloss.che.67)IlGaddiintervieneunicamentesullaformagrafica:quandoilpoetascrivepo’ po’, lostudiosoprovvedeauniformarnelagrafiainpopò. L’avverbio, ancora utilizzato da-gli anziani, viene registrato a Bagnoregio con accento tonico aperto (popò) e, a Civita, talvolta chiuso (popó). Vd. gloss. popò.68) Cfr. l’attuale dinoèlle, utilizzato, però, soltanto da alcuni anziani. Cfr. anche di nuel-le(Ramacci1969:13,58).Vd.gloss.dinoèlle.69) I pronomi mì e tì, d’uso corrente a Vetriolo e Castel Cellesi, erano un tempo attestati nello stesso capoluogo provinciale. Cfr. gli antiquati ma mmì “a me”, per mì e per tì, ricordati a Civita. Cfr. anche mammì, a mì, da ti, cun ti, a ti(Ramacci1969:44,51,54,passim).70) Il passaggio alla terza coniugazione è confermato da ìono “avevano”’ (B) e, a Civita, da putii “potevi” e vidii “vedevi”. A Bagnoregio è documentato anche mettìa “metteva” (Vite I:77). Cfr., inoltre, tinìa “teneva”, facìa “faceva”, parìa “pareva”, putii “potevi”, dicia “diceva”, facìino“facevano”(Ramacci1969:17,24,35,passim).71)Cfr.SanMicheledétijji! “dategli!” e, a Bagnoregio e Civita, déa “dava”, déino “da-vano”, ridémijji! “ridiamogli!” e stéa “stava”. Cfr. anche steino “stavano”, stea, stemo “stiamo”(Ramacci1969:14,28,38,passim).

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Diestremointeressesonoalcunevociverbaliconsuffissoin-ra, un tempo in uso, a dire dei parlanti, a Civita e nella campagne, ma non nel capoluogo comunale.

Ess.: credestara “credeste” (cong. impf.) doremmara “dovremmo” emmara “avevamo” fummara “fummo” potemmara “potevamo”72

È attestato, poi, il participio passato in forma tronca per i verbi della prima coniugazione (ha carco “ha tartassato” lett. “ha caricato”, ha ggiro “ha girato”), ma la tendenza è oggi vicina alla scomparsa. Degnodinotaèuntrattocheancoraoggidimostragrandevitalità,ovvero l’impersonale “si” + verbo in luogo della quarta persona (si rima-se “rimanemmo”, si vide “vedemmo”), comune ai dialetti della Toscana e di altri centri del Viterbese73. Il Gaddi ritiene opportuno rispettare le forme della sesta persona del passato remoto in -ònno (scuttonno “scottarono”, trottonno “trottarono”), ormai antiquate74, mentre si registrano interventi dialettizzanti in altre

72) Rispettivamente: credéstara, dorémmara, émmara, fùmmara, potémmara. Tali voci, “con segno ridondante, nel plurale, in ara”, vengono percepite dal Gaddi come una delle più rilevanti differenze tra il bagnorese e l’orvietano (Gaddi in: Paparozzi 1932:XXXI). Una fonte civitonica ricorda con certezza le varianti émara e potémara, senza rafforzamento di nasale, come d’altronde avveniva nel contiguo centro di Bolsena (annàmara). Forme analoghe sono documentate nelle parlate arcaiche di alcuni centri contermini – cfr. Lubriano dàmmara “davamo” (Vite II:203) –, mentre sarebbero tuttora in uso a Pratoleva. Per la diffusione del fenomeno “in zona tosco-umbro-laziale”, cfr. Magnanini 2010.73) In riferimento all’estrazione del basalto e alle successive fasi di lavorazione, a Ba-gnoregio si registra: si cava “estraiamo”, si bbattéa, si facéva tutta na scarpellatura, si lavoraa così, si stava anche da la mattina a la séra. Cfr. Civita si campava co la cam-pagna, s’andava in campagna, a la séra si rientrava.Pericentrilimitrofi,cfr.Monte-calvello e nnóe a meżżoggiórno se magna “noi, a mezzogiorno, mangiamo” e Pratoleva ce s’andava pòco, s’andava a Ccelléno, jji se fa ll’offèrta, nun zi fa.74)Sirileval’usodelleformein-ònno soltanto presso i parlanti più conservativi: cfr. levònno, portònno (Blaspop. II:857).

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voci verbali (curri “corri!” > curre75, sarei > sarìa76, fariste “fareste” > faressito77). Resta intatto, naturalmente, un tratto estremamente vitale, ovveroil troncamentodell’infinito (fà, leccà “adulare” lett. “leccare”, murì) e dell’imperativo (guardà “guardate!”, sentì “sentite!”). Alle voci riportate siaggiungonolevariantidell’infinitoconaggiuntadi-ne paragogica (ab-bitane “abitare”, stordine “stordire”), la quale, oggi, sopravvive in poche forme cristallizzate78.

5. Le alterazioni linguistiche del Gaddi

a) interVenti sul VoCalismo

È ampiamente documentata, nei versi di Bocella, la tendenza di -o- ed -e- atone a chiudersi rispettivamente in -u- (prutettore, cuntrada) e in -i- (manijà“maneggiare”),soprattuttoprimadivocaletonica.Sebbene

75) L’apertura di -ifinalein-e nella seconda persona dell’imperativo è attestata in altri centri, nei quali, di norma, si ha la conservazione di -i(GrotteSantoStefano,Monte-calvello,Vallebonae,alconfineconlaToscana,aTrevinano). Il fenomenodimostrauna certa vitalità nel Bagnorese: cfr. viène qqua! (B) e, a Civita, curre! “corri!”, fugge!, tène! “tieni!”, règge! e bbée! “bevi!”.76) Le fonti non ricordano le voci del condizionale in -ìa, un tempo diffuse nella Te-verina(cfr.GrotteSantoStefanocavarìa “estrarrei”), che il poeta alterna alle forme in -èbbe, ancora attuali: cfr. daria “darei”, jocarìa “scommetterebbe”, prutennaria “pre-tenderebbe”, vurrebbe “vorrei”.77) Nei versi del poeta, cfr. anche ardissito “ardiste” (cong. impf.). Forme di questo ge-neresonocomuniadaltricentritiberini:cfr.GrotteSantoStefanoannàssito “andaste”, bbevéssito “beveste”.78)Sinota,però,comelaparagoge,neitestidelpoeta,nonsialimitataalleformever-bali tronche ma sia riscontrata anche altrove (milline “lì”, llane “là”, piune, caritane), non necessariamente in corrispondenza di rima. Il fenomeno, oggi presente in poche forme enfatiche (chène? “che?”, sine!, nòne!), doveva essere ampiamente diffuso, come confermano i testi delle subaree limitrofe (Aquesiano, Castrense, lago di Bolsena), che precedono di pochi anni i sonetti del Paparozzi: cfr. Acquapendente perciòne, maestane, perchene, sane,ecc.(Papanti1875:387-388);cfr.GrottediCastroannone “andò”, que-ne “questo”, perchene, Rene,ecc.(ibid.:393-394);cfr.Montefiascone:Rene(ibid.:396);cfr.SanLorenzoNuovoRêne, vennicane “vendicare” (ibid.:403-404). Cfr. anche tine “te”, impaurine, muccine, tusine “così”, tribbolane, micquine (Ramacci1969:30,37,87). Vd. gloss. -ne.

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il fenomeno mostri tuttora una certa vitalità, si registrano frequenti mo-difichedellostudioso(protettore, contrada, manejà), che paiono, però, nonsistematiche:seincerticasivienerispettatalagrafiadelPaparozzi(bicchini, diputato), a volte si ricorre, invece, a interventi di tipo arcaiciz-zante (proisorio > pruisorio, maestrino > maistrino, sentì > sintì)79. La mutazione di -er- in -ar-, prima di vocale tonica, viene salvaguar-data dal Gaddi (ciarvello, peparone “grosso naso” lett. “peperone”), op-pure introdotta dove non lo avesse fatto il poeta (scellerato > scellarato)80. In posizione postonica, si ha la trasformazione -er- > -ar- nei verbi del-la seconda coniugazione, sottoposti a troncamento (veda “vedere”, rida “ridere”)81.

79) L’instabilità delle atone non è limitata a -o- ed -e-, come si può evincere dalle forme abbreo “ebreo”, funì“finire”,pricissione “processione” e sciabbile “sciabole”, lasciate inalteratedalGaddi;lostessointerviene,invece,suAccupinnente “Acquapendente” (> Accapennente) e tribbilane “tribolare” (> tribbolane). Cfr. gli attuali bbuttéga, cuntadi-ni, finì, maggiurménte “in particolare” “specialmente”, pirmésso, prucessióne, simentà “seminare”, vistito “abito” e, in posizione postonica, gànghino “ganghero della porta” (B) e żżìnghera“zingara”(CB).Dopovocaletonica,cfr.anchequattòrdece “quattordi-ci”, ggióvine, ràdeca “radice” (Vite I:7, 86, 90, Vite II:212). In posizione protonica, cfr. anche raccòjja / riccòjja “raccogliere” (Vite II:193). La tendenza riguarda pure le vocali finali,qualorasitrovinoinposizionedeboleincontestodifrase(hò ncuminciatu io “ho cominciato io”). Per quanto riguarda la terza persona plurale dell’indicativo presente e imperfetto, la “precarietà” delle atone si risolve, nei versi di Bocella, puntualmente in -i-: oprino “aprono”, sparaggnino “risparmiano”, passaino “passavano”. La situazione attuale appare più articolata: cfr. avéano / avéino “avevano”, èrimo “eravamo”, èrino / èrono “erano”, facéino / facéono “facevano”, dicéino “dicevano”, stàono “stavano”, piàceno “piacciono”. Per Bagnoregio, cfr. anche cammìneno “camminano”, piéghino “piegano”, piantàvono “piantavano” e l’alternanza tra facévono e facéveno “facevano” (Vite I:145, Vite II:209, 264, 265). Per Civita, cfr. guardino “guardano”, scappaino “scappavano”, sopportaino“sopportavano”(Proietti1995:124,127).AncheilRamacciscrive sistematicamente fioccàino “nevicavano”, èino “avevano”, aderino “erano”, di-ventaino “diventavano”, strillino“strillano,urlano”(Ramacci1969:13,17,26,passim).80)Soloinuncaso,dovuto,forse,aunasvista,sirilevaun’alterazioneitalianizzante(diartimento > diertimento): sebbene nella trascrizione del sonetto si legga diertimento, il relativo richiamo in nota, a cura del Gaddi, riporta diartimento, il che potrebbe far pensare a un refuso o a un ripensamento dello studioso (Paparozzi 1932:33, nota 3). Per la parlata attuale, cfr. peparóne, a Civita anche come soprannome (vd. gloss. peparóne).81) Tali forme, usate sistematicamente dal poeta, appaiono in netto regresso, in favore delle più italianizzanti voci in -e. Cfr., a Civita, bbéa “bere” e l’arcaico curra “correre”. AncheilRamacciricorremetodicamenteallevariantiin-a: cfr. cocia “cuocere”, scria

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L’armonizzazione, relativamente vitale nelle parlate attuali, è ampia-mente attestata (bittala “bettola”, mittolo “metterlo”), e viene addirittura estesa dal Gaddi a voci che, nei versi originali, non la prevedevano (trap-pile “trappole” > trappele, chiappateli “acciuffateli!” > chiappatili)82. Lo studioso interviene metodicamente sulla dittongazione di -o- to-nica in -uo- – d’altronde attestata in un solo lessema (buocco “baiocco” “soldo in genere” > baocco, pl. buocchi > baocchi)83 – mentre vengono salvaguardate la dittongazione di -e- in -ie- (vietro, tienghino “tengono”, vienga) e di -afinalein-ia (differenzia, scunuscenzia “irriconoscenza”)84. Frequenti sono i casi di caduta di vocale iniziale o aferesi (’gni “ogni”, ’n“un”).SuquestiilGaddiintervieneinunsolocaso(baja “ab-baia” > abbaja), provvedendo, anzi, a introdurre la forma aferetica qua-lora non sia stata registrata dal poeta (indiaolata > ’ndiaolata, indoini > ’nduini). Nell’uso attuale si rileva un’alternanza di forme con e senza aferesi85. Sihailfenomenoopposto–ovverol’aggiuntaoprostesidia – pri-ma della consonante vibrante r (arimitte “mette di nuovo”, aripulito). Oveilfenomenooscilli,ilGaddiprovvedeaportarelevociallaformaprostetica (ti ringrazio > t’aringrazio, si rassumija > s’arissumija), forse perché ritenuta più rappresentativa della parlata locale86.“scrivere”, struggia “struggere”, piagna “piangere”, veda“vedere”(Ramacci1969:12,13, 23, passim).82) L’armonizzazione delle vocali atone consiste, in questi casi, nella loro assimilazione o“adeguamento”all’atonafinale,comeavvienenell’antroponimoCàstere (CB) e nel sostantivo scòrzala “corteccia” (Vite II:232). Per Civita, cfr. anche diaili “diavoli” (Pro-ietti1995:71,116).NeisonettidelRamacci,cfr.taala “tavola”, tessara, arbiri “alberi”, nuele“nuvole”(Ramacci1969:31,58,96,passim).83)Sinota,però,comelefontiricordinounicamentebbajjòcco (B) e bbaòcco (CB). Il Paparozzi registra un’altra forma di dittongazione ovvero il mutamento in -io di -o postonicafinale,soggettoallealterazionidelGaddi(interessio “interesse” > interesso).84) Per quanto riguarda il registro antiquato di Civita, cfr. stànzia, differènzia, viétro. Cfr. anche stansia “stanza” (e il diminutivo stansietta) e vietri(Ramacci1969:20,54,93).85) L’oscillazione segnalata è confermata dagli attuali n quél mòdo, nvéce, ci su ndato “ci sono andato”, nni còsa “tutto” lett. “ogni cosa”, nguattà “nascondere”, nnà “andare” e gnuno “ognuno”, accanto a imbastì e annà. Cfr. anche nnestino “innestatore” e l’anti-quato inzità “innestare” (Vite I:123).86) Cfr. gli attuali ariparamo le pècore, vèngono arimésse, s’èra risciugata “asciugata di nuovo”, le ripezzaa “rattoppava”.

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Tra le alterazioni arcaicizzanti, si nota l’introduzione di un caso di sincope, ovvero di caduta della vocale atona (lìbboro “libero” > libbro), confermato da altre forme usate dal poeta (orloggio / urlogio “orologio”, corco “coricato”, lettre “lettere”, barlozzetto “barilotto di legno”)87. Numerosi, poi, sono gli interventi dello studioso sulle vocali -o- ed -e- qualora, in posizione tonica, manifestino chiusure simili a quelle de-scritte in precedenza.

Ess.: fice > fece mitti > metti munno “mondo” > monno punte > ponte vidivvi “vedervi” > vedevvi vurriste > vurreste

Tutte queste forme, d’altronde, sono ormai pertinenti al registro ar-caico e, all’epoca della seconda edizione, erano probabilmente già supe-rate o in via di disuso88. Ancheinquesticasi,però,lemodifichedelGaddinonsonogene-ralizzate, come dimostrano sia i non rari casi di mantenimento di forme desuete (currite! “correte!”, ridutto “ridotto”), che il rispetto di voci ver-bali che, nei dialetti della subarea, non appaiono del tutto superate (ditto “detto”, fussi “fossi”, curse “corse”, curre “corre”). Isolati, invece, sono gli interventi dialettizzanti (metta “mettere” > mitta).

b) interVenti sul Consonantismo

Nell’edizione del Gaddi non rimane traccia della trasformazione, or-mai desueta, di -nv- in -mm-, ampiamente attestata nei testi originali.87) A Bagnoregio si registra l’ormai raro orlòggio. Cfr. anche corcà <CORICARE(Vite I:113). Per quanto riguarda la parlata antica, anteriore al XIX secolo, cfr. la forma carcasse“caricasse”(Statuto1985:93),confermatadalPaparozzinelgiàcitatocarco e in carcate “tartassate!” lett. “caricate!”. IlRamacci scrive libboro, ma anche opra “opera”, opralla “operarla”, lettra(Ramacci1969:11,14,42,passim).Vd.anchegloss.libbro, scarcà, scarco.88)Sisegnalalapersistenzadeltoponimor Furo (CB), riferito a una galleria scavata nellaroccia,sottolarupediCivita;lostessoluogoènotoaBagnoregiocomer Fóro.

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Ess.: cummento “convento” > cunvento cumminiente “conveniente” > cunviniente immice > invece89

Le voci con metatesi – ovvero scambio di posizione della conso-nante r, all’interno dello stesso termine – vengono talvolta riportate alle forme di lingua (sturmenti > strumenti) e in altri casi lasciate intatte (cra-pioli, trisoro “tesoro”). Il fenomeno appare oggi circoscritto ad alcuni tipi lessicali dei settori dell’allevamento e dell’agricoltura90. Il Paparozzi offre numerosi esempi di rotacizzazione, ossia di tra-sformazione, in particolari condizioni, di l in r (’r domo “il duomo”, quarche e, dopo consonante, Framinio “Flaminio” e la coppia scramò “esclamò” e scramammi“esclamarmi”).Siannotano,tuttavia,frequentieccezioni, peraltro riscontrate nell’uso attuale, che lo studioso ritiene di dover portare alla forma rotacizzata (albergà > arbergà, pel “per il” > per, quel > quer). La scelta è probabilmente spiegabile, anche in questo caso, con la volontà di utilizzare voci ritenute più “caratteristiche”, ma potrebbe anche testimoniare un’effettiva evoluzione del fenomeno91. Sinota,d’altrocanto,l’assenzadiinterventisullaformaastro “al-tro” – forse dovuta a dissimilazione, a partire da un ipotetico artro –, oggi dimenticata dai parlanti ma documentata nelle parlate arcaiche di altri centri prossimi alla Toscana92.

89) In base ai materiali disponibili, il fatto linguistico sembra trovare rispondenza sol-tanto nell’agionimo Sam Mintura“SanBonaventura”,attestatoaBagnoregio,mentreuna fonte di Civita ricorda la variante San Vintura.SinotacheilPaparozziscriveva,invece, San Minintura, voce riportata sistematicamente dal Gaddi alla forma di lingua. Ad oggi, è possibile udire unicamente Sam Bonaventura. Cfr. anche Bonaintura(Ra-macci 1969:24).90) Cfr., in ambo i centri, l’alternanza tra castrà e crastà. Per Bagnoregio, cfr. anche accrapettà “riabbassare la vite” e crapa, che appaiono accanto a capra (Vite I:100, Vite II:183).91) Per le parlate attuali, cfr. bbasarto, r cónto, r mi bbabbo, na vòrta e, a Civita, di-pròma, mórto, órtre, Roccarvécce.92)Per“dissimilazione”s’intendelatrasformazionediunsuonoperdiversificarlodaun altro all’interno della stessa parola: nel caso dell’ipotizzata forma artro, dove si ha la presenza di due r, la prima di queste subirebbe il cambio in s. Il termine astro, però, è ignoto alle fonti, che pronunciano unicamente antro e artro, accanto alla forma di lingua. Tuttavia, a Civita, il fenomeno sopravvive nell’antroponimo Ggestruda. Cfr.

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L’assordimento delle consonanti sonore d e g (sia nasale labiale o “g dolce” che occlusiva velare o “g dura”) – ovvero il loro passaggio rispettivamente a t (Antrea) e a fricativa c o “c dolce” (Cisummaria, s’in-cegna), e occlusiva velare c o “c dura” (lanquì “languire”, sciaquira-to “sciagurato”) –, qualora non trovi rispondenza nelle parlate odierne, viene, in genere, alterato dal Gaddi (Andrea, Gisummaria, s’engegna, languì)93. Lo studioso, inoltre, introduce talvolta la riduzione della doppia -tt- (quattrini, battisteo “scarica di percosse”) in -t- (quatrini, batisteo), in conformità all’uso attuale94. Altri tratti ormai in disuso vengono trattati dal Gaddi in maniera non sistematica, segno, si direbbe, che tali fenomeni erano, già ai tempi della seconda edizione, in forte regresso. Ad esempio lo studioso ha cura di cancellare i passaggi v > m e “g dolce” > “c dolce” (mancelo > vangelo), mentre tratta il mutamento “g dura” > “c dura” con qualche incoerenza, talvolta riportando le voci a forme italianizzanti (unguidia “invidia” > anvidia), in altri casi lasciandole intatte (goli “voli”)95.

Bolsena la Gestrude e, nel dialetto arcaico di Grotte di Castro, astre “altri” (Cerica 1992:6, Papanti 1875:51). Nei versi del poeta, cfr. anche astra “altra”, astre “altre”, voiastri (vd. gloss. vojjastri). Il Paparozzi offre un ulteriore esempio di dissimilazione di -r-, ma stavolta in -l-, nella voce arbili “alberi” (ma arboreti “alberate”), confermata a Bagnoregio da erbolato “alberata” e arboléto, che appaiono accanto ad àrbero e al-berétto (Vite I:139, 140, passim, Vite II:184). Cfr. anche arborato accanto alla forma dissimilata scola agralia(Ramacci1969:23,80).93)Sinotanounasolaeccezioneinsensoopposto(batizzato “persona” lett. “battezza-to” > badizzato) e qualche caso di mantenimento (ripito “ripido”, buttiche “botteghe”). Rimangonointattealcuneformediusocorrente(aco “ago”, sfocane “sfogare”), mentre una voce con sonorizzazione viene riportata alla variante sorda, ancora attuale (stroligà “congetturare” > strolicà).Sisegnalacomesoltantoalcunevociconconsonantesordain luogo della sonora siano spiegabili con il mantenimento del fonema latino. Nell’uso corrente cfr. aco, sfocassi “sfogarsi”, strolicà e, a Civita, l’agionimo sant’Iltebbranno “Sant’Ildebrando”eilsoprannome la Francettóna, da francétta “frangetta”. La voce batizzato, sonorizzata dal Gaddi, è attestata, nella parlata civitonica, nella stessa forma usata dal poeta (vd. nota 37). Cfr. anche Sant’Artibbranno, leggiatre e spiche(Ramacci1969:25, 87, 106). Per il resto della subarea, cfr. a Case Nuove il già citato ggentarmi, sia pure come voce di scarsa occorrenza (vd. nota 52).94) Cfr. quatrini, bbatistèrio (B), bbatistèro (CB); vd. anche gloss.bbatistèo. Si hascempiamento di -tt- anche in fratèmpo (CB), cìtolo e cìtala. Vd. anche nota 46.95) L’interscambio tra g- e v- iniziali è attestato in górpe (CB) e nell’alterato gorpolotto

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c) interVenti su morfologia e sintassi

L’alternanza tra gli articoli determinativi i e li “i” “gli” – corrispon-denteallecondizioniattuali–subiscealcunemodifichedelGaddi(i Pun-ticelli > li Punticelli, i girelli“tipodifuochid’artificio”>li girelli)96. Lo stesso ha cura, inoltre, di segnalare la tendenza alla scomparsa dell’arti-colo i in contesto di frase (fa’ i cunti > fà conti), registrata, d’altronde, dallo stesso Paparozzi, anche all’interno delle preposizioni articolate (a’ santi “ai santi”)97. Il pronome “lo” viene trattato con qualche incoerenza (lu fo “lo fac-cio” > lo fo, lu so > lo so, lo dico > lu dico)98, così come l’avverbio “non” (non > nun, nun > ’n)99. Lo studioso interviene in senso arcaicizzante sulla congiunzione “se” (se > si), la quale, nell’uso attuale, si presenta sia nella forma dia-lettale che in quella (anche) di lingua100. Lo stesso avviene per l’avverbio “proprio” (proprio > propio). Vengono spesso riportate alle forme di lingua le voci verbali della sesta persona dell’indicativo presente e futuro, dove si ha sostituzione di -ò- ad -a- tonica. Tale tendenza, che trova riscontro in alcuni centri limi-trofi,èormaiprossimaallascomparsa.

(Ramacci1969:30).NellagrafiadelPaparozzi,cfr.l’alternanza,per“uscire”,traviscì e guiscì (con dittongazione -i- > -ui-).IlRamacciutilizzasistematicamenteleformeinv-: viscì “uscì”, vesce “esce”, viscimo “usciamo” (ibid.:5, 24, 74, passim). Vd. anche gloss. gólo, guiscì.96) Cfr. i Cii (top.), i càmio “camion”, li patri, li sarti, i sórdi, i sòrdi / li sòrdi, li somari. AncheneisonettidelRamaccilaformali risulta essere prevalente: cfr. li fossi, li Santi, i rami, li fiji, li stuji“studi”(Ramacci1969:13,96,104,passim).97) Cfr. a Castagnéti “ai” (top.), di qué tèmpi “all’epoca”. Cfr. anche ma’ cani “ai cani”, de’ fiji, ma’ fonni de’ caoni(Ramacci1969:11,13).98)Nonappaiono,nellagrafiadelpoeta,esempidelpronome le “lo” “li” “la” “le”, ampiamente diffuso intorno al lago di Bolsena e nella Teverina (ma non nel capoluogo provinciale), il quale, in contesto di frase, può presentarsi con dileguo consonantico. Cfr. Bagnoregio le chjamamo “lo”, un ce e danno più “non ce lo danno più”, chi cce lo dava?, lu distinguéva.99) Per “non” si annotano le seguenti forme: no è, nun è, un zi dice, n ci vò “non ci vado”, nu le lasciamo, nun zi lassa “lascia”. Vd. gloss. nun.100) Cfr. anche l’avverbio sinnò, confermato dallo stesso Paparozzi.

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Ess.: fònno > fanno faronno > faranno ònno > hanno (ma anche honno) saronno > saranno vonno > vanno101

Lostudiosointerviene,purnonmetodicamente,sull’infinitodeiver-bidellaprimaedellasecondaconiugazioneche,nellagrafiadelPaparoz-zi, terminano in -ì (sapì “sapere” > sapé, riciì “ricevere” > riceé, richiap-pì “acciuffare di nuovo” > richiappà). Il fenomeno non trova conferme nei materiali registrati102.

6. Conclusioni

Sièvistocome,ingenere,gliinterventidelGadditendanoaitalia-nizzare il linguaggio del Paparozzi, in vista, se ne potrebbe dedurre, di una maggiore diffusione dei suoi testi, anche al di fuori della subarea. Tuttavia, i numerosi casi di mantenimento o, addirittura, di introduzione di forme oggi antiquate o arcaiche (e allora, forse, già in regresso), po-trebbe avallare l’ipotesi accennata in precedenza, relativa al tentativo, da parte dello studioso, di adeguare l’antico dialetto civitonico alla parlata in uso ai tempi della seconda edizione, o comunque a forme linguistiche che a lui risultavano più familiari. Ciò che si può affermare con certezza è che le parlate del Bagnorese, anche se caratterizzate da una certa vitalità, tendano lentamente a trasfor-marsi, adeguandosi non soltanto alla lingua nazionale (nelle varietà vei-colate dalle scuole, dai mass media e dai nuovi mezzi di comunicazione), ma anche alle varianti di italiano (sub)regionale e dialetto italianizzante in uso nelle aree limitrofe e, in particolare, nei centri di maggior presti-gio.

101) A Bagnoregio, per ammissione degli stessi parlanti, sarebbero in uso le forme ònno e farònno,comuniallagodiBolsenaeall’Orvietano,dellequali,tuttavia,nonèstatopossibile raccogliere alcun esempio in contesto libero.102)Iltrattoappareormaiscomparso,mailcambiodell’infinitodallasecondaallaterzaconiugazione è attestato anche fuori subarea: cfr. Viterbo mantinì (Petroselli 2009:370, s.v. mantené).

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Ai tratti in regresso, se ne aggiungono altri di cui si è persa o si sta perdendo completamente la memoria, a dimostrazione del fatto che lo “scolorimento” delle parlate in esame è in atto da numerosi decenni, e non soltanto a partire dalla maggiore scolarizzazione o dalla penetrazione dei mezzi di comunicazione tradizionali in tutti gli strati sociali. È ormai appurato,d’altronde,cheilvagheggiato“dialettopuro”,chiusoainfluen-ze esterne, non sia altro che un mito, e che le varietà linguistiche tendano, per la loro stessa natura, ad adattarsi alle trasformazioni economiche, sociali e culturali in corso103. Per quanto riguarda la realtà bagnorese, occorre poi prendere in con-siderazione altri fattori, squisitamente locali, tra i quali si citano l’ine-sorabilespopolamentodiCivitaedellasuavalle,nonchél’afflusso,nelcapoluogo comunale, di cittadini provenienti dai centri e dalle campagne limitrofe,apartirealmenodalsecondodopoguerra.Siterràconto,poi,dell’importanteruolosvoltodaBagnoregio,finoatempirecenti,qualesede diocesana di un territorio piuttosto esteso, in gran parte coincidente con il comprensorio della Teverina. Appare evidente, a questo punto, l’urgenza di avviare un’indagine sistematicaerigorosasulleparlatedelBagnorese,siaalfinedidocumen-tarne tratti lessicali, fonetici e morfo-sintattici in via di scomparsa (ma anche di individuare con maggiore precisione le trasformazioni in atto, nonché le loro cause), che di registrare i fenomeni ancora attuali, ottenen-do, in tal modo, un quadro esauriente del dialetto bagnorese e della più conservativa varietà civitonica. Un’indagine di questo genere non potrebbe non prendere in consi-derazionelecondizionilinguistichedeiterritorilimitrofie,inparticolare,della subarea tiberina, luogo di incontro e di scontro di tendenze dialettali di diversa origine.

103) Cfr. C&P 2008:81.

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INTRODUZIONE AI SONETTI

Si riproduce,di seguito, laprima raccoltadei sonettidiBocella De-Caoni (Paparozzi 1903), pubblicata quando il poeta era ancora in vita. Chi ha conosciuto i suoi versi grazie alla successiva, e forse più nota, edizione curata da Alessandro Gaddi (Paparozzi 1932), noterà senz’altro le numerose differenze (soprattutto di carattere linguistico) tra le due raccolte, parzialmente illustrate nelle pagine precedenti. Sarebbestatosicuramenteutilepoteraccedereagliscrittioriginali,maquesto, purtroppo, non è stato possibile, poiché, nonostante l’interessamento e la disponibilità della sig.ra Giuliana Baldacelli – vedova di Filippo Paparozzi (nipote del poeta), che li custodiva –, recentemente scomparsa, risultano,almomento,irreperibili.Sièperciòfattoriferimentoallaprimastampa, confrontandola sistematicamente con l’edizione curata dalla Pro Loco di Bagnoregio (Paparozzi 1993), quest’ultima basata – almeno per quanto riguarda i componimenti qua riprodotti – sui manoscritti del poeta1. Pur trascrivendo fedelmente i sonetti – fatti salvi sporadici interventi dicaratteretipografico,effettuatitenendocontodelleconvenzioniattuali–,non si è potuto fare a meno di notare come la raccolta del 1903 presentasse alcuni evidenti refusi, qua corretti e posti tra parentesi quadre2. In qualche altro caso si è preferito, invece, segnalare il probabile errore di composizione facendolo seguire da un punto interrogativo, sempre entro parentesi quadre. Un ulteriore intervento ha riguardato le iniziali dei nomi propri, talora in carattere maiuscolo e, in altri casi, minuscolo. Nella convinzione che l’impiego della minuscole sia dovuto a una serie di sviste – come d’altronde sembrano indicare alcune correzioni manuali rilevate sulla copia da me consultata3 –, si è provveduto a ripristinare la maiuscola, evitando di segnalare i singoli interventi. Le annotazioni originali del Paparozzi sono state riprodotte per intero,

1)Siricordacomel’edizionedellaProLocosiacostellatadirefusi,chenehannoresaincerta, in qualche caso, la consultazione.2) Ma le stesse sono state omesse qualora la forma da me ipotizzata trovasse conferma nell’edizione della Pro Loco.3)GliinterventimanualipotrebberoessereoperadiSeveroVenci,checuròl’edizione,o forse dello stesso Paparozzi. La copia a cui faccio riferimento è quella consultabile presso la “Biblioteca Comunale degli Ardenti” di Viterbo.

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racchiudendole tra virgolette e facendole seguire dalla dicitura “nota del poeta”, posta tra parentesi tonde. Il testo “nota del Gaddi”, invece, segnala l’inserimento di alcune notizie utili estrapolate dall’edizione del 1932. L’impianto di note è stato quindi ampliato, inserendo, dove necessario, succinte annotazioni di carattere storico-ambientale o, assai più frequentemente,traduzioniditerminiedespressionidialettali.Sièevitato,in linea di massima, di fornire spiegazioni delle voci presenti nel glossario del Gaddi – al quale il lettore dovrà fare riferimento –, così come di forme dovute a fenomeni frequenti o sistematici quali il troncamento dei verbi all’infinito(fa’ “fare”), la scomparsa di -v- intervocalica in corpo di parola (brao “bravo”), la monottongazione di -uò- (scòla “scuola”), la chiusura di -e- e -o- atone rispettivamente in -i- (crisciuto) e -u- (culori), ecc. Non si dà conto, in genere, di soprannomi e toponimi dialettali.

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I CINQUANTA SONETTI DI BOCELLA DE-CAONI (1903)

Filippo Paparozzi

I.Lo so da mì c’ho da fà1

Mitti le farde (m’onno ditto tanti) Egira‘rmunno,cheseiunbraopueta; Tusì non più vurticarai la creta2

E gran buocchi abbuscarai cu’ canti3.

[Ma] fussi matto di lanquì di dieta4

Pe’ portà pronchisino, torre e guanti5: Lafilastroccagiàsisaditanti Che ci scuttonno a fa’ ttusì le deta6.

Sinch’artraajo7 la mi ‘ita8 regge, Vojolazappamanijà,efacioli Sgranà9 ‘gni sempre come ‘r zi’ Pelegge.

Delami’zuccaseirimatigoli Faronno rida chi po’ po’ li legge, Sartocuntentocomeicrapioli10.

1) Lo so da solo cosa devo fare.2) Indossa il frac, mi hanno detto tanti, e gira il mondo, poiché sei un bravo poeta, così non rovescerai più l’argilla (con la zappa): “I terreni di Civita sono quasi tutti argillosi” (nota del poeta).3) E guadagnerai molto denaro (lett. “baiocchi”) grazie ai canti.4) Fossi matto a patire la fame (lett. “languire a causa della dieta”).5) Per indossare pronchisino (tipo di cappotto corto), tuba e guanti.6) Così facendo provarono un’amara delusione (lett. “si scottarono le dita”). 7) Travaglio, armatura per la ferratura o la monta delle vacche.8) La mia vita.9) Voglio maneggiare la zappa e sgranare fagioli.10)Se ivoli rimaticheprovengonodallamia testa farannoriderechi li legge,saltocontento come i caprioli.

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II.La scunuscenzia1

Nun oprino2 la bocca, se ‘r veleno Nu’squizzinoccajòlibraiRotani3, E intanto spesso spesso, come i cani, Di‘iniccialeccànunponnoameno4.

Qui cionno5pe’fà‘rpaneimejograni, L’erbaggini primotichi6 a Calleno, Rigazzedilaoro7, che nemmeno Sparaggninounminutolesu’mani8;

Qui scope9, rusci10, spazzele, bocchini11, Ajo12, ginestra, lumachelle13, canne, Scarciofinitamanti14esopraffini:

Acqua surfura15, creta, du’ mulini16, Quatrello pe’ le sedie e le cappanne17

E a ffassi assutterrà pure i bicchini18.

1) L’irriconoscenza.2) Aprono.3)GliabitantidiRota(vd.VI,nota4).4) Non possono fare a meno di venirci ad adulare, a leccare come fanno i cani.5) Hanno, possiedono.6) Erbaggi primaticci.7) Grandi lavoratrici.8) Lavorano senza pausa (lett. “non risparmiano le proprie mani neanche per un minuto”).9)Sagginedagranate.10) Il sost. rusci sta per “pugnitopi [sic], con cui si fanno nel viterbese delle scope per la pulizia delle pubbliche strade” (nota del Gaddi).11)Spazzole,bocchini:“Identalifossilichetrovansiinque’pressiservonoperbocchinida fumare” (nota del poeta).12) Aglio.13) Piccole chiocciole biancastre delle siepi.14)Carciofigrandissimi.15)Sulfurea.16)Duemulini.17) Acoro, impiegato per fabbricare le sedie e le capanne.18) E per farsi tumulare ci sono anche i becchini.

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III.Le campane di Cîta1

Sesentolecampanedimicchì, Mipassaanchela‘ojadermaggnà2: I doppi ci saronno in ‘che città3; Però chi sa se sonino4 ttusì?

Petello sempre va meccà e mellà5; Eppure anche da lui ho ‘nteso di’ Che un doppio tusì bello come cchì, Per quanto munno ha ggiro6, nun ci sta.

Io spero a nun riacci e di murì7

Quanno ch’ar nostro Cîta mancarà Lastradainquarchemodope’salì;

Sinnò,selecampane‘issiammirà, Mal’ognade’Rotani8, vi so ddì: Dall’ortoderCiuciaom’ojobuttà9.

1) Le campane di Civita.2) La voglia di mangiare.3) In qualche città ci saranno campane che suonano a doppio.4)Suonano.5)“Petello[sopr.]continuamenteèingiropertrafficodibestiame”(notadelpoeta).6) Per quanto abbia girato il mondo.7)Sperodinonarrivarciedimorire.8)Sedovessivederelecampanenellegrinfie(lett.“unghie”)degliabitantidiRota(vd.VI, nota 4).9)Mivogliobuttare:“L’ortodelCiociarostaaconfinedellapiùaltarupediCivita”(nota del poeta).

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IV.‘R cacciadenti1

Come mine mar munno certamente Nuncipo’èssasciaquiratofijo2: MalafierastassùderBoncunsijo3, Quanno da cane spasimao c’un dente4,

Unciarlatanocungranlussoabbijo: Lesti! currite!5 nun si paga gnente (Sentochestrilla)etralafortagente, mischiaffosottol’infernaleartijo.

Llì cu’ la chiae increse6 mi macella Fintanto chene, doppo noe tironi7, Squizzò8 cur dente un pezzo di vascella9;

Equerch’èpejoaderaundique’boni10, E ‘r guasto mi fa anco’ la campanella11: Vatt’afidàdest’asinibirboni!

1) Il dentista.2) Al mondo sicuramente non può esserci qualcuno sciagurato come me.3) “Fiera [di merci e di bestiame] che annualmente ha luogo in Bagnorea 15 giorni dopo Pasqua” (nota del poeta), conosciuta anche come “festa della Madonna del Buonconsi-glio” (nota del Gaddi).4)Soffrivotantissimoacausadiundente.5) Correte!6) Chiave inglese.7) Finché, dopo nove tiri, strattoni.8)Schizzòvia.9) “Tra gl’idiotismi civitonici evvi anche il dir vascella per mascella” (nota del poeta).10) E ciò che è peggio è che era uno di quelli sani.11) Quello cariato dondola ancora.

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V.La maestra senza patente

Che c’è da di’, che c’è de ‘sta maestra? L’urlogio1 annasse ben come la scola: Vurriste ‘na scapata donnicciola Chestiesseaciuittàsulafinestra?2

Pe’ Cîta nun ci ‘ò ‘na ‘entarola Checiajalicrapicciancheaminestra3: Quanno sa leggia, scria, fa ‘i cunti e destra Ade’ ppe’ l’aco e carze, a noi fa ggola4.

S’ardissitocaccialla5 senza scorta D’addibbiti6 proati in faccia nostra, A Cîta nasciarebbe ‘che riorta7.

Lassateannàdifaji‘stagrangiostra8: Fa più che ‘r su’ duere9, e nun c’importa Selapatentearprubbiconunmostra.

1)Orologio.2)Vorresteunadonniccioladistratta,chesiaffacciaallafinestrapercivettare?3) Per Civita non occorre, non ci vuole una banderuola, una persona volubile e capric-ciosa.4) A noi piace se sa leggere, scrivere, “e sa insegnare a cucire e a far la calza” (nota del Gaddi).5)Seavesteilcoraggiodiscacciarla.6) Colpe, addebiti.7)Scoppierebbe(lett.“nascerebbe”)qualcherivolta.8)Smetteteditormentarla.9) Il proprio dovere.

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VI.La ruina di micchì1

Mirate ch’è ridutto2 Muntione, I Punticelli, i Cii e Mercatello3! P’annàaRota4 c’è resto5 un muzzichello Distradadapassaccignaolone.

‘Stifossimalidettiso’‘lfraggello: Guardà6: diciotto stanzie a rrutolone Trottonnojòmmarfunnodercaone7

Tramente che der sonno era ‘r più bello8.

Pe’ l’acqua9 quella casa s’è scarcata10

Do’nacque‘rnostroSantoprutettore11: Pe’ l’acqua fu la peste indiaolata12.

Sel’acquadoncamalipiùdicento L’ha ffatti a ‘sta cuntrada sciaquirata13, Anche a laacci ‘r grugno lo fo a stento14.

1) La nostra rovina (lett. “la rovina di qui”).2) Guardate com’è ridotto!3) “Tutti luoghi devastati in gran parte dalle alluvioni” (nota del poeta).4)Rota(o“Rhoda”),contradadell’anticaCittàdiBagnoregio;iltoponimocorrispondeall’odierno capoluogo comunale.5)Restato,rimasto.6) Guardate!7)Rovinarono(lett.“trottarono”)infondoalcalanco.8)“Diciottostanzedell’anticopalazzoColesanticrollarononottetempotutteinsieme”(nota del poeta).9) A causa dell’acqua, della pioggia.10) È franata.11)“LacasadovenacqueS.Bonaventura”(notadelpoeta).12) “Una frana da Caporipa vietò il corso al fosso sottostante, e le acque ivi imputridite causarono una micidialissima peste” (nota del poeta). “In quell’epoca (1585) vennero in Bagnoregio i Cappuccini, appunto per assistere, come usavano, gli appestati, condottivi dalP.Luccidell’Oratorio,bagnoregese,destramanodiS.FilippoNerinellacostruzionedellaChiesaNuovainRoma,esuoconfessore”(notadelGaddi).13)Sciagurata.14)Riescoamalapenaalavarcilafaccia.

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VII.La svertezza d’un bannarolo1

Una gran taala2 preparata adène Pe’ ffà maggnà li preti cu’ la banna3; Però se ‘r bea da capo4 adè ‘na manna, Laggiù è ‘n cercone5 che ti fa cadene6.

Un bannarolo, che di sete affanna, Assaggiaunfiasco,chejigarbabene: Manunsifida:vole‘npo’vedene7

Sequerculoredilaggiùl’inganna.

Quanno che sente che millì è cifeca8, Caggnama’fiaschizittozittoloco9, Po’ lemme lemme a risonà10 si reca.

Pe’ ‘sto baratto, dientò di foco11

Ir diputato, lli scramò12: sa’, Meca13: Cu’‘stacanajanunsivence14 un gioco!

1) La sveltezza di un bandista.2) Tavola.3) Per far mangiare il prete e la banda musicale.4) In cima.5)Difettodelvino.6) Cadere.7) Vuole vedere.8) Cifeca sta per “vinello, anche difettoso” (nota del Gaddi).9)Scambiaifiaschisilenziosamente,senzacheseneaccorgano.10)Suonaredinuovo.11)Siinfuriòacausadelloscambio,delbaratto.12) Gli esclamò.13) “La moglie del deputato della festa” (nota del poeta), detta Meca“Domenica”.14) Vince.

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VIII.P’aì lo sgrao der fucatico1

Perchè mma mmì2 ‘r fucatico è crisciuto?! Ma nun sapete neh che so pporello? Carcate ‘r mulinao cun Petello3, E nno cchi si sdïuna a pane e sputo4.

Nun ciò che ‘na casuccia un buciarello5, E dal guerno6 ‘gni tanto so sprimuto: Pe’ ffa cacà tre culi7, bio cornuto8! Mar sacco9 lo cunuscio10 che fraggello.

Pe’cert’abbreidiRota11, che ‘gni tanto Ci spremino sinanta cul tortoo12, Ciorrebbesant’Antreape’daji‘rguanto13!

Ma voi che mestassù cuntate tanto, Svortatechim’hacarcopiùd’unboo14; Sinnòpurepervoipregoquersanto.

1) Per avere, per ottenere lo sgravio del focatico (imposta riscossa per fuoco o famiglia).2) A me.3) Tartassate (lett. “caricate!”) il mugnaio e Petello(sopr.):“Sonoleborsepiùaccredi-tate di Civita” (nota del poeta).4) E non chi si sdigiuna miseramente.5) Un posticino (lett. “buchetto”).6) Governo, “qui l’agente delle tasse ed il Consiglio Comunale” (nota del Gaddi).7) Per sfamare tre bocche (lett. “per far defecare tre culi”).8) Eufemismo di bestemmia.9) Nel “sacco della farina” (nota del Gaddi).10) Lo conosco.11)Percertispilorci(lett.“ebrei”)diRota(vd.VI,nota4).12) Ci tassano eccessivamente (lett. “ci spremono persino con il tortore”).13)Occorrerebbe,civorrebbeSant’Andreaperschiaffeggiarli.14) Convincete chi mi ha tassato eccessivamente, tartassato (lett. “caricato più di un bue”).

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IX.‘R vento de’ paesi bassi

M’è scappa ‘na correa sbarsimamente1

Nel trapassà daanti al sor2Zenone; E tèsto allor m’ha dditto3: ah porcaccione! ‘Gnarebbetipijasseunacc…!4

Che crepino per mi5 l’astre6 persone Nunciòpensatomai;e‘st’imprudente Prutennaria7 sui peti la patente? Manco ‘r suprano ma li culi impone8.

Che forse mi nutriscio9 da eccellenza? Nun sa che magno sempre li facioli10? S’attappidonca‘rnasoeajapacenza11.

Eppò12 (giacchè qui semo13 soli soli) Ho ‘nteso anche quilor d’arta nascenza Tronà ccur tafanao da piazzaroli14.

1) Ho scoreggiato (lett. “mi è uscita una scoreggia”) sbarsimamente, ossia “di sbalzo, qui vale di sorpresa” (nota del Gaddi).2)Signor(titolodirispetto).3)Detto.4) Bisognerebbe, occorrerebbe che ti venisse un colpo (accidente, autocensura del po-eta).5) Me.6) Altre.7) Pretenderebbe.8) Neanche il sovrano dà ordini ai culi.9) Nutro.10) Fagioli.11)Dunquesiatturilenaricieabbiapazienza.12) E poi.13)Siamo.14) Ho sentito anche gli altolocati tuonare con il deretano, come persone volgari.

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X.Che ber campà ch’adera!1

Quanno ch’annaa un grosso la ‘accina E ‘l crastato tre sordi e ddui l’agnello2

Potemmara fa spesa mar macello3

‘Che vvorta4 la domenica a mattina.

Adesso a denti sciucchi5 sto, poarello: Pe’ ffa’ po’ po’ pulente6, la farina L’ho paga7 anche tre sòrdi, e manco8èfina, Che nner maggnalla raspa ‘l garganello9.

Vinissino di noo que’ tempi belli10

Che si sguazzaa llà fra certi ‘ini11

Dafali‘ecchi‘ncòtornàmunelli12.

Lo ‘edete13 se fummara indoini? Dopposcappitifora14 ‘sti fratelli, La robba ha arzato e manchino i quattrini15.

1) Che bella vita si faceva (lett. “che bel vivere era”)!2) Quando la carne vaccina costava un grosso (antica moneta papalina), l’agnello tre soldi e due l’agnello.3) Al macello.4) Qualche volta.5) A digiuno (lett. “a denti asciutti”).6) Per cucinare un po’ di polenta.7) Pagata.8) Neanche.9)Raschialagola,mangiandola.10) Tornassero, venissero di nuovo quei bei tempi.11) Vini.12)Dafartornarebambiniancheivecchi.13) Vedete.14)Dopochesonouscitifuori.15) I prezzi sono aumentati (lett. “la roba è aumentata”) e manca il denaro.

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XI.La gioine crapricciosa1

Cunti,Framinio,cisipo’sfocane; Pe’cunsiquenziat’ojodi’‘nacosa2: Sabbitoaotto3 Billolongo sposa La Fraolina llà di Barbacane4.

È una rigazza bella come rosa, Cunmanid’oroebonapiùche‘rpane; E ccun quer guitto s’ha d’annà a affucane5

Che di giudizio manco l’ha ‘na dosa6?!

‘Gnachequilieiciaja‘rcap’isasso Che nun l’ha svorta manco ‘l su’ patrone7: Pora mulaccia8 se farà ‘sto passo!

S’ero‘rsu’pate9, chi ci stia a le bone? A forz’i carci la sfunnao pe’ spasso, Senzacurammidimarcìinpricione10.

1) La giovane capricciosa.2) Con te, Flaminio, ci si può sfogare, in conseguenza voglio dirti una cosa.3) Il giorno di sabato otto.4) Fraolina(sopr.),figliadiBarbacane.Nell’edizionedel1932l’appellativoFraolina (lett.“fragolina”)vienedefinitoun“vezzeggiativogeorgico.Altrettantogeorgica,però,è la chiusa [del sonetto]” (nota del Gaddi).5)Deveandareadaffogare.6) Non ha neanche un po’ di giudizio, di accortezza.7) Credo che colei sia dura di comprendonio (lett. “abbia la testa, il capo di sasso”), visto che non l’ha convinta neanche il suo datore di lavoro (forse “padre”?).8) Povera ragazza.9)Sefossistatosuopadrenonavreimantenutolacalma.10) L’avrei ferita (lett. “sfondata”) a suon di calci per divertimento, senza preoccuparmi di marcire in prigione.

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XII.‘R domo aripulito1

Guiscite su, mi pa’, guiscite fòri2

Darpilomellaòp’ungriggnolello: Mirate3 adesso ‘r domo quanto è bello Cull’oro, marmi e schirsi di culori4!

Astro5 che quanno ‘r poro6 Bassanello7

Mittìa8lanostrachiesaadrappiefiori Cur9 bussolo a calate10efiocchiindori, Ch’annoiparìacaggnatainungiojello11.

Meccà e mellà popò se vorto ‘r viso, Oa’santimellassù,cheso’unportento, Mar munno12 nu’ sto più: sto in paradiso!!!

Sequarchebizzocaccia13 fa lamento Pe’ l’uscia de le sedie14, ho già ddiciso: Cun quattro sculacciate la cuntento15.

1)Ilduomoripulito:rif.allachiesadiSanDonato,aCivita,untempoduomodellaCittàdi Bagnoregio. Vd. nota 14.2) Uscite fuori, mio padre!3) Guardate!4) Con oro, marmi e giochi (lett. “scherzi”) di colore.5) Altro.6)Defunto(lett.“povero”).7) “Antico sagrestano di Civita” (nota del poeta).8) Metteva.9) Con il.10) Festoni.11)Sembravamutata,cambiatainungioiello.12) Al mondo.13) Qualche bigotta.14) “L’abolizione delle sedie da detto tempio suscitò gran battibecco di donnicciole” (nota del poeta). Nell’edizione del 1932 l’ùscia(nellagrafia“gaddiana”)vieneglossatacome “l’abolizione delle sedie dal vetusto Tempio di Civita restaurato e donato di ricchi drappidalnovelloParroco(1890)Rev.moCan.D.AngeloRossi”(notadelGaddi).15) L’accontento.

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XIII.‘R curato proisorio1

Gomme che bboce!2Sa’chebraocurato Sarìa3 ‘sto prete pe’ spiegà ‘r mancelo4: Manco ma’ sordi sfuggirebbe un pelo5; Difacciolo6 sta’ sempre va pregato.

È tanto bono, che l’amaro felo Manco cunusce do’ che sta piantato7: Milani ‘ncone8, che cun lui c’è stato, Neficeeloggicheriainoarcelo9;

E nun credete che quelui c’inganni, Ch’anche de’ preti (s’ònno ‘che difetto10) Nun po’ stà zitto manco se lo scanni.

Domanidonca[a]cumminàmimetto Un mormoriale cul cumpar Giuanni11, Acciò12 curato di micchì sia eletto.

1) Il curato provvisorio.2) Caspita, che voce!3)Sarebbe.4)Spiegareilvangelo,“[p]rimocompitodelCurato”(notadelGaddi).5) Non sfuggirebbe niente neanche ai sordi.6) Farcelo.7) Non sa neanche dove si trovi.8) Anche.9) Ne fece elogi che arrivavano in cielo.10)Sehannoqualchedifetto.11) Preparare (lett. “combinare”) un memoriale insieme all’amico Giovanni.12)Affinché,acciocché.

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XIV.Chifijaechifijastra?!1

L’acqua stassù ce l’ònno2 a Porta Arbana3, Difaccia4arMaestrinoeall’Orfanelle; Aanti5arDomociso’trecannelle E in faccia6 a Fabi c’è ‘n’astra funtana7.

SeCîtaeRotasonedu’sorelle8, Perchè micchì ‘sta differenzia9 strana Che p’ailla ci vo’ ‘na sittimana10

E annà a Calleno a scurticà la pelle?

Gorpe che ssora11! Qui a Funtana-secca, Ch’a ‘sta cuntrada sta bitì bitone, Sinantaunguercioaritroallaazzecca12.

Cisummaria13 che sequolo14 birbone! Cîta, che d’esse ciuca adà la pecca, DaRotaèsuperchiata‘gnipopòne15.

1)Chifigliaechifigliastra(mododidire,rif.achinonèimparziale).2) Hanno.3) Porta Albana, a Bagnoregio.4)Difronte.5)Davanti.6)Difronte.7) Un’altra fontana pubblica.8)SeCivitaeRota(vd.VI,nota4)sonoduesorelle.9)Differenza.10) Per averla occorre, ci vuole una settimana.11) Caspita, che sorella!12) Persino un cieco riesce a ritrovarla.13) Gesummaria!14)Secolo.15) Civita, che ha la colpa di essere piccola, viene spesso soverchiata, sopraffatta da Rota.

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XV.Ma sposi noelli1

Dicetemipo’po’,soravvocà2: Vi pare cumminiente3 o no che sia ‘Rcampanesenz’unpel’icumpagnia Massime annanno aanti nell’età4?

Ma voi cun quer talento ch’ete ccà, Tutt’astro ch’annà reto a tar pazzia5, Sposateoji6 ‘sta donna che, perdia! È degna in tutt’i ‘ersi da lodà7.

Sicchèdomminiddiovibenedica E vi cunceda presto un ber maschietto. Che un giorno vi sparagni8 ‘gni fatica.

Mai cali di nuelle ‘l vostro affetto9, Nèdibenevimanchi‘namujica10, E cull’ammene11 chiudo ‘r mi sunetto.

1) Ai nuovi sposi.2)Ditemiunpo’,signoravvocato!3) Conveniente.4) Il vivere senza un po’ di compagnia, soprattutto quando si invecchia.5) Piuttosto (lett. “tutt’altro”) che assecondare (lett. “andare dietro a”) tale follia.6)Oggi.7) È degna di lode sotto ogni aspetto.8)Risparmi.9) Che il vostro affetto non diminuisca minimamente.10) Una piccola quantità (lett. “mollica”).11) Amen.

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XVI.‘R mardicente calummiatore1

La lengua2 velenosa di Greppello, Faproadiscreditìfino‘chesanto3: Ma quanno attacca4 a ffa’ ‘r solito canto, Scudellapiùbuciechefarfarello5.

Cheboja!Sadepegna6 per incanto Le trappile che cugna ‘r su’ ciarvello7; E guai se a tti daanti ti fa ‘r bello8, Che reto9 po’ ti sforbicia ‘gni tanto10.

Ciorrebbe11 de’ romani quel ber gioco Distampàma’st’infamesulafronte Tanto di cappa cur un merco a foco12.

Mamo’chedercampàjirestapoco, Lasciamolo sbocià ‘sto rudomonte ChegiàBerlicchejapreparo‘lloco13.

1) Il maldicente calunniatore.2) Lingua.3) Cerca di mettere in cattiva luce, screditare persino qualche santo.4) Inizia.5)Dicepiùbugiediunfarfarello (sorta di spiritello).6) È in grado di dipingere.7) Gli inganni (lett. “trappole”) che partorisce (lett. “conia”) il suo cervello.8)Sicomportadaipocrita.9)Dietro.10)Ovvero“titagliaipanniaddosso,conlasuamaldicenza”(notadelGaddi).11)Occorrerebbe,civorrebbe.12) Marchio impresso a fuoco.13)Oracheglirimanepocodavivere,lasciamolosvociarequestorodomonte,questoindividuo prepotente e spavaldo, poiché Berlicche (nome di un diavolo) gli ha già pre-parato un posto (all’inferno).

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XVII.Gnente crapicci!1

Ji manca ‘r mastr’i casa2 a Mincislao: Ha fatto un cappelluzzo cicinino Come la cruculuzza d’Arlicchino O‘rcoccio3chestaincimad’unpajao.

‘Stamodanuncummieneauncuntadino4, Chè ‘r patrone5 po’ ddì: fa ‘r maramao6; Questui la fugga donca come ar: bao7! Sisquaiaacurs’ilepreunrigazzino8.

Io sempre vo a la moda che m’adatta9: Cappello a farda larga, brai scarponi, E bbrache di lazzetto10 cu’ la patta.

La giubba quanto ria ma’11 cinturoni, Nun porto petturina nè curvatta12; Ma ‘r cocco, a ffà ttusì, so’ de’ patroni13.

1) Niente capricci!2) È senza cervello (lett. “gli manca il mastro di casa”).3)Oggettoditerracotta.4) Non conviene, non si addice a un contadino.5)Datoredilavoro.6) Ladruncolo.7) Grido per spaventare i bambini (dall’omonimo spauracchio).8) Un bambino scappa, veloce con una lepre.9)Seguosemprelamodachepiùmisiaddice.10) Pantaloni di lazzetto, ossia “tessuto ruvido (lazzo [in altri dial.]) di lana, che prima si faceva nel domestico telaio” (nota del Gaddi).11) Arriva ai.12) Non indosso né pettorina né cravatta.13) Ma così facendo sono il prediletto dei datori di lavoro.

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XVIII.‘Na notte sciaquirata di gennao1

Lamojechesarnaca2 fa ‘l frullone3, Darvietro4chestìmancaentralamorte; Po’ ‘r vento ‘nzippatoo ma’ le porte5

Fa ‘r sono spiccicato der violone.

‘RNappaocull’urghinettofa‘rchiassone ‘Rcanacc’iCacafocobajaforte6

E‘rfijodell’Annuccia,inpejo7 sorte, M’introna cur su’ pianto scocciarone8.

‘Rsumaro,se’!cu’rajit’assordisce9

E i gatti supp’i tetti fònno: gnao!10

‘Stanottesino‘rdiaoloscappisce11.

Mo’ m’arzo12 a ffà ‘n sunetto proprio brao, Che ‘r tema prolibbato me l’offrisce ‘Stanottetribbilosadigennao13.

1) Una notte sciagurata di gennaio.2)Russa.3)Rumore(?).Cfr.gloss.frullà.4) Vetro.5) Poi il vento che preme sulle porte.6) Il cagnaccio di Cacafoco (sopr.) abbaia forte.7) Peggiore.8) Mi rimbambisce con il suo pianto scocciante.9)Sentil’asino!Tiassordaragliando.10) E i gatti sui tetti fanno: miao!11)Stanottescappapersinoildiavolo.12) Mi levo, mi alzo.13) Il tema giusto, appropriato (lett. “prelibato”), me lo offre questa sofferta notte di gennaio.

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XIX.I girelli appicciati di giorno1

Ah brutto Tufaraccio2! Ah Musotento!3

Chiv’hastrascinojo4 li farfarelli5

Pe’ dà foco6 di giorno a ‘sti girelli Ch’aderino pe’ nostro diartimento7?

Guiscini,Aletta,Chiodo,Rocco,Bielli, Fusetto,Battifoja,Bardo,Cento Chiappatili8, chiappateli un momento Pe’ffaji‘rbattisteosuliciarvelli.

Mannaggia! ci mancaa proprio st’intoppo D’annàapijadutraijòppe’la‘alle9

In cagno10diquestuich’èmensozoppo;

Chè s’era popò spiccio11, ma’ ‘ste galle Sareicursodiretoagrangaloppo12

Pe’daji‘stopalettosulespalle.

1) I girelli(tipodifuochid’artificio)accesidigiorno.2)SecondoilGaddil’ingiuriatufaraccio farebbe richiamo ai “bei versi del suo conter-raneoGiuseppeCardarellisulDuomod’Orvieto:‘Enoech’emolasorte:-D’aveccedrento ar tufo sto lavoro - Fatto de tutte intarsie e pietre d’oro’” (nota del Gaddi).3) Brutto stronzo.4) Strascino jo, ovvero “strascinato giù, a Civita” (nota del Gaddi).5) Il termine farfarelli potrebbe indicare, in questo contesto, sia una sorta di spiritelli che dei mulinelli d’aria.6) Accendere.7) Erano destinati al nostro divertimento.8) Acciuffateli!9) Andare a prendere due travi nella valle.10) Al posto.11) Appena veloce.12)Sareicorsodietrovelocementeaqueibellimbusti.

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XX.‘R pidocchio rifatto1

Quanno a scòla liggio sull’abbeccène2

C’era quel brao mellaò che pippa3, Che sino i tozzi4 pe’ sgrinsà la trippa ‘Gni po’ piaggnenno mi vinia a chiedene5.

Ma mo’6 che ‘l porco s’è ingrassato bene, Nun mi darebbe manco ‘na frillippa7; E se m’accosto, curre a casa e inzippa L’uscio8, e ddar bucio sta li a ffa cecene9.

Mejoèdichieda10 ma ‘n ingordo gatto L’onto c’ha robbo ma la su’ patrona11, Ch’a‘stopidocchiopropriomórifatto.

Ma un giorno o l’astro che s’arincantona12, Ji fo sul grugno (e manco ci cummatto)13

Una scorreggia come quanno trona14.

1) Persona arricchita che ostenta ricchezza.2) Quando a scuola leggevo l’abbecedario.3) Quella brava persona (antifr.) che fuma la pipa.4) Persino i tozzi di pane.5) Mi veniva spesso a chiedere, piangendo.6) Adesso, ora.7) Non mi darebbe neanche una “pagliuzza, un nonnulla” (nota del Gaddi).8)Semiavvicinoarrivaacasaechiudelaporta.9) Fa capolino.10) È meglio chiedere.11) Il lardo che ha rubato alla sua proprietaria.12) Un giorno o l’altro, quando torna povero (lett. “s’incantuccia di nuovo”).13) Gli faccio sul viso, e neanche ci perdo tempo.14) Tuona.

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XXI.Ma ‘n prete fatto calonico1

Adesso pòzzo divvi: sor Calò, Perchèc’etelacappacu’lacóa2; E mentre sarto e brillo ‘sta gra’ nnoa3; Armenodu’strofiette4 vi farò.

Voi c’ete bboce grossa e bella a pproa5

Che, s’attaccate l grolia pò-pò-pò, L’antifine,lisarmie‘l criliesó6, Manco cu’ li trommoni vi s’accoa7.

Che sete bono, amabbile, sincero, Struìtoefaticanteschiattareccio8, Lo dice tanto ‘r popolo che ‘l clero.

Masenzachesmujichitutto‘rvero9

E mi spormoni a ffà gran chiacchiereccio, DerGiustiseteproprio‘rpretePero10.

1) Ad un prete nominato canonico.2) Posso dirvi: signor canonico! Perché avete il mantello, la cappa con lo strascico.3) Faccio i salti di gioia per questa ottima notizia.4) Almeno due strofette.5) Voce potente, stentorea.6)SeintonateilGloria in excelsis deo (inno angelico, dossologia intonata durante la messa), le antifone, i salmi e il Kyrie eleison (preghiera della liturgia cristiana).7) Neanche con i tromboni è possibile coprire, superare la vostra voce.8)Sietebuono,amabile,sincero,istruitoefaticante schiattareccio, ossia “che nel lavo-ro non si risparmia” (nota del Gaddi)..9)Senzacheelenchi(lett.“smollichi”)tuttelevostredoti.10) Nell’edizione del 1932 si legge, invece, un prete per daero, glossato come “un prete per davvero, ideale” (nota del Gaddi). Lo studioso bagnorese ha rimosso, quindi, il riferimento alla composizione satirica “Il papato di Prete Pero” (1835), in cui il poeta toscano Giuseppe Giusti narra l’ascesa al papato di un sacerdote onesto e riformatore, del quale, avendo intac-cato alcuni privilegi del clero, viene negli ultimi versi ordinata la morte: “Questo è un Papa inbuonafede:/Èunpapacciochecicrede!/Diamoglil’arsenico”.Ilriferimentoa“pretePero”–descrittodaalcunivocabolaridi linguacome“figura immaginariadisacerdoteemaestro di grande ignoranza”, e presente già nel Carducci (“può darsi che di latino io ne sappia un po’ più di prete Pero”) – getta una luce differente sui versi precedenti, dei quali potrebbe essere data un’interpretazione anticlericale, forse volutamente oscurata dal Gaddi.

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XXII.La banna1

Sentì2 chi a spalle nostre su3 si spassa, Cur zunna4! marce, porche e rrè-mi-fane5? ‘Rviziacc’isuperchià6, corpo d’un cane! Vurrebbe ‘n pò sapì7quannojipassa.

Mannassino ‘che vorta qui a sonane Armeno ‘r tammurello e la grancassa8; So’boniastroligà‘gnipo’‘natassa Sinantasuiporellisenzapane9.

Eppure ma le sciabbile, carzoni, Cappelli cur pennazzo e mma’ sturmenti C’è ‘r sangue nostro ‘nco, sori minchioni10.

Sisfiatinostassùtutt’imumenti11

Anche se piscia ‘r gatto, cu’ li soni, Tramente che micchì arrotamo i denti12.

1) La banda musicale.2)Sentite!3) A Bagnoregio.4) Musica eseguita dalla banda musicale.5) Polche e re-mi-fa (note musicali).6) Il brutto di vizio di soverchiare, sopraffare.7) Vorrei proprio sapere.8) Mandassero a suonare, qualche volta, almeno il tamburello e la grancassa.9)Sonocapacidicongetturarenuovetasse,persinosuipoverellisenzapane.10) Nelle sciabole, nei pantaloni, nei cappelli con il pennacchio e negli strumenti, c’è anche il sangue nostro, signori furbacchioni!11)Sispolmonanoincontinuazione.12) Mentre qui soffriamo la fame (lett. “arrotiamo i denti”).

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XXIII.Unquatrucciodi‘aja1

Più lo cuntempro2 e più ci troo quer bello Che quasi tutti i furistieri incanta: Mirà!3 mirà! se Catirina santa Pare che svienga a riciì l’anello4!

‘Stararitàchelami’chiesa‘anta5

Perchè viscì da la buttich’i quello6

Ch’eragranbraoamanijà‘rpennello7, Llì nu’ sta bene, che cchiun l’agguanta8.

V’aricordate pure che paliotto9

C’emmara10 cchi? Po’ si rimase muti, Quanno si ‘idde ch’ia preso ‘l trotto11.

Pensate donca da ciarvelli astuti A schiaffà ‘r quatro sotto chiae di botto12, Che ‘r munno è pieno di baron f…13

1) Un quadruccio di vaglia, di pregio. Vd. nota 4.2) Contemplo.3) Guardate!4)Sembra che svenga ricevendo l’anello: “Il quadruccio rappresentaS.Caterina daSienacheinestasiricevel’anellosponsaledaGesùbambino”(notadelpoeta).5) Vanta.6) Perché fu dipinta nel laboratorio di quell’artista.7) Era molto bravo, esperto, a maneggiare il pennello.8) Poiché qualcuno potrebbe rubarla (lett. “qualcuno l’afferra”).9) “Un superbo tessutodiFiandra che rappresentava la visitazionediS.Elisabetta”(nota del Gaddi).10) Avevamo.11) Quando vedemmo che era scomparso: “Un superbo tessuto di Fiandra, che ad uso paliottorappresentavalavisitazionediS.Elisabetta,fudamanoignotasacrilegamentederubato” (nota del poeta).12) A mettere improvvisamente il quadro al sicuro, sotto chiave.13) Poiché il mondo è pieno di mascalzoni (baron fottuti, autocensura del poeta).

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XXIV.‘Na quistione riligiosa

Vinisse anche ‘rdilujo1,ma’Rotani2 ‘StoCristo3 nu’ lo lascio di nuelle4; Putite5 sputà sangue a catinelle, Che tanto ‘n ve lo do, corpo de cani!

Più facile sarìa cuntà le stelle Diquellocheficcàmicchìlemani6: Sefischio,fò‘n armata di ‘illani7

Cu’ sassi, brai bastoni e mazzarelle.

Billacci! inorca su8, mica è bullita9

St’acquacciadaformàl’impidimento; Sinnò,serestaqui,pernoi[è]funita10.

Sfilateduipe’ddui11 senza sgumento, CheDiociaggiutaràp’annàggiùaCita12, Senzapijàmalannieinunmumento.

1)Diluvio.2)AgliabitantidiRota(vd.VI,nota4).3)Per“Cristo”s’intendel’anticocrocifissosituatonellachiesadiSanDonato,aCivita.Gode di qualche vitalità la credenza secondo la quale il “Cristo”, dopo la tradizionale processionedelVenerdìSanto,chehaluogonelcapoluogocomunale,deveesseretra-sportato di nuovo a Civita, pena il suo “passaggio di proprietà” dai civitonici ai bagno-resi. Vd. anche nota seguente.4) Di nuelle,ovvero“innessunluogo;opponendogliiRotanilasicurezzadellacusto-dia del sacro simulacro nel convento delle monache” (nota del Gaddi). Vd. anche nota precedente.5) Potete.6)Sarebbepiùfacilecontarelestellechemetterequi(sul“Cristo”)lemani.7) Faccio, organizzo un’armata di villani (contadini che dispongono di una piccola pro-prietà terriera).8) Billacci (sopr.), prendi il peso in spalla!9) Bollente.10) Finita.11)Dueallavolta.12)DiociaiuteràadandareaCivita.

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XXV.‘R munistero de santa Chiara1

C’era ‘na ‘orta2 un munistero cchì, Che ‘r terramoto lo scarcò3 e sparì: Accupinnente curse ar Papa a ddì: P’aripiantallo, dete i funni a mmì4.

Rispuse5 ‘r Papa: quanno adè ttusì, Ch’accomidà6 nun si po’ più millì, Accupinnente chiappi tutto a ssì E‘rmunistero‘ncòsificchilì7.

Che gran passione nu’ riescio a ddì Ch’adè ppe’ Cîta di restà a vvidì Sorchemacerie8 de lo scarco stì!

‘Gna che i salami stiessino a ssidì Rento‘rCommuno,chesinnòsapì: Quella po’ robba rimanìa micchì9.

1)IlpoetafariferimentoalmonasterodelleClarisseeall’annessachiesadiSantaChia-ra, strutture scomparse in seguito al rovinoso terremoto del 1695.2) C’era una volta.3) Che il terremoto scaricò, fece crollare.4) Acquapendente corse a dire al Papa: “Per ricostruirlo, date i fondi a me!”.5)Rispose.6)Riparare,accomodare.7) Acquapendente prenda tutto per sé e anche il monastero venga costruito lì.8) Non riesco a dire quale sofferenza sia, per Civita, vedere soltanto le macerie.9) Credo che quei tonti (gli amministratori comunali) siano rimasti seduti in municipio, senza fare nulla, perché altrimenti quelle poche cose sarebbero rimaste qui.

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XXVI.Accidera che puzza!1

ARotaciso’reguileperbene2: Li porci stanno fòra der paese, Le stalle so’ ppulite come chiese, E chi ffa sozzarie cià ‘n sacc’i pene3.

Ci so’ ddu’ brae guardie4, e a più riprese Survejino5 chi scopa se ia [?] bene, Sebuttinoipitali6 e se ciadene7

Chi laa ma le funtane8 un sozzo arnese.

Insomma mellassù nun manca un’ette9; E quanno s’ha dda fà ppe’ la su’ pelle10, LacassaderCommunvaafojeefette11.

Ma nnoi però gnun pensa di nuelle12; E intanto, pe’ ‘ste puzze malidette13, S’arria14 cu’ vorta stommichi a le stelle.

1) Accidenti, che puzza!2)ARota(vd.VI,nota4)cisonoregolebenfatte.3) Chi sporca subisce punizioni severe (lett. “un sacco di pene”).4) Ci sono due brave guardie.5)Sorvegliano.6)Segettanoinstradailcontenutodeivasidanotte.7) C’è.8) Nelle fontane pubbliche.9) Non manca niente.10) E quando si deve fare qualcosa per i propri interessi.11) La cassa del comune viene svuotata.12) Però nessuno pensa a noi minimamente.13) A causa di queste puzze maledette.14) Arriva.

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XXVII.‘Gni rosa ha li su’ spine1

Cucujalastamejod’unsuprano2: Sigodecu’lavignaunbraocummento3, Cià4 l’orto, pozzo, stalla e, a cumpimento, La grotte der mi’ santo paesano5.

Disottociàla‘alle6 ch’è un purtento: DifacciaciàTanaje,Gioe,Arviano, Guardea e Ciuitella cun Lugnano7, E sente passà ‘r treno ‘gni momento8.

Di‘ino9cen’hapiùd’unbotticello; Cià grano, ceci, fae, facioli10efieno, E, se vo’ sordi ‘ncò11 c’è brao Petello.

Eppure anche questui nun putì a meno ‘Na ‘orta di scramammi12: sa’, fratello, Micchì pure di tribbili so’ pieno13.

1)Ognirosahalesuespine;l’art.li “le” potrebbe essere dovuto ad un refuso.2)Sovrano.3)Unbel“convento:l’anticodiS.Francesco,dov’èancora,nell’ortorimasto,laGrottadiS.Bonaventura,quantomaisuggestivaperlameditazioneelapreghiera:affacciantesinel masso, tutto rivestito di edera, a picco su la alle ch’è un purtento” (nota del Gaddi).4) Ha, possiede.5) La grotta del santo del mio paese. Vd. nota 3.6) La valle.7) “Tenaglie, Giove, Alviano, Guardea, Lugnano: splendida corona di paeselli sull’an-tistanteSubappenninoumbro[iColliAmerini],dolcementedigradantefinoalTevere.Civitella d’Agliano, invece, con le due torri alto sfuggenti, sorprendente paesaggio ga-risendiano,èsullarivadestradelfiume”(notadelGaddi).8)Sentepassareincontinuazioneil“trenodellalineaRoma-Firenze,checorrerasenteil Tevere” (nota del Gaddi).9) Vino.10) Fagioli.11) E se vuoi anche del denaro.12) Una volta non poté fare a meno di esclamarmi.13)Sonopienodisofferenze,ditribolazioni.

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XXVIII.‘R tempurale

Bonella!So’Cremente:viemm’aaprì1: Cur tempurale, aanti nun si ‘à2; Mi tocca, nel tornà da la città: Fermammi pe’ ricooro ccà ddi cchi3.

Che troni, gomme!4 Insomma, lesto ih! Sinnòvoinch’astrolocoadalbergà5: Ma doppo da per tutto si saprà Che pel coraccio tuo putìo murì…-6

Portrone!Cell’àfattaascennajò?7

Ma ci ‘ulìa tanto pe’ vvinì A dammi quell’aggiuto che si po’?8

Accenni un pel’i foco9, che ttusì La giubba e li carzoni asciuttarò10… Tramente ti ringrazio, e vva a dormì.

1)SonoClemente,vieniadaprire!2) Col temporale non si può proseguire, andare avanti.3) Nel tornare dalla città occorre che cerchi ricovero qui, da queste parti.4) Che tuoni, caspita!5) Altrimenti vado ad albergare altrove.6) Ma poi si saprà ovunque che a causa della tua pusillanimità sarei potuto morire.7)Pigrone!Seiriuscitoascendere?8)Occorreva,civolevatantopervenirmiadaiutare?9) Avvia un fuocarello (lett. “un po’ di fuoco”).10) Asciugherò.

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XXIX.Émejod’emicrâ1

Vojomuccìdarcoode‘stefiere, Cridissi fa ‘r bicchino in c’astro loco2: Vi pare che ‘r mi’ fusto sia da ggioco3

Sedipuetastuzzico‘rmistiere?

Lu so che brai bocconi li fa ‘r coco, Labarbasifamejoda‘nbarbiere, Ci ‘ò ppe’ fà le strade un incegnere4

E scarco de’ muntini spett’ar boco5.

Ma doppo ch’a zappà mi so’ straccato6, Secorcoalamareaculbarlozzetto7

Mi spasso a ffà ‘cche rima8, è un gran peccato?

Gnarebbe che san Midio benedetto Ma’birbichemmì‘ersiònnofischiato Pe’farraolojiscarcasse‘rtetto9.

1) È meglio emigrare.2) Andare a fare il becchino da qualche altra parte.3) Vi sembra che possa essere canzonato?4) Per fare le strade occorre, ci vuole un ingeniere.5) Lo scarico dei mucchi spetta al boco, ovvero “bocco [voce non di lingua], la noce o il nocciolo di pesca più grosso usato dai ragazzi nel giuoco a montinello, o come dicono a Roma,a castelletto, per colpire e buttar giù il medesimo” (nota del Gaddi).6)Dopoessermistancato,aforzadizappare.7) Coricato “a la merìa [all’ombra] col piccolo bariletto portatile, pieno di vino, vicino a sè” (nota del Gaddi).8) Mi diverto a fare qualche rima.9)OccorrerebbecheSant’Emidio(protettoredaiterremoti)scaricasseiltetto,amo’dimantello,sopraibirbantichehannofischiatoimieiversi.

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XXX.Malidetto scalambrone!1

InsommadonPacifico,poraccio, pe’ ‘r pizzico2d’unbojascalambrone Hagunfilabbri,guanceepeparone, Ecorcostama’llettomensojaccio3.

Vurrebbe annà a la festa4 da Cannone, Chegiàjà5preparatoungallinaccio; Ma mo’ che s’è ridutto come straccio, Manco la caa annacci cur bastone6. Abbada7chejàfattounbruttoscherso; Non solo quella messa a cinque paili8, Ma ‘l pranzo ‘ncò pò mittolo pe’ perso9.

Sescagn’ipizzicà‘sti pori diaili, Che so’ na past’i mele, annaa pel verso, Mica mi ci penao: manco pe’ caili!10

1) Maledetto calabrone!2) A causa della puntura.3)Halabbra,guanceenasonegonfi,edècoricatoaletto,mezzomorto.4) “Nella chiesa rurale della Guadagliona, di cui è custode un certo Cannone, annual-mentesicelebralafestadiS.AntoniodiPadova,edintaleoccasione,incasadeldepu-tato, si dà un lauto pranzo” (nota del poeta).5) Gli ha.6)Oracheèridottocosìmale,nonriesceadandarcineancheconilbastone.7) Fai attenzione!8) “5 paoli: 1 paolo, moneta papale, era uguale a 10 soldi” (nota del Gaddi).9) Ma può considerare perduto anche il pranzo.10)Seinvecedipungerequestipoveracci,questebravepersone(lett.“poveridiavoli”),avesse punto chi lo meritava, “mica mi ci davo pena: neanche per i cavoli” (nota del Gaddi).

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XXXI.Un pate scioperato1

Stastì,stastìajocàcurcarachene2; E intanto mar tu’ fòra le petate Te l’ònno più di mense sciobbicate3

Che,sel’arrîiassajà4 mi vienga5 ‘r bene! Stastì,stastìajocàcurcarachene!

E nun ci pensi donca che sei pate, E sempre t’ariurtichi fra pene6? Pe ffà fumà ‘r cammino, io so per mene7, Che un pelo nun ci sto a mani piegate8: E nun ci pensi donca che sei pate?

Ridajiabuttàjòcull’armeesanto9, Eppò10, se perdi, senti le biastime Cur siquito min casa11 a bbotte e pianto: Ridajiabuttàjòcull’armeesanto.

‘Gnarebbe cunsumalli p’appiccime12

Que’ pati che di casa sò lo spianto E tienghino ’gni cosa llà a guaime13: ‘Gnarebbe cunsumalli p’appiccime.

1) Un padre ozioso.2) Testa e croce, ovvero “carachè [dial.], noto giuoco, fatto solitamente con due grossi soldi di rame insieme lanciati in alto, detto in Toscana: a palle (l’arme dei Medici) e santo” (nota del Gaddi).3) Nella tua campagna hanno già rubato (lett. “svuotato”) metà delle patate.4)Seriesci(lett.“arrivi”)adassaggiarle.5) Venga.6) Ti rigiri, ti rivolti sempre tra i dolori, le pene.7) Per far fumare il comignolo, lo so bene (lett. “io so per me”).8) Non sto mai a braccia conserte.9) Gioca di nuovo a testa e croce!10) E poi.11) Con seguito, proseguimento a casa.12)Occorrerebbeusarliperavviareilfuoco.13)Tengonotutto“[i]nabbandono,comel’erbadeipratidisecondafienagione,dettaappunto guaime” (nota del Gaddi).

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XXXII.‘R guiscino liticato1

Furgè! nun t’accustane: fatt’arreto2; Sinnòcull’ubbidentema’lafaccia, Cridissi annà ’n galea, fo ‘che frescaccia3, E ppo’ t’appiatto llà mma quer sasseto4.

Lo ‘igghi, se tu proi d’arzammi un deto5, So’pejo6 del pitrolio a che s’affaccia, D’anciniriji‘ncòlasu’ razzaccia7: E tu menà mma mmì8?(brù...m!)pija‘r peto.

Sibbeneerociciuco,m’aricordo Quanno ‘r mi’ pate9 ‘r guiscino piantòne10

Micchì, proprio micchì ddo’ d’è discordo11.

E ppo’ vo’ fà ‘r gradasso? (brù!) arritone! Pe’ sparagnà ‘cche carcio12, brutto lordo, Fa menso giro e ttroa ‘n astro minchione13.

1) Il vicino in lite.2) Non ti avvicinare, indietreggia!3) Altrimenti (ti colpisco) con il bidente in faccia.4)Seanchedovessiandareingalera,facciounasciocchezza,epoitinascondoinquelterreno sassoso.5)Lovedi?Sesoltantoproviatoccarmi(lett.“adalzarmiundito”).6) Peggiore.7) Incenerire anche la sua famiglia.8) Malmenarmi.9) Mio padre.10) Piantò.11)Disaccordo.12) Per risparmiarti qualche pedata.13) Un altro tontolone.

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XXXIII.La casa di san Minintura1

La casa di quer santo prolibbato2

Noi l’emmara più cara d’un trisoro3: L’ho ditto e lo dirrò sin quanno moro Chediscarcallajòfuungranpeccato4,

Ch’adera a facci fa’ quarche laoro Pe’ rinfurzalla ‘n po’ ‘r tempo passato, E d’arbili piantacci un cunturnato5, E magari di canne e ‘n po’ d’alloro?

Mirà se di giudizio l’ònno un pelo6: Do’ficchinol’ognaccefònno‘r guasto7; Fino a sfascià la cunna8 a chi sta in celo!

Lassù mma quer palazzo9 se l’impasto Lo fònno10 vurticà da chi cià11 ‘r felo12, Va a funì che diento un cane guasto13!

1)LacasadiSanBonaventura.2) Prelibato.3) Per noi era più cara, più preziosa di un tesoro (lett. “l’avevamo più cara di un tesoro”).4)L’hodettoeloripeteròfinoallamorte,chefuunpeccatoscaricarla,demolirla.5) Cosa ci sarebbe voluto, in passato, a fare qualche lavoro per consolidarla, e a contor-narla d’alberi?6) Guardate se hanno un po’ di giudizio, di accortezza!7)Ovunquemettanolemani(lett.“infilanoleunghie”)fannodanni.8) Infastidire.9) “Il palazzo municipale” (nota del poeta).10) Fanno.11) Ha, possiede.12) Il sost. felo“fiele”starebbe,inquestocontesto,ancheper“ideecontrarieallareli-gione” (nota del Gaddi).13)Vaafinirechemiinfurio(lett.“diventouncanerabbioso”).

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XXXIV.Nun si caccia più a campà1

Ciò ‘r buc’i casa pe’ pputì abbitane2

Sarvadacensie‘checcusellaarsole3, Dol’asinoavitturamachivole4

E ciò ’n po’ cacio pe’ gabbacci ‘r pane5; Ma intanto, Biacio, nun si po’ campane6.

Sinantaanottemenestoazappane7, P’ariistimmi ciò ‘ste brache sole8: Fo ‘n po’ di tutto e curro a chi mi ‘ole,9

Nunm’arimmejoquannoc’èdafane10; Ma intanto, Biacio, nun si po’ campane.

La Nena è stuta, Peppe ‘ncò s’incegna Cur fa’ capagni e fasci di gramegna11, LaTutasemprestamillìafilane12. Ma intanto, Biacio, nun si po’ campane.

Nun ho bisogn’i spenna13 pe’ le legna, S’appicciounlume,stalìlìpespegna14; La sborgna e ’l gioco nu lo so do’ stane15; Ma intanto, Biacio, nun si po’ campane.

1) Non si riesce più a vivere.2) Ho una casa minuscola (lett. “un buco di casa”) in cui abitare.3)Scarsaproprietàterriera(lett.“qualcosinaalsole”).4) Consento a chiunque di usare il mio asino, dietro compenso, come mezzo di trasporto.5) E ho un po’ di formaggio da usare come companatico.6) Ma intanto, Biagio, non si riesce a vivere.7)Zappofinchénongiungelanotte.8) Per vestirmi ho soltanto questi pantaloni.9) Faccio qualsiasi lavoro, corro da chi mi cerca.10) Non indugio, non mi risparmio quando c’è da fare.11) Nena (sicuramente ipocoristico per “Nazarena”) è astuta, e anche Giuseppe s’inge-gna, riempendo cavagni e facendo fasci di gramigna.12) Filare.13) Non ho bisogno di spendere.14)Seaccendounlume,èsempreinprocintodispegnersi,acausadel“pocoecattivoolio che ci mette” (nota del Gaddi).15) Non so cosa siano la sbornia o il gioco.

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XXXV.Sempredimaleinpejo1

Che comido ch’adera nell’istati D’aiccisottoCìtal’arborati2, Ched’arrosticciarsoleerandijeto3: Immice d’ann’aanti, annamo arreto4.

Lo sbasso ch’onno fatto st’ammazzati Èripitodarennicisfiatati5 Che, parrancà stassù ‘gna facci ‘r peto6: Immice d’ann’aanti, annamo arreto.

I muri ‘ncò der punte so’ spiommati, E in menso c’è ‘no spacco più d’un deto7: Immice d’ann’aanti, annamo arreto.

Currìmo8 su a ppagà mma’ nostri pati9

Braissimi a pulicci ‘r castagneto10, Che immice d’ann’aanti, annamo arreto.

1)Dimaleinpeggio:“Per ricostruire la strada che conduce a Civita, fu d’uopo atterrare tutte le piante ombrifere che lateralmente esistevano, e quindi fare uno sbasso che a gran fatica or vi s’accede” (nota del poeta).2) Che comodità era, durante le estati, avere degli alberati sotto (la rupe di) Civita.3)Divieto(?).4) Invece di andare avanti, di progredire, andiamo indietro, regrediamo.5)Losbassochehannofattoquestirompiscatole,ètantoripidodasfiancarci(lett.“ren-derci sfondati”).6) Per salire costassù ci vuole un peto.7) Anche i muri del ponte sono spiombati, e in mezzo c’è una spaccatura larga più di un dito.8) Corriamo.9) “Gli amministratori municipali” (nota del poeta), lett. “padri”.10) Bravissimi a far piazza pulita, a portarci via tutto.

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XXXVI.‘R vitello che mucce1

Presto, pe’ carità, curri2 Bïello: Gola sur campanile come ucello3: Mira ddo’ ‘à4 cche, s’anche un grignolello S’aspetta,nunsitroapiù‘rvitello.

Uh! s’issi dato retta5 ma Petello, No’ nun mi succidia6 sì gran fraggello Dafammicicrepàquarchebudello Pe’ curra a richiappì ‘sto farfarello7.

‘Rpatronepoidirrà8: senza ciarvello! Uscìa9 da la mì’ ’igna10, ch’ar cancello ‘L catorcio non mittisti11 nè ‘r puntello!

E allora che farò? Quer zizichello Diterras’issiaperdacurvitello, Èmejochem’ampicchiauntraicello12.

1) Il vitello che fugge.2) Corri!3) Vola sul campanile come un uccello!4) Guarda dove va!5)Seavessidatoascolto.6) Non mi sarebbe successo (lett. “non mi succedeva”).7) Tanto da farmi esplodere le interiora (per la fatica), per correre a riacciuffare questo farfarello (in questo contesto: “bestia poco docile e mansueta”?).8) Il proprietario poi dirà.9) “Uscìa: Fuori” (nota del poeta).10) La mia vigna.11) Non mettesti il catenaccio.12)Sedovessirimettercilamiapiccolaproprietàterriera,sarebbemeglioimpiccarmia una travicella.

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XXXVII.‘R munumento di san Minintura1

HovistodonAstefino2 e ‘l sor3 Lia Sartàcomecrapettidarcuntento4, Perchè san Minintura ha un munumento Che ppe’ bellezza proprio nun s’arrìa5.

Difatti‘rculunnoneadèunpurtento: Ci sò quell’ariliei6 che, perdia7! Seliputissiaìmincasamia, Ciorrebbe fa’ ttrisori di spaento8.

La [statua] po’ che ritta9 sta llì sopra (Lo dico proprio forte e non adulo) Adè del sor Aureli10 un capo d’opra11.

Ma acciò nun mi credestara12 un mitulo, ‘Gna13 c’un difetto tanto ve lo scopra: QuerSantomarsu’Cìtavorta‘rculo14.

1)IlmonumentodiSanBonaventura.2)DonStefano.3)Signor(titolodirispetto).4)Saltarecomecaprettiperlagioia.5) In quanto a bellezza è inarrivabile.6) “Bassi rilievi” (nota del poeta).7) Eufemismo d’imprecazione.8)Selipotessiavereacasamia,nevorreifaregranditesori.9)Dritta,eretta.10) Il signor (Cesare) Aureli: “Chiarissimo scultore” (nota del poeta).11) Capolavoro.12) Credeste.13)Occorre,bisogna.14) “Ossia:voltalespalleaquellacontradaovenacque”(notadelpoeta),ovveroCivita.

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XXXVIII.L’aria barsamica di Cîta1

Porpa2 è quest’aria si po’ ddì senz’osso: L’acque stagnanti ccà di cchì nun sone, Quelle der celo sculino ar caone E un brao pezzo sta lontano ‘r fosso3: Porpa è quest’aria si po’ ddì senz’osso.

Scagnochegiallo,c’emo‘rvisorosso4; Sgruninellato5 nun c’è curnicione6, Gnun de straecchi marcia cur bastone, Chè ribbustezza l’onno sempre addosso7: Porpa è quest’aria si po’ ddì senz’osso.

Sipo’magnanepejod’unlupone8, Chè manco i chiodi fònno9 indigistione, E doppo magno10, gnuno ha ‘r corpo smosso: Porpa è quest’aria si po’ ddì senz’osso.

A celo aperto se tu dormi ‘ncone11

Scarsoesbracatosudi’che12 scalone, Free di nuelle po’ vinitti addosso13: Porpa è quest’aria si po’ ddì senz’osso.

1) L’aria balsamica di Civita.2) Polpa.3)Quanoncisonoacquestagnanti;quellechevengonodalcieloscolanoinfondoalcalanco, e il fosso è situato a una certa distanza.4) Invece che giallo, abbiamo il viso arrossato.5) Privo di rondini.6) “I cornicioni e le gronde dei tetti di Civita sono quasi tutte gremite di rondini, le quali rendono vieppiù salubre quell’aria” (nota del poeta).7) Nessuno, tra i più anziani, va in giro con il bastone, poiché sono ancora robusti, in forze.8)Sipuòmangiarepiùdiunlupo(accr.).9) Provocano, fanno.10)Dopoavermangiato.11) Ancora.12) Qualche.13) Non ti verrà affatto la febbre.

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XXXIX.La mostra de le rilichie1

GuardachesciamocurrejòdaRota2

P’aì le ciarde e li ciammelli3 a scrocco!4

L’ònno troato ‘sto paese alocco Ch’a chi dà carci fa la sopraddota5.

Bomma! scummitti che manc’un buocco Caccino fòra, e la saccoccia ‘ota L’empinosup’arimaggnacciaRota6, Doppotrattatiproprioapipp’icocco7?

Ma si capisce: testi brai scroccanti Vienghino solo che p’untà la gola, Enoppe’vedaarzàccajòlisanti8.

Seppe’disgrazia9 mi chiamao Nicola, Allora forse mi passaino aanti10; Ma ciò ‘l ciarvello e pòzzo11 fà la scola.

1) La mostra delle reliquie. Vd. nota 4.2)Guardachefolla(lett.“sciame”)vienedaRota(vd.VI,nota4),correndo.3) Per avere ciarde e ciammelli (dolci tradizionali bagnoresi).4) “Nel dì che mostransi le reliquie dei santi, usa che i civitonici passano ai padroni ed agli amici di Bagnorea un rinfresco di vino, cialde e ciambelle” (nota del poeta).5) Hanno trovato questo paese sciocco (lett. “allocco”), che tratta benissimo chi lo mal-tratta (lett. “prende a calci”).6) Bomma(sopr.)!Scommettichenontiranofuorineancheunsoldo(lett.“baiocco”),eriempionolatascavuotapermangiarcidinuovoaRota?7)Dopoche liabbiamotrattatinelmiglioredeimodi:“Dalgergodeifumatori: loroideale la pipa di cocco” (nota del Gaddi).8) Questi bravi scrocconi, vengono soltanto per mangiare (lett. “ungere la gola”) e non per veder inalzare le immagini sacre (vd. nota 4).9)Disgraziatamente,sciaguratamente.10) Mi potevano buggerare, trarre in inganno.11) Posso.

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XL.‘Sto munno è ‘na ‘all’i pianto1

Mà gnuna2 casa manca ‘l tribbilane3: Chi s’ arruella pe’ ‘n aì l’erede, Chipe’buocchijocarìalafede Chimancounpelosipo’sdijunane4: Mà gnuna casa manca ‘l tribbilane.

Pe’ mmorti, liti, malatie o pagane5

‘Che vvorta frigge sino chi pussiede6; Mellà’chefijomarsu’pànuncrede7, E da stì nasce un gran tarapatane8: Mà gnuna casa manca ’l tribbilane.

Chi pe’ ‘iziacci presto fa cappotto9, Chi pe’ l’amore o gelusia è stracotto, D’unguidia10 o rabbia che s’attosca11 ‘r pane: Mà gnuna casa manca ‘l tribbilane.

Batte la sorfa quì ‘r marito cotto, Qua la servetta mucce12 cur fagotto13, Là ddù14 fratelli sono ‘r gatto e ‘r cane: Mà gnuna casa manca ‘l tribbilane.

1)Questomondoèunavalledipianto.“Danotarecheneldlt.sihaanchemonno. ‘L’o e l’u (diceva già il Varchi) hanno gran somiglianza, e si pongono spesso l’uno per l’altro’” (nota del Gaddi).2) In nessuna casa.3) Il soffrire, il tribolare.4) Chi si arrovella il cervello per non avere eredi, chi per denaro (lett. “baiocchi”) si giocherebbe l’anello nuziale, chi non può neanche interrompere il digiuno.5) A causa di morti, liti, malattie e pagamenti (lett. “pagare”).6) Talvolta soffre anche chi dispone di qualche proprietà.7)Qualchefigliononcredeasuopadre,ovvero“[n]onobbedisce”(notadelGaddi).8)“Suonoonomatopeicopersignificarepeggiocheconfusione”(notadelGaddi).9) Chi perde tutto a causa dei viziacci.10) Invidia.11) Avvelena, intossica.12) Fugge.13)“Dellarefurtiva”(notadelGaddi).14)Due.

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XLI.‘R daguirotipo1

Cisummaria2 c’ho visto a Mercatello3!… Un coso fatto come un cassettone Ch’adà4 tre zampe sotto e un occhialone Chevasuejòtoccannoungiocarello5.

Un mago po’6, c’un cencio sur cappello, S’èmessoasprumiràmillìgorpone7; E doppo fruzzicato millì popòne, È rrento ma la casa di Petello8.

Viscito, doppo un pelo, da milline, Ha mostro su d’un vietro ariscurpito ‘L frabbicato di Cìta e le ruine9.

Appena che però millì ho capito Che ‘r diaolo fa ‘ste cose da stordine10, Cur santo sign’i croce so’ muccito11.

1)Ildagherrotipo(macchinarioinusonell’Ottocento,precursoredelleodiernemacchi-nefotografiche).2) Gesummaria.3)Mercatello,piccolaborgatasituatadirimpettoaCivita;giàMercato,contradadell’an-tica Città di Bagnorea.4) Che ha.5) Toccando un particolare della macchina.6) Poi.7) Accovacciato, rannicchiato, “imitando la volpe nello abbassarsi per nascondersi” (nota del Gaddi).8) E dopo aver armeggiato per un po’, è entrato nella casa di Petello (sopr.).9)Dopounpo’ditempo,uscitodilì,hamostratoimpressosuunvetroilfabbricatodiCivita e le rovine.10)Stordire.11) Facendo il santo segno della croce sono fuggito.

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XLII.‘R gioco de’ lotto

Ci ’ò1ppe’Battifojaunmanganello Ch’ à lotto gioca ‘ncò le su’ ciaatte2: Vincesse quarche vorta, transiatte; Ma sempre ci dienta più porello: Ciòppe’Battifojaunmanganello.

S’aissecuminciatodamunello A empicci cun que’ sòrdi le pignatte, A forz’ì culumie lì rrento appiatte, Putìa vinì più ricco di Petello3: S’aissecuminciatodamunello.

Adesso che ci si pente del marfatto, L’ha ditto a mmì piagnenno in più d’un loco4: Pe’ smania d’arricchì, vo ppe’ l’accatto5: Adesso che si pente del mar fatto.

Chisquajalibuocchima‘stogioco, Sirassumijapropriomarunmatto Che tutta la su’ casa manna a foco6: Chisquajalibuocchima‘stogioco.

1)Occorre,civuole.2)Scommettealgiocodellottopersinoleciabatte.3)Seavesseiniziatodabambinoafareeconomia,ariempiredidenaroquellepentolediterracotta, grazie ai risparmi nascosti sarebbe stato più ricco di Petello (sopr.).4) Me l’ha detto piangendo, in più di un luogo.5)Sonocostrettoachiederel’elemosina.6) Chi dissipa il proprio denaro (lett. “scioglie i baiocchi”), ricorda un matto che incen-dia la propria casa.

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XLIII.Mà un ricco aaròne1

Ho chiesto mà qquer cane scellerato Dùstari2 di granturco, da scuntassi3

Cur cao de la rena e de li sassi Quanno arimitte mano al frabbicato4;

E acciò che nun timisse di grattassi5, Perchè so’ porettuccio6 (ma onorato) L’urlogiodermipatejòportato; Ma chene? Ho fatto bucia e butto i passi7.

Che core de tiranno! Me ne ‘ncaco8! M’ha dditto: di credenze nun fo un pelo9! ‘Gnarebbe fussi10 matto od ubbriaco!!!

Però c’è a tant’i lettre mar mancelo: Mejo ‘r camelo po’ viscì p’un aco, Che un ricco senza core entrà mar celo11.

1) A un ricco avarone.2)Duestai(unitàdimisuraperaridi).3)Scontarsi.4) Quando torna a lavorare al fabbricato, ci rimette mano.5)Eaffinchénontemachenonpaghiimieidebiti.6) Poverello.7) Gli ho portato l’orologio di mio padre. Ma a che è servito? Ho sprecato il mio tempo (lett. “buttato i passi”).8)“Nonsentoniente”(notadelGaddi);piùprobabileilsignificato“meneinfischio”.9) Mi ha detto: non faccio credito.10)Dovreiessere.11) C’è scritto a tanto di lettere nel Vangelo: è più probabile che un cammello esca da un ago, che un ricco senza cuore vada in paradiso. “Per la cruna [dell’ago], s’intende” (nota del Gaddi).

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XLIV.L’amici pe’ l’interessio1

Però ‘sto munno2 come fatto adène! Sesici[?]dirobbaedibuocchiadorno, D’amiciunbrancotisischiaffaattorno3

Cur mele4 in bocca a fatti mille scene: Però sto munno come fatto adène!

Finchè tu porti le saccocce piene5

E a buttà llane6 nun ci badi un corno, Cun gran rispetto ti dirron7 «bbon giorno: Ohlleciògustodividivvibene8!» Però sto munno come fatto adène!

Seppo’lasortet’abbannunaunpoco, Mancopesiedatis’offrisceunloco; E gnuno allora ti po’ più vedene9: Però sto munno come fatto adène!

Brutto passane è da guardiano a coco10; E chi ha proato a spese sue ‘sto gioco, Nun pò fà a meno di scramà cu mmène11: Però sto munno come fatto adène!

1) Gli amici interessati.2) Mondo.3)Seseiricco(lett.“adornato”)dicoseedidenaro(lett.“baiocchi”),unagrandequan-tità di amici ti circonda.4) Miele.5) Finché hai le tasche piene.6)Ossia“abuttarlà,aspenderesenzamisura,eancheregalare”(notadelGaddi).7)Diranno.8) Come sono contento di vedervi in salute, in buone condizioni.9)Selafortunatiabbandonaperunpo’,nontioffrononeancheunpostopersedere,enessuno ti può più vedere.10)Èbrutto,daguardiano,diventarecuoco:“Dalgergofratesco:untemporealmentenell’OrdineMinoriticopotevasipassaredaguardianoacuoco”(notadelGaddi).11) Esclamare insieme a me.

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XLV.La free1

Poretto mì2 (pu pu pu) che free! Nun pòzzo piune3 (pu pu pu) un trimore Li strabarzoni mi fa aì mmar core4, E mma le cianche sent’un fredd’i nee5.

Ddo’eddo’ene6?… Presto cchì un dottore: Oh!‘stomalanno(pu pu pu) mi bbee7: Gnun p’aggiutammi aricusà si dee8; Sinnò’rpuetadimicchìvvimore!

Senzarimmejovaapijà’rsomaro, Po’ cur dottore porta giù ’m po’ ciccia9, E pe’ crompalla10,toh!Pija’rdinaro11.

Sequarchiduno(pu pu pu) s’ampiccia D’addimannatti12 «chi sta mal neh carò?» Diji:fraca…13! (pu pu pu) po’ alliccia14.

1) La febbre.2) Povero me.3) Non ne posso più.4) Mi fa venire i sussulti al cuore.5) E alle gambe avverto un freddo intenso (lett. “freddo di neve”).6)Dovevaedoveviene.7)Miaffligge(lett.“mibeve”).8)Nessunodeverifiutarediaiutarmi.9)Senzaesitarevaiaprenderel’asino,poi,insiemealdottore,portamiunpo’dicarne.10) Comprarla.11) Prendi i soldi!12)Sequalcunos’intrometteetidomanda.13) Autocensura del poeta per fra cazzo “nessuno”.14) “Alliccia: tira via” (nota del poeta).

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XLVI.Imitanno l’antinati1

Mirà!2 quer cellettone3 su la porta: Le grolie4 der paese ci rammenta DiquannoPirroeVannonunl’hanventa5

E muccino currenno a coa torta6.

E tusì ’gna rifà: cur una spenta Frullàjòppe’caoniquellasorta Digentecheiporellinunascorta Edisucchiaji‘rsanguenunallenta7.

Vi pare sia ‘n pruceda8 da cristiani? Sevonnoinch’astroloco9 ‘sti demoni, Ji attacchino ‘r bidone come a’ cani.

Se‘rnostrosuppricane10 è donca invano, MannamoBommaaRomaacciòspironi Pe’ facci mitta sotto a Lubriano11.

1) Imitando gli antenati.2) Guardate!3) “SullaportadiCivitav’èeffigiataun’aquilacondueleonisottoisuoiartigli,iqualisimboleggianogliesercitiBaglionieMonaldeschisconfittidaibagnoresilorchétenta-rono di soggiogare la città” (nota del poeta).4) Glorie.5)PirroBaglioni(signorediCasteldiPiero,l’odiernoSanMicheleinTeverina)eVan-noMonaldeschi(delramodellaCervara,diOrvieto)nonl’hannoavutavinta.6)Scappanoconlacodatralegambe(lett.“acodatorta”).7) E bisogna fare nuovamente così: spingere in fondo ai calanchi quella sorta di gente che non ascolta i poveri e non smette di succhiargli il sangue.8)Seguitare,procedere.9)Sevannoaltrove,inqualchealtroluogo.10)Supplicare.11) Mandiamo Bomma(sopr.)aRomaaffinchésproni,facciapressioneperfarcidiven-tare frazione di Lubriano, “[c]omunello a un tiro di fucile da Civita” (nota del Gaddi).

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XLVII.Gelusia di campanile

PejodischiaaadètrattataCîta DacertarazzamellassùdiRota1; Esesinantavo’‘rbicchinoRota Caccià‘rcappellojicummieneaCîta2.

L’ojoabizzeffenunarebbeRota Senzal’uliidela‘all’iCîta3: E sse’ che santo nun scappìa da Cîta Manco‘nafestaciputìafàaRota4.

SeunfuristierofascaarcoaRota, SubitoarrìocurreavedaCîta, Chesoprastaamalacuntrad’iRota5.

Sinanta‘lCristosenundesseCîta La pricissione6 nun brillaa7suaRota; Eppò8 ‘r macello s’ha dda fà9 ddi Cîta?!

1)CivitaètrattatapeggiodiunaschiavadagliabitantidiRota(vd.VI,nota4).2)EfinquandoRotavuoleunbecchino,leconvieneportarerispettoaCivita(lett.“to-gliersi il cappello di fronte a Civita”).3)RotanonavrebbeolioabizzeffesenonfossepergliolividellavallediCivita.4) “Quella borgata ha vantato di essere culla di tutti i santi concittadini” (nota del poeta). “Civitafulaculladituttiisanticoncittadini:S.Bonaventura,S.IldebrandovescovodiBagnoregio,S.BernardovescovodiCastroe,finoaprovacontraria,S.LeoneMagno”(nota del Gaddi).5)SeunostranierogiungeaRota,appenaarrivatocorreavedereCivita,chesovrastavalacontradadiRota:“RhodadaoltreaduesecolidipendevadallaborgatadiCivita”(nota del poeta).6) “Pe la rinnomata [sic] processione del Cristo morto, Bagnorea fa uso del simulacro diCivita”(notadelpoeta).Nell’edizionedel1932,sispecificache“BagnoregiofausodelCrocefisso,splendidoeveneratissimo,dell’anticaChiesaCattedralediCivita”(notadel Gaddi).7) Non eccelleva.8) E poi.9)Sidevefare.

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XLVIII.‘Rfiottoèlibboro1

SepensomarCommunoquantoèbrao2

Nermettajòlepagheppiùnonpòzzo3, Veleno mi dienta anche quer tozzo Che a stento fo guiscì dar tafanao4, SepensomarCummunoquantoèbrao.

S’arrio‘chegiornool’astroavotà‘rgozzo5, L’aete da sintì6 che pipinao: Ma’furnivojoanna,ma’‘gnitelao7

Anche a svià le donne da st’abbozzo, S’arrio‘chegiornool’astroavotà‘rgozzo.

Stassùcionno8 canali, acqua e lampioni, Cirusichi, brae strade e scole e banna9; E noi stemo micchì a fa li minchioni10? Stassùcionnocanàli,acquaelampioni.

ARotasoloè‘rpioadelamanna; Micchì gragnola e furmini cun troni11: S’ècagna12 ‘sta mitropili13 in cappanna14: ARotasoloè‘rpioadelamanna?!

1) Il lamento è libero.2)Sepensoaquantoèbravoilcomune.3) Posso.4) Anche quell’escremento che faccio uscire a stento dal deretano.5)Seungiornool’altroarrivoadireciòchepenso(lett.“arrivoasvuotareilgozzo”).6)Dovetesentire.7) Voglio recarmi ai forni, a ogni “telaio, dove prima, quasi in ogni casa, si tesseva, dalle donne, la canapa e il lino” (nota del Gaddi).8) Hanno, possiedono.9) Medici, belle strade, scuole e banda musicale.10) E noi siamo qui a fare i tontoloni.11) Grandine e fulmini con tuoni.12) È cambiata, mutata.13) “Il terremoto, cui nuovamente Civita soggiacque l’11 giugno 1695, fu causa che il vescovo col seminario e il capitolo, tutti i pubblici funzionari ed i primari cittadini si stabilisseronellacontradadiRhoda,ossiaBagnorea;edèperquestocheicivitonicitutt’ora belano in lor linguaggio: micchì, micchine adera la mitropili!” (nota del poeta).14) Capanna.

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XLIX.‘No specch’i prete1

DonFiordinanno2 adè ‘no specch’i prete: Abbusca ’r tozzo3 cu’ le su fatiche, Nun dà fastidio manco4 a le furmiche E a tutti incurca di sta in pace e in chiete5: DonFiordinannoadè‘nospecch’iprete.

Ch’ajagirone6? Ma nun ci credete, Né a murmurane là ppe’ le buttiche7; Ortre‘rduerenunciàdonneamiche E i birbi dorce sa tirà a la rete8: DonFiordinannoadè‘nospecch’iprete.

Nun cià la mutria, sibbene è dotto9: gran caritane10 sa fà zitto e chiotto: Tutt’astro pensà che insaccà munete11: DonFiordinannoadè‘nospecch’iprete.

Quanno‘chegallavoledi’ch’èjotto12, Corpo d’un cane! Ji daria ‘r pilotto13: Spenne14 der suo: embè che ci ‘olete15? DonFiordinannoadè‘nospecch’iprete.

1) Un prete ineccepibile (lett. “uno specchio di prete”).2)DonFerdinando.3)Siguadagnailpane.4) Neanche.5) Quiete.6) “Che vada troppo girando?” (nota del Gaddi).7) Non ci credete! Non va neanche a sparlare, a mormorare dentro le botteghe.8) Non ha donne amiche, se non per necessità, e sa trarre in inganno i birboni.9) Non ha mutria, sfrontatezza, sebbene sia dotto.10) Carità.11) Pensa a tutto fuorché a intascare denaro.12) Ghiotto.13) Lo tormenterei.14)Spende.15) Volete.

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L.La strada de’ Punticelli1

Mirà! qque’ Punticelli so’ ‘na trappila: Ma’ trai che stonno sopra se si sbottila, Credetelo ma mmì (nun dico frottila) ‘Che poro batizzato ci si sfrappila2.

Eppure già l’isimpio3 c’è di Nottila Che, retto dar sumaro e da la nappila, Durette4 a ffà per aria tippe e tappila Finchènuncursegentealisufiottila5. Aantiche‘rcunsijovajaarottila6, Priposta tocca a voi millì di mittala Pe’ffàjo’qque’laorichesisbottila7.

Sinnò(cum’ònnodittoma‘nabittala, Ddo’spessoderCommunosiborbottila) Faristelafigurad’unacittala8.

1) I Ponticelli (top. uff.) erano un percorso, ormai intransitabile, ricavato grazie al po-sizionamento di alcune travi sugli scrimoli dei calanchi. La “strada” consentiva di rag-giungere, partendo da Civita, altre località della valle.2) Guardate! Quei Ponticelli sono una trappola: se qualcuno urta le travi che vi sono posizionate, credetemi, non dico una frottola, qualche poveraccio (lett. “povero battez-zato”)finisceabrandelli.3) Esempio.4)Resistette,durò.5) Finché non accorse gente, richiamata dai suoi lamenti: “L’asino nel precipitar dai burroni,conficcòipieditrapoltacretacca;IlNottola[sopr.]poi(cuiperbonasortenonisfuggìdimanilacavezza)rimaselìdondolandoamezz’ariafinchènoncorsegentealiberarlo” (nota del poeta).6) “Prima che smettansi le adunanze municipali” (nota del poeta).7)Occorrechevoiavanziatepropostadifare“queilavoripercuisibatte(si sbottila) e si preme” (nota del Gaddi).8) Altrimenti, come hanno detto in una bettola, dove si borbotta spesso a proposito del comune,farestelafiguradiunabimba.

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IL GLOSSARIO DEL GADDI:DESCRIZIONE E CRITERI D’EDIZIONE

A corredo della riedizione dei sonetti di Bocella, Alessandro Gaddi aggiunse una raccolta di voci, intitolata semplicemente “Glossario” (Pa-parozzi 1932:125-135), allo scopo di favorire la comprensione dei versi del poeta1.Sièpensatodiriproporreillemmario,dopoessereintervenutoa vari livelli, sia per costituire una pur minima base per ulteriori ricerche lessicali, che per ricavare una più completa visuale delle conoscenze dia-lettali dello studioso bagnorese, che si confermano amatoriali e non sorret-tedametodologiescientifiche. Il glossario originale include 221 entrate, con lemma in grassetto e iniziale maiuscola (qua riportata a minuscola), generalmente prive di qua-lificagrammaticale(aggiuntaouniformataacriteripiùcoerentiinquestasede, ma ne restano prive le voci anche di lingua) e organizzate con qual-che incongruenza, soprattutto per quanto attiene le voci verbali2. I termini dialettali e la scarna fraseologia3 presenti sotto alcuni lemmi sono, in genere, in carattere corsivo, mentre traduzioni, spiegazioni e com-menti aggiuntivi del Gaddi appaiono in carattere tondo4.

1)Sinoteràcomealcunideiterminiglossatinoncompaianoneicinquantasonettiori-ginali (Paparozzi 1903), riprodotti in questo volume, poiché il Gaddi li ha estrapolati daicomponimentiineditiinclusinellapropriariedizione(Paparozzi1932).Sivuolepoisegnalare come ulteriori spiegazioni e traduzioni siano state inserite dal Gaddi in nota, acorredodialcunisonetti,talvoltaconrimandialglossario.Siètenutocontodiquesteannotazioni senza, tuttavia, inserirle nella presente edizione del lemmario poiché ne avrebbero alterato profondamente la struttura che, per quanto possibile, si è cercato di rispettare. 2)Per“avere”,adesempio,sihauntotaledi6lemmi:2perl’infinito(aé, aì) e 4 per le forme verbali (adai, ajja, éssino, éte), ognuna con traduzione propria. Per “volere”, invece,mancal’infinito,elerelativevoci,separatedavirgola,costituisconoun’unicaentrata (òjjo, òle, ò).3) Gli esempi fraseologici forniti sono, di norma, estrapolati dai sonetti, ma il Gaddi rimanda soltanto in pochi casi ad essi, tramite l’apposizione di numero romano, tra parentesi tonde. Vista la non sistematicità dei rinvii – che, peraltro, fanno riferimento all’ordine dei componimenti prescelto dallo studioso per la sua raccolta, diverso dall’o-riginale (Paparozzi 1903) – si è però deciso di sopprimerli.4) Nei casi in cui lo studioso abbia utilizzato, per i termini dialettali bagnoresi, il carat-teretondo,seneèuniformatalagrafiaripristinandoilcorsivo.

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Il sistema di scrittura utilizzato dallo studioso è, naturalmente, lo stes-soimpiegatoneisonetti.Sièperciòpensatodifareuso,inquestaedizione,dellagrafiafoneticasemplificata5, favorendo, in questo modo, il confronto con altri repertori linguistici6. Eventuali forme dubbie – ad es. per quanto riguarda il timbro dell’accento tonico – sono state segnalate ponendole tra parentesi graffe ({}). L’infinitodeiverbiètalvoltapresenteinvesteitalianizzata(abbadare, grattarsi, ecc.) e, in altri casi (ad es. guiscì “uscire”), nella forma utilizzata dalpoeta,piùfedeleall’usoorale.Sièdecisodiintervenireripristinandola forma tronca (abbadà),oppure,neiverbiriflessiviointransitiviprono-minali, la tradizionale uscita in -ssi (grattassi).Qualoraun infinitononrisultasse immediatamente ricavabile dal glossario o dai testi del poeta, si èfattousodiunavoceipotizzata(dinuovotraparentesigraffe);neicasipiù insidiosi, si è invece preferito ricorrere alla forma attuale (tra parentesi uncinate: <>). Non sono chiari i princìpi che hanno ispirato la compilazione della raccolta: a fronte della presenza di alcuni termini facilmente decifrabili, almeno da parte di chi disponga anche di blande conoscenze delle parlate dell’Italia mediana (dòmo, faciòli, peparóne, ecc.), si nota l’assenza di voci che avrebbero forse richiesto qualche spiegazione, quali, ad esempio, farfarèllo “sorta di spiritello” “mulinello d’aria” (ma anche con altri signi-ficati;cfr.it.lett.“farfarello”),mulàccia “ragazza”, scagno “invece”, ecc. Tra i termini glossati, alcuni meriterebbero ulteriori approfondimenti, visto che, salvo errori da parte del ricercatore, mancano o scarseggiano ri-scontrinelleparlatedell’areaviterbese-orvietana.Sivedano,adesempio,almeno arimmejjassi, calata, cruculuzza, frillippa, sughijjo, zzizzichéllo7. Altre forme elencate sono, verosimilmente, neologismi del poeta – ovvero sue creazioni, non corrispondenti all’autentico uso orale –, che pe-raltro si trovano esclusivamente in corrispondenza di rima (abbijjo, nàppi-5) Il sistema prescelto consente, tra l’altro, di segnalare il timbro degli accenti tonici e il rafforzamento di certe consonanti iniziali sia dopo silenzio che in posizione sintattica.6)Neltrasporrelevocinelsistemadigrafiaprescelto,siètenutocontosiadellaparlataattualechedelleraccoltelessicalideicentrilimitrofi.Diqualcheutilitàsonorisultate,poi, alcune registrazioni dei versi del Paparozzi – recitati a memoria o letti ad alta voce da informatori bagnoresi e civitonici –, effettuate nel corso dell’inchiesta.7) Interessante è pure, da parte del Paparozzi, l’impiego del sostantivo pilo, glossato correttamente dal Gaddi come “sepolcro, tomba”, e presente in alcuni vocabolari di lingua, sia pure come voce antica.

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la, tippe e ttàppila, ecc.). Per certi termini sono presenti più varianti fonetiche o formali. Il Gaddi le ha registrate, in genere, come entrate separate (ad es. arïurticà e rïurticà)8, ma anche come un unico lemma, separate da virgola (fòra, fòri). Assai incorente è pure il trattamento delle espressioni dialettali, a volte presentate all’interno dell’impianto fraseologico (ad es. fà bbùcia, s.v. bbùcia), ma in numerosi casi poste per intero a lemma (fà ccappòtto, fà la ggiòstra, gabbacci r pane, ecc.). Sièpensatodi interveniresulle incongruenzedel lemmarioriorga-nizzandolonelseguentemodo:afiancodeltermineprincipale,incaratteretondoeingrassetto,appaionolerelativevarianti,incorsivo;questesonoaltresìpresentiinordinealfabetico,nellastessavestegraficadellemmaprincipale,acuirimandanotramiteappositosimbolo(→).Lostessopro-cedimento è stato utilizzato per le voci verbali, che rimandano ai rispettivi infiniti,sottoiqualivengonotradotteinlingua9. Qualora, come già rileva-to, il Gaddi abbia posto a lemma una costruzione, la relativa entrata è stata soppressa e sostituita dal termine di maggiore interesse, e quindi reinserita come esempio fraseologico (ad es. la locuzione fà ccappòtto appare, ora, s.v. cappòtto). Siincludono,traparentesiquadre([]),alcuneintegrazionialledichia-razioni dello studioso, talvolta costituite da circonlocuzioni (caóne, frullà, ecc.), in altri casi sommarie (cummatta, mazzafrusto, ecc.) o parziali (ma, gna, ecc.), in qualche caso errate (spiccicato)10. Non mancano, sotto alcune voci, tentativi di etimologia, ovvero di ri-cerca delle origini di un termine. È bene avvertire il lettore non specialista

8) In presenza di varianti fonetiche o formali, il Gaddi ha in qualche occasione di-chiaratonuovamenteilsignificato,rimandandocomunqueallemmaprincipale,tramitel’abbreviazione“v.”;inaltricasièpresentesoltantodettorinvio.9) Questo intervento non è però stato effettuato sulle forme del participio passato poste a lemma, quali, ad es., abbijjo, adórno, ariscurpito.10)Sisottolineacome,inqualchecaso,ilGaddi,neltradurreleformedialettali,oppurenel tentativo di spiegarne le origini, ricorra a lessemi che, pur risultando, in massima parte, presenti nei vocabolari di lingua, sono da questi contrassegnati come termini del toscano (“merìa” s.v. maréa, “sgrígliolo” s.v. grignoléllo), delle parlate dell’Italia centrale (“frappa” s.v. sfrappilassi, “zinzino” s.v. zzizzichéllo), oppure d’uso letterario o dialettale (“piche” s.v. picà). Tuttavia, in nessuno di questi casi lo studioso fa riferimen-to all’impiego circoscritto di tali voci, che sembra trattare come comuni termini della lingua nazionale.

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dellanonaffidabilitàditaliannotazioni,poichébasatesumetodologienonrigorose, con risultati, nella stragrande maggioranza dei casi, immediata-mente contestabili (cifèca, lanca, ma, ecc.)11. Oltreallapresenzadialcuniappuntigrammaticali(s.v.ari-, llà, -ne, ecc.), si registrano sporadiche citazioni letterarie (s.v. bbatistèo, gabbà, ecc.) e, talvolta, raffronti più o meno pertinenti con altri dialetti, soprat-tutto con quelli della Toscana (s.v. inorcà, mitule, -ne) e con il romane-sco (s.v. cifèca, frillippa, vassallóne), ma anche con l’antico siciliano (s.v. -ne), il napoletano (s.v. sughijjo) e il romagnolo (s.v. sarnacà)12. Purtroppomancano riferimenti ai vernacoli dei centri limitrofi, névengono segnalate eventuali differenze tra il lessico civitonico e quello del capoluogo comunale. Il Gaddi, sotto determinati lemmi, segnala però altre voci della parlata locale (s.v. arrossicà, cifèca, ecc.), anche queste ora disponibili come entrate autonome e dichiarate entro parentesi quadre. Alle voci “gaddiane” sono state aggiunte, inoltre, altre forme utiliz-zate dal poeta, contrassegnate con asterisco (*) e trattate come varianti formali13. Sulglossarioèstataeffettuata,infine,un’ulterioreseriediinterventi.Il lemmario è stato riordinato secondo il corretto ordine alfabetico, e gli esempi fraseologici, così come le voci verbali, sono stati separati da barra verticale (|), mentre la doppia barra verticale (||) è stata utilizzata per sepa-rare alcune sezioni aggiunte al lemma. La prima sezione addizionale even-tualmente presente include riscontri con i materiali personalmente raccolti nel Bagnorese14, corredati da apposite sigle:

B=Bagnoregio; CB=CivitadiBagnoregio; rust. = rustico (voce in uso nel contado)15.

11)Siètuttaviadecisodinoninterveniresullepartidedicateall’etimo,ancheperchél’operazione avrebbe richiesto, in più di un caso, trattazioni ben più estese e approfon-dite di quelle concesse dalla struttura del glossario.12)Soltantoinqualchecasolostudiosohacitatolafontebibliografica.13)Questevariantisonostateestrapolatedall’interaoperadelPaparozzi;alcunedilorosono pertanto assenti nei componimenti riprodotti in questo volume.14) Fanno eccezione alcuni riscontri s.v. bbròscia, ggióine e maréa, per i quali sono state puntualmente citate le fonti.15)Alcunidei terminielencati sonoantiquati, senondel tutto indisuso; invistadiulteriori approfondimenti, ma anche per non appesantire la lettura, si è però stabilito,

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Siavverte,tuttavia,chetaliraffrontinonsonosistematici,poichéef-fettuati con i materiali che si avevano a portata di mano. Può seguire, poi, un’ulteriore sezione, nella quale si elencano, senza pretese di completezza, i riscontri con una selezione di lessici del Viterbe-seedell’Orvietano,siapermettereinevidenzaladiffusione,piùomenoampia, di alcune voci, che per guidare il lettore a una migliore interpreta-zione del termine posto a lemma, in qualche caso scarsamente compren-sibile poiché in via di disuso o addirittura arcaico16. In questo spazio sono stateutilizzateleseguentiabbreviazionibibliografiche:

BL=Blera(Petroselli2010); BO=Bolsena(C&T2005); CC=CivitaCastellana(Cimarra2011); CNP=Canepina(C&P2008); CT=CastiglioneinTeverina(Corradini2004); F=FabricadiRoma(Monfeli1993); FAS=Fastello(Frezza2012); ORV=territorioorvietano(M&U1992)17; VT = Viterbo (Petroselli 2009).

I rimandi interni del Gaddi sono stati soppressi e sostituiti da un’ulte-riore sezione, più coerente, nella quale si rinvia, con dicitura “vd. anche”, a voci riconducibili allo stesso etimo. Le sigle e le abbreviazioni utilizzate dallo studioso sono state rispet-tate,evitandosiadiscioglierlechedidichiararneilsignificato,quasisem-pre immediatamente comprensibile.

nella maggior parte dei casi, di non fornire notizie sulla frequenza o la vitalità delle voci stesse.16) Nell’elencare le varianti di altre parlate si è evitato, anche per ragioni di spazio, di citaretutteleformepresentineilessicidiriferimento;appaiono,inognicaso,illemmaprincipale e le varianti più direttamente riconducibili alla forma bagnorese. Per esigenze tipografichesièdovuto,inqualchecaso(C&T2005,Monfeli1993),adattarelagrafiautilizzatadagliautorialsistemaditrascrizionefoneticasemplificata.17)Siricordacomequestolessicoincluda,tralelocalitàindagate,duecentridellano-straprovincia,ovveroAcquapendenteeMontefiascone.

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La prima pagina del “Glossario” di Alessandro Gaddi (1932)

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GLOSSARIO (1932)

Alessandro Gaddi

abbadà, v. intr., badare, guardare, stare attento || abbadà, bbadà (B) || abbadà, bbadà(BO29,37,ORV1,58, VT 99, 169, BL 4, 106).abbijjo, v. tr., abbigliato.abbuscà, v. tr., buscare, guada-

gnare || abbuscà (B) || abbuscà, bbuscà(BO30,41,ORV4,89,VT103, 194, BL 9, 148), bbuscà (CC 78, F 78).accoà, v. tr., accovare [italiani-

smo] nel sign. att. di abbassare, fare accovacciare, quindi supera-re[fig.] ||cfr.accoasse, accovasse “accovacciarsi”(ORV7,9),acco-vasse (VT 107, BL 16).adai:→aé.adè:→èssa.adène:→èssa.adèra:→èssa.adórno, v. tr., adornato.aé, aì, v. tr., lo stesso che avere:

adai, tu hai | éte, voi avete | ajja, egli abbia | éssino, essi avessero || avé (B, CB) || aé(BO31),aé, avé (ORV 13, 55), avé (VT 165, BL 102, F 56).aì:→aé.ajja1:→aé.ajja2:→annà.alliccià, v. intr., tirar via, far presto

nell’andare o tornare da un luogo [camminare svelto, andare di fret-ta]. Dal gergo delle tessitrici, cheallicciano, vale a dire dispongono i licci, i quali servono per alzare e abbassare le fila dell’ordito, perfar subito la tela || alliccià “aizzare, istigare” (B) || alliccià “camminare svelto,andaredifretta”(ORV20).annà, v. intr., [andare]: vajja, ajja,

a. [io vada]. b. egli vada || annà, nnà (B, CB) || annà (BO33),annà, nnà (ORV 26, 325,VT 125, 407,BL 48, 495, CC 16, 397).annericà, v. tr., [annerire, scurire]

|| annericà (B) || annericà (CT 70).appiattà, v. tr., nascondere l’og-

getto adeguandolo al suolo, oppu-re al piano || appiattà “appiattire” (B) || appiattà “nascondere” (BO33), “appiattire” (BL 62); cfr.ap-piattasse “nascondersi, mettersi in agguato” (VT 130) || vd. anche ap-piattóne.appiattóne, avv., nascostamente,

propr. di chi si accovaccia per non farsi vedere || appiattóne “fermo, fisso,immoto”(B)||vd.ancheap-piattà.appiccime, s.m., esca da fuoco

[legna minuta che serve per avviare

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il fuoco] || appiccime (ORV32,VT130, BL 63), appicciume (F 44).ari-, pref., [in verbi e loro derivati esprimeripetizioneointensità;ri-].arimmejjassi, v. intr. pron., cer-

care i proprii comodi, e quindi perdere tempo, indugiare [esitare, temporeggiare]. Da immegliarereso riflessivo con più l’iterativoari- “ri-”.arincantonassi, v. intr. pron.,

rincantucciarsi, nel senso di ri-diventar povero e quindi riavvi-cinarsi a chi prima si disdegnava [fig.“impoverirsi”]||cfr.accanto-nassi (B) || cfr. incantonasse(ORV243, BL 377).ariscurpito, v. tr., riscolpito, ben riprodottonellafotografia[impres-so, inciso] || cfr. scorpì “scolpire” (B) || cfr. scurpì (ORV 455, VT539, CC 585).arïurticà, rïurticà, v. tr., rivolto-

lare [rovesciare, rivoltare] || arivur-ticà, rivurticà (B) || rivurticà (BO96, BL 631), arivurticà, rivurticà (ORV 46, 413), rivordicà (CC 537); cfr. rivulticasse (VT 502) || vd. anche vurticà.arrossicà, v. intr., arrossare [ar-

rossire, diventare rosso]. Così pure, nel dlt., annericà per annerire.assajjà, ssajjà*, v. tr., assaggiare

|| assajjà, ssajjà (B) || assaggià, assajjà(ORV52,VT161,BL94),

assajjà (F 55).assutterrà, v. tr., sotterrare [an-

che “seppellire, tumulare”] || cfr. arisotterrà, risotterrà (B) || assot-terrà (BO36,BL95),assotterrà, assutterrà(ORV53,VT162),ssot-terrà (CC 633).

bbaa, s.f., bava, [fig.] veleno ||bbaa (CB) || bbaa, bbava(BO36,38), bbaa(ORV57).bbaciarèlli, s.m. pl., i bachi da

seta, diminutivo quasi vezzeggia-tivo, forse per l’utilità dei medesi-mi || cfr. bbaciarèllo (CB), anche come sopr. || cfr. bbaciarèllo (CT 81,ORV58).bbannaròlo, s.m., bandista,

membro del concerto musicale || bbannaròlo (CB).bbatistèo, bbattistèo*, s.m., bat-

titura, schr. [scarica di percosse] Certo,tutt’altroèilsignificatodan-tesco della parola: E nell’antico vo-stro Batisteo – insieme fui cristiano e Cacciaguida. (Par. xv) || bbati-stèrio (B), bbatistèro (CB) || bbat-tistèro(ORV66,F62),bbattistèrio (VT 175), bbattistèro, bbattistèrio (BL 117), bbattistièro “funzione religiosa in rievocazionedellafla-gellazione di Cristo” (CC 42).bbatòcco, s.m., batocchio, bat-

taglio della campana || bbatòcco (CB) || bbadòcchjo(BO37,F57),

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bbatòcchjo, bbatòcco (ORV 65),bbadòcchjo, bbatòcchjo (VT 169, 174, CC 32, 41), bbatacchjo, bba-tòcchjo (BL 115).bbattistèo:→bbatistèo.bbéa, v. tr. e s.m., lo stesso che

bere, bevere, e anche ciò che si beve: il vino || bbéa (B, CB) || bbéa (BO 38, CNP 122), bbé, bbéva, bbéve(ORV66,70),bbéa, bbéva, bbéve (VT 175, 178, BL 119, 123, 124), bbéva, bbéve (F 65), bbéve (CC 50).bbiastima, s.f., bestemmia ||

bbiastima (B, CB); cfr. bbiastimà “bestemmiare” (B, CB) || bbastém-mia (BO 38), bbestégna, bbiasti-ma (ORV 70, 71), bbiastima (VT 180,CNP123,F66,CC52); cfr.bbastemmià (BO 38), bbestegnà, bbiastimà, bbestegnatóre, bbiasti-matóre “bestemmiatore” (ORV70,71), bbiastemà, bbiastimaménto “il bestemmiare” (VT 180), bbe-stemmià, bbiastimà (BL 122, 125), bbiastimà, bbiastimó “bestemmia-tore” (F 66), bbiastimà, bbiastima-to “maledetto, imprecato”, bbiasti-matóre (CC 52).bbitì bbitòne, loc. avv., voce

onomatopeica del linguaggio in-fantile: due passetti [a breve distan-za] || bbitì bbitò “sì e no, malapena” (B) || bbidibbidò “frettolosamente, speditamente, in modo immediato”

(BO 39),bbidì bbidò (in un testo legato ad un gioco inf.), bbitì bbitò “osìono”(ORV72,75).bbóce, s.f., voce || cfr. Bbocèlla

sopr. (B, CB) || bbóce(ORV77,F69).bbòne (a le), [nella seg. espr.]:

stà a le bbòne, mantenersi calmo, contentandosi di ascoltare e dire, in circostanze di gravi controversie, solo buone parole.bbrao, agg., bravo [anche antifr.], col significato generico di valoreestensivo anche alle cose: bbrao pèzzo, gran tratto | bbrai scarpóni, grosse e forti scarpe da lavori || bbrao (CB) || bbrao (ORV 82),bbrao, bbravo (CC 69).bbròscia, s.f., borsa || cfr. bròsce

“segmenti di corteccia” (Vite I:129), bbròsce “mammelle flo-sce” “testicoli flosci”, bbroscióne “uomo anziano dalla pelle flacci-da” (CB) || bbròscia “vescica nata-toriadeipesci”(BO41),“vescica”(ORV84),bròscia“borsa,gonfio-re” (CT 89) || vd. anche sbrosciassi.bbùcia, s.f., buca: fà bbùcia, but-

tare i passi, andando in un luogo e non trovandovi la persona o la cosa desiderata || bbùcia (B) || bbu-ca, bbùcia (CC 73, 74) || vd. anche bbùcio.bbùcio, s.m., buco || bbùcio (B) ||

bbùcio (BO41,ORV87,BL146,

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F 77), bbùcio, bbuco(CC74);cfr.bbócio “ano” (VT 184) || vd. anche bbùcia.bbuttà, v. tr., [buttare, gettare] ||

bbuttà (B, CB) || bbuttà (BO 41,ORV90,FAS33,VT195,BL149,F 79, CC 79).bbuttica, s.f., bottega [negozio;

anche “laboratorio artigianale”] || bbottéga (ORV80,VT187,BL136, CC 66).

caà, v. intr., cavare, riuscire || cavà (B) || cavà (BO47,VT217,BL 190), caà, cavà(ORV91,113).caccià, v. intr., lo stesso che caà

[anche “scacciare”] || caccià “to-gliere” “scacciare” (B) || caccià (BO42,ORV92,VT198,F157,CC 85).calata, s.f., festone di drappi, o di mortellaefiori.cao, s.m., scavo, escavazione ||

vd. anche caóne.caóne, s.m., cavone [italianismo],

dirupo scavato dalle acque [ca-lanco] || caóne (B, CB) || cavone (CT 102), cavóne“burrone”(ORV113), “grande quantità” (VT 218), “scavo a cielo aperto di grandi di-mensioni” “canalone, profonda in-cavatura del terreno” “sentiero cre-atosi col tempo nel terreno” “strada antica, tagliata nella roccia” (BL 193), cavó, cavóne “canalone, pro-

fonda incavatura del terreno” (CC 119) || vd. anche cao.cappòtto: fà ccappòtto,[fig.]finir

tutto || cappòttofig.“massimodelpunteggio (nei giochi a carte e si-mili)” (B).ccà, cchì*, cchine*, avv., qua

[qui]: meccà, qua | ccajjó*, mec-cajjó, quaggiù | meccassù, quassù | micchì, micchine, qui || ccà, ccajjó, meccajjó (CB), meqquà, miqquì (B, CB), meqquassù (B) || meccà, meqquà, meqquì, qqua, qqui (BO74, 92, 93), cà, chi, meccà, mecchì (CT 92, 105, 164), ca, meccà, mec-chì, meqquà, meqquì, qua (ORV91, 295, 298, 389), ca, meccà, mec-chì, meqquà, meqquì, qua (VT 197, 378, 380, 482), ca, qua, meccà, mecchì (BL 152, 198, 450, 598), ccà, cchi (F 177, 178), cà (CC 82).ccajjó:→ccà.cchì:→ccà.cchine:→ccà.cecè, cecène, s.m., [capolino]: fà

ccecè, far capolino. Cecè, contra-zione di c’è? non c’è? || cecè (B).cecène:→cecè.cécio, s.m., [cece]: mitta r cécio,

mettere il cece. Vuol dire propr. esprimere il voto mettendo il cece o il fagiuolo nell’urna. Per esten-sione, dire la sua || cécio (B, CB) || cécio(BO48,ORV115,VT221,BL 195, F 85, CC 126).

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cellettóne, s.m., [accr.] uccellone, come l’aquila, ecc. || cfr. cellétto “uccellino”, ucèllo (B, CB) || cfr. cellétta “vulva”, cellétto “pène”, ucèllo (BO 48, 114, ORV 116,534), ucellétto “pène”, ucèllo (VT 615), cellétto “uccellino”, ucèllo (BL 196, 806), cellétta, cellétto, ucèllo (F 86, 507), cellettélla, cel-lettéllo “uccellino, nidiace”, cellét-to, cèllo (CC 127, 128).che, quarche*, agg. indef., qual-

che || che, quarche (B, CB) || che (CT 105, F 175), che, quarche (ORV121,390,CC499),quarche (VT 483, BL 600).chjacchjeréccio, s.m., chiacchie-

riccio.ciarvèllo, s.m., [cervello]: stràc-

cio di ciarvèllo, [antifr.] lo stesso chedireungrandecervello;ilpocoche significa ilmolto.Èqui l’usopopolare della figura retorica chegli alessandrini chiamarono oximo-ron || ciarvèllo (B, CB) || ciarvèl-lo (BO49,ORV126),ciaravèllo, ciarvèllo (VT 228, BL 209).cica, pron. indef. e avv., niente ||

cica “qualcosa” “in nessun luogo” (ORV 127), “niente” (CNP 129),ciga “niente” (F 91).cicinino:→cicino.cicino, cicinino*, agg., molto pic-colo,nelsensomater.Dapiccino,abbreviato per aferesi in cino [voce

ipotizzata?] || cicino (CB) || cici-no (BO49,CT109),cicino, cino (ORV128,130).ciciuco, agg., molto piccolo nel

senso mor. della irresponsabilità. Da ciuco, raddoppiato e contratto || ciciuco “lagnoso” (B), “piccolo” (CB) || vd. anche ciuco.cifèca, s.f., vinello, anche guasto.

In romanesco ciufeca, che forse ci guida alla sua etimologia: da ciu-folà “zufolare”; dato che nel dlt.si usa anche fischjà nel senso di bere. Per l’assonanza cfr. ribeca || ciofèca, ciufèca (B) || cifèca (BO49), cifèca, ciofèca(ORV128,132,BL 212, 214), ciufèca (CT 111, VT 233, F 95), cifèca, ciufèca (CC 138, 142).cìtolo, s.m., bambino || cìtolo(B);

cfr. cìtala “bambina” (B) || cìtolo (BO 50, CT 111, ORV 133); cfr.cìtala(BO50,ORV133).ciuco, avv., piccolo || ciuco (B) ||

ciuco (BO50,ORV134,VT233,BL 217, F 95, CC 141) || vd. anche ciciuco.ciufolà, v. intr., [zufolare] || ciu-

folà (B); cfr. ciùfolo (B) || ciufo-là (ORV 134), ciuffolà (VT 233), ciuffolà, ciufolà (BL 218), cifolà “chiacchierare continuamente, da annoiare”(F91);cfr.ciùffolo(BO50, VT 233), ciùffolo, ciùfolo(ORV134, BL 218), cìfolo (F 91), ciùfolo

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(CC 142).cóa, s.f., coda [anche “strascico

del mantello”] || cóa (CB) || cóa (ORV135,VT233,BL219).còcco, s.m., il preferito [predi-

letto] || còcco (B) || còcco(BO50,ORV 136, VT 234, BL 220, CC144).cólo, s.m., goccia || cólo “colatoio

per la preparazione dei formaggi” (BO51).cóo, s.m., covo.còtto, agg., [fig.] ubriaco ||còtto

(B) || còtto(ORV147,VT248,BL246, CC 166) || vd. anche stracòtto.cruculuzza, s.f., piccolo cappello,

risultante quasi del solo cocuzzolo.cu, cun, cur* (prima di voc.), avv.,

con || cu, cun, co (B, CB) || co(BO50, CC 143), co, cu (ORV 135,152, BL 219, 255), co, cu, cun (VT 233, 253, 256), cun (F 201).cugnà, v. tr., coniare.{cummatta}, v. intr., combattere

nel senso di impiegar tempo [fa-ticare, impegnarsi; anche “tratta-re, avere a che fare”] || commatta, commatte (B) || commatta(BO51,F 184), commatte(ORV139,FAS36, VT 238, CC 151), commatta, commatte (BL 226, 227).cun:→cu.cur:→cu.

dà*, dane*, v. tr., [dare]: dajja, egli

dia || dà (B, CB) || dà(BO55,ORV158, VT 261, BL 263, CC 180).dajja:→dà.dane:→dà.déta, s.f. pl., [dita]: scottassi le

déta,[fig.]pagarlacarasenzatrop-po aspettare [subire un’amara delu-sione, subire le conseguenze delle proprie azioni] || déta (CB), déte (rust.);cfr.déto (B, CB) || cfr. déto (BO 55, ORV 163, VT 265, BL271, F 100, CC 188).dinoèlle, dinüèlle*, avv., negazio-

ne circoscritta al complem. di luo-go: in nessun luogo [anche “mica, pernulla,affatto”].Dadinovello,che tuttorasignificadinuovo,no-vellamente;ma che pure fu usato(Fr. Giord.) col significato di: daprincipio, da prima, innanzi a tut-ti.Dondeprese lemosse ilnostrodialetto, che con la stessa frase, fa-cendo dell’ironia, arrivò poi a dire tutto l’opposto. Es.:D. Sei stato nel tal luogo?R. Di novello.La risposta, ironica, invece che

avanti a tutti, volle già dire per niente affatto. Questo, credo, il si-gnificatodelnostrodinoèlle: Lucs a non lucendo || dinoèlle (B, CB) || minuèlle, dinuèlle(BO76,122),dinuèlle (CT 122), dinuèlle, doèlle anche“nessunacosa,niente”(ORV168, 172), donequèlle (CNP 133).

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dinüèlle:→dinoèlle.dòmo, s.m., duomo, la chiesa

principale || dòmo (B, CB) || dòmo (ORV173,VT272,BL281, F 104, CC 196).dónca, cong., dunque || dónca,

dónque (CB) || dónque (BO 57),dónca, dónqua(ORV173,BL281,282), dónqua (VT 272), addunca (CNP 118), dónca, dunche (F 104, 105), dùngue (CC 200).dorémmara:→dové.<dové>, v. intr., [dovere]: dorém-

mara, noi dovremmo || dové (B, CB) || dové(ORV173,VT274,BL284, CC 198).

embè, inter., ebbene || ambè, embè (B) || ambè, embè, mbè(BO32,57,74), ambè, embè(ORV22,178,BL34, 287), embè (VT 276), ambè, bbè, embè (CC 12, 43, 203).éne, s.f. pl., vene || éne (CB).énna1, v. tr., lo stesso che vendere:

énna, egli venda || vénna (B) || vén-na(BO116,F514),vénna, vénne (ORV544,VT623,BL818),vénne (CC 698).énna2:→énna1.èssa, èsse*, v. intr., [essere]: adè,

adène, egli è | adèra, egli era | fùm-mara, noi fummo || èssa (B, CB) || èssa, èsse (BO 58,ORV180,VT278, BL 292), èssa (F 107), èsse (CC 205).

èsse:→èssa.éssino:→aé.éte:→aé.

fà, fane*, v. tr., [fare] || fà (B, CB) || fà (ORV183,VT280,BL 294,CNP 134, F 108, CC 207).faa, s.f., fava. La fava nell’urna della votazione significava votocontrario || faa (BO 58), faa, fao (ORV 184, 186), fava (VT 284, BL303, F 113,CC 217); cfr. fao “favo” (CC 217).fane:→fà.fèlo, s.m., [fiele]: amaro fèlo, amaro fiele: [fig.] cattiveria || fèle (B) || fèle (ORV189,VT285,BL305, CC 218).fischjà, v. intr., [fischiare; fig.

“ubriacarsi”] || fischjà, fistià (B) || fischjà, fistià (ORV 195, 196,VT292, BL 317, CC 232, 233).fòra, fòri, s.m., il campo colti-

vato, che è fuori del paese [cam-pagna; anche avv. “fuori”] || fòra (B) || fòra, fòre(BO61,ORV198,199), fòra, fòre, fòri (VT 294, 295, BL 321, 324), fò (CNP 134), fòra (F 125), fòra, fòri (CC 236, 239).fòri:→fòra.fraggèllo, s.m.,flagello, rovina ||

fraggèllo (ORV201,VT 297,BL327), flaggèllo (CC 233).frésche, s.f. pl., eufemismo per

cose che non vanno [cose, affari,

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fatti] || frésche (B) || cfr. frésca(BO62,ORV204,VT300,BL331,F130, CC 248).frìggia, v. tr., [friggere]: usato in-

trans. nel senso di penare. Cfr. Son fritto! || frìggia (B) || frigge (ORV204, VT 300, BL 332, CC 249).frillippa, s.f., fuscellino, forse da

frasca + lippa, che è il bastoncello onde ha nome il noto giuoco fan-ciullesco, detto invece in romane-sco nizza || cfr. filippa “gioco della lippa” (B) || cfr. frelléppaca “spa-vento”(BO122),frelléppica “pel-licola sottile che avvolge la casta-gna, la noce, la mandorla, l’uovo […] la cipolla” (CT 133), “velo di cipolla” “pellicola della castagna sotto la buccia” “pellicina del ghe-riglio”“stoffaleggerissima”(ORV204).frullà, v. tr., gettar via con forza

un oggetto, farlo frullare [scara-ventare, gettare lontano] || frullà (B) || frullà(BO62,ORV205,VT301, BL 334, CC 250), frollà, frul-là (F 132).fùmmara:→èssa.

gabbà, v. tr., [gabbare, imbroglia-re]: gabbacci r pane, gabbarci il pane [fig. “mangiare insieme conilpane,comecompanatico”];vera-mente il gabbato è chi lo mangia, allettato dal companatico. Cfr. il

Tassiano: Succhi amari ingannato intanto ei beve || gabbà (B) || gabbà (ORV209,BL339,F140).gabbacci:→gabbà.galla, s.f., giovanotto spericola-

to ed allegro [giovane arrogante, bellimbusto; cfr. it. “galla”]. Cfr.galloria || galla (B) || galla “cosa o persona di poco valore” (ORV209), “bambina birichina” “don-na pigra, scansafatiche” “donna incapace” (VT 306); cfr. gallóne “bellimbusto”(ORV210),gallarìa “baldoria” (VT 306).ggióine, s.f., [giovane donna] || cfr.

ggióvine (Vite I:90) || cfr. ggióene (BO64),ggióine, ggióvene (ORV216, 217), ggióvene, ggióvine (VT 313, BL 349, 350), ggióvine (CC 263).ggiòstra, s.f., [tormento, fastidio, baja]: fà la ggiòstra a qualcuno, darglilabaja||ggiòstra “capriccio” (B) || ggiòstra (VT 312, CC 262).ggiróne, avv., [in giro]: annà

ggiróne, bighellonare || ggiróne “girandolone” (B) || ggiróne “che sta molto fuori casa” “in giro” (VT 314), “in cerca” “girandolone” (BL 351), “persona che va in giro” (F 136), ggiró “girandolone, bighello-ne” (CC 265).ggiù:→jjó.gna, v. intr. impers., bisogna [oc-corre; anche “credo che, si vede

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che”] || gna (B, CB) || na(BO78,CNP 147), gna (CT 140), gna, na (ORV221,316,VT315,398),ab-bisognà, gna (BL 6, 352), gna chè (F 292).gnaolóne, avv., a guisa dei gatti

(del camminare) [gattoni, carponi] || gnaolóne (B) || gnaolóne (a)(BO64,ORV221),gnavolóne (VT 315, BL 353).gnènte, pron. indef., niente ||

gnènte(BO64,ORV222,VT316,BL 353, F 292), gnènde (CC 267).gnisèmpre:→ognisèmpre.gólo, s.m., volo || gólo(ORV224,BL 356); cfr. golà “volare” (VT 318), golà, volà (BL 356, 828).grani, s.m. pl., [granaglie] || gra-

ne(ORV227,VT320,BL358).grattassi,v.rifl.,[grattarsi]detto

del creditore deluso, che non può prendersela con altri che con se stesso, grattandosi || grattassi (B) || cfr. grattà(ORV228,VT321,BL360, CC 274).grignoléllo, s.m., un pezzettino [piccola quantità; anche “brevelasso di tempo”]. Con figura dasineddoche da sgrígliolo [tosca-no], il rumore caratteristico che fa la terra, o sabbia, sgretolandosi in più minuti frammenti sotto i piedi || cfr. grìgnolo “piccola quantità” (B, CB), dim. grignoléllo (CB), gri-gnolétto (B) || cfr. grìjjolo(BO122,

BL 363, F 146), grìgnolo, grìjjolo (ORV 229, 230), crìolo, grìjjo-lo (CC170,276);cfr.sgrijjolasse “sbriciolarsi” (BL 713).grónna, s.f., [grondaia] || grón-

na (B, CB) || grónna, gronnaléccia (ORV230),grónna, gronnaréccia (VT 322), grónna (BL 363, F 147), grónna, gronnara (CC 276).gruninèlla, s.f., rondinella, da

gronna “gronda”, di cui è l’abitatri-ce || grunninèlla, rondinèlla(ORV231,415);cfr.gróndina “rondine” (VT 322).guaìme, s.m., il fieno di secon-

do taglio, poco apprezzato, e cu-rato meno [cfr. it. “guàime”] || a gguaìme*, loc. avv., [in stato di ab-bandono] || cfr. guaìme (a) “fuor di stagione”(ORV232).guiscì, guiscine*, viscì, v. intr., lo

stesso che uscire: viscì, egli uscì || oscì (Melillo 516) || escì, uscì (ORV180,538,VT278,617,BL291, 809), uscì (CC 689).guiscine:→guiscì.guitto, s.m., vagabondo propenso

al mal fare [cfr. it. “guitto”] || guitto “vagabondo, fannullone” “birban-te, discolo” “uomo vivace e dispet-toso” (B) || guitto “monello, disco-lo, ragazzino” (BO 66), “ragazzovivace o dispettoso” (CT 144), “persona rozza” “poveraccio” “bracciante agricolo” (BL 369),

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“miserabile” “farabutto” (CNP 140), “persona rozza” “miserabile” (CC 280), “povero, nullatenente” (ORV 234), “persona disonesta”“ragazzo trasandato” “saltimban-co” “poveraccio” (VT 325); cfr.guitta (a la)“alverde”(ORV234),guittarìa “delinquenza” (VT 325), guitta “gruppo di salariati agrico-li che lavoravano in Maremma” “puttana” (BL 369).gumità, v. intr., vomitare || gomità

(B) || gomità (ORV225,BL356),gomità, gumità, vommità (VT 318, 326, 631), vommità (CC 708).

i1, di*, de*, prep., [di] || di, i, de, e (B, CB) || de, e(ORV160,177,BL267, 286, CC 185, 202), de, di (VT 263, 266), de (F 98).i2:→li.impasto, mpasto*, v. tr., lo stesso

che impastato || cfr. impastà(ORV240, VT 330), mbastà (CC 342).incaciata, agg., detto di sposa con dote, schr. [fig. “che costituisceun’ottima occasione di matrimo-nio”] || incaciata “leggero strato di neve” (B); cfr. incacià “nevicare leggermente” (B) || incaciata “leg-gero strato di neve” (ORV 242),ancaciata “atto di cospargere una sostanza di formaggio grattuggia-to” “strato di formaggio grattug-giato” “leggero strato di neve” (VT

122), ancaciata, incaciata “atto di cospargere una pietanza di formag-gio grattugiato” “strato di formag-gio grattugiato” “strato sottile di brina o di neve” (BL 43, 376), nga-ciata(CC389);cfr.incacià(ORV242, VT 332, BL 376), ngacià (CC 389).indóri, agg., lo stesso che indorati

[dorati].inorcà, v. tr., prender su un ogget-

to e metterselo sulle spalle [mettere unpesoinspalla];aSiena,invece,sulle ginocchia || annorcà, innorcà (B, CB) || annorcà(BO121),orcà (VT 420); cfr. òrca “spalla” (BO123), “grappolo d’uva peduncola-to sull’asse centrale” “apice della spalla”(ORV340).inzippà, v. tr., spingere [preme-

re], da inzeppare || nzippì (CB) || in-zeppà, inzippì(ORV260),azzeppà (VT 167), anzeppà (BL 60), nzeppà (CC 407) || vd. anche inzippatóo.inzippatóo, nzippatóo*, agg., che

spinge [che preme] || vd. anche in-zippà.ir*, r, l*, art. det. m., [il] || ér, èr, r,

l (B, CB) || l, r(BO67,93,VT345,486), er, l, r(ORV179,264,393,BL 290, 396, 604), o “il” (F 295), er, o, r (CC 203, 409, 503).

jjàccio, agg., freddo, ma perchè detto di cadavere, è passato a signi-

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ficare anche morto: {mènżo jjàc-cio}, mezzo morto || ghjàccio, jjàc-cio (B) || jjàccio (BO66,BL394,F 155, CC 287), diàccio, jjàccio (ORV164,262,VT266,344).jjó, ggiù*, avv., giù. Unito con i verbi,conferiscelorounsignificatoiterativo: énna jjó qquér cól’i bbéa, venda giù quel poco di vino, senza maismettere,finoallafine||ggiù, jjó (B, CB) || ggiù (BO 64, VT314), ggiù, jjó(ORV219,263,BL351, 395, CC 265, 290), jjó (CNP 141, F 156).jjocà:→jjucà.jjucà, jjocà*, v. intr., giocare ||

jjucà (B) || ggiocà (VT 311, BL 347), ggiocà, ggiogà (ORV 216,CC 260).

lanca, s.f., fame, dal battersi, per la medesima, l’anca || lanca “de-bolezza” (B) || lanca “stanchezza, sonnolenza”(ORV265).lassà, v. tr., lasciare || lascià, lassà

(B, CB) || lassà(BO68,F206),la-scià, lassà(ORV266,VT348,BL400), lascià (CC 295).le, lle*, avv., quanto, come, valu-

tativo esclamativo, derivato da: l’è (lo è, la è) afferm. || le (B, CB) || le (VT 350, BL 403, F 206).li, i2*, art. det. m. pl., [i, gli] || i, li

m. (B, CB), lem.ef.(rust.;raroaB, CB) || cfr. lem.ef.(BO68,CT

155,ORV268), le, li m. e f. (VT 350, 354, BL 403, 409), i m. (F 152), li m. (CC 304).lìbboro:→libbro.libbro, lìbboro*, agg., libero || lìb-

bero (B) || lìbbero(ORV271),lìb-bero, lìbboro, lìbbro (VT 354), lìb-bero, lìbboro (BL 409, F 211, CC 304), libbro (CNP 142).llà, llane*, llì*, avv., [là, lì] unito coniverbi,neamplificailsignifi-cato: bbuttà llà | si sguazzaa llà | mellà, là | mellajjó, mellaó*, laggiù | mellassù, lassù | millì, milline*, lì || mellà (B, CB), melaggiù (B), mel-lajjó, mellassune (CB), millì (B, CB), milline (CB) || llà, mellà, mellì (BO67,74),mellà, mellì (CT 165), là, lì, mellà, mellì, millì(ORV264,271, 296, 304), là, lì, mellà, mellì (VT 345, 354), mellà, mellì, millì (BL 452, 453, 464).llane:→llà.lle:→le.llì:→llà.

ma, prep., a [anche “in”]: ma mmé, ma mmì*, a me. Quest’m eu-fonica premessa all’a, che designa il complemento di termine, deriva, forse, dalla pronunzia strettamente unitaria della 2a pers. sing. imperat. dei verbi, usitatissimi, dare, dire e fare, col doppio complemento di termine, pure usitatissimo dal po-

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polo, del pronome di ia pers. Es.: dammi a me, dimmi a me, fammi a me.Donde,nullacambiandosinelsuono: da ma me, dì ma me, fa ma me || ma “a” “in” (B, CB) || ma “a” “in” (BO 70, CT 159, ORV 279,VT 361), “a” (BL 421).maréa, s.f., merìa [toscano], luo-

go ombroso nel gran caldo || maréa “ombra”, marèa “meriggio” (Ali-nei63);cfr.ammareasse “riposare in un luogo ombreggiato” (Alinei 63, s.v. ammareà), marijjà “merig-giare” (Alinei 64) || merèa (ORV299), maréjjo (VT 372), meréjja, meréjjo (BL455);cfr.mereà (BO123, ORV 299), ammareà (FAS30), ammerejjà, merejjà (BL 40, 455), marïà, marijjà (F 228), me-rijja (a) “all’ombra” (CC 353).mazzafrusto, s.m., la frusta dei

carrettieri e dei vetturini [pungolo costituito da un bastone di un me-tro circa, su una cui estremità veni-va applicata una corda per frustare i cavalli] || mazzafrusto (B, CB) || mazzafrusta (CT 164), mazzafru-sta, mazzafrusto (ORV293),maz-zafrusto(BO73,FAS43,VT376,CC 339).mé, méne*, mì*, mine*, pron pers.

ton., [me] || mé (B, CB), mì (CB), mine (rust.) || mé, méne, mì (ORV295, 302), mé, mì, mine (VT 377, 384, 386), mé, mì (BL 450, 463),

mì (F 242), mé (C 348).méne:→mé.meccà:→ccà.meccajjó:→ccà.meccassù:→ccà.mèjjo, avv., meglio [anche agg.

“migliore”]: li mèjjo grani, i mi-gliori grani || mèjjo (B, CB) || mèjjo (ORV296,VT378,BL451,F237,CC 350).mellà:→llà.mellajjó:→llà.mellaó:→llà.mellassù:→llà.{mènżo}, agg., mezzo || mènżo (ORV297).mestassù:→stì.métta:→mitta.micchì:→ccà.micchine:→ccà.mìccia, s.f., asina, ritenuta più

stupida del maschio || mìccia (CB) || mìccia (ORV 302, VT 385, BL463, F 243, CC 358).millì:→llà.milline:→llà.mistì:→stì.mitta, métta*, v. tr., [mettere] ||

métta (B, CB) || métta, métte (BO75,ORV301,FAS43,44,VT382,BL 458), métta (CNP 145, F 241), métte (CC 355).mitule, mitulo*, s.m., stollo o an-

tenna del pagliaio. Nell’aretino: mitrite || mitule (CB) || metule(BO

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75), mitule (CT 168), mitule, mitu-lo(ORV305),metullo (VT 383).mitulo:→mitule.mózzico, s.m., [morso] || mózzico (BO78,CC373,F252),mórzico, mózzico(ORV311,312),mózzeco, mózzico (VT 393, 394, BL 478) || vd. anche muzzichéllo.mpasto:→impasto.muccì, v. intr., fuggire, da muc-

ciare [it. desueto] “trafugarsi, invo-larsi” || muccì (CB, rust.) || muccì (ORV313), muccià (VT 395).munèllo, s.m., fanciullo viva-

ce e svelto, sempre in senso buo-no || monèllo “bambino” (B); cfr.munèlla “bambina” (CB) || munèllo (ORV314,VT396,BL482,CNP147, CC 375).muzzichéllo, s.m.,morsello [fig.“piccola quantità”]. Dal dialett.mózzico “morso” || muzzichéllo (CB) || vd. anche mózzico.

n:→nun.nàppila, s.f., piccola nappa, o fiocchetto,dilanarossa,chespessoadorna la cavezza; quindi, per si-neddoche, la cavezza stessa.-ne, suff., pleonasmo esclusiva-

mente prosodico, o apoggiatura delle parole tronche [particella paragogica]: téne, te | cecène, lo stesso che cecè | adène, lo stesso che adè.Trovasianchenelfioren-

tino;invecenell’aretinosihaje, e nell’antico siciliano (Jac. da Lenti-ni) ve;rispettiv.:mene, meje, meve.nòa, s.f., nuova, novella, notizia

data or ora || nòa, nòva(ORV325,328), nòva (VT 410, BL 498, CC 403).nun, un, n*, avv., non || no, nun,

un, n (B, CB) || nun(BO81,F287),n, nun, un(ORV316,330,536,VT398, 412, 616, BL 485, 501, 808, CC 377, 404, 687)nzippatóo:→inzippatóo.

ò:→volé.ognisèmpre, gnisèmpre, avv.,

ogni momento, tutte le volte [sem-pre, continuamente] || cfr. nni “ogni” (B) || cfr. gni(BO64,ORV222, VT 316, BL 354, F 292, CC 269).òjjo:→volé.òle:→volé.

pàili, s.m. pl., plur. di paolo, mo-neta pap. eguale a ½ lira || cfr. pào-lo, pàvolo(ORV350,356,VT431,440, BL 528, 542, CC 432, 445), pàvolo (F 314).pajjao, s.m., pagliaio || pajjaro

(B, CB) || pajjaro (BO 83, ORV346, VT 427, BL 521, F 302, CC 426).pasta: past’i méle, pasta di mele: [fig.] uomo buono, trattabile e

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compiacente.peparóne, s.m., peperone: [fig.]

naso grosso, schr. || peparóne (B, CB), anche come sopr. (CB) || pe-paróne(BO85,ORV360,VT445,BL 548), pepó (F 318), peperó (CC 452).picà, picane*, v. intr., ciarlare

continuato e molesto come lo stri-dere delle piche [pica: voce lett., comune ad alcuni dial.] || cfr. pica “ghiandaia” (B) || cfr. pica (ORV365, VT 452, BL 560, CC 463), “donna loquace” (F 327).picane:→picà.pilo, s.m., [it. antico] sepolcro,

tomba.pilòtto, s.m., il grasso ardente che si fa colare sull’arrosto [fig.“tormento, assillo”]. Da pillotto ||pilòtto “pillotto” fig. “tormento”(B); cfr. pilottà “pillottare” fig.“tormentare” (B) || pilòtto(BO87,VT 457, BL 567, F 328, CC 469), pillòtto(ORV369);cfr.pilottà(BO87, VT 457, BL 566, CC 469), pil-lottà(ORV369),mpilottà (F 256).piòa, v. intr. impers., piovere ||

piòa (CB) || piòva, piòve (BO88,VT 458, BL 568), piòa, piòe(ORV370), piòve (CC 469).pipinao, s.m., gran chiacchieric-

cio di donnicciuole, simili a passeri pipilanti [vocio] || pipinara (B) || pipinara(BO88,VT458),pipina-

ro (CT 190, F 329), pipinara, pipi-naro(ORV371,BL569,CC470).pippa, s.f., [pipa]: pipp’i còcco, pipa di cocco [fig. “nel miglioredei modi”]: l’ideale dei fumatori, a quanto pare || pippa (B, CB) || pip-pa(BO88,ORV371,VT458,BL569, F 329, CC 470) || vd. anche pippà.pippà, v. intr., fumar la pipa ||

pippà“fumarelapipa”fig.“mori-re” (B) || pippà “morire” (BO88,ORV372,VT459,BL569,F330,CC 260), “fumare la pipa” (F 330) || vd. anche pippa.pitturina, s.f., pettorina, panciot-

to || pettorina, petturina (BL 555).poarèllo:→porèllo.popò, popòne*, avv., un pochino

[po’], da un po’ + un po’ || pó, pò, popò (B, CB), popó (CB) || popò, popòco(BO90),pò, popò, popòco (ORV375),pò, popò (VT 463, 466, BL 573, 577, CC 476, 478).popòne:→popò.poràccio, s.m., poveraccio || po-

ràccio (B) || cfr. poràccio, porétto, pòro(BO90),pòaro, porétto, pòro, pòvaro(ORV375,379,381),pòro, pòvero (VT 467, 470), porétto, pòro, pòvaro (BL 579, 584), pòro (F 337), poràccio, porétto, pòro, pòvoro (CC 478, 479, 483) || vd. anche porèllo.porèllo, poarèllo*, agg., poverello

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|| porèllo (B) || vd. anche poràccio.potémmara:→putì.primòtico, agg., che primeggia,

propr. delle frutta prime a venire [primaticcio; anche s.m. “primi-zia”] || primòtico (B) || primòtico (BO91,CT195),“pollodiprimaallevatura”, primòtica “primizia” (ORV 383), primòteco (VT 474), premùtico (CNP 153), primòtico (CC 490) .prùbbico, s.m., pubblico || pùb-

brico(ORV385,BL593,CC492), pùbbreco, prùbbeco (VT 477, 478).putì*, v. intr., [potere]: potém-

mara, a. noi potevamo. b. noi po-temmo || poté (B, CB) || podé, poté (ORV376,381,CC476,482),poté (VT 470, BL 583).

quarche:→che.quéllo: quer, [quel].quelui:→quilui.quér:→quéllo.questui, pron. dimostr., costui ||

questui (B) || questue (VT 485).quilièi, pron. dimostr., colei ||

quelèe (VT 484).quilòro, pron. dimostr., coloro ||

quelòro (VT 485).quilui, quelui*, pron. dimostr., co-

lui || quelue (VT 485).

r:→ir. ricóoro, s.m., ricovero || aricóve-

ro (VT 140).rifinaa, s.f., dove il vento, trovan-do l’impedimento, rifinisce di ac-cumulare ciarpame, polvere o neve [mucchio di neve o ciarpame accu-mulato dal vento] || refenajja (B) || arifinajjo, rifinara “neve ammuc-chiatadalvento”(ORV41,405).rïurticà:→arïurticà.rusci,s.m.pl.,pungitopi;ilnome

dialett. dal rosso (rùscio) [voce ipo-tizzata?] delle bacche || cfr. rùscio “spazzatoio per il forno” (CB) || cfr. rùscio“pungitopo”(ORV418,BL 641).

sabbenanche, sibbène*, cong., sebbene anche, ancorchè [benché, sebbene] || abbenanche (VT 100), sibbenanche, sibbène (BL 715), bbenanche (F 64), bbenanghe (CC 48).sancrepàzzio, inter., esclama-

zione di maraviglia per gl’ingordi mangiatori che non crepano, pro-tetti da Sancrepàzzio [santo imma-ginario] || cfr. crepàzzio “santo im-maginario” (B) || cfr. crepàzzio (VT 250, BL 251).sarnacà, v. intr., russare. In Ro-

magna (Pascoli): sornacchiare || sarnacà (B) || sarnacà (CT 212, ORV 426), sornacà (VT 563, F 426), sornacchjà, sornacà (BL 728); cfr. sornacata “russamento”

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(VT 562, BL 728), sornaco “russo” (VT 563).sbarzimaménte, avv., di sbalzo,

di sorpresa [improvvisamente].sbottà, v. tr., urtare || sbottà (B) ||

sbottà(ORV430,VT518,BL659,CC563);cfr.sbottata “colpo, scos-sa”(ORV430)||vd.anchesbottilà.sbottilà, v. tr., urtare appena ap-

pena || vd. anche sbottà.sbrosciassi, v. intr. pron., [sbelli-

carsi]: sbrosciassi di risate, sbelli-carsi dalle risa || cfr. sbroscià “pen-zolare (di grasso superfluo sullecosceosuifianchi)”(ORV432) ||vd. anche bbròscia.scalóne, s.m., grosso gradino in

pietra || scalóne (B) || scalóne “so-gliadellaporta”(ORV433),“gra-dino” “soglia di abitazione” (BL 663), scaló “limitare, soglia dell’u-scio” (F 404).scarcà, v. tr., scaricare, gettar giù

[demolire] || scarcà, scaricà (B, CB) || scarcà (ORV436),scaricà, scarcà (VT 523, 524, BL 668, 669, F 408), scargà (CC 570) || vd. an-che scarco.scarco, s.m., scaricamento, nel

senso di crollo e di demolizione [macerie,rovine;anche“operazio-ne dello scaricare”] || scarco “sca-ricato” “sgombro” (VT 524) || vd. anche scarcà.sciccaménte, avv., squisitamente,

da chic.sciò, inter., [voce per scacciare le

galline] || sciò (B) || sciò (CT 222, ORV446,VT531,BL678), sció (CC 578).sciobbicà, v. tr., vuotare, fare il deserto [svuotare; fig. “rubare”].Forse dalla voce onomatopeica con cui le massaie scacciano le galli-ne: sciò! sciò! || sciobbicà (rust.) || sciabbicà (BO 124), scioppicà (ORV447);cfr.sciòppico “vuoto” (ORV447).scocciaróne, agg., scocciante as-

sai.scottassi, v. rifl., [scottarsi, bru-ciarsi; fig. “subire un’amara delu-sione”] || scottasse (VT 537); cfr.scuttà(ORV455).{scrizzà}, v. intr., [scherzare]:

scrizzo, io scherzo || scherzà (B) || scherzà (VT 527, BL 673, CC 574).scrizzo:→scrizzà.scùffia, s.f., sbornia || scùffia (B)

|| scùffia (BO 102, ORV 454,VT538, BL 691, CC 587).sforbicià, v. tr., tagliare con le

forbici, e nel senso mor.: tagliare i panni di addosso, dir male || sforbi-cià (BL 708).sfrappilassi, v. intr. pron., andare afinireabrandelli[lacerarsi,squar-ciarsi], da frappa [centr.] “frangia”.sgrinzà, v. tr., toglier le grinze [dallapancia],[fig.]sfamare.

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sguazzà, v. intr., [sguazzare]: sguazzaa, egli sguazzava || sguazzà (B, CB) || sguazzà (ORV469,VT553, BL 713, CC 604).sguazzaa:→sguazzà.sguillà, v. intr., scivolare [sdruc-

ciolare] || sguillà (B) || sguillà (ORV469,VT553,BL714); cfr.sguillóne “scivolone” (VT 553).sibbène:→sabbenanche.sinanta, prep., financo [persino,addirittura; anche “sinquando”] ||sinanta (B) || finanta, sinanta“finoa, sino a, sin quando” (BO 60,124), sinènte“finché,fintanto,finoa” (CT 233), finanta“finoa”(ORV194, VT 290), “fino a” “persino”(BL 314), nzinanta“finoa”(ORV332), finènte, nzinènte “fino a” (F122, 290) nzinènde “sino a” (CC 408), zzinande“finoa”(CNP168).sòra, s.f., sorella || sòra (BL 726,

CNP 160).spiccicato, agg., spiccato [errato: l’agg.staper“identico”].Dettodisuono che non si confonde con altri || spiccicato (B) || spiccicato (BO107,ORV485,VT570,CC626).sprumirà, v. tr., mirare bene, con

comodo, in lungo e in largo, da pro o per + mirare [guardare con atten-zione] || cfr. mirà “guardare” (B, CB) || cfr. mirà(ORV304,VT386,BL 737, CC 360).ssajjà:→assajjà.

stà*, v. intr., [stare; anche “esse-re collocato”]: stajja, egli stia || stà (B, CB) || stà(BO108,ORV490,VT 575, BL 745, F 445, CC 633).stajja:→stà.stassù:→stì.stì, avv., costì [lì, vicino a chi

ascolta]: mistì, costì | stassù*, me-stassù*, costassù || mistì, mistine, mestajjó “costaggiù” (CB) || mestà, mestì (BO 75, CT 166, 168, VT381, BL 457), mestà, mestì, stà, stì (ORV 300, 301, 491, 494), stì (CNP 162).strabbarzóni, s.m. pl., scossoni

[sussulti]. Cfr. l’avverbio strabal-zoni.stracòtto, agg., [fig.] ubriaco in

grado super [totalmente sbronzo] || stracòtto (B) || cfr. stracòce “stra-cuocere” (VT 581, BL 755, CC 642) || vd. anche còtto.stralòde, s.f., gran lode. Cfr. stra-

vizio.stufaòla, s.f., stufaiola, tegame

fondo per lo stufato [tipo di tega-me a due manici] || stufaròla (CB) || stufaròla(BO110,ORV503,VT587, BL 762).sucà, v. tr., [succhiare]: sucà le

éne, succhiare il sangue delle vene [fig. “far pagaremolto denaro”] ||sugà (B) || sugà(BO110,VT588,BL 764, CC 649), sucà, sugà(ORV504, 505).

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succicà, v. tr., [solleticare] || ciuc-cicà (B) || succecà, succicà (VT 588, BL 763, 764), succicà (ORV504,F461);cfr.succicatura “piaga causata dal continuo sfregare di un finimento sulla pelle del cavallo”(CC 649) || vd. anche sùccico.sùccico, s.f., l’ascella; succicà

“fare il solletico sotto l’ascella” || ciùccico, sùccico (B); cfr. succi-carèlla “solletico” (CB) || sùccico (ORV504,BL764,F461),sùcce-co, sùccico (VT 588), sùccica (CC 649), zzùccico(CNP169);cfr.suc-cicarèllo “fastidio alla gola, causa-to, in genere, dal catarro” (F 461) || vd. anche succicà.sughijjo, s.m., piccolo sugo tratto

dalle regaglie di pollo per la mi-nestra con le regaglie. Cfr. il nap. sughillo || sughijjo “sugo di pomo-doro piuttosto insapore” (B).svòrta, v. tr., svoltata, rimossa (la

ggióine capricciósa) dal suo pro-posito [influenzata, condizionata]|| cfr. svortà “cambiare direzione” “influenzare, condizionare” (B) ||cfr. svortà “cambiare direzione” (ORV508,BL770),“cambiaredi-rezione”“influenzare”“faruscirdisenno” (VT 592), svordà “svoltare, cambiare direzione” (CC 652).

tamanto, agg., tanto grande [grandissimo] || tamanto (B) || ta-

manto(BO111,CT250,ORV510,VT 594), tammanto (F 488).taratapane, s.m., voce onomato-peicapersignificareunsubbuglio.téne, tì*, tine*, pron. pers. ton.,

[te] || té (B, CB), tì (CB) || té(ORV512), té, ti (VT 597, 601, BL 777, 783), ti (F 492), te (CC 658).tésto, pron. dimostr., [cotesto]:

tésto stì, cotesto costì || tésto (B) || tésto (BO111,ORV516), té (VT 597), tisto (CNP 164, F 494).tì:→téne.tine:→téne.tippe e ttàppila, [nella seg. espr.]:

fà ttippe e ttàppila, oscillare con certa violenza in qua e in là. Dallinguaggio infantile onomatopeico.tórre,s.f.,ilcappelloastajo,schr.

[tuba, cilindro] || tórre (B).traménte, avv., mentre, frattanto. Da tra+mente ||ntraménte (B) || ntraménte (VT 411), intraménte, ntraménte (BL 389, 500).tranziatte, transeat [lat.]: sia

pure, passi, meno male.ttusì, avv., così || attusì, stosì, stu-

sì (B) || tossì, tusì (BL 792, 804).

ubbidènte, s.m., bidente: gros-sa zappa a due asce gemelle dalla stessa parte || ubbidiènte (B) || ub-biènte(BO124),ubbidiènte(ORV533, BL 806), bbedènte, obbidiènte (VT 176, 415), bbïènde (CNP 123).

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un:→nun.ùscia1, inter., fuori! via! [vattene!]

|| ùscia (BO115),usce (VT 617), usci “voce per incitare le pecore ad uscire dall’ovile” (CC 689).ùscia2, s.f., uscita, esodo [atto di

uscire].

vajja:→annà.vassallóne, s.m., mascalzone in

grado superlat. Idem nel romane-sco || vassallo(BO115,ORV540,VT620,CC693,F511);cfr.vas-sallàggene “comportamento male-ducato”, vassallata “birichinata da ragazzi” (VT 620).viscì1:→guiscì.viscì2:→guiscì.vói:→vojjastri.vojjastri, vói*, pron. pers., voi

altri [voi] || voartri (CB), vojjar-tri (B), vóe (B, CB) || vartre, vóe, vojjartre(BO115,117),vartre, vo-artre, vóe(ORV540,551),vantre, vóe, vojjaltre (VT 620, 630), voar-tre, vojjartre, vue (BL 828, 831).<volé>, v. intr., volere: òjjo, io vo-

glio | òle, ò, egli vuole || volé (B, CB) || volé(BO117,ORV551,VT630, BL 828, F 518).vortastòmmichi, s.m. pl., rivol-

gimenti di stomaco, stomacaggini [voltastomaci, nausee] || cfr. vor-tastòmico (B) || cfr. vortastòmo-co (BO 117), vortastòmico (ORV

553), vortastòmmeco (VT 632), vortastòmmico, vortastòmmoco (BL 830), vordastòmmico (CC 709).vurticà, v. tr., rivoltare a poco a

poco, e in continuazione, come fa lo zappatore con la terra [rovescia-re, rotolare] || vurticà (B) || vurticà (BO 117, CT 264, VT 632, BL831), vorticà, vurticà (ORV 553,554), vordicà(CC709);cfr.vorti-catina “mescolata”, vorticóne “ca-pitombolo” (ORV 553), vurticóne (BO117)||vd.anchearïurticà.

{zzizzichéllo}, s.m., un zinzino [centr.;piccolaquantità].Damuz-zichéllo “morsello” abbrev. per aferesi in zichello e raddoppiato e contratto || cfr. a zzico “con par-simonia” (B, CB) || zzesichéllo (CNP 168); cfr. zzésico “un poco di” (CNP 168), zzico “carino” (VT 634) “un po’” (F 520), zzico (a) “con parsimonia” (CC 714).

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I caóni della valle di Civita (foto di Massimo Calanca)

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DOCUMENTI ORALI

1. “Una questione religiosa”

Siriproducono,diseguito,duebrevitestinarrativiraccoltinelBa-gnorese, al duplice scopo di fornire un saggio dello stato corrente del dialetto e di documentare la persistenza dei versi di Filippo Paparozzi nel patrimonio orale1. L’argomento prescelto, già trattato dal poeta (‘Na quistione riligiosa XXIV), riguarda la perdurante usanza, da parte dei civitonici, di riportare, ancheaffrontandocondizioniclimaticheavverse,unanticocrocifissoli-gneoall’internodellachiesadiSanDonato,aCivita,dopolaprocessionedelVenerdìSanto.Secondoun’anticacredenzaesisterebbe“undiritto”invirtù del quale “il Cristo”, se sostasse per una sola notte nel capoluogo, ove si svolge la processione, diventerebbe proprietà dei bagnoresi2.

2. Testi dialettali

Il primo brano che si va a presentare è tratto da una conversazione conBonaventuraRocchi (1930), dettoVenturino, agricoltore, istruzio-neelementare, sagrestanodellachiesadiSanDonato,puro civitònico, il quale, pur risiedendo a Bagnoregio, frequenta assiduamente il luogo natio. Nel corso dell’intervista, registrata all’interno di detta chiesa, le

1) Nei brani presentati, i trattini indicano interruzioni improvvise nel corso della pro-nunciadiuntermineodiunalocuzione;ipuntinidisospensione,traparentesiquadre,segnalano l’omissione di passaggi ritenuti non rilevanti, o scambi di battute tra il rac-coglitoreegli informatori; ipuntinidisospensione,fuoriparentesi, rappresentanolepause brevi, mentre le pause lunghe sono segnalate con la dicitura “pausa”, tra parentesi quadre;leparentesitondeindicanolapronuncianondefinitadiunfonema;lapunteg-giaturasegue,ingenere,lenormeortografichedilingua.2)Ilcrocifissoligneo,databilealXVsec.,proveniente,forse,dallascuoladiDonatello,è provvisto di braccia snodabili che ne rendono possibile il trasporto su una portantina di legno. Per quanto riguarda la tradizione popolare, cfr. il seguente testo, raccolto a Bagnoregio: se ddormiva cquì, rimaneva a Bbagnorèggio. C’è ppròprio ‘n diritto. Ap-pòsta lo portònno via (Blaspop. II:857). Cfr. Civita: O piòve o fiòcca “nevica”, Cristo di Bbagnorèggio a la sera deve ritornà a Ccìvita (ibid.:911).

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citazioni dei versi di Bocella sorgono spontanee sulle labbra dell’infor-matore.

Venturino (Civita): Quélla sarà, anche magari una leggènda ccu-sì… antepàtica pure! Che nó-… Se rimane a Bbagnorèggio, un ce le déi-no “non ce lo davano” più! Fórze… Fórze ce ll’avéino ll’intenzióne, ma siccóme che nnói da Cìvita andiamo im prucessióne a Bbagnorèggio, pó “poi” ritornamo a Ccìvita! Allóra nu le “lo” lasciamo llì, si le “ce lo” por-tamo co nnói! Perché ssiamo, órtre devòti, mórto attaccate a qquést’òpe-ra d’arte. […] Dice: «Piovésse a ccatinèlle, r nòstro Cristo nun zi lassa “lascia” dinoèlle»… Da nessuna parte. Si ripòrta ar zu pòsto! […] Ècco! Quésto è r nòstro crucifisso. Quésto si lèva, si tìr(a)no giù le bbràccia, si piégono giù!… Pó si stacca da la cróce… e lo mettiamo su qquésta bbara “portantina” qqui! Guardi, vènga! Si métte su qquésta bbara. Qui cci métto un télo, cu m materazzo “materasso”, si métte qqui ssópra. Allo scopèrto ccusì. Nun è una bbara copèrta! Ècco perché qquéllo dicéa… Quér vècchjo… Tanti anni fa! (Di)ce: «Innòrca sù “metti il peso in spal-la”, Bbillà! Sólo tu cce le “la” pòi fà»! Si levàino “toglievano” la ggiac-ca, se piovéa! Si levàin-… Dònne, si levàino… quéllo che cc’avéino! E ccoprìino quésto crucifisso… pe nun fallo sciupà!

Nel testo successivo, registrato nel capoluogo comunale, si è seguito il procedimento inverso. Presso la bottega del sarto, Vincenzo Eleuteri (1933), detto Cincino, istruzione elementare, cultore di storia e costumi locali, si è reso palese l’oggetto della ricerca, e la menzione del succitato sonetto, ben noto alla fonte, ha provocato il ricordo di un fatto a cui ha assistito personalmente, nel corso della seconda guerra mondiale.

Cincino (Bagnoregio): Sì, ma io, mi ci sò ttrovato anch’io “è capi-tato anche a me”! […] Èh! Na prucessióne, na… Vénne ll’acqua “piog-gia” che Ddio sólo le potéa mannà ttanta! Tanta, tanta, tanta! Alló(r)a i civitònichi dìssero, dice, dice: «Nò!», dice, «Se lasciamo l Cristo», dice, «n ce le “non ce lo” danno più! Perché bbasta che ddòrme (na) nòtte a Bbagnorèggio, un ce e “non ce lo” danno più»! Alló(r)a che ffécero? Si cavàrono “tolsero” i cappòtti, le ggiacche… Cuprìrono sto Cristo! C’è una bbara. E ppartìrono! Quanno fùrono ggiù ppe lò-… Usciti di Bba-

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gnorèggio… vénne r zeréno “tornò il sereno” co-… [pausa] Ne parlo mi ci commuòvo. [pausa] Dunque, sarà stato ne… ner quarantatré qua-randaquattro, appéna passata la guèrra “subito dopo il passaggio del fronte”.

3. Commenti linguistici

Sebbeneitestipresceltisianopiuttostoconcisi,permettonodicon-statarecomel’affinitàdialettaletraidueparlanti–altamenterappresen-tativi delle rispettive comunità – sia quantomeno elevata. Essi stimolano, inoltre, alcune brevi osservazioni. Sinoteràcome,apartecerteformedilinguanelprimobrano(an-diamo, siamo, mettiamo, ecc.), senz’altro dovute al contesto3, persistano dei tratti conservativi già attestati nei versi del Paparozzi, quali la caduta di -v- intervocalica (piovéa, potéa, ecc.), il rotacismo (órtre, mórto, r ze-réno, ecc.), la preposizione cu “con” e l’avverbio un “non”. Siregistra,poi,ilcambiodallaprimaconiugazioneverbaleallase-conda (déino), mentre manca il passaggio dalla seconda alla terza, pre-sente invece nei sonetti (per cui si ha, ad esempio, dicéa e non dicìa)4. In un quadro di generale “instabilità” delle vocali atone, trovano conferma la tendenza di -a- a trasformarsi in -i- all’interno di certe voci verbali (avéino, levàino, ccoprìino, ma anche piégono) e la vitalità della chiusura di -o- in -u- (cuprìrono, prucessióne, ma anche dinoèlle, a fronte del “paparozziano” di nuelle). Persiste, poi, la peculiare conservazione di -i in mi, ci, si, di. Tra le caratteristiche non documentate da Bocella, si citano il prono-me le “lo” “li” “la” “le”, anche in forma aferetica (un ce e danno più) e il rafforzamento della consonante nasale n in innòrca. Per quanto riguarda le oscillazioni linguistiche, saltano all’occhio 3) L’utilizzo del pronome di cortesia “lei” (guardi!, vènga!), in luogo del tradizionale “voi”, sarà dovuto, più che alla situazione d’intervista, al divario generazionale tra l’in-formatore – avvezzo alla conversazione con i numerosi turisti che visitano Civita – e il ricercatore.4) Più in generale, non si può fare a meno di constatare il sostanziale adeguamento del dialetto, per quanto riguarda il vocalismo tonico, alla lingua nazionale (es.: métte in luogo dell’antico mitte), evoluzione già documentata nell’edizione dei sonetti di Ales-sandro Gaddi.

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l’insolita sonorizzazione in quarandaquattro e, nel brano di Civita, un’occasionale apertura di -ifinalein-e (mórto attaccate) e due episodici casi di mancato rafforzamento di g- in posizione iniziale: si tìr(a)no giù le bbràccia, si piégono giù. Per la sintassi, vd. almeno le costruzioni anche magari, antepàti-ca pure “anche antipatica” e siccóme che nnói, la ridondanza di alcuni elementi sintattici (sì, ma io, mi ci sò ttrovato anch’io) e, nella rielabo-razione dei versi del Paparozzi, l’impiego di “si” + voce verbale nella locuzione nun zi lassa dinoèlle. Va da sé che la brevità dei brani riprodotti, oltretutto registrati presso due soli informatori, non consente una più esaustiva disamina dello “sta-to di salute” del dialetto bagnorese e delle trasformazioni linguistiche in atto. Una più vasta raccolta di testi permetterebbe, inoltre, di effettuare considerazioni più approfondite sul piano sintattico – settore particolar-mente carente di studi nella nostra provincia –, e di contribuire a fornire materiali per una descrizione sistematica della fenomenologia dialettale, nonché dello stesso atteggiamento psicologico dei parlanti nei riguardi dei cambiamenti in corso.

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© 2012 - Flavio Frezza. Tutti i diritti sono riservati a norma di legge.

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2012 presso la Tipolitografia Quatrini snc - Viterbo

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Flavio Frezza, nato a Viterbo nel 1974 da una famiglia originaria della Teverina, si è occupato a più riprese dei dialetti e delle tradizioni popolari di questa subarea del Viterbese, dapprima avviando una collaborazione, tuttora in corso, con la rivista La Loggetta – Notiziario di Piansano e la Tuscia e, più recentemente, come autore delle monografie Il paese del “Bucèfere”: il carnevale fa testamento a Grotte Santo Stefano (Viterbo 2012) e Il solco di Sant’Isidoro a Fastello: una ricerca folclorico-linguistica tra il lago di Bolsena e il Tevere (Montefiascone 2012).

Socio fondatore dell’Ass. Cult. “Ecomuseo della Tuscia” (Grotte Santo Stefano), collaboratore del gruppo di studi “Vocabolario dialettale della Tuscia Viterbese”, il ricercatore ha dato l’avvio a un’indagine approfondita e sistematica sulle parlate del Bagnorese, di cui il presente volume non rappresenta che un’anticipazione, e che si concretizzerà, prossimamente, con la pubblicazione del “Vocabolario del dialetto di Bagnoregio”.

Comune di Bagnoregio