Il cappello di paglia di Firenze!...6 Il Cappello di paglia di Firenze! A Peretola, Brozzi e Campi,...

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1 Istituto Comprensivo Manzoni - Baracca Firenze Scuola Media A. Manzoni Un progetto su di una tipologia di lavoro tradizionale del passato, con la consulenza del Cav. Alvaro Biagiotti e del Sig. Marco Conti. con la collaborazione del Museo della Paglia e dell’Intreccio Domenico Michelacci di Signa con il Prof. Roberto Lunardi e della Dott.ssa Emirena Tozzi: Il cappello di paglia di Firenze! Disegno di Tommaso D. Le trecciaiole

Transcript of Il cappello di paglia di Firenze!...6 Il Cappello di paglia di Firenze! A Peretola, Brozzi e Campi,...

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    Istituto Comprensivo Manzoni - Baracca

    Firenze

    Scuola Media A. Manzoni

    Un progetto su di una tipologia di lavoro tradizionale del passato, con la consulenza del

    Cav. Alvaro Biagiotti e del Sig. Marco Conti.

    con la collaborazione del

    Museo della Paglia e dell’Intreccio Domenico Michelacci di Signa

    con il Prof. Roberto Lunardi e della Dott.ssa Emirena Tozzi:

    Il cappello di paglia di Firenze!

    Disegno di Tommaso D. Le trecciaiole

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    Presentazione

    Peretola e le trecciaiole, un binomio che sembrava eterno, nonne, madri e figlie da generazioni erano

    coinvolte da questa attività, che si svolgeva spesso in gruppi di cinque dieci donne, nelle corti, per strada,

    nelle piazze.

    Tutti i giorni, alla stessa ora, le donne si mettevano in cerchio, la paglia era accomodata, pronta per la

    treccia e i bambini nel mezzo a giocare. Si parlava, si discuteva, a volte ci si accalorava per le storie e i

    problemi che qualcun’esponeva, ma che poi erano di tutte, di tutti i giorni. Il marito era in cerca di lavoro, il

    cognato aveva bevuto un po’ troppo, la sorella aveva da finire il corredo, il figlio era partito per il militare, la

    suocera cercava una casetta... senza pretese... a pigione...

    Qualcuna poi, nel gruppo, si metteva a parlare a tutte: era il momento del racconto... e dopo gli scoppi di

    risa, improvvise, contagiose, al punto da mettere allegria anche ai bambini, che nel cerchio delle gonne, si

    trastullavano in terra con la paglia e con qualche

    gallina curiosa.

    Nel pomeriggio c’era da dare la merenda ai

    bambini e qualcuna portava il pane con olio e sale,

    oppure il pane con la marmellata, per le ricorrenze

    i biscotti con le mandole. Per le trecciaiole, c’era il

    fiasco con il vinello frizzante, per l’estate, i

    roventini per l’autunno e le bruciate per l’inverno;

    a volte, ma solo a volte, un pezzo di castagnaccio

    da dividere tra tutti.

    Le stagioni passavano e così gli anni; quello che

    sembrava immutabile cambiò, tra l’incredulità e

    la rabbia; la treccia cominciò ad arrivare da altre

    regioni e costava meno. I commercianti preferirono premiare il prezzo, più che la qualità, adesso potevano

    avere altre fonti di approvvigionamento, certamente più convenienti... le trecciaiole non erano certo più

    indispensabili! I cappelli venivano più brutti, ma il prezzo era conveniente e poi...

    Le trecciaiole iniziarono le agitazioni e dopo qualche tempo, gli scioperi... disperati, rabbiosi... da una parte i

    commercianti e i proprietari delle fabbriche, dall’altro le donne, unite, solidali; erano guidate dalla

    Baldissera e da altre compagne. Dopo una serie di proteste e agitazioni ottennero molte promesse, qualche

    risultato economico e diversi anni di galera.

    I tempi erano però alla fine: dalla Cina e dal Giappone cominciarono ad arrivare i rotoli di treccia, anche già

    colorata, a prezzi stracciati. Le trecciaiole subirono il primo contraccolpo, poi cominciarono a chiudere le

    fabbriche di cappelli, prima quelle artigianali, poi le grandi: La concorrenza delle trecce e dei cappelli

    d’importazione non era sostenibile, la paglia di riso era anche migliore; entrambi i contendenti non avevano

    più un futuro, entrambi avevano perso. Rimaneva solo il mercato interno, ma non era un granché. Le

    macchine furono smontate e imballate, spedite in Giappone e in Cina, dove la produzione continua ancora.

    Oggi, di quel tempo, rimangono solo i ricordi e poche foto sbiadite, che le nonne conservano riposte in

    scatole di cartone, legate con un nastrino colorato, nei loro cassettoni che sanno di spigo e di vita vissuta.

    Prof. Carlo Chiari

    I biscotti con le mandorle! Di A. Sara e di nonna Emilia.

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    Conoscenza dell’ambiente socio economico di Peretola, nel passato.

    Il territorio della zona dell’attuale Quartiere 5 ha subito nel xx secolo una

    profonda trasformazione: da territorio prevalentemente agricolo con al centro i

    borghi di Peretola-Petriolo e Brozzi è oggi diventato parte integrante del

    tessuto urbano di Firenze. All’inizio del secolo le sole vie principali erano quelle

    dell’antica via Pistoiese (oggi via di Brozzi e via di Peretola) e della via Pratese, la

    quale aveva già più o meno l’attuale tracciato, che si diversificavano in molte

    altre vie una volta entrati negli antichi borghi. Questi erano circondati da campi,

    molti e abbastanza

    piccoli, in cui si

    praticava la

    mezzadria, dove un

    grande proprietario terriero condivideva

    la stessa casa con gli affittuari che

    coltivavano i campi. Questi ultimi erano

    ben coltivati di forma rettangolare, in

    direzione nord-sud ed erano attraversati

    da fossi per facilitare il deflusso delle

    acque. I campi erano grandi circa 1000 mq; la coltura principale era la semina stagionale, tra queste il

    grano da paglia.

    Tutti i campi erano circondati da viti, mentre negli orti adiacenti alle case erano presenti alberi da

    frutto. Infatti da questa agricoltura si ricavavano granaglie, legumi, patate, rape, pere, fichi, uva e

    paglia.

    Al centro di questa zona agricola si trovano il borgo di Brozzi e la borgata di Peretola-Petriolo.

    Figura 1Il Palazzi!

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    Via Vespucci, prima che il fosso fosse coperto, disegno di Tommaso D.

    L’elemento più caratteristico della nostra zona sono le corti.

    LE CORTI

    Nella zona di Peretola ci sono moltissime corti e ognuna di esse ha un’origine.

    Le denominazioni delle corti non sono registrate: i nomi, tramandati oralmente, rappresentano un uso

    comune che risale all'antichità più remota. Quelle che ci riguardano sono per lo più di derivazione

    ottocentesca. I toponimi di queste possono avere varie origini: quando non ricordano caratteristiche

    ambientali, derivano dalla professione o da un soprannome di un antico abitante del luogo.

    CORTE DEL BARELLAIO (Via di Peretola)

    In questa corte abitava un artigiano che riparava occhiali,

    chiamati "barelle" dai vecchi peretolini.

    LA CORTE DI BUCOSECCO (Via della Cupola)

    Il soprannome “Bucosecco” vuole indicare una persona magra alla quale si da il termine buco. È quasi

    certo quindi che il signor Bucosecco abitò in questa corte.

    CORTE DEI 500 (Via Domenico Michelacci, interno da 22 a 32)

    Così detta per le sue grandi dimensioni e per alcune somiglianze al salone del 500 in Palazzo Vecchio.

    Questa corte è l'unica del quartiere costruita come tale, le case che vi si affacciano sono dei secoli

    XIV- XV, non abbiamo buone ragioni per considerare l'insediamento molto più antico.

    CORTE DETTA LA CORTACCIA (Via di Peretola) Questa corte è derivata dalla degradazione e dal frazionamento, in più abitazioni di una notevole "casa

    da signore" XV.

    Infatti la corte altro non ha che il cortile della casa.

    Peretola, Brozzi e Campi: Iddio li fece e poi gettò gli stampi.

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    La grande apertura di accesso originariamente era più piccola per poter rendere più intimo e riservato

    l’ambiente. La denominazione di cortaccia deriva dalla presenza di qualche disonesto o rissoso.

    LA CORTE DETTA GUSCIANA

    Il nome di questa corte potrebbe derivare dalla sua forma (a guscio), o dal fatto che in passato vi

    abitarono famiglie il cui lavoro era il ladro. In quel caso si avrebbe una malfamata Gusciana in San

    Frediano, distrutta nel periodo fascista.

    TOPONIMI DELLE ZONE

    Come tutte le altre zone anche i nomi di Pozzino, Motrone, la nave, Peretola, Pesciolino, Petrolio, Piagge

    e Ponte grande, che sono quelli di tutte le zone principali in cui è divisa Peretola, hanno un loro

    significato:

    - Il nome di Peretola deriva dall’abbondanza di peri in questa zona; sembra confermato da alcune

    famiglie originarie del luogo;

    - La zona Pesciolino è chiamata così perché indica la zona antistante all’Arno.

    - Il nome Petriolo risale al periodo Longobardo, ed è possibile che derivi da “piccolo pretorio”, dal

    diminutivo di Pietro o da una pietra miliare

    - Il Motrone è un borgo in appendice alla Via di Peretola.

    - La nave rappresenta i traghetti sull’Arno; è situata al termine di San Biagio a Petriolo.

    - Pozzino vuol dire la presenza di un piccolo pozzo di Via in Peretola.

    Le sciabbie è un borgo originario di Petriolo. Il nome “sciabbia” si pensava venisse dato ai luoghi di

    natura.

    Dal libro ‘900 prodotto dalla scuola Manzoni nel 2004, autori:

    1) Lannino Fabio, Lannino Stefano, Costa Elisa, Gambacciani Sara: “Come ci si vestiva” e “Dal teatro al

    cinema”

    2) Francioli Sara, Fabrizi Mattia, Abate Elena, Mecocci Beatrice.: “Come si mangiava, come ci si comportava

    in famiglia, a scuola e nella società”.

    3) Forti Clelia, Volpe Elena. “Le principali attività lavorative, dall’artigianato all’industria”.

    4) Cellai Dario, Bellesi Loris, Miniati Lorenzo, Bartolomeo Simona: “Urbanistica e trasporti”.

    5) Nuti Niccolò, Romiti Francesco, Siriu Sebastian. “La guerra al fronte”. E “Le guerre nei ricordi degli

    anziani”.

    6) Siriu Sebastian e Nuti Niccolò. “L’economia moderna”.

    7) Shao Lei, Zhang Giulio, Hagos Vittorio, Borselli Matteo: “I giochi antichi ancora praticati: calcio in

    costume, scoppio del carro, rificolona. Giochi dell’900: il calcio (storia della fiorentina) e altri sports.

    Giochi in famiglia: tombola, ballo, mercante in fiera.

    Da una proposta degli insegnanti Di Quarto e Chiari

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    Il Cappello di paglia di Firenze!

    A Peretola, Brozzi e Campi, fin verso l’empolese, in ogni località, specie

    nelle corti, si vedevano gruppi di donne che facevano la treccia: le loro

    mani lavoravano veloci per intrecciare i fili. Lo sguardo era fisso sul lavoro,

    chi faceva la treccia più fine riusciva a spuntare un prezzo un po’

    maggiore e non tutte ci riuscivano...

    La paga era scarsa e le necessità familiari molte: era necessario produrre

    il manufatto tutti i giorni per diverse ore per avere un reddito

    sufficiente. Ci si organizzava portando le sedie impagliate da casa e

    mettendole in cerchio, poi le amiche si mettevano a lavorare e a

    chiacchierare; almeno si stava in compagnia!

    Ogni tanto passava un incaricato con il barroccio a distribuire la paglia e

    più tardi a ritirare i rotoli di treccia. Si segnava chi l’aveva fatta e la

    qualità; in seguito le trecciaiole sarebbero state pagate...

    I barrocci e i carri andavano avanti e indietro,

    portavano paglia, treccia, cappelli e molte altre

    merci, le strade erano sterrate, ma ben tenute,

    gli stradini badavano che tutto fosse a posto:

    chiudevano le buche, tagliavano l’erba e le

    frasche dai bordi.

    Spesso si doveva attraversare l’Arno, sia quando

    era in secca, come d’inverno con l’acqua più alta.

    Il guado era vicino al ponte all’Indiano, ma questo,

    ancora, non c’era. C’era però un traghetto, una

    chiatta di legno che lentamente attraversava il

    fiume, vi salivano persone, carri e animali e

    venivano trasbordati sull’altra riva. Il

    proprietario di questa nave si chiamava Carlino.

    Foto di Carlino, per gentile concessione del Comitato del Borgo

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    Aveva tirato un filo di acciaio da una riva all’altra dell’Arno e con una

    pertica si aiutava nello spostare il traghetto; la infilava nell’acqua e la

    spingeva sul fondo del fiume, la

    chiatta si muoveva lentamente

    verso l’altra riva. Il lavoro era

    sempre lo stesso. Le persone

    no, passavano da una parte

    all’altra per varie necessità,

    eppure erano tutte conosciute,

    come i contadini che andavano

    al mercato, i carrettieri che

    trasportavano le merci e i

    barrocciai che distribuivano la paglia e la treccia. Anche questi erano

    sempre soli nel loro lavoro e cercavano sempre di discorrere un po’ con

    Carlino. Si ragionava di sport, di Binda, di Guerra, di Bartali, di un certo

    Carnera che in America..., ho sentito dire che..., oppure del tempo, della

    siccità estiva o le piogge autunnali... oppure della semina ... quest’anno per

    la vendemmia sarà bene iniziare in anticipo che...

    Carlino invece preferiva guardare il fiume, le onde che il traghetto

    provocava nell’acqua limacciosa o la riva sabbiosa dove tra poco si sarebbe

    arenato. La gente sarebbe scesa e poi, nuovamente altre persone, carri e

    merci sarebbero saliti ... poche decine di lire... e ancora nel fiume...

    Ho sentito dire della marcia su Roma... diceva un altro... sarà un bene?

    Mah! Era partito in bicicletta anche mio cognato Pietro, di Capraia, con

    due amici... ma li hanno riportati a casa con un barroccio: si erano fermati

    a bere all’osteria e allora...

    Carlino rispondeva con un cenno della testa, con un eh già! o un mah! Aveva

    un carattere taciturno, i fattorini che portavano la paglia lo sapevano

    bene e tra loro dicevano che preferiva parlare con i pesci o con le rane più

    che con gli altri umani!

    Il traghetto di Carlino per gentile concessione del Comitato del Borgo

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    Conoscenza dell’indotto: coltivazione del grano da paglia, progettazione e

    costruzione dei macchinari.

    L’attività delle trecciaiole permetteva un

    notevole indotto, con conseguenti

    benefici economici per tutta la regione.

    Questo fenomeno era presente anche

    nell’empolese, dove era prodotto da

    molto tempo un contenitore “usa e

    getta”: il fiasco.

    Nella zona di Peretola si coltivava il

    grano da paglia, una varietà oggi

    probabilmente estinta, chiamato grano

    marzolino, che aveva la caratteristica di

    avere gli steli molto lunghi. Questo cereale

    era seminato tardi, dopo il grano da

    panificazione, e raccolto poco prima che la

    spiga fosse completamente matura. La

    granella, ancora a maturazione cerosa, era

    destinata principalmente, all’alimentazione

    degli animali.

    Le operazioni colturali iniziavano in autunno,

    con la preparazione del terreno alla semina. I

    contadini aggiogavano i buoi e iniziavano

    l’aratura. Era un lavoro duro, per l’uomo e per

    gli animali; i terreni argillosi, vocati alla

    coltivazione del grano, richiedevano un

    grosso impegno per affondare l’aratro e

    rivoltare le zolle.

    Il Cav. Biagiotti

    2Il grano Marzolino

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    La sera i buoi, affaticati, tornavano volentieri nella stalla, erano stanchi,

    cosi come gli

    agricoltori.

    Talvolta si doveva

    arare due volte lo

    stesso campo,

    incrociandone i

    solchi: l’aratro era

    di legno, aveva solo

    la lama anteriore in

    ferro, non si poteva

    scendere a più di 15

    cm di profondità

    perché si poteva rompere. Per questo motivo i campi avevano la forma

    squadrata; una forma che ancora oggi conservano. Ancora in autunno si

    faceva l’erpicatura per

    rompere le zolle, e poi la

    semina, a spaglio, fatta a

    mano, magari da un

    agricoltore anziano che

    avesse molta esperienza.

    Subito dopo il seme

    andava ricoperto; i buoi

    trascinavano la trave con

    le catene sopra il

    terreno per nascondere

    la granella ai passerotti: le piogge autunnali avrebbero permesso la

    germinazione.

    L'aratura, disegno di Tommaso D.

    La semina a spaglio, disegno di Tommaso D.

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    A Maggio ci si preparava alla raccolta

    e a turno, i contadini giravano per i

    poderi aiutandosi a vicenda in questo

    duro lavoro. Anche le donne e i

    ragazzi dovevano collaborare, la

    maestra di

    casa e le

    bambine preparavano i biscotti con le mandorle

    e il vinello per chi lavorava piegato sotto il sole.

    La raccolta era da eseguirsi con attenzione: le

    mani prendevano gli steli alla base, senza

    piegarli troppo e poi si strappavano,

    sradicandoli dal terreno, le radici venivano

    ripulite dalla terra e si affastellavano. Questa

    tecnica era necessaria: la paglia doveva

    appassire lentamente! Ci metteva una

    settimana: di giorno al sole e la notte al freddo

    e alla guazza, in questo modo la fibra si

    ammorbidiva e rimaneva flessibile.

    Chi fa il male guadagna un carro di sale, chi fa il bene un carro di paglia!

    La ricetta dei biscotti

    con le mandorle

    500 grammi di farina tipo “00”

    100 grammi di farina di mandorle

    250 grammi di zucchero

    150 grammi di burro

    4 uova

    100 grammi di mandorle

    Un pò di buccia d’arancia

    grattugiata

    Mezzo bicchiere di latte

    1 bustina di lievito

    1 bustina di vanillina

    Un pizzico di sale

    Sbattiamo le uova e aggiungiamo lo

    zucchero, si lavora un pochino e poi

    si aggiunge il burro.

    Poi, piano piano, si aggiunge la

    farina, il latte, il lievito, la vanillina,

    la farina alle mandorle, la buccia di

    arancia grattugiata e un pizzico di

    sale.

    Appena tutto l’impasto è uniforme

    si spiana il tutto e poi, con la forma

    che vogliamo, creiamo dei biscotti.

    Per ogni biscotto si mette una o

    due mandorle sopra e si mettono in

    forno a 180° gradi per 20 minuti

    circa (se necessario più o meno

    tempo, secondo il tipo di forno)

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    Un’intervista a nonna Graziana di Asia C

    Un po’ di anni fale donne si vestivano diversamente rispetto ad adesso, indossavano solo gonne, e

    non esistevano le calze. Andavano con le ginocchia scoperte anche d’inverno, usando solo dei

    calzini più lunghi. Usavano anche alcuni accessori, il più importante era il cappello di paglia. Questi

    venivano usati da tutti, a partire dai contadini fino ad arrivare alle persone più nobili. La paglia

    veniva seminata come il grano; ne veniva questi frustini scuri, che infine imbiancavano mettendoli

    al sole, dopo si raccoglievano in mazzetti e si intrecciavano a mano.

    La mia bisnonna faceva i cappelli di paglia: prima prendeva le trecce paglia che potevano essere a

    tre, nove e addirittura a tredici fili, poi con l’ago le cuciva insieme e via via faceva il cappello che

    poteva essere a tesa larga o più piccola.

    Oltre a cappelli con la paglia si facevano anche altri oggetti come borse, vestiti e orecchini. Questi

    si facevano con lo stesso metodo dei cappelli, cioè cucendo le trecce tra loro. I cappelli di paglia

    erano fatti soprattutto nella zona fiorentina, un altro posto prestigioso era Signa. Poi però negli

    anni successivi nacquero le fabbriche, quindi a lungo andare si perse quest’uso di fare i cappelli a

    mano.

    Intervista sulla paglia alla nonna di Sara di Sara U.

    Mia nonna andava a scuola con un grembiule bianco con ricamato a sinistra il suo nome e un

    fiocchetto al collo; aveva una cartella di cartone molto resistente e un paniere di vimini con dentro

    la merenda: pane e mortadella.

    Andava a scuola a piedi con la sua mamma attraversando il ponte del Bisenzio ed era molto brava

    particolarmente ad italiano e a ripetere le poesie. Il pomeriggio, dopo i compiti, faceva le trecce di

    paglia che poi venivano cucite, insieme, a macchina, formando i cappelli di paglia. Fatto il cappello

    lo rifiniva con delle pagliette, dei nastri o dei fiocchetti per le donne. Per gli uomini, sulla tesa

    veniva messo un nastro groghè: un nastro fatto di stoffa colorata adeguata al cappello. Alla fine si

    toglievano tutti i fili in più che c’erano e così si rifiniva. La sbiancatura della paglia avveniva così: si

    metteva in una cassa chiusa con i vapori di zolfo e dopo qualche tempo era pronta.

    Alla fine il cappello era messo in delle scatole e portato, da un corriere, alle ditte fiorentine e

    italiane ed anche all’estero.

    Venivano venduti in dei negozi in centro a Firenze. I cappelli di paglia venivano usati abitualmente

    dai fiorentini. I turisti, invece, li compravano e li portavano in casa, ne andavano fieri ed era una

    dimostrazione che erano stati a Firenze.

  • 12

    Conoscenza dell’aspetto socio economico del comprensorio della

    paglia.

    Dal campo si portavano i fastelli di paglia

    verso le tante fabbriche che cominciavano

    subito la lavorazione.

    Questa si svolgeva tutta a mano, prima che

    Domenico Michelacci inventasse una serie di

    macchine.

    La prima era la

    spigatrice: ci

    s’infilavano dentro

    i fastelli di grano,

    gli steli

    s’inserivano nei

    fori del crivello, poi

    si tagliavano le spighe.

    Queste non si buttavano,

    ma erano destinate

    all’alimentazione degli

    animali.

    In seguito gli steli

    andavano inseriti nella

    macchina uguagliatrice

    che selezionava i

    fastellini, in relazione al

    diametro della paglia.

    Il Sig. Marco Conti

  • 13

    I fasci cosi formati

    subivano la pelatura e

    cioè si toglievano,

    sfilandoli, gli steli più alti,

    creando i fastellini.

    Da questi se ne prendeva

    via, via, una menatina e si

    componevano i mazzolini.

    Quando la quantità dei

    mazzolini era sufficiente,

    era venduta ai fattorini e questi, con i loro barrocci, la portavano alle

    trecciaiole, sparse in tutto il comprensorio della paglia.

    Queste cominciavano a fare la treccia che

    era sempre formata da un numero di fili

    dispari e la sua forma poteva essere semplice

    oppure complessa.

    La treccia era avvolta a spirale e poi cucita, si

    ottenevano così i famosi cappelli, e una serie

    di oggetti, destinati al mercato interno e

    all’esportazione. Alcune alunne della nostra

    scuola hanno voluto provare a fare la treccia in classe...

    Le trecciaiole erano in competizione tra

    loro: chi riusciva a fare una treccia

    sottile poteva spuntare un prezzo un

    pochino maggiore. Queste, però,

    seppero essere, tra loro, molto solidali,

    come ad esempio, in occasione di una

    Alcuni esempi di treccia

    Un gruppo di trecciaiole, dall'archivio del Comitato del Borgo

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    serie di scioperi per

    protestare contro

    l’abbassamento del costo

    della treccia.

    Erano guidate da Barsene

    Conti, una donna di grande

    carattere, detta la

    Baldissera, a similitudine di

    un generale dell’epoca e in

    ossequio alla tradizione

    toscana, di mettere un

    soprannome a tutti.

    I giornali locali furono

    costretti a fare vari

    articoli, nel tempo, e

    cercarono di liquidare

    questi scioperi come

    un’agitazione di poche

    donne, un aspetto quasi

    folkloristico dei nostri

    territori... niente

    d’importante insomma... All’estero, invece, ne parlarono molti giornali, in

    diversi paesi, anche lontani, come l’India e la Cina, con toni tra il serio e il

    meravigliato. Furono fatti dei blocchi stradali, incendiati dei magazzini di

    cappelli e alcuni barrocci dei fattorini, la forza pubblica fu costretta a

    intervenire più volte, con esiti alterni. Le lavoratrici arrivarono ad

    accettare che il calo della produzione di treccia obbligasse qualcuna di

    loro a cambiare lavoro, ma non che il reddito delle trecciaiole si riducesse

    a un salario non più dignitoso.

    Trecciaiole, per gentile concessione del Comitato del Borgo

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    I fattorini dovettero rinunciare a parte del loro guadagno e cominciarono

    a formarsi delle Cooperative, queste potevano ottenere così un prezzo

    maggiore.

    I tempi stavano cambiando, altri lavoratori presero il coraggio per

    manifestare il loro disagio, anche le sigaraie e le fiascaie fecero sentire

    la loro voce, in varie parti della Toscana.

    La Baldissera aveva dimostrato che i lavoratori potevano ottenere migliori

    condizioni, ma per le sue idee fu imprigionata e scontò qualche anno di

    galera.

    La lavorazione non finiva con le trecciaiole; i cappelli erano ritirati dai

    fattorini e distribuiti tra diverse fabbriche del territorio.

    Questi erano già cuciti, ma andavano

    formati e poi guarniti. Con una caldaia

    si provvedeva a produrre il vapore: un

    operaio apriva uno stampo e vi inseriva

    un cappello. Dopo averlo chiuso con la

    metà superiore, v’immetteva il vapore,

    dopo pochi secondi il procedimento

    era finito.

    Il cappello prendeva così la forma

    definitiva e pur essendo elastico,

    l’avrebbe mantenuta nel tempo.

    Successivamente fu inventata una

    pressa che, grazie ad una membrana

    di gomma, non richiedeva la presenza

    dello stampo superiore, riducendo così i costi della lavorazione.

    Uno stampo, dal Museo Michelacci

  • 16

    Dopo la formatura a macchina, i

    fattorini lo portavano ad altre

    fabbriche, dove sarebbe stato

    guarnito.

    Se era da uomo, mettevano

    internamente la fodera ed

    esternamente un nastro, se era da

    donna, oltre alla fodera interna si

    metteva un nastro a colori vivaci

    all’esterno e anche guarnito con fiori,

    per le ragazze, frutta, per le signore.

    Le piume erano invece per le persone altolocate o le attrici, che non

    dovevano mai passare inosservate.

    Una pressa a vapore per cappelli, per gentile concessione del Museo Michelacci.

  • 17

    Anche noi, al museo Michelacci, abbiamo fatto dei

    laboratori e con l’aiuto della Dott.ssa Emirena Tozzi.

    siamo riusciti a guarnire i nostri cappelli con ago, filo e

    colla; poi tutti a provarseli davanti allo specchio!

    Molti hanno cominciato a scambiarseli e a fare commenti,

    a tutti veniva da ridere e poi i selfie, le foto, il film.

    I laboratori del museo Michelacci sono stati molto

    divertenti:

  • 18

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  • 22

    Il cappello era pronto per

    la vendita sul mercato

    interno o destinato ai

    mercati esteri e quindi era

    spedito a Livorno e lì

    imbarcato per andare in

    altre nazioni.

    Il Granduca aveva

    promosso la costruzione

    della ferrovia da Firenze a Livorno per agevolare le esportazioni.

    Questa linea era sicuramente molto utile per l’economia toscana, ma non

    tutti avevano la stessa lungimiranza di Leopoldo.

    Alcuni latifondisti si erano trovati i campi tagliati in due dalla linea

    ferroviaria e pensarono di creare una serie difficoltà all’amministrazione

    centrale. Riuscirono a convincere il contado del probabilissimo incendio

    dei loro campi di grano, da parte del carbone infuocato che le locomotive

    avrebbero sicuramente perso per strada. Vi sarebbe stata la conseguente

    mancanza di raccolti e così nessun guadagno ... e lo spettro della fame e

    poi la miseria!...e poi... e poi...

    Il Granduca cercò di parlare con la folla, poi mandò degli incaricati, ma le

    manifestazioni aumentavano...

    La ferrovia era utile per l’industria dei cappelli, del fiasco e del vino di

    tutta la vallata: sarebbero stati creati molti posti di lavoro... la gente

    avrebbe potuto spostarsi con poca spesa e poco disagio... ma il

    malcontento non si placava... I proprietari terrieri agitavano i lavoratori

    della zona, particolarmente tra Empoli e S. Miniato, a questi si aggiunsero

    anche i barrocciai della zona che non

    avrebbero più trasportato le merci. Con il tempo e con la paglia matura la

    sorba e la canaglia!

  • 23

    La ferrovia fu fatta ugualmente, fu fornita di stazioni per tutto il

    tragitto, ma non a Fucecchio, dove le proteste erano state più accese; i

    fucecchiesi dovevano arrangiarsi: per andare alla stazione per prendere il

    treno a Empoli o S. Miniato, si doveva andare a piedi, in carrozza o con il

    ciuco!

    La ferrovia finiva a Livorno, dove i cappelli, le borse e altri accessori in

    paglia, venivano imbarcati sulle navi che li avrebbero portati in Francia, in

    Inghilterra ed anche più lontano...

    La destinazione finale dei cappelli erano i negozi di abbigliamento di lusso;

    dove erano molto

    richiesti: spesso la

    domanda superava

    l’offerta.

    La loro fabbricazione

    passava attraverso

    molte fasi e da più

    operatori, il loro costo

    finale non poteva

    essere modesto... ma

    chi li portava aveva

    una nota d’eleganza e sapeva di non passare inosservato.

    La moda italiana era già da allora molto apprezzata e si stava già

    diffondendo nel mondo!

    Tutta l’erba finisce in paglia!

  • 24

    Conclusione

    Hanno partecipato a questa attività gli insegnanti della scuola media Manzoni di

    Firenze: Abate, A. Carone, F. Chesi, C. Chiari, C. Donatini, V. Nardi, S. Nobili –

    Tartaglia,

    Hanno partecipato le classi 2°A, 2°C, 2°E, con alcuni alunni della classe 1°B, che hanno

    prodotto alcuni disegni, un ricamo punto in croce e una miniatura con tre trecciaiole.

    La V classe elementare della scuola Balducci con le maestre L. Tedeschi, R. Cisotto e P.

    Martinisi, hanno organizzato gli assaggi sulle “merende delle trecciaiole”, mentre

    alcuni alunni della scuola Media, hanno imparato a fare i cialdoni, con panna e fragole:

    le merende dei ragazzi dei palazzi fiorentini.

    Gli alunni hanno svolto il progetto acquisendo la capacità di lavorare con ordine e

    responsabilità, si sono divisi i ruoli sia nell’organizzazione come nelle varie attività.

    Tra queste vi sono state la conoscenza di semplici tecniche di ripresa e l’uso della

    macchina fotografica e della telecamera, la gestione al computer dei file prodotti e il

    successivo montaggio su software di editing. I ruoli sono stati: cameraman, tecnici per

    le voci, regia, montaggio del film e doppiaggio.

    Tutti gli alunni hanno cercato di acquisire del materiale, per realizzare questo

    fascicolo, con interviste ai nonni e agli esperti del territorio, il Cav. Biagiotti ed il Sig.

    Conti, che hanno svolto le loro lezioni presso la scuola.

    I docenti hanno svolto alcune ore allo svolgimento di quest’attività, con lezioni frontali

    sulla matematica della treccia, sull’alimentazione, sull’aspetto storico – sociale, sulla

    stesura di un articolo, sull’uso di un word processor e sulla successiva impaginatura e

    sull’uso della telecamera.

    Il museo Michelacci con il Prof. Lunardi e la Dott. Tozzi, hanno svolto una lezione per

    la conoscenza delle tradizioni lavorative della paglia nel comprensorio e poi attivato un

    laboratorio sulla guarnitura dei cappelli di paglia che è stato molto seguito.

    Sono stati prodotti questo fascicolo e un semplice film.