Filippo Bartolone / Cristianesimo e filosofia in F.B.

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DICEMBRE 2012- MilazzoNostra - PAGINA SAGGI VINCENZO CICERO Filippo Bartolone M artire del pensiero puro è Filippo Bartolone. In maniera viscerale, e insieme con la luccicante tra- sparenza del diamante, un testimone privilegiato delle avventure del pensare filosofico del XX secolo. Un testimone martoriato, nell’animo come nel corpo. Perciò, per chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo, specialmente per i suoi tanti allievi – lui che non voleva esser chiamato “mae- stro” –, incarna il raro esempio dell’autentica purezza spe- culativa, cioè del filosofare concretissimo che si consolida nel dolore e spiega le ali nella convalescenza. Che poi una testimonianza rara come questa abbia trovato nella Sicilia tirrenica orientale tanto il suo liquido amnio- tico, quanto il solare alimento dei suoi anni di formazione, può certo di primo acchito costituire, per noi messinesi, mo- tivo di orgoglio. Ma lo considero piuttosto un monito, e pe- rentorio, contro ogni infiacchimento indotto dalla pseudocultura dei simposi e delle sagre e dall’edonismo kitsch, dalla religiosità deferente e codina e dall’indulgente conformismo (in)civile, che imperversano nelle nostre zone come in diverse altre del Meridione d’Italia (e del mondo). Nato a Monforte S. Giorgio nel 1919, Filippo Bartolone compie gli studi liceali a Milazzo e gli universitari a Mes- sina, nella facoltà di giurisprudenza, dove si laurea nel 1944 con una tesi su Morale e diritto, avendo per relatore il noto giurista Salvatore Pugliatti. Sono anni di studio tenace, scrupoloso, onnivoro. Ma non soltanto. Le scelte esistenziali del giovanissimo Bartolone si lasciano intanto illuminare dalla convinzione, raffermata e affinata nei decenni a venire, che non c’è pensare auten- tico se non nella emergenza dalle consapute tragedie e pas- sioni, gioie e tribolazioni, del vivere comunitario. Così a vent’anni, insieme ad altri studenti universi- tari, fonda a Barcellona un gruppo antifascista; nel 1943, già espulso dal G.U.F., viene arre- stato per attività contro il regime, e solo la di- strofia muscolare che lo affligge sin dalla na- scita vale a farlo rila- sciare dopo un breve periodo di detenzione. Nel 1946 il sodalizio con il filosofo catanese Vincenzo La Via, al- lievo di Giovanni Gen- tile, lo strappa all’insegnamento nel liceo classico di Barcellona per consacrarlo definitivamente alla ricerca teo- retica. Infatti da allora in avanti Bartolone potrà dedicarsi alla stesura di densi saggi filosofici (da redattore della rivi- sta «Teoresi», di cui è cofondatore insieme a La Via), alla partecipazione ai tanti convegni filosofici organizzati nel fervore della ripresa culturale del dopoguerra, e soprattutto, una volta ottenuta per l’anno accademico 1946/47 la no- mina a professore incaricato di Storia delle religioni nel- l’ateneo messinese, alla docenza universitaria. In seguito assumerà molti altri insegnamenti,sempre tutti presso la Fa- coltà di lettere e filosofia di Messina (Storia della filosofia medioevale, Filosofia del diritto, Filosofia morale e Filo- sofia teoretica), ma la qualità di quel primo incarico non Il filosofo Filippo Bartolone visse gli anni della giovinezza a Milazzo, che gli rimase sempre cara come sua città d’origine, anche per le amicizie che aveva conservato, e dove ritornò spesso per convegni filo- sofici e incontri culturali. L’anno prossimo ricorre il 25° della sua morte: lo spazio che la nostra rivista doverosamente gli dedica vuole essere una sollecitazione perché la Città ne recuperi e onori la memoria. Un mucchietto d’ossa rattrappite, e un affusolato involucro di ceppi imposto ai moti e gesti più minuti,-a mala pena l’ovale del capo e le braccia spuntavano dalla cattedra immensa, levasse il mento per un broncio asseverativo o lo ten- desse per allertare le nostre menti circa un grumo concettuale particolarmente ricco di pathos filosofico. E seguirne il discorrere era poco agevole non tanto per la tetragona levità dei pensieri, per le parole come macigni scagliati al cielo e rimasti a mezz’aria -pietre vive, fertili, che nutrono anche una volta ri- cadute al suolo-, quanto per il biascichio e gli spasmi cui era costretto dal semiparalizzati muscoli facciali. Ma una volta entrati in sintonia con quelle modulazioni sofferte e quasi grottesche della voce, con quelle accentazioni che s’ingoiavano d’un colpo fino a tre sillabe consecutive, con quelle impennate in falsetto alternate a bassi reperiti e serrati, allora si era in grado di cogliere ciò che nessun testo di filosofia ha mai potuto, né mai potrà offrire: il verbo speculativo nel suo incarnarsi, nel suo doloroso personalizzarsi e partorirsi, e al tempo stesso nel suo disincarnarsi trasmettendosi agli astanti sotto forma di poderosa sollecitazione etica.

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Breve biografia, e parte della Relazione tenuta nel 2008 all’Ignatianum di Messina

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DICEMBRE 2012- MilazzoNostra - PAGINA

SAGGI

VINCENZO CICERO

Filippo Bartolone

Martire del pensiero puro è Filippo Bartolone. Inmaniera viscerale, e insieme con la luccicante tra-sparenza del diamante, un testimone privilegiato

delle avventure del pensare filosofico del XX secolo. Untestimone martoriato, nell’animo come nel corpo. Perciò,per chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo, specialmente per isuoi tanti allievi – lui che non voleva esser chiamato “mae-stro” –, incarna il raro esempio dell’autentica purezza spe-culativa, cioè del filosofare concretissimo che si consolidanel dolore e spiega le ali nella convalescenza.Che poi una testimonianza rara come questa abbia trovatonella Sicilia tirrenica orientale tanto il suo liquido amnio-tico, quanto il solare alimento dei suoi anni di formazione,può certo di primo acchito costituire, per noi messinesi, mo-tivo di orgoglio. Ma lo considero piuttosto un monito, e pe-rentorio, contro ogni infiacchimento indotto dallapseudocultura dei simposi e delle sagre e dall’edonismokitsch, dalla religiosità deferente e codina e dall’indulgenteconformismo (in)civile, che imperversano nelle nostre zonecome in diverse altre del Meridione d’Italia (e del mondo).Nato a Monforte S. Giorgio nel 1919, Filippo Bartolonecompie gli studi liceali a Milazzo e gli universitari a Mes-sina, nella facoltà di giurisprudenza, dove si laurea nel 1944con una tesi su Morale e diritto, avendo per relatore il notogiurista Salvatore Pugliatti. Sono anni di studio tenace, scrupoloso, onnivoro. Ma nonsoltanto. Le scelte esistenziali del giovanissimo Bartolonesi lasciano intanto illuminare dalla convinzione, raffermatae affinata nei decenni a venire, che non c’è pensare auten-tico se non nella emergenza dalle consapute tragedie e pas-sioni, gioie e tribolazioni, del vivere comunitario. Così a

vent’anni, insieme adaltri studenti universi-tari, fonda a Barcellonaun gruppo antifascista;nel 1943, già espulsodal G.U.F., viene arre-stato per attività controil regime, e solo la di-strofia muscolare che loaffligge sin dalla na-scita vale a farlo rila-sciare dopo un breveperiodo di detenzione.Nel 1946 il sodaliziocon il filosofo cataneseVincenzo La Via, al-lievo di Giovanni Gen-tile, lo strappa all’insegnamento nel liceo classico diBarcellona per consacrarlo definitivamente alla ricerca teo-retica. Infatti da allora in avanti Bartolone potrà dedicarsialla stesura di densi saggi filosofici (da redattore della rivi-sta «Teoresi», di cui è cofondatore insieme a La Via), allapartecipazione ai tanti convegni filosofici organizzati nelfervore della ripresa culturale del dopoguerra, e soprattutto,una volta ottenuta per l’anno accademico 1946/47 la no-mina a professore incaricato di Storia delle religioni nel-l’ateneo messinese, alla docenza universitaria. In seguitoassumerà molti altri insegnamenti,sempre tutti presso la Fa-coltà di lettere e filosofia di Messina (Storia della filosofiamedioevale, Filosofia del diritto, Filosofia morale e Filo-sofia teoretica), ma la qualità di quel primo incarico non

Il filosofo Filippo Bartolone visse gli anni della giovinezza a Milazzo, che gli rimase sempre cara comesua città d’origine, anche per le amicizie che aveva conservato, e dove ritornò spesso per convegni filo-sofici e incontri culturali. L’anno prossimo ricorre il 25° della sua morte: lo spazio che la nostra rivistadoverosamente gli dedica vuole essere una sollecitazione perché la Città ne recuperi e onori la memoria.

Un mucchietto d’ossa rattrappite, e un affusolato involucro di ceppi impostoai moti e gesti più minuti,-a mala pena l’ovale del capo e le braccia spuntavanodalla cattedra immensa, levasse il mento per un broncio asseverativo o lo ten-desse per allertare le nostre menti circa un grumo concettuale particolarmentericco di pathos filosofico. E seguirne il discorrere era poco agevole non tantoper la tetragona levità dei pensieri, per le parole come macigni scagliati alcielo e rimasti a mezz’aria -pietre vive, fertili, che nutrono anche una volta ri-cadute al suolo-, quanto per il biascichio e gli spasmi cui era costretto dalsemiparalizzati muscoli facciali. Ma una volta entrati in sintonia con quellemodulazioni sofferte e quasi grottesche della voce, con quelle accentazioni ches’ingoiavano d’un colpo fino a tre sillabe consecutive, con quelle impennate infalsetto alternate a bassi reperiti e serrati, allora si era in grado di cogliereciò che nessun testo di filosofia ha mai potuto, né mai potrà offrire: il verbospeculativo nel suo incarnarsi, nel suo doloroso personalizzarsi e partorirsi, eal tempo stesso nel suo disincarnarsi trasmettendosi agli astanti sotto forma dipoderosa sollecitazione etica.

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V. CICERO - FILIPPO BARTOLONE

NOVEMBRE 2012 - MilazzoNostra - PAGINA

conferma solo la smisurata gamma di competenze del gio-vane pensatore, ne rivela pure l’anelito spirituale che le at-traversa tutte quante unificandole: la fede nel Cristo.Un cristianesimo senz’altro travagliato, quello di FilippoBartolone, messo alla prova da un dolore invalicabile, indi-cibile (per la morte della primogenita Dora a soli nove anni),ma meditato in tutte le sue pieghe e piaghe, e con adesionetotale alla “figura scandalosa” dell’Ecce Homo. Della fisionomia cristiana del pensiero bartoloniano ren-dono conto tutti i suoi scritti, ma in special modo due tra gliultimi apparsi in volume: Valenze esistenziali del cristiane-simo (1964) e Liberazione e responsabilità (1978). È un cri-mine contro il pensare in quanto tale, sia filosofico siateologico, che questi testi non siano più disponibili neppureal pubblico colto, né tantomeno si sia riusciti a ripubblicarlicon criteri redazionali aggiornati, più degni del filosofomessinese. Il quale infatti, se per l’ineluttabile progressionedella distrofia muscolare ha via via diradato – fino, sulla so-glia degli anni ’80, a cessare del tutto – la messa per iscrittodelle sue complesse e insistite meditazioni, inoltre, per unaproverbiale trascuratezza di certi aspetti meramente formalidell’esistere, ha sempre lasciato che la veste tecnico-edito-riale dei suoi testi fosse modesta, se non scadente. Unica eccezione, nella ormai cronica irreperibilità degliscritti di Filippo Bartolone, è costituita da quello che io con-sidero il suo capolavoro speculativo, uscito nel 1959: L’ori-

gine dell’intellettualismo dalla crisi della libertà. Nel 1999ne viene infatti pubblicata una seconda edizione, in una col-lana prestigiosa di “Vita e Pensiero” diretta da GiovanniReale, il quale ha voluto ribattezzare l’opera in omaggioall’eroe filosofico che ne viene criticamente vagliato, cioèSocrate.La scarsa cura per le modalità di attuazione e promozionedella propria «produzione scientifica» sarà comunque pun-tualmente compensata da corsi spregiudicati e incantevoli,tosti e fascinosi, teoreticamente vertiginosi, come attestano(ancora per poco, ché s’approssima il tempo della loro totalesmagnetizzazione) le centinaia di nastri su cui il filosofo faregistrare le proprie lezioni. Ma i successi didattici e i rico-noscimenti nazionali e internazionali serviranno poco –anzi, nuoceranno – alla sua carriera accademica, la quale,iniziata prestissimo, giunge a coronamento solo molto tardi,nel 1975, quando infine ottiene l’ordinariato in Filosofiamorale; in proposito scriverà efficacemente lo scrittore egiornalista Giuseppe Testa: «Straniero alle cricche accade-miche, diventò professore ordinario solo a 56 anni, e constudiata allergia per le camarille del culturame corrente».Filippo Bartolone muore il 9 agosto 1988, ormai sono quasiventicinque anni. Il lascito è tuttora poco appariscente, mala sua testimonianza –rigorosa e vigorosa, passionale ealiena dai compromessi– è di quelle che scavano la roccia.E scuotono dal torpore delle facili (auto)compiacenze.

Cristianesimo e filosofia in Filippo Bartolone

Ontologia della libertà: così Filippo Bartolone defi-nisce la propria meditazione filosofica. (…) Alladomanda "che cos'è l'essere?" Bartolone risponde:

l'essere è originariamente, sorgivamente, realtà. E aggiunge,in senso sostanziale: l'essere è realtà libera. Tutto ciò che è,dal massimamente inanimato al massimamente spirituale,t u t t o, dalla pietra a Dio, è reale libero. Abbiamo così ilsignificato base dell'espressione "ontologia della libertà"(ricordo che ontologia è parola composta da ón, óntos, "es-sere", e lógos, "discorso"). Ontologia della libertà significaper Bartolone: discorso sull'essere come realtà libera.Capisco che qualcuno possa restare perplesso dall'accosta-mento - anzi, mi viene da dire con brutta parola: accomu-namento - di pietra e Dio. Ma finché siamo su un pianogenerale, prendiamo la circostanza secondo il senso di sem-plici frasi come: "la pietra è", "Dio è"... Ecco, per Bartolonequell"'è" - che non è copula, ma verbo a tutti gli effetti - si-gnifica, appunto, in generale: "è come realtà libera".Dopo di che, faremo la notazione ovvia: c'è un abisso tra lalibertà della pietra e la libertà di Dio. Ma è importantissimogiungere a intuire e determinare la libertà della pietra! Mala pietra è libera ... di chi? Di fare che? Sarebbe una do-manda assai pertinente. Infatti la pietra non è libera-di fareniente. La pietra è solo ed esclusivamente, ma significati-vamente, libertà dal niente.Tocchiamo in questo modo la nota distinzione tradizionaletra libertà-da e libertà-di, che Bartolone rimodula ontologi-

camente alla sua maniera:1) La libertà-da, che egli chiama anche libertà ablativa, ènegativa, perché tutti gli enti che ne fruiscono (gli enti finiti,dalla pietra all'uomo) non la danno a se stessi, ma "se la ri-trovano già data": libertà-da è in generale il portato della li-berazione dal ni-ente all'ente, ma secondo una economia incui l'iniziativa della liberazione non risiede nello stesso entelibero-da. Noi, gli alberi, le acque, le telecamere digitali:tutto ciò non delibera, non può deliberare di venire all'es-sere, di passare dalla ni-entità all'entità. Questa de¬libera-zione spetta sempre ad altro.

Filippo Bartolone con Augusto Guzzo durante uno dei Con-gressi di Filosofia organizzati a Milazzo negli Anni Sessantada Peppino Pellegrino (nella foto, al centro)

Per dare almeno un’idea della problematica oggetto della ri-flessione di Filippo Bartolone e dell’orientamento del suopensiero, pubblichiamo una parte della relazione tenuta dalprof. Vincenzo Cicero, nel 2008, al Movimento Ecclesialed’Impegno Culturale presso l’Istituto Ignatianum di Messina,

L’ontologia della libertà

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V. CICERO - FILIPPO BARTOLONE

Anche l'uomo, dunque, è libertà-da, libertà ablativa, libertà senzadeliberazione: lo è innanzitutto,in quanto anch'egli libero -dal-ni-ente; e inoltre può esserlo e lo èin vari ordini e gradi (libero-dalsuo corpo, libero-dalla linguamaterna, libero-dai limiti spazio-temporali ecc.); per culminare -unico tra gli enti finiti - nella co-scienza di essere libertà-da,quella che manca alla pietra, perintenderci.2) Ma l'uomo è pure quell'ente fi-nito in cui la consapevolezza diessere libero-da prelude alla li-bertà-di (libertà genitiva, diceBartolone), la quale comportastrutturalmente la coscienza: li-bertà-di-essere-o-non-essere, di-fare-o-non-fare.Libertà de-liberante: attenti, que-sta è per Bartolone la condizioneessenziale di ogni moralità. Sel'uomo non fosse fondamentalmente libero-di-essere-e-di-fare, non potrebbe comportarsi in modo positivo, negativoo neutro verso gli altri esseri, o meglio: non avrebbe alcunsenso parlare di suoi comportamenti buoni, cattivi, neutri.Ricapitolando: l'uomo è radicalmente (spesso inconsapevol-mente) libertà-da, mentre, ma solo a livello di consapevo-lezza, è libertà-di essere o non essere, di scegliere o nonscegliere, di agire o non agire. La pietra è anch'essa radical-mente libera-dal-ni-ente, ma non è mai libera-di-essere-al-cunché.E Dio? Come stanno le cose con l'Essere di Dio? L'Esseredi Dio, del Dio uno e trino del cristianesimo, è per Bartolonel'Essere reale in assoluto: trascendenza, assolutezza, realtàinfinita, libertà e verità autosussistente. So che può sembrarequasi una filastrocca di attributi divini millenari, rifritti e ri-masticati, riproposti senza originalità. Ma vi prego di se-guirmi, Filippo Bartolone è pieno di sorprese proprioquando pare mettere in gioco concetti scontati: e non delu-derà certo stavolta, in cui la posta è addirittura il verticedella sua ontologia della libertà.Dicevo: Dio è l'Essere assoluto, l'Ego sum qui sum, l'Io sonoche parla in Esodo 3,14-15: principio imprincipiato, infinitalibertà sussistente, radicale realtà trascendente che si fa im-manente coinvolgendo a vario titolo la libertà ablativa diogni ente, ma interpellando direttamente solo l'umana li-bertà-di. Proprio in forza dell'interpellanza divina, la libertàgenitiva, de-liberante, dell'uomo è prima di tutto libertà didarsi o di negarsi a Dio, di dirgli di sì oppure di no. Non mi occuperò qui di cosa avviene quando si dice no aDio - ci sono pagine stupende in Dostoevskij (e preziosis-sime pagine e bobine non trascritte di Bartolone su Dosto-evskij), in cui viene messa a nudo l'essenza tragicadell'ateismo. Mi concentro invece sul dire si a Dio, perchéquesta adesione segna, nella volontà libera de-liberante, ilpassaggio dalla dimensione dell'eros a quella dell'agape. .

Eros, secondo il discorso di Socrate nel Simposio platonico,figlio di Poros e Penia (cioè: di Espediente e Povertà), è an-cora l'immagine mitico-filosofica più efficace per l'elementoche caratterizza sin dai primissimi vagiti la libertà umananel suo complesso: il desiderio. In quanto fondamentale

mancanza-di-essere, dice Bartolone, l'eros è desiderio-del-l'essere (degli altri enti) e desiderio-di-essere (di essere qual-cosa per se stesso), ma la sua carenza strutturale, appunto,fa sì che non possa mai avere il proprio essere né mai pos-sedere l'essere o tantomeno la libertà di alcun altro ente.Leggiamo in Liberazione e responsabilità (p. 145), l'ultimotesto pubblicato da Bartolone: «L'eros è un inarrestabile tra-scendersi, che può possedersi soltanto come sapersi, volersie attuarsi appunto come superamento». L'eros, appagabilesolo parzialmente e provvisoriamente, ma subito comunquerigenerantesi all'indefinito, è condannato al perenne auto-trascendimento. Con la sua strutturale inappagatezza e inap-pagabilità, l'eros - ecco le parole - è «un darsi per ricevere»(p. 149), non è mai disinteressato. Anche dall'essere più pu-ramente amato, l'eros esige di essere ricambiato. Persino ildesiderio religioso sincero è interessato a ricevere dal Diotrascendente il potenziamento del proprio esistere; e in que-sto caso lo scacco è totale, perché la trascendenza di Dionon è in alcun modo attingibile.Ora, c'è solo una dimensione in cui l'eros viene accresciutoal punto da venire trasformato, ribaltato qualitativamente: èla fede nel Cristo come Logos che s'incarna, e muore inCroce e risorge, e di nuovo viene. Questa fede è figlia dellakenosis di Dio-Verità in Gesù, dello svuotamento di sé inseguito a cui CristoGesù appare non come il signore, ma come il servo (Filip-pesi 2,s-11): l'onnipotenza divina che appare in una «inabo-libile umanità umile e umiliata» (p. 163). Proprio il contrariodel tendenziale autopotenziamento indefinito dell'eros (delquale non ci saranno difficoltà a riconoscere le strette affi-nità con la nicciana volontà di potenza).La fede in Gesù uomo-Dio è capace di affrancare l'eros dallasua connaturale povertà e di trasformarlo in potenza desi-derante e amante autopositiva nella sua libertà e verità. (Ve-dremo tra poco che anche questa coppia concettuale ètutt'altro che scontata.) La positivizzazione del desideriooperata dalla fede si realizza mediante l'agape, la più grandedelle virtù teologali.L'agape «è oblativa in senso assolutamente discreto e totale»(p. 169): sovrabbondante, traboccante, agape è amore asso-lutamente gratuito che si dà senza richiedere nulla per sé,perciò è essenzialmente privo di equilibrio. Poiché non tieneconto di sé ed è del tutto disinteressata, l'agape ama persino

DICEMBRE 2012 - MilazzoNostra - PAGINA

Eros e agape

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Il problema della storia del cristianesimo. Libreria G. D'Anna, Messina, s. d.Teoreticita e storicita della filosofia. Messina, A. Sessa, s.d.L'origine dell'intellettualismo dalla crisi della liberta. Palermo, U. Manfredi,1959Struttura e significato nella storia della filosofia. Bologna, R. Patron 1964Valenze esistenziali del cristianesimo. Messina, Peloritana, 1964.Metafisica e pensiero contemporaneo. Milazzo, Spes, 1968Momenti essenziali della filosofia morale. 1, Il Socratismo. Messina, Peloritana, 1969; 2, Lateoresi platonica e aristotelica. Messina, Peloritana, 1974. Liberazione e responsabilità. Messina, Peloritana, 1978.Socrate: l'origine dell'intellettualismo dalla crisi della liberta. Milano, Vita e pensiero, 1999.

I libri di Bartolone

il nemico (Mt 5,44-48; Luca 6,27-36), dunque ama anchequando l'altro non meriti affatto di essere amato. - Diciamola verità: a quanti di noi la virtù dell'agape non appare, inottica pratica, ingiusta, persino immorale? E avremmo pureun pizzico di ragione: infatti la dimensione dell'agape, comeprotesta Filippo Bartolone, non coincide con la sfera dellamoralità. Non solo non coincide, ma è più originaria, es-sendo fondata - insieme alla libertà e alla verità - diretta-mente nella compagine trinitaria. L'agape ha valenzaeminentemente ontologica, anzi, si può dire senz'altro: onto-teo-logica. Tocca l'essere e la libertà dell'uomo, nel suo rap-porto con l'Essere e Libertà di Dio, ben prima di investirequalsiasi comportamento umano. E arriviamo così all'ultimomomento del mio discorso.

Quando per la prima volta sentii sbottare Filippo Bartolone:«Bisogna ontologizzare l'agape!», rimasi interdetto, nontanto per la frase in sé, ma per la foga che ci mise nel pro-nunciarla. Non capivo il perché di quella veemenza. Soloanni dopo ho capito. Vediamo se riesco a trasmettere questacomprensione. Ascoltate questo brano di Gaetano Salve-mini:«Quando debbo spiegare quali sono le basi della mia fedemorale, rispondo senza esitazione che sono cristiano. E sela gente mi dòmanda che mi spieghi meglio, dichiaro chesono cristiano perché accetto incondizionatamente gli inse-gnamenti morali di Gesù Cristo, e cerco di praticarli perquanto la debolezza della natura umana me lo consente;quanto ai dogmi, che sono andati sovrapponendosi nei se-coli agli insegnamenti morali di Cristo, non me ne importaproprio nulla; non li accetto, non li respingo, non li discuto;la mia fede in certe norme di condotta morale non dipendedal credere che Cristo era figlio di Dio. [...] Le mie idee mo-rali si trovano quasi tutte nella filosofia stoica prima cheCristo nascesse. Cristo ne aggiunse ad esse una nuova,quella della carità.» (Gaetano Salvemini a Giovanni Modu-gno il 21-10-1946, Lettere dall'America, Laterza 1967 pp.389-390 [la lettera fu pubblicata su "Belfagor" nel 1947])Io credo che questo ragionamento verrebbe teoricamentesottoscritto da molti, sia cristiani (convinti di essere tali) sianon cristiani (lo stesso Salvemini era ateo dichiarato). Ep-pure è un ragionamento così esplicitamente anticristiano!Basterebbe Paolo a ricordarcelo: «Se Cristo non è risorto,vuota è allora la nostra predicazione (kérygma), vuota anchela vostra fede... Se abbiamo avuto speranza in Cristo sol-tanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gliuomini» (1Cor 15,14,19).Cristo non ha impartito insegnamenti morali, ma ai suoi di-scepoli ha dato un solo comandamento (entolé), superiorea qualsiasi norma morale, perché situato prima e oltre ognimoralità: ha comandato l'agape (Gv 13,34-3s) - sulla cui fi-sionomia ontoteologica Filippo Bartolone non ha mai

smesso di insistere. Fino alla sua ultima lezione del 1988,pubblicata dieci anni dopo da Anna Gensabella sulla rivista" Itinerarium".Val la pena seguire qualche tratto di questo commoventecanto del cigno: «Bisogna superare l'ingiusto privilegio ac-cordato alla moralità come luogo natio della libertà. A li-vello morale, la libertà è connotata da una negativitàradicale, da cui sgorga il male che incombe su ogni scelta.Qui il negativo è patologico, cioè vincolato al pathos, al-l'elemento passionale che entra in gioco nelle decisioni eazioni morali.Ma la libertà non nasce a livello morale. La sua radice ori-ginaria è ontologica, dove il male, il negativo patologico,non hanno alcun rilievo. La radice originaria della libertà ènell'Essere di Dio, il quale in sé e per sé è senza rapportocon il nulla, senza compromissione con il male.Il dualismo di bene e male c'è anche in sede di rivelazionecristiana, senz'altro. Ma il dualismo non è originario, è de-rivato. In principio si ha il creatore perfettissimo del cristia-nesimo che crea una creatura perfetta: non c'è altro essereche la libertà, sin dall'inizio. Per capire come venga allorafuori il negativo ontologico, quello non patologico, non con-notato come male, l'esempio supremo è fornito dalla Trinitàcristiana.Cos'è la Trinità? Padre-Libertà, Figlio-Verità, Spirito-Agape. L'Agape è già compresente nei primi due momenti,la Libertà e la Verità. Il momento dell'Agape è il darsi dellaLibertà alla Verità, nella Verità, per la Verità, come Verità.Ciò costituisce l'identità tra Padre e Figlio e il ridarsi dellaVerità alla Libertà: tutto questo è Agape.Qui il negativo (ontologico) è nell'annientarsi del Padre nelFiglio, della Libertà nella Verità, e questa autonegazioneagapica, approdando all'identificazione di Padre e Figlio,rappresenta addirittura il culmine della positività di chi siannienta.Contro l'aritmetica, la Trinità è non 1+1=2, ma 1+1=3. Èuna entità anti-aritmetica, e questo accade, in maniera im-perfetta e analogica, nell'unione dell'uomo al suo prossimo,quando il prossimo è l'individuo dell'altro sesso. Cosa si haquando i due diventano uno, cioè si uniscono nell'amplesso?Viene fuori il tre. Io sono io insieme con te, ma io sono conte nel figlio. Qui la logica aristotelica, col principio del co-siddetto terzo escluso, viene smentita categoricamente.»Qui mi fermo. Non prima di aggiungere però che considerol'ultimo brano letto come una dimostrazione-tipo del puntodi vista bartoloniano sul rapporto tra filosofia e cristiane-simo. Cito dal Socrate (p. 115): «La filosofia ha il suo nu-cleo essenziale nella metafisica, e la religione presupponesempre la metafisica. La religione assoluta, il cristianesimo,sottende e propone tutta la inesauribile significazione dellametafisica: alla quale la filosofia non ha dunque nulla daaggiungere, bensì tutto da attingere, onde alimentarsenesenza pericolo e senza risparmio».

Libertà ontologica e libertà morale