Umanesimo e Cristianesimo

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ANNO XXX NUMERO 6 GIUGNO 2015 Umanesimo e Cristianesimo Semi di cultura: mons. Andrea Ruggiero di S. Feola Il linguaggio dell’icona di C. Giordano Una passeggiata tra i gigli di Nola di L. Panagrosso Tra il 9 e il 13 novembre 2015 si terrà a Firenze il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale. In Gesù Cristo il nuovo umanesimo il tema scelto dai vescovi italiani per questo importante momento di discernimento e comunione per le diocesi del nostro Paese. Ma in che termini oggi la Chiesa può parlare di “umanesimo”? E soprattutto: ha ancora senso che ne parli?

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Mensile della Chiesa di Nola XXX - 6 - Maggio 2015

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Umanesimo e Cristianesimo

Semi di cultura: mons. Andrea Ruggiero

di S. Feola

Il linguaggio dell’iconadi C. Giordano

Una passeggiata tra i gigli di Noladi L. Panagrosso

Tra il 9 e il 13 novembre 2015 si terrà a Firenze il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale.In Gesù Cristo il nuovo umanesimo il tema scelto dai vescovi italiani

per questo importante momento di discernimento e comunione per le diocesi del nostro Paese.

Ma in che termini oggi la Chiesa può parlare di “umanesimo”?E soprattutto: ha ancora senso che ne parli?

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mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 24 giugno 2015

La nuova enciclica di Papa Francesco: spunti per la lettura in vista del convegno di Firenze

IL VANGELO DELLA CREAZIONEdi Francesco Iannone

Ormai lo sappiamo: Papa France-sco è un genio della comunica-

zione, dell’immagine a effetto, del linguaggio che tocca le corde del sentimento e dell’immaginazione. Nemmeno un genere letterario così consolidato e solenne come quello di una Enciclica lo intimidisce. E così non ha avuto timore di aprire con un paragone ardito la sua Enciclica “Laudato si’ ’” sulla cura della casa comune, pubblicata lo scorso 18 giu-gno ma firmata già a Pentecoste. Per lui la crisi ecologica che attanaglia il nostro pianeta è paragonabile alla crisi dei missili di Cuba che nell’ot-tobre 1962 rischiò di portare il mon-do sull’orlo dell’abisso di una guerra nucleare. E come Papa Giovanni al-lora, per la prima volta, indirizzò l’ Enciclica Pacem in terris non solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buo-na volontà, adesso Papa Francesco si rivolge “a ogni persona che abita questo pianeta” (n. 3).

Nomen est omen: il Papa questa volta ripete con s. Francesco d’Assi-si il Cantico delle Creature per edu-care tutti e ciascuno a quello stesso sguardo sul mondo che è poi quello innamorato e grato di Gesù. Lauda-to si’ infatti non è semplicemente l’ennesimo manifesto ambientali-sta, tanto verde e di moda a parole quanto disimpegnato nei fatti. Non si limita alla denuncia degli effetti disumanizzanti di certa globalizza-zione del paradigma tecnocratico e della debolezza della reazione poli-tica internazionale che non sa anda-re oltre un certo ecologismo superfi-ciale e apparente (c’è anche quella, impietosa, senza sconti, nei Capitoli I e III). L’Enciclica è innanzitutto un rinnovato ascolto del Vangelo del-la Creazione (Cap. II) e un invito a

quella “ecologia integrale” ( Cap. IV) che, insieme ai gemiti di sorel-la Terra, sa ascoltare anche quelli dei fratelli poveri. Per la tradizione giudeo-cristiana, infatti, dire “crea-zione” è più che dire natura o am-biente, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio: “La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si compren-de e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illu-minata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale” (n. 76).

Il testo è lungo e può apparire com-plesso (196 pagine e 246 paragrafi). Il pensiero del Papa del resto ama più il poliedro dalle varie sfaccetta-ture che la perfezione della sfera ( cfr EG, 236). E così ci troviamo da-vanti a tutte le questioni cruciali del nostro tempo, quali, ad esempio «l’ intima relazione tra i poveri e la fra-gilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente con-nesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’ invito a cercare altri modi di intendere l’ economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ ecolo-

gia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita» (n. 16). In realtà esso è attraversato da un unico, forte convincimento: che un cambiamento è possibile ma perché sia reale occorre una conversione e una spiritualità ecologica (capp. V e VI), capace di ripensare il rapporto con la Terra e mettere in discussio-ne la logica soggiacente alla cultura attuale per aprirsi alla bella notizia della Creazione e abbracciare nuovi stili di vita, sobri, umili e respon-sabili. Qualsiasi soluzione tecnico-scientifica infatti sarà impotente a risolvere i gravi problemi del mondo “se l’umanità perde la sua rotta, se si dimenticano le grandi motivazio-ni che rendono possibile il vivere insieme, il sacrificio, la bontà” (n. 200). E così le «parole antiche» di un Papa risuonano oggi come una delle più forti voci critiche rispetto agli esiti globali del capitalismo fi-nanziario vincente. Questa Enciclica è perciò un dono provvidenziale, so-prattutto per noi Chiesa italiana. Il “nuovo umanesimo” che vorremmo rilanciare con il prossimo Convegno ecclesiale di Firenze è la necessaria premessa e la possibile promessa di una nuova ecologia, costruita sul primato del dono e sul senso del li-mite contro ogni eccesso antropo-centrico e ogni predominio tecno-cratico e finanziario poichè, avverte Francesco, “non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un es-sere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia” (n. 118).

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si esprime la “fede nell’umano” (Bellet). Si tratta del primato di un modo di stare con gli altri che “mette in causa il nostro modo di vivere e, nello stesso tempo, ci consente di allargare al massimo la nostra relazione con l’altro, in un atteggiamento di comprensione e accettazione, nonché di riconoscimento dei nostri limiti” (Bellet). In fondo, accogliere il primato della relazione presuppone il riconoscimento di qualcosa che unisce gli umani, “prima” delle loro convinzioni e dottrine. È questa, in realtà la “fede nell’umano”. Questa fede nell’umano non consiste nel pensare, ingenuamente, che tutti siano brave e fantastiche persone. Piuttosto essa si fonda sulla convinzione (che per i seguaci di Gesù dovrebbe essere quasi “naturale”!) che, nell’essere umano, esiste “qualcosa” che gli consente, quando vuole, di vivere in modo pienamente e veramente umano.E allora, se esiste un’urgenza, per il cristianesimo, essa non passa per la ricerca di qualche nuovo approccio di tipo polemico o “apologetico”, per dimostrare la sua compatibilità con l’umanesimo, e neppure passa per la pretesa di proporre un umanesimo “nuovo” o più vero; piuttosto, ciò che urge oggi è la necessità di saper dire una “parola nuova”, di saper inviare un messaggio pertinente e significativo, in grado, cioè, di “situarsi” lì dove nasce o muore, oggi, l’umanità!

Infatti, a pensarci bene, cosa dovremmo dimostrare? Di cosa dovremmo, come cristiani, rendere ragione? Cosa c’è di più “naturale” per i cristiani? La loro non dovrebbe essere, in un modo peculiare ed essenziale, anche, una fede nell’essere umano? Per giunta, non nell’essere umano astratto, nell’astratta umanità, bensì in un essere umano concreto e storico, in cui essi scorgono la presenza, definitiva, di Dio. Essi credono in Gesù Cristo che, essendo l’icona del Dio invisibile, applicava a sé,

Forse oggi il vero umanesimo sta nel riconoscimento del primato della relazione

FEDE CRIStIANA E FEDE NELL’uMANOdi Pino De Stefano

non a caso, una espressione, di cui probabilmente non è stato ancora pienamente esplicitato il senso, “Figlio dell’uomo”! Essi sanno che Gesù il Cristo ci rivela il volto e la natura di Dio, ma sono consapevoli, altresì, che la realtà di cui è fatto Gesù siamo anche noi. In un certo senso, perciò, la fede nel Dio dei cristiani è fede in ciò che è “presente” nell’essere umano, è anche fede nell’umano! Perché l’umanità, non quella generica e astratta, bensì quella fatta di noi, esseri umani concreti, è anche la “storia di Dio: non è questo forse il senso del versetto del Prologo di Gv 1, “il Verbo si fece carne”?

E allora, l’umanesimo dei cristiani non consiste, alla fin fine, essenzialmente, in un ritorno al “Vangelo” di Gesù il Cristo? Non è lui l’umanità? E quindi la garanzia e la promessa della nascita di una umanità profonda? In realtà, ai cristiani, basterebbe solo possedere occhi per vedere, orecchie per ascoltare, e canti per cantare quel che è “già” avvenuto, come ha scritto J-L. Marion. Ma è così? O, non sarà il caso di prendere atto che un atteggiamento, che renderebbe più credibile il nostro dialogare, con l’uomo d’oggi, a proposito di umanità e umanesimo, dovrebbe cominciare proprio dall’ assumersi la grave responsabilità di avere, spesso, caricato di un “effetto boomerang” (Bellet) il “bell’annuncio”, radicalmente umano, di Gesù di Nazareth

Poiché, infatti, qualcosa dev’essere successo, a noi cristiani. Di cosa abbiamo parlato tante volte? E, a chi, parlavamo? Con quali linguaggi? E dove era, per noi, il “sapore” della vita? Dov’era quel “sale” che dà gusto a ciò che è? Che ne abbiamo fatto di un messaggio che aveva a che fare, fin dalle origini palestinesi, con tutto ciò che è umano: le cose e la vita di ogni donna, di ogni uomo, e di ogni giorno, la terra, “questa” terra, il lago, le colline, l’umile erba, i

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Chissà se, oggi, la questione fondamentale è, davvero,

il rapporto del cristianesimo con l’umanesimo, che tra l’altro, anche lui, in un mondo frammentato e postmoderno, non sta tanto bene! Chissà se poi, oggi, nel nostro mondo, è il caso di definire l’umanesimo solo sulla base di concezioni o teorie o dottrine contrapposte o, invece, piuttosto, in modo più radicale, a partire dall’individuazione di “atteggiamenti” fondamentali, urgenti oggi. Il primato delle teorie e delle concezioni, nella dialettica umana, ha prodotto già troppi danni, dal momento che ognuna di esse ha l’irrefrenabile tendenza, o desiderio, a volte inconsapevoli, a mettere, alla fine, tutte le altre voci a tacere, e questo non solo nelle tradizioni religiose, come si è soliti supporre, ma anche nel campo scientifico e in tutti gli ambiti della conoscenza umana.

E allora, in che modo parlare di umanesimo dopo la “catastrofe antropologica del 900”?

Occorrerebbe forse partire dalla presa di coscienza che siamo nell’era planetaria, coinvolti in un’avventura comune che travolge gli umani dovunque essi siano: è necessario quindi soprattutto imparare a risalire dalla disgregazione e saperci riconoscere, tutti, nella comune umanità.

Oggi, probabilmente, la scelta fondamentale, sia per la convivenza che per il futuro di noi umani, come scrive Maurice Bellet, è, principalmente, “tra coloro che vivono il primato della “relazione” sull’opposizione ideologica, di una relazione che prevale rispetto a ciò che penso....e quelli la cui convinzione rimane sempre ferrea e hanno una morale tutta d’un pezzo”.

Forse oggi il vero “umanesimo” sta nel riconoscimento del primato di “questo” atteggiamento, nell’accoglimento del “primato della relazione”, attraverso cui

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mensile della Chiesa di Nola

Intervista al prof. Giuseppe Gugliemi

APPuNtI SuLL’uMANESIMO CONtEMPORANEOdi Alfonso Lanzieri

Nel prossimo mese di novembre si terrà a Firenze il 5° Conve-

gno ecclesiale nazionale che avrà come titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Ma qual è il panorama antropologico attuale? Quali sono le tendenze critiche e le istanze positi-ve osservabili nell’uomo occidentale contemporaneo? In che modo questi si percepisce e si pensa? Abbiamo chiesto al prof. Giuseppe Guglielmi, docente di Antropologia teologica presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, di farci uno schizzo dello status quaestionis.

Prof. Guglielmi, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è il titolo del prossimo importante appuntamen-to per la Chiesa italian. Perché c’è bisogno di un nuovo umanesimo?

Anche solo guardando alla traccia che è stata elaborata per la prepara-zione al convegno, possiamo trovare spunti di riflessione utili a render-ci conto del livello di problemati-cità che ha raggiunto la questione

“uomo” nel contesto contempora-neo. Viviamo in anni di repentine ed epocali mutazioni culturali che re-troagiscono sulla comprensione che l’uomo ha di se stesso e del proprio posto nella realtà.

Se dovessimo dare le coordinate dell’attuale panorama antropologi-co, cosa potremmo dire? Partiamo dai punti che lei ritiene critici.

Una delle urgenze da affrontare è certamente la questione dell’indi-vidualismo che emerge in tutta la sua rilevanza anche solo da un’ana-lisi sociologica superficiale. Anche la chiesa, in molti documenti, ultima-mente torna spesso sulla questione. Almeno a mio avviso, recuperare la categoria di “comunità” è un com-pito imprescindibile. In secondo luogo, quello che si può percepire a livello generale è una sorta di ac-centuazione dell’emotività. Viviamo in un’epoca in cui, dopo una qual-che enfatizzazione della razionalità astrattamente intesa, le emozioni

hanno assunto una certa egemonia. Anche nell’esperienza religiosa stes-sa nella quale una certa esasperazio-ne dell’emotività porta al desiderio di trovare qualcosa “che mi tocchi profondamente”. Il rischio però è che la ricerca troppo amplificata di ciò che ci sollecita al momento, che ci riscalda, ci lasci poi alla fine più soli e in balia, appunto, degli umo-ri contingenti. In tal modo, Questo emotivismo generalizzato cela for-se anche un’istanza positiva e cioè quella di trovare – nonostante tut-to - connessioni, relazioni. Tuttavia però, le relazioni cercate sono spes-so funzionali al soddisfacimento del mio bisogno di “provare qualcosa” e non rapporti in cui sono messo in di-scussione.

Questo si lega al tema dell’indivi-dualismo che richiamava in prece-denza?

Sì, certamente esiste un legame fa-cilmente intuibile tra le due que-stioni. Ma c’è un altro punto critico

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Umanesimo e CrisTianesimo

che vorrei sottolineare

Quale?

Mi riferisco ad una ricerca affannosa di identità, che genera la formazio-ne di gruppi di individui chiusi in se stessi, atomizzati, denotati da una identità costruita un po’ artatamen-te, creata non attraverso un con-fronto ma per mezzo di un consenso poco pensoso. Questo meccanismo agisce anche talvolta all’in-terno del mondo ec-clesiale, producendo gruppi caratterizzati da una certa autore-ferenzialità.

Fin qui gli aspetti che lei reputa pro-blematici. Se voles-simo elencare gli elementi che lei reputa apprezzabili?

Direi in primis questo: la complessi-tà e la pluralità che non vengono più visti come elementi minacciosi, non sono più giudicati – almeno questa mi pare la tendenza generale – come un pericolo di per sé. I rapidi cam-biamenti cui assistiamo, così come una società sempre più multietnica, hanno favorito questa acquisizione. In secondo luogo, è interessante, a mio avviso, constatare come la fra-gilità sia vista non necessariamen-te una deficienza, una mancanza patologica, ma percepita come un elemento costitutivo della persona, come un aspetto che ci attraversa in quanto individui segnati dal limite e dalla finitezza. La fragilità, mi pare, sia vissuta più come una realtà da accogliere, leggere e ascoltare che da stigmatizzare. In terzo luogo, mi pare sia innegabile l’emergere di una ricerca generalizzata di spiritualità, anche da parte di chi non crede. C’è quasi la volontà di rintracciare un senso possibile nella quotidianità, un’ulteriorità che ci sovrasta. Insom-ma, un’ampia parte degli uomini del nostro tempo si lasciano alle spalle la totale chiusura immanentistica tipica di un certo ateismo di moda qualche decennio fa, prima della ca-duta delle ideologie. Si tratta di un processo, quest’ultimo, sicuramente non tematizzato.

Cosa l’uomo contemporaneo ha da imparare dall’antropologia cristia-

na e cosa questa ha da apprendere dall’umanesimo attuale?

La visione della persona propria del-la chiesa può dare all’uomo contem-poraneo direi anzitutto la speranza. La speranza in una storia che si sa intrisa di senso perché indirizzata a un fine, che non è un insieme di fatti privi di significato e dominati dall’as-surdo. Una storia, però, che nono-

stante vada verso un fine fa spazio al suo interno alla libertà dell’essere umano, una storia quindi non deterministica-mente preordinata; l’essere umano, in questo contesto, si sa accompagnato da un senso che lo trascende. Il senso

della speranza ebraico-cristiana, il manifestarsi di Dio non come qual-cosa di oggettivo ma attraverso la realizzazione fedele delle promesse - realizzazione a cui l’uomo stesso concorre - io credo sia un capitale che il mondo attende. Per quanto riguarda la seconda parte della do-manda, e cioè cosa dell’umanesimo contemporaneo può essere appreso dall’antropologia cristiana, direi an-zitutto che i cristiani devono sape-re essere non solo maestri ma ancor più discepoli del mondo. In linea col Concilio Vaticano II, prima ancora di apprendere già il solo ascoltare con sapienza il mondo, interpretare i segni dei tempi. In questo contesto post-moderno, frammentato, mul-tietnico e multiculturale, possiamo tutti apprendere che il divenire, il molteplice, è costitutivo dell’uma-no stesso, che la pluralità fa parte di noi stessi e delle nostre relazio-ni. Questo implica poi il riconosce-re che non possiamo mai costituire delle identità concluse una volta per

tutte, che mettano il punto, la paro-la fine, bensì dobbiamo vivere come identità aperte, in relazione, capaci di ripensarsi in continuità.

Del resto tutto questo è già patri-monio dell’umanesimo cristiano, se è vero che questo si fonda sulla fede in un Dio uno e trino, che ha in sé la molteplicità e la relazione. O no?

Esatto, è la fede trinitaria che ci dice questo, che ci indica questo pa-radigma. Un modello rinvenibile nel-lo stesso stile relazionale di Gesù, che sapeva avere una identità aper-ta all’altro, anche quando questi era peccatore e impuro. Paolo lo dice: Cristo ci ha amati mentre eravamo ancora peccatori. Paradossalmente il contesto antropologico odierno può richiamare il cristianesimo a vi-vere ciò che già da sempre sa.

In tempi di trans-umanesimo, post-umanesimo etc. quale futuro per l’uomo in Occidente?

L’uomo dell’Occidente avrà un fu-turo se saprà vivere il dialogo come modello delle relazioni tra indivi-dui e gruppi di individui differen-ti. La sfida è questa perché questa mi pare sia la nostra vocazione, se guardiamo al nostro patrimonio cul-turale. Non possiamo immaginare, tanto per essere concreti, la costru-zione di muri nel Mediterraneo: gli attuali flussi migratori porteranno, anzi stanno già portando, a vere e proprie rivoluzioni che interrogano il nostro modo di vivere. Essere all’altezza di questa sfida, immaginando modelli di integrazio-ne e convivenza, è il compito che ci sta davanti, compito che potreb-be fornire una traccia illuminante a tutto il mondo globale, se sapremo assolverlo.

GIUSEPPE GUGLIELMI (1976) è presbitero della Congregazione dei Dehoniani e docen-te di Antropologia Te-ologica presso la Ponti-ficia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sez. S. Luigi (Napoli).

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mensile della Chiesa di Nola

continua da pag. 3fiori dei campi, il sole e la pioggia, il pane, il vino, l’acqua, il sudore dei contadini, l’ansia per un figlio perduto, la gioia per una pesca abbondante, la felicita di una scoperta, il piacere della mensa e dello spezzare il pane insieme, l’amore perduto e ritrovato, il miracolo di potersi sempre rialzare per riprendere il cammino, la gioia e il desiderio di ricercare e immaginare una nuova vita?

Che cosa non ha funzionato? Fino ad indurre molti a pensare che il racconto cristiano, che narrava di un Dio che aveva desiderato e scelto di fare sua, la condizione umana, di “scambiarsi” con l’uomo (Ruggieri), - non è forse anche questo la kenosi? -, fosse alieno o addirittura contro l’uomo, o quasi geloso delle sue possibilità?

Come è potuto accadere che il “bell’annuncio” che Gesù fa del Regno di Dio, che orienta verso il futuro, si sia ridotto, spesso, solo a mero controllo della condotta morale dei fedeli, invece di tradursi in anelito di liberazione e desiderio di vita piena? Come ha potuto crearsi il divorzio tra fede e storia, quando in forza della dottrina dell’ incarnazione, la storia assume una valenza fondamentale, diventando “il luogo” del rapporto tra Dio e l’uomo? Come è potuto accadere che il Padre di Gesù, che “sente in grande” (1Pt.) e fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti, sia stato trasformato in un sospettoso contabile delle azioni umane?

Come si è potuto arrivare, nei tempi moderni, al sospetto e all’ostilità tra fede cristana e libera ricerca, se la tradizione cristiana è stata fondata su quattro diverse versioni “canoniche” del Fatto cristiano, e lo sforzo ermeneutico del movimento di Gesù, riguardo alla Scrittura ebraica, ha prodotto un fecondo e creativo iato tra “lettera” e “spirito”, che, accentuando la consueta dialettica umana tra testo e lettore, ha limitato, nella storia, le letture fondamentaliste, spingendo anzi a una “ricerca continua” del senso profondo del testo ispirato? (E.Prinzivalli) Come è potuto accadere che si sia diffusa, nelle chiese cristiane,

una tale paura della libertà e della dialettica delle idee, al punto da apparire all’esterno come comunità monolitiche e rigide, quando nei primi secoli “la disputa...anziché essere segno del declino di un ideale consenso, fu la salvezza del cristianesimo perché spinse alcune vigili e ferventi figure religiose a discutere incessantemente sul significato di essere cistiano e del cristianesimo, colmando in questo modo distanze sociali e linguistiche all’interno di un impero romano” (P. Brown), che assomigliava in molti aspetti alla nostra società globalizzata?

Certo, il “racconto” cristiano coglie esigenze “profonde” dell’umano, gettando luce, in un atto di amore, sulla condizione umana, e rivelando l’uomo a se stesso.

E noi sappiamo che proprio questa “profondità” spiega una certa “diversità” della “ragione” del racconto cristiano, nei confronti della condizione umana. Anche se abbiamo motivo di credere che proprio quella “presa di distanza” aiuti a rivelare lo strato profondo, “ultimo della condizione umana”(Dossetti). Tuttavia, sappiamo anche che la “diversità” nei confronti dell’autoconsapevolezza umana, e quella “estraneità” nei confronti degli “altri racconti” che l’uomo narra di se stesso, vengono accolte con la consapevole assunzione di colpa (‘si era fatto peccato’), in primo luogo in colui che non conoscendo peccato, fu caricato delle nostre iniquità e si “scambiò” con noi. Ebbene siamo capaci, ancora, di spiegare cosa può significare oggi, questo, per i seguaci del Messia crocifisso? Da quale “luogo”, da quale “principio”, prende avvio il discorso cristiano oggi? “A ben guardare questo luogo/principio dovrebbe essere lo spazio dell’accoglienza, cioè lo spazio che Dio fa, in sé, all’uomo così com’è, all’umano concreto”(Ruggieri). Questo spazio da abitare, questa ospitalità essenziale (C.Theobald), “questa ‘benedizione’ che permane anche dopo che l’uomo si allontana da Dio, è un ‘prima’ rispetto a ogni decisione dell’uomo” (G.Ruggieri). La condizione umana concreta non

è forse per i cristiani lo spazio del Dio che si svuota?

E allora se di “umanesimo” si deve parlare, non si tratta forse, per i cristiani, di qualcosa che ha a che fare più con uno “sguardo” diverso, con un atteggiamento, con uno “stile” (Theobald), che con concezioni e idee da contrapporre ad altre, più o meno valide?

Ma questo stile, questa ospitalità, come quella del Gesù delle parabole, non esige forse “maestri”, o accompagnatori, o testimoni, di altra tempra, capaci di “sentire in grande”?

Gente, cioè, che non ha sempre la pretesa di “raccontare” agli altri la “loro” storia, di dare un nome alla storia degli altri. Gente in grado, invece, di consentire a ognuno di scrivere, lui, la “sua” storia. Standogli semplicemente vicino. Insomma, maestri, testimoni, accompagnatori “viandanti”, testimoni di “esodo”, che sappiano aiutare gli altri a “scompattare” la propria libertà, accettando anche di mettere se stessi in gioco “con” gli altri, accettando anche di depotenziarsi, di decostruirsi. Gente che sappia accogliere l’”estraneità” degli altri riscoprendo, in tal modo, anche se stessi.

Ma, maestro e testimone di tal fatta, può esserlo solo chi si lascia travolgere da quell’eccesso di amore (Ricoeur) propria del Dio cristiano. Al punto da sentire “ questo” mondo, “questa” terra, “questa” umanità, come “proprie”, senza aspettare, prima, che cambino e diventino simili a sé!

Si tratta qui di avere il coraggio di offrire, prima di ogni altra cosa, quella ospitalità, che, come ha scritto il teologo C. Theobald, probabilmente fu l’esperienza più forte e intensa che la gente faceva, incontrando Gesù. Sentendosi accolta nel profondo di se stessa e, per questo motivo, portata alla luce, sanata e liberata. Ma oggi, ahimé, forse non è quella l’esperienza che la gente fa nell’incontrare le chiese, o le comunità cristiane, o i singoli cristiani. Sono talmente tante infatti le “condizioni” che vengono poste, oggi, che sembra molto difficile alle donne e agli uomini d’oggi sperimentare la Bella Notizia di Gesù!

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07giugno 2015

Passo sicuro e volto serenoMons. Andrea Ruggiero: un ministero speso tra scuola, parrocchia e cultura

una vita spesa per la comunioneIntervista a don Francesco Capasso in occasione del 50° di sacerdozio

una parte preziosa della ChiesaAnche i gruppi Agesci diocesani presenti all’incontro con Papa Francesco lo scorso 13 giugno

L’amore fa funzionare il mondoLa festa di fine anno dell’Azione Cattolica Ragazzi diocesana

Custodi di un sognoAl seminario vescovile di Nola l’annuale Giornata regionale dei diaconi permanenti

Bolle Azzurre, un progetto che sa di pulitoun “gesto concreto” del Progetto Policoro

In Diocesi

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mensile della Chiesa di Nola

La vita di Mons. Andrea Ruggiero è stata la manifestazione di una

esistenza di cui resta nascosto a noi il rapporto con Dio e il mistero della vocazione, ma che tutti hanno am-mirato nel suo splendore, perché percorsa sempre con passo sicuro e volto sereno, pur se passata attra-verso tempi non facili.

È stato parroco nel periodo del dopoguerra, ma già durante la Se-conda Guerra mondiale era stato co-operatore parrocchiale; è stato pre-side dell’Istituto Vescovile dal 1960, proprio negli anni della contestazio-ne studentesca.

La scuola, la parrocchia e il campo della cultura in genere hanno costi-tuito il terreno fecondo del suo mi-nistero sacerdotale. Mons. Ruggiero è stato un uomo di profonda cultura. Con studio appassionato ha dedicato parte della sua vita ad approfondire la conoscenza di S. Paolino, assu-mendo, tra l’altro, con gioia il gra-voso compito della traduzione dei Carmi in lingua italiana.

Il Nostro nacque a Lauro, più pre-cisamente nella frazione di Migliano, il 16 gennaio del 1918. Iniziò i suoi studi ginnasiali e liceali nel Semi-nario di Nola, completandoli, poi, presso il Pontificio Seminario regio-nale di Salerno, ottenendo subito un Primo Premio per il profitto negli Studi.

Compì i suoi Studi teologici, dal 1936 al 1941, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Merdio-nale Sezione “San Luigi” di Napoli, conseguendo il 27 dicembre 1941 la laurea in Teologia con una disserta-zione sulla dottrina del De Vocatione gentium.

Il 29 giugno del 1940 viene ordi-nato sacerdote nella cattedrale di Nola, da Mons. R. Camerlengo.

Dal 1 novembre del 1940 al set-tembre del 1944 esercita le fun-zioni di vicario parrocchiale nella parrocchia “Maria SS. del Carmine” in Nola. Nel frattempo dal 1942 al 1945 frequenta la Facoltà di Lettere all’Università di Napoli, conseguen-do a pieni voti la laurea in Lettere classiche, con una dissertazione di letteratura cristiana antica, sull’au-

tore del De vocatione gentium, Pro-spero di Aquitania.

Nell’ottobre del 1944 viene no-minato dalla Congregazione dei Seminari vicerettore e docente di Lettere classiche presso il Semina-rio Regionale di Salerno, ove rimane fino al settembre del 1947.

Il 5 settembre del 1947 viene no-minato Parroco della Parrocchia del Carmine, ove in precedenza era sta-to cooperatore, e vi rimane fino al 31 dicembre del 1969. Contempo-raneamente insegna Latino e Greco presso l’Istituto Vescovile di Nola, assumendo poi il ruolo di Preside nel 1960, ruolo che eserciterà per ben 26 anni, fino al 1986, quando lascerà la Presidenza per raggiunti limiti di età e per motivi di salute.

Nel 1960 viene nominato camerie-re segreto di Sua Santità Giovanni XXIII, col titolo di Monsignore. Il 1° gennaio del 1970 riceve la nomina di canonico del Capitolo della Catte-drale di Nola, di cui diviene decano il 1 febbraio del 1996, succedendo a Mons. Salvatore Giuliano.

È stato anche Presidente del 30° Distretto scolastico di Nola, pro-muovendo, tra l’altro, convegni di Studio sul territorio e corsi di pre-venzione contro la droga.

Il 6 marzo del 1989 durante un Convegno della Scuola Cattolica del-la Regione Campania, nel Teatro Me-diterraneo della Mostra d’Oltremare di Napoli, gli viene consegnato dal Cardinale di Napoli il premio nazio-nale “Una vita per la scuola”.

Conclude la sua carriera scolasti-ca, insegnando per diversi anni Pa-trologia, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Nola.

In campo diocesano ha svolto molte altre mansioni: è stato vice-assistente diocesano della Gioventù femminile, assistente dei Maestri Cattolici, Consulente ecclesiastico dei Comitati civici zonali, membro del Consiglio di Disciplina del Semi-nario di Nola, vicario episcopale per le Religiose.

Una cura particolare ha dato sem-pre all’Associazione ex alunni dell’I-stituto Vescovile di cui è stato fino alla fine Presidente onorario.

Mons. Andrea Ruggiero: un ministero speso tra scuola, parrocchia e cultura

PASSO SICuRO E VOLtO SERENOdi Salvatore Feola*

Presentazione del nuovo volume di Strenae Nolanaedi S.F.

Lo scorso 4 giugno, si è svolta, presso il Palazzo Vescovile, la presentazione dell’ultimo nu-mero della Collana Strenae No-lanae, diretta dal Centro Studi e Documentazione su San Pa-olino di Nola. Il titolo del nuo-vo volume - curato dalla prof.ssa Teresa Piscitelli, docente di Letteratura Cristiana Anti-ca, presso l’Università Federi-co II di Napoli e segretaria del Centro paoliniano - è Studia Humanitatis in onore di Mons. Andrea Ruggiero. La presenta-zione è stata tenuta dal Prof. M. Marin, direttore del Diparti-mento di Scienze Umanistiche dell’Università di Foggia: dopo una disanima analitica dei di-versi saggi relativi alla figura di Mons. Andrea Ruggiero, ci si è lungamente soffermati sul grande contributo che egli ha dato agli studi su Nola e su San Paolino, lasciando una sua im-pronta profonda nel panorama della storia del nostro territo-rio. A conclusione dell’incontro - che ha registrato la presenza di un pubblico abbastanza nu-meroso e interessato - ha pre-so la parola il vescovo di Nola, Mons. Beniamino Depalma, che, congratulatosi per l’evento, ha espresso il desiderio di vedere realizzato nella città di Nola un festival paoliniano e patristico, per tramandare alle nuove ge-nerazioni il grande patrimonio di fede e di esperienza cristia-na vissuta, tramandatoci dai Padri e dal nostro San Paolino.

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09giugno 2015

Ha concluso la sua esistenza ter-rena, chiudendo gli occhi alla luce del tempo, per spalancarli alla luce dell’eternità, il 15 ottobre del 2008, all’età di novant’anni.

Prolifico scrittore e pubblicista, coltissimo, ricco di sapere, forma-tore di giovani discepoli, esempio di equilibrio e disponibilità, è stato sempre per tutto il territorio della Diocesi di Nola un punto di riferi-mento solido per chiunque abbia vo-luto accostarsi con serietà agli studi umanistici.

Dalla sua penna sono nate una se-rie di pubblicazioni di notevole in-teresse spirituale e culturale, da cui ogni studioso può attingere per trar-ne dei veri benefici.

La sua produzione letteraria si ar-ticola in tre filoni principali:

1. Studi su S. Paolino e altri Pa-dri della Chiesa; 2. Studi sulla storia del territorio nolano, con una parti-colare attenzione ai personaggi più illustri; 3. Scritti di Spiritualità, me-ditazioni, lettere a sacerdoti e reli-giosi, poesie a carattere religioso.

Si aggiungono poi gli Scritti ine-diti: tantissime lettere (una corri-spondenza intensa), corsi di esercizi spirituali, testi di omelie e il ricchis-simo diario personale, che quasi può essere considerato una miniera di ri-sorse, sia da un punto di vista storico che spirituale.

*Il contributo è tratto dal volume 11 della collana Strenae Nolanae

in DioCesi

Intervista a don Francesco Capasso in occasione del 50° di sacerdozioUNA VITA SPESA PER LA COMUNIONEdi Nicola De Sena

Un credente, chiamato a servire la Chiesa, non può che rendere grazie a Dio perché ha avuto la grazia di vivere cinquant’anni come ministro or-dinato e collaboratore del vescovo. Don Francesco Capasso vivrà questa grazia e, dopo un lungo cammino presbiterale, abbiamo chiesto di donarci la sua testimonianza di vita.Don Franco, dove e quando è stato ordinato presbitero?Sono stato ordinato nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Evangeli-sta in Mariglianella, mio paese natale, il 29 giugno del 1965, dal vescovo Adolfo Binni. Ricevere l’ordinazione presbiterale nella mia parrocchia è stato significativo, visto il precedente percorso nei ministranti e nell’AC, accompagnato dai parroci don Armando Buglione e don Angelo Toscano. In questi anni, quali servizi le sono stati affidati dai vescovi nolani?Subito dopo l’ordinazione, ho sostituito per alcuni mesi il mio parroco, don Angelo Toscano, assente per problemi di salute. Tornato il parroco, sono stato nominato vice-parroco a Lausdomini, con don Antonio Rossi. Nel 1969 sono stato nominato parroco di Quadrelle, nel 1980 parroco di San Michele arcangelo in Somma Vesuviana, nel 1998 parroco di S.Marina in Avella ed infine, nel 2008, parroco di San Nicola in Castello di Cisterna. Nel contempo, i vari vescovi hanno voluto affidarmi altri incarichi dioce-sani: cappellano della fabbrica di vetreria “Masullo” di Nola, responsabile della pastorale della famiglia con don Giovanni Ariano, facendoci promo-tori della nascita dei consultori familiari nella diocesi; infine sono attual-mente responsabile della pastorale della salute.Come ha vissuto il periodo Conciliare e post Conciliare?Ero agli ultimi anni di teologia. Con grande speranza di cambiamento e di apertura. Nei miei studi teologici, pastorali, antropologici e psicologici ho delineato il mio profilo presbiterale: pastore in mezzo al gregge affidatomi dal Signore. Il mio primo obiettivo pastorale è stato sempre quello di co-struire una comunità credente, una comunione generazionale attraverso cammini personalizzati e “uscire fuori” per entrare nelle periferie esisten-ziali, come dice ora papa Francesco.Oggi quali sfide la nostra Chiesa deve affrontare per annunciare il Van-gelo nel suo territorio?Inizio col delineare le peculiarità della parrocchia dove attualmente sono parroco. A Cisterna abbiamo una comunità eterogenea: gli indigeni ormai in minoranza, coloro che vengono da Napoli dopo il terremoto dell’80 e tanti altri, che hanno la residenza ma usano il paese come “dormitorio”. La mia azione pastorale in questo territorio, come credo possa essere an-che in gran parte della nostra diocesi, è quella di costruire una comunità integrata attraverso l’uscire fuori e di essere pastore in mezzo al gregge, come afferma il papa: accompagnare con cammini personalizzati e dif-ferenziati, facendo notare nel loro vissuto la presenza di Dio e portarli a vivere sacramentalmente la propria vita e testimoniare la propria fede, diventando una comunità credente e missionaria, lievito e luce nella so-cietà civile.Cosa si aspetta dal nostro Sinodo?Al di là della speculazione teologica e dei tecnicismi, spero che il Sinodo diocesano sappia leggere la realtà e far vivere l’annuncio del Vangelo: che è Cristo morto e risorto per dare speranza.

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giugno 201510

mensile della Chiesa di Nola

“Dovete fare ponti! In questa so-cietà dove c’è l’abitudine di fare

muri,fate ponti per favore!”Poche parole, in pochi minuti, ma

densi di emozioni, hanno accolto i “pellegrini di Francesco” in occa-sione dell’evento #AGESCIDALPAPA: lo scroso13 giugno,100.000 ragazzi dalle camicie blu hanno condiviso la forte esperienza dell’incontro con il Santo Padre.

Con gli occhi lucidi, dal più gran-de al più piccolo, portando con sé un bastone del pellegrino, simbolo del cammino che anticamente com-pivano milioni di cristiani che si re-cavano a Roma a rendere omaggio alla tomba dell’apostolo Pietro, gli scouts cattolici italiani hanno incon-trato il Papa.

Le parole che Francesco ha loro diretto, sono state chiare: come un padre li ha esortati, li ha elogiati - “siete una parte preziosa della chie-sa in Italia.”, ha detto - e ha fatto loro un invito, che suonava come un monito, quello di sentirsi sempre parte della grande comunità Cristia-

na vivendo maggiormente la vita parrocchiale.

Il carisma di questo Papa, uni-to alla sua grande semplicità, per-mettono a noi tutti, giovani scout e non, che, con non poche difficoltà ci avviciniamo alla chiesa, di conside-rarlo quasi come un amico tanto da intonargli cori da stadio e cercare selfie con lui.

È stata una giornata stancante, sveglia presto, viaggio lungo, il sole che scottava forte..ma quell’attimo in cui Francesco, il nostro France-sco, c’è passato a poche decine di metri di distanza ci ha fatti saltare in piedi dalla gioia, con un sorriso negli occhi e nel cuore. Anche noi eravamo lì, il gruppo Nola I, insieme agli altri gruppi della nostra diocesi e zona, per vivere questa emozione.

I lupetti saltellavano e venivano presi in braccio dai più grandi per riuscire a vedere il Papa, migliaia di fazzolettoni colorati sventolavano in cielo, tanti sorrisi ed emozioni... e poi, sulla via del ritorno la gioia è esplosa in canti e scherzi.

Anche i gruppi Agesci diocesani presenti all’incontro con Papa Francesco lo scorso 13 giugno

uNA PARtE PREZIOSA DELLA ChIESAdi Giulia Corcione

Tanta stanchezza alla fine della giornata, tanti pullman che tornava-no a casa,tanti ragazzi con la gioia nel cuore e gli occhi, stanchi ma fe-lici e tutti con uno zaino più pesan-te, tutti arricchiti di un’esperien-za che sicuramente conserveranno perché lo scoutismo è soprattutto questo: la gioia di stare insieme, di-vertirsi, sorridere e crescere insie-me perché “si impara da piccoli a diventare grandi”, ma anche la gio-ia di aver incontrato il successore di Pietro, per il quale, come recita la preghiera composta per l’incontro, sintesi delle 150 preghiere provenu-te dai gruppi di tutta Itali, “preghia-mo perché con l’aiuto di Dio … possa mantenere sempre l’entusiasmo per guidarci a fare una chiesa semplice e pura, che cura le ferite, le fragilità e le debolezze, …possa trasmettere anche a noi il coraggio di sporcar-ci le mani per cambiare in meglio il presente, anche quando sembra im-possibile, senza mai farci rubare la speranza e senza mai rinunciare ai nostri sogni”.

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11giugno 2015

in DioCesi

“Insieme funzioniamo” è stato lo slogan della festa ACR di fine

anno, organizzata dalla diocesi di Nola.

Circa 800 bambini e ragazzi, dai 4 ai 14 anni, sabato 13 giugno si sono incontrati al Seminario vescovile per concludere, insieme, l’anno associativo.

La Festa degli Incontri - momento nel quale si tirano le somme di un percorso fatto e si aprono le porte al tempo dell’estate, caratterizzato da una serie di attività estive che vengono proposte sia a livello parrocchiale che a livello diocesano - è l’ultimo dei tre grandi eventi che scandiscono le fasi in cui è organizzato il percorso associativo per i più piccoli, cominciato con la Festa del Ciao parrocchiale che ha dato il via ai percorsi di gruppo e continuato poi con Dare vita alla pace il 18 gennaio scorso a Pomigliano D’Arco, occasione durante la quale abbiamo potuto riflettere su quanto ciascuno di noi, con piccoli gesti, può essere segno di pace per l’altro.

Il cammino dell’ACR ha avuto

come filo conduttore, durante l’intero anno, l’ACR LAB: un laboratorio caratterizzato da un’ equipe di piccoli inventori che metaforicamente ha rappresentato proprio il gruppo ACR, inteso come un gruppo di amici, ciascuno con le proprie potenzialità, che insieme si lasciano guidare dal Maestro per scoprire tutto ciò che possa condurre a Lui, alla sua conoscenza profonda e alla sua amicizia.

Anche la festa di fine anno ha conservato il filo conduttore, invitando i piccoli a ricercare, attraverso un percorso di gruppo in preparazione alla festa stessa, la formula che ogni gruppo ACR ha scoperto per arrivare a Gesù, partecipando al concorso EUREKA proprosto dal centro diocesano, che ha visto partecipi quasi tutte le parrocchie del nostro territorio.

I cartelloni preparati dalle parrocchie hanno dato senso e colore alle mura del Seminario e alcune parrocchie hanno ricevuto anche, in premio, una targa per essersi classificate per i primi tre

La festa di fine anno dell’Azione Cattolica Ragazzi diocesana

L’AMORE FA FuNZIONARE IL MONDOdi Mena Beneduce

posti.Diverse sono state le formule

presentate, ma unico l’elemento essenziale per arrivare a Gesù e mettere in moto l’invenzione più importante dell’anno trascorso insieme: l’AMORE.

Durante tutto l’anno, i bambini hanno potuto sperimentare che siamo tutti piccoli inventori alla ricerca di ciò che conta nella vita, ma solo insieme possiamo funzionare e solo condividendo la nostra vita possiamo giungere alla scoperta della formula più importante per noi.

Quando parliamo di Amore, facciamo riferimento alla quotidianità delle azioni e delle relazioni vissute, l’Amore per le piccole cose ...

l’Amore che ci fa essere Chiesa una, cristiana, cattolica e apostolica...

l’Amore che ci fa andare avanti nonostante tutti gli ostacoli, l’Amore che ci fa discutere, ma allo stesso tempo ci aiuta a crescere, l’Amore condiviso, sudato, giocato ...

l’Amore di chi crede che c’è più gioia nel dare che nel ricevere!

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giugno 201512

mensile della Chiesa di Nola

“Sono voluto partire da queste pa-role di Gesù perché erano rivolu-

zionarie 2000 anni fa e lo sono anco-ra oggi. Voi diaconi siete coniugati ordinati. La vocazione primaria del-la vostra vita ha dopo quella batte-simale, è quella coniugale, poi suc-cessivamente si è annidata in voi la vocazione diaconale”. Così ha inizia-to la sua meditazione sul passo del Vangelo di Matteo 19,1-9, nel quale Gesù viene interrogato sul divorzio, S.E. mons. Arturo Aiello, vescovo di Teano-Calvi e delegato della CEC per il Clero, in apertura dell’annuale Giornata regionale dei diaconi per-manenti che si è svolta presso il Se-minario vescovile di Nola lo scorso 30 maggio.

“Avere sempre presente que-sta primazia - ha continuato Aiel-lo - serve per evitare quei conflitti

Al seminario vescovile di Nola l’annuale Giornata regionale dei diaconi permanenti

CuStODI DI uN SOGNOdi Pasquale Violante*

di competenza che sono all’ordine del giorno nella vostra vita. Cosa viene prima se il parroco chiede e la famiglia reclama? Voi siete posti costitutivamente in una situazione di tensione, ma Dio non voglia che la vocazionale diaconale diventi un peso che schiaccia quella matri-moniale. Purtroppo abbiamo casi in Campania di diaconi che sono in crisi coniugale o addirittura si sono separati dalla moglie. Bisognerà at-trezzarsi per il futuro per evitare questa eventualità che purtroppo è sempre più dietro la porta. In que-sto brano Gesù viene interrogato sul divorzio. È lecito ripudiare la moglie per qualsiasi motivo? Al tempo di Gesù infatti la moglie poteva esse-re ripudiata anche per futili motivi. Gesù non risponde direttamente, ma cita il passo della Genesi in cui

Dio manifesta il suo progetto per l’u-manità. L’uomo non separi ciò che Dio ha unito. Gesù non dice una sua idea, ma va all’origine, al pensiero del Padre. Ma allora perché Mosè ha concesso di dare il ripudio? Mosè dà un’interpretazione più morbida del comando di Dio? Per la durezza del vostro cuore, Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, all’inizio però non fu così. Spesso nei vostri dibattiti vengono tirate fuori sem-pre le solite questioni: il parroco non mi valorizza, non mi fa battezzare, ecc.. Non sto minimizzando le vo-stre problematiche, ma mentre noi ci accapigliamo, l’Irlanda approva il matrimonio gay. Questo come vi interpella, come diaconi? Dobbiamo tutti rassegnarci: i matrimoni gay entreranno nella legislazione occi-dentale prima o poi. È inutile che la chiesa faccia le barricate come nel 1974 contro il divorzio. Ormai c’è una mentalità che rifiuta la Parola e pensa che essa non contenga la verità sull’uomo”. Una meditazione lunga e densa quella di Aiello che ha continuato: “Mentre noi pensiamo se il diacono può entrare nel consiglio presbiterale, altri, con un’ideologia di un’intellighenzia che fa capo ad un movimento economico mondiale, fanno ben altro. Le cose andranno in questa direzione, che lo vogliamo o no! Dio ha voluto la bipolarità, perciò ha creato l’uomo e la donna. Più che fare il Family Day o un altro referen-dum, si deve operare sul piano edu-cativo, anche se può sembrare inu-tile. Abbiamo qualche opportunità solo nel piccolo, non facendo le cro-ciate. Il piccolo è la tua famiglia, il tuo gruppo parrocchiale, ecc., dove più che il discorso vale l’esempio del diacono e della moglie, su come essi vivono la dualità. L’ideologia gender è la monotonia (una sola tonalità). Voi diaconi sapete bene che l’altra faccia della medaglia, vostra moglie, la pensa diversamente da voi. L’ide-ologia del gender vuole eliminare la diversità. L’antropologia cristiana presuppone una rivoluzione perché il matrimonio cristiano è la celebrazio-ne della diversità, che invece la te-oria del gender vorrebbe eliminare,

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13giugno 2015

in DioCesi

in nome dell’uguaglianza degli esse-ri umani. Ma non si può equiparare una convivenza omosessuale al ma-trimonio. Affermare questo non vuol dire discriminare gli omosessuali”. I diaconi devono custodire la bellezza del matrimonio cristianamente con-cepito soprattutto in questo momen-to storico difficile: “Tenete in piedi il sogno bipolare (uomo-donna) - ha concluso Aiello - in tempi dove non solo non è scontato, ma non è accet-tato e per molti non è neanche vero. È con questo che dobbiamo confron-tarci invece di discutere di dalmati-che e stole, altrimenti il mondo sarà sempre più lontano dall’esperienza cristiana”.

Dopo la meditazione di mons. Aiello è seguito un breve intervento del coordinatore regionale Giusep-pe Daniele che ha evidenziato che è arrivato il momento di reintrodurre nuovamente nella chiesa l’antica “Diaconia”, consistente in un com-plesso di edifici accorpati intorno a un oratorio o una cappella e desti-nati al servizio ai poveri, secondo il

precetto evangelico della carità. Il ripristino delle diaconie consentireb-be al diacono di “diventare animato-re e coordinatore delle iniziative di misericordia spirituale e corporale, quasi segno vivente della carità del-la Chiesa” (Direttorio per il ministe-ro e la vita dei diaconi permanenti, n. 70) e segnerebbe una vera svolta per il diaconato permanente.

La celebrazione eucaristica, che ha concluso la giornata, è stata pre-sieduta dal nostro vescovo, padre Beniamino Depalma che, nella sua omelia ha ricordato: “Abbiamo bi-sogno dello Spirito, perché con la presenza dello Spirito tutto è vivo e tutto ha senso. Senza lo Spirito tut-to è vanità. Voi siete diaconi. Avete ricevuto il dono dello Spirito per es-sere nelle vostre chiese la visibilità di un gesto che ha fatto il Signore Gesù e a quel gesto dovete sem-pre guardare: la lavanda dei piedi! Gesù si è inchinato, ha servito. Nella chiesa il diacono è la visibilità del servizio di Gesù Cristo, perché la Chiesa non si lasci mai tentare dal-

le illusioni, il potere, il primo posto. Siete voi diaconi a ricordare a noi, a tutta la Chiesa, che il primo po-sto nella chiesa è quello di occupare l’ultimo posto, perché così ha fatto il Maestro. Siete voi a ricordarci che la Chiesa non deve avere vergogna di sporcarsi le mani con i poveri. La povertà e il servizio di Gesù Cristo sono dimensioni costitutive della sua identità, il Signore è diventato ser-vo, è diventato schiavo. A voi diaco-ni il compito di ricordarci i gesti e le parole del Maestro, perché come Chiesa non siamo tentati dalla cul-tura mondana, idolatrica, vendendo ciò che abbiamo di più bello per ciò che non appartiene all’esperienza cristiana. Aiutateci a non dimentica-re l’identità ed i gesti del Maestro! Se li dimentichiamo siamo una chie-sa inutile ed insignificante e non ab-biamo nulla da dire e da dare a que-sta nostra società, che pure aspetta tempi nuovi, tempi migliori. Grazie per la vostra presenza e il vostro ser-vizio nelle vostre chiese”.

* Foto di Gabriele Ambrosino

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giugno 201514

mensile della Chiesa di Nola

un “gesto concreto” del Progetto Policoro

BOLLE AZZuRRE, uN PROGEttO ChE SA DI PuLItOMichela Ilenia Ambrosino

Le celebri bolle cantate da Mina nei primi anni sessanta erano blu,

quelle di Giuseppina De Gennaro, giovanissima mamma di Mugnano del Cardinale, sono invece azzurre e sanno di pulito.

In questo caso ‘Bolle Azzurre’ non è il titolo di una canzone ma di un so-gno divenuto finalmente realtà, dopo anni di attese e sacrifici.

Papa Francesco lo ripete spesso, e così Pina non ha smesso di sperare, ha atteso che i tempi fossero maturi e, con grande impegno e dedizione, grazie anche al sostegno dell’équipe del Progetto Policoro diocesano, lo scorso 26 Aprile ha orgogliosamen-te inaugurato la sua attività, una lavanderia self-service.

Un’idea innovativa per la zona del mandamento baianese, finora sprov-vista di un servizio così vantaggio-so. Eh sì, perché la lavanderia ‘Bolle Azzurra’ non è solo self, ma anche smart e soprattutto fast! Ogni clien-te, infatti, può usufruire dei servizi di lavaggio ed asciugatura professio-nali, in modo autonomo ed in qual-

siasi orario e giorno della settimana, domenica compresa, in tempi rapidi e a prezzi convenienti. Questi, così come la volontà di sviluppare un pro-getto che fosse attento all’impatto ambientale derivato dalla propria at-tività sul territorio, sono stati i punti di forza fissati sin da subito, sotto la guida del tutor del Progetto Policoro, don Giuseppe Autorino. Il team ha invece sostenuto Pina nella stesura del business plan, nello studio dell’i-dea imprenditoriale e del contesto, nella scelta delle più giuste operazio-ni di marketing e nella ricerca della forme di sostegno economico attive ed in linea con l’idea stessa. Cresce ancora, così, la grande famiglia Poli-coro, che si arricchisce di un nuovo gesto concreto. Un autentico segno di speranza per il territorio della no-stra diocesi e per tutti quei giovani, che, oggi più che mai, hanno bisogno di sperare, progettare, sognare. Si, i nostri giovani devono poter guarda-re al futuro con fiducia, attingendo all’unica fonte sempre viva di speran-za, Cristo Gesù, per trovare in Lui la

forza ed il coraggio necessari ad inve-stire energie e risorse nei progetti in cui credono, nelle potenzialità e nei talenti, propri e del territorio in cui sono inseriti. L’équipe del Progetto Policoro si pone da guida in questo intenso percorso personale e forma-tivo tentando di condurre a quella fonte, tutti i giovani che incontra, con la stessa passione e lo stesso entusia-smo di diciannove anni fa, quando la storia diocesana del progetto ebbe inizio. Speranza e non solo. Quello che il tutor, le animatrici di comunità e i professionisti, che nel corso degli anni hanno abbracciato il progetto, fanno quotidianamente, è sostenere ed accompagnare sempre ogni idea, con tutti i mezzi e le competenze a disposizione, promuovendo sempre l’autoimprenditorialità e la coopera-zione, affinché possa svilupparsi, gior-no dopo giorno, una nuova e buona cultura del lavoro. Diversi i progetti attualmente in via di sviluppo che, si spera, possano presto vedere la luce, perché quest’onda positiva di fiducia non accenni ad arrestarsi.

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15giugno 2015

Ponte tra cielo e terraIl linguaggio dell’icona spiegato dall’artista che guiderà il corso di iconografia ad Ottaviano

Come da antica tradizioneIl mese di Maggio nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Marigliano

una strada educativaInaugurato il nuovo Centro sportivo presso la parrocchia Maria SS. della Stella di Nola

Maschi e femmina: natura o cultura?Presso la parrocchia Santa Maria delle Vergini di Scafati un incontro sulla teoria del gender

un’esperienza di DioGiornata di spiritualità in montagna per giovani di Mugnano del Cardinale

una meta da amareLo speciale 2 giugno del gruppo Giovanissimi dell’Ac della parrocchia del Collegio di Nola

In Parrocchia

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giugno 201516

mensile della Chiesa di Nola

In ambito occidentale, la riscoper-ta dell’icona è un fatto che, ormai,

prende sempre più spazio; natural-mente, la diffusione di un elemen-to tipico della pietà orientale come l’icona pone anche degli interroga-tivi che devono spingere verso al-cune considerazioni. Perché l’icona è così di moda? Come mai l’icona, arte della Chiesa indivisa, è molto ricercata nel mondo della cultura, è oggetto di frequenti esposizioni e di collezioni private e, a volte, è con-siderata solo un’opera d’arte da ap-prezzare in funzione del suo elevato valore estetico? Se, da un lato, non è possibile non interrogarsi su questo fenomeno dell’icona, dall’altro non possiamo certamente pensare che si tratti solo di una moda passeggera o di un avvicinarsi semplicemente ad una specifica tecnica artistica da imparare con un po’ di talento. Piut-tosto, è necessario scoprire il senso e la verità del linguaggio dell’icona, un linguaggio che apre all’alterità senza indebolire la comunicazione.

Padre Marko Ivan Rupnik1, affer-ma che: «[…] il pensiero, talvolta anche quello teologico, è così ri-dotto al razionalismo da non essere più in grado di fornire strumenti per una comprensione più integra della vita»2. L’icona, prima di essere bel-la, deve essere vera!

Viviamo in un’epoca di linguaggi semplici, in una cultura dell’imma-gine ma le persone non sono iniziate ad una lettura dell’immagine, non sono più abituate ad usare i propri sensi (visione e ascolto) per vivere la presenza e stare in equilibrio con tutto il proprio corpo nella realtà esistenziale.

Ogni esperienza non prende for-ma per l’uomo senza una mediazio-ne simbolica del sensibile, senza la capacità di leggere una narrativa dell’immagine, realtà che di per sé esige una struttura di pensiero più integra. Ogni immagine, se non ha questa capacità di comunicazione, diviene ragione a se stessa, colpisce, attira, sottomette, seduce, e alla fine, finisce per negare la libertà.

Occorre, dunque, saper discerne-re le immagini che aprono ad un’al-terità dalle immagini che, invece, assumono un linguaggio sempre più

Il linguaggio dell’icona spiegato dall’artista che guiderà il corso di iconografia ad Ottaviano

PONtE tRA CIELO E tERRAdi Concetta Giordano

soggettivo minando la comunicazio-ne e ciò al fine di recuperare un’in-tegrità del pensiero e dell’espressio-ne. Questo potrebbe essere uno dei motivi dell’interesse che suscita l’i-cona al giorno d’oggi, insieme ad al-tri che sono, da sempre, presenti ma poco conosciuti. L’icona, dunque, è sì un’immagine, ma un’ immagine-Parola da non confondere neppure con quello che, in occidente, cono-sciamo come biblia pauperum.

Non si tratta di una semplice resa figurativa di episodi biblici, di un’in-terpretazione scenografica di ciò

che è contenuto nella sacra scrittu-ra, ma di una teologia in immagine che annuncia il Mistero di Dio; die-tro ogni immagine iconografica c’è un contenuto spirituale, teologico, liturgico che ci conduce alla visione e alla presenza di Dio fatto uomo in mezzo a noi.

Chi si avvicina con superficialità al linguaggio e al senso dell’icona, infatti, cerca o, addirittura, preten-de di scorgere in essa l’immagine devozionale bella perché, non co-noscendo il linguaggio dell’alterità, si ferma alla visione della carne cor-

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17giugno 2015

ruttibile e non a quella della carne trasfigurata. L’estetica severa dell’i-cona, dunque, è ben lontana dalla dolcezza delle immagini care alla pietà popolare. La Bellezza, la Glo-ria di Dio, sono rese visibili nell’ico-na attraverso gli occhi del corpo che partecipa, come nella santa liturgia, alla realtà spirituale oggettiva nella quale avviene la comunicazione di ciò che è comunicato. Come l’arte liturgica non rappresenta solo la no-stra offerta a Dio, ma la discesa di Dio verso di noi, così l’icona non è solo un’ immagine espressione del-lo slancio dell’uomo verso Dio, della sua offerta, ma è anche – come dice Leonid Uspenskij: «[…] la discesa di Dio verso di noi, una forma nella quale avviene l’incontro di Dio con l’uomo, della grazia con la natura, dell’eternità con il tempo»3.

L’icona, dunque, diventa spec-

chio dell’anima, storia dell’uomo spirituale la cui trasfigurazione è la sua stessa illuminazione nell’unità della sua natura fisica e spirituale per mezzo della luce della grazia divina dello Spirito Santo. La natu-ra dell’uomo resta ciò che essa è, una natura creata; ma la sua perso-na, ricevendo la grazia dello Spiri-to Santo, partecipa alla vita divina, modificando così la sua natura cre-ata. Lo Spirito trasfigura ed accen-de, ma forse non siamo più abituati a riconoscerci in questo movimento di mutua comunione per cui l’uomo di oggi, il fedele, il credente deve risvegliare in sé il suo essere spiri-tuale affinché l’ azione dello Spiri-to Santo possa parlare di Dio, possa renderci simili a Lui. La santità, in fondo, è la possibilità data all’uomo - dall’incarnazione e dalla Penteco-ste - di essere comunicatore di gra-zia a quanti entrano in contatto con la propria persona. L’icona, dunque, non si propone in alcun modo di co-municare emozioni al fedele, ma ha lo scopo di incanalare sentimento, intelligenza e sensi sulla via della trasfigurazione. Ecco cosa dobbiamo recuperare nel nostro quotidiano: la via della trasfigurazione! Questo è il vero significato dell’icona e chi si avvicina al suo linguaggio deve essere propenso ad incamminar-si verso questa strada in cui anche regna l’ordine perché in ogni icona non c’è il disordine del nostro mon-do di peccato, ma l’ordine divino, la pace nella quale non vince la logi-ca terrestre o la morale umana, ma la grazia divina. Avevo appena dieci anni, quando, durante la proiezione del film di Ermanno Olmi, L’albero degli Zoccoli4, rimasi affascinata da quella vita povera, sobria, dura, ma al tempo stesso vita di fede in Gesù, dei contadini delle cascine lombar-de. La casa, il bestiame, gli attrezzi, le terre, e persino gli alberi apparte-nevano al padrone e a lui si doveva-no due terzi del raccolto e, a volte, per nulla si era costretti ad abban-donare la cascina e a ricominciare da capo in un altro luogo portando con sé solo il necessario. Le vicen-de di quei contadini con i loro senti-menti, le loro paure, le speranze ne-gli eventi semplici e faticosi di ogni giorno erano, però, illuminati dalla grazia, dalla fede e dalla luce della presenza di una piccola icona posta in un angolo della casa dove si vive-va l’incontro conviviale della men-sa, dove ci si riuniva per la preghiera comunitaria. Forse, questo è quello che i credenti dell’occidente devono

1. Direttore del Centro di studi e ricerche “Ezio Aletti” a Roma (http://www.centroaletti.com). 2. SPIDLIK T. – RUPNIK MARKO I., La fede secondo le icone, Roma, 2000, Lipa, p. 6. 3. USPENSKIJ L. – LOSSKIJ V., Il sen-so delle icone, Vicenza, 2007, Jaca Book, p. 34. Palma d’oro al festival di Cannes nel 1978. 2 Cor 3, 18. SPIDLIK T. – RUPNIK MARKO I., La fede secondo le icone, p. 20.

recuperare per far sì che in ogni casa ci sia un luogo dove poter continuare a vivere la presenza teurgica della grazia che salva, che purifica, che divinizza. Ben diverso è l’atteggia-mento dei credenti in Oriente, dove in ogni casa c’è sempre un angolo bello da cui, attraverso l’icona, lo sguardo di Dio veglia sulla famiglia. Per gli orientali le icone sono come reliquie: poiché non si può avere una reliquia del santo, allora si por-ta in casa la sua icona.

L’icona è un tesoro spirituale che è regalata in occasione del battesi-mo, del matrimonio e degli avveni-menti importanti perché la casa del credente sia lo spazio inabitato dal Signore che guida, illumina e con-duce alla via della trasfigurazione. Questo è il senso di conoscere un po’ di più la realtà e il linguaggio dell’icona che non è una semplice opera d’arte, ma presenza, visione sacramentale del mondo, è la storia dell’uomo in Dio e di Dio nella storia, è l’oro dinanzi al quale ci si inchina, si tocca, ci si immerge per un cam-mino di spoliazione. L’iconografo è un ministro della Chiesa che non agisce a titolo personale, ma è testi-mone fedele della Tradizione, della fede in Gesù e dell’insegnamento della Chiesa. Per chi si avvicina a questo linguaggio sacro c’è il rischio di rimanere solo dentro un entusia-smo: l’icona è ben altro! È una lunga citazione biblico-patristica, una re-altà spirituale, dove spirituale – dice padre Marko I. Rupnik – è: «[…] tut-to ciò che, nell’azione dello Spirito Santo, ci parla di Dio, ce lo ricorda, ce lo comunica, ci riporta a Lui. Ogni icona ci seduce attraverso la bellez-za sensibile per introdurci nel mi-stero del Cristo affinché, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati in quel-la medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spiri-to del Signore5»6.

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giugno 201518

mensile della Chiesa di Nola

Il mese di Maggio nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Marigliano

COME DA ANtICA tRADIZIONEdi Antonio Esposito

Anche quest’anno con un buon nu-mero di fedeli abbiamo celebra-

to il mese di maggio nella chiesetta dedicata alla Vergine di Costantino-poli.

Come da antica tradizione, conso-lidata in questa chiesa dalla presen-za della Confraternita che all’art. 5 dello statuto recitava: “il mattino del 1 maggio, alle ore 5,30, avrà principio il mese mariano, col Rosa-rio di 15 poste, novena alla Vergine Maria, Messa piana, litanie, medita-zione, benedizione del Venerabile. Il 31 del mese, Messa solenne can-tata in onore della Vergine Maria ed in suffragio dei defunti ascritti”, di buon mattino, ci siamo ritrovati alle ore 6,15 per l’inizio della recita del Santo Rosario seguito dalla supplica e dalle meditazioni giornaliere per quest’anno tratte dal sussidio “Il mese di Maggio” del Padre Alfonso Muzzarelli e alle ore 7,00 per la ce-lebrazione della Santa Messa.

La semplice liturgia ha visto il pie-no coinvolgimento dell’assemblea in un clima di comunione e preghiera reso tale anche dai canti che, ac-compagnati dal suono dell’organo, sono stati eseguiti da tutta l’assem-blea.

Aiutati poi dall’attenta procla-mazione della “Parola del giorno”, don Sebastiano ha impostato le pic-

cole omelie mattutine in una sorta di “catechesi giornaliera” suscitan-do una attenta interiorizzazione del messaggio mariano e molto interes-se negli assidui componenti l’assem-blea.

“Ad Jesum per Mariam”, il mese di maggio si è confermato ancora una volta nella nostra comunità come appuntamento di risveglio e di inte-riorizzazione sull’esempio della Ver-gine Maria, la donna del “Si” con il proposito di tutti di ascoltare la Sua voce che continuamente ci indica la via da seguire per arrivare al cuore del suo amatissimo “Figlio”.

Non sono mancati in questi giorni riferimenti alle parole e agli esem-pi di Papa Francesco, ai semplici gesti che il Papa ci sta regalando

spronandoci a dare come cristiani il nostro cuore a quanti in questi momenti hanno bisogno del nostro aiuto materiale e morale ad esse-re “Misericordiosi come Il Padre”, tema fra l’altro del prossimo Anno Santo indetto dal 8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016, scelto anche da noi come traccia di riflessione, per i prossimi mesi, donata ai fedeli du-rante la messa dell’ultimo giorno del mese insieme ad un ricordo fotogra-fico tratto dalle varie celebrazioni mattutine.

Abbiamo quindi concluso il mese di maggio con il proposito di aprire il nostro cuore alla grazia della chia-mata continuando il cammino nella santità fiduciosi della materna pro-tezione della Vergine Maria.

Sul luogo dove probabilmente sorgeva la chiesa di Santa Croce si trova la chiesa della Confraternita di San-ta Maria di Costantinopoli. L’edificio, secondo quanto riportato nell’epigrafe posizionata sulla facciata, fu fondato nel 1336 ma in merito non abbiamo ritrovato altri documenti. La costruzione attuale non conserva nessun elemento stilistico dell’epoca. Gli elementi più antichi sono le due acquasantiere del XVIII sec. e la statua lignea della Madonna, pregevole opera del 1700, riportata all’antico splendore nel 2008 dopo un accurato restauro.La piccola chiesa è il frutto della ricostruzione avvenuta nel 1933, come si apprende dalla lapide conservata nella sacrestia, quando si realizzarono, in marmo,l’altare maggiore e due altari nella navata, eliminati poi durante la maldestra ristrutturazione avvenuta nel 1976. Oggi l’aula si presenta semplice ed armonica, arricchita da una gradevole decorazione a stucco con lesene e capitelli che sorreggono un cornicione mistilineo che gira intorno alle pareti suddividendo lo spazio in due parti. L’area presbiteriale si stacca dalla navata tramite un gradino; la nuova mensa è posta centralmente ed è in marmo bianco mentre nel muro frontale, al centro vi è il tabernacolo sormontato dalla nicchia con-tenente la statua della Madonna, inquadrata in una cornice a stucco ad edicola, mentre in due nicchie poste ai lati, sempre sulla parete frontale, trovano posto la statua ottocentesca in cartapesta raffigurante San Francesco a sinistra e a destra la statua di Sant’Antonio risalente al 1952. Interessante è il bel pavimento con disegno a rosoni realizzato nella fabbrica della famiglia Caprio in San Nicola messo in opera nel 1933 e il soffitto interamente decorato nel 1936 da Vincenzo Buonincontri che, fra varie decorazioni, eseguì nella parte centrale il trasporto della “Santa Casa di Nazaret a Loreto”. La facciata, che risulta sacrificata per la presenza di una moderna costruzione addossata, è dalla caratteristica forma a capanna ed è coronata da un timpano con cornicione mistilineo al culmine del quale vi è la Croce in ferro mentre, nell’angolo destro vi è il piccolo campanile a vela con due antiche campane.

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19giugno 2015

in ParroCChia

«Egli [Gesù] non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria

dei tempi. Egli tagliò corto... Facendo il cristianesimo» (Péguy) e così accadde di epoca in epoca, fino ai nostri giorni con Giovanni Bosco e i suoi amici! L’oratorio nasce dall’e-sigenza, di S Filippo Neri prima e di Giovanni Bosco poi, di rispondere alla questione educativa dei giovani e dei ragazzi.

In un tempo in cui ci restano solo i gesti cristiani (sacramenti processio-ni ecc…) diventa ancora più necessa-rio creare luoghi dove si possa rico-minciare ad incornare e educare le nuove generazioni alla fede e a quei valori che da essa discendono.

La parrocchia Maria SS. Della Stella da sempre è un centro di aggregazio-ne sociale e religioso per i giovani e i ragazzi, avendo anche la fortuna di essere fornita di spazi ampi. La co-munità anche perché giovane (nata nel 1964) è stata provvista sempre di un campo di calcio, luogo dove molti nolani hanno trascorso l’infanzia e la giovinezza dando calci ad un pallo-

ne: una parrocchia dove i giovani e i ragazzi hanno trovato spazi e per-sone che li hanno accolti, iniziando dai parroci. Ultimamente, a moti-vo della profonda trasformazione dell’area antistante l’edificio per la realizzazione della nuova strada di accesso, si è reso necessario risiste-mare anche la zona dell’ex campo di calcio. Si è pensato di costruire un vero centro sportivo, fatto di un campo di calcetto uno di pallavolo e, in futuro, di un campo di bocce, an-che per rispettare le normative che oggi sono molto più stringenti di un tempo, quando bastava un terreno e un pallone per divertirsi. Accanto ai campo è stato costruito una struttu-ra a servizio degli sportivi (spogliati, bagni e bar) in regola con tutte le attuali norme.

La comunità parrocchiale ha intra-preso questa avventura perché cre-de nell’importanza dell’educazione e si sente responsabile del futuro dei giovani e delle famiglie: non possia-mo stare immobili di fronte alla crisi educativa che oramai da anni atta-

Inaugurato il nuovo Centro sportivo presso la parrocchia Maria SS. della Stella di Nola

uNA StRADA EDuCAtIVAdi Mariano Amato*

naglia la nostra società e le nostre comunità: noi vorremmo rimetterci ad educare. Papa Francesco recente-mente - precisamente in un interven-to dell’8 maggio 2015 - ci ha ricorda-to l’importanza dello sport nel campo educativo soprattutto dei giovani: “In diverse occasioni ho parlato del-lo sport come esperienza educativa. Oggi lo voglio ribadire: lo sport è una strada educativa! Ci sono tre strade, tre pilastri fondamentali per i bam-bini, i ragazzi e i giovani: l’educazio-ne – scolastica e familiare –, lo sport e il lavoro. Educazione - scolastica e familiare -, sport e lavoro. Su questi tre pilastri si cresce bene! Quando ci sono tutti e tre, scuola, sport e lavo-ro, allora esistono le condizioni per sviluppare una vita piena e autentica, evitando così quelle dipendenze che avvelenano e rovinano l’esistenza. La Chiesa si interessa di sport perché le sta a cuore l’uomo, tutto l’uomo, e riconosce che l’attività sportiva in-cide sulla formazione della persona, sulle relazioni, sulla spiritualità.

*Foto di Guido di Somma

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giugno 201520

mensile della Chiesa di Nola

Maschio e femmina: si nasce o si diventa? Tutta questione

di…“gender”. Il termine, di origine inglese (in italiano significa “genere”), è ormai entrato di prepotenza nel nostro linguaggio in sostituzione del più tradizionale “sesso”, seppellendo, in un istante, millenni e millenni di evoluzione biologica sotto una montagna di teorie pseudo-scientifiche che hanno trasformato la sessualità in una “scelta ideologica” che rischia di danneggiare, in modo particolare, famiglie e bambini.

Si è discusso di questo, mercoledì 10 giugno, a Scafati (Sa), nella chiesa di Santa Maria delle Vergini, insieme con la dottoressa Marina Carrese, del Centro per la Vita “Il Pellicano” di Salerno, nel corso dell’incontro organizzato dalla locale comunità parrocchiale, guidata da don Giovanni De Riggi, proprio per fare il punto sui temi dell’omosessualità e dell’omofobia a pochi giorni dal “Family Day”, la manifestazione nazionale in programma sabato, 20 giugno, a Roma, per promuovere

il diritto del bambino a crescere con mamma e papà e difendere la famiglia naturale dall’assalto (fin dalla scuola dell’infanzia) della propaganda dell’ideologia gender.

Parlando ad una platea numerosissima, formata in larga parte da giovani e giovanissimi, la dottoressa Carrese ha ribadito più volte come “si nasca e non si diventi maschi o femmine in virtù di chissà quali scelte culturali”.

L’esperta del Centro Vita ha anche colto l’occasione per sottolineare il no convinto contro ogni forma di omofobia ed il pieno rispetto nei confronti di gay e lesbiche. “L’Italia - ha detto - non è un paese razzista. Noi non siamo omofobi. Lo dimostrano le statistiche. Si può non essere d’accordo con loro, ma non per questo si deve essere anti”. Tuttavia, ha poi proseguito: “in questo momento, in Parlamento, è in discussione una legge contro l’omofobia che andrebbe fermata perché, se approvata, impedirebbe, di fatto, la manifestazione della libertà di pensiero e minaccerebbe

Presso la parrocchia Santa Maria delle Vergini di Scafati un incontro sulla teoria del gender

MASChI E FEMMINA: NAtuRA O CuLtuRA?di Gabriele Scarpa

la libertà religiosa”. Nel suo intervento, Carrese ha

spiegato come i sostenitori della teoria del gender sposino l’assunto in base al quale, all’atto della nascita, uomini e donne siano sessualmente identici. Che non ci sia, cioè, fra loro, alcuna differenza biologica. E che tale differenza sia esclusivamente di tipo culturale. Insomma, a voler dar retta ai “gender” l’individuo verrebbe al mondo neutro rispetto ad un largo ventaglio di identità di genere (un noto social network consente di sceglierne fino a 58: gay, transgender, cisgender, androgino, bigender, gender fluid, queer, inter sexual, ecc) che solo lui, poi, sceglierà, in seguito, per sé. È il teorema che vuole che l’identità sessuale si sviluppi in base al contesto sociale in cui si vive. Quindi viene, di fatto, appresa nell’infanzia e può essere modificata attraverso opportuni interventi. Ora, accettando questo teorema, l’umanità stessa smetterebbe di essere divisa tra maschi e femmine. Con gravi riverberi sull’istituzione stessa della famiglia naturale che cesserebbe semplicemente di esistere, evolvendosi in un ibrido indefinito.

Sì, perché se il sesso si assegna strada facendo, magari aiutando i più piccoli a “scoprire se stessi” attraverso un percorso di iper-sessualizzazione precoce, come quello proposto da alcune guide dell’Oms già distribuite in un paio di scuole italiane (in una di queste si consiglia addirittura la masturbazione infantile nella fascia di età 0-4 anni), allora smetterebbero di avere senso anche i papà e le mamme così come li abbiamo fin qui tradizionalmente intesi.

Tradotto in soldoni: i genitori gender potrebbero tranquillamente avere lo stesso “sesso”. Sposarsi tra loro. E magari adottare figli. Perché, in fondo, i figli sono un diritto che spetta a tutti. E fa niente se poi quei bimbi si troverebbero ad avere due padri o due madri. O “genitore a e genitore b” se preferite. Cosa conta tutto ciò di fronte alla…fluidità del genere?

Insomma, così come è stato fatto osservare più volte durante l’incontro, la prospettiva è quella

Foto di Alessandro Ragozzino

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21giugno 2015

Giornata di spiritualità in montagna per giovani di Mugnano del CardinaleI SENSI E LA NATURA: UN’ESPERIENzA DI DIOGiuditta Canonico

Albert Einstein scrive in una lettera: “Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata”, una frase ad effetto che lascia poco spazio alla fantasia e molto all’osservazione delle meraviglie del creato. È proprio questo il senso della manifestazione “Sulla Via del cuore” organizzata dalla Parrocchia Maria SS.ma del Carmine di Mugnano del Cardinale in collaborazione con l’ Azione Cattolica, il CAI e il Forum dei Giovani. Una condivisione che si é rinnovata anche quest’anno per il terzo anno consecutivo e che ha come obiettivo la scoperta di Dio attraverso i sentieri naturalistici del nostro territorio. Quest’anno l’ap-puntamento è stato fissato per il 20 Giugno e ha visto protagonisti un gruppo di giovani e meno giovani che hanno condiviso con entusiasmo questa stupenda esperienza. Un’esperienza dove la fatica e lo sforzo fisico si fanno sentire ma, allo stesso tempo, il tutto viene compensato dagli splendidi paesaggi che si aprono intorno a noi e le vedute paesaggistiche che lasciano tutti a bocca aperta. Una giornata scandita da momenti diversi: la salita, l’in-coraggiarsi a vicenda, la meta per la celebrazione eucaristica, l’agape fraterna, la discesa a valle tutti insieme. Anche quest’anno abbiamo percorso un sentiero di montagna che porta alla località Petrarola, piccole e tortuose stradine di montagna che i nostri bisnonni percorrevano per raggiungere le zone dell’avellinese, impervi sentieri percorribili solo a piedi. Un percorso attraverso il quale si è potuto constatare con mano la grandezza di Dio: fiori colorati e con profumi particolari, piante secolari altissime che ci ricordano quanto siamo piccoli e sorgenti di acqua incastrate nella pietra viva. Una vera esperienza di fatica e amicizia a cui tutti almeno una volta dovremmo partecipare fisicamente e anche spiritualmente. Nella vita quotidiana siamo circondati dalla routine, da cose che posso-no sembrarci opprimenti, ma basta allontanarci per qualche chilometro per capire le cose belle che Dio ci ha donato. In località Petrarola don Giuseppe Autorino ha celebrato messa, e ci siamo tutti riuniti intorno ad un piccolo altare fatto di pietra per ringraziare Dio. Nell’omelia don Giuseppe ci ha ricordato “a volte non sappiamo cosa vogliamo, ci affanniamo nel cercare le cose perché siamo incontentabi-li, ma i cristiani devono essere soprattutto colmi di fiducia perché è Dio che riempie la nostra vita”. Salendo in montagna abbiamo visto tante opere di Dio, opere fotografiche che si aprivano davanti ai nostri occhi. Tutti noi nel nostro piccolo viviamo momenti di sfiducia, di tempesta, di disperazione ma è proprio in questi momenti che la presenza di Dio si manifesta. Noi cristiani dobbiamo essere come dei girasoli che sanno guardare il proprio sole che è Dio e che sanno attingere luce e calore perché con questa presenza la nostra vita diventa davvero vita.

in ParroCChiadi arrivare ad una distruzione nuda e cruda della natura. Quasi una ribellione dell’uomo nei confronti dei suoi stessi vincoli biologici. Un processo di disumanizzazione bello e buono, sponsorizzato dalle potenti lobby Lgbt, con la complicità delle principali major cinematografiche, l’assenso di media e social network. E l’appoggio dei governi delle Nazioni Unite che hanno finito con lo sposare tale ideologia, sottolineando l’aspetto ugualitario e quindi, automaticamente “buonistico” della vicenda.

Peccato, però, che a livello scientifico, l’ideologia dei generi sia priva di fondamenta. E che prima gli studi dell’entomologo (prestato alla sessuologia) Alfred Kinsey, considerato un po’ il padre del “gender”, poi quelli di John William Money, un altro degli “specialisti” nella ricerca dell’identità di genere, siano stati sostanzialmente bocciati dalla comunità scientifica internazionale.

Particolarmente eclatante, per non dire emblematico, il caso di quest’ultimo, portato all’attenzione del pubblico dalla dottoressa Carrese. Ebbene, il sessuologo neozelandese è stato oggetto, nel recente passato, di durissime polemiche a causa del caso di riassegnazione del sesso di David Reimer, nato maschio nel 1965, ma poi “trasformato” in donna nel 1967 ( il piccolo fu operato da un’équipe di chirurghi del “Johns Hopkins Hospital” di Baltimora, diretta da Money) a causa della perdita del pene che gli era stato bruciato durante una maldestra operazione di circoncisione.

Il ragazzo, di origini canadesi, non si identificò mai con una donna e fin dalla pre-adolescenza prese a vivere ed a comportarsi come un uomo, finendo poi per tornare ad esserlo (solo nel 1997 completò il ciclo di operazioni che lo fecero ridiventare maschio) salvo, infine, suicidarsi, nel 2004, dopo una vita di lotte e sofferenze.

Un dramma che smascherò la sciagurata “teoria interazionista” di Money ribadendo, con forza, l’origine naturale della sessualità umana.

Perché “è la natura che scolpisce il genere, non l’ideologia, né tantomeno la mano del chirurgo” ha concluso la dottoressa Carrese, commentando una diapositiva finale in cui si mostrava un neonato appoggiato sul palmo di una mano: “Facciano pure quello che vogliano. Noi siamo convinti di una cosa: alla fine, la natura vincerà sempre”.

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giugno 201522

mensile della Chiesa di Nola

Lo speciale 2 giugno del gruppo Giovanissimi dell’Ac della parrocchia del Collegio di Nola

uNA MEtA DA AMAREdi Antonino De Lucia

Il giorno in cui don Angelo ha invita-to noi, ragazzi e ragazze del gruppo

dei Giovanissimi di AC del Collegio di Nola, a partecipare ad una escur-sione tra le montagne del Partenio, eravamo molto curiosi e anche un po’ impauriti al pensiero di dover fa-ticare molto perché la maggior par-te di noi non aveva mai partecipato ad una vera e propria escursione in montagna. Ma accettiamo e il giorno dell’uscita arriva.

È il 2 giugno, Festa della Repub-blica …. con un semplice zaino in spalla, dopo aver atteso qualche ritardatario, partiamo alla volta di Baiano con il treno della Circumve-suviana. Alla stazione di Baiano ci attendono alcuni amici, esponenti del CAI (Club Alpino Italiano) e di Irpinia Trekking; dopo le presenta-zioni, prendiamo le auto e arrivia-mo a Campo di Spina (Mugnano del Cardinale) e un vecchio signore del nostro gruppo ci invita a fare una foto per dedicarla ad una sua amica di Ottaviano, immobilizzata a letto; iniziamo con una semplice preghiera e poi partiamo in direzione di Cam-po San Giovanni, passando per Valle Fredda (Quadrelle). La salita inizial-mente sembra facile ma dopo un po’ cominciamo a diventare sempre più stanchi a differenza dei nostri amici escursionisti che sono abituati e tra una chiacchiera e l’altra ci rendiamo conto che loro già percorrevano la zona da molto più tempo e avevano già fatto percorsi ancora più faticosi della nostra passeggiata.

Tutto il sentiero che percorriamo è pieno di alberi di vari tipi che con la loro grandezza ci proteggono dai raggi caldi del sole e rendono fresca l’aria, mentre dall’erba verdeggian-te escono tanti fiori colorati, la ter-ra che calpestiamo in alcuni tratti è leggermente scivolosa e dobbiamo fare spesso attenzione ma questo è dovuto anche alla grande presenza dell’acqua nel sottosuolo. Infatti in alcuni tratti del percorso ci capita spesso di bere da sorgenti d’acqua fresca che provengono direttamen-te dalla montagna molto più salu-tari dell’acqua che si beve a casa: anche se sono stanco per me la cosa più bella di questo luogo è la tran-quillità e la bellezza di abbandonare

il clima caotico della città: questo posto dove regna solo la natura mi invita a riflettere, a differenza della città dove c’è continuamente confu-sione e l’uomo cerca costantemen-te di sopravvivere al caos. In questo spazio di natura incontaminata tut-to è semplice e in ordine, ogni cosa svolge la sua funzione serenamente e tutto vive nell’armonia, dagli ani-mali alle piante. Mentre in città ci sono i fastidiosi rumori dei clacson, qui si sentono i leggeri cinguettii de-gli uccelli.

Continuando il nostro percorso, dopo circa tre ore di cammino arri-viamo a Campo San Giovanni (Sum-monte), dove troviamo un altro rifu-gio e una sorgente di acqua, da cui si sviluppa il torrente Clanio, della cui acqua San Paolino si servì per creare l’acquedotto a Nola, quando ancora l’acqua era un bene pubblico!!! Qui, dopo aver consumato la colazione a sacco, il gruppo si divide tra chi ancora è carico di energie e gioca a pallone e chi non c’è la fa più e si riposa ai piedi di una quercia seco-lare; intanto gli instancabili alpinisti vanno a farsi una breve passeggiata a Campo di Summonte, che è poco

distante da noi, e anche io mi unisco a loro: davanti ai nostri occhi si apre un’ampia prateria dove prima circo-lavano i cavalli.

Dopo un’oretta di relax, è giunta l’ora di ripartire e tornare a casa, però prima di andarcene malgrado iniziamo a sentire lampi e tuoni in lontananza, viviamo un breve ma intenso momento di preghiera. Don Angelo ci parla del “discorso della Montagna”, nel quale Gesù presenta il suo programma (sono passati solo due giorni dalle ultime elezioni poli-tiche), e chiama “beati” cioè felici non i potenti e i forti ma i poveri, gli ultimi, i perseguitati della storia, coloro che piangono, non perché a noi cristiani piaccia soffrire o essere maltrattati ma perché siamo “beati” quando abbiamo una sola certezza nella vita: Dio è il mio Papà e non si è dimenticato di me, è dalla mia parte sempre e in modo particolare nel momento della prova. Arriva il momento di muoversi visto che sta arrivando anche la pioggia: arrivia-mo al rifugio di Campo di Spina, da cui eravamo partiti, e lì ci salutiamo, dandoci appuntamento per un’altra escursione. Buon viaggio!

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23giugno 2015

Dialogo in praticaCome una comunità parrocchiale potrebbe lavorare per usare il linguaggio dell’ecumenismo

Alieni in provinciaDue giovani in fuga da una pericolosa razza aliena protagonisti del primo libro di Nolan horowitz

L’abito per la festaGigli di Nola: alla scoperta dei rivestimenti scelti, quest’anno, per gli obelischi dedicati a san Paolino

In Rubrica

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giugno 201524

mensile della Chiesa di Nola

Come una comunità parrocchiale potrebbe lavorare per usare il linguaggio dell’ecumenismo

DIALOGO IN PRAtICAdi Paolo di Palo

Propongo ora una sorta di labora-torio per le comunità.L’ecumenismo è una “lingua” da

imparare, il “parlare ecumenico”. In ogni linguaggio esistono tre momen-ti: quello sintattico, il semantico e, infine, la prassi. Il momento sintat-tico è costituito dalle regole gram-maticali, che se dimentichiamo, non permettere di articolare frasi di senso compiuto e non permette di capirne il significato. Il momento se-mantico è dato dal significato delle parole all’interno del contesto, che può essere ben diverso dal senso re-ale (un esempio: se si dice «mi sento un leone», non significa mettersi una criniera, ma sentirsi forte). Il mo-mento della prassi è determinato dai cambiamenti che il linguaggio stesso subisce, in base a mutamenti sociali o culturali, come è il caso di neolo-gismi che vengono assorbiti nella lin-gua corrente. E’ questo un livello in cui non sono chiari i criteri secondo cui un termine verrà accolto o meno (un esempio: l’influsso della termi-nologia del mondo virtuale online: l’accoglimento del verbo “chattare” risulta più diffuso, ma non lo è il verbo “clikkare”, entrambi utilizza-ti nello stesso linguaggio).

Anche nell’ambito dell’ecumeni-smo esistono questi tre momenti. Il primo è dato da quello sintattico e cioè i fondamenti teologici, del-la dottrina cattolica su cui si fon-da l’identità stessa della Chiesa (per esempio: l’interpretazione del “subsistit in” della Lumen gentium), come dell’esistenza della pienezza dei mezzi di santificazione e di gra-zia. Il momento semantico è quello dell’articolazione dei contenuti teo-

logici nel contesto dello scambio dei doni e nella esperienza del dialogo (per esempio: il ruolo del ministero di unità del Vescovo di Roma – il San-to Padre – che rimane per i cattoli-ci la condizione dell’unità visibile). Infine, il momento pragmatico è il dialogo ecumenico di frontiera, cioè quello che cerca di scrutare nuovi sentieri e nuovi orizzonti senza porsi alcuna condizione sul come e dove ci condurrà, ma accettando di monito-rare i possibili sviluppi.

Pur nella polivalenza del termine, quando all’interno del movimento ecumenico ci si riferisce al dialogo, si intende il dialogo teologico e tale dialogo rappresenta “un genere let-terario” con un proprio vocabolario tecnico, che è necessario conoscere.

Le comunità ecclesiali che deside-rano cominciare il dialogo teologico reciproco si potrebbero incontrare, anche attraverso l’aiuto e il soste-gno degli esperti e responsabili delle diverse confessioni, per assumersi il compito di individuare la reale fatti-bilità di instaurare il dialogo stesso e gli eventuali temi, priorità e moda-lità. Individuata la strada, un team di esperti potrebbe costituire un gruppo di lavoro per definire scopi e temi programmando gli incontri per una certa durata. La valutazione, in-dispensabile, è la meta del dialogo; da essa deriverà un Rapporto che verrà da tutti sottoscritto. A volte, il dialogo che si propone come scopo che tende alla piena e visibile unità, pone in essere le premesse necessa-rie per una condivisione ampia. Altre volte, può diventare esplorativo dei possibili terreni di approfondimento.

All’interno dell’obiettivo generale

del dialogo intrapreso, si potrebbe attuare uno stile particolare: esso diviene il riflesso di quanto raggiun-to dalle parti in dialogo e questo potrebbe diventare un “progetto di studio”, un “documento di conver-genza” o, in crescendo, “di consen-so”. In questa fase si potrebbero coinvolgere anche esperti in mate-rie particolari degli ambiti teologici. Gli incontri si potranno articolare attraverso momenti di preghiera in-sieme, di presentazione, di discus-sione e redazione del testo relativo al tema, anche se provvisorio. Molto importante è il legame con la Chiesa locale, la cui presenza viene garan-tita dal Responsabile incaricato. L’a-iuto poi degli usi liturgici o culturali, aiuta grandemente il progresso del dialogo.

Il documento finale, articolato e composito, frutto di una molteplici-tà di voci, può diventare strumento per “un passo in avanti”, non azzar-dato, ma neppure vago. Potrebbe essere l’ espressione della teologia e della vita, della fedeltà al patri-monio di fede di ciascuna tradizione coinvolta e il nuovo e comune indi-rizzo di cammino. E’ così che il testo si può definire “di comunione” in-terconfessionale, fino a potersi dire documento ufficiale.

Questa connotazione, natural-mente, dipende dal profilo ecclesio-logico-strutturale delle varie confes-sioni, perché l’intento è evitare che tutto si riduca a un esercizio teologi-co o uno scambio, ma, al contrario, sia di ampio respiro ecclesiale; ciò è estremamente importante per legit-timare il successo o il fallimento del dialogo ecumenico.

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25giugno 2015

in rUbriCa

L’Alba dei sovrani è la prima espe-rienza letteraria di un giovane

scrittore nolano, appassionato di fantascienza. Francesco Napolitano il suo nome, sostituito però, per la sua attività di scrittore dallo pseu-donimo Nolan Horowitz: 33 anni, una laurea in Politica e Relazioni Internazionali, Francesco ha la pas-sione della scrittura praticamente fin da bambino, ed attualmente sta collaborando con un giornale online in attesa di conseguire il tesserino di pubblicista.

“Come ho dichiarato anche in al-tre interviste che ho fatto di suppor-to al libro - ha sottolineato il giovane scrittore durante la presentazione del libro svoltasi lo scorso 6 giugno, proprio a Nola, presso il Complesso di Santo Spirito (ex-Carceri) - scrive-re é una cosa che mi piace da sem-pre. Sin da piccolo giocavo a fare lo scrittore, ed anche se scrivevo solo brevi pensieri, fingevo sempre di ti-rarne fuori un libro. Chiaramente, oggi che vedo mio libro pubblicato e in vendita é come se si realizzasse un sogno, una cosa nata per diver-timento, che poi si é trasformata in qualcosa di più”.

La storia, che racconta le peri-pezie di due giovani in fuga da una pericolosa razza aliena che ha inva-so il mondo, ed é ora giunta in una città che non sembra neanche tanto sconosciuta, si divide in due parti: la fuga e il ritorno ed ha un buon rit-mo, uno stile cinematografico che ricorda quello delle serie TV.

“In effetti - ha aggiunto Nolan - il risultato é positivo, perché sono riuscito a mantenere un buon ritmo nella storia, il che non é sicuramen-te facile, soprattutto per uno alla prima esperienza. Naturalmente devo perfezionarmi, perché quando la scrittura diviene una passione e si riesce a vedersi pubblicati, il de-siderio di continuare c’é tutto. Ed infatti ho già scritto altre cose che presto invierò in valutazione”.

C’é comunque un messaggio di fondo molto importante, che Fran-cesco ha voluto sottolineare soprat-tutto nel corso della presentazione del suo libro - moderata dall’avvo-

Due giovani in fuga da una pericolosa razza aliena protagonisti del primo libro di Nolan Horowitz

ALIENI IN PROVINCIAdi Redazione

cato nolano Antonio Passero - e cioè che gli alieni sono in realtà una sor-ta di simbolo, qualcosa che l’autore utilizza per mandare un messaggio: “Il pianeta non é nostro ma un dono di Dio a tutte le specie. L’inquina-mento, lo sfruttamento delle risorse naturali, la sopraffazione, sono inac-cettabili, soprattutto per l’uomo del Duemila. Ho quindi voluto immagi-nare cosa succederebbe all’umanità se improvvisamente una razza aliena e pericolosa prendesse il suo posto al vertice della catena. Se diventas-simo noi i cacciati, invece di essere i cacciatori”

Si tratta di un cliché già presente nelle altre storie di fantascienza, ma nel caso, Nolan è chiaro: “So bene che la storia dell’invasione aliena non é nuova nel filone della fanta-scienza. Tuttavia c’é una differenza essenziale: mentre la maggior parte delle storie, se non tutte, sono am-bientate in America o quantomeno nelle grandi città, la mia é ambien-tata in una piccola città. Una città che al lettore più attento non sarà neanche tanto misteriosa. Di solito siamo abituati a vedere i grandi mo-numenti distrutti dalle forze aliene

arrivate sulla terra: la Tour Eiffel, il Campidoglio. Nella mia storia que-sto non succede. Siamo in provincia qui”.

C’é poi la questione dello stile.“Il libro é scritto in prima perso-

na, non perché il protagonista sia io, - ha precisato l’autore - ma sempli-cemente perché credo che scrivere in prima persona mi consenta di im-medesimarmi di più e lo permetta anche al lettore. É uno stile che ho mutuato da uno dei più grandi scrit-tori del Novecento, Howard Phillips Lovecraft, e che ho cercato di imi-tare da umile allievo del maestro. Inoltre, la scrittura in prima persona mi sembra più idonea a dettare me-glio i tempi del racconto”

Sulle prospettive per il futuro, in-fine, l’autore è chiaro: “Continuerò a sfruttare la mia abilità con la scrit-tura per fare altre pubblicazioni, ma continuerò anche sulla strada del giornalismo. Spero che il

libro sia un successo e che lo leg-gano in tanti, perché la pubblicazio-ne è arrivata in modo inaspettato, certamente non per guadagnare dei soldi. Era un sogno da realizzare e alla fine ci sono riuscito”.

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giugno 201526

mensile della Chiesa di Nola

Gigli di Nola: alla scoperta dei rivestimenti scelti, quest’anno, per gli obelischi dedicati a san Paolino

L’ABItO PER LA FEStALuisa Panagrosso

La festa dei Gigli è un rito che vede protagoniste delle macchine di le-

gno e i loro rivestimenti in cartape-sta; se la costruzione della struttura segue delle regole codificate dall’e-sperienza, la decorazione del giglio può presentare ogni anno dei cam-biamenti, dettati dall’evoluzione del gusto e dello stile.

In origine furono cerei, poi cata-letti e infine torri, obelischi a metà tra guglie e apparati effimeri pro-cessionali, ornati di nastri, fiori e racemi vegetali, tanto diffusi in età barocca (così ricorda i gigli lo sto-rico Remondini). E proprio “baroc-co” è l’aggettivo più utilizzato per

descrivere i rivestimenti dei gigli di Nola, laddove per barocco si intende qualcosa capace di stupire, che sia ricco e ridondante.

Questo poderoso insieme di legno e cartapesta trova la sua naturale condizione nel movimento; per que-sto motivo, come l’artista realizzan-do un’opera tiene conto della luce naturale alla quale sarà esposta, allo stesso modo il progettista dovrebbe considerare il giglio come un corpo in movimento, una statua che pren-de forma tra la folla: sarebbe oppor-tuno quindi non privilegiare solo la visione frontale del giglio, poiché esso balla, oscilla, sussulta animato

dai cullatori. Inoltre, continuando il paralleli-

smo con le opere d’arte, così come una statua concepita per stare in alto va vista solo dal basso, allo stesso modo l’osservatore guarde-rà il giglio con il naso all’insù, per coglierne lo spettacolare sviluppo verticale. Quindi il rivestimento do-vrebbe tener conto del movimento, della verticalità della macchina e, ovviamente, dell’aspetto iconografi-co e del materiale.

Fatte queste doverose premes-se, dedichiamoci ora all’abito che gli otto gigli e la barca hanno scel-to per la festa di quest’anno, valu-

Ortolano Salumiere Bettoliere Panettiere

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27giugno 2015

in rUbriCatando quanto gli ideatori abbiano percorso la strada della tradizione o dell’innovazione. Il primo, l’Ortola-no, non solo rispetta la tradizione, ma si sofferma sull’arte della carta-pesta. Esso rappresenta una sinte-si delle eccellenze di Nola, tra cui l’Assunta della Cattedrale, superba opera in cartapesta, e di Lecce, l’al-tro centro di riferimento per questo ambito, richiamata nelle forme del barocco leccese nonché nel colore caldo della tipica pietra.

Di segno opposto la scelta stili-stica del Salumiere, in cui le volute e la complessità barocca cedono il passo all’essenzialità delle linee e alla bidimensionalità: l’utilizzo di un segno grafico forte, moderne ico-ne, un linguaggio cromatico molto essenziale, naif. Legati alla tradizio-ne, invece, i gigli del Bettoliere, con il tema dell’acqua e del battesimo, e il Panettiere che, incentrato op-portunamente sul tema dell’ostia, si

presenta come un ostensorio ricca-mente decorato, con al centro i due santi patroni Felice e Paolino.

Dello stesso tenore sono le scelte adoperate per la Barca e il Beccaio, i quali tra riccioli e forme frastaglia-te sembrano imitare degli stucchi barocchi, per il Calzolaio, che con eleganza sviluppa il tema della cor-porazione, attraverso dei medaglio-ni che ripropongono i sapienti gesti del mestiere.

Agli antipodi della tradizione sono il Fabbro e il Sarto. Il primo, giocato su una felice alternanza di cubi tra “pieni e vuoti”, affronta il tema dell’instabilità e dell’equili-brio, della ricerca delle proprie ra-dici, rappresentata da mani tese che si rincorrono. Come accaduto nelle passate edizioni, si pensi all’altis-simo esempio del giglio firmato da Mimmo Paladino, viene meno l’ico-nografia tradizionale e il riferimen-to al tema religioso, e si esprime un

tema sociale attraverso uno stile più “moderno”.

Non convenzionale risulta essere l’ultimo giglio, a quattro facce, il Sarto. Definito onirico, esso effetti-vamente sembra voler tradurre in re-altà un sogno, e, strizzando l’occhio al surrealismo, fa ricorso a simboli e a significati non immediati, come un alveare a rappresentare l’operosità delle api, due orologi, un cullatore mitologico e una maliarda sirena po-sti alla base.

Meno imponente degli otto obeli-schi, la barca, segno del ritorno in patria del santo e simbolo della ri-nascita, sempre possibile, per chi ha fede, si eleva quest’anno con ele-ganza e sobrietà barocca: gigli do-rati avvolgono lo scintillante sfondo bianco quasi a voler ricordare che il futuro della festa è tutto lì, nella capacità del popolo, degli otto gigli, di proteggere la tradizione d’amore gratuito che la barca rappresenta.

Beccaio Calzolaio Fabbro Sarto

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