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Associazione Centro Culturale
Il Palco Onlus San Paolo
MERCOLEDÌ 4 NOVEMBRE 2009 Cinema e media:
un mondo da conoscere Relatore: Michele Crocchiola
direttore artistico di Stensen/Cinema
MERCOLEDÌ 11 NOVEMBRE 2009 Impossibile fare un film?
Da un sogno ad una pellicola Relatore: Federico Bondi
regista di "Mar Nero" (film premiato al festival di Locarno 2008)
MERCOLEDÌ 18 NOVEMBRE 2009 Fare formazione culturale
con il cinema Relatore: don Andrea Bigalli
sacerdote e critico cinematografico
PER CHI?
Animatori di cineforum Appassionati di cinema e … chiunque sia interessato!
Dove?
Casa della Gioventù piazza E. Dalla Costa, 25
Firenze
INFO: Centro Diocesano di Pastorale Giovanile
0552763724 www.diocesifirenze.it/giovani
e-mail: [email protected]
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PRESENTAZIONE
Sono qui trascritti i contributi dei relatori che sono intervenuti al corso d’introduzione al linguaggio cinematografico, promosso dal Centro Diocesano di Pastorale Giovanile di Firenze, nel Novembre del 2009. Nel primo incontro Michele Crocchiola ha tracciato un percorso nel mondo dell’audiovisivo: non solo cinema, ma anche cartoni animati, videoclip, documentari, mettendo in risalto le peculiarità di questi linguaggi. Inoltre, in qualità di direttore artistico di Stensen/Cinema e moderatore di cineforum, Crocchiola ha dato alcune indicazioni importanti per coloro che vogliono organizzare cineforum. La seconda data ha visto il regista Federico Bondi dialogare con il critico cinematografico don Andrea Bigalli, spiegando come nasce un film, come funziona la produzione e la distribuzione delle opere cinematografiche. Infine nell’ultimo appuntamento don Andrea Bigalli ha richiamato l’alto valore culturale del cinema, fornendo suggerimenti preziosi per quelli che intendono usare i film con i ragazzi, ma non solo. Queste dispense vogliono essere uno strumento utile per tutti coloro che sono appassionati di cinema ed anche per quelli che vogliono usare il mezzo film per educare e fare catechesi, sia con i giovani che con gli adulti. Al fine di sfruttare al meglio le enormi potenzialità della cinematografia, occorre avere un approccio sempre critico e consapevole a questo grande mezzo di comunicazione, avvalendosi di una formazione adeguata. Questo corso si era prefisso proprio quest’ultimo scopo.
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Cinema e media: un mondo da conoscere
Michele Crocchiola1
(direttore artistico di Stensen/Cinema)
Stasera parlerò di cinema, ma anche di altre cose.
Da nove anni sono responsabile delle attività
cinematografiche dell’Istituto Stensen in viale
Don Minzoni a Firenze. La prima cosa che ho
fatto quando sono arrivato è stato di togliere tutte
le tessere, gli abbonamenti e le varie forme che
vincolassero gli spettatori. Infatti se l’interesse
era di fare cultura, una cultura basata sul
confronto, se volevamo che il linguaggio
cinematografico fosse uno strumento per creare un confronto e una discussione, dovevamo tenere
questo luogo più aperto possibile, dunque via tutte le modalità vincolanti: la porta è sempre aperta,
lo spettatore si presenta, paga il biglietto (se il film è a pagamento) oppure entra gratuitamente (se il
film è sovvenzionato da qualcuno). Secondo me è importante mettere al centro lo spettatore,
tutelarlo, rendergli più facile possibile partecipare a questi eventi.
Organizzare un cineforum: alcune indicazioni
Se fai un cineforum, se fai un’attività aperta al pubblico dobbiamo essere più disponibili possibile
all’accoglienza, eliminando tutti quei vincoli di cui parlavo prima.
In questo senso il primo elemento che noi offriamo è il film che deve iniziare puntualmente: la
presentazione deve essere quindi ridotta al minimo e non essere un quarto d’ora di chiacchiere.
Si fornisce la scheda scritta2 sul film ed al termine della proiezione, chi vuole può rimanere a
discutere. A distanza di nove anni c’è ancora un terzo della sala che va via al momento dei titoli di
coda, altri invece rimangono anche fino a mezzanotte per confrontarsi fra di loro su vari temi.
La persona che fa il commento al film si deve preparare anche se non eccessivamente, deve prima
vedersi il film, leggersi qualche articolo su riviste specializzate come “Cineforum” o “Ciak” (a cui
ci si può abbonare). Il moderatore fornisce quindi una prima lettura (dieci minuti circa), poi chiede
al pubblico se ci sono commenti, emozioni…Non si chiede a nessuno di essere un critico 1 Michele Crocchiola, laureato in Scienze Politiche, da nove anni è direttore artistico di Stensen/Cinema. 2 E’ la scheda di presentazione del film in cui sono presentati gli attori, il regista, la casa di produzione, una sintesi della trama. Un esempio di questa scheda è disponibile sul sito www.acec.it
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cinematografico, l’importante è iniziare parlarne …(es. “A me il film ha fatto piangere”, “A me è
piaciuto l’attore”). C’è sempre il problema che le persone non intervengono perché non si sentono
all’altezza del commento cinematografico. Occorre tenere presente il pubblico che si ha davanti,
cercando di fornire un certo numero di informazioni (il regista, chi l’ha prodotto, notizie sugli
attori..) riguardo alla tematica, al contenuto, al messaggio che il film può avere, unito, ma solo come
terzo elemento, al linguaggio cinematografico, senza entrare in tecnicismi cinematografici (cos’è un
piano americano?...). Il commento deve essere il più vivace, il più interattivo possibile, mischiando
questi elementi. Se leggendo del film trovate del gossip (es. “l’attore x è famoso per aver
frequentato l’attrice y) metteteci dentro anche quello, serve a tenere sveglia la platea; detto questo,
si passa poi agli aspetti tematici: è importante equilibrare tutti questi elementi.
L’animatore di cineforum non è un esperto di cinema, è un esperto di società, di persone, di
tematiche, è uno che legge giornali, non deve essere necessariamente laureato in Scienze della
Comunicazione: bisogna essere curiosi. Un animatore di cineforum deve rendersi conto di quello
che le persone intorno a noi (soprattutto i giovani) vivono, fanno, utilizzano. Oggi una qualunque
iniziativa sull’audiovisivo deve cavalcare e non subire il cambiamento che è in atto, deve fare
educazione su quello che sta succedendo ora; ci sono altri modi e luoghi in cui s’impara la storia
dell’arte, del cinema e della cultura in generale: non è compito del cineforum. Anche se per
l’approfondimento ci si può avvalere di persone esperte di storia dell’arte (ad esempio a volte
invitavo una ragazza laureata in storia dell’arte che ci aiutava a cogliere in alcuni film i riferimenti a
dipinti, sculture…).
Fatta questa puntualizzazione generale, a proposito di cambiamenti si sta passando da un mercato
di massa ad una massa di mercati, si stanno creando delle nicchie di appassionati più o meno
infinite (appassionati di cinema indiano, horror, africano…): esistevano anche prima, ma non
avevano accesso al prodotto. Adesso non è più così: ora posso passare mesi a guardarmi in casa film
del cinema africano!
La sfida è continuare a fare delle attività che preservano la socialità della visione, il nostro lavoro è
combattere la visione solitaria (per le persone più giovani avviene sul computer..). Il cinema nasce
per essere visto in una sala buia senza distrazioni: al buio, con uno schermo davanti, con lo spettro
dei nostri occhi che ha una certa angolazione, tu t’immergi in un “flusso di emozioni”, ti cali nel
film, è tutta un’altra visione. Noi vogliamo preservare questo tipo di visione. C’è dunque una
questione tecnica ed una questione di socialità, cioè lo vediamo insieme e poi se ne discute.
La discussione può avere due macrocategorie: 1) tematica: plasmare il film o il ciclo di film ad un
tema (es. “civiltà a confronto”, si scelgono quattro film che parlano di questo tema); al termine si
prende spunto dal film, ma non s’impedisce di parlare del fatto di cronaca del giorno. Secondo me
questa è la formula che può funzionare di più. 2) attenendosi di più al film: si commentano le
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scene del film, è una modalità classica, ma non funziona con tutti i lungometraggi. Se non avete
molta esperienza del commento cinematografico, seguite la regola di farvi una scaletta che
ripercorre il film (es. “La prima scena è interessante perché si collega a quest’altra…”).
Leggere il cinema
Oggi nella categoria “cinema” ci sta dentro di tutto: dalla pubblicità al videoclip ai grandi autori;
meglio usare il termine di “audiovisivo”.
Adesso vediamo un videoclip di un brano musicale intitolato Africa di un gruppo che si chiama
Leftfield. E’ uno strumento più che ottimale per parlare di contenuti e di leggere il cinema.
In quattro minuti infatti sono condensate ironia, denuncia sociale e corrisponde a tutti gli stilemi del
linguaggio del videoclip.
La domanda che vi faccio: ha ancora senso quando si organizza una rassegna, chiamarla una
rassegna di cinema? La mia provocazione è: siamo sicuri che quello che stiamo vivendo in questo
momento sia un’attività prettamente cinematografica?
Adesso vediamo una rivisitazione di Cappuccetto Rosso fatta da Tex Avery produttore di cartoni
animati negli anni Quaranta – Cinquanta. Tex Avery ha influenzato sessanta anni di cinema
successivo (es. gli occhi che escono dalle orbite si ritrova citato in tanti film americani come The
Mask). Strumenti come questo, cioè determinate animazioni degli anni Quaranta – Cinquanta
possono essere molto utili per divertirsi ad analizzare delle idiosincrasie che sono sempre molto
attuali e per offrire degli spazi per conoscenze di tipo differente. Filmati come questi non
necessariamente devono avere un ruolo educativo, non dobbiamo vederlo solo come strumento, ma
dobbiamo essere consci che fanno parte di un mondo che si è aperto: su Internet si trova questo e
tanto altro. Una cosa notevole di Youtube è che spesso ci sono estratti di filmati, alcune scene di un
film (ad es. il monologo di De Niro davanti allo specchio in Taxi Driver). In generale siamo in un
movimento tale che ci mancano gli strumenti per interpretarlo.
Adesso vediamo una parte di Heimat III di Edgar Reitz, film sulla storia della Germania. Questo è
l’opposto di quello che abbiamo visto prima perché mentre gli altri erano flash su cui si poteva
discutere, tematicamente nel videoclip, a livello di storia del cinema con Tex Avery, questa scena di
Heimat è un dialogo sul capitalismo, utile a far partire, ad esempio, una discussione sul sistema
economico: la cosa interessante è che da film come questo si può prendere dei pezzetti ed utilizzarli
per dibattere e confrontarsi su vari argomenti.
Guardiamo ora un estratto dal documentario americano The Corporation, sulle multinazionali: è
molto chiaro su come funzionano i loro consigli di amministrazione….E’ l’esempio di come i film e
i documentari, se fatti bene, danno l’occasione per imparare, per allargare i propri orizzonti.
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Infine proietto un passaggio del film In linea con l’assassino. E’ un film che hanno visto tanti, la
scena che vi evidenzio può essere considerata come istruttiva su come funziona il mondo della
comunicazione, su come viene plasmato il mondo della comunicazione.
Tutti questi esempi, l’ultimo più prettamente cinematografico, indicano che dobbiamo guardare tutti
i film, stando attenti a tematiche, implicazioni che un film può offrire per discutere. In un classe di
scuola oppure ad un catechismo, si può prendere spunto da un mezzo audiovisivo.
Come consiglio, vi invito a costruirvi un’attenzione, una curiosità, guardare al materiale audiovisivo
con occhio critico e contenutistico. Quello che fa la differenza è la persona, come voi sarete in
grado di leggere quello che vedete e, poi filtrato dalla vostra esperienza, rendetelo alle persone con
cui siete in contatto.
Risposte a domande del pubblico - Quale consiglio per un ragazzo che vuole lavorare nel mondo del cinema?
CROCCHIOLA: Il mio invito è di andare sul set, rendendosi conto delle persone che
contribuiscono a creare il prodotto: è così che si fa esperienza, essendo disponibili a fare qualsiasi
lavoro (dall’aiuto elettricista, al catering…). Per andare sul set è meglio rivolgersi alle produzioni,
alle film commission come qui da noi, la Mediateca Toscana; queste forniscono le manovalanze
locali alle case di produzione che girano in Toscana, oppure si può mandare direttamente la propria
candidatura alle case di produzioni.
- Come proporre degli spezzoni di film ad un pubblico anche giovane?
CROCCHIOLA: In un corso ha senso far vedere degli spezzoni, se invece si hanno a disposizione
due ore, conviene farlo vedere tutto, preparandosi prima per un eventuale discussione. Se si ha poco
tempo, conviene far vedere cose corte. I documentari sono fatti per il mercato televisivo che chiede
filmati da 50-55 minuti. Ci sono due opportunità in Italia: 1) www.docume.org è il principale
noleggiatore di documentari in Italia; 2) il portale www.documentario.it
Non esiste solo il cinema, esistono anche documentari utili allo scopo di fare formazione con i
giovani.
Esiste un progetto patrocinato dalla Regione, intitolato Lanterne magiche che vuole aiutare gli
insegnanti ad usare e commentare i film in classe con gli studenti.
- Cosa tenere presente quando guardiamo un film?
CROCCHIOLA: Non c’è una cosa in particolare, quando mi colpisce una scena o una frase,
prendo appunti su un block notes o sul cellulare. Quando si guarda un film però dobbiamo lasciarsi
andare all’emozione: se un film commuove, piangete, se vi fa stare bene, ridete….Se poi dovete
lavorarci sopra, guardatelo una seconda volta, prendendo appunti, leggendo qualcosa. Comunque il
critico cinematografico non perde mai il gusto di lasciarsi coinvolgere dal film.
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Impossibile fare un film? Da un sogno ad una pellicola
Conversazione tra don Andrea Bigalli3 ed il regista Federico Bondi4
DON ANDREA BIGALLI: Come sei arrivato a fare il regista? FEDERICO BONDI: Ho cominciato facendo
cortometraggi con gli amici, all’età di quindici
anni, con la telecamera di mio padre. Finito il
liceo mi sono iscritto all’Università di Firenze, al
Corso di laurea di Musica e Spettacolo e
parallelamente ho frequentato un corso per
operatori e montatori cinetelevisivi che mi ha
dato gli strumenti di conoscenza del mezzo e l’opportunità di entrare in contatto con le realtà locali
(Mediateca Regionale Toscana, televisioni locali…). Fondamentalmente nasco come operatore e
montatore e l’università mi ha stimolato una curiosità che già c’era. Per quanto riguarda il lavoro,
sul set ho fatto di tutto: elettricista, fonico, assistente alla macchina, operatore, aiuto regista.
Contemporaneamente avevo i miei documentari, i miei cortometraggi. Non ho fatto una scuola di
cinema vera e propria, come il Centro Sperimentale di Cinematografia, volevo rimanere a Firenze.
Con l’avvento delle tecnologie digitali si è rivoluzionato il mondo dell’audiovisivo, è in atto ormai
da anni una democratizzazione del cinema: tutti potenzialmente siamo in grado di fare un film,
basta avere una telecamera ed un programma giusto e te lo monti da solo. Ciò che fa la differenza
però sono i contenuti, per cui ho letto molto, molto più di vedere i film. E’ così che sono arrivato a
Mar Nero, la storia in breve di un rapporto di amicizia tra un’anziana fiorentina ed una giovane
badante rumena, tratta da vicende di carattere autobiografico: Gemma era mia nonna ed Angela la
sua badante. Personalmente ho potuto vedere la trasformazione di mia nonna che, indurita dalla
vita, grazie alla pazienza ed all’affetto di questa ragazza mia nonna s’è realmente sciolta. Per cui
c’era la materia umana per fare un film, questa evoluzione dovuta al rapporto tra due persone
3 Don Andrea Bigalli, 48 anni, è parroco dal 1999 a Sant’Andrea in Percussina (San Casciano Val di Pesa), insegna religione nelle scuole superiori di Firenze. Vice direttore della “Caritas” toscana dal 1998 al 2005. Componente del Comitato Regionale toscano di “Libera”, del Consiglio Nazionale di “Pax Christi”, membro della Redazione di “Mosaico di Pace”. Fa parte del Direttivo della Rivista “Testimonianze”, ed è membro del Comitato tecnico scientifico della Fondazione “Ernesto Balducci”. Giornalista pubblicista dal 1995, è critico cinematografico e opinionista presso “Radio Toscana”. 4 Federico Bondi è nato a Firenze nel 1975. Si è laureato in Lettere presso l’Università di Firenze. Dal 1996, è autore e regista di cortometraggi e documentari, oltre che di spot e videoclip. Con il film “Mar Nero” (2008) Bondi ha ottenuto tre premi alla 61esima edizione del Festival del Cinema di Locarno, tra cui il premio per la miglior regia e quello della Giuria ecumenica.
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costrette a dividere lo stesso spazio ventiquattro ore al giorno. Poi volevo mandare un messaggio
positivo: di solito le badanti sono rappresentate come persone che vogliono raggirare gli anziani, io
invece ho cercato di rendere il rapporto straordinario tra queste due donne. Tutto è ruotato intorno
ad un “se”:«Se Angela fosse costretta a tornare in Romania, mia nonna che avrebbe fatto?». Mia
nonna sarebbe partita, grazie all’affetto che la legava alla sua badante. Con questa intuizione ho
potuto fare il film, l’idea iniziale è come una scintilla: mi ricordo che uscii da casa di mia nonna,
dopo aver assistito ad un dialogo straordinario tra loro due e dissi:«Questo è un film!».
DON ANDREA: Raccontaci il tuo incontro con il produttore di “Mar Nero”.
BONDI: E’ fondamentale credere fermamente all’idea originaria, ti aiuta tanto, anche agli occhi del
produttore che vedeva che ero convinto. Ho trovato un produttore che ci ha creduto tanto, che mi ha
sostenuto, anche in fase di distribuzione, che è il grosso problema del cinema italiano.
Io ho incontrato il mio produttore per caso a Torino, alle giornate del cinema e dell’audiovisivo e lì
ho avuto modo di parlargli direttamente della storia: non bisogna aver paura di avere tra le mani una
storia semplice. E’ importante raccontare il film in maniera coincisa: il produttore non ha tempo di
ascoltare tutti i dettagli.
Senza il produttore non fai nulla, il film non è frutto di un singolo, ma è frutto di una collaborazione
continua. Un produttore indipendente che va alla ricerca di storie è più che altro alla ricerca di
autori, da mantenere nel tempo (se Mar Nero ha fatto centomila spettatori, si spera che col secondo
film ne faccia molti di più). E’ fondamentale davanti al produttore mostrarsi molto sicuro di sé e
della propria storia: devi essere credibile, devi sapere cosa vuoi dire. Per costruire un film, una
storia, devi conoscere perfettamente ciò di cui parli e devi parlare di ciò che conosci.
In questo anno mi sono arrivati soggetti, sceneggiature: è tempo perso, anche se le mandi al
produttore che, come dicevo, non ha tempo. Eventualmente gli puoi mandare una sinossi (una
pagina in cui si racconta il nucleo del film) e poi da lì se c’è un interesse, puoi scrivere un
trattamento. Il produttore a questo punto opzionerà il soggetto e solo allora scriverai la
sceneggiatura, anche insieme al produttore che vuole essere parte attiva del progetto perché investe
tempo, forze, denaro.
Personalmente ho letto alcune sceneggiature che mi sono arrivate: storie di fantascienza, gialli
metafisici, il filone giovanilistico. Mi viene in mente Saviano, ancora adolescente, scrive un
racconto metafisico che manda ad un editore che gli scrive una lettera in cui gli dice:«Sai scrivere,
ma affacciati alla finestra e descrivi ciò che vedi» (aveva visto da dove era stata spedita la lettera).
Saviano ha seguito il consiglio ed è stata la sua fortuna: raccontare ciò che si conosce bene, così sai
cosa far dire ai personaggi.
Il processo di creazione di un film è a togliere fino ad arrivare all’essenziale. Io avevo una mole
impressionante di idee, dialoghi, poi si è trattato di levare, per dare compattezza ed equilibrio alla
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struttura; sto parlando della scrittura che è, a mio parere, la fase più importate. Se non avessi avuto
una sceneggiatura solida, non ce l’avrei mai fatta: avevo cinque settimane per girarlo, senza un
piano di regia ben preciso, non sarei riuscito a realizzare la mia opera perché sul set il tempo vola,
con il direttore di produzione, ad esempio, che ti assilla con i tempi da rispettare perché altrimenti
scattano gli straordinari.
Bisogna andare lì con delle idee chiare, per evitare di perdersi. Io scrivo su taccuini e poi ricopio sui
files del computer. Tornatore invece, almeno per Nuovo Cinema Paradiso, buttava fogliettini in uno
scatolone con delle idee, che poi ha ripreso per fare il film.
DON ANDREA: Come ti sei trovato a lavorare con mostri sacri come Corso Salani e Ilaria Occhini? BONDI: Corso aveva tre pose nel film ed in quelle tre, quattro volte che è stato sul set di Mar Nero
mi ha trasmesso pace.
Ilaria Occhini ha interpretato mia nonna che era la prima ad essere teatrale, recitava la parte di
quella che non voleva la badante in casa, per poi perdere pian piano questa maschera.
La Occhini che viene dal teatro, da esperienze straordinarie, aveva un’impostazione diversa da
quella di Dorothea Petre, attrice rumena che arriva invece dal cinema: Ilaria s’imparava la parte a
memoria, mentre Dorothea improvvisava di più ed io stesso volevo che non l’imparasse perché
avresti perso la forza di una lingua che Angela non conosceva, doveva conoscere bene il senso della
scena, senza conoscere le battute. Tra questi due approcci sentivo che all’inizio c’era un po’ di
stridore, ma alla fine è andata bene. Per quel che concerne le riprese, ho voluto mantenere lo
sviluppo cronologico della vicenda, cosa che nel cinema è rara, in cui di solito si gira in maniera
non cronologica.
DON ANDREA: Quante era il budget a disposizione per il film e quanto tempo avete trascorso in Romania per le riprese (tra l’altro la parte rumena è molto bella, a mio parere)? BONDI: Abbiamo trascorso una settimana in Romania. Il budget per il film è stato di 850.000 euro,
è una fascia media per un esordio. Il film di un esordio può costare un milione e mezzo, dunque
abbiamo speso la metà.
DON ANDREA: La selezione del cast com’è avvenuta?
BONDI: Il lavoro per la scelta del cast è stato legato alla produzione, ne abbiamo parlato insieme,
ma l’input è venuto da me, non c’è stata nessuna imposizione da parte del produttore. Ilaria Occhini
è stata scelta con un provino, c’erano anche altre attrici, non fiorentine, ma lei ha fatto il provino
migliore: non volevo rinunciare alla fiorentinità, al linguaggio fiorentino che ha un ruolo importante
nel film.
DON ANDREA: Il lavoro di scrittura sul tuo film si vede. Uno dei grossi problemi del cinema contemporaneo è proprio la carenza della scrittura dei testi; non è un caso che oggi gli sceneggiatori sono pagati quasi più dei registi.
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BONDI: Prima insistevo molto proprio sui contenuti. Spesso invece i registi alle prime armi sono
più affascinati dalla tecnica, dalla forma, ma la forma non è nulla. Ogni film poi ha la sua forma, c’è
una fusione tra stile e contenuto.
DON ANDREA: Qual è la dinamica della distribuzione cinematografica? BONDI: Mar Nero non ha avuto un budget per la promozione. La fortuna del film l’ha fatta il
passaparola e l’appoggio della critica che ne ha parlato bene, sull’onda del festival. Il mio film è
stato in concorso a Locarno, come unico film italiano, abbiamo vinto tre premi, nonostante ciò, pur
con la collaborazione di Rai Cinema non avevamo distribuzione. In Italia le due grandi major della
distribuzione sono 01 e Medusa. 01 avrebbe distribuito il film, ma a Maggio e ciò avrebbe
significato perdere la scia del festival, i David di Donatello, rischiare anche di bruciare il film in un
periodo, quello pre-estivo, dove la gente è meno attenta alla programmazione dei cinema.
Il produttore allora ha deciso di distribuire il film in maniera indipendente, cioè senza essere legato
a queste due major, andando direttamente all’associazione degli esercenti. Uscire in modo
indipendente vuol dire essere presenti con dodici copie, come nel caso di Mar Nero. Vuol dire
uscire solo nelle maggiori città italiane. Grazie a questa distribuzione indipendente però il mio film
è stato 7 mesi al cinema Mexico di Milano, gestito da un esercente illuminato che non rientra nelle
logiche di mercato di distribuzione monopolizzata. Ha tenuto, ad esempio, venti mesi il film “Il
vento fa il suo giro”: ciò può voler dire fare la fortuna di un film. Sono due approcci diversi, non so
quale preferire: con le major il film dopo un mese sarebbe uscito dalle sale.
Mar Nero a Firenze è stato tre settimane al Cinema Marconi ed andava benissimo, nonostante
questo dopo tre settimane lo dovevano levare per dare la possibilità di entrare ad un altro film. Oggi
un film non è più visto come prodotto autonomo, ma fa parte di un pacchetto di film che viene
venduto. Molte opere prime non riescono ad essere distribuite, non vengono viste, anche perché
mancano le sale, non c’è libero accesso al prodotto. Gli esercenti dei cinema comprano pacchetti di
film, difficilmente danno spazio a chi offre solo un “prodotto”.
DON ANDREA: Raccontaci a questo punto quale sarà il secondo film?
BONDI: Bisogna non farsi prendere dalla fretta, ma sviluppare le idee con pazienza. E’ importante
andare alla ricerca di segni continui. Pensavo ad un film che riguardasse l’Africa, la storia di una
volontaria: da tempo infatti ho conosciuto O.N.G che lavorano nel Sud del mondo. Avevo buttato
giù qualcosa quando Unicoop Firenze mi ha chiesto di andare in Kenya, nell’ambito di un progetto
che portasse alcuni giovani in Africa.
DON ANDREA: Lavorerai con lo stesso produttore? BONDI: Certamente, io gli devo molto e si è stabilito un rapporto di fiducia, che non mi fa avere
dubbi.
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DON ANDREA: Tu citavi nuove tecnologie per linguaggi diversi e nuove potenzialità produttive. Cosa vedi di fermento anche nel cinema italiano? BONDI: Non ho idee sul futuro del cinema italiano, ci sono tanti registi, ognuno con la sua poetica,
più o meno giovani. Ho visto degli ottimi film negli ultimi anni.
Risposte a domande del pubblico - Sono stato molto contenta di conoscere un regista, anche se sono rimasta sorpresa perché avrei pensato più ad una dimensione creativa del regista, mentre tu hai sottolineato di più l’esperienza, storie che vengono dal vissuto. BONDI: Per la mia opera prima dovevo dimostrare di crederci e se non partivo dalla realtà non
avrei avuto elementi. Per questo devo anche ringraziare Ugo Chiti che ha collaborato alla
sceneggiatura.
Bresson diceva che «creare non significa deformare o inventare persone o cose. Vuol dire stringere
fra persone e cose che esistono, già così come sono, rapporti nuovi».
Da parte sua il poeta Rainer Maria Rilke mostra come sia importante il ricordo dell’esperienza
personale, della vita vissuta:«Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una
vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe
che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già
presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono
conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si
schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati
e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai
genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era
una gioia per altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante
trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al
mare, a mari, a notti di viaggio che passavamo alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e
non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna
uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono.
Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera
con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve
poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino.
Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e
gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga
nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso».
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- Nella lavorazione del film quanto è importante riferirsi all’ idea originaria? BONDI: Io avevo un messaggio ben preciso, un’idea ben precisa e questa non l’ho mai cambiata.
Qui si ritorna all’importanza di una storia semplice: solo se hai una storia semplice puoi andare in
profondità, con una storia complessa ti limiti a rimanere in superficie ed è difficile tenerla insieme.
Ci sono registi che partono dall’affascinazione di un titolo, altri che iniziano da un luogo, da un
paesaggio, un personaggio o un’immagine, registi che sono più o meno intenzionati a lasciare un
messaggio. Per il mio primo film avevo chiaro il messaggio e l’ho mantenuto.
- Che valore possono avere i cineforum e che consiglio daresti a persone che vogliono fare il cinema?
BONDI: Il cineclub non funziona più, occorre reinventarlo: bisogna rendere partecipe lo spettatore,
renderlo parte attiva di un collettivo di persone, organizzando ad esempio un piccolo festival tra
associati, premiando il film con la fotografia migliore……Magari opere di autori italiani in modo
che poi li chiami, e invitare un regista che porta la sua esperienza può essere di richiamo per altre
persone.
Per quanto riguarda l’altra questione, se uno vuol fare cinema, oggi è molto più semplice. Negli
anni ’70 non potevi fare un film se non andavi a Roma, oggi si può rimanere a Firenze. Oggi con
una telecamera da 500 euro ed un programma al computer puoi creare un film: è un’opportunità che
i giovani di dieci anni fa non avevano, anche perché la qualità del VHS era pessima, oggi invece il
tuo film in digitale può essere proiettato al cinema. Tutto allora sta nell’idea, la storia fa la
differenza; il consiglio che vi do è di guardarvi intorno, segnarvi tutto, leggere, vedere film.
- Conta di più la critica cinematografica o il pubblico?
BONDI: Contano tutte e due allo stesso modo. Io devo molto ai critici che hanno parlato bene del
mio film e questo ha convogliato tante persone al cinema.
- Quale compito aspetta il cinema?
BONDI: Nella televisione regna la superficialità, non si può approfondire. Il cinema ed il
documentario sono chiamati ad approfondire perché abbiamo bisogno di capire. Ho parlato con
documentaristi che spinti dal desiderio di approfondire hanno raccontato tutta una serie di storie,
con l’idea di agire, agire per capire, approfondire, scoprire la verità. Un documentario di questo
genere però non passerà mai in televisione perché dura troppo, perché non rispecchia i modelli
omologati della televisione. C’è il rischio che il sistema ci obblighi a rimanere immaturi, dobbiamo
essere noi a cercare le notizie che c’interessano.
DON ANDREA: Bisogna puntare sulla qualità delle iniziative e sulla formazione, senza la
preoccupazione di contarsi. La battaglia per la qualità è una battaglia che dobbiamo fare e che può
riservare delle belle sorprese come Paolini che fa uno spettacolo in televisione sul Vajont con otto
milioni di spettatori. Il lavoro dell’istruzione, dell’educare al senso critico deve essere fatto. Il libro
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le nuove generazioni (tra i 14 ed i 20 anni) lo stanno perdendo come strumento: spesso leggono
perché costretti ed allora a maggior ragione non gli piace.
- Cosa s’intende per ritmo di un film?
BONDI: E’ la tensione narrativa, drammaturgica che tiene lo spettatore seduto e partecipe per cui
devi seguire delle regole, che in certi casi possono essere infrante.
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Fare formazione culturale con il cinema
Don Andrea Bigalli (critico cinematografico)
L’incontro di stasera vuole essere un
approfondimento culturale, in un’ottica pastorale.
Innanzitutto il concetto di cultura: essa rappresenta
tutto quello che possediamo a livello individuale e
nell’ottica collettiva per metterci in relazione con la
realtà circostante, non solo per conoscerla ed
ordinarne gli elementi, ma anche per trasformala.
Lo strumento culturale è la prospettiva attraverso cui
noi riprendiamo l’elemento creativo di Dio: Dio parla e le cose sono. Ugualmente le cose che
immaginiamo e pensiamo siamo a volte in grado di costruirle e realizzarle. Il cinema fin dall’inizio
si è rivelato come una prospettiva squisitamente culturale: da un lato è la capacità espressiva di una
persona che ponendosi dietro la cinepresa, ordinando il suo racconto per immagini in un certo
modo, esprime se stesso, crea un linguaggio che può comunicare anche con gli altri, ma questo
linguaggio è capace di indurre trasformazioni perché veicola una conoscenza della realtà che non è
soltanto più dell’artista, ma è condivisa e ciò genera anche la prospettiva dell’intesa; un film può
muovere delle convinzioni, delle persone ad agire in un modo piuttosto che in un altro. Il cinema
unisce due linguaggi diversi, immagine e parola, in una ricostruzione della realtà che è rilevante:
attraverso l’immagine ricostruisco la realtà che completo con un suono. Questo mi consente di
riprodurre ciò che esiste già, ma mi permette pure di costruire realtà e vicende che prima non
esistevano. Non c’è storia infatti che il cinema non sia in grado di riprodurre, già gli effetti speciali
hanno determinato di raccontare ciò che prima non si poteva narrare: c’è una prospettiva di assoluta
creatività da questo punto di vista. Pensiamo dunque all’avvento del digitale con cui le immagini
vengono trattate attraverso l’informatica.
Anche se quello che resta importante è produrre delle storie, il cinema fondamentalmente crea delle
storie e quello che conta è l’idea.
Leggere un film
Il cinema si pone su una prospettiva nuova per quanto riguarda il linguaggio della comunicazione e
la realizzazione: il film è un’opera collettiva in cui i ruoli sono diversi e tutto concorre a far sì che
varie competenze ci restituiscano il prodotto che poi noi consumiamo. I titoli di coda infatti sono
sempre più lunghi, a dimostrazione dell’investimento della produzione nella scelta di varie
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competenze: il cinema industriale assomiglia ad una catena di montaggio, elementi diversi su cui
ognuno interviene nel proprio settore.
Per certi versi invece Federico Bondi, che abbiamo ascoltato l’altra settimana, è un cineasta di
vecchia generazione (lo dico per fargli un complimento): ha lavorato in prima persona alla
sceneggiatura, al montaggio.
Un film occorre che sia smontato per capirlo, scomposto nei suoi elementi per fare un’analisi: un
film è la storia, la capacità di dirigere gli attori, la fotografia, la sonorizzazione, la
scenografia…Vedete quanti elementi diversi concorrono e per arrivare a capire il linguaggio che il
regista vuole adoperare, bisogna mettere in campo questi diversi livelli di competenza.
Ad esempio il film Non è un paese per vecchi che ha vinto il premio Oscar due anni fa non ha
colonna sonora, ma i rumori stessi del film costituiscono il sottofondo sonoro: è una scelta stilistica
precisa. In questa ottica bisogna studiare qualcosa, leggere un po’ di critica, ma il cinema s’impara
soprattutto andando al cinema, occorre conoscere gli autori, riprendere opere che non si sono viste.
E’ importante anche un po’ di sistematicità quando si va al cinema, darsi un minimo di
orientamento, creandosi una competenza sui generi.
Personalmente, dovendo fare il critico cinematografico per “Radio Toscana” ho dovuto vedere film
di tutti i generi, superando in alcuni casi una riserva di tipo snobbistico:«Se questa opera la vedono
tutti, allora è brutta». Ciò può essere vero, ma anche i film più brutti intercettano a qualche livello
una necessità della massa degli spettatori, tra l’altro consentono agli esercenti di tirare avanti la
baracca con gli incassi: è la differenza tra cinema commerciale e cinema di qualità. I cineforum si
fanno con film di qualità perché vogliamo educare il pubblico.
Bisogna restituire l’opera cinematografica alla sua realtà di opera d’arte: c’è infatti una differenza
tra film d’autore e film commerciali.
Non si va al cinema solo per divertirsi, ma anche per formarsi. A questo però bisogna arrivarci
secondo una progressione, è necessario educare gradatamente il proprio palato cinematografico. Ci
deve essere questa capacità di riappropriarsi di un film come evento culturale. Il regista, che
esprime se stesso, propone la sua visione, la sua lettura di quanto sta narrando.
Guidando la lettura dei film bisogna insistere sulla cosiddetta semiotica, il cinema è tessuto di segni,
in quanto tessuto di immagini. La grande prospettiva è d’interpretare i segni e ricondurli a quello
che il regista vuol comunicare, ma anche quello che tu stesso identifichi per la tua vita e la tua
esperienza. L’opera d’arte, un volta che si libera dalle mani di chi l’ha concepita, diventa tua. Ci
sono dei film, magari niente di eccezionale, che rappresentano però per la mia vita momenti
particolari. L’artista mi dà qualcosa attraverso cui esprimo me stesso. E questo dovrebbe essere
anche la grande funzione del cinema come momento educativo: io dovrei guidare le persone a
impossessarsi degli elementi che il film introduce perché uno li possa tradurre nella propria realtà di
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vita. Il film, il libro o il disco esprimono ciò che abbiamo dentro. Le generazioni di oggi sono molto
più poveri dei linguaggi di comunicazione, soprattutto sul piano dei sentimenti e delle emozioni.
Insisto molto sul cinema che rimanda ai libri, racconta le storie, ma dovrebbe consegnare la voglia
di tornare al testo originale. Da questo punto di vista il cinema tenta la rilettura di grandi opere,
magari stravolgendole. Difficilmente la riproduzione del testo scritto genera grandissimi film: lo è
stato Apocalipse now di Coppola, tratto dal romanzo di Conrad Cuore di tenebra.
Anche per i registi è importante conoscerne il dato biografico, la filmografia, come si fa per gli
scrittori. Non si capisce ad esempio il cinema di Bergman se non si capisce la sua vicenda di figlio
di un pastore luterano e non si coglie che il protestantesimo svedese è del tutto particolare e si
riflette nella concezione dell’uomo.
Oggi siamo fortunati perché possiamo accedere a tutto quello che vogliamo in tempi rapidi ed a
costi contenuti. La mia generazione invece visto un film al cinema, doveva aspettare che ripassasse
in televisione, dopo almeno 10 anni dall’uscita in sala. Molti film ce li siamo ricordati, non li
potevamo rivedere di continuo come possiamo fare ora.
Il lavoro dei cineforum è ben diverso, anche grazie al dvd ognuno potrà farsi i propri cineforum. Lo
strumento visivo è più disponibile che in passato, adesso abbiamo un’accessibilità assoluta, siamo
davanti ad una dimensione più ricca. Non so in quale forma noi nei prossimi anni usufruiremo del
cinema. Come dicevamo l’altra volta, non so se le sale sopravvivranno, anche a causa di Internet.
Dopo la crisi del cinema, ora c’è la crisi del videonoleggio perché il satellite e la Rete permettono di
avere il film a prezzi inferiori. Ad ogni modo la competenza che vi sarete fatti nel frattempo,
comunque vi sarà utile. Si tratta di prendere il film, saperlo analizzare, selezionarlo, catalogarlo: i
mie colleghi bravi si fanno dello scalette quando vanno a vedere un film, lo rubricano, lo sistemano,
lo dividono per aree tematiche, si creano elenchi che permettono così di rispondere a chi ci
domanda di vedere un film sulla libertà, sulle problematiche giovanili, sulla mafia…
Organizzare un cineforum: un’esperienza
Nel cineforum che dirigo alla San Michele, abbiamo fatto una scelta, selezionando il meglio della
stagione cinematografica precedente, cercando di recuperare i film che non sono stati visti
abbastanza, perché hanno avuto livelli bassi di diffusione, sono stati in sala pochissimo e magari
quando passano in televisione sono collocati in orari molto tardi. Noi selezioniamo le opere con
questo criterio, tentiamo anche di collocarli secondo una griglia che sia tematica, proviamo ad
orientarli per filoni in modo che chi viene abbia già un’indicazione minima su che tipo di film
vedrà. Tutte le volte prepariamo una scheda critica (ci sono vari buoni siti che raccolgono il
materiale critico, un apparato di notizia sul film…) questo serve ad avere elementi immediati sulla
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fruizione del film. Per orientare le visioni abbiamo le classificazioni della CEI, www.acec.it e
www.ancci.it , strumenti molto utili per reperire le schede critiche dei film, le valutazioni pastorali.
Ci sono inoltre dei criteri banali, ad esempio noi non ci possiamo permettere per orario di mettere
film che durino più di due ore, anche perché insistiamo molto sul fatto che cineforum significa
possibilità di assistere al dibattito. Dopo diversi cicli infatti ti accorgi che la gente non viene solo
per il film, ma viene pure per l’analisi della discussione conseguente al film. La sfida è quella di
educarti insieme alle persone che seguono il tuo cineforum, che fanno questa esperienza. Si tratta
anche di avvisare le persone su alcuni elementi del film che vedranno, ad esempio:«Il ritmo è
diverso da quello di cui siamo abituati» (le nuove generazioni pensano a ritmi più veloci dei propri
genitori per cui giudicheranno lento un film che noi invece giudichiamo assolutamente normale).
E’ importante avere anche un minimo di bagaglio sul linguaggio tecnico (cos’è un primo piano,
cos’è un piano sequenze….Basta leggersi qualcosa da un manuale5, sono informazioni che si
leggono in un pomeriggio, ma sono utili). Con questa preparazione possiamo far notare allo
spettatore, ad esempio, dov’è collocata la telecamera. Pensiamo a Shining in cui la macchina da
presa non si sposta più su un carrello, ma viene inventata la steady camera che, montata a spalla,
permette all’operatore di riprendere le scene secondo una prospettiva di visuale nuova che, in quel
caso, crea nello spettatore stati d’animo angosciosi.
Conta molto come s’introduce un film, le persone devono essere attratte dalla cosa che stanno per
vedere. Bisogna anche essere onesti (per esempio “In questo film ci sono difficoltà”), si possono
dare delle indicazioni (anticipare alcune sequenze chiave o dei dialoghi importanti), si può spiegare
il titolo oppure lasciarlo alla fine. Inoltre presentare il film agli adolescenti è diverso che proporlo
ad un pubblico di mezza età, bisogna tenere presente la platea che si ha di fronte. Ma soprattutto in
fase di discussione bisogna avere un’incredibile pazienza sostenuta dalla convinzione che tutti
possono parlare, determinando però i tempi degli interventi (il dibattito va moderato e tenuto vivo).
Alla fine si deve concludere con il messaggio del film, si propone infatti opere che possono essere
significative: a volte il senso è immediato, altre volte meno. Ci sono dinamiche molto articolate e
complesse, un film si colloca in alcune realtà precise; per esempio l’horror degli anni Settanta negli
Stati Uniti si sviluppa in un tempo in cui il popolo vede continuamente alla televisione scene di
guerra. Si fa al cinema ciò che non si vorrebbe vedere in televisione, si cerca di esorcizzare
attraverso il cinema quello che la realtà ripropone con violenza. Inoltre c’è il grande cinema di
denuncia, che a volte si realizza poco tempo dopo gli eventi.
Concludo facendo un riferimento al cinema religioso. All’inizio della storia del cinema è stato un
passaggio molto significativo, le grandi case produttrici hanno investito molto su questo tipo di film
5 Al seguente indirizzo Internet http://ospitiweb.indire.it/~genet/Foscolo/1ed_imm/home.htm è possibile trovare un sommario dei termini principali della tecnica cinematografica (n.d.c).
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per vari motivi: erano storie che avevano presa perché la gente le conosceva già un po’ ed inoltre
perché non si dovevano pagare i diritti d’autore: non si spende per le storie bibliche, si paga solo lo
sceneggiatore. Le chiese, sia cattolica che protestante, hanno commissionato molti racconti biblici e
dei santi, concependole come strumenti di catechesi, un po’ come accadeva con gli affreschi delle
grandi chiese (biblia pauperum); attraverso l’immagine comunichi delle storie che si vuole far
conoscere, il cinema ha svolto questa funzione.
Ci sono dei registi che recuperano tematiche religiose, anche da un’ottica laica e addirittura atea o
agnostica, con intuizioni significative. Registi che vengono forse da contesti in parte diversi, che
però ci restituiscono riflessioni importanti sul Sacro. La cosa più interessante è ricercare i segni del
sacro laddove apparentemente non sembrano esserci. Se pensiamo a Luis Buñuel che era fortemente
anticlericale, ma se vediamo la Via Lattea è un film che si pone domande serie: c’è un rifiuto del
Cattolicesimo, ma non di una certa ricerca religiosa.
In altri film, più recenti e di successo commerciale, ci sono riferimenti cristologici diretti: in
Matrix 3 il personaggio si sacrifica e muore a braccia spalancate; in Spiderman 2 c’è una
deposizione laica: lui blocca un treno per salvare le persone e lo portano via con le braccia in croce
e la tuta strappata sul costato.
Dunque occorre cercare quello che il Concilio Vaticano II definisce i semi del Verbo: Dio continua
a parlare a tutti, anche se magari uno non se ne rende conto ed il comunicarsi di Dio passa anche su
quello che fai in altri piani.
Risposte a domande del pubblico
- Come aiutare i giovani ad appassionarsi al bel cinema e soprattutto ad imparare a leggere i film?
DON ANDREA: Dobbiamo scegliere una pedagogia, l’aggancio potrebbe essere quello di far
vedere la grande oppurtunità di una lettura guidata. Bisogna avere il coraggio di guardare i film che
vanno per la maggiore tra i ragazzi come quelli di Moccia o Twilight e poi fare un’analisi di quel
tipo di film lì, smontandolo e mostrando quello che significa lavorarci sopra. Questo è un primo
passo, poi bisogna introdurli a cose diverse, a mio parere non c’è film su cui tu abbia creato una
tensione, anche dal punto di vista di metodo, che tu non possa proporre: io ho fatto vedere Bergman
ad un pubblico giovane. In questa ottica bisogna tenere sempre presente che il bianco e nero è
diventato difficile da apprezzare dalle nuove generazioni. Bisogna avere la possibilità di agganciare
i ragazzi attraverso un metodo, ricercando ad esempio il cinema commerciale oppure invitandoli a
portare film che li piacciono per imparare a interpretarli, discuterne insieme e poi passare ad un
altro livello.
Il grosso elemento dei film commerciali è che lo spettatore non va sconvolto, ma rassicurato: chi va
al cinema due volte l’anno, non ha voglia di farsi turbare per cui non sopporta i film che non vanno
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a finire bene. Questo vi spiega per cui vanno così forte i vari “Natali a..” che sono rifatti come la
televisione (ci sono gli stessi attori, le stesse musiche….), è un prodotto che ti consente di andare al
cinema come tu guardassi la televisione, è un elemento di rassicurazione: vedere raccontata sempre
la stessa storia è una rassicurazione come i bambini che si fanno raccontare sempre la stessa fiaba o
vogliono vedere lo stesso dvd. Moccia ad esempio funziona perché parla di amore secondo
dinamiche rassicuranti ed adopera un linguaggio farcito di riferimenti commerciali.
Su questo argomento una considerazione di carattere generale: le nuove generazioni hanno un
problema di afasia sentimentale, hanno meno parole per esprimere i propri sentimenti, lo dico dopo
15 anni che faccio l’insegnante.
Il film non si può lasciare in mano ai ragazzi così com’è, bisogna intervenire su quei passaggi
discutibili come il suicidio ne’ L’attimo fuggente.
Gran parte del fatturato del cinema lo fanno gli adolescenti, ma film veramente da ragazzi c’è poca
roba, a volte è banale, non ha dimensione pedagogica ed educativa; assistiamo ad una commistione
del cinema con il linguaggio dei videogiochi e dei fumetti.
C’è inoltre un problema generazionale: i ragazzi vedono tantissime immagini, ma non ne colgono la
qualità possibile; l’immagine deve essere veramente significativa perché l’immaginazione possa
continuare a funzionare, il rischio è che l’immaginazione si saturi. Il linguaggio del videoclip ad
esempio è accattivante, ma rischia di bruciare la dimensione dell’immaginario. La parola scritta
dovrebbe essere quella vincente.
- C’è bisogno di fare cineforum, ma spesso vengono fatti tentativi superficiali, senza una preparazione adeguata, senza conoscere la grammatica del film. DON ANDREA: E’ vero, è stato abbassato un po’ il livello. Se vi posso dire dove ho imparato a
leggere il film, vi confesso di averlo fatto grazie all’esegesi biblica. Forse ci manca questo fascino
dell’esegesi che se poi uno la impara in un campo piuttosto che in un altro (letterario, arte…), la sai
adoperare dappertutto ed è una dimensione entusiasmante della ricerca culturale, c’è il fascino della
ricerca del contenuto possibile, quello che può servire a te. E’ interessante quando questa lettura si
fa con i libri e con i quadri….Imparare a decifrare un film significa poi ritrovare uno strumento che
ti consente di decifrare la pubblicità, questi prodotti che sono invasivi (quanta pubblicità vedono gli
adolescenti); imparare a decifrare quel livello lì diventa prezioso perché ognuno torna a casa e
subisce il linguaggio pubblicitario meno passivamente.
La vita si assapora in una profonda dimensione culturale, dobbiamo recuperare il gusto di vivere ad
un certo livello, è un gusto sapienziale cioè delle cose che danno sapore alla nostra vita.