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1 N.B. Questi appunti di lezione sono stati redatti da studenti e non si esclude a priori la presenza di errori o refusi. Pertanto questo materiale è fornito come supporto al corso ma NON sostituisce in nessun caso la frequenza alle lezioni impartite dal docente. AMPLIFICATORI PER GRANDI SEGNALI (o “DI POTENZA”) Introduzione Finora si è parlato di amplificatori a piccoli segnali. Lo studio dell'elaborazione a piccoli segnali riveste, ovviamente, una grande importanza, prima di tutto perché tale elaborazione consente di trattare i segnali in modo lineare, con tutte le semplificazioni che ne derivano, ma soprattutto perché l’impiego di piccoli segnali è legato al livello energetico di elaborazione. Lavorando, infatti, su piccoli valori di corrente e tensione, si hanno in gioco bassi livelli energetici e questo consente di ottenere circuiti di alimentazione più semplici e meno ingombranti e, in generale, dispositivi più piccoli e veloci, con un conseguente minor dispendio di energia, che è il presupposto fondamentale per la realizzazione di una tecnologia integrata. E’ ovvio infatti che per smaltire la potenza dissipata sotto forma di calore sono necessarie ampie superfici di scambio che la tecnologia integrata non consente di avere e, per tale motivo, elevati livelli energetici possono essere incompatibili con l'integrazione. L’elaborazione lineare, purtroppo, è valida soltanto nello studio della catena di elaborazione del segnale, poiché in un secondo momento ci si deve inevitabilmente confrontare con il mondo esterno. Il segnale elaborato, infatti, deve potere pilotare a seconda dei casi una linea di alimentazione, un'antenna, un monitor o un altoparlante e così via. Alla fine della catena di elaborazione, dunque, dovendo il segnale interagire con apparati che iniziano a richiedere livelli di energia consistenti, sarà necessario inserire un blocco di amplificazione ulteriore, che permetta di elevare il livello di potenza del segnale elaborato. Tale incarico viene affidato all'amplificatore per grandi segnali (comunemente, ma impropriamente, detto amplificatore di potenza, per indicarne la funzione specifica). Lavorando, quindi, con segnali elevati, l'ipotesi di linearità dei modelli per piccoli segnali e il principio di sovrapposizione degli effetti non sono più utilizzabili e si dovranno considerare, quanto meno come limite di funzionamento, le non linearità del dispositivo. La non linearità rende ovviamente più difficile l’analisi e, di conseguenza, sarà necessario introdurre alcune approssimazioni, a volte anche forti, per poter impostare lo studio di tali circuiti. Dal punto di vista del legame esistente fra grandezze d'ingresso e d'uscita dell'amplificatore, è possibile operare una classificazione di questi ultimi. Se da un lato, infatti, la non linearità rimane il presupposto fondamentale per un amplificatore e come effetto di conversione è sempre presente, dall'altro tuttavia essa riguarda propriamente il funzionamento del dispositivo stesso. È possibile, allora, parlare di linearità guardando esclusivamente alla relazione tra le grandezze del segnale d'ingresso e d'uscita dell'amplificatore e, sotto questo aspetto, classificare gli amplificatori di potenza in due grandi famiglie: Amplificatori di potenza lineari o quasi lineari: la non linearità è un effetto indesiderato; si lavora con grandi segnali, ma ci si spinge fino al punto in cui il comportamento rimane ragionevolmente lineare. La relazione tra segnale

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N.B. Questi appunti di lezione sono stati redatti da studenti e non si esclude a priori la

presenza di errori o refusi. Pertanto questo materiale è fornito come supporto al corso

ma NON sostituisce in nessun caso la frequenza alle lezioni impartite dal docente.

AMPLIFICATORI PER GRANDI SEGNALI (o “DI POTENZA”) Introduzione Finora si è parlato di amplificatori a piccoli segnali. Lo studio dell'elaborazione a piccoli segnali riveste, ovviamente, una grande importanza, prima di tutto perché tale elaborazione consente di trattare i segnali in modo lineare, con tutte le semplificazioni che ne derivano, ma soprattutto perché l’impiego di piccoli segnali è legato al livello energetico di elaborazione. Lavorando, infatti, su piccoli valori di corrente e tensione, si hanno in gioco bassi livelli energetici e questo consente di ottenere circuiti di alimentazione più semplici e meno ingombranti e, in generale, dispositivi più piccoli e veloci, con un conseguente minor dispendio di energia, che è il presupposto fondamentale per la realizzazione di una tecnologia integrata. E’ ovvio infatti che per smaltire la potenza dissipata sotto forma di calore sono necessarie ampie superfici di scambio che la tecnologia integrata non consente di avere e, per tale motivo, elevati livelli energetici possono essere incompatibili con l'integrazione. L’elaborazione lineare, purtroppo, è valida soltanto nello studio della catena di elaborazione del segnale, poiché in un secondo momento ci si deve inevitabilmente confrontare con il mondo esterno. Il segnale elaborato, infatti, deve potere pilotare a seconda dei casi una linea di alimentazione, un'antenna, un monitor o un altoparlante e così via. Alla fine della catena di elaborazione, dunque, dovendo il segnale interagire con apparati che iniziano a richiedere livelli di energia consistenti, sarà necessario inserire un blocco di amplificazione ulteriore, che permetta di elevare il livello di potenza del segnale elaborato. Tale incarico viene affidato all'amplificatore per

grandi segnali (comunemente, ma impropriamente, detto amplificatore di potenza, per indicarne la funzione specifica). Lavorando, quindi, con segnali elevati, l'ipotesi di linearità dei modelli per piccoli segnali e il principio di sovrapposizione degli effetti non sono più utilizzabili e si dovranno considerare, quanto meno come limite di funzionamento, le non linearità del dispositivo. La non linearità rende ovviamente più difficile l’analisi e, di conseguenza, sarà necessario introdurre alcune approssimazioni, a volte anche forti, per poter impostare lo studio di tali circuiti. Dal punto di vista del legame esistente fra grandezze d'ingresso e d'uscita dell'amplificatore, è possibile operare una classificazione di questi ultimi. Se da un lato, infatti, la non linearità rimane il presupposto fondamentale per un amplificatore e come effetto di conversione è sempre presente, dall'altro tuttavia essa riguarda propriamente il funzionamento del dispositivo stesso. È possibile, allora, parlare di linearità guardando esclusivamente alla relazione tra le grandezze del segnale d'ingresso e d'uscita dell'amplificatore e, sotto questo aspetto, classificare gli amplificatori di potenza in due grandi famiglie: � Amplificatori di potenza lineari o quasi lineari: la non linearità è un effetto

indesiderato; si lavora con grandi segnali, ma ci si spinge fino al punto in cui il comportamento rimane ragionevolmente lineare. La relazione tra segnale

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d'ingresso e d'uscita è quasi lineare e la non linearità diventa, quindi, un limite superiore.

� Amplificatori di potenza non lineari: la non linearità diventa un effetto utile e

desiderato; si rinuncia ad una relazione lineare tra segnale d'ingresso e d'uscita e si sfrutta la non linearità per ridurre la dissipazione di potenza. Rinunciando, infatti, al funzionamento dell'amplificatore in zona attiva normale, si inizia a farlo lavorare come interruttore (come è stato visto ad esempio per i convertitori switching), riducendo la dissipazione di potenza e migliorando l'efficienza.

Si osservi che la non linearità non ha sempre un effetto dannoso sul contenuto informativo; ad esempio nella modulazione angolare un amplificatore che distorce solo l’ampiezza dei segnali non crea problemi. Parlando di amplificatori e non linearità, torna utile richiamare l'attenzione sulla caratterizzazione della distorsione. In questo contesto faremo riferimento solo alla distorsione armonica (HD e THD) in cui si fornisce in ingresso un segnale test sinusoidale e si confronta come rapporto, in uscita, il segnale periodico composta dalla fondamentale e dalle armoniche di distorsione. La THD è solitamente utilizzata nelle bande audio, alle frequenze più basse (ad esempio per impianti audio o HI-FI). In presenza di distorsione, in risposta ad una eccitazione sinusoidale in ingresso, il segnale d’uscita sarà la somma della componente continua e di tutte le componenti armoniche della fondamentale ( ωo , 2ωo , 3ωo , ecc.) esprimibile come serie di Fourier:

v(t) = Vo + ∑k=1

∞Vk cos( )kωot+ϕk

Un modo per valutare la distorsione è quello di definire il coefficiente di distorsione k-esimo indicato con

HDk =Vk

V1

in cui il pedice si riferisce all’ordine dell’armonica che si sta considerando. Quindi, ad esempio, per un segnale in tensione

lineare tuttofosse se avrebbe si che ideale utile ampiezza

2 pulsazione a armonica componente della ampiezza 1

2

ω=HD

Se il comportamento fosse perfettamente lineare, gli HD sarebbero tutti nulli; ciascun HD fornisce un’informazione sulla corrispondente armonica di distorsione, cioè quanto è grande ciascuna armonica rispetto alla prima. Il rapporto può essere visto come rapporto d’ampiezze o anche, in termini più generali, come valori efficaci (il risultato non cambia perché è un rapporto). Per quanto riguarda il coefficiente THD, invece, la sua definizione è la seguente:

∑∞

=

=2

2

k

kHDTHD

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Oltre alla distorsione, che specie per gli amplificatori quasi lineari è un elemento fondamentale, un altro parametro di interesse è rappresentato dal rendimento, in quanto, iniziando a gestire potenze elevate, si deve fare attenzione a non avere rendimenti troppo bassi. Ciò, infatti, causerebbe un eccesso di potenza dissipata sui transistor (non ceduta al carico) che, di conseguenza, dovranno o essere dimensionati in modo opportuno o essere muniti di scambiatori di calore in grado di dissipare il calore in eccesso con un inevitabile aumento dei costi e riduzione dell’affidabilità. Dal punto di vista strettamente energetico, poi, alti rendimenti sono auspicabili negli apparati portatili per allungare la durata delle batterie. Richiami sul concetto di rendimento In virtù della non linearità, che caratterizza lo studio di questa classe di amplificatori, la sinusoide perde a tutti gli effetti il forte significato che aveva per gli amplificatori lineari. Per questi ultimi, infatti, valendo il principio di sovrapposizione degli effetti, era possibile rappresentare il segnale come somma di infinite sinusoidi tramite integrale o serie di Fourier, potendo caratterizzare il comportamento di un oggetto in regime sinusoidale e potendo valutarne facilmente la risposta ad un qualsiasi altro tipo di segnale. Nello studio di circuiti non lineari, invece, si perde il vantaggio fornito dal principio di sovrapposizione degli effetti e il comportamento con un segnale generico non è in generale deducibile da quello relativo al regime sinusoidale. Di conseguenza, anche il rendimento calcolato in presenza di un segnale “reale” assumerà un valore diverso da quello valutato con segnali sinusoidali. Quest'ultimo, tuttavia, riveste ancora un significato importante come segnale test e per eseguire confronti preliminari fra diversi apparati. E' da ricordare, inoltre, l'ampio utilizzo che il segnale sinusoidale ha come portante nell'ambito della modulazione. Il rendimento energetico si definisce come il rapporto tra ciò che esce e ciò che entra nel sistema in esame in termini di potenza:

PA

PI Pu

PD

fig. 1

Servirà, sicuramente, una sorgente di alimentazione che eroga PA, poiché il guadagno di potenza fra ingresso e uscita non si può ottenere se non a scapito di una qualche fonte di energia. Il rendimento, allora, viene definito nel seguente modo:

1ˆ ≤≅+

=A

u

AI

u

P

P

PP

Pη (1)

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dove l'ultima uguaglianza è solitamente verificata senza grosse approssimazioni. Normalmente, infatti, la potenza in ingresso PI, fintantoché non si raggiungono frequenze elevate, risulta trascurabile, essendo:

G

PP u

I = (2)

in cui, con G, si è indicato il guadagno di potenza, che a frequenze non troppo alte risulta sempre molto elevato. La definizione comunemente usata, dunque, per il rendimento è quella espressa dalla (1), ossia il rapporto fra potenza in uscita e potenza assorbita dalla batteria. La potenza in uscita, poi, può essere espressa come somma dei diversi contributi di potenza, cioè:

DAIu PPPP −+= (3)

in cui PD rappresenta la potenza dissipata del sistema sotto forma di calore. Esplicitando la (3) rispetto ad essa e raccogliendo si ottiene:

+= 1

u

IA

uDP

PPPP (4)

Riconoscendo nella (4) l'espressione del rendimento, si ricava:

−= 1

1

ηuD PP (5)

in cui si osserva che, a parità di Pu, più è alto il rendimento, minore sarà la potenza dissipata e viceversa. Ciò significa che valori elevati della potenza utile implicano, a parità di rendimento, problemi maggiori per quanto riguarda la potenza dissipata. Come si è visto per i regolatori, tuttavia, il modo per aumentare il rendimento contrasta fortemente con i vincoli sulla linearità, infatti, per poter dissipare il meno possibile sui transistor, si è costretti a farli funzionare nelle zone in cui non dissipano o dissipano poco, che sono l'interdizione e la saturazione (o zona triodo per un FET). Questo tipo di funzionamento, però, è caratteristico degli interruttori ed è fortemente non lineare. Ciononostante, anche nell'ambito delle classi degli amplificatori quasi lineari, si possono realizzare degli accorgimento circuitali che permettono di ottenere un buon rendimento senza dover pagare eccessivamente in termini di linearità. Modello per il comportamento non lineare dei dispositivi Nello studio degli amplificatori di potenza, non si può prescindere come detto dalla non linearità. A tal fine, sarebbe necessario considerare un modello per il comportamento dinamico non lineare dei dispositivi (caratteristica I/V e capacità non lineari) che risulta però scomodo da utilizzare per una analisi di massima, quale quella che interessa svolgere in questa sede, mentre può essere efficacemente usato in programmi di simulazione circuitale (e.g., Spice).

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Un modello semplificato che, invece, può essere utilizzato per uno studio di base degli amplificatori di potenza è quello che viene definito transcaratteristica e che rappresenta la descrizione più semplice di un sistema non lineare. Il modello transcaratteristica prevede infatti di considerare un dispositivo, un amplificatore o, più in generale, un qualsiasi sistema complesso, nel modo rappresentato in figura:

vi(t) vu(t)

dove la tensione d'uscita è una funzione istantanea non lineare della tensione d'ingresso, ossia:

[ ])()( tvFtv iu =

in cui si è trascurata la memoria, ossia gli effetti reattivi, che sono la causa principale della complessità dell’analisi. Poter ragionare sulla relazione istantanea ingresso/uscita, tuttavia, presuppone una serie di ipotesi molto forti: prima di tutto, si dovranno trascurare gli effetti reattivi, il ché significa lavorare a frequenze sufficientemente basse da poter trascurare le capacità di giunzione o condensatori introdotti per limitare superiormente la banda, a cui sono associati gli effetti di memoria; in sostanza, alle frequenze di lavoro tali capacità dovranno risultare ancora dei circuiti aperti. In secondo luogo, si dovrà considerare un limite inferiore; non sempre, infatti, vengono usati amplificatori accoppiati anche in continua e, molto spesso, si è soliti inserire fra i vari stadi alcune capacità di disaccoppiamento in continua, anch'esse responsabili di potenziali effetti reattivi a basse frequenze (ad esempio la capacità interstadio o quella presente in parallelo alla resistenza di emettitore di un transistor). Le frequenze a cui si opera, allora, dovranno essere sufficientemente alte da permettere di considerare queste ultime capacità di disaccoppiamento come dei cortocircuiti. In sostanza, il range di frequenze più consono sarà quello che viene definito di centro

banda, in cui gli effetti reattivi sono trascurabili. In questo range di frequenza, dunque, è possibile parlare di transcaratteristica, cioè di relazione istantanea ingresso/uscita. Tale approssimazione ha ovviamente dei limiti che sono particolarmente stringenti per i circuiti a frequenza molto elevata dove è di solito impossibile riuscire a trascurare del tutto gli effetti reattivi. Si vuole, ora, ricavare il modello a transcaratteristica per un transistore di tipo bipolare (le considerazioni, tuttavia, restano valide anche per un transistore ad effetto di campo). A tal fine, si consideri lo schema di figura:

vBE

iC polarizz.

+

carico

fig. 3

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Ragionando in assenza di effetti reattivi, le caratteristiche del dispositivo da prendere in considerazione saranno le ben note caratteristiche statiche IC -VCE e IB -VBE, come mostrato in figura:

retta di carico

VCE

IC

IB

fig. 4.a fig. 4.b

IB

VBE Vγ Scegliendo come variabile di controllo la tensione vBE, è ovvio che la corrente di collettore iC risulterà dipendere anche dalle condizioni di carico. Le caratteristiche del dispositivo, dunque, unitamente alla retta di carico, consentono di definire il modello transcaratteristica che si andrà ad utilizzare per lo studio dell'amplificatore. Si ricorda che il grafico di iB dovrebbe essere parametrizzato in VCE, tuttavia, se si considera il funzionamento del transistore in zona normale, è possibile ritenere, senza grosse approssimazioni, che la famiglia di caratteristiche è indipendente dalla VCE. Il procedimento di risoluzione del modello transcaratteristica è, allora, il seguente: 1. Per ogni valore di vBE si ricava, tramite la caratteristica di destra un valore di IB. 2. Si individua sulla caratteristica di figura l'intersezione tra la retta di carico e la

caratteristica IC corrispondente al valore di IB appena trovato. 3. Il punto di intersezione individua i valori cercati di VCE e della corrente IC. Questo procedimento, che dal punto di vista matematico corrisponde ad un sistema di equazioni, graficamente genera una relazione univoca IC -VBE, che identifica proprio il modello transcaratteristica cercato, ossia:

[ ]BEC VfI = (2)

Tale relazione è valida staticamente, poiché si sono considerati segnali statici, tuttavia, in virtù dell'ipotesi di aver trascurato gli effetti reattivi e di essere in centro banda, la (2) risulta essere valida, con buona approssimazione, anche dal punto di vista dinamico. La caratteristica risultante è qualitativamente raffigurata in figura:

fig. 5

IC

VBE Vγ

andamento esponenziale ATT.

INT.

SAT.

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in cui si nota che, fintantoché la tensione d'ingresso vBE non supera la tensione di soglia Vγ, il transistore rimane interdetto e, quindi, IC ha valore nullo. Per valori di VBE > Vγ , invece, si è in zona attiva e la caratteristica ha un andamento esponenziale; si raggiungono, infine, valori di VBE che forniscono valori di corrente di IC e IB così elevati da saturare il dispositivo. In base alla polarizzazione viene definita la classe di funzionamento dell’amplificatore. La classe A corrisponde a funzionamento del transistor sempre in regione attiva normale e quindi, facendo riferimento ad un segnale di ingresso sinusoidale, la polarizzazione sarà centrata sulla trans caratteristica fra interdizione e saturazione. In classe B il dispositivo resta interdetto per metà del tempo (polarizzazione uguale alla tensione di soglia), mentre in classe C si opera con conduzione per meno di metà periodo (polarizzazione sotto la soglia). La transcaratteristica si utilizza per studiare il comportamento del transistor per i segnali, per cui è più correttamente definita come transcaratteristica dinamica. Si osservi che in generale la retta di carico dinamica può differire da quella statica, data la potenziale presenza di elementi reattivi nella rete di polarizzazione, come pure capacità di disaccoppiamento del punto di lavoro fra i vari stadi. Dal momento, dunque, che la transcaratteristica serve per lo studio dei segnali, si dovrà fare attenzione a considerare la retta di carico dinamica e non quella statica. Si consideri, come esempio, il seguente schema circuitale:

fig. 6

VA

C

CE RE

R

RC

In virtù della presenza di elementi capacitivi, si dovrà distinguere, in termini elettrici, fra ciò che "vedono" i segnali e ciò che "vede", invece, la componente continua. In generale, è conveniente fare riferimento, nello studio degli amplificatori quasi lineari, ad una situazione in cui le caratteristiche IC e VCE sono esprimibili nel seguente modo1:

)()(

)()(

0

0

tvVtV

tiItI

CECECE

CCC

+=

+= (3)

ossia, formati dalla somma di una componente di riposo e di un segnale variabile col tempo.

1 Lo zero delle componenti di riposo viene posto come apice per contraddistinguerlo dallo zero che

identifica le componenti medie e che viene solitamente indicato come pedice. Nel caso di amplificatori per piccoli segnali valori medi e di polarizzazione coincidono, ma non è così per gli amplificatori per grandi segnali.

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Tornando all'esempio di figura, per le componenti di riposo le capacità sono dei circuiti aperti e, in prima approssimazione, si può scrivere la seguente relazione:

( )ECCACE RRIVV +−≅ 00 (4)

in cui si è considerata trascurabile la corrente di base IB. La (4) identifica una retta le cui intercette con gli assi cartesiani avranno i valori evidenziati in figura:

VCE

IC

IB

fig. 7

EC

A

RR

V

+

VA

R~

1

R~

Il punto di funzionamento a riposo, allora, sarà facilmente individuabile tenendo conto anche del circuito di polarizzazione di base. Dinamicamente, tuttavia, è noto che il segnale non si muove sulla retta statica poiché alla frequenza del segnale (centro banda) le capacità sono dei cortocircuiti. La resistenza RE, allora, verrà cortocircuitata per consentire di aumentare il guadagno in centro banda, mentre la RC risulterà in parallelo ad R, per cui la resistenza dinamica potrà essere scritta come:

CRRR //~

=

essendo il circuito equivalente per i segnali diventato quello di figura:

fig. 8

VCE R RC

iC

Nello studio dei segnali, dunque, come mostrato in figura a tratteggio, la transcaratteristica dovrà essere ricavata andando a tracciare la retta di carico dinamica, la cui pendenza, 1/ R

~ , è maggiore di quella della retta di carico statica, dal momento che risulta:

ECCC RRRRRR +<<= //~

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Amplificatori in classe A Si considera, ora, una classe di amplificatori quasi lineari, detti in classe A, ed in particolare quelli che utilizzano una rete di polarizzazione non dissipativa o debolmente dissipativa, il cui studio è, senza dubbio, di maggior interesse. Lo schema migliore che si può ottenere e che rappresenta una classica configurazione di principio per un amplificatore di potenza in classe A è quella di figura:

RE CE

Vi

R

VA

n1 n2

fig. 1

in cui si utilizza un accoppiamento a trasformatore. Questo tipo di soluzione è quella che, facendo tendere RE a zero, porta ad una situazione di rendimento massimo. Il trasformatore, infatti, diventa un cortocircuito per la continua e, di conseguenza, non essendoci corrente al secondario, la caduta su R in continua è nulla, mentre la capacità C diventa un aperto. L'unica dissipazione possibile, allora, rimane quella su RE. Da queste considerazioni, si può scrivere:

00

CEACE IRVV −= (1)

retta di carico le cui intercette hanno valore VA e VA /RE, come evidenziato in figura:

VCE

IC

IB

fig. 2

VA

R~

1

VA /RE

RE = 0

1

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Facendo tendere RE a zero, la retta espressa dalla (1) si sposta, fino a coincidere con la retta di carico statica verticale, che rappresenta la situazione di polarizzazione ottimale ai fini del rendimento. La retta di carico dinamica, invece, risulta pari alla resistenza che si vede al primario del trasformatore. L'espressione della retta dinamica è la seguente:

Rn

nR

2

2

1~

= (2)

Il punto di intersezione 1 in figura rappresenta il punto di lavoro, identificabile dalla corrente di polarizzazione di base e per cui passa anche la retta di carico dinamica. E' opportuno richiamare l'attenzione sull'importanza e sul significato della resistenza RE, che, principalmente, serve a stabilizzare il punto di riposo come visto in dettaglio. Rinunciare, allora, alla resistenza RE comporta un prezzo da pagare in termini di sensibilità alle variazioni dei parametri; d'altra parte, il suo utilizzo implica uno svantaggio in termini di potenza dissipata. In generale, si ricorre ad un compromesso (trade-off), a seconda delle esigenze di progettazione. Sulla base del modello a transcaratteristica appena costruito si deduce che, per avere un comportamento quasi lineare, si dovrà sfruttare la zona attiva normale (o saturazione per un FET). Per ottimizzare tale scelta, poi, sarà necessario prendere come punto di riposo il punto medio nella zona attiva stessa, sfruttando così ugualmente le escursioni positive o negative dei segnali. Calcolo del rendimento e della distorsione Si consideri la rete di figura che rappresenta un amplificatore in classe A che accoppia il carico tramite un trasformatore:

RB

Vi

R

VA

n1 n2

fig. 1

in cui si è omessa la resistenza di retroazione RE. E' da notare, come evidenziato in figura 1, che anche in ingresso è presente una rete di polarizzazione, tuttavia, essendo la sua dissipazione legata alla corrente di base, la si può ritenere trascurabile. Si vuole ora calcolare il rendimento dell'amplificatore rappresentato in figura; parlando di amplificatori in classe A, si deve considerare come unica zona di

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funzionamento del dispositivo quella che viene definita zona attiva normale, per cui non si dovranno mai toccare le zone di interdizione o saturazione:

IC

VBE

INT.

SAT.

ATTIVA

fig. 2

In figura il tratto esponenziale e, in generale, la transcaratteristica sono stati approssimati, per semplicità di calcolo, con un andamento lineare a tratti; questa approssimazione è lecita dal momento che vogliamo calcolare l'espressione del massimo teorico del rendimento, prescindendo per il momento dalla distorsione introdotta dalla caratteristica esponenziale che analizzeremo in seguito. Supponendo, dunque, di lavorare in classe A, al fine di ottenere il massimo teorico di η è opportuno considerare la condizione ottimale per la polarizzazione, ossia, quella per cui il punto di riposo è situato esattamente a metà del tratto di zona attiva. Ricordando la formula del rendimento si può scrivere:

A

u

P

P=η

in cui si è trascurata la potenze d'ingresso, cosa che, a bassa frequenza, è sempre lecita essendo molto elevato il guadagno di potenza del transistor. La potenza utile è quella che va sul carico e su quest'ultimo, nel caso che si sta considerando, non arriva alcuna potenza in continua, essendo disaccoppiato in continua tramite il trasformatore. Il carico equivalente che i segnali vedono al primario è quello di figura:

fig. 3

VCE

iC

R~

in cui R

~ vale

Rn

nR

2

2

1~

= (1)

e, quindi

)(~

)( tiRtv CCE −= (2)

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in cui il segno negativo nasce dal verso scelto per la corrente. Si supponga che la tensione sia una sinusoide, coerentemente col funzionamento quasi lineare, e precisamente:

)()( tVsintv CE ω= (3)

La corrente, invece, varrà:

)(~)( tsinR

Vti C ω−= (4)

Dalla (3) e dalla (4) è, ora, possibile ricavare la potenza in uscita

∫−=T

CCEu dttitvT

P0

)()(1

(5)

in cui il segno meno è legato al fatto che si sta valutando la potenza che è ceduta alla resistenza. Sostituendo la (3) e la (4) nella (5), si ottiene:

R

VT

R

V

Tdttsin

R

V

TP

T

u ~1

22~

1)(~

1 22

0

22

=== ∫ ω (6)

in cui si può notare che V2 / 2 rappresenta il quadrato del valore efficace della tensione sinusoidale. Si può calcolare, ora, la potenza PA erogata dalla batteria:

00

0

0

0

1))((

1)(

1CACA

T

CCA

T

CAA IVTIVT

dttiIVT

dttIVT

P ==+== ∫∫ (7)

in cui si è considerato il fatto che, essendo il regime sinusoidale, il valore medio del contributo dato dal segnale è nullo. Dalla (6) e (7), infine, si ricava l'espressione del rendimento:

00

2

0

2

~2

~2

CCECAA

u

IVR

V

IV

RV

P

P===η (8)

in cui, nell'ultima uguaglianza, si è voluto evidenziare il termine legato al punto di riposo sostituendo a VA la VCE di riposo. Il massimo del rendimento sarà quindi dato da:

00

2

maxmax

~2 CCE IVR

V=η (9)

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Bisogna però considerare i vincoli imposti al massimo di tensione, necessariamente finito. Il vincolo da imporre è legato al funzionamento in zona attiva normale, ossia:

1° vincolo ⇒⇒⇒⇒ ( ) 0)( 0 ≅>+= sat

CECECE VtVsinVtV ω (10)

che esprime il fatto che l'escursione dei segnali dovrà essere tale da non mandare mai in saturazione il transistor. Nell'ottica della ricerca di un massimo teorico, si pone, come evidenzia la (10), la tensione di saturazione a zero. Operando con tensioni elevate, questa approssimazione non risulta troppo brutale; se si pensa, infatti, ai circuiti di potenza, che lavorano con tensioni di polarizzazione dell’ordine della decina di Volt, gli errori introdotti sono molto piccoli. La situazione di caso peggiore per la (10) è quella per cui vale:

( ) 0 1 CEVVtsin <⇒−=ω (11)

ossia, il valore massimo della tensione V non dovrà superare il valore della tensione di riposo. Si dovrà però garantire anche che il transistor non si interdica, cioè:

2° vincolo ⇒⇒⇒⇒ ( ) 0~)( 0 >−= tsinR

VItI CC ω (12)

La situazione di caso peggiore si ha questa volta quando il seno è massimo, ossia:

( ) 00

C

~ 0~I 1 CIRV

R

Vtsin <⇒>−⇒=ω (13)

Dovendo essere verificati entrambi i vincoli, dalla (10) e dalla (12) si ottiene:

{ }00

max

~,min CCE IRVV = (14)

La condizione di massimo del rendimento si dimostra corrispondere al caso in cui

00

max

~CCE IRVV == (15)

Se vale la (15), l'espressione del rendimento diventa:

( )

2

1~

2~

2 00

20

00

2

maxmax ===CCE

CE

CCE IVR

V

IVR

Vη (50%) (16)

Dimostrazione:

Si supponga, in prima analisi, che valga la seguente relazione:

00 ~CCE IRV <

la (16), allora, sarà ancora valida, ma il rendimento massimo risulterà necessariamente minore del 50%. Si procede in modo analogo per dimostrare il caso opposto.

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14

Da tali considerazioni, dunque, si deduce che il massimo rendimento ottenibile da un amplificatore in classe A è pari al 50%, con un conseguente spreco del restante 50% di potenza e, soprattutto, con un elevato costo in termini di dimensionamento dei transistori. Se si mette in gioco, invece, la distorsione reale e si considera il caso in cui non sia possibile utilizzare una rete di polarizzazione con trasformatore (come avviene, ad esempio, in tecnologia integrata), il rendimento si riduce drasticamente (25% nel caso di rete di polarizzazione dissipativa, poiché è presente una componente continua che comporta dissipazione sul carico). Un altro aspetto limitante di questi amplificatori è il fatto che la potenza erogata dalla batteria PA vale:

00

CCEA IVP =

espressione in cui non compare il segnale e, quindi, indipendentemente dal fatto che si stia amplificando o meno, la batteria continua a erogare potenza. Questo è, ad esempio, un problema per applicazioni di tipo mobile a batteria, quali i telefoni cellulari. La condizione di massimo rendimento espresso dalla (15) può essere interpretata anche da un punto di vista grafico; una volta scelto il punto di riposo, dunque, il legame con la R

~ dovrà essere il seguente:

0

0~

C

CE

I

VR = (17)

ossia, il transistor dovrà vedere la resistenza espressa dalla (17). Ciò si ottiene tramite la scelta di un adeguato rapporto spire del trasformatore. Quanto detto viene mostrato, dal punto di vista grafico, in figura:

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15

in cui si nota che l'area del rettangolo in basso a sinistra rappresenta la potenza PA erogata dalla batteria, poiché vale:

00

CCEA IVP =

L'area del triangolo rettangolo al di sopra del rettangolo, invece, rappresenta la potenza in uscita Pu e vale:

22

002

maxmax CCEu

IVVP ==

Se, dunque, si sceglie una retta diversa da R

~ come, ad esempio, una retta a pendenza

maggiore o minore, l'area rappresentativa della Pumax diventa quella, evidentemente minore, degli altri due triangoli in figura. In pratica se la retta ha pendenza maggiore rispetto ad R

~, interviene prima il limite sulla interdizione di quello sulla saturazione,

mentre se la retta ha pendenza minore interviene prima il limite sulla saturazione di quello sulla interdizione. Si osservi che se la potenza erogata dalla batteria è sempre presente, in quanto dipende solo dalla polarizzazione, altrettanto non si può dire della potenza di uscita che dipende, invece, dall'ampiezza dei segnali. Se il segnale è nullo, la Pu sarà nulla. Calcoliamo ora la potenza dissipata sul transistore e, dal momento che gli elementi dissipativi della rete sono solo il carico e lo stesso transistor, si avrà:

uATR PPP −= (18)

ossia, la potenza erogata dalla batteria sottratta a quella che giunge al carico. La situazione peggiore, allora, sarà quella di assenza di segnale, per cui la potenza in uscita è nulla e, quindi, tutta la potenza erogata dalla batteria viene dissipata sul transistor, in formule :

ATR PP =max Sapendo, ora, che il rendimento vale

5.0max

max ==A

u

P

si ottiene

maxmax 2 uATR PPP ==

Mano a mano che l'ampiezza del segnale aumenta, dunque, parte della potenza che all’inizio è interamente dissipata sul transistor si sposta sul carico. In quest'ottica, il transistor può essere visto come un controllore della quantità di potenza che va al carico e che viene dirottata su esso tramite il segnale. L'amplificatore in esame,

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16

chiaramente, dovrà essere dimensionato nelle condizioni di caso peggiore, cioè, in assenza di segnale. Se si vuole ottenere, allora, una certa potenza in uscita come, ad esempio, una ventina di Watt, si dovrà fare in modo che il transistor sia in grado di sopportare il doppio di tale potenza, ossia, si dovrà inserire un dispositivo sufficientemente grande. La situazione per il rendimento peggiora ulteriormente qualora si utilizzi una rete di polarizzazione dissipativa quale quella in figura, nel qual caso, a parità di condizioni e parametri, si ottiene graficamente:

in cui si osserva che la batteria fornisce non solo la potenza dissipata sul transistor, come nel caso precedente, ma anche quella dovuta alla componente continua che scorre sulla resistenza. Essendo a riposo le tensioni sul transistor e sulla resistenza uguali ed essendo percorsi dalla stessa corrente a riposo, la potenza dissipata si ripartisce in parti uguali sui due elementi. La potenza erogata dalla batteria è, dunque, raddoppiata, mentre il rendimento η si riduce della metà, a causa della dissipazione in continua sulla resistenza, passando dal 50% al 25%. La massima potenza dissipata sul transistor sarà sempre:

maxmax 22

u

A

TR PP

P == (19)

L'impossibilità di utilizzare un trasformatore in tecnologia integrata è uno dei motivi che costringe, ad esempio, a realizzare una rete di polarizzazione dissipativa, in cui il circuito di polarizzazione può anche essere attivo (vedi figura) invece che puramente resistivo (si può comunque dimostrare che il rendimento massimo è ancora il 25%):

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17

T1 R

-E

VA

Vu

fig. 6

T2 T

La classe A degli amplificatori, dunque, è in generale utilizzabile solamente laddove le potenze in gioco non siano troppo elevate, in quanto il costo di dimensionamento dei transistor per sopportare le perdite di potenza diventa eccessivo. Il costo di un transistor di potenza, infatti, cresce più che linearmente con le dimensioni, poiché la resa di produzione cala con l'aumentare di queste ultime, essendo più probabile che il dispositivo sia mal funzionante, a causa di difetti di processamento del wafer. Il calcolo del rendimento effettuato è valido come massimo teorico; l'approssimazione più forte introdotta concerne l’approssimazione lineare della regione attiva della transcaratteristica. In realtà, quest'ultima nasce dalla relazione esponenziale che lega la corrente di collettore alla tensione di base oppure, nel caso di un transistor ad effetto di campo, nasce da una relazione di tipo quadratico che lega la corrente di drain al quadrato della VGS. La principale approssimazione nel calcolo effettuato per il rendimento è dunque legata al fatto che, mano a mano che i segnali crescono, sia la caratteristica esponenziale che quella quadratica si allontanano sempre più dalla approssimazione lineare. Per ottenere una valutazione, sotto un certo punto di vista, più realistica, è interessante legare il rendimento al limite imposto alla distorsione. Tenendo conto che il tratto centrale della caratteristica, nel caso di un BJT, presenta un comportamento esponenziale, si può scrivere:

)1(0 −= T

BE

V

V

BFC eII β (22)

in cui si può trascurare il (-1) dentro parentesi, poiché, essendo in regione attiva, il transistor è sicuramente in conduzione (VBE > 4 ÷ 5 VT). Sappiamo che per tracciare la transcaratteristica è necessario conoscere la retta di carico; per semplicità, considerando come ipotesi semplificativa l'assenza di effetto Early, ossia, considerando la caratteristica di IC indipendente da VCE, è possibile fare a meno della retta di carico. In questo modo, ad ogni valore di IB è associato, in modo univoco e indipendentemente dal carico, un valore di corrente di collettore IC.

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18

La VBE, è poi esprimibile nel seguente modo:

)(0 tvVV BEBEBE += (23) per cui si può scrivere la (22) nella forma:

+

=== T

BE

T

BE

T

BE

T

BEBE

V

tv

C

V

tv

V

V

BF

V

tvV

BFC eIeeIeItI

)(

0

)(

0

)(

0

00

)( ββ (24)

Ricordando lo sviluppo in serie di un esponenziale:

...!2

12

+++=x

xex

è possibile scrivere la (24) come2:

...)(2

)()(2

2

000 +++= tv

V

Itv

V

IItI BE

T

CBE

T

CCC (25)

Volendo valutare la distorsione armonica si utilizza un segnale test sinusoidale:

( )tAtv BE ωcos)( = che sostituito nella (25), sfruttando semplici formule trigonometriche, fornisce:

( ) ( ) ...2cos4

cos4

)( 2

2

002

2

00 +++

+= tA

V

ItA

V

IA

V

IItI

T

C

T

C

T

CCC ωω

dove il coefficiente del termine di primo ordine rappresenta la transconduttanza gm. Si osservi inoltre come il termine in continua fra parentesi è la somma della componente a riposo e di una componente che deriva da una conversione AC/DC e dipende dal quadrato dell’ampiezza del segnale. Questo fenomeno non lineare è noto come “auto

polarizzazione”. Valutiamo ora la distorsione armonica del secondo ordine tramite il coefficiente HD2 :

TC

T

T

C

C

C

V

A

AI

V

V

AI

I

IHD

4

4

402

20

1

22 === (26)

2 Per semplicità, ma mantenendo la significatività del risultato, ci limitiamo allo sviluppo fino al

secondo ordine. L'approssimazione è lecita nell’ottica di un comportamento quasi lineare del dispositivo in esame.

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19

Tenendo conto che AV

II

T

CC

0

1 = e ricavando A e sostituendolo nella (26) si ottiene

infine:

0

12

4 C

C

I

IHD = (27)

che esprime la distorsione del secondo ordine in funzione della ampiezza della prima armonica di corrente e della componente di corrente a riposo. Dal momento che l’ampiezza della prima armonica compatibile con funzionamento in classe A è IC0, se ne deduce che:

%254

1max

2 ==HD (28)

che, ovviamente, rappresenta un valore indicativo, essendo il modello utilizzato piuttosto semplificato. La valutazione della distorsione del terzo ordine si potrebbe eseguire in modo analogo a quanto fatto per HD2 . In generale HD3 sarà molto più piccola di HD2 , (se consideriamo piccole distorsioni diventa un infinitesimo di ordine superiore) per cui in prima approssimazione possiamo considerare solo HD2 ai fini della valutazione del rendimento massimo sotto il vincolo di una assegnata distorsione. Imponiamo quindi un valore limite alla distorsione:

0

lim

1lim

24 C

C

I

IHD = (29)

che ovviamente comporta un valore limite per l’ampiezza della prima armonica di IC . Riprendiamo l’espressione generale ricavata in precedenza per il massimo del rendimento:

00

2

maxmax~

2 CCE IVR

V=η

Utilizziamo la (27) per esprimere il rendimento massimo sotto il vincolo del limite su HD2:

lim

1

0

lim

2

2

maxmax~

2

4lim2

CCEHD IVR

HDV=η

Stabilito un limite su HD2 e quindi su IC1 , si tratta di individuare quale è il valore massimo di V (ovvero il valore di R

~ che consente di ottenerlo). E’ semplice

comprendere che, fissata che sia la massima escursione della corrente, la massima

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20

escursione della tensione possibile è pari a 0

CEV . Ciò individua per la resistenza di

carico il valore lim

1

0~

C

CE

I

VR = come evidenziato in figura:

IC

VCE

PA

0

CEV

0

CI

fig. 7

lim

1CImassima

escursione P

Conseguentemente il rendimento massimo risulta:

lim

2lim

1

0

lim

1

0

lim

2

20

lim

1

0

lim

2

2

maxmax 2

2

4~

2

4lim2

HD

IVI

V

HDV

IVR

HDV

CCE

C

CE

CE

CCEHD

===η (30)

Si osserva, dunque, che il massimo espresso dalla (16) per ηmax è molto meno restrittivo di quello imposto dal vincolo sulla distorsione evidenziato nella (30). La (30) evidenzia quanto il problema sia complesso; qualora, infatti, si voglia una piccola distorsione, ad esempio dell'ordine del 2%, il rendimento sarà appena del 4%. Alta linearità, quindi, implica per questo tipo di configurazione, rendimenti necessariamente bassi. Il massimo teorico del 50%, allora, si ridimensiona pesantemente quando si vanno a considerare vincoli stringenti sulla linearità. Se non si fosse inserito il trasformatore, la (30) avrebbe assunto la forma:

lim

2

maxlim2

HDHD

Considerazioni sulla banda Si osservi che il trasformatore utilizzato per realizzare il corretto valore di resistenza pone vincoli sulla larghezza di banda. Si consideri il modello del trasformatore in figura:

R2 L1 L2 n1 R1

Lm RF

n2

R R~

1

2

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21

Le induttanze di leakage e di magnetizzazione introducono, rispettivamente, le frequenze di taglio superiori e inferiori che limitano la banda. Semplificando ulteriormente il circuito, senza grosse approssimazioni, è possibile trascurare le resistenze R1, R2 del rame e RF del materiale ferromagnetico. In queste condizioni possiamo individuare i limiti di banda imponendo che gli effetti induttivi siano trascurabili, ovvero:

RL <<2ω (1) e, spostandosi al primario, si dovrà avere:

Rn

nL m

2

2

1

>>ω e R

n

nL

2

2

11

<<ω (2)

SOA e progetto termico Nell'ambito dello studio degli amplificatori di potenza ci si è preoccupati, finora, di massimizzare il rendimento; tuttavia, ci si deve anche interessare al fatto di poter smaltire la potenza dissipata sul dispositivo in modo da limitare l’aumento della sua temperatura. Le condizioni operative dovranno essere compatibili con quella che viene definita SOA, Safe Operating Area (area operativa di sicurezza), che identifica alcuni dei cosiddetti maximum ratings, ossia, le massime tensioni e correnti applicabili al dispositivo senza che questo si danneggi. Per un BJT la SOA ha il seguente aspetto:

I

V

fig. 2

VBD

curva a dissipazione costante

Imax

breakdown secondario

Il primo limite imposto all'area punteggiata è dovuto alla dissipazione di potenza; l'iperbole a tratto continuo, infatti, data dal prodotto V⋅I, è una curva a dissipazione costante, che esprime il massimo livello di potenza dissipabile sul dispositivo e dipende anche dal sistema di raffreddamento utilizzato. A questo proposito, tale curva viene spesso fornita in funzione della temperatura del contenitore o "case". Il valore massimo di corrente, invece, è legato non tanto al dispositivo, quanto piuttosto ai

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22

reofori, cioè, ai fili che servono per saldare il componente al contenitore. Un ultimo grosso limite, non meno importante dei precedenti, è dato dalla tensione di breakdown. Un altro fenomeno limitante, tipico dei dispositivi bipolari, è quello che viene definito breakdown secondario, rappresentato in figura dall'iperbole a tratteggio. Tale fenomeno individua un'area più piccola di quella delineata dalla PD e, per quanto riguarda la sopravvivenza del dispositivo risulta spesso più limitativa di quest'ultima. Le zone in cui si verifica il breakdown secondario sono tali per cui, da un punto di vista della dissipazione non dovrebbero esserci problemi. In realtà difetti di processo creano nei BJT una non uniformità del dispositivo che fa nascere instabilità termica e crescere repentinamente la corrente in modo simile a quanto avviene in breakdown, portando il transistor alla rottura. Tornando, ora, al concetto di potenza dissipata e alla SOA, è opportuno svolgere alcune considerazioni riguardo alla temperatura. Il problema della PD è principalmente legato alla temperatura interna del dispositivo, che viene indicata, solitamente, con ϑj, dove il pedice "j" sta ad indicare il riferimento giunzione (junction). I criteri utilizzati in questo tipo di studio sono necessariamente approssimati ma permettono ugualmente di cautelarsi contro possibili malfunzionamenti causati da eccessive quantità di calore da smaltire o sottodimensionamento dei componenti. Una approssimazione ad esempio deriva dal fatto di considerare uniforme la temperatura all'interno del dispositivo rispetto alla reale distribuzione che, a causa dei diversi valori di corrente nelle varie zone del semiconduttore, risulterà tutt'altro che omogenea. Per garantire il corretto funzionamento del dispositivo la temperatura di giunzione dovrà essere limitata:

lim

jj ϑϑ < (1)

dove ϑjlim dipende dal materiale usato e dall'affidabilità richiesta per il dispositivo e, tipicamente, si aggira intorno ai 125°÷175°. Tali valori non sono solitamente legati ad un danno immediato, ma all’affidabilità, ovvero alla vita del dispositivo. Per lo studio termico il dispositivo può essere schematizzato come in figura:

chip

case o package

raffreddatore (sink o sifone)

alette

ϑj

ϑc

ϑs

ϑA ambiente esterno

fig. 3

Q/t = P

in cui il raffreddatore deve garantire la massima superficie con l'ambiente esterno, al fine di migliorare lo scambio termico e, a tale scopo, è di solito costituito da una superficie alettata. La potenza dissipata all'interno del dispositivo viene smaltita con flussi di calore diretti dall'interno verso l'esterno, essendo la temperatura ambiente ϑA minore della temperatura interna del dispositivo.

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23

La potenza, dimensioni [W], può essere scritta come:

][][

][W

s

J

t

QP === (2)

Il modello che, in generale, viene usato per lo scambio del calore in questo caso è quello lineare della conduzione termica (sono solitamente trascurabili i fenomeni di irraggiamento e convettivi). A tale scopo, si consideri una barretta di materiale:

ϑ2

P = Q/t

ϑ1

A

l

fig. 4

in cui si assume 12 ϑϑ > La relazione che descrive la conduzione termica è data da:

ϑϑϑ GP )( 12 −= (3)

in cui Gϑ rappresenta la conducibilità termica del materiale e vale

l

AG

λϑ = (4)

dove λ è la conducibilità termica specifica, A la sezione ed l la lunghezza della barretta. Solitamente, si preferisce far riferimento alla resistenza termica, definita come:

=

°

W

K

W

1oppure

C

GR

ϑ

ϑ (5)

La (3), allora, può essere riscritta nel seguente modo:

ϑϑϑ PR+= 12 (6)

dove la resistenza termica è espressa come serie delle varie resistenze termiche: � RjC : resistenza termica fra giunzione e case � RCS : resistenza termica fra case e sink � RSA : resistenza termica fra sink e ambiente esterno

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24

per cui la (6) può anche essere riscritta come:

PRRR SACSjCAj )( +++= ϑϑ (7)

che, in termini elettrici, corrisponde al circuito di figura:

RjC

P ϑj

RCS RSA

ϑA

fig. 5

in cui la potenza dissipata è rappresentata dal generatore di corrente e le temperature corrispondono a tensioni. Si osserva, inoltre, che la ϑA è rappresentata da un generatore di tensione costante, dal momento che la temperatura ambientale rappresenta un serbatoio così grande da non subire variazioni significative di temperatura. Il problema, quindi, è dovuto al limite imposto dalla (1), secondo il quale ϑj deve risultare inferiore ad una certa temperatura limite. I parametri su cui si può agire sono pochi: la temperatura ϑA, infatti, è fissata (a meno ché non si considerino dispositivi di raffreddamento esterni, ma questo caso non è di interesse in questa sede), la resistenza RjC è fissata dal costruttore e dipende da come viene realizzato il dispositivo, nonché dal tipo di connessione al package e, comunque, non è un parametro sul quale il progettista può agire. Per dare un'idea dell'ordine di grandezza di tali resistenze, si va dalle frazioni di °C/W fino alle decine di °C/W e, ovviamente, quanto più sono grandi le dimensioni del dispositivo, tanto più dovranno essere piccole le resistenze termiche, allo scopo di garantire il trasferimento massimo di potenza. La resistenza RCS, poi, è solitamente trascurabile, soprattutto se i materiali sono sufficientemente buoni da garantire un buon contatto. Talvolta, fra le due superfici viene anche frapposto del grasso termico come il silicone, che gode di una buona conducibilità termica, al fine di ottimizzare la coesione fra package e sink. L'unico parametro, dunque, su cui il progettista può agire rimane la resistenza RSA, che è legata al tipo e dimensioni del raffreddatore scelto. Imponendo il vincolo (1) e considerando la (7) si ottiene quindi:

)( CSjC

Aj

SA RRP

R +−−

<ϑϑ

Questa equazione mostra come in presenza di elevate potenze dissipate o temperature ambiente, il vincolo può diventare molto stringente ed addirittura impossibile da soddisfare se il valore che si ottiene diventa negativo.

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25

Amplificatori in classe B Dallo studio degli amplificatori quasi lineari o in classe A è emerso che il funzionamento con buone caratteristiche di linearità, lo si paga in termini di rendimento, che nel caso ideale non supera il 50%. Si è anche visto che non appena vengono tenuti in considerazione vincoli reali, il rendimento cala pesantemente, arrivando a valori dell'ordine della distorsione armonica stessa. Nel tentativo di conseguire rendimenti maggiori ci si può orientare, come già anticipato, verso condizioni operative dei dispositivi non più nella zona normale, ma interessando anche le cosiddette zone fredde, quali l'interdizione e la saturazione, nelle quali non c'è (o c’è poca) dissipazione di potenza. A partire dalla classe A, si identificano sempre con le lettere dell'alfabeto altre classi di funzionamento:

A il dispositivo conduce per 360° della sinusoide

AB il dispositivo conduce per più di 180° della sinusoide

B (controfase)

il dispositivo conduce per 180° (t/2) e per i restanti 180°

della sinusoide è spento

Classi Funzionamento

comportamento LINEARE O QUASI-LINEARE Procedendo dalla classe A verso la B, si sposta più in basso la scelta del punto di polarizzazione e si comincia a considerare la possibilità che il dispositivo si interdica. La classe B può utilizzare due dispositivi in controfase, in modo da recuperare il comportamento lineare, ma prevede anche un tipo di funzionamento non in controfase (single-ended), che diventa perciò caratteristico del gruppo di amplificatori non lineari. Lo schema delle classi di funzionamento può essere, dunque, completato come di seguito riportato:

C il dispositivo rimane spento per più di 180° (toff > T/2)

D il dispositivo opera anche in zona di saturazione

B (non in controfase)

il dispositivo conduce per 180° (t/2) e per i restanti 180°

della sinusoide è spento

Classi Funzionamento

comportamento NON LINEARE

E ...

F ...

... ...

classe Switching: il dispositivo opera come interruttore S

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26

Procedendo dalla classe C in poi, si consente al dispositivo di operare anche in zona di saturazione e i rendimenti diventano sensibilmente maggiori. Si prendono ora in esame gli amplificatori in classe B, per i quali il dispositivo attivo conduce per un solo semiperiodo. Si consideri, dunque, la transcaratteristica di figura:

IC

VBE

fig. 1.a

ATT.

SAT.

INT.

Amax

fig. 1.b

OUT

t

in cui lo schema circuitale di base è lo stesso (single-ended) adottato per l’amplificatore in classe A, ma dove si può notare che, a differenza di quest'ultimo, la polarizzazione è tale per cui il punto di lavoro non si trova più a metà del tratto di zona attiva, bensì sulla soglia Vγ del dispositivo. In tal modo, in seguito alla sollecitazione di una sinusoide in ingresso, nel semiperiodo negativo il dispositivo risulterà interdetto e la corrente di uscita sarà allora quella a destra in figura. Dal momento che il funzionamento degli amplificatori in classe B non prevede la zona di saturazione, si dovrà comunque garantire che l'ampiezza massima della sinusoide in ingresso sia sempre tale da impedire il funzionamento in saturazione. Il comportamento in classe B single-ended è come si vede fortemente distorcente. Per avere un comportamento più lineare si ricorre all'utilizzo di due amplificatori single-ended funzionanti in controfase. Dal momento, infatti, che il dispositivo conduce solo per un semiperiodo, inserendone un altro, che conduca nel semiperiodo successivo, si recupera un comportamento quasi sinusoidale. Il rendimento in classe B si può poi intuire che sarà maggiore, grazie al fatto che, per ciascuno dei due dispositivi, è interessata la zona d'interdizione. Lo schema a blocchi a cui si può fare riferimento per lo studio è il seguente:

Vi

B

B -1

Σ Vu

V2

V1

+

-

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27

in cui i blocchi contrassegnati dalla lettera B rappresentano due amplificatori in classe B identici; Vi è il segnale d'ingresso; il blocco contrassegnato da (-1) è uno sfasatore di 180° e il blocco Σ, infine, è un semplice sommatore. Un qualsiasi segnale in ingresso, dunque, entra in ciascuno dei due amplificatori distorcenti, rispettivamente inalterato e sfasato di 180° rispetto all'ingresso; l'uscita di ciascun amplificatore sarà dunque un segnale distorto costituito da una semionda positiva, per il primo e una semionda positiva sfasata di 180° rispetto alla precedente, per il secondo. Sommando algebricamente le semionde con segno opportuno, il segnale risultante in uscita sarà sinusoidale come quello in ingresso. Se F è la caratteristica di ciascun blocco B, possiamo scrivere:

[ ] [ ] 21 ii VFVVFV −== (7)

e quindi:

[ ] [ ] iiu VFVFV −−= (8)

Dal punto di vista grafico, ciò che succede è mostrato in figura:

Vu

Vi

fig. 6

F [Vi ]

- F [Vi ] - F [-Vi ] in cui si è supposto, per semplicità, che la soglia del dispositivo sia zero o comunque trascurabile. La (8) è dunque una relazione lineare rispetto all’ingresso. Se consideriamo una funzione F non lineare generica, esprimibile in serie polinomiale:

[ ] ...3

3

2

210 ++++== iiii VaVaVaaVFV (9)

la tensione Vu, allora, avrà un'espressione data da

......3

3

2

210

3

3

2

210 ++−+−++++= iiiiiiu VaVaVaaVaVaVaaV

da cui, eliminando i termini con segno opposto si ricava:

.....223

31 ++= iiu VaVaV (10)

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28

Dalla (10) si evince una proprietà del funzionamento in controfase: i termini di ordine pari si elidono. Poiché, dunque, le armoniche di distorsione pari nascono da termini polinomiali di tipo quadratico, è chiaro che, una volta applicata la sinusoide in ingresso, la prima armonica di distorsione da filtrare risulterà essere la terza. Se anche si considera quindi una caratteristica non perfettamente lineare in zona attiva, il funzionamento in controfase migliora la linearità rispetto al caso single-ended, in quanto HD2 sarà nullo ed il primo coefficiente di distorsione saràHD3. Un altro importante risultato, evidenziato dalla (10), è dato dall'assenza del termine costante a0 (componente continua), che essendo di ordine pari si cancella. Nel classe A il trasformatore è costoso poiché deve essere in grado di portare anche la componente continua. È necessario, quindi, sovradimensionare il trasformatore per impedire la saturazione. In classe B questo problema viene meno permettendo l'utilizzo di trasformatori più economici (realizzati con un doppio secondario). In pratica, tuttavia, i transistori non hanno soglia nulla, bensì un Vγ finito. La caratteristica per due amplificatori in controfase sarà, dunque, quella di figura:

Iglobale

V

fig. 7.a

OUT

voluta

reale

CROSS-OVER

fig. 7.b

Finché il segnale d'ingresso ha ampiezza minore della soglia (vedi figura a sx), l'uscita sarà nulla e nasce quindi quella che viene definita distorsione di cross-over o di incrocio, evidenziata in figura a destra. In realtà, il funzionamento in queste condizioni sarebbe a rigore in classe C, poiché la conduzione avviene per meno di un semiperiodo. Per ottenere un classe B, il trucco è quello di introdurre una polarizzazione che sia in grado di traslare la transcaratteristica nel verso indicato dalle frecce di figura, consentendo di avere una soglia praticamente nulla. Questo accorgimento viene solitamente realizzato grazie all'inserimento di un'opportuna batteria, il cui compito è quello di compensare, appunto, l’effetto della soglia. Tale soluzione suggerisce una ulteriore possibilità di miglioramento in termini di linearità; qualora, infatti, la transcaratteristica a soglia finita venisse traslata ancora oltre il valore di una soglia, si otterrebbe nel complesso un comportamento ancora più lineare, come mostra chiaramente la figura successiva:

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29

I

V

correnti non nulle

anche per V< 0

In questo caso si ottiene un amplificatore in controfase che opera in classe di funzionamento AB, per i quali la conduzione avviene per più di un semiperiodo. L'amplificatore, infatti, rimane acceso anche in corrispondenza di un tratto negativo di sinusoide. Lo svantaggio che, ovviamente, ne deriva è dovuto al fatto che, mentre gli amplificatori in classe B sono polarizzati sulla soglia e, quindi, a riposo la corrente è nulla, ossia, in assenza di segnale i dispositivi sono spenti e non consumano, negli amplificatori in classe AB, essendo polarizzati in conduzione, sebbene debole, la corrente a riposo è non nulla anche in assenza di segnale e, quindi, i dispositivi dissipano anche in assenza di segnale. Inoltre si può intuire che il rendimento si ridurrà rispetto al funzionamento in classe B. In sostanza, da tali considerazioni si deduce che, quanto più si guadagna in linearità, tanto più si è costretti a perdere in termini di rendimento. È da notare, infine, che se la caratteristica viene ulteriormente traslata fino a far coincidere il punto medio della zona attiva con l'intersezione degli assi, si ottiene un dispositivo costituito da due amplificatori in classe A in controfase, come mostrato in figura:

I

V

in cui entrambi i dispositivi conducono per tutta la sinusoide. Questa configurazione ha lo svantaggio di perdere tutte le caratteristiche positive del classe B in termini di rendimento, ma presenta il vantaggio, rispetto ad un singolo classe A, di eliminare le distorsioni di ordine pari. Questa soluzione è raramente adottata a causa dell'eccessivo costo dovuto alla presenza di due dispositivi. Per ottenere migliori caratteristiche di linearità ci si limita normalmente alla classe AB.

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30

Calcolo del rendimento Si vogliono, ora, mostrare i vari modi con cui è possibile realizzare circuitalmente gli amplificatori in classe B in controfase. Uno degli schemi circuitali più interessanti è quello di figura:

Vi

Vi

-Vi

+ - E

T1

T2

+ - VA

IC1

IC2

R

n1

n2 Iu

Vout (N≠1)

Vu (N=1)

in cui il rapporto spire del trasformatore in ingresso, senza perdere in generalità, è stato considerato unitario. I due segnali, sfasati di 180° l'uno rispetto all'altro, entrano in due amplificatori identici, le cui uscite vengono riportate all'uscita del dispositivo tramite un secondo trasformatore. La batteria VA rappresenta la polarizzazione dei transistori bipolari ed è fondamentale perché fornisce l'energia al carico, mentre la batteria E ha lo scopo di traslare le caratteristiche fino ad avere soglia nulla, al fine di eliminare la distorsione di cross-over. A differenza di VA, la batteria E non è un elemento indispensabile del circuito e può essere realizzata in diversi modi. Ricordando la convenzione adottata per i punti sugli avvolgimenti del trasformatore, secondo la quale la corrente uscente dal punto è negativa, mentre quella entrante è da prendersi positiva, dal bilancio delle forze magnetomotrici si ricava:

022111 =−+− uCC InInIn

da cui

)( 12 CCu IINI −= ( con 2

1

n

nN = ) (1)

A seconda dei possibili valori di E, poi, si ottengono, a rigore, varie classi di funzionamento: ���� se E < Vγ ⇒ classe C

���� se E = Vγ ⇒ classe B

���� se E > Vγ ⇒ classe AB

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31

Calcoliamo ora il massimo teorico per il rendimento di un amplificatore in classe B. Le ipotesi semplificative sono le stesse introdotte per il calcolo del rendimento di un amplificatore in classe A e, precisamente, prevedono di considerare una transcaratteristica lineare e a soglia nulla, che garantisce una sinusoide perfetta, come in figura:

IC1

t IC2

t

t

R

V

Iu

R

V

R

V

Senza perdita di generalità, per semplicità, si considererà rapporto di spire unitario del trasformatore (N = 1). L'espressione del rendimento teorico massimo sarà, allora, la seguente:

∫ +

==T

CCA

A

u

dttItIVT

R

V

P

P

0

21

2

)]()([1

2η (2)

in cui V rappresenta l'ampiezza della sinusoide di uscita )cos( tVV u ω= che andrà

massimizzata ma sotto il vincolo di funzionamento in classe B. Risolvendo l’integrale a denominatore della (2), si ottiene:

AA

V

V

R

VRV

Vmax2

42

12

π

π

η =

⋅⋅

= (3)

in cui si è considerata l'ampiezza della sinusoide (V/R) e il valore medio di una mezz'onda (1/π) moltiplicato per due, essendo tale il numero delle mezz'onde.

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Dal denominatore della (3) si può notare che, a differenza del classe A, a riposo (con tensione V nulla, ossia, in assenza di segnale) si ha assorbimento nullo di potenza dalla batteria; nel classe B, dunque, quest'ultima dipende dall'ampiezza della tensione d'uscita. Per massimizzare il valore di V, che rappresenta la massima ampiezza compatibile con il corretto funzionamento del transistor, è opportuno ricordare che, nel classe B, il vincolo da considerare riguarda solamente la saturazione; pertanto, dovrà essere:

0)(0 ≈>+ sat

CECE VtVsinV ω (4)

da cui si ottiene

AACE VVVVV ==≤ max

0 (5)

Dalle (3) e (5), allora, si ottiene l'espressione finale del massimo rendimento teorico:

%5.78785.04

max ===π

η (6)

Un'ultima considerazione importante riguarda la massima potenza dissipata sul transistor. Il comportamento in questione è del tutto diverso dal classe A. Per valutare la dissipazione sul transistor, sarà necessario fare un bilancio energetico tra potenza erogata dalla batteria e potenza che va al carico, trovandone successivamente un massimo. A tale scopo, la potenza dissipata sul transistor, utilizzando reti di polarizzazione non dissipativa (trasformatori) e trascurando le perdite sui componenti, si può esprimere come:

R

V

R

VVPPP A

uATR2

2 2

−⋅⋅

=−=π

(7)

e, derivando la (7) rispetto alla V, si ottiene

R

V

R

V

dV

dP ATR −=π

2 (8)

che, uguagliata a zero, fornisce

πAV

V2

= (9)

Sostituendo, ora, la (9) nella (7), si ricava:

2

2

2

2

2

2 224

πππ R

V

R

V

R

VP AAA

TR =−= (10)

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33

Per eseguire un confronto con il classe A, si ricava PTR in funzione di Pumax:

max22

max 2 2

uAA

u RPVR

VP =⇒= (11)

e, sostituendo la (11) nella (10), si ottiene infine:

maxmax

24.0

4uuTR PPP ≅=

π (12)

che rappresenta la potenza dissipata globalmente dai due transistor. Se si volesse ricavare la potenza singolarmente dissipata da ciascun transistor, si otterrebbe:

52

max

2,1

uTRTR

PPP ≅= (13)

La (13) evidenzia il grosso vantaggio rispetto al classe A, in cui la potenza dissipata sul transistor risultava essere due volte quella massima d'uscita. Nel classe B, infatti, il miglioramento è enorme sia in termini di rendimento, che di dimensionamento dei transistor, che risultano essere 10 volte più piccoli degli equivalenti in classe A. Amplificatore in classe B a simmetria complementare Dalle considerazioni finora svolte è emerso che gli amplificatori in classe B hanno buone caratteristiche di linearità e rendimento più elevato rispetto al classe A, anche se tali vantaggi vengono pagati con una maggior complessità circuitale. L'ostacolo più grande da superare, qualora si consideri la realizzazione integrata dell'amplificatore, è data dalla presenza nella topologia circuitale in controfase studiata, del trasformatore. Una soluzione a questo problema è data dallo schema circuitale di figura, in cui si prevede l'uso di due transistori bipolari identici, un PNP e un NPN, la cui complementarità realizza lo sfasamento desiderato dei canali in ingresso, sostituendo in modo adeguato il compito affidato al trasformatore:

+VA

-VA

Vu

R

Vi VBE1

VEB2

T1 (NPN)

T2 (PNP)

Amplificatore a

SIMMETRIA COMPLEMENTARE

o

PUSH-PULL

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Lo schema si potrebbe ovviamente realizzare anche con transistori FET complementari. In particolare si nota l'alimentazione simmetrica che consente di avere tensione di uscita a riposo nulla in modo che la dissipazione sul carico risulta zero. Se si fosse usata un'alimentazione sbilanciata (0, VA), sarebbe stato necessario inserire una capacità di disaccoppiamento per evitare lo scorrere di corrente continua sul carico anche a riposo. Dato il modo in cui sono connessi, i due transistori di figura non possono condurre contemporaneamente, poiché vale:

21 EBBE VV −= (1) e questa particolarità rappresenta proprio il funzionamento in controfase cercato. Le caratteristiche simmetriche degli amplificatori danno il nome a questa tipologia di dispositivi, che vengono chiamati amplificatori a simmetria complementare o

push-pull. Molto spesso, questo tipo di configurazione viene usata come stadio d'uscita di un operazionale per potere fornire adeguati livelli di corrente in uscita. La relazione espressa dalla (1) è sicuramente utile per il fine che ci si è proposti di raggiungere, tuttavia, non risolve affatto il problema della distorsione di cross-over. La tensione d'ingresso, infatti, dovrà superare un certo valore Vγ per mandare in conduzione il transistore T1 e, d'altra parte, dovrà diventare minore di un -Vγ per far condurre T2. Ovvero esiste una fascia pari a 2Vγ in corrispondenza della quale nessuno dei due transistor conduce, con la conseguente nascita del fenomeno della distorsione di incrocio. Per ridurre questa distorsione è necessario inserire delle batterie (in modo analogo a quanto visto per lo schema a trasformatore) al fine di traslare la transcaratteristica ed avere una soglia nulla o trascurabile. La scelta del valore di tensione della batteria condiziona la classe di funzionamento dell'amplificatore in modo perfettamente identico a quanto è stato già visto in precedenza. La scelta di tale valore è frutto di un compromesso tra rendimento e linearità. Vediamo ora come è possibile realizzare la compensazione del cross-over in tecnologia integrata. La soluzione più semplice è di realizzare l’effetto della batteria inserendo una giunzione polarizzata in diretta, come evidenziato in figura:

Vi

+VA

Vu

T1 (NPN)

-VA

R

T2 (PNP)

RE

RE

in cui il generatore di corrente viene solitamente realizzato con i classici metodi come, ad esempio, lo specchio di corrente. Il problema più grave di questa configurazione nasce dal fatto di avere posto in parallelo due giunzioni, per cui lo scarso controllo di

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una delle due, ad esempio a livello di comportamento termico, potrebbe causare accaparramento di corrente e problemi di rottura. A livello integrato, invece, i problemi sono, solitamente, meno gravi, poiché si riesce a realizzare i dispositivi così vicini tra loro, da permettere di ritenere che le giunzioni si comportino in modo praticamente uguale. Qualora si volesse cautelarsi maggiormente, si potrebbe aggiungere una resistenza di emettitore che, com'è noto, inserisce una retroazione negativa e stabilizza il punto di lavoro (vedi figura). Lo svantaggio, ovviamente, deriva dall'area occupata a livello integrato e, soprattutto, dal fatto che una parte di segnale viene dissipata e, di conseguenza, diminuisce il rendimento. Un altro modo per compensare la distorsione incrociata di un amplificatore in classe B è quello di utilizzare uno schema in retroazione come quello di figura:

+VA

-VA

Vu

R

Vi

R1

R2

in cui la tensione d'uscita vale:

iu vB

v1

=

dove B rappresenta, come noto, il rapporto di partizione

12

1

RR

RB

+=

Considerando che l’uscita in catena aperta vale:

BEu VvvAV ±−= −+)(

Dopo semplici passaggi si ottiene l'espressione:

AB

VV

AB

AV BE

iu+

±+

+=

11

Da cui si vede come la distorsione incrociata (caduta dovuta a VBE) viene ridotta dal guadagno d'anello (1+AB). Sebbene il guadagno di tensione possa anche essere piccolo (al limite unitario se R2=0), il guadagno di potenza sarà elevato in quanto è elevato il guadagno di corrente è enorme. La corrente erogata del push-pull, infatti, risulta essere enormemente maggiore di quella assorbita in ingresso dall'operazionale.

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Amplificatori in classe C Le classi di amplificatori quasi lineari finora studiate (A e B) mirano a limitare quanto più possibile le non linearità dei dispositivi, cercando, al contempo, di massimizzarne il rendimento. Proseguendo oltre la classe B di funzionamento, invece, si trovano classi di amplificatori per i quali si rinuncia alla linearità, in virtù di rendimenti più elevati. Ci si avvicina, dunque, ad amplificatori non lineari che sono fondamentali per l'elaborazione di categorie di segnali non sensibili al tipo di distorsione introdotta. Le classi che si prenderanno in esame non potranno, ovviamente, amplificare un segnale modulato in ampiezza, per cui si richiede una forte linearità, tuttavia, saranno in grado di amplificare adeguatamente un segnale modulato in frequenza (o più in generale angolarmente), per il quale il contenuto informativo non risiede nell'ampiezza, bensì nella fase. Per aumentare il rendimento si dovranno considerare classi di funzionamento che inizino ad interessare la zona di interdizione per un tempo maggiore di T/2, ossia, un angolo maggiore di 180°. Con riferimento alla polarizzazione sotto soglia (classe C) si ha:

IC

fig. 1.b

OUT

t T/2 T 0 VBE

ATT.

SAT.

INT.

polarizzazione sotto

soglia di un classe C

polarizzazione di un

classe B

polarizzazione di un

classe A

in cui si nota che con polarizzazione in classe C la corrente di uscita sarà non nulla solamente quando la sinusoide d'ingresso sarà superiore alla soglia del dispositivo. Il flusso di corrente in uscita, allora, risulterà tanto più piccolo, quanto più la polarizzazione sarà sottosoglia. Nel classe C la relazione di proporzionalità tra ampiezza d'ingresso ed uscita si perde quindi totalmente e si lavora con dispositivi fortemente non lineari. La particolarità di questa classe, tuttavia, sta nel fatto che tale non linearità viene sfruttata per aumentare il rendimento. Se il contenuto informativo è associato alla frequenza si può osservare che esso viene conservato dall’amplificatore in classe C. Tutte le applicazioni basate su modulazione

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angolare quali ad esempio la modulazione FM, FSK, MSK, GMSK (standard GSM),…., sono adatte ad essere potenzialmente amplificate in classe C3. Lo schema circuitale di un amplificatore in classe C è il seguente:

Vi

R

fig. 2

VA

RFC

DCB

filtro selettivo

in cui si nota la presenza di un filtro selettivo LC, di un condensatore di disaccoppiamento per la continua (DCB – DC block), di un induttore (RFC – RF choke) che rappresenta un aperto per i segnali e, infine, della batteria che ha lo scopo di polarizzare il dispositivo sottosoglia. Lo schema circuitale che i segnali vedono sarà quindi un carico LCR:

L R C

Il filtro LC (o comunque un filtro di trasmissione) è fondamentale in un amplificatore radio per impedire la trasmissione delle componenti armoniche generate fuori dalla banda allocata al servizio per cui è realizzato l’amplificatore. Anche se con minore criticità, il filtro va inserito anche in schemi in classe A o B. Lo schema di un amplificatore in classe C può anche utilizzare un trasformatore:

fig. 4

VA

Lµµµµ

3 In realtà si deve garantire che nell’amplificatore non ci siano fenomeni di conversione fra ampiezza e fase

(conversione AM/PM) per cui variazioni dell’ampiezza del segnale comportano variazioni nelle relazione di fase fra

ingresso ed uscita. Molto spesso per evitare questo fenomeno il segnale in ingresso viene limitato in ampiezza

utilizzando ad esempio un circuito limitatore a diodi.

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in cui l'induttanza nel riquadro tratteggiato rappresenta l’induttanza di magnetizzazione del trasformatore che diventa un elemento di progetto. Lo schema di figura può assumere anche la funzione di moltiplicatore di frequenza, poiché all'eccitazione di un segnale sinusoidale in ingresso a frequenza f0, un amplificatore in classe C risponde con una corrente d'uscita non sinusoidale, periodica, che presenta varie componenti armoniche a frequenza 2f0, 3f0, 4f0, ecc.; la componente di interesse può essere selezionata dal filtro. La trattazione matematica dell’amplificatore in classe C è leggermente più complessa e per semplicità e brevità faremo un'analisi di massima del procedimento per il calcolo del rendimento, fornendo i risultati finali. Si consideri a tal fine la seguente figura:

IC

ωωωω t

ϑ ϑ ϑ ϑ

in base alla quale possiamo definire il rendimento come:

0

112

1

CA

C

A

u

IV

IV

P

P==η (1)

in cui V1 è la tensione sinusoidale (per la presenza del filtro LC parallelo), IC1 è la prima armonica di corrente della forma d’onda in figura, mentre IC0 è la sua componente continua. Per massimizzare la (1), si ricorda che il vincolo di non saturazione impone:

AVV =max

1 (2) per cui, la (1) risulta

0

1max

2

1

C

C

I

I=η (3)

Il procedimento, ora, prosegue con il calcolo della prima armonica IC1 e con il calcolo di IC0 della forma d’onda di figura:

dtttIT

IdttIT

I

T

CC

T

CC )cos()(2

)(1

0

1

0

0 ω∫∫ == (4)

t ω

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che rappresentano i coefficienti dello sviluppo in serie di Fourier di soli coseni, poiché la funzione è pari. Il risultato a cui si perviene, sviluppando gli integrali (4) e sostituendo il risultato nella (3), è il seguente:

−=

2cos

224

max

ϑϑϑ

ϑϑη

sin

sin (5)

il cui andamento in funzione dell’angolo di conduzione è il seguente:

η

ϑ

1

50%

78.5%

180° (B) 360° (A)

classe B

classe A

150° 120°

classe C

Il classe C, virtualmente, ha rendimento unitario quando l'angolo ϑ → 0, ma ciò comporterebbe l'assenza di un qualsiasi picco di corrente in quanto il dispositivo sarebbe sempre spento e, quindi, si avrebbe potenza d'uscita nulla. Solitamente, allora, si opera in classe C nella fascia che và dai 150° ai 120°, a cui corrisponde un rendimento che varia tra l’85% e il 90%. Rendimenti maggiori causerebbero potenza d'uscita così bassa, da rendere inutilizzabile l’amplificatore. Amplificatori in classe S (switching) Le classi di amplificatori successive alla C, ossia, dalla D fino alla S, a differenza delle prime iniziano ad interessare, oltre alla zona attiva e alla zona di interdizione, anche quella di saturazione. Le classi D, E ed F saranno studiate nell’ambito di altri insegnamenti, ma possiamo approfondire qui considerazioni già fatte in parte per gli amplificatori switching, caso estremo in cui i dispositivi arrivano a lavorare unicamente in zona d'interdizione e saturazione, usando quindi i transistori come veri e propri interruttori. Un convertitore di questo tipo, ovviamente, dissipa pochissimo e il rendimento può considerarsi, virtualmente, unitario. Ciò che viene completamente perso, tuttavia, è il contenuto informativo legato all'ampiezza, la quale consente solamente di accendere e spegnere il dispositivo e dovrà andare fortemente sottosoglia o soprasoglia per farlo commutare. Ciò che può essere sfruttato, allora, è il contenuto informativo legato alla frequenza del segnale, contenuto informativo che, com'è stato evidenziato per il classe C, non viene alterato. Si può pensare quindi di far precedere un amplificatore ad alto rendimento (classe C o S) da un modulatore angolare, secondo lo schema a blocchi di figura:

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Vi Modulatore

angolare

Amplificatore S o C

ad alto rendimento

Demodulatore

angolare

Vu

in questo modo, è possibile amplificare un segnale d'ingresso Vi utilizzando un amplificatore ad altissimo rendimento, poiché il modulatore prima e il demodulatore poi, consentono di conservare il contenuto informativo associato alla modulazione angolare, che a differenza dell’ampiezza, non viene distorta. Una soluzione particolarmente semplice è ad esempio quella vista nei convertitori (amplificatori) switching, in cui il modulatore angolare è realizzato con un modulatore di tipo PWM (Pulse Width Modulation), in cui si modula la durata dell'impulso, cioè:

Vi Modulatore

PWM Amplificatore S

Demodulatore

PWM

Vu VPWM V

Nello schema in figura il demodulatore PWM diventa un semplice filtro. Lo schema circuitale del modulatore PWM è richiamato in figura:

VI

Vi

PWM

VP

PWM

Ton T

dove l'uscita di un generatore d'onda triangolare entra in un comparatore e viene confrontata col segnale da amplificare. Lo schema dell’amplificatore in classe S (convertitore), invece è il seguente:

VPWM

Vin

Vu

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41

Il valore medio della tensione d'uscita Vu è come noto pari a

inon

u VT

TV =0 (1)

in cui Ton / T rappresenta il duty cycle e vale

P

Ion

V

V

T

T= (2)

Sostituendo la (2) nella (1) si ottiene:

Iin

P

Iu KVV

V

VV ==0 (3)

Nel convertitore di figura, quindi, il segnale PWM fa commutare l'interruttore e la tensione d'uscita risulta essere pari al prodotto fra il duty cycle e la tensione VI,

creando una relazione di proporzionalità espressa dalla (3). Si è poi visto che l'inserimento di un filtro passa basso (L o LC) consente di recuperare il valore medio permettendo di scrivere (nell’ipotesi di buon filtraggio):

Iuu KVVv == 0 (4)

in cui si evince come la demodulazione PWM venga realizzata semplicemente dal filtro. Bisogna però fare attenzione che il considerare valida la (4) in regime dinamico

)()( tKvtv Iu = (5)

non è a rigore lecito se non si fa qualche ulteriore ipotesi. Come evidenziato nella figura che descrive le forme d’onda del PWM, se il segnale VI è variabile (tratteggio rosso in figura) la relazione

P

Ion

V

v

T

T=

non è rigorosamente esatta, ma resta valida con ottima approssimazione se la frequenza del segnale di ingresso è molto minore della frequenza dell'onda triangolare (velocità di commutazione del transistor). Se, ad esempio, si deve amplificare un segnale audio (banda 20KHz), gli interruttori dovranno commutare a qualche MHz per avere adeguata qualità (linearità). Tale condizione viene detta di “modulazione quasi

stazionaria”. Il rendimento di amplificatori in classe S è, idealmente, unitario, ma nella realtà si realizzano comunque convertitori che raggiungono rendimenti ben superiori al 95%.