10MILA BATTUTE #1

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CAMI GREEN LA PENITENTE Claudia Durastanti di Illustrazioni di ELEONORA ANTONIONI Numero 1 Yoouthless Fanzine racconti

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10MILA BATTURE, i racconti illustrati di Youthless FNZ.

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CAMI GREENLA PENITENTEClaudia Durastanti

di

Illustrazioni diELEONORA ANTONIONI

Numero 1

Yoouthless Fanzine racconti

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di Claudia Durastantiillustrazioni di Eleonora Antonioni

Mi sono seduta dietro a Mildred in chiesa e

con quel nome puoi essere solo una ragazza

cattolica, no. Mia madre stamattina ha detto

se volevo portare il bambino con me ma

capirai, mi sarei sentita massima penitente

con il golfino scomposto e il bambino

in braccio a palparmi il seno e a tirare il

crocefisso d’oro della mia catenina in basso.

Tira la catena, spezza la catena.

Su internet mi arrivano cinque messaggi al

giorno su come salvare il polmone d’acciaio

di Anita, piccola orfana di Juarez in Messico

e su come certe pillole possano modificare il

colore delle tue iridi, 12.99 $ a confezione.

Chi compra queste cose? Chi c’è davvero

dietro il polmone d’acciaio di Anita, il

narcotraffico colombiano? Gli eredi della

Famiglia Manson? L’attentatore del Papa a

cui cercano tutti di far dire che era del Kgb e

se invece fosse stato della Cia?

La Cia è una risposta a qualsiasi complotto,

abbiamo le mani in pasta ovunque. Mio

padre è stato in Viet-Nam, ha detto che era

bellissimo. Mia nonna non era dello stesso

avviso, ma è morta, e noi non ci ricordiamo

più di cosa si lamentasse. A casa durante il

fine settimana ci riuniamo attorno al tavolo

della cucina e armati di forbici ritagliamo i

buoni per la spesa che troviamo sui giornali

e li usiamo per noi, non li diamo a i poveri

davanti alla chiesa, perché mio padre ha

combattuto per questo paese e loro cosa

hanno fatto.

Le madri dei poveri e degli storpi hanno il

diritto di abortire, io non l’ho avuto. Prima

non ragionavo in modo così telegrafico,

Cami GreenLa Penitente

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l’alcool mi scioglieva la lingua e il pensiero,

ma da quando il Signore ha voluto che tirassi

fuori quel pezzo di carne dalle mie cosce, sia

lodato l’Altissimo, ho imparato a dosare le

cose che ho da dire, e quando parlo lo faccio a

voce bassa.

I miei genitori si sono stupiti della portata del

mio cambiamento e dell’intensità della mia

conversione, che li ha esonerati dal dovermi

chiudere in casa e fare finta che mia madre

per nove mesi avesse covato il segreto di una

sua gravidanza, nonostante i cinquant’anni

siano passati da un pezzo, saranno gli

ormoni, sarà l’ardore di suo marito. Invece

il bambino è mio e ringraziamo tutti un tizio

di due classi avanti a me che mi ha incluso

nel suo programma di fertilità e riproduzione

incontrollata.

Un giorno ero aggrappata alla recinzione del

campo da basket della scuola per assistere

all’umiliazione subita dalla squadra di mio

fratello, e dall’altro lato del campo ho visto

Joshua seduto sugli spalti che prendeva

appunti sul suo bloc notes nero.

Pensavo stesse scrivendo poesie, invece erano

le cronache sportive per il giornale scolastico.

Poteva mentirmi, farmi la corte, infilarmi

bigliettini segreti nella cartella.

Ma lui mi ha detto subito quello che voleva

e io, davanti a nostro signore Gesù Cristo,

gliel’ho dato.

Che dovevo dire ai miei genitori, che ero stata

costretta, che mi hanno incatenata al letto

come un cucciolo di labrador con la bava, che

ho mantenuto la posizione di sotto? Che lui

è un maledetto giudeo? Il bambino si chiama

Seth, come il figlio di non so chi nel sacro

libro.

E’ un bambino che puzza, lo laviamo, gli

mettiamo le ciprie anallergiche, gli oli

essenziali negli orifizi, sciogliamo le sue

bavette nell’acido muriatico, poi lui fa un

ruttino e io sento aria di inferno.

Joshua è venuto a portarci un paio di violette

in ospedale, dopo che è nato, comportandosi

come un amico qualsiasi. Lo invidio, perché

lui può dire: “Questo bambino non è mio”.

I miei genitori me lo impediscono, me lo

hanno affibbiato dal momento in cui ho

detto di essere incinta. Il che è molto logico,

lui stava dentro di me, nel mio utero, a

succhiarmi il sangue, quindi era mio. Lo ha

detto anche il prete, che devo amarlo. Come

si può amare il proprio vomito, anche quello

è nostro; quando l’ho detto mio padre mi

ha dato uno schiaffo con l’anello, non con

il palmo o le dita, con l’anello dell’anulare

diritto sul mio labbro inferiore, senza farlo

sanguinare.

Stazione degli autobus, pomeriggio inoltrato,

un anno dopo

Padre Roberts mi ha chiesto se potevo

passare a lasciare qualche volantino nelle

cassette della posta pubblica e vicino ai

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bidoni dell’immondizia giù alla stazione

dei bus, io ci vado di buon grado. Lo ha

chiesto a me per una questione di fiducia, ma

anche perché sa che certi ambienti non mi

scalfiscono proprio, che so tenere il punto.

La gente che dorme lì mi insulta certe volte,

ma io non faccio come Tammy che si ferma

a chiacchierare dei malesseri altrui o come

Fiona che inizia a flagellarsi il petto dando

in escandescenze e chiedendo perdono a

chiunque le passi a tiro (gliel’ho detto a Padre

Roberts che non dovrebbe più affidarle certi

incarichi, la ragazza è cagionevole e tende

alla blasfemia). Io adotto una strategia più

asciutta: infilo i volantini al loro posto e

se qualcuno mi ferma per scroccarmi una

sigaretta magari gliela offro pure, però se

iniziano a parlare di dio in termini che non

gradisco mi allontano bruscamente. Solo

una volta ammetto di aver peccato, un uomo

loffio si è messo alle mie calcagna urlando di

essere stato vittima di una setta evangelista

che prevedeva accoppiamenti con le capre,

mi ha tirato i capelli e io mi sono girata con

uno scatto violentissimo, per trovarmi le

sue labbra suppurate e violacee davanti alla

faccia.

Senza pensarci, ho sollevato il mio crocefisso

d’oro della prima comunione e gli ho detto:

“Succhialo”. Proprio così,“Succhialo”, che

voleva suonare come un vai a fare in culo (che

dio mi perdoni), ma prima che il tizio potesse

fraintendere sono scappata.

Tammy, Fiona e le altre. Raccontano certe

storie divertenti, e hanno il permesso di

partecipare ai ritiri spirituali portandosi

dietro la pillola anticoncezionale, le madri

non le controllano i loro zainetti come fa la

mia. E poi io devo rimanere a casa, niente

campeggio per me, no signore.

Oggi porto Seth con me perché mamma

è dal parrucchiere e mio padre è andato

all’ufficio immigrazione per mettere una

buona parola sui suoi dipendenti. Sono due

ragazzi di vent’anni, muti come i santi, anche

se da certe occhiate che mi lanciano quando

pranzano con noi la domenica intuisco

che sono furiosi, e che ribollono di energie

sessuali.

Uno di loro ha una ragazza che recentemente

lo ha raggiunto dal loro paese, si chiama

Marta ed è l’unica messicana con i capelli

biondi che io abbia mia visto.

Trascorre le giornate fuori dalla loro baracca

di legno a qualche isolato dalla nostra

fattoria a lavare i panni da lavoro in un

cesto di plastica; un giorno sono passata di

lì a portarle una crostata e ci siamo messe a

chiacchierare. Ha detto che per il momento

sta bene così, che le piacerebbe imparare a

fare le tinte e a tagliare i capelli per aprire

un negozio e io mi sono sentita in dovere

di spiegarle che dalle parti nostre avevamo

abbastanza parrucchieri da tosarci tutte le

pecore dell’Iowa in mezz’ora. Lei ha sorriso

timidamente e mi ha detto, senza scherzare,

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che allora avrebbe trovato un lavoro nel

settore del cinema porno.

Mi sono sentita morire. Eccolo lì, un altro

agnello di Dio insudiciato dal luridume del

mondo.

Sono ritornata da lei con alcuni dei miei

vecchi vestiti lavati e rimessi a posto; l’ho

vista misurare i golfini di cotone color

pastello a tre quarti che dopo la gravidanza

non mi sono più andati bene e osservarsi

compiaciuta nello specchio crepato

sull’armadio nella stanza da letto in cui,

benedetto dio, dormivano in tre. Le ho

perfino passato di nascosto un cd dei Bon

Jovi che ero riuscita a salvare dal falò di mia

madre e lei credendo di farmi piacere mi ha

prestato i suoi romanzi d’amore dozzinali

comprati in drogheria. E’ stato allora che ho

colto l’occasione di parlarle un po’ di me, di

quello che facevo per la Chiesa, di come ero

riuscita a salvarmi la pelle. Le ho lasciato una

bibbia che avevo comprato apposta per lei e

sono scappata a casa, impaziente di lasciarla

da sola con quell’illuminante lettura. Le

ho dato un po’ di tempo, ma quando sono

tornata a trovarla Marta non ha reagito

affatto come mi aspettavo. Ha detto che

l’avevo trattata come un pupazzo, che non la

rispettavo come persona (persona? andiamo,

chi diavolo si credeva di essere) e che potevo

riprendermi al bibbia e i vestiti che le avevo

regalato, perché non le interessavano più.

Maledetta ingrata. Ci siamo incontrate fuori

casa mia qualche giorno fa, e la sfacciata

non ha neanche alzato la testa per fare un

cenno di saluto. Se solo non fossi una brava

cristiana direi a mio padre di mettere lei e

quegli altri due pezzenti per strada.

Prima di imboccare l’ingresso della stazione

sollevo tutta la capote del passeggino per

proteggere Seth dagli sguardi di questi

viziosi, ma nel farlo mi sporgo troppo in

avanti e inciampo su una lattina di birra e

fiondo con il culo a terra. Mi guardo intorno

per controllare se mi ha vista qualcuno e

inizio a raccogliere tutti i foglietti che mi

sono volati dalle tasche del giubbino. Non mi

sento tranquilla oggi, se parlassi potrebbero

uscirmi cose gravissime dalla bocca.

Ho preso la rincorsa con il passeggino e

sono andata via in fretta da quel luogo di

perdizione, ringraziando il signore per avermi

risparmiata da certi brutti incontri. Anche

oggi, cercando di restare nella grazia del

Santissimo.