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1 (IVª Parte) SFIDE ATTUALI NELLA TEOLOGIA, PASTORALE E SPIRITUALITÀ MISSIONARIA (10) Il Decreto conciliare “Ad Gentes”, tra memoria e profezia (11) Orme del Verbo Incarnato nelle diverse esperienze di Dio (12) Il martirio cristiano, pegno di autenticità missionaria (13). La figura missionaria di san Giovanni d’Avila, nuovo Dottore della Chiesa universale (10) IL DECRETO CONCILIARE “AD GENTES”, TRA MEMORIA E PROFEZIA Premessa Individuare un documento ecclesiale conciliare, come è il caso del decreto missionario "Ad Gentes", significa far attenzione a un evento o fatto di grazia, che continua ad incidere negli anni successivi. Le grazie dello Spirito Santo, concesse alla Chiesa durante la storia, continuano ad essere un dono permanente dello stesso Spirito. Il decreto missionario "Ad Gentes" si deve rileggere nel suo contesto conciliare e quindi in rapporto alle quattro Costituzioni ("Lumen Gentium", "Dei Verbum", "Sacrosantum Concilium", "Gaudium et Spes"). Il suo valore non si può estrapolare, ma neanche infravalutare. E' un fatto che i contenuti del decreto (nel suo retroscena conciliare) hanno avuto e hanno ancora un influsso decisivo in tutti i documenti postconciliari della Chiesa. La mia riflessione tenta di dare una presentazione delle urgenze missionarie attuali

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(IVª Parte) SFIDE ATTUALI NELLA TEOLOGIA, PASTORALE E SPIRITUALITÀ MISSIONARIA

(10) Il Decreto conciliare “Ad Gentes”, tra memoria e profezia(11) Orme del Verbo Incarnato nelle diverse esperienze di Dio(12) Il martirio cristiano, pegno di autenticità missionaria(13). La figura missionaria di san Giovanni d’Avila, nuovo Dottore della Chiesa universale

(10)IL DECRETO CONCILIARE “AD GENTES”, TRA MEMORIA E PROFEZIA

Premessa

Individuare un documento ecclesiale conciliare, come è il caso del decreto missionario "Ad Gentes", significa far attenzione a un evento o fatto di grazia, che continua ad incidere negli anni successivi. Le grazie dello Spirito Santo, concesse alla Chiesa durante la storia, continuano ad essere un dono permanente dello stesso Spirito.

Il decreto missionario "Ad Gentes" si deve rileggere nel suo contesto conciliare e quindi in rapporto alle quattro Costituzioni ("Lumen Gentium", "Dei Verbum", "Sacrosantum Concilium", "Gaudium et Spes"). Il suo valore non si può estrapolare, ma neanche infravalutare. E' un fatto che i contenuti del decreto (nel suo retroscena conciliare) hanno avuto e hanno ancora un influsso decisivo in tutti i documenti postconciliari della Chiesa.

La mia riflessione tenta di dare una presentazione delle urgenze missionarie attuali alla luce dell'"Ad Gentes" (specialmente nel contesto di "Evangelii Nuntiandi", "Redemptoris Missio", "Tertio Millennio Adveniente" e "Ecclesia in Africa"). Inoltre vuol essere anche una offerta di proposte concrete di ricerca scientifica sull'evangelizzazione attuale e sulla nuova evangelizzazione.

1. "Ad Gentes", invito permanente della profezia

Alla fine del terzo millennio, trent'anni dopo il decreto conciliare "Ad Gentes" (1965), la Chiesa è abituata al tema missionario. In questo arco di anni spesso siamo stati invitati a prendere cura responsabile della missione senza frontiere. Sembra che il decreto missionario del concilio sia stato ed è ancora un fermento profetico che si approfondisce continuamente.

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Ricordiamo brevemente alcuni documenti posteriori al decreto "Ad Gentes". L'anno 1975, dieci anni dopo il concilio, Paolo VI pubblicava l'esortazione postsinodale "Evangelii Nuntiandi", chiarendo idee, segnalando nuovi campi di missione e invitando tutta la Chiesa a preparare con Maria l'arrivo del terzo millennio. Il nuovo "Codice di Diritto Canonico", pubblicato nel 1983, dedica un titolo (lib. III, tit. II) all'azione missionaria della Chiesa. L'enciclica "Redemptoris Missio" di Giovanni Paolo II (1990) invita di nuovo tutta la Chiesa ad approfondire e chiarire i temi missiologici e a prendere parte responsabilmente nella missione universale "ad gentes". Il "Catechismo della Chiesa Cattolica" (1992) raccoglie in un modo pedagogico i contenuti missionari di tutti questi documenti. Una simile spinta missionaria è anche apparsa in molti altri documenti, in modo speciale in "Slavorum Apostoli" (1985), "Tertio Millennio Adveniente" (1994), "Ut Ununm Sint" (1995), "Ecclesia in Africa" (1995), "Vita Consecrata" (1996)...

Come si è potuto arrivare a questa coscienza missionaria? Quale è stato l'apporto del decreto conciliare "Ad Gentes"? In tutti i documenti postconciliari che abbiamo riassunto, si trova il fermento evangelico del decreto conciliare "Ad Gentes", come punto di riferimento per chiarire concetti missiologici ed aprire nuovi orizzonti alla missione ecclesiale universale. Bisogna riconoscere che il decreto missionario è un passo in più, però che dipende da una ricca eredità anteriore.

All'inizio del secolo XX, che è stato chiamato secolo delle missioni, c'è stato un grande risveglio missionario in tutta la Chiesa. Basta ricordare gli Istituti missionari fondati durante questo periodo, il lavoro svolto dalle Pontificie Opere Missionarie, l'influsso della figura di Santa Teresa di Lisieux (canonizzata nel 1925; patrona delle missioni nel 1927), l'inizio della teologia missiologica e le encicliche missionarie, specialmente a partire dal Papa Benedetto XV, la cui lettera apostolica "Maximum illud" (1919) è stata chiamata la "magna carta" delle missioni. Il decreto conciliare "Ad Gentes" cita questi grandi documenti e ne prende i contenuti principali.1

In questi documenti ed eventi ecclesiali si presenta l'azione missionaria secondo diverse angolature, che saranno riprese nel concilio

1    ? Vedi la nota 34 (del n.6) del decreto missionario. "Maximum illud" (Benedetto XV, 1919), "Rerum Ecclesiae" (Pio XI, 1926), "Saeculo exeunte" (Pio XII, 1940), "Evangelii praecones" (Pio XII, 1951), "Fidei donum" (Pio XII, 1957), "Princeps Pastorum" (Giovanni XXIII, 1959). Non dobbiamo dimenticare i documenti missionari del magisterio pontificio del secolo XIX: "Prae nobis" (Gregorio XVI, 1840), "Quanto conficiamur" (Pio IX, 1863), "Sancta Dei civitas" (Leone XIII, 1880), "Catholicae Ecclesiae" (Leone XIII, 1890).

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Vaticano II: il mandato missionario di Cristo, la natura missionaria della Chiesa, la propagazione della fede, la chiamata alla conversione, l'impiantazione della Chiesa, la responsabilità missionaria dei Pastori e delle Chiese particolari, la formazione del clero locale e dei catechisti, la cooperazione missionaria, ecc. Il Papa Pio XI era stato chiamato "Papa delle missioni". E' anche da sottolineare l'enciclica "Fidei donum" (di Pio XII, 1957), in cui oltre a suscitare l'aiuto urgente per l'Africa (in occasione dell'indipendenza della maggioranza dei paesi africani), il Papa invita i Vescovi a prendere coscienza della loro corresponsabilità missionaria "in solidum"; il Pontefice chiama specialmente i preti diocesani a partecipare nella missione "ad gentes".2

Quindi prima del concilio Vaticano II, le encicliche missionarie avevano offerto degli elementi basilari sia per la teologia della missione che per il risveglio missionario del secolo XX. D'altronde i documenti conciliari del Vaticano II, in modo speciale "Lumen Gentium", "Gaudium et Spes" e "Ad Gentes", hanno fronteggiato le nuove realtà nel campo dell'evangelizzazione, approfondendo la natura missionaria della Chiesa "sacramento universale di salvezza".

Se prima del Vaticano II (all'inizio del secolo XX) c'è stato un grande risveglio missionario e missiologico, alla fine del secolo XX la Chiesa si trova di fronte a nuove sfide: il processo di inculturazione del Vangelo, la maturità delle Chiese particolari, l'espansione delle sette, l'incontro tra tutte le religioni in tutti i continenti, le migrazioni moltitudinarie dei popoli, il concentramento della popolazione nelle grandi città...3

I contenuti del decreto missionario "Ad Gentes" s'inquadrano come fermento dinamico tra la ricca eredità missionaria del prossimo passato, e le nuove sfide nel campo dell' evangelizzazione. La domanda che si può fare è questa: i contenuti missiologici dell'"Ad Gentes" avranno la forza profetica necessaria per trasformare le nuove situazioni in nuove possibilità di evangelizzazione? Possiamo accettare l'"Ad Gentes", ancora adesso nel nostro tempo tra due millenni, come un'invito di valore permanente?

2    ? Da cui deriva il titolo di sacerdoti "fidei donum". Vedere contenuti e bibliografia di ogni enciclica in: Teología de la Evangelización (Madrid, BAC 1995) cap. II, 4.

3    ? Studi in collaborazione sui problemi missiologici di attualità: Chiesa locale e inculturazione nella missione (Roma, Pont. Univ. Urbaniana, 1987); Missiologia oggi (Roma, Pont. Univ. Urbaniana, 1985); Prospettive di Missiologia, oggi (Roma, Univ. Gregoriana, 1982). Vedere le situazioni attuali descritte da "Redemptoris Missio" cap. IV ("gli immensi orizzonti della missione ad gentes"). M. ZAGO, "Redemptoris Missio" di Giovanni Paolo II: un grido per la missione: Omnis terra n.26 (1991) 9-15.

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Ignorare la realtà missionaria e le sue difficoltà, con la scusa di fronteggiare problemi e necessità più immediate, porta a creare delle difficoltà artificiali e delle discussioni di lusso, specialmente nel campo morale, per mancanza della spinta santificatrice ed evangelizzatrice delle beatitudini.

La storia ecclesiale, in ogni epoca, si costruisce nella fedeltà alle grazie ricevute dallo Spirito durante venti secoli. Il significato escatologico della "sacramentalità ecclesiale" (AG 1 e 9), porta la Chiesa ad essere attenta alle nuove grazie dello Spirito scoperte con una maggiore fedeltà alle grazie del passato.

Il decreto missionario auspicava che tutte le Chiese particolari, anche quelle più giovani, si rinnovassero allo scopo di prendere la propria parte di responsabilità nella missione universale. Questa apertura sarebbe un segno di maturità ecclesiale: "Chiese che... portino il loro contributo a vantaggio di tutta quanta la Chiesa" (AG 6).

E' vero che la Chiesa deve fronteggiare tanti problemi e situazioni diverse del mondo di oggi. Però precisamente questa attenzione, alla luce della missione, diventa una riscoperta della propria identità. E questa riscoperta o approfondimento produce la gioia della risposta ai disegni salvifici di Dio. Per ciò, quando la Chiesa approfondisce la missione, riscopre la gioia della sua identità: "l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa: essa ne diffonde la fede salvatrice, ne realizza l'unità cattolica diffondendola, si regge sulla sua apostolicità, mette in opera il senso collegiale della sua gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove la sua santità" (AG 6).

2. "Ad Gentes", una rilettura alla fine del secondo Millennio

Trent'anni dopo la pubblicazione del decreto missionario, è lecito farne una "rilettura" che permetta riscoprire i suoi contenuti profetici per una Chiesa pellegrina tra due millenni. Sarà utile innanzitutto ricordare l'esito conciliare del documento, il contesto documentale dentro del concilio, i principali contenuti, gli studi fatti durante questo trentennio, il valore profetico di fermento evangelico permanente.

Il concilio Vaticano II, annunciato da Papa Giovanni XXIII nel 1959 e convocato nel 1961 (Const. Apost. "Humanae salutis"), iniziò i suoi lavori l'11 ottobre 1962 e, dopo quattro tappe, si arrivò alla chiusura l'8 dicembre 1965.

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Nel contesto dell'assemblea conciliare del Vaticano II, il testo del decreto missionario "Ad Gentes" ha avuto un "iter" sofferto. Una prima redazione constava di sette capitoli, il cui contenuto è stato dissolto per passare ad altri documenti ed essere ridotto a tredici proposizioni molto brevi. Questo nuovo testo offriva idee generali sull'attività missionaria, la formazione dei missionari e la cooperazione missionaria. Nel dibattito dei giorni 6-9 novembre 1964, il testo non è venne accettato dai Padri, i quali chiesero una nuova redazione.

Dopo otto redazioni, il nuovo testo fu elaborato accuratamente con una buona base ecclesiologica (e quindi trinitaria) per illuminare l'azione missionaria, fronteggiare le nuove situazioni e proporre indirizzi per il futuro della missione. Il dibattito sul nuovo testo (7-13 ottobre 1965) ha ottenuto la compiacenza dei padri conciliari, specialmente per la valutazione positiva delle religioni non cristiane come preparazione evangelica, l'accento della responsabilità collegiale dei Vescovi e la necessità dell'unione tra i cristiani per la missione universale. Il decreto è stato approvato quasi all'unanimità (é il documento che ha avuto più voti positivi) e promulgato il 7 dicembre 1965).4

Gli studi e ricerche fatte sull'"Ad Gentes" hanno sottolineato l'importanza dell'impostazione trinitaria ed ecclesiologica del testo, per poter arrivare a delle conclusioni pratiche sia per la scienza missiologica che per l'azione e la cooperazione missionaria. L'idea iniziale di "Chiesa sacramento" (AG 1) comunica una spinta di impegno missiologico fino alla "escatologia" (AG 9). Sotto questa luce si possono chiarire questioni disputate prima del concilio: la finalità e la continuità della missione "ad gentes", il rapporto con le altre religioni, l'inserimento nelle culture, la specificità della vocazione missionaria, la responsabilità missionaria di tutta la Chiesa, la cooperazione da parte di tutte le istituzioni.5

4    ? Testo ufficiale: AAS 58 (1966) 947-990. Cronaca e "iter" della celebrazione e dei documenti conciliari, in: Il Concilio Vaticano II (Roma, La Civiltà Cattolica, 1966ss), 5 volumi. Bilancio sul concilio nel suo venticinquesimo, 1987: Vaticano II, bilancio e prospettive venticinque anni dopo 1962-1987 (Assisi, Cittadella Edit., 1987). Documenti del concilio: Acta Synodalia Sacrosanti Concilii Oecumenici Vaticani II (Città del Vaticano 1970-1983).

5    ? Studi e commenti (in collaborazione) sul decreto conciliare: AA.VV., Decreto sobre la actividad misionera de la Iglesia: Misiones Extranjeras 13 (1966) 195-239; AA.VV., L'activité missionnaire de l'Eglise, Décret "Ad Gentes" (Paris, Cerf, 1967); AA.VV., Le Missioni nel Decreto "Ad Gentes" del Concilio Vaticano II: Euntes Docete 19 (1966); AA.VV., Chiesa e missione (Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1990). Per una bibliografia per particolarizzata: W. HENKEL, Bibliografia sul decreto De Activitate Missionali Ecclesiae "Ad Gentes" (anni 1975-1985): Euntes Docete 39 (1986) 263-274.

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Nel contesto ecclesiologico del concilio Vaticano II, la missione della Chiesa (descritta nell'"Ad Gentes") è la stessa missione di Cristo prolungata nel tempo storico fino alla "parusia". E' quindi la missione che scaturisce dalla Trinità e dai disegni salvifici del Padre che si attuano sotto l'azione dello Spirito santo. La missione riceve la forza da questa dimensione trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiologica ed escatologica. Questi principi missiologici (cap. I) porteranno a delle conseguenze pratiche ed impegnative nell'azione missionaria diretta (cap. II), con la collaborazione responsabile delle Chiese particolari (cap. III), il contributo dei missionari (cap. IV), l'organizzazione e coordinamento dell'attività (cap. V) la cooperazione missionaria (cap. VI).

L'accento dell'"Ad Gentes" sulla natura missionaria della Chiesa particolare (n.38) e sulla dimensione missionaria di tutte le vocazioni (nn.39-41) viene armonizzata con l'affermazione sull'esistenza di una vocazione missionaria specifica. L'invito all'apertura missionaria "ad gentes" da parte di tutti gli Istituti di perfezione (n.40), non diminuisce l'importanza attuale e permanente degli Istituti e Istituzioni missionarie propriamente dette (n.27). Il grado di maturità di una Chiesa locale (anche giovane) si pone nella sua apertura responsabile "ad gentes" (n.6). Le nuove situazioni invitano a ripensare il concetto di missione "ad gentes" più in là dell'ambito geografico (n.6). L'inserimento del Vangelo nelle diverse situazioni sociali e ambiti culturali, viene studiato alla luce dell'incarnazione de Verbo (n.10).

Queste proposte dell'"Ad Gentes" si devono inquadrare dentro del contesto conciliare, dove l'idea centrale sembra essere quella di "Chiesa sacramento" nella sua dimensione missionaria: "Chiesa sacramento universale di salvezza" (LG, 48; AG 1). Tutti i documenti del concilio potrebbero essere riletti continuamente sotto questa luce di sacramentalità ecclesiale come segno trasparente e portatore del Vangelo per tutti i popoli. In questo modo, la Chiesa diventa "vessillo innalzato di fronte alle nazioni" (SC 2), "che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo" (GS 45).

Il primo documento approvato dal concilio, la Costituzione "Sacrosantum Concilium" (4 dicembre 1963) indica lo scopo dell'assemblea conciliare, accennnando sia la missione universale che il necessario rinnovamento: "Il sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all'unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa" (SC 1).

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Questo scopo principale del concilio appare quando, nel primo numero della "Lumen Gentium" viene spiegato il significato di "sacramento" applicato alla Chiesa: "Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale" (LG 1)

Se è vero che il concilio Vaticano II è "concentrato nel mistero di Cristo, della sua Chiesa ed insieme aperto al mondo" (TMA 18), questo indica che il decreto "Ad Gentes" deve essere inquadrato nel contesto degli altri documenti conciliari e, in modo speciale in rapporto alle quattro Costituzioni: "Lumen Gentium" (Chiesa), "Dei Verbum" (Parola di Dio), "Sacrosantum Concilium" (liturgia), "Gaudium et Spes" (Chiesa nel mondo).

Nel rapporto con la "Lumen Gentium", l'idea della "sacramentalità" della Chiesa si aprirà più facilmente all'universalismo missionario. In questa luce, la "Lumen Gentium" potrebbe essere "riletta" in stretto rapporto con "Ad Gentes": La Chiesa è per natura missionaria dovuto alla sua sacramentalità come segno trasparente e strumento di salvezza (LG I). La sua realtà di "Popolo di Dio" si presenta come proprietà sponsale di Dio (di Cristo Sposo) e quindi come segno salvifico innalzato davanti a tutti i popoli (LG II). Ogni membro della Chiesa secondo la propria vocazione (gerarchia, laicato, vita consacrata) ha una responsabilità peculiare nella missione ecclesiale (LG III, IV, VI); tutti sono chiamati alla santità secondo il proprio stato di vita (LG V) e anche a collaborare nel cammino storico della Chiesa "sacramento universale di salvezza" (LG VII). Maria, figura della Chiesa, è modello e prototipo della maternità missionaria della Chiesa (LG VIII).

Di fatto, é la stessa "Lumen Gentium" che, alla fine del cap. II (Il Popolo di Dio), come riassunto della sacramentalità della Chiesa, presenta il suo carattere missionario in chiave trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiologica, antropologica (culturale), indicando gli indirizzi principali dell'azione missionaria a tutti i popoli. A partire da questa prospettiva missionaria della "Lumen Gentium", tutti gli altri documenti del concilio ricuperano una prospettiva universalista "ad gentes". La Chiesa "continua a mandare araldi del Vangelo, fino a che le nuove Chiese siano pienamente costituite e continuino a loro volta l'opera di evangelizzazione. È spinta infatti dallo Spirito Santo a cooperare perché sia compiuto il piano di Dio, il

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quale ha costituito Cristo principio della salvezza per il mondo intero... Così la Chiesa unisce preghiera e lavoro, affinché il mondo intero in tutto il suo essere sia trasformato in popolo di Dio, corpo mistico di Cristo e tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, centro di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo" (LG 17).

Questo numero 17 della "Lumen Gentium" (nel contesto di Chiesa "sacramento" e "Popolo di Dio") potrebbe essere considerato come una sintesi magistrale sulla missione, punto di riferimento anche per il decreto "Ad Gentes". La prospettiva missionaria della "Lumen Gentium", in rapporto all'"Ad Gentes", illumina tutti gli altri documenti del concilio e, in modo speciale le Costituzioni conciliari.

La Costituzione "Dei Verbum" presenta la Chiesa che custodisce e garantizza la "rivelazione" (Scrittura e Tradizione), che è dono di Dio per tutta l'umanità. Il concilio, secondo la "Dei Verbum", "intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l'annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami" (DV 1).

Secondo la Costituzione "Sacrosantum Concilium", la celebrazione liturgica è un momento privilegiato per annunciare Cristo a tutte le genti perché "contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa... In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un'abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo , nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare il Cristo. Così a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi, finché ci sia un solo ovile e un solo pastore" (SC 2).6

Nella Costituzione "Gaudium et Spes", il concilio presenta l'inserimento del Vangelo nel mondo e nelle situazioni sociali per mezzo della Chiesa, prendendo come punto di riferimento il mistero dell'Incarnazione. In questo modo la Chiesa diventa solidale con tutta l'umanità. "La comunità (ecclesiale) è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da

6    ? Il testo conciliare cita Is 11,12 e applica il testo alla Chiesa come "vessillo innalzato di fronte alle nazioni".

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proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia" (GS 1).7

Il decreto conciliare "Ad Gentes" diventa un fermento profetico che serve a sviluppare il contenuto della realtà di "Chiesa sacramento universale di salvezza": la Chiesa è segno trasparente e portatore di Cristo (LG), garantisce e comunica la Parola di Dio (DV), celebra il mistero pasquale (SC), s'inserisce come fermento evangelico in tutte le situazioni del mondo (GS), chiama tutti i popoli a partecipare della salvezza di Cristo per mezzo della Chiesa (AG).8

Questa realtà di Chiesa "sacramento-mistero" (segno portatore della presenza attiva di Cristo) diventa "missione" reale ed efficace nella misura in cui la stessa Chiesa sia "comunione", cioè unità che riflette l'unità della Trinità di Dio Amore, "un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4).9

Il decreto "Ad Gentes", nel trasmettere una eredità missionaria precedente (contenuta principalmente nelle encicliche missionarie), progredisce nel campo dell'evangelizzazione più attualizzata e più efficace, armonizza le due tendenze anteriori sull'obiettivo della missione (impiantare la Chiesa, propagare la fede e salvezza in Cristo), e offre un fermento profetico per l'azione e la teologia missionaria del futuro.10

E' quindi giusto affermare che il decreto missionario (nel suo contesto conciliare) è punto di riferimento per le questioni attuali, anche dopo la pubblicazione della "Evangelii Nuntiandi" e "Redemptoris Missio". La

7    ? Nella Costituzione si sottolinea il mistero di Cristo come centro della creazione e della storia, affinché la Chiesa faccia "ricapitolare in Cristo tutte le cose" (Ef 1,10). Il tema appare specialmente alla fine di ogni capitolo della prima parte della "Gaudium et Spes", specialmente nel n.22, dove si afferma che il mistero di Cristo svela il mistero dell'uomo.

8    ? Sulla dimensione missionaria globale del concilio Vaticano II: V. GARAYGORDOBIL, Las misiones en el concilio y repercusiones postconciliares: Lumen 35 (1986) 301-321.

9    ? Vedere il tema "Chiesa mistero, comunione, missione", in: (SYNODUS EPISCOPORUM) Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, Relatio finalis, Lib. Edit. Vaticana 1985.

10    ? I commenti all'"Ad Gentes", pubblicati in Chiesa e missione, o.c., studiano alcuni temi di attualità alla luce del decreto conciliare: Chiesa missionaria, Chiesa locale, dovere missionario del Pastori, vita consacrata, spiritualità missionaria, laicato, formazione, catecumenato, liturgia, religioni non cristiane, ecumenismo, dialogo, inculturazione, sviluppo, ecc.

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teologia missionaria in tutti i suoi livelli (dogmatico, pastorale, missiografico, spirituale, ecc.) può ispirarsi continuamente nelle affermazioni conciliari la cui virtualità prosegue durante la storia successiva (come è accaduto con altri documenti conciliari del passato).

3. La coscienza missionaria della Chiesa verso il terzo Millennio

Una semplice lettura dei documenti postconciliari mette in evidenza il ricco contenuto e l'influsso del decreto "Ad Gentes" per quanto riguarda l'evangelizzazione missionaria. Alcuni documenti sono un riassunto ("Catechismo della Chiesa Cattolica") o un'applicazione normativa della dottrina conciliare ("Codice di Diritto Canonico"). Pero altri documenti ("Evangelii Nuntiandi", "Slavorum Apostoli", "Redemptoris Missio", "Tertio Millennio Adveniente", "Ecclesia in Africa", ecc.) sono una nuova riflessione appoggiata sulla dottrina conciliare e alle volte più approfondita per poter rispondere a delle situazioni missionarie peculiari.

Ormai, la coscienza missionaria "ad gentes", al meno per quanto riguarda il contenuto dottrinale dei documenti, è diventata più esplicita e normale. La dimensione missionaria di prima evangelizzazione appare praticamente in tutti i documenti e in tutti gli eventi ecclesiali. Le sfide missionarie della fine del secondo millennio e dell'inizio del terzo, trovano abbondante materiale dottrinale per poter essere fronteggiate. La vera sfida consiste in questo: se tutte le vocazioni, ministeri, servizi e strutture della Chiesa attuale sapranno rinnovarsi evangelicamente per poter rispondere alle urgenze missionarie del presente.11

A) Paolo VI. "Evangelii Nuntiandi"

Dieci anno dopo il concilio, Paolo VI pubblicò l'esortazione postsinodale "Evangelii Nuntiandi" (1975). E' uno dei documenti più citati e apprezzati nel periodo postconciliare. Il tema dell'evangelizzazione si presenta non soltanto nel campo della missione "ad gentes", ma anche in tutte le sue virtualità di annunciare il Vangelo nelle diverse situazioni della nostra società. Come si dice nel titolo, si tratta dell' "evangelizzazione del mondo contemporaneo".12

11    ? Vedere il tema del rinnovamento ecclesiale per la comunione e missione, nel n.4, D.

12    ? Come è noto, l'esortazione apostolica "Evangelii nuntiandi", raccoglie il frutto del Sinodo Episcopale sull'evangelizzazione (1974). Fu pubblicata l'8 dicembre 1975: AAS 58 (1976) 5-76. Paolo VI ha tre altri documenti di contenuto missionario: "Ecclesiam suam" sul dialogo (1964)), "Populorum progressio" (1967) "Octogesima adveniens" (1971). Su "Evangelii Nuntiandi": AA.VV., Esortazione Apostolica "Evangelii

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Nell' "Evangelii Nuntiandi", il tema dell'evangelizzazione viene approfondito, frequentemente in rapporto all'"Ad Gentes". Si può vedere un parallelo:

Fondamento teologico della missione:

AG I: natura missionaria della Chiesa nella sua dimensione trinitaria, cristologica e pneumatologica.

EN I: (esposizione dinamica) "dal Cristo evangelizzatore, alla Chiesa evangelizzatrice"

Azione evangelizzatrice:

AG II: Annuncio, testimonianza e costruzione della comunità nella carità; formazione del clero locale, catechisti, vita religiosa.

EN II-V: (II) Natura dell'evangelizzazione (rinnovamento, inserzione nelle culture, annuncio, testimonianza); (III) contenuto dell'evangelizzazione (salvezza, speranza, liberazione evangelica, conversione...); (IV) vie dell'evangelizzazione (testimonianza, annuncio, liturgia, catechesi, "mass media", sacramenti, pietà popolare); (V) destinatari dell'evangelizzazione (universalismo, religioni non cristiane, ecc.)

Responsabili dell'evangelizzazione:

AG III-VI: Chiese particolari (III), missionari (IV), organizzazione dell'attività missionaria diretta, (V) cooperazione (tutti i fedeli e le comunità ecclesiali, vescovi e sacerdoti, istituti di perfezione, laici).

EN VI: Chiesa universale e Chiese particolari, Sommo Pontefice, Vescovi e sacerdoti, religiosi, laici, famiglia, giovani, ministeri diversificati.

Spiritualità missionaria:

AG: usa l'espressione "spiritualità missionaria" (n.29), descrive le virtù del missionario (n.23-25).

Nuntiandi", Commento sotto l'aspetto teologico, ascetico e pastorale (Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli 1976); AA.VV., "Evangelii Nuntiandi" Kommentare und Perspektiven: Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft 32 (1976) 241-341; AA.VV., L'Annuncio del Vangelo oggi (Roma, Pont. Univ. Urbaniana, 1977).

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EN VII: fedeltà allo Spirito, autenticità, unità, servire la verità, carità apostolica, santità, Maria "Stella dell'evangelizzazione".

Sarebbe interessante far vedere lo sviluppo di alcuni temi missionari, a partire dall' "ad Gentes", rispettando la peculiarità e originalità di ogni documento. Sono molto più espliciti in "Evangelii Nuntiandi" alcuni temi di attualità: l'inserimento nelle culture (EN 20; AG 10) e nelle realtà sociologiche (EN 30-33; AG 12), la spiritualità o spirito dell'evangelizzazione (EN VII; AG 23-25), la necessità attuale di presentare una forte esperienza di Dio (EN 76; AG 25). Lo svolgimento dei temi secondo la "Evangelii Nuntiandi" non sarebbe stato possibile senza l'apporto previo dell'"Ad Gentes". La novità dell'esortazione di Paolo VI emerge principalmente nella risposta più esplicita e diretta ai problemi immediati dell'evangelizzazione.

B) Giovanni Paolo II

Paolo VI ha avuto una grande lungimiranza che sarà sviluppata posteriormente da Giovanni Paolo II in parecchi documenti a partire dalla sua prima enciclica "Redemptor hominis" (1979), presentando il "dinamismo missionario" della Chiesa che è sempre "in stato di missione" (RH 20).13

L'enciclica "Slavorum Apostoli" (1985) presenta i santi Cirillo e Metodio come modelli di inculturazione nel processo di evangelizzazione in Europa, e come invito per una "nuova evangelizzazione" che sappia ricuperare le radici cristiane della cultura occidentale.14

13    ? Le encicliche di Giovanni Paolo II hanno un forte contenuto missionario "ad gentes": "Redemptor Hominis" (1979), "Dives in Misericordia" (1980), "Laborem Exercens" (1981), "Slavorum Apostoli" (1985), "Dominum et Vivificantem" (1986), "Redemptoris Mater" (1987), "Sollicitudo Rei Socialis" (1987), "Centesimus Annus" (1991), "Redemptoris Missio" (1990), "Veritatis Splendor" (1993), "Evangelium Vitae" (1995), "Ut unum sint" (1995). E' importante l'apporto della donna all'evangelizzazione, secondo la lettera apostolica "Mulieris dignitatem" (1988). E' anche evidente la linea missionaria delle esortazioni postsinodali: "Familiaris Consortio" (1981), "Reconciliatio et paenitentia" (1984), "Christifideles laici" (1988), "Pastores dabo vobis" (1992), "Ecclesia in Africa" (1995). L'invito per il terzo millennio è una chiamata pressante alla missione universale: "Tertio millennio adveniente" (1994). Sul pensiero missionario di Giovanni Paolo II: P. GIGLIONI, La missione sulle vie del concilio. Il pensiero missionario di Giovanni Paolo II (Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1988).

14    ? AAS 77 (1985) 779-813. Vedere: J. VODOPIVEC, I Santi Cirillo e Metodio (Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1985).

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Venticinque anni dopo il concilio Vaticano II e quindici anni dopo "Evangelii Nuntiandi", Giovanni Paolo pubblicò l'enciclica "Redemptoris Missio" (1990). Il motivo di questa pubblicazione viene indicato all'inizio dell'enciclica: commemorare "l'impulso missionario" dato dal concilio, che ha suscitato una "nuova primavera del cristianesimo" e, al tempo stesso, segnalare che "la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del Magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede" (RMi 2). Il riferimento al decreto "Ad Gentes" è continuo, ma si tenta di approfondire alcuni temi missiologici per poter fronteggiare le nuove situazioni e richiamare la responsabilità ecclesiale nell'evangelizzazione senza frontiere.

L'enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, alla luce della dimensione trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiologica e antropologica della missione, chiarisce alcuni concetti missiologici che erano già stati presentati da "Ad Gentes" e da "Evangelii Nuntiandi": la salvezza in Cristo, il concetto di Regno nella persona e messaggio di Gesù, il protagonismo dello Spirito Santo, la natura missionaria della Chiesa universale e particolare, il processo di inculturazione, la presentazione dei valori evangelici, il dialogo interreligioso, lo sviluppo, la vocazione missionaria specifica, la formazione e cooperazione missionaria, la spiritualità missionaria.

Tutti questi elementi missiologici si trovano nell'"Ad Gentes" e in "Evangelii Nuntiandi". Pero la novità forse più scottante dell'enciclica consiste nel presentare le nuove situazioni della missione (cap. IV), dove oltre la distinzione tra missione "ad gentes", pastorale ordinaria e nuova evangelizzazione (n.33), si mettono in rilievo i nuovi ambiti della missione "ad gentes": territoriali, sociologici, culturali (n.37-38). Di fronte a queste nuove esigenze missionarie, i concetti teologici, le urgenze pastorali e le conseguenze di animazione, cooperazione e spiritualità, vengono chiariti ed approfonditi nei diversi capitoli della "Redemptoris Missio".15

15    ? L'enciclica "Redemptoris Missio" fu pubblicata il 7 dicembre 1990. Cfr. AAS 83 (1991) 249-340. Studi: AA.VV., Cristo, Chiesa, Missione, commento all'enciclica "Redemptoris Missio" (Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1992) (commento scientifico); AA.VV., La missione del Redentore (Leumann, Torino LDC, 1992); AA.VV., Redemptoris Missio, Riflessioni (Roma, Pontificia Università Urbaniana 1991) (commento divulgativo); AA.VV., Haced discípulos a todas las gentes, Comentario y texto de la encíclica "Redemptoris Missio" (Valencia, EDICEP 1991); AA.VV., Redemptoris Missio, points de vue, évolutions, perspectives: Spiritus 33 (1992) 143-232.

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Potrebbe essere utile questo inquadramento dei capitoli dei tre grandi documenti missionari, distribuiti in tre livelli (teologico, operativo, spirituale):

Livello teologico:

Natura e contenuti basilari dell'evangelizzazione(AG I; EN I-III; RMi I-III)

Livello operativo:

A) Svolgimento dell'azione missionaria(AG II, III, V; EN IV-V; RMi IV-V)

B) Operatori dell'evangelizzazione(AG IV, VI; EN VI; RMi VI)

C) Cooperazione e animazione della comunità per farla diventare missionaria

(AG VI; EN VI; RMi VII)

Livello spirituale:

Quale stile di vita da parte del missionario e comunità(AG IV; EN VII; RMi VIII)

Il nuovo "Codice di Diritto Canonico" (1983) applica a livello giuridico-pastorale gli indirizzi missionari del concilio. Nel tit. II del lib. III ("l'azione missionaria della Chiesa", can. 781-792) presenta la natura missionaria della Chiesa, la responsabilità della gerarchia e dei fedeli, la collaborazione dei missionari e catechisti, l'azione, cooperazione e animazione missionaria, la promozione delle vocazioni, il posto delle Pontificie Opere Missionarie.16

16    ? J.A. EGUREN, La Iglesia misionera en el nuevo Código de Derecho canónico: Rev. Esp. Derecho 44 (1987) 411-439; J. GARCIA MARTIN, La missionarietà della Chiesa nella nuova legislazione canonica, in: Chiese e Missione (Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1990) 177-198; E. SASTRE, Perspectivas de Derecho misionero después del Código de 1983: Euntes Docete 36 (1983) 295-310; I. TING PONG LEE, Il diritto missionario del nuovo Codice di diritto canonico, in: La nuova legislazione canonica (Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1983) 405-421.

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Il "Catechismo della Chiesa Cattolica" (1992) raccoglie la dottrina missionaria del concilio e postconcilio (specialmente "Lumen Gentium" e "Ad Gentes") e la presenta sinteticamente e con orientamento catechetico nel contesto del mistero della Chiesa ("Credo la santa Chiesa cattolica", nn. 748ss). La missione universale scaturisce dalla sorgente trinitaria, per Cristo, nello Spirito, e si prolunga nella Chiesa "mistero" e "sacramento universale di salvezza" (nn. 772-780). L'universalità della missione ecclesiale appare anche nelle sue note di "cattolicità" (nn.830-856) e di "apostolicità" (nn.857-870).17

I contenuti missionari del concilio appaiono nei documenti magisteriali postconciliari secondo il tema specifico del documento, nell'ambito di una Chiesa tutta missionaria.18

Nelle encicliche sociali postconciliari ("Populorum Progressio" 1967, "Laborem excercens" 1981, "Sollicitudo rei Socialis" 1987, "Centessimus Annus" 1991) non manca il rapporto tra sviluppo o progresso e missione, nella linea dei documenti missionari (cfr. AG 12; EN 30-33; RMi 58-59). E' importante specialmente il collegamento con la "comunione" e quindi con la missione universale: "Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola «comunione». Tale comunione, specificamente cristiana, gelosamente custodita, estesa e arricchita, con l'aiuto del Signore, è l'anima della vocazione della Chiesa ad essere «sacramento», nel senso già indicato" (SRS 40).

17    ? AA.VV., Un dono per oggi, il Catechismo della Chiesa Cattolica (Roma, Paoline 1992); J. GARCIA MARTIN, La misión "ad gentes" en el "Catecismo de la Iglesia Católica": Omnis Terra n.239 (marzo 1944) 130-141; P. GIGLIONI, Per una lettura missionaria del Catechismo della Chiesa cattolica: Omnis Terra, n.34 (1993) 27-36.

18    ? E' utile vedere l'insieme dei temi trattati nei documenti principali del postconcilio (Paolo VI e Giovanni Paolo II): "Populorum Progressio" 1967, "Evangelica testificatio" (1971), "Marialis cultus" (1974), "Redemptor Hominis" (1979), "Catechesi tradendae" (1979), "Dives in misericordia" (1980), "Laborem Exercens" (1981), "Familiaris consortio" (1981), "Reconciliatio et paenitentia" (1984), "Redemptionis donum" (1984), "Salvifici doloris" (1984), "Slavorum Apostoli" (1985), "Dominum et Vivificantem" (1986), "Sollicitudo Rei Socialis" (1987), "Redemptoris Mater" (1987), "Christifideles laici" (1988), "Mulieris dignitatem" (1988), "Redemptoris Missio" (1990), "Centesimus Annus" (1991), "Pastores dabo vobis" (1992), "Veritatis Splendor" (1993), "Tertio Millennio Adveniente" (1994), "Evangelium Vitae" (1995), "Ut unum sint" (1995), "Ecclesia in Africa" (1995), "Vita Consecrata" (1996).

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L'influsso del decreto conciliare "Ad Gentes" (con la sua normale esplicitazione ed evoluzione nei documenti postconciliari), appare anche nei documenti dei dicasteri della Santa Sede.19

Il magistero ordinario dei Vescovi si è ispirato frequentemente negli stessi documenti conciliari e postconciliari, specialmente in occasione della giornata missionari mondiale.20

L'influsso del decreto "Ad Gentes" e dei documenti postconciliari si può constatare nei documenti dell'Episcopato Latino-americano, specialmente nelle Conferenze Generali di Puebla (1979) e Santo Domingo (1992). Il documento di Puebla, nel suo contenuto "ad gentes", è stato citato frequentemente da Giovanni Paolo II nei suoi viaggi apostolici e anche nell'enciclica "Redemptoris Missio": "Ogni Chiesa particolare deve aprirsi generosamente alle necessità delle altre. La collaborazione fra le Chiese, in una reale reciprocità che le rende pronte a dare ed a ricevere, è anche fonte di arricchimento per tutte ed interessa i vari settori della vita ecclesiale. A questo riguardo, resta esemplare la dichiarazione dei Vescovi a Puebla: «Finalmente è giunta l'ora per l'America Latina... di proiettarsi oltre le sue frontiere, ad gentes. E' certo che noi stessi abbiamo ancora bisogno di missionari, ma dobbiamo dare della nostra povertà»" (RMi 64).21

19    ? E' stato un grande contributo missionario il documento della Congregazione del Clero sulla distribuzione degli apostoli. Notae directivae de mutua Ecclesiarum particularium cooperatione promovenda ac praesertim de aptiore cleri distributione "Postquam Apostoli" (25.3.80): AAS 72 (1980) 343-364 (EV 7, 232-281). Il documento viene citato e raccomandato da "Redemptoris Missio" 64. Vedere anche il documento sul dialogo interreligioso, del Pont. Consiglio per il Dialogo e della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli: Dialogo e Annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (Pentecoste, 19 maggio 1991): AAS 84, 1992, 414-446. Vedere anche la Cost. Apostolica "Sapientia Christiana" (1979) proemio, e la Cost. Apostolica "Pastor Bonus" (1988) art. 85-92, ecc.

20    ? Cfr. AA.VV, Chiesa locale e cooperazione tra le Chiese (Bologna, EMI 1973). Il magistero episcopale fa uso del documenti missionari anche quando parla della "nuova evangelizzazione": CELAM, Nueva evangelización, génesis y líneas de un proyecto misionero (Bogotá 1990); (Commissione Episcopale del Clero, Spagna), Sacerdotes para la nueva evangelización (Madrid 1990).

21    ? Documento di Puebla n.368. DEMIS-CELAM, La misión "desde la pobreza" (una audacia de Puebla) (Bogotá 1985); R. BALLAN, El valor de salir, la apertura de América Latina a la misión universal (Lima, Edic. Paulinas 1990; Idem, Latinoamérica misionera, una prioridad pastoral afirmada en Santo Domingo: Medellín 21 (1995) 251-264. Sul risveglio "ad gentes" in America Latina: J. ESQUERDA BIFET, El despertar misionero "Ad Gentes" en América Latina: Euntes Docete 45 (1992) 159-190. Le conclusioni del COMLA V e storia dei Congressi precedenti: COMLA V, Il Vangelo nelle culture, cammino di vita e di speranza (Roma, Pont. Opere Missionarie 1996).

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4. Urgenze missionarie e missiologiche attuali

La rilettura che abbiamo fatto dell'"Ad Gentes", nella prospettiva di più di trent'anni dopo la sua pubblicazione, ci aiuta a scoprire le urgenze missionarie della Chiesa tra due millenni. Vorrei soffermarmi brevemente sulle sfide presentate da Giovanni Paolo II, specialmente in "Tertio Millennio Adveniente", "Ut unum sint", "Ecclesia in Africa", e cercherò i punti di riferimento nel decreto conciliare "Ad Gentes".

A) I "semi del Verbo" e l'incontro con il Verbo Incarnato

Dopo duemila anni dalla nascita di Cristo, le culture religiose mostrano ancora i "semi del Verbo" che aspettano l'incontro esplicito e pieno col Verbo Incarnato. In Cristo, "il Padre ha detto la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia" (TMA 5); "il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità" (TMA 6); "nel 2000 dovrà risonare con forza rinnovata la proclamazione della verità: «Ecce natus est nobis Salvator mundi»" (TMA 38).22

Il decreto conciliare "Ad Gentes" aveva indicato questa strada positiva per l'incontro con le religioni non cristiane. I cristiani e in modo speciale i missionari "debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti... ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo" (AG 11; cfr. 3). L'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" riprende il tema e lo presenta come "autentica preparazione evangelica" (EN 53; cfr. LG 16). L'enciclica "Redemptoris Missio", nel sottolineare la presenza dello Spirito Santo nelle culture e religioni, ricorda che è lo stesso Spirito "che sparge i «semi del Verbo», presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo" (RMi 28).23

Sia la scienza missiologica che l'azione missionaria diretta dovranno impostare lo studio e l'azione in modo da scoprire i "semi del Verbo" (quindi gli aspetti positivi delle culture e religioni) e indicare (senza sincretismi né relativismi) il cammino verso l'incontro esplicito con Cristo. Però quest'annuncio non potrà essere soltanto a livello di concetti, ma

22    ? "Tertio Millennio Adveniente", Lett. Apostolica circa la preparazione del Giubileo dell'anno 2000 (10 novembre 1994): AAS 87 (1995) 5-41. Commento: AA.VV., Tertio millennio adveniente. Testo e commento teologico-pastorale (Cinisello Balsamo, San Paolo 1995).

23    ? "Semi del Verbo": SAN GIUSTINO, Apologia II, 8: PG 6, 457-458. "Preparazione evangelica": EUSEBIO DE CESAREA, Preparatio evangelica I,1: PG 21,28 a-b.

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specialmente come "dialogo di vita", a livello di scambio di esperienze di incontro con Dio.

Il decreto "Ad Gentes" ha segnalato lo scopo finale dell'azione missionaria: "quando tutti quelli che sono partecipi della natura umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme la gloria di Dio, potranno dire: «Padre nostro»" (AG 7). L'incontro tra i "semi del Verbo" e lo stesso Verbo Incarnato avverrà, come "mistero di grazia" (TMA 6), quando troveranno "evangelizzatori che parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'invisibile" (EN 76). Senza questa "esperienza di Dio", "il missionario non può annunciare il Cristo in modo credibile" (RMi 91), poiché "lo Spirito spinge a trasmettere agli altri la propria esperienza di Gesù" (RMi 24).

B) Il Vangelo nelle culture

Il tema dell'inculturazione è tra i più studiati in questi ultimi anni. Anche se la parola ("inculturazione") è relativamente recente, la realtà si trova esplicitamente nell'"Ad Gentes" quando parla di rispettare l'identità e la ricchezza culturale dei popoli, poiché "ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio" (AG 9; cfr. 11, 22).24

Questo tema è stato segnalato e approfondito da "Evangelii Nuntiandi" (n.20), da "Slavorum Apostoli" e ancora da "Redemptoris Missio" (nn.52-54). Nell'esortazione apostolica postsinodale "Ecclesia in Africa", Giovanni Paolo ne dedica un intero capitolo (cap. III: "evangelizzazione e inculturazione"). Il Papa presenta l'urgenza e necessità, i fondamenti teologici, i criteri, i campi di applicazione, ecc. Oltre segnalare le tappe precise (rispetto, purificazione, portare alla pienezza in Cristo), si offrono due criteri di attuazione: "la compatibilità con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa universale" (EA 62).

Il documento sull'Africa ("Ecclesia in Africa") offre una ricca esperienza di inculturazione come frutto non soltanto del Sinodo ma anche di documenti dell'Episcopato africano. Di fatto, l'insegnamento s'ispira al decreto "Ad Gentes" (n.22), sulla diversità culturale delle Chiese giovani. "Sulla scia del Concilio Vaticano II (AG 22), i Padri sinodali hanno interpretato l'inculturazione come un processo comprendente tutta l'estensione della vita cristiana - teologia, liturgia, consuetudini, strutture -,

24    ? Alloc. di Giovanni Paolo II, "Angelus" 7 gennaio 1996, in "L'Osservatore Romano" 8-9 gennaio 1996, p.5.

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della Chiesa senza ovviamente intaccare il diritto divino e la grande disciplina della Chiesa... La sfida dell'inculturazione in Africa consiste nel far sì che i discepoli di Cristo possano assimilare sempre meglio il messaggio evangelico, pur restando fedeli a tutti i valori africani autentici" (EA 78).25

C) Il risveglio missionario delle Chiese particolari e della vocazione cristiana

Una attenta lettura di "Ecclesia in Africa" colpisce per la sua prospettiva evangelica e quindi coraggiosa. Non è soltanto un invito alla testimonianza e alla santità, ma anche a una responsabilità evangelizzatrice "ad gentes" da parte di tutte le chiese giovani di Africa e Madagascar. Il capitolo VI viene incentrato su questo tema: "Mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Non si tratta soltanto dell'annuncio del Vangelo in Africa, con i problemi peculiari di inculturazione, testimonianza e solidarietà, ma dell'evangelizzazione "ad gentes": "In ogni momento (afferma il Papa) l'Assemblea speciale s'è mantenuta nella prospettiva del mandato missionario che la Chiesa ha ricevuto da Cristo di testimoniarlo nel mondo intero" (EF 128). Il Papa fa sua l'affermazione fatta durante l'assemblea: "La frase profetica di Paolo VI - «voi, africani, siete chiamati ad essere missionari di voi stessi» - va intesa così: «siete missionari per il mondo intero»" (EA 129).26

Era stato il decreto "Ad Gentes" ad invitare tutte le chiese giovani a diventare anch'esse missionarie, nel senso che questa apertura "ad extra" sarebbe un segno di impiantazione della Chiesa e di maturità nella crescita ecclesiale. Per il fatto di vivere responsabilmente "in unità di pensieri e di vita con la Chiesa universale... a poco a poco, saranno in grado di provvedere a se stesse e di portare aiuto alle altre" (AG 19).

Lo stesso decreto "Ad Gentes" ribadisce la necessità di collaborazione da parte di tutte le Chiese particolari, in modo che, sotto la guida del Vescovo, "la diocesi tutta si fa missionaria" (AG 38). In questo senso si ricupera la priorità della responsabilità missionaria da parte della Collegialità

25    ? Raccolgo dottrina e bibliografia attuale sul tema dell'inculturazione, in: Teología de la evangelización (Madrid, BAC 1995) cap. VIII (evangelizzazione delle culture e delle religioni).

26    ? Il testo è della Relatio post desceptationem (22 aprile 1994): "L'Osservatore Romano", 24 aprile 1994, p.8. L'invito del Papa all'apertura universalista da parte della Chiese particolari in Africa, si ripete frequentemente nell'esortazione apostolica: nn.19-20, 35, 38, 56,128.139, 141.

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Episcopale (in comunione col Sommo Pontefice), di tutto il popolo di Dio e di ogni vocazione cristiana, laicale, religiosa, sacerdotale.

Questo tema era stato ripreso con cenni nuovi dall' "Evangelii Nuntiandi" (cap. VI) e "Redemptoris Missio" (cap. VI). In effetti, "nessuna Chiesa particolare, neanche la più povera, potrà essere dispensata dall'obbligo di condividere le sue risorse spirituali, temporali e umane con altre Chiese particolari e con la Chiesa universale" (EN 42). "Nel vincolo essenziale tra la Chiesa universale e le Chiese particolari si esercita l'autentica e piena missionarietà" (RMi 62). La responsabilità missionaria universale "incombe innanzitutto sul collegio dei Vescovi con a capo il successore di Pietro... sia come membri del collegio episcopale, sia come pastori delle Chiese particolari" (RMi 63; cfr EN 68).

Questo risveglio missionario delle Chiese particolari e, quindi, di tutte le vocazioni cristiane, può portare a delle conseguenze riduttive riguardo la vocazione missionaria specifica. E' un fatto che, dopo il concilio Vaticano II, la coscienza di essere Chiesa per natura missionaria, ha portato a generalizzare il concetto di "missione", dimenticando o infravalutando la missione "ad gentes". Si dovrà studiare meglio il decreto "Ad Gentes" anche in rapporto con "Evangelii Nuntiandi" e "Redemptoris Missio".

Una lettura accurata di questi documenti missionari porta alla valutazione della vocazione missionaria "ad gentes" delle Chiese particolari e di ogni vocazione cristiana, mentre, al tempo stesso, ribadisce la specificità della vocazione missionaria propriamente detta (AG 23) e la necessità degli Istituti missionari specifici (AG 23 e 27). L'affermazione dell'"Ad Gentes" rimane programmatica, come punto di riferimento: "Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione alle sue possibilità, Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé e per inviarli a predicare alle genti (cfr. Mc 3,13 ss). Perciò egli, per mezzo dello Spirito Santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene delle anime (cfr. 1 Cor 12,11), accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e nello stesso tempo suscita in seno alla Chiesa quelle istituzioni che si assumono come dovere specifico il compito della evangelizzazione che appartiene a tutta quanta la Chiesa. Difatti sono insigniti di una vocazione speciale coloro che, forniti di naturale attitudine e capaci per qualità ed ingegno, si sentono pronti a intraprendere l'attività missionaria, siano essi autoctoni o stranieri: sacerdoti, religiosi e laici" (AG 3).27

27    ? L'enciclica "Redemptoris Missio", che sottolinea ancora la responsabilità missionaria delle Chiese particolari (RMi 62-63), non dimentica di riaffermare la specificità della vocazione missionaria propriamente detta: "La vocazione speciale dei

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D) Rinnovamento ecclesiale per la comunione e missione

Nella lettera apostolica "Tertio Millennio Adveniente", Giovanni Paolo II rivolge alla Chiesa una pressante chiamata al rinnovamento evangelico per poter annunciare Cristo nel mondo attuale. "La miglior preparazione alla scadenza bimillenaria, pertanto, non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione... dell'insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa" (TMA 20). Il rinnovamento ecclesiale si presenta dunque in chiave missionaria. La Chiesa "non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi" (TMA 33). E poiché "nel 2000 dovrà risonare con forza rinnovata la proclamazione della verità: «Ecce natus est nobis Salvator mundi»" (TMA 38), "la Chiesa anche in futuro continuerà ad essere missionaria: la missionarietà infatti fa parte della sua natura" (TMA 57).

Una chiamata simile si trova nell'enciclica "Ut unum sint" (sull'impegno ecumenico) poiché l'unione tra i cristiani domanda a ciascuno di "convertirsi più pienamente al Vangelo, e senza mai perdere di vista il disegno di Dio, deve mutare il suo sguardo" (UUS 15). L'efficacia evangelizzatrice dipende in gran parte dalla comunione tra tutti i battezzati, poiché "di fronte al mondo, l'azione congiunta dei cristiani nella società riveste allora il trasparente valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore. Essa assume anche le dimensioni di un annuncio perché rivela il volto di Cristo" (UUS 75). La comunione "piena e visibile" (UUS) 99) farà sparire "uno dei grandi ostacoli dell'evangelizzazione oggi" (EN 77).

Il decreto "Ad Gentes" aveva avvertito la necessità di un forte "rinnovamento interiore" a scopo di rispondere responsabilmente all'urgenza dell'evangelizzazione universale: "Essendo la Chiesa tutta missionaria, ed es-sendo l'opera evangelizzatrice dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro Concilio invita tutti i fedeli ad un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, prendano la loro parte nell'opera missionaria presso le genti" (AG 35).28

missionari ad vitam conserva tutta la sua validità: essa rappresenta il paradigma dell'impegno missionario della Chiesa, che ha sempre bisogno di donazioni radicali e to-tali, di impulsi nuovi e arditi" (RMi 66; cfr. 32, 65-66, 79). A mio avviso, la vocazione missionaria "ad gentes" dei laici (CFL), dei sacerdoti (PDV) e della vita consacrata (DP) si avvia principalmente verso l'universalismo, mentre la vocazione missionaria "specifica" (ad esempio, degli Istituti Missionari) tende esclusivamente alla "prima evangelizzazione".

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Riguardo il rapporto tra unione dei cristiani e missione, il decreto conciliare afferma: "la necessità della missione chiama tutti i battezzati a radunarsi in un solo gregge ed a rendere testimonianza in modo unanime a Cristo, loro Signore, di fronte alle nazioni. Essi, se ancora non possono testimoniare pienamente l'unità di fede, debbono almeno essere animati da reciproca stima e amore" (AG 6).

Anche l'"Evangelii Nuntiandi" rivolge una chiamata al rinnovamento interiore a scopo di disponibilità ed efficacia missionaria: "Che ne è della Chiesa a dieci anni dalla fine del concilio?... E' veramente radicata nel cuore del mondo? ... E' più ardente nella contemplazione e nell'adorazione, e in pari tempo più zelante nell'azione missionaria, caritativa, di liberazione?" (EN 76).

Il "carattere gioioso" del Giubileo porta con se "la gioia della conversione" (TMA 32) per poter annunciare a tutti i popoli la "buona novella", la gioia della salvezza in Cristo. E' necessaria la testimonianza della gioia pasquale da parte di missionari "lieti nella speranza" (Rom 12,12). "La caratteristica di ogni vita missionaria autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l'annunciatore della «buona novella» deve essere un uomo che ha trovato in Cristo la vera speranza" (RMi 91).29

E) La fedeltà alle nuove grazie dello Spirito Santo

Il rinnovamento che domanda il decreto "Ad Gentes" ha un senso di fedeltà all'azione dello Spirito Santo. Il punto di riferimento è l'Annunciazione in rapporto alla Pentecoste. Maria è figura della Chiesa che si apre alle nuove grazie dello Spirito per diventare madre e missionaria. "Fu dalla Pentecoste infatti che cominciarono gli «atti degli apostoli», allo stesso modo che per l'opera dello Spirito Santo nella Vergine Maria, Cristo era

28    ? In altri documenti del concilio si accenna all'urgenza del rinnovamento ecclesiale per poter rispondere alle urgenze dell'evangelizzazione: LG 8; SC 1; PO 12. Il tema della "sacramentalità" della Chiesa indica anche la necessità di lasciar trasparire il volto di Cristo nel volto della Chiesa (cfr. LG 1). Sul rinnovamento ecclesiale per la missione: J. ESQUERDA BIFET, Renovación eclesial y espiritualidad misionera para una nueva evangelización: Seminarium 31 (1991) n.1, 135-147.

29    ? La "mancanza di gioia e di speranza" (EN 80) sarebbe un grande ostacolo per l'evangelizzazione che domanda "la sollecitudine apostolica di trasmetterne ad altri la gioia e la luce" (RMi 40). "Evangelii nuntiandi" manifesta questo augurio: "Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza, ricevere la buona novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo" (EN 80).

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stato concepito, e, per la discesa ancora dello Spirito Santo sul Cristo che pregava, questi era stato spinto a cominciare il suo ministero" (AG 4).30

L'invito a perseverare con Maria, come gli apostoli, per prepararsi all'evangelizzazione sotto l'azione dello Spirito, si ripete continuamente dopo l'invito di Giovanni XXIII (che augurava "una novella Pentecoste").31

Il testo di "Ad Gentes" n. 4 (che abbiamo riportato) sarà una spinta per l'epoca postconciliare. L'invito si ripete in "Evangelii Nuntiandi" e in altri documenti magisteriali. L'enciclica missionaria di Giovanni Paolo II finisce con questo invito: "Come gli Apostoli dopo l'ascensione di Cristo, la Chiesa deve radunarsi nel Cenacolo «con Maria, la Madre di Gesù» (At 1, 14), per implorare lo Spirito ed ottenere forza e coraggio per adempiere il mandato missionario. Anche noi, ben più degli Apostoli, abbiamo bisogno di essere trasformati e guidati dallo Spirito" (RMi 92).32

Nel cammino della Chiesa verso il terzo millennio, è necessario ascoltare le nuove voci dello Spirito. Nella preparazione del grande Giubileo, "si vuole suscitare una particolare sensibilità per tutto ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e alle Chiese (cfr. Ap 2,7ss)" (TMA 23). "Lo Spirito è anche per la nostra epoca l'agente principale della nuova evangelizzazione. Sarà dunque importante riscoprire lo Spirito come Colui che costruisce il

30    ? Nel capitolo VIII della "Lumen Gentium" si accenna allo stesso paragone tra Annunciazione e Pentecoste, sempre nel rapporto tra Maria e la Chiesa: "Vediamo gli apostoli prima del giorno della Pentecoste «perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli» (At 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all'annunciazione, l'aveva presa sotto la sua ombra" (LG 59).

31    ? Preghiera per il concilio: AAS 51 (1959) 382; Const. Apostolica "Humanae salutis": AAS 54 (1962) 5-13. La dimensione pneumatologica della missione è stata approfondita: AA.VV, Credo in Spiritum Sanctum, Atti del Congresso Internazionale di Pneumatologia (Lib. Edit. Vaticana 1983); AA.VV., El Espíritu Santo, luz y fuerza de Cristo en la misión de la Iglesia (Burgos 1980); DINH DUC DAO, La missione della Chiesa è essenzialmente missione nello Spirito: Omnis terra 18 (1986) 80-88; T. FEDERICI, Lo Spirito Santo protagonista della missione (RM 21-30), in: Cristo, Chiesa, Missione (Urbaniana University Press 1992) 107-151; J. LOPEZ GAY, Lo Spirito Santo e la missione (Roma 1983); P. ROSSANO, Sulla presenza e attività dello Spirito Santo nelle religioni e nelle culture non cristiane: Documenta Missionalia 16 (1982) 59-71; J. SARAIVA, Dimensione pneumatologica dell'evangelizzazione: Euntes Docete 32 (1979) 3-32.

32    ? Cfr. LG 4; AG 4; SC 43; MC 19; EN 75; RH 22; DeV 25; RMa 24; RMi 87, ecc. Ho studiato i testi magisteriali conciliari e postconciliari in: L'azione dello Spirito Santo nella maternità e missionarietà della Chiesa, in: Credo in Spiritum Sanctum, Atti del Congresso Internazionale di Pneumatologia (Lib. Edit. Vaticana 1983) 1293-1306.

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Regno di Dio nel corso della storia e prepara la sua piena manifestazione in Gesù Cristo, animando gli uomini nell'intimo e facendo germogliare all'intero del vissuto umano i semi della salvezza definitiva che avverrà alla fine dei tempi" (TMA 45).

Questo rinnovamento ecclesiale in Cenacolo con Maria (augurato dall'"Ad Gentes") porterà alla testimonianza di "koinonia" che è un elemento basilare della "audacia" della missione (At 2,42-44; 4,32-33).33

L'invito di "Ecclesia in Africa" ai teologi, per approfondire il tema della "Chiesa-famiglia" (EA 63), potrà portare ad una "effusione dello Spirito" in una "nuova Pentecoste" con Maria "Stella dell'evangelizzazione", che farà della Chiesa "famiglia del Padre, fraternità del Figlio, immagine della Trinità" (EA 144).

F) Il significato missionario del "tempo" nella Chiesa pellegrina, escatologica

C'è un tema dell'"Ad Gentes" che, a mio avviso, non è ancora sufficientemente approfondito e che, al tempo stesso, sembra un fermento che può sviluppare la teologia, la pastorale e la spiritualità missionaria. Mi riferisco al rapporto tra la "sacramentalità" della Chiesa (AG 1) e la sua realtà "escatologica" (AG 9).

Come abbiamo accennato sin dall'inizio, l'"Ad Gentes" deve essere studiato a partire dalla "Lumen Gentium" e in rapporto ad altri documenti. Nella "Lumen Gentium", il tema della sacramentalità ecclesiale è punto di partenza (cap.I), mentre il tema della escatologia presenta la sacramentalità come spinta missionaria fino alla "parusia" (cap. VII). Da questo incrocio ("sacramentalità" e "escatologia") sorge l'espressione "Chiesa sacramento universale di salvezza" (LG 48; AG 1). Però il decreto "Ad Gentes" s'inserisce nel mistero della storia umana (AG 8) e presenta l'escatologia come una garanzia dell'azione missionaria in tutta l'umanità e nel tempo presente. La "presenza" della grazia di Cristo tra i popoli dimostra che "l'attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l'epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia" e che questa stessa attività "tende alla sua pienezza escatologica" (AG 9).34

33    ? La "comunione" (koinoia) è in rapporto di dipendenza dall' parola predicata dagli Apostoli, l'Eucaristia, la carità nella condivisione dei beni: "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune" (At 2,42.44).

34    ? CL. GARCIA EXTREMEÑO, La actividad misionera de una Iglesia sacramento y desde una Iglesia comunión: Estudios de Misionología 2 (1977) 217-252.

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La lettera "Tertio Millennio Adveniente" ha una forte dinamica escatologica fondamentata "sulla speranza dell'avvento definitivo del Regno di Dio" (TMA 46). La sfida però di questa realtà consiste nel fatto che in Cristo, "il Padre ha detto la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia" (TMA 5) e che "il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità" (TMA 6). Il significato della storia è quindi di salvezza in Cristo: "La pienezza del tempo si identifica con il mistero dell'Incarnazione del Verbo... e con il mistero della Redenzione del mondo" (TMA 1). Dal fatto che "in Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio... Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento" (TMA 10).

Alla luce di queste riflessioni, la storia dell'evangelizzazione appartiene essenzialmente alla storia dell'umanità, poiché "con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (GS 22). Perciò, "Cristo e la Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza, superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei" (AG 9). In questo senso si può affermare che Gesù è proprietà di tutta l'umanità, come dono definitivo del Padre al mondo (cfr. Gv 3,16).

Linee conclusive. Proposte di ricerca scientifica nel terzo millennio

E' quindi giusta l'intuizione dell'enciclica "Redemptoris Missio" quando condiziona l'"albeggiare di una nuova epoca missionaria" al fatto di "rispondere con generosità e santità agli appelli e sfide del nostro tempo" (RMi 92). Il "rinnovamento" di cui parla l'"Ad Gentes" (n.35) è un presupposto indispensabile per acquistare "una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo... presso le genti" (AG 35).

Le attuali sfide della missione "ad gentes" esigono un più accurato studio dai temi missiologici. Questo è stato l'invito dell'enciclica "Redemptoris Missio": "l'insegnamento teologico non può né deve prescindere dalla missione universale della Chiesa... curando anche che alcuni Sacerdoti, o alunni ed alunne si specializzino nei diversi campi delle scienze missiologiche" (RMi 83).

Se tutte le discipline teologiche "vengono rinnovate per mezzo di un contatto più vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza" (OT 16), i temi missiologici saranno studiati in questa prospettiva che, secondo l'"Ad Gentes", è trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiologica,

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escatologica e antropologico-culturale (AG cap. I). Questo studio porterà ad un miglior rapporto con le religioni non cristiane (cfr. AG 16) e ad "approfondire la conoscenza della teologia e dei metodi pastorali" (AG 20).35

Per una conoscenza più approfondita dei contenuti del decreto "Ad Gentes", sarebbe necessario un'impostazione a partire dalle quattro Costituzioni. In questo modo, la missione "ad gentes" (e tutti i temi più particolarizzati) sarebbe impostata alla luce della "Chiesa sacramento" (LG), portatrice della Parola (DV) e del mistero pasquale (SC), inserita nel mondo (GS). Al tempo stesso, la prospettiva universalista e di prima evangelizzazione che offre l'"Ad Gentes" (nel contesto delle quattro Costituzioni) illumina ogni tema particolare sia degli altri documenti conciliari che dei documenti postconciliari.36

Una rilettura di "Ad Gentes", in questo contesto conciliare e postconciliare così ricco, aiuterà a individuare i fatti nuovi, le nuove grazie e le nuove domande dello Spirito alla Chiesa nell'attualità.

Il servizio del Magistero è la "Parola" del Vangelo applicata all'oggi della Chiesa. Gi studi teologici-missiologici si appoggiano su questo servizio stabilito dal Signore, che offre un respiro di libertà e un grande spazio di ricerca, senza condizionamenti esagerati alle riflessioni opzionali e tecniche di altri studiosi. Il teologo e concretamente il missiologo o lo studioso di temi teologici-missiologici trova nei testi del Magistero non soltanto una garanzia e uno spazio di libertà e iniziativa, ma anche un grande tesoro di riflessioni tecniche attuali (come si può osservare nelle note).

35    ? Il decreto "Ad Gentes" affida al dicastero missionario questo compito: "E necessario pertanto che questo dicastero costituisca insieme uno strumento di amministrazione ed un organo di direzione dinamica, che faccia uso dei metodi scientifici e dei mezzi adatti alle condizioni del nostro tempo, tenga conto cioè delle ricerche attuali di teologia, di metodologia e di pastorale missionaria" (AG 29). Vedere anche Cost. Apostolica "Pastor Bonus" art.86.

36    ? Ad esempio, sul laicato, la vita sacerdotale o la vita consacrata. Sul laicato: AG 41 (e GS 43, AA, EN 70, RMi 71-72), alla luce di LG IV, per concretizzare la dimensione ecclesiale e missionaria in "Christifideles laici". Sulla vita sacerdotale: AG 39 (e PO, OT, EN 68, RMi 67-68), alla luce di LG III, per sottolineare la dimensione missionaria di "Pastores dabo vobis". Sulla vita consacrata: AG 40 (e PC, EN 69, RMi 69-70 e altri documenti postconciliari: ET, RD, ecc.), alla luce di LG VI, per valutare la dimensione missionaria dell'esortazione postsinodale sulla vita consacrata (1996). In modo simile si potrebbe fare su altri temi studiati nei documenti specifici: Spirito Santo (DeV), mistero di Cristo e mistero dell'uomo (RH), misericordia divina (DM), Maria (MC, RMa). lavoro umano (LE), questioni sociali (SRS, CA), morale (VS), vita (EV), ecumenismo (UUS), inculturazione (SAp), catechesi (CT), famiglia (FC), donna (MD), riconciliazione (RP), dolore umano (SD), formazione sacerdotale (PDV), giubileo (TMA), Africa (EA).

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Sarà utile ricordare una questione pratica. La "terminologia" dei documenti cambia secondo i tempi (così come accade anche nelle riflessioni teologiche). Lo studioso saprà distinguere la terminologia variabile (e perfezionabile) dal contenuto stesso che ha valore permanente.37

Al tempo stesso, gli studi sull'evangelizzazione in generale (pastorale ordinaria e "nuova evangelizzazione"), sapranno distinguere tra azione evangelizzatrice generale e evangelizzazione "ad gentes" (universalismo e prima evangelizzazione). In questo modo, i nuovi areopaghi della "nuova evangelizzazione" saranno illuminati con la dimensione "ad gentes", per non svalutare il primo annuncio del Vangelo.

E' importante non infravalutare la dimensione cristologicadella missione "ad gentes", che abbraccia anche le altre dimensioni (trinitaria, pneumatologica, ecclesiologica, antropologica): "non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l'inviato ad evangelizzare" (RMi 88). Questa è l'urgenza più importante verso il terzo millennio. "Esiste allora l'urgente bisogno di un Sinodo che, in occasione del Grande Giubileo, illustri e approfondisca la verità su Cristo come unico Mediatore tra Dio e gli uomini e unico Redentore del mondo" (TMA 38).38

_________________

Estratto da: El decreto "Ad Gentes" del Concilio Vaticano II entre memoria y profecía: Omnis Terra, n.266 (1996) 418-426 (I Parte); n.267 (1997) 31-37

37    ? Ad esempio, le voci "adattamento" (meglio: inculturazione), "missioni" (meglio: paesi di missione o dove la Chiesa non è ancora sufficientemente impiantata), "propagazione della fede" (meglio: annunciare, testimoniare, comunicare la fede), ecc. Vedere un commento di Giovanni Paolo II al decreto "Ad Gentes" nell'allocuzione dell'"Angelus" di 7 gennaio 1996 ("L'Osservatore Romano" 8-9 gennaio 1996, p.5), dove parla di "promozione delle Chiese particolari nei territori di missione".

38    ? E' questo anche l'invito della "Redemptoris Missio": "Alla vigilia del terzo millennio tutta la Chiesa è invitata a vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con gratitudine all'opera della salvezza. Ciò essa fa con Maria e come Maria, sua madre e modello: è lei, Maria, il modello di quell'amore materno, dal quale devono essere animati tutti quelli che, nella missione apostolica della Chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini. Perciò, «confortata dalla presenza di Cristo, la Chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e si muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino ... procede ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria»" (RMi 92).

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(II Parte). Le Décret "Ad Gentes" du Vatican II entre mémoire et prophétie: Omnis Terra, n.328 (1996) 418-427; n.329 (1997). The Decree "Ad Gentes" of Vatican II, between memory and prophecy: Omnis Terra n. 273 (1996) 418-427; n. 274 (1997).

Il tema è stato sviluppato in ulteriori pubblicazioni dell’autore, con bibliografia aggiornata:

Misionología, Evangelizar en un mundo global (Madrid, BAC, 2008), cap. II, 89-102.Compendio de Misionología. La vida es misión (Valencia, EDICEP, 2007), cap. II, n.4.

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(11)ORME DEL VERBO INCARNATO NELLE DIVERSE ESPERIENZE DI DIOIn occasione del Giubileo dell'anno 2000 e nel terzo Millennio

Presentazione: Attualità delle orme e "semi" del VerboNel campo delle scienze missiologiche, oggi si accetta senza

discussione la realtà dei "semi del Verbo" esistenti nelle culture, religioni e popoli. L'affermazione patristica, che si trova già in S. Giustino, ha avuto eco positivo nei documenti magisteriali e nelle pubblicazioni scientifiche.

Ordinariamente questo tema è stato studiato a livello di paragone tra concetti religiosi: sulla natura di Dio, sulla sua azione nella storia, la salvezza, la vita morale, le vie di interiorità e di preghiera, ecc.39

Il cammino percorso in questa ricerca è stato valido; ma precisamente per il fatto di essere un "cammino", diventa un compito permanente. L'incontro tra religioni diventa una domanda che è anche una sfida difficile da risolvere: ¿quale è l'esperienza peculiare o specifica di Dio in una religione concreta? Nel nostro caso, si tratta di poter annunciare che "il Verbo Incarnato è il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità"? (TMA 6)40. Ma non lo possiamo fare solo a livello di concetti, che, molte volte, risultano quasi impenetrabili alle altre culture.

In questo campo di studio comparativo sull'esperienza specifica di Dio, a mio avviso, non si è entrati sufficientemente e in modo positivo nel campo della preghiera contemplativa, al di là dei concetti teologici anche se validi. Si tratta di entrare nelle tradizioni contemplative, "che portano in sé l'eco di millenni di ricerca di Dio" (EN 53), e che lasciano intravedere i semi o le orme del Verbo Incarnato, allo scopo di "illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo" (AG 11), per scoprire in esse "la presenza e l'attività dello Spirito" (RMi 28).41

39    ? AA.VV. (H. Waldenfels), Nuovo Dizionario delle Religioni, Cinisello Balsamo, San Paolo 1993; AA.VV. (P. POUPARD), Dictionnaire des Religions, Paris, Presses Univ. de France, 1985; Raccolgo dottrina e bibliografia attuale su questo tema, in: Teología de la evangelización, Madrid, BAC 1995, cap. VIII (evangelizzazione delle culture e delle religioni).

40    ? Tertio Millennio Adveniente, Lett. Apostolica circa la preparazione del Giubileo dell'anno 2000 (10 novembre 1994).

41    ? J. ESQUERDA BIFET, Valor evangelizador y desafíos actuales de la "experiencia" religiosa "Euntes Docete" 43 (1990) 37-56; Idem, Dimensión soteriológica de la contemplación cristiana y no cristiana, "Burgense" 30/1 (1989) 87-104; L. GARDET, O. LACOMBE, L'expérience du Soi. Étude de mystique comparée, Paris, Desclée B. 1981; G. MAGNANI, Filosofia della religione, Roma, Pont. Univ. Gregoriana 1993; J. MOLTMANN, Gotteserfahrungen: Hoffnung, Angst, Mystik, München, Kaiser Verlag

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La celebrazione del bimillennario dell'Incarnazione è un'invito a rispondere a questa sfida, che esige dalla comunità ecclesiale e dagli evangelizzatori un rinnovamento di convinzioni, atteggiamenti, decisioni e attuazioni. La chiamata del Papa in Tertio Millennio Adveniente è pressante: "Nel 2000 dovrà risuonare con forza rinnovata la proclamazione della verità: «Ecce natus est nobis Salvator mundi»" (TMA 38). In questi ultimi anni, non sempre Cristo è stato presente nei progetti qualificati di "evangelizzazione". Se l'annunzio di Cristo non è esplicito e testimoniato, la promulgazione del Vangelo non è stata fatta a livello di coscienza, di culture e di religioni. La responsabilità dell'accettazione ricade anche sull'autenticità dell'annunzio, non tanto a livello di concetti, ma nella realtà delle beatitudini personificate.

Il Giubileo del 2000 no può essere ridotto ad una grande celebrazione, ma esige una fede che sia "conoscenza vissuta di Cristo" (VS 88) e quindi manifestata nell'annunzio esplicito e coraggioso a tutti i popoli.

Sarebbe necessario indicare delle linee per discernere le orme del Verbo Incarnato nelle diverse esperienze di Dio, che si trovano in tutte le religioni, poiché "il Verbo Incarnato è il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità" (TMA 6).

Non si tratta soltanto di uno studio comparativo delle esperienze mistiche e religiose in generale, ma di segnalare positivamente queste orme che lasciano intravedere, come "semi del Verbo" e "preparazione evangelica", la realtà della Incarnazione del Verbo, cioè, di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, unico e universale Salvatore e Redentore. Un passo ancora più importante sarebbe quello di segnalare testi e fatti di ogni religione, come preparazione positiva, sempre sotto l'azione la grazia, verso la vita e il messaggio di Gesù.42

Portare queste "orme" alla pienezza in Cristo non significa una imposizione, nemmeno un sincretismo o un relativismo sterile, ma semplicemente il modo di annunciare e offrire le orme più esplicite e definitive del mistero di Cristo, le quali non sono legate a nessuna cultura e a nessun popolo, ma provengono dalla rivelazione imprevedibile e sorprendente di Dio Amore.

Non si tratta propriamente di un discernimento a partire da concetti teologici contenuti in una cultura dove si è inserito il cristianesimo, ma, per

1979; J. MOUROUX, L'expérience chrétienne. Introduction à une théologie, Paris, Aubier-Montagne 1952. Vedere anche: A. RAVIER, La mystique et les mystiques, Paris, Desclée B. 1964 (La mistica e le mistiche, Cinisello Balsamo, San Paolo 1996).

42    ? Tento di rispondere a questo bisogno, sintetizzando le linee contemplative di ogni religione, in: Hemos visto su estrella, Madrid, BAC 1996.

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quanto sia possibile, sarebbe piuttosto un confronto con i dati della rivelazione. Tutte le culture hanno una base comune universale sufficiente per un dialogo utile. D'altra parte, è impossibile prescindere totalmente dalle espressioni culturali particolari. Ma uno sforzo comune dovrebbe portare all'incontro più profondo della realtà di esperienza di Dio, che è sempre al di là di ogni concetto culturale. La rivelazione cristiana, per il fatto di trattarsi del Verbo Incarnato (i cui semi si trovano in tutte le culture e religioni), non è una imposizione culturale, ma una offerta sorprendente di Dio che è sempre mistero infinito e che salva tutte le tracce che lui stesso ha lasciato in ogni religione.

E' necessario lasciarsi questionare dai semi del Verbo che esistono nelle religioni e culture, i quali trascendono anche i nostri concetti di una cultura cristianizzata. Senza sottovalutarle (poiché sono valide), si devono relativizzare le espressioni culturali di ogni religione, anche della nostra. Soltanto per questa via si potrà entrare in "sintonia" con le diverse orme dello stesso e unico Verbo (adesso già Incarnato) e dell'azione del suo Spirito. La nostra fede ci fa scoprire che le orme o i segni "sacramentali" del Verbo Incarnato (Cristo), che si trovano nel cristianesimo, sono più esplicite e servono da punto di riferimento e di garanzia.

La comunità ecclesiale universale entra, nell'attualità, in una situazione storica nuova. La realtà del mondo attuale fa prevedere una società pluriculturale e plurireligiosa, in cui tutti dovranno convivere costruttivamente in una vera tolleranza a partire dalla propria fede vissuta con più autenticità. La questione principale consiste nel preparare questa comunità evangelizzatrice in ogni Chiesa particolare, in modo che sia capace di conoscere e apprezzare le realtà positive delle altre religioni, fino a "dare testimonianza del risorto tra le genti" (EN 66).

1. Incontro con i semi del Verbo e del suo Spirito

Le realtà umane culturali, storiche e religiose, camminano verso l'incontro esplicito con Cristo. E' un cammino a partire da una realtà positiva (senza dimenticare i limiti ed eventuali errori) che può essere considerata come "preparazione evangelica"43 e "semi del Verbo".44

43    ? EUSEBIO DE CESAREA, Preparatio evangelica I,1: PG 21,28 a-b. Il concilio Vaticano II usa l'espressione in: LG 16; AG 3.

44    ? SAN GIUSTINO, Apologia II, 8: PG 6, 457-458. Si riferisce all'atteggiamento martiriale di alcuni stoici nella difesa dei principi morali fino a dare la vita. Vedere anche: Apologia I, 6,3; 10,1-3; 13,2-3; I, 46,1-4, etc. L'espressioe si trova nel Magistero: AG 3,11; EN 53,80; RMi 29; VS 94. La filosofia può anche

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Questa presenza attiva del Verbo sin dall'inizio della creazione e, in modo speciale, sin dalla rivelazione primitiva (ai primi progenitori dell'umanità ed a Noè), si trova ancora lì dove ci siano dei discendenti dai primi esseri umani che esperimentarono l'incontro con Dio. D'altra parte, non si può escludere a priori la possibilità dei "messaggeri" e "profeti" posteriori, i quali dopo aver ricevuto una forte esperienza di Dio (che è sempre un dono di grazia), hanno invitato altri fratelli ad orientare la loro vita più profondamente verso Dio o la trascendenza.

I Padri hanno parlato di quattro Alleanze o di un'Alleanza attuata in quattro momenti (con Adamo, Noè, Abramo, Mosè), prima della nuova e definitiva Alleanza per mezzo di Gesù Cristo45. L'intera umanità (con tutte le sue culture e religioni) è in rapporto ai due primi momenti. Al momento salvifico di Abramo si riferisce anche l'Islam, oltre che Israele. La realtà che rimane è che "il Verbo è stato sempre presente nel genere umano" e in questo modo "rivela il Padre a coloro che Lui vuole e quando Lui vuole".46

La presenza "attiva" del Signore viene collegata alla comunicazione dello Spirito Santo. Questa azione salvifica cresce qualitativamente sin dalla rivelazione divina fatta ad Abramo e a Mosè, come preparazione immediata per l'Incarnazione del Verbo. Di fatto, si può affermare che "la presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo Spirito, infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in cammino... Il Cristo risorto opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito... E ancora lo Spirito che sparge i «semi del Verbo», presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo" (RMi 28).47

L'azione del Verbo, prima dell'Incarnazione ma in rapporto ad essa, è presente in tutta la creazione e in tutta la storia. E' vero che S. Giustino si riferisce agli stoici e S. Ireneo a tutti i popoli, ma Clemente di Alessandria applica il tema anche alle filosofie (o espressioni sapienziali e religiose) esistenti nell'induismo, buddhismo e ad alcuni filosofi e poeti greci, come preparazione "fino che il Signore vorrà chiamarli".48

essere una preparazione alla rivelazione: S. BASILIO, Sermo de legendis libris gentitium: PG 31,564-589.

45    ? SAN IRENEO, Adv. Haer. 3,11,8; 4,6,5-7; 20,6-7.

46    ? Ibídem, 3,18,1: PG 7,932; 4,6-7: PG 7,990. Tutta l'umanità quindi cammina verso il Verbo incarnato (cf. ibidem, 3,34,1).

47    ? In questo senso si può affermare che i popoli "possiedono la salvezza scritta dallo Spirito nei loro cuori senza carta ne inchiostro" (Adv. Haer. 3,4,2).

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Dio ha parlato in molti modi ai nostri antenati sin dall'inizio dell'umanità, anche per mezzo dei "profeti" e dei "santi" (Abele, Enoc, Melchisedec, Giobbe...), i quali anche se non sempre erano membri del popolo di Dio, sono citati nel Nuovo Testamento (cf. Mt 23,35; Eb 11; anche le "genealogie"). Questi "padri" e "profeti" non possono essere ridotti ai profeti posteriori alla legge mosaica: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Eb 1,1-2).

Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, è "la Parola definitiva" di Dio a tutta l'umanità, preparata sin dai primi tempi con la sua misteriosa presenza e il suo messaggio. Alla luce dell'Incarnazione del Verbo, la storia e la creazione appaiono più armoniche e positive, come "cosmo" e non come caos. La realtà di peccati e di errori non può cancellare il valore positivo di questi passi verso la rivelazione definitiva di Dio. In Cristo, "il Padre ha detto la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia" (TMA 5).

La differenza e il rapporto del cristianesimo riguardo alle altre religioni non può essere ridotta al confronto con gli aspetti negativi e limitati, ma nella nuova realtà che arricchisce senza distruggere: "Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità" (TMA 6). Allora si arriva alla conclusione che "Gesù Cristo é la ricapitolazione di tutto (cf. Ef 1,10)" (ibidem). Non si tratta di separare il Verbo da Gesù Cristo, ma di distinguere dei momenti e dei modi dell'epifania di Dio per mezzo dell'unico Verbo Incarnato che è Gesù Cristo.

Dal momento dell'Incarnazione, il Verbo prende come propria la storia umana di tutte le epoche: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Tutta la creazione e tutta la storia umana, sin dall'inizio, è incentrata in Cristo. Poiché lui è il Figlio dell'amore del Padre e "immagine del Dio invisibile... tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui" (Col 1,15-16). "Per questo la risposta decisiva ad ogni interrogativo dell'uomo, in particolare ai suoi interroganti religiosi e morali, è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso" (GS 22).

La sintonia tra queste orme limitate e le altre orme più esplicite (di pienezza), deve arrivare ad un incontro autentico e pieno di "fede". Il

48    ? CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Stromata 1,5 (fa allusione ai bramini e ai discepoli di Buddha). Parla anche di una "pedagogia" verso Cristo (6,8). E' sempre una "pedagogia" o preparazione verso l'unico Verbo che si incarna in Gesù (senza separare il Verbo da Gesù). Vedere altre citazioni: Stromata 1,7-8; 6,67-72; 7,73-76; 8,77-81, 9,82, etc.

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cammino da proseguire dipende non soltanto dalle altre religioni, ma principalmente dagli stessi credenti in Cristo, i quali forse non presentano sufficientemente le orme esplicite del risorto. Il momento attuale di incontro pluriculturale e plurireligioso è forse irrepetibile e certamente è una opportunità unica di incontro esplicito col Verbo Incarnato.

La fede cristiana afferma che "Cristo, Signore e Maestro è la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana" (GS 10). E' lui il centro "teologico" della storia e anche il centro cronologico. Soltanto, il Verbo Incarnato, "svela pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione" (GS 22). Per poter arrivare a questa fede, lo stesso Dio ha seminato "semi" e orme, come preparazione evangelica. Ma, come presentare Cristo, al tempo stesso, dal di dentro di queste orme e come dono di grazia che supera infinitamente ogni previsione umana senza distruggere quello che è stato seminato da Dio?

In Gesù, il Verbo Incarnato, i cui semi erano già seminati nei cuori, nelle culture e nelle religioni, "il tempo diventa una dimensione di Dio" (TMA 10). La storia dell'uomo appare come storia e "biografia" dello stesso Dio fatto uomo.

La "Parola" e il "si" di Dio all'uomo, per mezzo del Verbo Incarnato, fa possibile il "si" dell'uomo a Dio. "Se Dio va in cerca dell'uomo, creato a sua imagine e somiglianza, lo fa perché lo ama eternamente nel Verbo e in Cristo lo vuole elevare alla dignità di figlio adottivo" (TMA 7). Questa realtà cominciò il giorno dell'Incarnazione del Verbo nel seno di Maria, quando essa disse il "si" ("fiat") a Dio como eco della stessa Parola di Dio concepita nel suo grembo verginale.

2. Una Chiesa preparata nelle persone e comunità?

Mai come oggi la società umana si è trovata in un simile crocevia di incontri religiosi globali a livello universale. La sfida attuale è quella di non accettare il cristianesimo a partire da "concetti", ma dall'esperienza di Dio Amore. Il cristianesimo non sarà accettato se non è a partire della persona di Gesù risorto, che si lascia intravedere per mezzo di coloro che annunciano e vivono le "beatitudini" e il comando dell'amore.49

49    ? Un segno delle "beatitudini" é l'atteggiamento di rapporto con Cristo da parte degli evangelizzatori, concretizzato nella carità pastorale. Perciò, "la santità di vita permette ad ogni cristiano di essere fecondo nella missione della Chiesa" (RMi 77). "La spiritualità missionaria della Chiesa è un cammino verso la santità. La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi" (RMi 90).

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I "semi del Verbo" che si trovano nelle culture e nelle religioni, hanno bisogno di aprirsi esplicitamente alla realtà piena del Verbo Incarnato. Il processo di apertura ("conversione" ai nuovi disegni salvifici di Dio Amore) è una grazia che esige la collaborazione di ogni persona umana chiamata alla fede. Ma è anche vero che queste persone, redente da Cristo, hanno bisogno di vedere i "segni" dell'incontro con Cristo. Il messaggio evangelico, per poter essere accettato, ha bisogno di "segni". Il segno principale è la vita personale e comunitaria che faccia trasparire la presenza di Cristo risuscitato. La "presenza" di Cristo è annunciata con la testimonianza e con i "segni" (Mc 16,20).

La "pienezza dei tempi" (Gal 4,4) significa che il tempo ha trovato il suo vero significato. "Dio, con l'Incarnazione, si è calato dentro la storia dell'uomo. L'eternità é entrata nel tempo... Entrare nella «pienezza del tempo» significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio" (TMA 9).

Il tempo ha la "dimensione di Dio" grazie a Gesù Cristo, "il Signore del tempo, il suo principio e il suo compimento" (TMA 10). Le speranze dell'Antico Testamento si indirizzano direttamente verso Gesù Cristo, come sua preparazione immediata. Le speranze di salvezza che si trovano in tutte le religioni, hanno questo stesso indirizzo grazie alla rivelazione primitiva (ad Adamo ed Eva) e anche grazie alla Provvidenza divina che orienta tutta la storia secondo i progetti di amore verso l'uomo.

Ogni essere umano è chiamato ad aprirsi ai nuovi disegni di Dio in Cristo e "trovare nella Chiesa stessa il Vangelo vissuto"; però "sarebbe per lui una delusione se, entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse una vita priva di fervore e senza segni di rinnovamento" (RMi 47).

La forza evangelizzatrice della Chiesa consiste nella capacità di presentare le "beatitudini" e il comando dell'amore (cf. RMi 59). E' la forza della carità, che é dono di Dio (cf. 1Gv 4,7). I segni ecclesiali sono portatori dello stesso Gesù e del suo messaggio evangelico. "L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri... La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione" (RMi 42).

Il cammino storico-salvifico che hanno già attuato le religioni, grazie all'azione dello Spirito Santo, va verso Cristo, il Verbo Incarnato, che è morto e risorto. Questo cammino non passa necessariamente attraverso la convinzione apologetica e concettuale, anche se utile. La stessa azione salvifica di Dio, che guida i non cristiani verso Cristo, è la stessa azione che guida la Chiesa per diventare "sacramento", cioè segno trasparente e

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portatore dello stesso Cristo (LG 1; AG 1). Affinché "la luce di Cristo risplenda sul volto della Chiesa" (LG 1), è necessario che la stessa Chiesa si rinnovi continuamente (cf. LG 8).

Il rinnovamento ecclesiale si attua nella linea del vangelo. Questo fu lo scopo del concilio Vaticano II, convocato "per il rinnovamento evangelico della vita cristiana", in modo che "tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico" (CFL 16). La Chiesa manifesta la "disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito" (RMi 30), con "una particolare sensibilità per tutto ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e alle Chiese (cf Ap 2,7ss)" (TMA 23), per un continuo rinnovamento.50

Per poter diventare "il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genero umano" (LG 1), la Chiesa "avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento" (LG 8). "Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione... La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno" (UR 6).

E' vero che la comunità ecclesiale, sorretta dalla presenza di Cristo risorto e dell'azione dello Spirito Santo, è sempre portatrice del messaggio evangelico. Ma che questo messaggio sia veramente promulgato a livello di coscienza in ogni uomo di buona volontà, in ogni cultura e in ogni religione, dipenderà, in grande parte, dalla fedeltà della stessa Chiesa, cioè, da tutti quanti crediamo in Cristo.

Le tappe storiche del cammino ecclesiale durante venti secoli non sono state sempre trasparenti di vangelo. L'azione e l'esito globale sono stati positivi, dovuto principalmente ai santi e martiri, però non sono mancati momenti di ombre.

Sia le religioni che la società attuale domandano al cristiano sulla sua esperienza di Dio, specialmente quando sembra che taccia e sia assente: "il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l'Invisibile" (EN 76).

L'esperienza cristiana di Dio, prescindendo dalla spiegazione concettuale, deve essere una manifestazione della Parola definitiva di Dio, inserita nella storia: il Verbo Incarnato, Cristo morto e risorto. Coloro che

50    ? J. ESQUERDA BIFET, Il rinnovamento ecclesiale per una pastorale missionaria, in: Chiesa locale e inculturazione nella missione, Roma, Pont. Univ. Urbaniana 1987, 47-75; M. ZOVKIC, Conversio et renovatio Ecclesiae tamquam conditio et sequela evangelizationis, Bogoslacka Smotra 45 (1975) 221-234.

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hanno già ricevuto i "semi del Verbo" hanno bisogno di vedere nei segni della vita di fede, come è la manifestazione definitiva di Dio per mezzo di Gesù "nella pienezza dei tempi" (Gal 4,4).

Per i credenti, l'esperienza di incontro con Cristo risorto diventa missione, perché lo Spirito Santo infonde in loro "una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima" (RMi 24).

3. Verso l'incontro "fraterno" tra le "orme" dello stesso e unico Verbo Incarnato

La "preparazione evangelica" e i "semi del Verbo", che si trovano in tutte le culture e religioni, conservano il suo valore di preparazione, fino che il vangelo sia veramente promulgato a livello di coscienza e di conversione personale. E' quindi necessario l'"incontro" umile tra coloro che hanno i semi del Verbo e coloro che già hanno incontrato esplicitamente lo stesso Verbo Incarnato. La vera esperienza di Dio comunica un'atteggiamento di umiltà davanti al "mistero": Dio è sempre sorprendente. La fede cristiana, in questo incontro fraterno, non può dimenticare la realtà e l'annunzio dell'unicità di Cristo, il Verbo Incarnato e della sua universalità come Salvatore di tutti gli uomini.51

La Parola di Dio, sin dall'inizio della creazione, si è inserita negli ambiti culturali di tutti i popoli. Il cammino è stato lungo e quindi molto diverso nelle espressioni culturali. E' un processo di "inculturazione" la cui iniziativa appartiene a Dio, presente nella storia dell'umanità.52

La fede, come incontro con Cristo e dono gratuito di Dio, non sarà mai il risultato di dialogo, anche se necessario. La fede cerca di esprimersi con espressioni culturali ("fides quaerens intellectum"). Ma la realtà di grazia che è nella fede trascende tutti gli elementi culturali senza distruggerli. Il dialogo

51    ? La fede cristiana afferma l'unicità di Cristo, il Verbo Incarnato e, al tempo stesso, la sua universalità come Salvatore di tutti gli uomini: A. AMATO, Missione cristiana e centralità di Cristo Gesù, in: La missione del Redentore, Leumann, Torino, LDC 1992) 13-29; J. DUPUIS, Gesù Cristo, incontro alle religioni, Assisi, Cittadella Edit. 1991; Idem, La fede cristiana in Gesù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiatiche, "Gregorianum" 75/2 (1994) 217-240; J. GALOT, Cristo unico Salvatore e salvezza universale, in: Cristo, Chiesa, Missione, Roma, Urbaniana Uiversity Press 1992, 51-66.

52    ? A. AMATO, Inculturazione, contestualizzazione, teologia in contesto, Salesianum 45 (1983) 79-111; (Commissione Teologica Internazionale), Fede e inculturazione, "La Civiltà Cattolica" 140 (1989) 158-177.

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interreligioso, se rispetta questa trascendenza farà possibile la sintonia e incontro tra tutti i "semi del Verbo".53

Dio ha seminato in tutti i cuori e in tutti i popoli il desiderio di incontro con lui. E' stata una sua iniziativa, un dono, una grazia, che viene necessariamente orientata verso la nuova e posteriore grazia della fede, verso l'incontro esplicito con Gesù Cristo, il Verbo Incarnato.

Il dialogo interreligioso fecondo è solo possibile tra persone che abbiano l'esperienza di Dio nel loro cuore e nella loro vita. Le persone "contemplative" hanno esperimentato la bontà di Dio nella propria limitatezza e povertà. Il dialogo tra queste persone, di qualsiasi religione, è sempre possibile e fecondo. Non è il dialogo soltanto per mettere in confronto i concetti tecnici, ma lo scambio di esperienze autentiche. Nel caso del contemplativo cristiano si tratterà di spiegare la specificità della sua esperienza di incontro con Dio Amore per Gesù Cristo (cf. RMi 24).

Cristo è già presente in tutti i cuori, al di là delle espressioni culturali e dei concetti filosofici (cf. RMi 88). Queste espressioni tecniche sono valide e tal volta necessarie, ma Cristo non sarà mai acquistato come conquista intellettuale, come intuizione o riflessione originale; sarà sempre accettato così come è, come dono sorprendente che richiede "apertura" e accettazione del cuore mediante la conversione e la fede. Il credente in Cristo, senza emarginare la sua propria psicologia e cultura, dovrà esprimere, senza indugi, la sua fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, unico Salvatore universale, morto e risorto. Però questo annuncio solo sarà possibile a partire dall'incontro intimo con lui.

L'inserimento della grazia e parola di Dio in una cultura concreta avrà delle manifestazioni peculiari secondo i condizionamenti sociologici. Si dovrà distinguere tra la realtà che è nascosta nel cuore e le espressioni concettuali e culturali. Senza dimenticare le eventuali ambiguità, si dovrà riconoscere che "gli uomini in molteplici modi hanno espresso la loro ricerca di Dio attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, ecc)" (CEC 28). La diversità delle orme della stessa ricerca di Dio, porta verso la comunione o incontro fraterno e universale in Cristo.

In ogni vera esperienza di Dio, c'è una convinzione profonda: Dio continua ad essere "mistero" sorprendente. Chi è arrivato a questa esperienza (fuori del cristianesimo) accetta più facilmente i nuovi disegni di Dio in

53    ? (Istruzione del Pont. Consiglio per il Dialogo e della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli): Dialogo e Annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (Pentecoste, 19 maggio 1991): AAS 84 (1992) 414-446.

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Cristo. Se è un cristiano, non trova tanta difficoltà nell'accettare la fede e la morale cristiana, che "consiste nel seguire Gesù Cristo, nell'abbandonarsi a lui, nel lasciarsi trasformare dalla sua grazia" (VS 119).

L'incontro tra le culture religiose avrà luogo principalmente nel campo della preghiera come esperienza di incontro di Dio. L'incontro tra le diverse esperienze di Dio non deve portare ad un relativismo della propria fede ne ad un sincretismo facile. L'ascolto vicendevole è sempre a partire dall'autenticità della propria fede, dove Dio ha seminato i suoi "semi". Allora è possibile aprirsi ai nuovi doni di Dio, poiché ogni dono di Dio ricevuto anteriormente lascia intravedere la possibilità di altri doni posteriori. E' quindi un'atteggiamento di vera "conversione" o apertura ai nuovi disegni di Dio.

Si tratta di un dialogo di "vita" impegnata veramente nel rapporto personale con Dio e con i fratelli. Nella fede cristiana ci troviamo con la novità dello stesso Verbo o Parola di Dio (preparato in ogni religione), ma già Incarnato in Gesù Cristo. Allora non si tratta propriamente di un incontro di superiorità da parte dei credenti in Cristo, ma di comunicare a tutti la pienezza di quei semi che tutti hanno nel cuore e nella cultura religiosa. La questione più importante consiste non tanto nel presentare dei concetti, ma di esprimere nella propria vita (attraverso il dialogo e la testimonianza) che le "beatitudini" e il comando dell'amore si identificano con la persona di Gesù Cristo, che viene incontro ad ogni essere umano.

I credenti di ogni religione che siano impegnati nella ricerca di Dio sapranno interpretare meglio le chiamate di Dio. Si dovrà approfondire le espressioni di "preghiera" e di rapporto con Dio, per trovare in esse i "semi del Verbo". Da parte di cristiani, l'esperienza di Dio è necessaria per poter scoprire questi "semi" ed invitarli all'incontro esplicito con Cristo.

In ogni autentica esperienza di Dio (in tutte le religioni), Dio si manifesta con segni di "silenzio" e di "assenza", poiché lui è al di là di ogni esperienza umana. L'esperienza cristiana di Dio non è una eccezione, ma per mezzo della fede, il cristiano scopre che il "silenzio" e l'"assenza" esprimono il "Verbo" Incarnato. Lo stesso Gesù ha voluto esperimentare l'"abbandono" come apparente assenza di Dio. Allora il cristiano non si sente superiore, ma interpellato e inviato a comunicare a tutti i fratelli il significato di quello che tutti hanno nel cuore: le tracce incancellabili di Cristo presente nella vita di ogni essere umano. Così si proclamerà che Cristo è l'unico Mediatore e Salvatore (cf. TMA 38).

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Le persone colpite nella sofferenza dal "silenzio" di Dio, hanno bisogno di trovare Gesù, il Verbo di Dio Amore, presente in un modo nuovo in mezzo agli uomini ("Emanuele"). I cristiani sono chiamati a preparare il passaggio alla fede, senza ritardi ne imprudenze. Non si tratta di imporre, ma di svegliare le orme del Verbo o far maturare i suoi "semi", che si trovano in tutte le religioni.

La situazione sociologica attuale lascia intravedere un prossimo futuro della comunità umana più interculturale e interreligiosa. I "semi del Verbo" s'indirizzano verso il Verbo Incarnato. Le religioni che fanno riferimento ad Abramo (ebraismo, islamismo, cristianesimo) sono orientate esplicitamente verso il Cristo, il Messia.

Per i cristiani cresce l'urgenza di presentare nella propria vita l'esperienza di aver incontrato Cristo, il Verbo Incarnato, resuscitato e presente nella storia umana. Il cristianesimo "purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo" (AG 9). Il vero incontro sarà al di là di ogni espressione culturale, rituale, letteraria, metodologica...

La novità cristiana non è a livello di cultura (concetti filosofici e teologici), ma piuttosto a livello di annuncio del Verbo Incarnato. Grazie alla fede in Cristo, appare che "la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete" (CEC 2560). Questa sete e ricerca, che lo stesso Dio ha seminato in tutte le religioni, è assunta da Cristo già inserito nella storia umana come consorte (cf. Gv 4,7ss). L'esperienza cristiana di Dio è in sintonia con altre esperienze comunicate da Dio all'umanità; però questa esperienza cristiana viene vissuta nella realtà filiale partecipata da Gesù, che è il volto personale e umano di Dio.

L'incontro non sarà principalmente tra "religioni", ma tra persone che cercano sinceramente Dio. Tutte le religioni, anche con espressioni diverse e concetti che sembrano opposti, "portano in sé l'eco di millenni di ricerca di Dio" (EN 53); e questa ricerca, in sé stessa, al di là dei concetti, è sempre personale. Sarà dunque un'incontro tra persone che hanno ricevuto il "tocco" di Dio che lascia in tutti i cuori il desiderio e la ricerca dell'assoluto personale, come "anelito presente in tutte le religioni dell'umanità" (TMA 6).

Questa realtà promettente può diventare, all'inizio del terzo millennio, la sfida più radicale della storia della Chiesa, che è stata chiamata a

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"proporre una sintesi creativa tra vangelo e vita" e a "dare un'anima alla società moderna".54

Il Giubileo dell'anno 2000 deve essere, dunque, un passo in più nel "compimento" di questo "anelito" universale, per mezzo dell'incontro esplicito con Cristo. Dio dirige l'umanità verso questo incontro; spetta al cristiano un coinvolgimento speciale: esprimere nella propria vita, come esperienza di Dio Amore, che il Verbo è già incarnato in Gesù Cristo, il risorto. In questo senso si può capire meglio la definizione di missione data da "Redemptoris Missio": "trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima" (RMi 24).55

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Estratto da: El decreto "Ad Gentes" del Concilio Vaticano II entre memoria y profecía: Omnis Terra, n.266 (1996) 418-426 (I Parte); n.267 (1997) 31-37 (II Parte). Le Décret "Ad Gentes" du Vatican II entre mémoire et prophétie: Omnis Terra, n.328 (1996) 418-427; n.329 (1997). The Decree "Ad Gentes" of Vatican II, between memory and prophecy: Omnis Terra n. 273 (1996) 418-427; n. 274 (1997).

Il tema è stato sviluppato in ulteriori pubblicazioni dell’autore, con bibliografia aggiornata:

Hemos visto su estrella. Teología de la experiencia de Dios en las religiones (Madrid, BAC, 1996), cap.VIII-IX.

Compendio de Misionología. La vida es misión (Valencia, EDICEP, 2007), cap.VI.

Misionología. Evangelizar en un mundo global (Madrid, BAC, 2008), cap.V.

54    ? GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti nel Symposium dei Consigli delle Conferenze Episcopali di Europa, 11 ottobre 1985: Insegnamenti VIII/2 (1985) 910ss.

55    ? Redemptoris Missio indica questo indirizzo per arrivare all'incontro delle religioni con Cristo: "Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non cristiane, in particolare di quelle dell'Asia, mi ha dato conferma che il futuro della missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell'esperienza di Dio e deve poter dire come gli Apostoli: «Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita ..., noi lo annunziamo a voi» (1 Gv 1, 1-3)" (RMi 91).

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(12)IL MARTIRIO CRISTIANO, PEGNO DI AUTENTICITÀ MISSIONARIA

Presentazione: significato e dimensione missionaria del martirio

L’itinerario storico della chiesa di Gesù sarà sempre ornato dai fiori rossi del martirio, che può essere di sangue o di vita donata per amore. Il volto del Buon Pastore si fa trasparente attraverso le vite spese nell'amarlo e nel farlo amare.

Ogni credente è invitato a "seguire le orme di Cristo" (1 Pt ,21) per "partecipare alle sue sofferenze" (1 Pt 4, 13). La comunità ecclesiale è trasparenza di Cristo nella misura in cui i suoi componenti vivono questa realtà di martirio, che è la condizione normale della Chiesa.

Cristo prolunga nella sua Chiesa la sua stessa realtà oblativa. Vivere e morire per Cristo (cfr Rom 14,8) equivale all'attitudine permanente di trasformare la vita in donazione. Così si rende palese che la vita cristiana è associazione a Cristo, per "completarlo" nel suo atto di morire amando e perdonando (cfr Col 1,24).

Martirio significa testimonianza della propria fede, proclamazione della speranza in Cristo risorto e fare della vita il supremo atto di carità. Si dà la vita come Cristo, guidati dall'amore dello Spirito, per proclamare la Provvidenza misteriosa e amorosa del Padre. Può essere una "vita nascosta con Cristo in Dio" (CoI 3,3) come a Nazareth. Può essere nei momenti di dolore e di abbandono, come sul Calvario (cfr Le 23,45). È sempre un prolungare nel tempo la stessa vita di Gesù.

I martiri sono sempre "seme di nuovi cristiani, seme di riconciliazione e di speranza ... la loro testimonianza arricchisce il tesoro di grazia, che la Chiesa aprirà a tutti nel Grande Giubileo" (Giovanni Paolo II, 21.3.99)

I martiri sono testimonianza di Dio Amore, di Cristo morto e risorto, della forza dello Spirito, della presenza di Cristo nella comunità ecclesiale, della verità autentica e definitiva nella società di oggi ... Ecco l'itinerario di martirio della chiesa del terzo millennio, nella dimensione teologica, cristologica e pasquale, pneumatologica, ecclesiologica e missionaria.

Il Signore definì i suoi discepoli "testimoni" (martiri), indicando che la sua vita era orientata a dare "testimonianza" (martirio) di lui e del suo messaggio evangelico: 'Voi darete testimonianza, perché sin dal principio siete con me" (Gv 15,27); "sarete miei testimoni .. fino agli estremi confini della terra" (At 1,8; cfr Mt 10,17-20).

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Questa "testimonianza" evangelica dei seguaci di Cristo e' stata definita con la parola greca "martiria" (testimonianza). Giovanni nell'Apocalisse, si presenta come testimone (martire) (Ap 1,2.9) e narra, fra le altre prove ecclesiali il martirio di coloro che sono fedeli a Cristo fino a dare la propria vita per lui (Ap 6,9; 7,9-14).

Così riconobbero gli Apostoli sin dal giorno della Pentecoste: "Noi siamo testimoni" (At 2,32). "Io pure sono testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che sta per rivelarsi" (1 Pt 5,1).

"Martirio" significa testimonianza qualificata, in modo particolare fino allo spargimento del sangue. "Il martirio è un atto di fortezza" (S Tommaso). Il "martire" è "testimone" del mistero pasquale di Cristo, per mezzo di una vita che lascia trasparire oblazione del Signore. Il "martirio" è poi l'attitudine di dare la vita in unione con il sacrificio di Cristo per testimoniare la fede. Non sarebbe possibile questa attitudine oblativa e di martirio senza la forza dello Spirito Santo (cfr Mt 10,20). Per questo il "martire" da la sua vita perdonando i persecutori (cfr At 7,60).

"Il Martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza" (CCC 2473).

Si è sempre considerato il martirio come indispensabile per il primo annuncio evangelico e, in modo speciale, per la fondazione della Chiesa. "Il martirio cristiano ha sempre accompagnato e accompagna ancora la vita della Chiesa" (VS 90). Si dovrà distinguere fra il martirio di sangue e quello di una vita sacrificata nel nascondimento. Ma resterà sempre in Piedi il suo valore di "segno" radicale che accompagna necessariamente il messaggio predicato: "rendere questa massima testimonianza d'amore davanti agli uomini e specialmente davanti ai persecutori" (LG 42). L'oblazione del martirio, può considerarsi come "morte vicaria", in quanto che, in Cristo, assume la morte di tutte le persone (anche non cristiane) che hanno dato la vita per la verità e per il bene.

Il momento del martirio è il riassunto di una vita che vuole dare trasparenza al messaggio evangelico del Signore, "con una carità sincera... e, se necessario, fino a spargere il suo sangue per lui" (AG 24). In lui "risplendono la santità della legge di Dio e insieme l'intangibilità della dignità personale dell'uomo" (VS 92) ed è "un

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segno chiaro della santità della Chiesa" e diventa "annuncio solenne e impegno missionario" (VS 93).

Questa è la costante missionaria sin dagli inizi del cristianesimo: "Gli apostoli davano testimonianza con grande forza della resurrezione del Signore Gesù" (At 4,33). Per questo, il martirio è diventato "patrimonio comune" di tutti i cristiani (cfr·UR 4; UUS 1 e 84) ed anche di molte persone di buona volontà (cfr VS 92).

La Chiesa si trova sempre "in stato di persecuzione, sia nei tempi antichi, sia in quello presente: perché i testimoni della verità divina diventano allora una vivente verifica dell'azione dello Spirito di verità, presente nel cuore e nella coscienza dei fedeli, e non di rado segnano col loro martirio la suprema glorificazione della dignità umana" (DeV 60; cfr Mc 13,9). I martiri sono "gli annunciatori e i testimoni per eccellenza" (RMi 45).

Il martirio cristiano può essere cruento e incruento. Spargere il sangue in un momento di violenza, è impossibile senza la grazia di Dio. Spendere la vita affrontando le difficoltà quotidiane con amore, presuppone, di fatto, la stessa grazia. Se il dono del martirio propriamente detto resta ristretto in quanto al numero, "tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa" (LG 42).

Il martirio è "seme di cristiani" [Tertulliano), perché partecipa della efficacia del mistero pasquale di Cristo (cfr Gv 12,24.31). Si vive e si muore per lui e con lui (cfr Rom 14.8). L'offerta di Cristo, presente nell'eucarestia, rende possibile la vita di martirio, che si converte in frumento di Dio ... frumento di Cristo" (S. Ignazio di Antiochia). L'eucarestia costruisce la Chiesa come comunità verginale e di martirio. Il fatto costante del martirio mette in evidenza che "la missione... ha il suo punto di arrivo ai piedi della Croce" (RMi 88).

1.Testimoni del disegno di Dio amore in Cristo. Dimensione teologica

Dare testimonianza dei nuovi disegni di Dio Amore, manifestati per mezzo di Cristo, sarà sempre difficile e rischioso. Ogni cultura e ogni religione ( e anche ogni cuore umano) hanno i loro modi legittimi e logici di mettersi in relazione con Dio. Il cristianesimo non ha uno stile diverso dalla maggior parte delle altre esperienze religiose, se non per il fatto che offre la grande novità che sorpassa tutti gli schemi culturali e religiosi: "Dio amò tanto il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16). Dio ha voluto mostrare il suo amore e la sua

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presenza "in molti modi" e a tutte le culture e religioni; ma ora "ci ha parlato per mezzo del suo Figlio" (Eb 1,2). Annunciare questa novità salvifica significa che "Dio è Amore" (lGv 4,8), che "Dio non lo ha visto nessuno", se non che il Figlio Unìgenìto ce ne ha parlato (Gv 1,18). Solo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo (cfr Gv 1,14), ci può far conoscere questo mistero di Dio Amore (cfr Mt 11,27). Ogni uomo di buona volontà, abituato alla sorpresa di Dio, accetterebbe l'annuncio evangelico, se vedesse i segni stabiliti da Dio e ricevesse la grazia della fede.

Questo annuncio cristiano non è esclusivista nè distruttore o umiliante, dato che Cristo "non è venuto a distruggere, ma a portare alla perfezione" (Mt 5,17). Non è neppure semplicemente 'inclusivista' nel senso di aggiungersi alla maggior parte delle esperienze religiose come una delle tante. "Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità" (TMA 6); è "la parola definitiva sull'uomo e sulla sua storia" (TMA 5). Si aggiunga che i "semi del verbo", seminati dallo Spirito Santo in tutte le culture e religioni, sono chiamati ad arrivare a "maturare in Cristo" (RMi 28).

Chi dà testimonianza di questi piani di Dio Amore, a partire dalla propria "esperienza di Gesù" (RMi 24), corre il rischio di essere rifiutato dal mondo, come lo fu il Signore stesso. Si tratta di seguire la stessa sorte di Cristo, come lui stesso aveva annunciato (cfr Gv 15,18ss). Paolo era cosciente di questa realtà: "Sono crocifisso con Cristo Gesù" (Gal 2,19). Non si può dare testimonianza di questo incontro di fede, come "conoscenza vissuta di Cristo" (VS 88), se non si sperimenta, nella propria povertà, la misericordia e il perdono di Dio. Il vero apostolo annuncia Cristo a partire dalla propria esperienza di perdono: "Cristo Gesù è venuto al mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io" ( lTim 1,15).

A partire da questo dono della fede vissuta, l'apostolo si trasforma in autoritratto delle beatitudini e del mandato dell'amore. I non credenti in Cristo hanno bisogno di vedere la testimonianza del reagire amando e perdonando come Cristo (cfr Mt 5,44-48). Tuttavia, questo radicalismo evangelico può produrre un nuovo rifiuto, come a Nazareth, e una nuova crocifissione: “lo cacciarono fuori della città … per gettarlo giù dal precipizio” (Lc 4,29).

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Senza l'attitudine al perdono, non esiste il martirio cristiano. Ma l'annuncio della riconciliazione e del perdono può produrre uno scandalo e un nuovo rifiuto. Si può constatare in alcuni mezzi di comunicazione sociale una critica e una derisione di questa attitudine evangelica di riconciliazione. Il perdonare, da parte del diacono martire S.Stefano, diede inizio a una nuova persecuzione, ma anche a una nuova possibilità di evangelizzare e alla conversione di Saulo il persecutore (cfr At 7,60; 8,lss). Dio Amore, rivelato da Cristo, lo si scopre nei testimoni che fanno della vita una donazione: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16). Questa capacità di amare rivela una nuova filiazione divina partecipata, che ci fa "figli nel Figlio" (GS 22; cfr Ef 1,5; Mt 5,45). Il "Padre nostro" pregato da Gesù in noi si traduce nel "vincere il male con il bene" (Rom 12,21).

Chi dà testimonianza di Cristo, a rischio di essere vituperato, proclama che "tutto è grazia", secondo l'espressione di S.Teresa di Lisieux, perché non succede niente "senza il consenso del Padre" (Mt 10,29). Chi si dedica ad annunciare questa utopia cristiana, sa molto bene che la persecuzione può venire da parte di coloro che sono convinti di "dare culto a Dio" (Gv 16,2). Ma la reazione cristiana dell'amore e del perdono, si evidenzia quando siamo "lieti nella speranza" (Rom 12,12), e riflette le beatitudini: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia" (Mt 5,11). È la gioia di "essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (At 5,41).

Solo dopo aver meditato il vangelo nel cuore e il dialogo con Cristo nella Eucarestia, si può dire con autenticità "Padre mio, io mi abbandono a Te, fai di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me, Ti ringrazio. Sono pronto a tutto ... ed è un bisogno del mio amore di donarmi, di pormi nelle tue mani senza riserve, con infinita fiducia, perché Tu sei mio Padre" (Carlo de Foucauld). Così è la preparazione missionaria al martirio.

Dio Trinità è Dio Amore nella sua vita intima di massima unità: Padre, Figlio e Spirito Santo (una natura e tre persone). Testimoniare questo mistero è possibile soltanto con una vita che sia segnata dall'amore: "Per mezzo di lui (Cristo) possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito" (Ef 2,18). Lo Spirito fa sì che possiamo dire

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"Padre" a Dio con la voce e l'amore di Gesù (cfr Rom 8,15; GaI 4,6). Ma questa dinamica di preghiera e di annuncio indica un cuore unificato nell'amore, in cui si riflette la vita trinitaria. Annunciare il mistero della Trinità di Dio Amore e della Incarnazione del Verbo, sarà sempre a rischio di martirio. Perché non si tratta di una teoria amorfa, ma dell'impegno di fare della vita una donazione. È la morale cristiana relativa alla vita, alla famiglia, alla persona in tutti i suoi atti, alla comunità umana: "ordinare la vita secondo l'amore" (S. Tommaso d'Aquino). Annunciare la cultura della vita produrrà una persecuzione permanente da parte della falsa cultura della morte, infiltrata in tutti i cuori nei quali Cristo non è il vero centro.

2.Testimoni di Cristo morto e risorto. Dimensione cristologica e pasquale

Annunciare il mistero pasquale di Cristo comprende il rischio di un rifiuto come quello che patì Paolo ad Atene (cfr At 17,32). Non risulta comodo né produce vantaggi temporali proclamare che l'unica salvezza si trova in Cristo crocifisso e risorto: " In nessun altro c'è la salvezza" (At 4,12).

Il problema del dolore e della morte è la più grande sfida con la quale si scontra ogni religione e ogni riflessione umana. La soluzione cristiana non è nè tecnica nè teorica, ma sapienziale: poter condividere la vita e il destino di Cristo per giungere alla gioia della resurrezione. Più esattamente è lui che condivide con noi il nostro cammino.

La novità cristiana non consiste in una spiegazione sistematica sulla sofferenza, ma nel fatto che Cristo risorto ci accompagna per "completarlo" nella sua passione, morte e resurrezione (cfr. Col 1,24). Se questo messaggio non si vive dal di dentro, cioè, in unione con Cristo, si converte in "pietra di scandalo" (Le 2,25). Quando si vive veramente, è fonte di gioia.

In una società del benessere, l'annuncio del mistero pasquale può risultare stonato in un primo momento; tuttavia questo è l'unico cammino perché il cuore umano trovi la felicità. Rifiutarono Cristo perché non era il Messia che aspettavano secondo i criteri di benessere e di trionfo. Il discepolo e il testimone di Cristo avranno la stessa sorte: "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Gv 15,20). Vivendo e soffrendo, amando, il testimone (martire) di Cristo annuncia la vera redenzione (liberazione) e inserisce nella storia la nota di speranza

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(cfr. Rom 12,12). Il martirio è l'atto supremo di carità (cfr. Gv 15,13), capace di vincere 1'odio e di illuminare il cammino storico fino all'incontro finale di tutta l'umanità con Cristo. La vita e la morte del martire cristiano proclama che Gesù è il vero Dio, vero uomo e unico Salvatore, che salva l'uomo per mezzo dello stesso uomo, senza distruggere i valori del cammino religioso che già è stato percorso sotto la provvidenza divina.

C'è un'originalità nel martìrio cristiano, infinitamente oltre che dare la vita per un ideale onesto e veritiero. In effetti, si proclama e si prolunga nel tempo l'offerta di Gesù sulla Croce, donandosi fiduciosamente nelle mani del Padre per amore di tutta l'umanità. Tutti gli uomini, di qualunque cultura e religione, possono salvarsi, perché Cristo "è morto per tutti" (2Cor 5,14).

La forza del martire cristiano deriva dall'amore di Cristo, che, nel dare la vitaper amore, sostiene il cammino di martirio della sua Chiesa: "Avendo Gesù, Figlio di Dio, manifestato la sua carità dando per noi la vita, nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per lui e per i fratelli (cfr.Gv 3,16; Gv 15,13). Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e col quale diventa simile a lui nell'effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità" (LG 42).

È la forza della verità, vissuta e annunciata per amore come trasparenza delle beatitudini. "La dottrina della croce ... è potenza di Dio (lCor 1,18). Come Cristo, e in unione con lui, il martire diviene "riscatto" per la salvezza di tutti (cfr. Mt 20,28). Il suo sacrificio è per il bene di tutta l'umanità, nella "speranza che non delude" (Rom 5,5).

Si vive e si muore per amore, come volendo dare a Cristo e ai fratelli il respiro di ogni momento e, come riassunto di tutto, l'ultimo respiro. Si è appreso dallo stesso Cristo, che questo è "l'amore più grande" e più bello (Gv 15,13). Ogni tribolazione, affrontata per amore di Cristo, si vive nel "suo nome", in unione con lui (GV 15,21) . Ma questo modo di amare sconcerta chi non comprende la donazione: "Non meravigliatevi, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli" (1Gv 3,13-14).

Il fatto di innamorarsi di Cristo dà senso alla propria vita e la mette al servizio degli altri. È la stessa carità della sequela e dell'imitazione di

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Cristo, che non accetta di abbassare il prezzo della donazione: la totalità. Ma "la carità, secondo le esigenze del radicalismo evangelico, può portare il credente alla testimonianza suprema del martirio" (VS 89).

Il cristianesimo è religione di speranza, gioiosa e audace. Sostenuti da questa speranza, che si desidera condividere con tutti, i martiri "sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore. Il martire, soprattutto ai nostri giorni, è segno di quell'amore più grande che compendia ogni altro valore" (Bolla IM 13).

Prendere sul serio il cristianesimo, a partire da una forte esperienza di incontro con Cristo risorto, comporta il rischio di perdere tutto per lui: "Quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo" (Fil 3,7). "Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella Rivelazione, non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita" (Bolla IM 13).

La maggior parte dei martiri, per spargimento di sangue o per donazione di vita, è stata e sarà sempre una moltitudine di "militi ignoti" (TMA 37). Dei 130.000 martiri vietnamiti (durante tre secoli di persecuzione), ne sono stati canonizzati poco più di un centinaio. È questa una costante storica. Quello che è importante è essere stato il granello di frumento che muore nel solco per produrre la spiga (cfr.Gv 12,24).

La libertà, per se stessa, al di là delle tante definizioni tecniche, consiste nella verità della donazione. "Cristo crocifisso rivela il senso autentico della libertà, lo vive in pienezza nel dono totale di sé e chiama i discepoli a prendere parte alla sua stessa libertà" (VS 85).

L'Eucarestia è il punto di riferimento del martire cristiano, dato che nella sua celebrazione si realizza il mistero pasquale. Una vita "annientata" (cfr Fil 2,7) si tramuta in pane di vita eterna, pane diviso per tutti. Le sofferenze di tutta l'umanità restano assunti da Cristo crocifisso e dalla vita immolata dei suoi discepoli e dei suoi martiri.

La "morte vicaria" di Cristo (in nome di tutta l'umanità sofferente) fa sì che il martirio dei suoi discepoli conferisca il valore di martirio a quanti vivono e muoiono per un ideale onesto. Per questo, la canonizzazione dei martiri cristiani è un onore e un bene di tutta

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l'umanità. "È la realtà della comunione dei santi, il mistero della "realtà vicaria" della preghiera come via di unione con Cristo e con i suoi santi. Egli ci prende con sé per tessere insieme con lui la candida veste della nuova umanità, la veste di bisso splendente della Sposa di Cristo" (Bolla IM 10).

3.Testimoni della forza dello Spirito. Dimensione pneumatologica

La forza del martirio cristiano, che consiste nel morire amando e perdonando, non proviene da un ideale né da una decisione umana eroica, ma è il frutto dello Spirito Santo, Spirito di amore, che trasforma la debolezza in donazione a Dio e ai fratelli. Questa realtà si comincia a sperimentare compiendo i servizi umili ed anonimi di tutti i giorni.

Il martire cristiano o l'apostolo che vive in un'attitudine di martirio permanente, segue la logica dello Spirito, che conduce al deserto, alla preghiera (cfr. Lc 4,1) e alla evangelizzazione dei più poveri (Lc 4,18). Da questa fedeltà alla contemplazione (al sacrificio) e ai servizi di carità, nasce "la gioia dello Spirito", che nulla e nessuno può estirpare dal cuore (cfr. Le 10,21).

Lo Spirito Santo è "il protagonista della missione" (RMi 21), soprattutto perché è lui che guida e fortifica l'apostolo per vivere come Gesù. Soltanto sotto l'azione dello Spirito, l'apostolo si trasformerà in strumento affinché i "semi del Verbo" arrivino a "maturare in Cristo" (RMi 28).

Il passaggio delle sementi alla loro maturazione comporta la testimonianza di martirio dell'apostolo. Questa trasformazione ha bisogno della chiara testimonianza della donazione di Cristo: "La prova suprema è il dono della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù Cristo" (RMi 45).

Questa attitudine di martirio della missione richiede il coraggio e la luce dello Spirito"; perciò "occorre suscitare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la verità" (RMi 87). È una vita donata, come quella di Cristo, che ha sparso il suo sangue come oblazione "per mezzo dello Spirito Santo" (Eb 9,14). Mosso dalla "unzione dello Spirito", Gesù "passò beneficando" (At 10,38).

In questa consacrazione attraverso lo Spirito, la sua vita di donazione

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non aveva parentesi, ma era sempre un "si" permanente ai disegni salvifici del Padre (cfr. Le 10,21).

Gli apostoli furono 'battezzati' nello Spirito Santo (cfr. At 1,5) per continuare la sua stessa missione: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi; ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,21 ss.). Solo una vita donata come quella di Cristo, che sparse il suo sangue, può trasmettere all'umanità, "i torrenti di' acqua viva" dello Spirito Santo (Gv 7,38; 19,34).

Lo Spirito, che "guida alla verità tutta intera" (Gv 16,13), manifesta il Verbo Incarnato nascosto nelle parole ispirate della Scrittura. Lo stesso Spirito fa sì che il martirio sia la manifestazione del mistero pasquale di Cristo, affinché tutti possano "rinascere dall'acqua e dallo Spirito" (Gv 3,5). Attraverso questa esperienza di martirio, "la Chiesa è spinta dallo Spirito Santo a cooperare perché sia compiuto il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero" (LG 17).

È lo Spirito che rende possibile la testimonianza cristiana di donazione: "Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti nelle necessità dei fratelli" (Rom 12,12-13). L'amore dello Spirito rende possibile affrontare le sofferenze e le contrarietà con amore, senza violenze né avvilimenti e senza arie di superiorità: "Quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi" (Mt 10,19-20).

Lo Spirito rende possibile questa testimonianza di Cristo: "Lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" (Gv 15,26-27). Allora il testimone del Signore sa affrontare ogni difficoltà e superare ogni barriera: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni … fino agli estremi confini della terra" (At 1,8).

Con questa forza dello Spirito è possibile annunciare "la parola di Dio con franchezza" (At 4,31). È l'azione che trasforma gli apostoli in "testimoni e profeti, infondendo loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima" (RMi 14).

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La presenza dello Spirito (cfr. Gv 14,17), la sua luce(cfr. Gv 14,26) e la sua azione trasformatrice (cfr. Gv 16,14) rende possibile dare testimonianza di Cristo e prolungare la sua stessa missione (cfr. Gv 20,21-22).

Per il fatto di avere ricevuto il "dono dello Spirito" (lGv 4,13), si può annunziare il vangelo con audacia: "Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo" (lGv 4,14). Sono molte le offerte di salvezza, in tutte le poche e in tutte le religioni, con un certo contenuto di validità; ma la salvezza che offre Cristo è unica: "rinascere da acqua e da Spirito" per partecipare alla vita divina (Gv 3,5).

Questo stesso Spirito, che "soffia dove vuole" (Gv 3,8), ha seminato in tutti i popoli i "semi del Verbo", come "preparazione evangelica". "L'azione universale dello Spirito non va poi separata dall'azione peculiare, che egli svolge nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. Infatti, è sempre lo Spirito che agisce sia quando vivifica la Chiesa e la spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli uomini e i popoli, guidando la Chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli mediante il dialogo" (RMi 29).

Dare testimonianza di Cristo significa essere la sua trasparenza. Ma "non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall'opera dello Spirito" (RMi 87).

Gli Apostoli divengono tali in un Cenacolo permanente: "Con la venuta dello Spirito Santo, gli Apostoli si sono sentiti idonei a compiere la missione loro affidata. Si sono sentiti pieni di fortezza. Proprio questo ha operato in loro lo Spirito Santo, e questo egli opera continuamente nella Chiesa mediante i loro successori" (DeV 25).

Morire amando e perdonando, è possibile soltanto con la grazia dello Spirito Santo. Mons. Oscar Romero, poco prima del suo martirio aveva detto: "Il martirio è una grazia che non credo di meritare ... Se arrivassero ad uccidermi, io perdono e benedico coloro che lo faranno" (marzo 1980) . Il martire cristiano è apostolo del perdono e della riconciliazione.

L'apostolo, come Paolo, segue la mozione dello Spirito Santo, "avvinto dallo Spirito" (At 20,22), affronta i cambiamenti e le tribolazioni,

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affinché tutti gli uomini possano essere marchiati con" il sugello dello Spirito Santo" (Ef 1,13), che li rende partecipi della stessa filiazione di Cristo (cfr. Gai 4,5-7). I credenti in Cristo resteranno anche "rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore" (Ef.3,16).

Chi è apostolo di Cristo ascolta i "gemiti" dello Spirito, che urla in tutti i cuori affinché giungano alla "adozione a figli" (Rom 8,23) . È un processo in armonia con la debolezza dell'apostolo: "vivere in piena docilità allo Spirito: essa impegna a lasciarsi plasmare interiormente da lui, per divenire sempre più conformi a Cristo" (RMi 87).

Bisogna "ascoltare la voce dello Spirito" (RMi 30) per annunciare Cristo con audacia: "Come gli Apostoli dopo l'ascensione di Cristo, la Chiesa deve radunarsi nel Cena colo 'con Maria, la Madre di Gesù' (At 1,14), per implorare lo Spirito ed ottenere forza e coraggio per adempiere il mandato missionario. Anche noi, ben più degli Apostoli, abbiamo bisogno di essere trasformati e guidati dallo Spirito" (RMi 92).

4.Testimoni e segno vivo della presenza di Cristo risorto nella comunità ecclesiale. Dimensione ecclesiologica

L’itinerario della Chiesa si attua con la presenza di Cristo risorto attraverso segni poveri e limitati. Vivendo questa realtà di fede, la Chiesa cammina "incontro allo Spirito che dà la vita" (DeV 54).

Lo Spirito vivifica la Chiesa nel suo cammino missionario, rendendola riflesso della comunione di Dio Amore: "La Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4).

Gesù sta "in mezzo" ai fratelli quando questi vivono in fraternità (cfr. Mt 18,20). Allora il "testimone" ha la forza dell'amore: "Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35) . Il mondo crederà in Cristo, nella misura in cui vedrà la testimonianza di comunione fra i fratelli (cfr. Gv 17,23) . I martiri sono sempre frutto di una comunità ecclesiale unita. Senza questa scuola di amore, non sarebbe possibile la forza eroica della sua testimonianza.

Nel momento del martirio si riflette la presenza di Cristo e la realtà della comunità nella quale si è vissuta questa presenza vivificante. Il martire è testimone della divinità di Cristo risorto e della realtà

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soprannaturale della comunità cristiana. La verità che il martire vive e annuncia si concretizza nel mistero di Cristo vivo, presente nella Chiesa.

Il martirio della comunità cristiana si concretizza anche nella fedeltà "verginale" a Cristo. In questo senso, la verginità è stata equiparata al martirio. La Chiesa, sposa fedele (vergine) è l'insieme dei credenti che "cantano un cantico nuovo ... e seguono l'Agnello dovunque va" (Ap 14,3-4). Le persone consacrate a Cristo attraverso la verginità sono un segno e uno stimolo di questa realtà ecclesiale.

Il martirio di amore è l'impegno nascosto, generoso e costante di tanti credenti e comunità ecclesiali, che solitamente non fanno notizia, ma che scrivono, con la loro vita, la vera storia della Chiesa. Specialmente "la verginità per il Regno si traduce in molteplici frutti di maternità secondo lo spirito" (RMi 70).

Votarsi alla missione "ad gentes" è un'attitudine di martirio permanente, che ha bisogno dell'appoggio della comunità ecclesiale universale. Non si tratta soltanto di un rischio permanente di perdere la vita, ma di una dedizione nascosta e quasi sempre anonima. Ci sono innumerevoli apostoli sconosciuti e qualcuno persino emarginato. Si abituano ad essere persone felicissime, senza amarezze, e sono il sostegno fondamentale delle grandi imprese missionarie. A questi bisogna aggiungere innumerevoli laici, religiosi e sacerdoti, che si dedicano, senza far chiasso, a un lavoro apostolico di fermento evangelico, fortemente ispirato dalle beatitudini, a immagine del Buon Pastore.

Se non fosse per la comunità ecclesiale, questi testimoni (martiri) anonimi non avrebbero perseverato. Nello stesso tempo, la comunità si arricchisce spiritualmente e pastoralmente con questi gesti profetici e di martirio che, spesso, si ispirano ad alcuni carismi fondamentali. La comunione nella Chiesa universale si perpetua grazie alla comunione di piccole comunità, nelle quali sono radicate queste vite felici nella donazione.

La comunione ecclesiale, quella che aspira a raggiungere ogni movimento ecumenico, sarà realizzata in un futuro più o meno lontano, grazie ai martiri di tutte le confessioni cristiane. Il tempo e il modo dipenderanno dal vivere evangelico che va demolendo le barriere costruite da atteggiamenti individualistici e di potere. I martiri sono "un patrimonio di santità ... patrimonio comune" (TMA 37; cfr. UUS 84),

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che caratterizza ogni epoca ecclesiale. Sono un patrimonio comune capace di unire nella comunione piena tutti i doni che lo Spirito Santo ha dato alle diverse comunità ecclesiali particolari.

Maria, al centro della comunità ecclesiale, è la "Regina dei martiri", che aiuta a fare della vita un "fiat" e un "Magnificat", che è il presupposto necessario per perseverare "ai piedi della croce" (Gv 19,25). Ogni comunità cristiana è invitata a seguire il modello della "donna vestita di sole" (Ap 12,1), trasparenza di Cristo. I seguaci del Signore "hanno lavato la loro tunica nel sangue dell'Agnello" (Ap 7,14).

La comunità ecclesiale si ricompone continuamente nella comunione, celebrando "la domenica" o giorno del Signore, come momento privilegiato per vivere l'esperienza di incontro con Cristo risorto. La domenica è la "festa primordiale" (SC 106), nella quale il cristiano prende coscienza di essere comunione. Per questo è "il centro stesso della vita cristiana" (Dies Domini,"). In questo "giorno della fede", si impara a confessare Cristo risorto come vero Dio, vero uomo e unico Salvatore: "Signore mio e Dio mio" (Gv 20,28).

La presenza di Cristo risorto in mezzo ai suoi (cfr. Mt 28,20) si celebra principalmente nell'Eucarestia domenicale. I primi cristiani trovarono in questa celebrazione la migliore scuola per prepararsi al martirio. Quelli che hanno incontrato Cristo risorto divengono necessariamente suoi testimoni ed evangelizzatori (cfr.Lc 24,30-35). La Chiesa dei martiri è stata e sarà sempre la Chiesa della domenica, nella quale la Parola e l'Eucarestia costruiscono la comunità nell'amore e nel dono incondizionato. Il "precetto" domenicale è dovuto proprio a questa esigenza ineludibile, che è garanzia di vita nella carità, come partecipazione alla vita divina.

Coloro che vivono la domenica come incontro con Cristo risorto divengono "annunciatori sempre più credibili del Vangelo che salva e costruttori operosi della civiltà dell'amore" (Dies Domini 87).

5.Testimoni della verità definitiva nella società odierna. Dimensione di spiritualità missionaria

Come Cristo davanti a Ponzio Pilato, che rappresentava il potere dell'impero romano, l'apostolo afferma che è venuto "per dare testimonianza alla verità" (Gv 18,37). Per il fatto che "l'uomo

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contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri" (RMi 42), "la testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l'efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino ad un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo" (EN 76).

Con il martirio, testimonianza della verità, l'apostolo raggiunge le altre pecore", che sono anch'esse una parte delle greggi del Buon Pastore (Gv 10,16), e sa raccogliere in tempo "la messe abbondante (Mt 9,27) prima che si disperda.

"Nel martirio, come affermazione dell'inviolabilità dell'ordine morale risplendono la santità della legge di Dio e insieme l'intangibilità della dignità personale dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio" (VS 92).

Così si annuncia anche la verità sulla Chiesa, amata teneramente da Cristo. "Il martirio è un segno chiaro della santità della Chiesa: la fedeltà alla legge santa di Dio, testimoniata con la morte, è annuncio solenne e impegno missionario usque ad sanguinem ... Se il martirio rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale, a cui relativamente pochi possono essere chiamati, vi è nondimeno una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono essere pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici" (VS 93).

Tutti quelli che hanno deciso di seguire Cristo seriamente "sono vissuti pienamente nella verità di Cristo" (TMA 37). "Il martirio è la prova più eloquente della verità della fede, che sa dare un volto umano anche alla più violenta delle morti e manifesta la sua bellezza anche nelle più atroci persecuzioni" (Bolla 1M 13).

In questo senso, "il martire è il più genuino testimone della verità sull'esistenza ... Questa è la ragione per cui ci si fida della loro parola: si scopre in essi l'evidenza di un amore che non ha bisogno di lunghe argomentazioni per essere convincente dal momento che parla ad ognuno di ciò che egli nel profonde già percepisce come vero e ricercato da tanto tempo. Il martire, insomma, provoca in noi una profonda fiducia, perché dice ciò che noi già sentiamo e rende evidente ciò che anche noi vorremmo trovare la forza di esprimere" (FR 32).

"Spiritualità "è l'atteggiamento del "camminare secondo lo Spirito" (Rom 8,4-9), cioè "camminare nell'amore" (Ef 5,n. La spiritualità missionaria mette in rapporto due realtà cristiane: spiritualità e missione. Il contenuto

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della spiritualità missionaria viene descritto in AG 23-25 (virtù del missionario). Essa viene messa in rapporto alla "virtù e fortezza" necessaria "per rendere testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per lui" (AG 24).

La spiritualità missionaria è servizio alla verità, a quella verità che riguarda Dio, l'uomo, il mondo: "Il Vangelo che ci è stato affidato è anche parola di verità ... Verità su Dio, verità sull'uomo e sul suo destino misterioso, verità sul mondo. Verità difficile che ricerchiamo nella Parola di Dio ma di cui non siamo né padroni né arbitri, ma i depositari, gli araldi, i servitori" (EN 78).

Il missionario, a servizio della verità, accoglie la verità intera in tutte le sue dimensioni, la vive, la proclama, spinto dal disegno salvifico di Dio, "il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1Tim 2,4). Questo servizio potrebbe essere riassunto con queste parole: "Il missionario è l'uomo delle Beatitudini" (RMi 91). I cristiani sono chiamati a "rendere testimonianza alla verità, e comunicare agli altri il mistero dell'amore del Padre celeste" (GS 92).

La verità del Vangelo, a cui si apre il missionario per testimoniarla e annunziarla, è "una verità che rende liberi e che sola può donare la pace del cuore: questo cercano gli uomini quando annunzia no loro la buona novella" (EN 78; cfr Gv 8,32).

Il servizio alla verità presuppone questa apertura e accoglienza senza condìzionamenti, come culto alla verità, nel ricercarla e accettarla: " Da ogni evangelìzzatore si attende che abbia il culto della verità, tanto più che la verità da lui approfondita e comunicata è la verità rivelata e quindi più di ogni altra parte della verità primordiale, che è Dio stesso. Il predicatore del vangelo ... non tradisce né dissimula mai la verità per piacere agli uomini, per stupire o sbalordire, né per originalità o desiderio di mettersi in mostra. Egli non rifiuta la verità; non offusca la verità rivelata per pigrizia nel ricercarla, per comodità o per paura. Non trascura di studiarla; la serve generosamente senza asservirla"(EN 78).

L'enciclica "Veritatis Splendor", inizia con queste parole, che indicano la strada del processo verso la verità: " Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26); la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore".

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Quest'apertura alla verità, come punto basilare della spiritualità missionaria, è atteggiamento di "contemplazione", cioèe, di "vedere" Cristo nascosto in ogni aspetto della verità creata e rivelata: Scoprendo Cristo, "Parola definitiva" del Padre (TMA 5), si scopre ogni preparazione per questa piena rivelazione. In effetti, "Cristo è il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo" (TMA 6).

In questo senso, si può affermare che "il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile" (RMi 91). In realtà, l'atteggiamento contemplativo lo fa diventare "testimone dell'esperienza di Dio", somma verità, rivelata in Cristo (cfr ibidem). Aprirsi alla verità è un primo passo per testimoniare la verità. Però la spiritualità missionaria si concretizza veramente nell'autenticità della vita. "L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione" (RMi 42). Nel contesto del servizio alla verità, Paolo VI desidera dei "missionari autentici", da essere in grado di poter rispondere alle domande della società odierna.

Da qui proviene l'importanza della testimonianza assieme all'annunzio evangelico, poiché allora si segue l'esempio di Cristo che "fece e insegnò" (At 1,1). In questo modo "mettiamo in pratica la verità" (lGv 1,6). "Come sempre nella storia cristiana, i "martiri", cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo ... Sono essi gli annunciatori ed i testimoni per eccellenza" (RMi 45).

L'atteggiamento di dare la vita, in unione al sacrificio di Cristo, è la suprema testimonianza della fede e dell'amore (cfr LG 42). Questa testimonianza va accompagnata dal perdono (cfr At 7,60): è testimonianza di martirio che accompagna sempre la vita della Chiesa ed è segno della sua santità (cfr VS 90-93). Il martirio è nota permanente della missionarietà della Chiesa, che si trova sempre "in stato di persecuzione" (DeV 60). Il martire si rende testimone della presenza dello Spirito della verità.

Con la testimonianza del martirio si rende omaggio alla verità su Dio Amore e su Cristo suo Figlio morto e risorto, (col dono della propria vita per amore); alla verità sull'uomo (con la difesa della dignità della coscienza e della libertà umana); alla verità sul mondo (proclamando la speranza in un cielo nuovo e in una terra nuova).

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La spiritualità missionaria si concretizza necessariamente nell'annuncio della verità: "Il predicatore del vangelo sarà dunque colui che, anche a prezzo della rinuncia personale e della sofferenza, ricerca sempre la verità che deve trasmettere agli altri" (EN 78).

In realtà, "la fede nasce dall'annunzio, ed ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio" (RMi 44). Da qui procede la responsabilità dell'apostolo nel servire la verità tutta intera, per farla arrivare all'uomo concreto nella sua situazione sociale e culturale. "Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell'uomo e dei popoli che lo ricevono" (ibidem).

La spiritualità missionaria al servizio della verità, significa che l'annuncio "deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all'opera ed instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre" (RMi 44).

Questo atteggiamento spirituale e apostolico di servizio alla verità, in modo speciale per mezzo dell'annuncio, può essere qualificato come profetismo. Il "profeta" è il "veggente" (“nabì"), che parla a nome di Dio Salvatore per trasmettere un messaggio. È sempre un servitore di Dio e del suo popolo (cfr Am 3,7), "sedotto" dallo stesso Dio (Ger 20,7) e inviato con la forza dello Spirito (cfr Is 61,1).

La spiritualità missionaria, come servizio alla verità, si concretizza in questo atteggiamento profetico di annuncio, chiamata, denuncia, invito ad accogliere la salvezza in Cristo. L'apostolo trasmette la verità "a prezzo della rinuncia personale e della sofferenza" (EN 78). È il profetismo dell'annuncio, che "vuoi estrarre tutta la verità contenuta nelle Beatitudini" (RMi 60).

Le "vie della missione" si percorrono alla luce delle Beatitudini (cfr RMi 91). L'annuncio della verità evangelica viene accompagnato da una vita di "povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità" (ibidem), Per ciò, "vivendo le Beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra concretamente che il Regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto" (Ibidem).

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Estratto da: Martirio: Itinerario della Chiesa missionaria (Roma, Movimento Giovanile Missionario, 2000). Martirio: Itinerario de la Iglesia misionera (México, OMPE, 2002)

Il tema è stato sviluppato in ulteriori pubblicazioni dell’autore, con bibliografia aggiornata:

Dizionario dell'Evangelizzazione (Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2005). Voci: Martirio, Testimonianza, Verità.

Spiritualità missionaria come servizio alla verità, in: La missione senza confini, Ambiti della missione ad gentes (Roma, Missionari Oblati di Maria Immacolata, 2000) (Miscellanea in onore di R.P. Willi Henkel) 409-417.

Misionología. Evangelizar en un mundo global (Madrid, BAC, 2008), Cap.X, I, 6.

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(13)LA FIGURA MISSIONARIA DI SAN GIOVANNI D’AVILA, NUOVO DOTTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE

1.Cenni biografici nel contesto storico e socioculturale

Giovanni d'Avila è vissuto nell'incrocio culturale e religioso della prima metà del secolo XVI (1499-1569).. La sua persona e i suoi scritti sono legati al rinnovamento ecclesiale che ha luogo intorno a Trento, al risorgere della teologia e della mistica, al "rinascimento" e all'apertura della Chiesa a nuovi orizzonti geografici e culturali. La sua figura rispecchia le correnti culturali dell'epoca, anche se interpretate e purificate attraverso la luce del vangelo.

Nacque ad Almodóvar del Campo (Ciudad Real, Campo de Calatrava, Spagna) il 6 gennaio 1499 (o 1500), festa dell'Epifania. I suoi genitori erano Alfonso de Ávila, di origine ebraica, e Catalina Xixón. Era una famiglia benestante, proprietaria di miniere d'argento nella Sierra Morena (ad Almadén), che seppe dare al bambino una formazione cristiana fatta di amore al prossimo e di sacrificio. Giovanni rimase segnato da quella famiglia di cristiani recenti: "ce l’aveva nel sangue", da parte di padre. Questo gli avrebbe causato non pochi inconvenienti durante tutta la vita.

Dal 1513 al 1517 studiò diritto all'università di Salamanca. Non terminò gli studi, e si ritirò nella città natale, Almodóvar, fino al 1520. Consigliato da un religioso francescano, partì per studiare arte e teologia presso l'università di Alcalá (1520-1526), dove ebbe come maestro Domenico de Soto, e strinse buoni rapporti di amicizia con Don Pietro Guerrero, futuro arcivescovo di Granada. L'orientamento degli studi era tomista, scotista e nominalista.

Salamanca e Alcalá evocano le correnti culturali del secolo XVI, che si intersecano con la difficoltà di discernimento e che hanno, come sfondo, un umanesimo rinascentista ricco di sfaccettature: biblismo, riformismo, illuminismo, personalismo, quietismo, erasmismo...

Fu ordinato sacerdote nel 1526, quando erano già scomparsi i genitori, la cui memoria volle onorare celebrando la prima messa ad Almodóvar, distribuendo tutti i suoi beni ai poveri invitati alla festa. Nel 1527 si offrì come missionario al nuovo vescovo di Tlaxcala (Messico, Nuova Spagna), fra' Giuliano Garcés.

A Siviglia nell’attesa di imbarcarsi, si dedicò al ministero della predicazione per le strade e a quello della carità fra i poveri e i carcerati, conducendo una vita evangelica, vivendo con un santo sacerdote, Ferdinando de Contreras, suo compagno di studi ad Alcalá. L'arcivescovo di Siviglia, Don Alonso Manrique, su richiesta di Contreras e dopo aver

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personalmente verificato le qualità del nuovo sacerdote, lo obbligò a restare nel sud della Spagna.

Il ministero di Giovanni d'Avila si sviluppò soprattutto nella zona dell'Andalusia. A causa del radicalismo della sua predicazione e anche delle numerose conversioni, fu accusato da sacerdoti invidiosi e processato dall'Inquisizione fra il 1532 e il 1533 (il processo istruttorio era iniziato nel 1531). Rimase in carcere almeno per un anno intero. Non volle accusare i testimoni, per non denunciare le loro cattive intenzioni e le loro vite sregolate, ma preferì avere fiducia nella Provvidenza.

Quando, in un momento difficile del processo dell'Inquisizione, gli dissero che era "nelle mani di Dio", come ad insinuare la possibile condanna da parte del tribunale, Giovanni d'Avila rispose: "Non potrei essere in mani migliori". Nel frattempo, scrisse in carcere lo schema della sua opera principale: l'Audi, Filia. Alla fine fu assolto, ma con la penitenza di dover chiarire nelle sue prediche alcune frasi per le quali era stato accusato. Doveva predicare, secondo la sentenza del tribunale, per chiarire malintesi, soprattutto ad Écija, Alcalá de Guadaira e Lebrija.

Dopo queste prime esperienze e difficoltà apostoliche, Giovanni d'Avila si trasferì a Cordova (1535), ivi chiamato dal vescovo fra' Giovanni Álvarez de Toledo. Sarebbe diventata la sua residenza preferita fino al 1555. Lì conobbe fra' Luigi di Granada, con il quale sarebbe rimasto molto legato spiritualmente, e anche il nuovo vescovo di Cordova, Don Cristoforo de Rojas, al quale in seguito avrebbe indirizzato le "Advertencias al Concilio de Toledo". Cordova si può definire la diocesi di Giovanni d'Avila, forse già dal 1535. Di fatto ricevette lì la modesta rendita di Santaella, che cedette nel 1540 per opere educative. Lì realizzò per anni una grande opera di predicazione per i paesi, soprattutto a Montilla, e di attenzione per i sacerdoti, con la creazione del Colegio de San Pelagio, che sarebbe diventato poi il Seminario, e il Colegio de la Asunción. Le sue lezioni su San Paolo, indirizzate al clero e ai fedeli, diventarono famose.

Da Cordova organizzò le missioni popolari attraverso il sud della Spagna, soprattutto in Andalusia, Estremadura, parte della Mancia e della Sierra Morena. Nel Castello vecchio di Cordova riuniva circa venticinque discepoli, che si dedicavano alla vita evangelica e alla predicazione nelle province vicine. Così iniziò quella che si potrebbe chiamare "scuola" o raggruppamento di discepoli, che non avevano un vero e proprio statuto, né una particolare organizzazione.

I suoi viaggi missionari di predicatore dentro e fuori dalla diocesi si collocano fra il 1536 e il 1554: Granada (1536ss), Cordova (1537 e 1541), Baeza (1539), Jerez (1541), Siviglia, Baeza e Montilla (1545), Zafra (1546), Fregenal de la Sierra (1547), Priego (1552) ed altri luoghi. Fra il 1550 e il 1552 ci sono dati che riportano quattro "invenzioni" del Maestro per estrarre acqua dal sottosuolo.

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A Granada il Maestro Avila era già stato chiamato nel 1536, dall'arcivescovo Gaspare di Ávalos, per realizzare un'intensa predicazione; gli fu anche offerto un canonicato che non volle accettare. Ivi fu strumento della grazia per il cambiamento di vita di San Giovanni di Dio (Juan Cidad) che sarebbe diventato suo figlio spirituale e che il Maestro avrebbe aiutato nella sua opera ospedaliera. Ivi conobbe anche quello che sarebbe diventato il suo discepolo prediletto, Diego Pérez de Valdivia, e conquistò, attraverso la predicazione, un altro dei suoi migliori discepoli, Bernardino de Carleval, rettore del Colegio Real.

Sempre a Granada, in occasione della predicazione per le onoranze funebri dell'imperatrice Isabella (1539), inizia il rapporto spirituale con San Francesco Borgia, -futuro successore di Sant'Ignazio- Marchese di Lombay, Duca di Gandía. Giovanni d'Avila era solito chiamare Granada "la mia Granada". Lì, a quanto pare, poté anche approfondire i suoi studi di teologia all'università -forse da qui gli viene il titolo di Maestro, già dal 1538-, anche se è possibile che lo abbia fatto durante il suo precedente soggiorno a Siviglia. Il Capitolo della cattedrale di Granada affidò al "Maestro Avila" il sermone della bolla della crociata il giorno 3 marzo del 1538, secondo gli atti del 1 marzo. Nel 1542 tenne, sempre a Granada, un famoso sermone del Corpus Cristi, dopo una forte esperienza di preghiera, quando il Signore, comparendogli caduto sotto il peso della croce mentre Giovanni si ritirava alla Certosa, gli disse: "Così mi riducono gli uomini". Da allora non smise mai di predicare nella festa del Corpus Domini. Sono datate da Granada le prime lettere che conosciamo di lui (dal 1538).

Le sue visite missionarie lasciavano traccia di vita evangelica. Si dedicava anche a lunghe ore di confessionale, visite agli infermi e catechismo ai bambini. Alloggiava in case povere, evitando gli inviti a soggiornare nei palazzi. A Zafra (1546), dove nuovamente incontrò San Giovanni di Dio e San Pietro di Alcántara, non volle alloggiare in casa dei suoi amici, i conti di Feria.

Quest'opera apostolica, svolta in collaborazione con i suoi numerosi discepoli, ebbe la sua realizzazione pratica in istituzioni educative e universitarie di ampia portata, oltre che a convitti per sacerdoti. Furono aperti tre Seminari Maggiori per universitari (Baeza, Jerez, Córdoba), undici Seminari Minori (Baeza, Úbeda, Beas, Huelma, Cazorla, Andújar, Priego, Sevilla, Jerez, Cádiz, Écija), tre convitti per chierici (Granada, Córdoba ed Evora in Portogallo, con l'appoggio del suo discepolo Diego de Santa Cruz e del Cardinale infante Don Enrico).

Fu famosa l'università di Baeza (in provincia di Jaén) dove Giovanni d'Avila si recò nel 1539 per fare riconciliare, per mezzo della sua predicazione, dei gruppi che si scontravano con lotte anche sanguinose. Il Colegio Mayor (universitario) fu fondato nel 1538 e Paolo II ne nominò Giovanni d'Avila copatrono. Fu trasformato in università nel 1542. I

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chierici formati a Baeza, secondo Luigi Muñoz, biografo di Giovanni d'Avila, godevano "in tutta la Spagna" fama di avere una buona formazione. Bernardino de Carleval e Diego Pérez de Valdivia, discepoli del Maestro Avila, ne furono i principali direttori, dando esempio di vita evangelica e di dedicazione allo studio e alla predicazione. Le difficoltà e le persecuzioni servirono a imprimere all'opera l'immagine feconda della croce.

Giovanni cominciò ad ammalarsi nel 1551, sicuramente a causa della sua totale dedizione a un ministero duro e logorante. Per questo motivo decise di fermarsi a Montilla per quindici anni, dal 1554 fino alla sua morte, nel 1569. Non accettò l'offerta di vivere nel palazzo della marchesa di Priego, e alloggiò invece in una casa della calle de la Paz, dove trascorse il resto della vita in un'atmosfera di preghiera, studio e penitenza, senza smettere di predicare, finché le forze glielo permisero. A Montilla predicava ai chierici e ai novizi gesuiti, e si dedicava alla confessione, alla direzione spirituale, all'epistolario e a scritti di rinnovamento ecclesiale: la redazione definitiva dell’ Audi Filia, dei Sermoni e dei Trattati, i Memoriali per il Concilio di Trento, le Advertencias para el Concilio de Toledo. Durante questo soggiorno a Montilla, già malato, firma le lettere indirizzate a Sant'Ignazio, che lo aveva invitato a entrare nella Compagnia di Gesù.

La vita sacerdotale di Giovanni d'Avila aveva come centro l'Eucaristia, da cui imparava la fedeltà alla Parola di Dio per contemplarla, viverla e predicarla; la dedicazione assoluta alla carità pastorale; la fedeltà radicale al vangelo secondo lo stile del Buon Pastore e l'amore ai fratelli sacerdoti, occupandosi della loro formazione secondo le indicazioni della Chiesa. I suoi amori fondamentali erano l'Eucaristia -Cristo crocifisso-, lo Spirito Santo e Maria. Questi sono i temi principali dei suoi sermoni, impostati sempre in rapporto con il tempo liturgico. Servì sempre la Chiesa attraverso il cammino della croce senza aspettarsi alcuna ricompensa e, secondo il suo biografo Muñoz, rinunciò alle diocesi di Segovia e Granada, come pure al cappello cardinalizio offertogli da Paolo III56.

Vogliamo ora ricordare alcune date che si riferiscono ai suoi scritti, in rapporto con i luoghi che abbiamo già indicato. L'opera Audi Filia fu iniziata fra il 1531 e il 1533 -gli anni del processo della Inquisizione- e redatta in manoscritto verso il 1536, per Donna Sancha Carrillo. La prima edizione è del 1556, pubblicata senza autorizzazione dell'autore. Il testo definitivo fu preparato dal Maestro a Montilla (1564) e sarebbe stato pubblicato postumo (1574). La prefazione alla Imitazione di Cristo fu pubblicata a Siviglia nel 1536; in seguito sarebbe stato pubblicata anche nel 1550 a Baeza. Le prime lettere di cui si ha notizia sono datate Granada, 1538. Le Lecciones sobre Gálatas [Lezioni sulla Lettera ai Galati] furono

56 Cfr. L. MUÑOZ, Vida, lib. 3º cap. 4.

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dettate a Cordova, prima del 1537. Le Lecciones sobre la primera carta de San Juan [Lezioni sulla Prima Lettera di San Giovanni] furono illustrate nel convento di Santa Catalina di Zafra (1546 o 1549). Il catechismo o Dotrina fu pubblicato a Valenza nel 1554. I Memoriali furono scritti a Montilla (1551 e 1561). Le Avvertenze al Concilio di Toledo, anch'esse scritte a Montilla, sono del 1565-1566. Fra i suoi scritti i Sermoni e l'Epistolario furono composti durante tutto il periodo della sua vita sacerdotale. Possiamo anche citare altri scritti molto interessanti: Avisos, Reglas, Meditación sobre el beneficio de Cristo, [Consigli, Regole, Meditazione sui benefici, grazie, di Cristo] ec. Il Trattato dell'amore di Dio è una sintesi sull'interiorità -il cuore- di Cristo. Il Tratado sobre el sacerdocio [Tratato sul sacerdocio] è un riassunto schematico di argomenti sacerdotali. Il Reglamento de las misiones [Regolamento delle missioni] contiene due sermoni sulla dottrina cristiana e presenta regole pratiche per la predicazione.

I suoi ultimi anni passati a Montilla (1554-1569) lasciarono un'impronta indelebile in quella città, nella comunità ecclesiale e, in modo particolare, fra i chierici e i novizi gesuiti. Durante quegli anni si rivolse a lui Santa Teresa di Gesù, che gli inviò la sua autobiografia. La risposta sapiente del santo Maestro si trova nell'epistolario.

Gli ultimi giorni della malattia furono molto dolorosi, con il regalo del "vino generoso con cui Dio fa omaggio ai suoi amici", secondo quanto da lui stesso affermato. Pregava così: "Signora, cresca il dolore e cresca l'amore, che è mio piacere soffrire per voi". Chiedeva l'Eucaristia con queste parole: "Datemi il mio Signore, datemi il mio Signore". I suoi discepoli e amici, soprattutto i padri gesuiti, lo accompagnarono senza sosta. Recitava la preghiera mariana: Recordare, Virgo Mater con altre giaculatorie, come invocazioni dei nomi di Gesù, Maria, Giuseppe, e, dopo aver ricevuto gli oli santi ancora cosciente, spirò, con lo sguardo al crocifisso, il 10 maggio 1569. Rispettando il suo desiderio, fu sepolto nella Chiesa della Compagnia di Gesù, a Montilla. L'epitaffio scritto sul suo sepolcro riassume il suo carisma: "Messor eram": sono stato un mietitore.

Santa Teresa, colpita dalla notizia della morte, esclamò: "Piango perché la Chiesa perde un grande pilastro". Fra' Luigi de Granada scrisse la prima biografia nel 1588. Nel 1623 furono iniziati i lavori per il processo di beatificazione da parte della Congregazione di San Pietro Apostolo, composta da sacerdoti originari di Madrid. Luigi Muñoz, dottore, scrisse la seconda biografia nel 1635. Leone XIII lo beatificò il 4 aprile 1894. Fu dichiarato Patrono del Clero secolare spagnolo da Pio XII il 2 luglio 1946. Paolo VI lo canonizzò il 31 maggio del 1970. La Conferenza Episcopale Spagnola presentò ai competenti Dicasteri della Santa Sede la

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documentazione necessaria per chiedere che venga proclamato Dottore della Chiesa57.

2.Fisionomia spirituale e missionaria

Nel suo discorso durante l'udienza concessa a seguito della canonizzazione, Paolo VI così riassumeva la figura e l'ambiente del santo in quell'epoca: "La figura di San Giovanni d'Avila ora emerge con una finalità che potremmo definire quasi profetica... per indicarci un modello… seppe assimilare con spirito di Chiesa le nuove correnti umaniste; seppe reagire con immediata certezza di fronte ai problemi del sacerdote, sentendo la necessità di purificarsi, di riformarsi per riprendere il cammino con nuove energie"58.

Gli aspetti principali della sua figura si possono riassumere in tre punti fondamentali: profeta, liturgista e pastore e tutto questo è sintetizzato nell’epitaffio citato con due parole: "messor eram", sono stato un mietitore, che riflettono il suo ministero profetico di predicatore, catechista ed educatore. Questa pratica ministeriale deve poi essere integrata con un altro elemento caratteristico: la direzione o consiglio spirituale.

La fedeltà al vangelo, imitando il Buon Pastore, secondo lo stile degli Apostoli e, in modo particolare, secondo la figura di Paolo, si realizzava in lui in una direttrice contemplativa -ricevere la Parola-, eucaristica e mariana, per arrivare poi agli aspetti più concreti della carità pastorale: i poveri, gli ammalati, i tormentati, la gioventù, la famiglia… La riforma ecclesiale che propugna parte, quindi, dalla riforma stessa, nella ricerca del rinnovamento delle diversi gradi della gerarchia ecclesiale.

La sua disponibilità missionaria –come già detto- rimase segnata dall'offerta di evangelizzare il Nuovo Mondo, quando chiese di partire come missionario al primo vescovo di quelle terre, fra' Giuliano Garcés. Non potendo realizzare tale desiderio, si dedicò totalmente al ministero in svariati campi dell'apostolato: la predicazione e la catechesi, i sacramenti e la vita liturgica, opere di misericordia, educazione, direzione e orientamento spirituale, sempre con lo sguardo rivolto verso gli orizzonti universali della Chiesa e verso tutte le situazioni sociologiche e culturali. Nella vita e nella predicazione era il ritratto della figura apostolica di Paolo.

Una delle caratteristiche salienti era quella di catechista ed educatore. Era un direttore spirituale molto conosciuto e consultato dai suoi contemporanei. La sua guida si traduceva in consigli sempre adatti e di applicazione concreta per ogni persona, nel cammino della vocazione, della

57 Benedetto XVI lo proclamò Dottore della Chiesa universale, 11 ottobre 2012. Vedi Lettera Apostolica San Giovanni d’Avila, sacerdote diocesano, è proclamato Dottore della Chiesa universale (7 ottobre 2012).

58 PAOLO VI, Disc. 1 giugno 1970, Insegnamenti VIII/1970, 570.

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preghiera-contemplazione, la perfezione, la vita fraterna e l'apostolato. Si rivolgevano a lui persone di ogni classe sociale, gente semplice ed intellettuali, della gerarchia ecclesiastica, religiosa o sacerdotale, vescovi e autorità civili.

La sua vita apostolica era soprattutto eucaristica. Era un innamorato dell'Eucaristia: celebrata, adorata, vissuta, predicata. Tradusse in spagnolo in versione poetica il Pange lingua e il Sacris Solemnis. Si conservano ventisette sermoni dedicati interamente all'Eucaristia. La sua vita spirituale era profondamente mariana. I sermoni dedicati direttamente a Maria (Sermoni 60-72) sono stati chiamati, a volte, "libro della Vergine". Il Maestro Avila è un innamorato di Cristo. Lo contempla nella Parola, lo celebra nell'Eucaristia e nei sacramenti, lo annuncia attraverso la predicazione e la catechesi, lo vive con le sue esigenze evangeliche e lo trasmette perché sia vissuto secondo le beatitudini e il comandamento dell'amore.

Il Maestro San Giovanni d'Avila, oltre a un chiarissimo esempio di santità, offre una dottrina eminente che ha avuto un influsso duraturo in tutta la Chiesa. In poche figure della storia ecclesiale si potrà trovare un'esposizione così completa di tutta la dottrina cristiana come in San Giovanni d'Avila. Non c'è nessun tema cristiano fondamentale in cui il Maestro non possa dire qualcosa in modo chiaro, profondo e spesso originale. Questa dottrina ebbe un'influenza su molti personaggi e scritti contemporanei e posteriori.

3.Influsso sulle figure, santi e scrittori del suo tempo

Sono molte le figure di spicco che ebbero rapporto e grande apprezzamento per San Giovanni d'Avila. Va dato opportuno risalto all'incontro provvidenziale con alcune grandi figure, che –di persona o per lettera- Giovanni d’Avila ebbe durante tutta la sua vita: il suo Maestro Domenico de Soto, 1520-1521 ad Alcalá; don Pietro Guerrero, condiscepolo ad Alcalá; fra' Giuliano Garcés, 1526 e 1527 a Siviglia; il Padre Ferdinando de Contreras, 1525 ad Alcalá e dal 1526 a Siviglia; fra' Luigi de Granada, 1535 a Cordova; San Giovanni di Dio, 1537 a Granada; San Francesco Borgia, 1539 a Granada; San Giovanni de Ribera, per lettera negli anni 1562 e seguenti quando era vescovo di Badajoz; San Pietro di Alcántara, 1546 a Zafra; di nuovo Don Pietro Guerrero, dagli anni di Alcalá e a Granada dal 1546; Sant'Ignazio di Loyola, per lettera nel 1549 da Montilla, e Santa Teresa del Gesù, lettere del 1568.

Il domenicano fra' Luigi di Granada fu uno dei migliori amici e discepoli del Maestro Avila. Sarebbe diventato il suo primo biografo e il grande diffusore della sua dottrina e dei suoi scritti. Nella sua Guía de

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pecadores [Guida di peccatori], Lisbona 1556, fra' Luigi pubblicò una parte dell' Audi Filia, ancora non pubblicato dal Maestro. Era un lettore assiduo delle lettere del Maestro: "Ora il mio libro di tutti i giorni, che mi leggono di sera quando ceno, è l'epistolario del Padre d'Avila". Santa Teresa riconosceva di essere in debito, spiritualmente, con i suoi scritti59. Gli scritti del Padre Granada hanno avuto un'influenza universale.

San Giovanni di Dio (Juan Cidad) cambiò vita ascoltando un sermone di San Giovanni d'Avila, pronunciato a Granada, nell'eremo dei martiri, il giorno di San Sebastiano (20 gennaio del 1537). Il Maestro Avila e l'arcivescovo Pietro Guerrero lo aiutarono a fondare un ospedale a Granada. Lo stesso Maestro Avila, che era suo direttore spirituale, chiese l'elemosina per questo fine di carità. Le sue lettere (n. 45-46 e 141) sono la testimonianza della direzione spirituale da parte del Maestro e ne restituiscono l’immagine di un santo della carità.

Il rapporto del Maestro Avila con San Giovanni de Ribera quando questi era vescovo di Badajoz risulta dall’epistolario. L'influenza che ebbe su di lui il Maestro Avila fu molto grande, fin dai tempi di studente e professore a Salamanca (1544-1561), dove aveva sentito il suo amico Antonio Fernández de Córdoba, figlio dei marchesi di Priego, parlare con entusiasmo del Maestro. Anche se le lettere di quel periodo non sono conservate, sembra ci fosse stato uno scambio epistolare imperniato su una direzione spirituale. Chiese a lui consiglio se accettare o no la carica di vescovo di Badajoz. Una volta preso possesso della diocesi, il Maestro gli mandò alcuni discepoli perché li inviasse in missione per i paesi che la componevano. Già arcivescovo di Valencia, conservava i sermoni manoscritti del Maestro, con propri commenti al margine. Come vescovo di Badajoz, San Giovanni de Ribera poté forse avere una qualche influenza, attraverso gli scritti del Maestro Avila, sul Sinodo di Santiago de Compostela, e in seguito anche sui sinodi di Valencia.

Il Maestro Avila, ormai residente a Montilla e malato, collaborò con il suo amico Don Pietro Guerrero, arcivescovo di Granada, scrivendogli diverse lettere di contenuto pastorale, la prima è del 1547, e mandandogli i Memoriali per il concilio di Trento (1551 e 1561). L'arcivescovo avrebbe voluto portarlo con sé al Concilio. Giovanni d'Avila continuò a collaborare, in seguito, all'applicazione delle norme conciliari. Le Advertencias che il Maestro Avila aveva composto per il sinodo di Toledo servirono anche per il concilio provinciale di Granada; l'arcivescovo le aveva chieste al santo Maestro e questi gliele fece avere60.

Lo stretto rapporto che univa il Maestro Avila con la Compagnia di Gesù si tradusse in termini pratici anche in una grande stima da parte di Sant'Ignazio di Loyola. Quando il santo fondatore si era già stabilito a

59 SANTA TERESA DI GESÙ, Lettera 89; Fondazioni 28,41; Costituzioni 89,1.60 Cfr. Lettere 243-244, anno 1565.

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Roma, il Maestro Avila era in piena attività di missioni popolari e creazione di centri educativi, e aveva stretto buoni rapporti con Francesco Borgia -futuro successore di Sant'Ignazio -allora Marchese di Lombay e Duca di Gandía, in occasione delle onoranze funebri per l'imperatrice Isabella (Granada, 1539). Un numero considerevole di discepoli del Maestro Avila, una trentina, passarono alla Compagnia. Durante il suo ritiro a Montilla, il Maestro tenne delle conferenze ai Padri e ai novizi gesuiti. L'epistolario tra Ignazio di Loyola e San Giovanni d'Avila lascia intravedere una grande devozione reciproca.

Il Maestro non ebbe la fortuna di conoscere personalmente Santa Teresa di Gesù. Tuttavia tra loro, ci fu un incontro epistolare di grandissima importanza per la mistica spagnola. La richiesta al Maestro di un parere sulle sue esperienze, come pure la risposta, sono del 1568, un anno prima della morte del Maestro. Le due lettere del Maestro, 2 aprile e 12 settembre del 1568, scritte a Montilla, lodano il modo di operare della santa pellegrina -i suoi viaggi delle fondazioni- e le danno un'orientamento sicuro sulle sue esperienze mistiche, con la promessa di inviarle altri commenti più approfonditi in seguito. Il Maestro fu convinto dalla linea dell'amore e di umiltà degli scritti della santa.

Discepolo prediletto di San Giovanni d'Avila fu Diego Pérez de Valdivia, scrittore di temi spirituali. Seguendo il consiglio del Maestro, egli rinunciò alla carica di predicatore di Filippo II e a tutte le altre cariche, per vivere secondo il vangelo e per "andare alla terra degli infedeli a predicare il vangelo, con potente desiderio di essere martire"61. Con questa determinazione si diresse a Valencia, dove strinse rapporti con San Giovanni de Ribera e San Luigi Beltrán. L'impossibilità di imbarcarsi lo portò a Barcellona. Pur essendo professore all'università e predicatore, visse poveramente e in comunità con altri chierici, favorì la riforma carmelitana, come emerge dalle lettere al Padre Gracián. I suoi sono gli scritti di un grande maestro di spiritualità, che apre cammini di contemplazione e perfezione, stimola la lettura e lo studio della Scrittura e promuove la spiritualità mariana.

Queste figure che abbiamo appena delineato e molte altre che potremmo citare, tutte in contatto con il Maestro Avila, appartengono a diverse scuole e famiglie sacerdotali o religiose: erano domenicani Domenico de Soto, Giuliano Garcés, Luigi de Granada; francescani Francesco de Osuna, Pietro de Alcántara; carmelitani Teresa di Gesù, Giovanni della Croce; gesuiti Ignazio di Loyola, Francesco Borgia; trinitari Battista della Concezione; ospedalieri San Giovanni di Dio; diocesani o secolari Ferdinando de Contreras, Giovanni de Ribera, Pietro Guerrero, Diego Pérez de Valdivia. A questa lista si potrebbero aggiungere molti dei

61 L. MUÑOZ, Vida, lib. 2º, cap. 12.

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suoi discepoli o anche altre persone delle famiglie religiose o sacerdotali menzionate, alcune delle quali compaiono nell'epistolario del Maestro.

La Compagnia di Gesù si trova al primo posto, almeno, per quanto riguarda il numero dei gesuiti che provenivano dai discepoli del Maestro Avila -una trentina- e soprattutto, per le grandi lodi che Sant'Ignazio di Loyola gli tributava. La stima che provavano nei riguardi del Maestro, sia Sant'Ignazio che San Francesco Borgia, si tradusse nel apprezzamento e la divulgazione dei suoi scritti e della sua fama di santità. I gesuiti che avevano conosciuto il Maestro fecero altrettanto: Nadal, Laínez, Araoz, Estrada, Plaza, Francesco di Toledo, ec. Alcuni lo avevano ascoltato nelle conferenze tenute a Montilla. Ma furono soprattutto i discepoli che entrarono nella Compagnia a divulgare la figura del Maestro: Cristoforo de Mendoza, il primo discepolo che entrò nella Compagnia, ammesso da Sant'Ignazio a Roma, nel 1546; Diego de Guzmán, figlio del conte di Bailén; Antonio de Córdoba, figlio della marchesa di Priego; Gaspare Loarte, convertito e grande catechista e predicatore; Francesco Gómez, teologo e canonista, che lo aiutò nella redazione delle Advertencias para el concilio de Toledo; Diego de Santa Cruz che, inviato dal Maestro in Portogallo, entrò nella Compagnia; Alonso de Barzana, missionario e catechista in Perù; Gaspare Pereira, che lo assistette negli ultimi momenti e partì come frate gesuita in Perù, ec. Gli scritti catechistici del Maestro furono divulgati principalmente dai gesuiti (Roma, Messina, Firenze…). Il Padre Giovanni de la Plaza avrebbe poi portato in Messico l’eredità del Maestro, soprattutto per quanto riguarda i sermoni o le conferenze che aveva da lui ricevuto quando si trovava a Montilla e a Córdoba e predicava al clero.

Il rapporto con l'Ordine carmelitano riformato fu di somma importanza per la mistica spagnola e per garantire l'autenticità delle grazie ricevute da Santa Teresa di Gesù. Alcuni discepoli del Maestro diventarono carmelitani scalzi, soprattutto a Baeza e La Peñuela. La stima di Santa Teresa per il Maestro Avila influì sulla divulgazione della sua vita e dei suoi scritti.

4.Influsso sul concilio di Trento e sulla sua applicazione

Le persone che, quali strumenti della Provvidenza, resero possibile al Maestro Avila di far sentire la propria influenza a Trento, furono Don Pietro Guerrero, arcivescovo di Granada, che portava i "Memoriali"; Don Cristoforo de Rojas, vescovo di Córdoba, e fra' Bartolomeo de los Mártires, arcivescovo di Braga. Fra i padri conciliari diventarono famose le "carte" di Don Pietro Guerrero. L'influenza del Maestro Ávila si può constatare nei seguenti temi: figura e residenza dei vescovi, catechesi, matrimoni clandestini e, soprattutto, la formazione sacerdotale nei Seminari.

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Nella terza fase, alla ventitreesima sessione (15 luglio 1563) si trova il canone 18 di riforma che si riferisce alla creazione dei Seminari. La dottrina di questa sessione tratta della cura pastorale, basata sulla conoscenza delle pecore e la dedizione dei pastori ai ministeri della parola, i sacramenti e la carità, sempre accompagnato dalla testimonianza della propria vita. Il testo conciliare ha molte espressioni simili alla dottrina del Maestro Avila. Il decreto sui Seminari riflette infatti tutta questa dottrina conciliare e del Maestro, soprattutto quando tratta della formazione teologica, pastorale e spirituale che in essi deve essere impartita62.

All'influenza che il Maestro Avila ebbe su Trento fece riferimento Paolo VI durante l'omelia della canonizzazione il 31 maggio 1970: "Non poté parteciparvi personalmente a causa della sua precaria salute; ma è suo un Memoriale, ben conosciuto, dal titolo Riforma dello stato ecclesiastico del 1551, seguito da un'appendice: Lo que se debe avisar a los Obispos, che l'Arcivescovo di Granada, Pietro Guerrero, farà suo nel Concilio di Trento, con generale plauso". Il Papa arriva a questa conclusione: "Il concilio di Trento ha adottato decisioni che lui aveva anticipato molto tempo prima"63.

L'influsso sul Concilio di Toledo e su altri concili provinciali, avvenne soprattutto per mezzo delle Avvertenze al concilio di Toledo. Questo concilio provinciale fu celebrato negli anni 1565-1566, allo scopo di applicare i decreti tridentini e in esso vennero trattate le questioni proposte dal Maestro Avila nelle Avvertenze, preparate con la collaborazione del discepolo teologo e canonista Padre Francesco Gómez. Si tratta soprattutto di questioni di riforma pastorale e spirituale dei vescovi, dei sacerdoti e dei laici.

Dalle lettere del Maestro a Don Pietro Guerrero (nn. 243-244) sappiamo che il testo delle Avvertenze servì anche per il concilio provinciale di Granada. Lo stesso testo poté forse essere utilizzato per altri concili spagnoli e latino-americani, come dimostrato dalla Positio per la canonizzazione64.

Attraverso San Giovanni de Ribera, allora vescovo di Badajoz, che vi partecipò, l'influenza del Maestro si fece forse sentire nel concilio provinciale di Santiago de Compostela (1565-1566), come pure nel concilio di Valencia (1565), presieduto dall'arcivescovo Don Martino de Ayala, che era stato a Trento e conosceva gli scritti del Maestro.

Il terzo concilio di Lima (1582-1583), presieduto da San Turibio di Mongrovejo, desunse alcuni orientamenti dagli atti dei concili di Toledo e

62 Sessione 23, canone 18 di riforma, Concilium Tridentinum, IX, 628-630.63 Insegnamenti VIII/1970, 56664 S.C. PRO CAUSIS SANCTORUM, Positio super canonizatione aequipolenti, Romae 1970, 424-436.

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di Granada. San Turibio di Mogrovejo era stato presidente della Cancelleria di Granada e si era portato a Lima gli scritti sulla riforma del Maestro Avila. L'influenza nel terzo concilio del Messico (1585) si può dedurre dal fatto che vengono citati parecchi testi dei concili di Toledo, Granada e Lima. Il Padre Plaza S.I., discepolo del Maestro Avila, era un consulente teologo del concilio, visitatore e provinciale in Messico dal 1580. L'influenza si nota soprattutto nei decreti sulla catechesi e sulla vita del clero65.

5.Influsso storico in autori e santi posteriori

L'influenza del Maestro Avila, scomparso nel 1569, fu e continua ad essere di vasta portata e si può riscontrare soprattutto in numerosi santi venuti dopo di lui, come pure in autori spirituali e scuole di spiritualità. Gli studi scientifici realizzati nel secolo XX, e che proseguono fino al terzo millennio, sono un indice di questa influenza magistrale.

Oltre ai santi contemporanei di San Giovanni d'Avila, che abbiamo ricordato in precedenza, Giovanni di Dio, Francesco Borgia, Ignazio di Loyola, Giovanni Battista della Concezione, Giovanni della Croce, Giovanni de Ribera, Teresa d'Avila, Tommaso de Villanueva..., sono molti e molto significativi i santi venuti dopo di lui, che sappiamo essere stati molto colpiti o influenzati dalla vita e dalla dottrina del Maestro: San Turibio di Mogrovejo, San Francesco di Sales, San Vincenzo de Paoli, Sant'Alfonso Maria de Liguori, Sant'Antonio Maria Claret, San Giovanni Maria Vianney (santo curato d'Ars), Beato Giuseppe Allamano, Beato Manuele Domenico Sol...

Sono molti e di grande statura gli altri autori spirituali che lo citano ampiamente. Oltre a fra' Luigi de Granada, che abbiamo citato in precedenza, si possono ricordare anche: Antonio de Molina, certosino; Diego de Estella, francescano; Bérulle, scuola francese, e i gesuiti Baldassarre Álvarez, Martino Gutiérrez, Antonio de Cordeses, Luigi de la Palma, Luigi de la Puente, Alonso Rodríguez, Pietro Rivadeneira. Il Padre Alonso Rodríguez –molto famoso all’epoca- cita il Maestro Avila più di trenta volte nella sua opera Ejercicio de perfección y virtudes cristianas [Esercizio di perfezione e virtù cristiane]. Il Padre Pietro Rivadeneira, nel suo Tratado de la tribulación [Trattato della tribolazione], dà un’indicazione precisa prendendo di peso tutto il capitolo 22 dal Trattato dell'amore di Dio di San Giovanni d'Avila66.

Abbiamo prova dell'influenza del Maestro in tutti i periodi successivi anche attraverso grandi autori che sono ancora oggi di attualità, i quali

65 Vedere i testi paralleli in Positio super canonizatione aequipolenti, o.c., n. 4, 434-436.66 Cfr. S.C. PRO CAUSIS SANCTORUM, Positio super canonizatione aequipolenti,o. c. n. 4, 379-436,

“L'influenza…”.

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conoscevano la sua dottrina e lo citano. Ancora oggi la sua dottrina continua ad arrivare a tutti i livelli del popolo di Dio.

Attraverso il certosino di Burgos Antonio de Molina (1560-1619), molto letto fuori dalla Spagna e che cita abbondantemente la dottrina del Maestro Avila, questi ha potuto influire anche su grandi figure internazionali della spiritualità. Nel suo trattato Instrucción de sacerdotes [Istruzione dei sacerdoti] il certosino di Burgos ha come obiettivo la formazione dei sacerdoti a partire dalla Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei santi e Dottori della Chiesa, ai quali ricorre per descrivere la dignità sacerdotale, la santità e le virtù specifiche, la celebrazione eucaristica, l'ufficio divino, il sacramento della penitenza, ecc. Il testo ebbe molte edizioni e fu tradotto in diverse lingue, diventando libro preferito di molti sacerdoti. Cita con frequenza il Maestro Avila, soprattutto nei contenuti delle conferenze sacerdotali, e trascrive anche letteralmente la sua dottrina senza citarlo. Parlando della preghiera, cita esplicitamente il Maestro e dice di lui: "Santo e venerabile uomo... persona di grande perfezione, e di altissimo spirito, e di rara saggezza… uomo santo e apostolico, che con l'altissimo spirito che ebbe, e la grande luce con cui lo illuminò lo Spirito Santo, si rese conto di quanto è importante e necessario per i sacerdoti essere fedeli allo spirito della preghiera"67.

Pur riconoscendo l'originalità della scuola francese, soprattutto per la sua dimensione cristologica -sull'Incarnazione- e per le sue radici patristiche, non si può negare l'influenza indiretta che ebbe in essa il Maestro Avila, così come la ebbe Santa Teresa attraverso il Carmelo teresiano. La scuola francese conobbe e usò il trattato di Antonio de Molina, così come poté apprezzare gli scritti e la figura di San Giovanni d'Avila. Padre Pourrat ammette un certo rapporto di dipendenza con la dottrina del Maestro, nel trasmettere la testimonianza di Bourgoing su Bérulle: "Dio […] aveva già sparso il seme della riforma del clero in parecchie anime elette e in parecchi luoghi. E io mi ricordo di aver sentito dire al nostro onorabilissimo Padre (il Bérulle) che codesta riforma era stata l'unica méta propostasi dal Padre Giovanni di Avila, predicatore apostolico: aggiungendo poi che, se Giovanni di Avila fosse vissuto ai nostri giorni, egli sarebbe andato a buttarsi ai suoi piedi e lo avrebbe scelto a maestro e a direttore della sua opera riformatrice, poiché lo teneva in singolare venerazione"68.

Nel Trattato dell'amore di Dio San Francesco di Sales (1567-1622), Dottore della chiesa, parla del Maestro Avila come di "dotto e santo predicatore dell'Andalusia", e lo propone come modello di "tranquillità ed

67 Tratado 2, cap. 7.68 P. POURRAT, Il Sacerdozio secondo la dottrina della Scuola francese, Morcelliana, Brescia, 1932,

versione di don Tebaldo Pellizzari, p. 31; cfr. affermazione di Bourgoing nella prefazione alle OEuvres complètes di Bérulle, vol. I Parigi, 1855, p. VIII.

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umiltà impareggiabili"69; nella Introduzione alla vita devota, cita dei passaggi dall'Audi filia70 rimettendosi alla sua autorità spirituale. "Per quanto possa cercare, dice il Pio Avila, non conoscerà mai così sicuramente la volontà di Dio come per mezzo di questa umile obbedienza […]. Dice il Maestro Avila [riguardo al direttore spirituale] che se ne deve scegliere uno fra mille; e io dico uno fra dieci mila"71. San Francesco di Sales trasse ispirazione, per le sue riflessioni sull'amore di Dio, dalle Meditaciones di fra' Diego de Estella, il quale a sua volta cita abbondantemente il Maestro Avila.

Gli scritti di San Vincenzo de' Paoli (1581-1660) riflettono la dottrina sacerdotale di Antonio de Molina, anche le idee prese da san Giovanni d'Avila. Nel "Regolamento degli esercizi per gli ordinandi", San Vincenzo prescriveva la lettura giornaliera del trattato di Antonio de Molina nel refettorio.

Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), dottore della Chiesa, cita di frequente il Maestro Avila in diversi scritti spirituali: Le Glorie di Maria cita un sermone mariano del Maestro e l'Audi Filia; Visite al SS. Sacramento e a Maria SS. due volte, Selva di materie predicabili e istruttive 16 volte, Lettera ad un religioso amico, Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno e, soprattutto, Pratica di amar Gesù Cristo. In questo ultimo libro cita pagine intere del Trattato dell'amore di Dio, dell'Epistolario, dei Sermoni e dell'Audi Filia.

Il santo curato d'Ars, San Giovanni Battista Maria Vianney (1786-1859) possedeva e leggeva con frequenza le opere di San Giovanni d'Avila. Molte delle affermazioni del santo curato si ispiravano ai suoi scritti.

Fra le altre figure più vicine ai nostri giorni, che citano e raccomandano San Giovanni d'Avila, emerge Sant'Antonio Maria Claret (1807-1870). Qui non si tratta più solo di un'esposizione dottrinale che fa riferimento ad un altro autore, in questo caso infatti c'è un riferimento alla propria esperienza personale, ossia di chi è rimasto colpito dalla vita del Maestro come di predicatore e modello di zelo apostolico. Egli riconosce che nessun autore, fra i molti che aveva letto, lo avevano colpito e convinto tanto: "Il suo stile è quello che meglio mi si adattava, che ho fatto mio, e che più felici risultati ha dato. Gloria a Dio nostro Signore, che mi ha fatto conoscere gli scritti e le opere di quel gran maestro di predicatori e padre di

69 Da Introduzione alla vita devota. Trattato dell'amor di Dio di San Francesco di Sales, UTET, 1969, a cura di Francesco Marchisano. Il testo francese originale dice: “Ce docte et saint prédicateur d'Andalousie, Jean Avila, ayant dessain de dresser une compagnie de prêtres réformés pour le service de la glorie de Dieu, en quoi il avait déjà fait un grand progrès, lorsqu'il vit celle des Jésuites en campagne, qui lui sembla suffire pour cette saison-là, il arrêta court son dessain, avec une douceur et une humilité non pareille, Traité de l'Amour de Dieu, par Saint François de Sales, Paris, Maison de la Bonne Presse, 1925, vol. II, Lib. IX, cap. 6, p. 94.

70 Parte I, cap. 4 e parte II cap. 17.71 Introduzione alla vita devota, part. I, cap 4.

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buoni e zelantissimi sacerdoti"72. I biografi del Padre Claret affermano che il santo fondatore conservava le opere del Maestro Avila tutte commentate (edizione del 1759, in nove tomi) e che nel suo quaderno aveva anche annotato le lettere che lo avevano aiutato di più.

Nel campo missionario bisogna sottolineare la figura di un sacerdote diocesano di Torino, il Beato Giuseppe Allamano (1851-1926), fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, che proponeva spesso Giovanni d'Avila ai suoi missionari come modello di apostolo e di santo. Lo cita insieme ad altri grandi autori come autorità indiscutibile e lo indica soprattutto in rapporto con l'Eucaristia, con la ricerca della volontà di Dio e con la direzione spirituale73.

Molti formatori di futuri sacerdoti, come il Beato Manuele Domenico Sol (1836-1909) in Spagna e con influenza in altre nazioni, hanno invitato a leggere San Giovanni d'Avila vedendo in lui un Maestro di vita spirituale cristiana e sacerdotale.

6.Una figura che esercita ancora grande influsso spirituale e apostolico

La proclamazione di Giovanni d'Avila a Patrono del clero secolare spagnolo avvenne ad opera di Pio XII il 2 luglio del 1946 (Breve "Dilectus filius"). La richiesta era stata presentata dal Cardinale Parrado, arcivescovo di Granada, a nome dell'episcopato spagnolo. Tutto ciò avvenne in un momento in cui ancora Giovanni d'Avila non era stato canonizzato, ed ebbe quindi grande ripercussione sulla diffusione della sua figura e dei suoi scritti, soprattutto per opera dei Seminari e del clero spagnolo e latino-americano.

La canonizzazione di Giovanni d'Avila ebbe luogo durante il pontificato di Paolo VI, il 31 maggio del 1970. Nei discorsi pronunciati in occasione della canonizzazione il Papa delinea la figura di Giovanni d'Avila additandolo soprattutto come modello della santità e del ministero del sacerdote. Paolo VI volle così presentare un modello sacerdotale adatto ai tempi del post-concilio. In effetti si tratta di una figura o "tipo polivalente di un sacerdote qualsiasi dei nostri giorni" che, grazie alla sua santa vita e la sua disponibilità nel ministero, aiuta a superare i dubbi nati dalla "crisi di identità". Il Papa propone soprattutto: "la fermezza nella vera fede, l'amore autentico alla Chiesa, la santità del Clero, la fedeltà al Concilio, l'imitazione di Cristo, proprio come deve essere nei tempi nuovi"74. Nel discorso tenuto durante l'udienza del 1 giugno del 1970, dopo

72 Da S. ANTONIO MARIA CLARET, Autobiografia. Traduzione del P. Giuseppe Matteocci c.m.f., Missionari Clarettiani, Roma, 1991, pp. 103-104 numero 303.

73 I. TUBALDO, Giuseppe Allamano. Il suo tempo, la sua vita, la sua opera, Torino, Ediz. Miss. Consolata, 1982-1986.

74 Omelia della celebrazione della canonizzazione, 31 maggio del 1970, Insegnamenti VIII/1970, 562-567.

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la canonizzazione, il Papa riassumeva la figura "profetica" del Maestro con questa pennellata: "Una santità di vita affatto usuale, uno zelo apostolico senza limiti, una fedeltà senza inganni alla Chiesa"75.

In verità ci troviamo di fronte a un caso molto particolare. La sua dottrina è eminente e completa. La sua influenza è stata e continua ad essere di prim'ordine. Non si tratta tanto di sapere se oggi, a tutti i livelli del popolo di Dio, il Maestro è conosciuto e apprezzato, quanto piuttosto di constatare come i contenuti delle sue opere siano arrivati, attraverso citazioni esplicite, ai grandi maestri spirituali che sono venuti dopo di lui, e come ancora oggi se ne possono trovare i segni. Chi legge i nostri classici della spiritualità si disseta, senza saperlo, agli scritti del Maestro Avila. Pochi Dottori della Chiesa hanno avuto un'influenza così grande come la sua. I santi e gli autori che lo citano hanno influito e continuano ad influire sulla Chiesa universale.

Nel campo universitario attuale è molto frequente la presentazione di tesi e di studi di ricerca su temi riguardanti il Maestro Avila. La sua dottrina eminente e che esercita un’influenza permanente e universale si potrebbe riassumere in poche righe. Sono presenti temi di pressante attualità che trovano ampie trattazioni nei suoi scritti, naturalmente nella prospettiva del XVI secolo e di chi è uno dei tanti anelli di una storia di grazia e di riflessione teologica: la gloria di Dio e la bellezza della creazione (contemplazione); la salvezza in Cristo (unico Salvatore); l'esperienza di Cristo (per esempio, alla luce della dottrina paolina); il posto armonico che occupa Maria in ogni tema cristiano; la Chiesa sposa e madre; la vita spirituale alla luce del Cantico dei Cantici (sponsali) e dell'Apocalissi (Chiesa pellegrina-escatologica); la predicazione applicata a situazioni socio-culturali, ecc.

Vi sono altri temi di maggior respiro, come quelli che si riferiscono alla antropologia teologica e cristologica: il mistero di Dio Amore, rivelato da Cristo, che illumina il mistero dell'uomo. La pneumatologia, in relazione con la vita "spirituale" offre anche sfumature interessanti di tipo dogmatico, carismatico, attivo e contemplativo.

La cristologia del Maestro Avila, con una forte base biblica (paolina), patristica e teologica, si presta ad un "inserimento" della Parola nelle circostanze umane sociologiche e culturali. Si tratta di una cristologia esistenziale e funzionale (salvifica e storica), relazionale (contemplativa) e pastorale (di annuncio e di celebrazione). La nota caratteristica di questa cristologia consiste nell'essere una chiamata all'incontro con Cristo e alla fedeltà al vangelo.

L'ecclesiologia del Maestro Avila, pur conservando tutte le note essenziali di unità, di santità, cattolicità e apostolicità, è un invito a vivere le nozze con Cristo e la fertilità materna e missionaria, con una forte

75 Ibidem, 571, pp. 568-571.

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tendenza verso l'incontro definitivo Chiesa pellegrina o escatologica. Si tratta di un'ecclesiologia che appoggia sul mistero di Cristo, si costruisce nella comunione e si realizza nell'esperienza spirituale e nell'apostolato (missione).

I valori permanenti e stimolanti della morale e della spiritualità cristiana compaiono nella prospettiva delle beatitudini e della fedeltà al vangelo, che è unione della chiesa con Cristo, invitando tutti i battezzati alla santità come perfezione della carità. La contemplazione è un cammino di atteggiamento filiale; si trova Dio Amore nella propria povertà, grazie alla rivelazione del mistero di Cristo; è un cammino illuminato dalla parola di Dio, che invita all'unione trasformatrice. La bellezza integrale dell'uomo è l'espressione della gloria di Dio. La chiamata alla santità sacerdotale mostra delle caratteristiche peculiari, a partire dalla carità del Buon Pastore, con elementi molto simili a quelli presenti nei documenti conciliari e postconciliari del Vaticano II.

La riflessione del Maestro, basata sulla Scrittura, la Tradizione, il Magistero e l'eredità teologica, è un'osservazione attenta della realtà umana e sociologica, volta a trovare un'armonia fra l'accoglimento sincero, affettivo e prevalente della Parola (contemplazione) e la valutazione degli elementi nuovi che nascono dalla stessa riflessione e dall'analisi della realtà concreta. La sua dottrina è prevalentemente teologica, pastorale e spirituale.

Resta così dimostrata l'attualità permanente del Maestro Avila. Il rinnovamento ecclesiale e missionario del post-concilio del Vaticano II e degli inizi del terzo millennio del cristianesimo ha bisogno della voce di questo "Maestro" della fiducia nell'amore di Dio e della santità cristiana e sacerdotale, nel contesto della nuova evangelizzazione e della missione “ad gentes”.

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Estratto da: La Spagna del Cinquecento, crogiuolo del mondo nuovo (San Giovanni d'Avila): Nuntium, n.9 (nov. 1999)123-125; La figura del Maestro San Giovanni d’Ávila, in: San Giovanni d’Ávila Maestro di evangelizzatori. Scritti scelti (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2010) 9-37 (Introduzione Generale)Il tema è stato sviluppato in altre pubblicazioni dell’autore, con bibliografia aggiornata: Introducción a la doctrina de San Juan de Avila (Madrid, BAC, 2000); Diccionario de San Juan de Avila (Burgos, Monte Carmelo, 1999). Vedi abbondanti articoli nell’elenco bibliografico dell’autore. Per la proclamazione del Dottorato: BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica San Giovanni d’Avila, sacerdote diocesano, è proclamato Dottore della Chiesa universale (7 ottobre 2012).

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