A cura di:
VITTORIO BALZI
INTRODUZIONE
Sono ormai trascorsi 73 anni da quel fatici- do 29 marzo 1911, quando il War Department adottò ufficialmente la Colt .45, e la pistola Colt-Browning è, ancora oggi, una fra le più diffuse ed apprezzate al mondo (si noti bene che, pur con i continui aggiornamenti tecnologici, il disegno originale è rimasto sostanzialmente immutato). Con una produzione, nei soli S.U., vicina ai 4.000.000 di esemplari nelle varie versioni, più una cifra non esattamente quantificabile ma superiore al milione di copie o quasi-copie (sia statunitensi che estere), il progetto Colt-Browning è sicuramente, oltre che il più longevo, quello riprodotto in maggior quantità nella storia delle armi corte.
Cosa c’è alla base di un successo ineguagliato e duraturo? Tanto duraturo che, dopo più di settanta anni, le semiautomatiche Colt- Browning sono diffuse e richieste come poche altre e la loro popolarità non accenna a declinare ma anzi, almeno in particolari settori di mercato, continua a crescere. Se si pensa che tutte le contemporanee della 1911 sono da tempo obsolete ed anche altre concorrenti arrivate più tardi sono ormai scomparse, non si può fare a meno di porsi la domanda già fatta sopra. Le cause del successo sono sicuramente molteplici ma tre fattori risultano più importanti di qualsiasi altro: l’iniziale scelta deH’ottimo .45 ACP, l’adozione marziale (la Government Model si identifica ormai con il G.l. ed è parte del foklore e della Storia recente Americani) e l’eccellenza del disegno che, innovativo e precursore per i suoi tempi, ha ancora alcuni vantaggi sui moderni concorrenti. Tutti e tre i fattori di successo verranno esaminati successivamente, quello che vogliamo ora sottolineare è come John M. Browning
e la Colt siano arrivati al «congelamento» del disegno definitivo.
Browning non ha mai sviluppato i suoi progetti sulla carta per poi tradurli in pratica; il Genio Mormone era dotato di una qualità rarissima (è proprio questa caratteristica che, insieme alla fertilità della sua mente, lo rende un Genio) consistente nella visualizzazione mentale del disegno che veniva poi tradotto in uno schizzo approssimativo accompagnato da mock-ups di legno o cartone, passando successivamente (spesso saltando anche lo schizzo) a «scolpire e plasmare» le singole parti direttamente dal pieno; queste parti, una volta assemblate, costituivano un primo modello funzionante. Invece di calcolare angoli, vettori, momenti d’inerzia, sezioni resistenti, ecc., John Moses riusciva a far mente locale sulla funzione da svolgere ed a visualizzare forma e dimensioni delle parti demandate all’assolvimento di quella particolare funzione. Le parti venivano realizzate ed assemblate ed il loro
Nata in piena Belle Epoque, la Colt 1911 è giunta fino a i nostri giorni sostanzialmente immutata mentre tutte le sue coeve sono ormai pezzi da museo o splendidi esempi di archeologia industriale.
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corretto funzionamento era raggiunto empiricamente per prove successive. L’empirismo (se così si può chiamare) era però sempre guidato dalla conoscenza e dalla abilità del progettista nel comprendere immediatamente come e perché qualche cosa non funzionava nel modo previsto e nell’eseguire, ipso facto, le necessarie modifiche.
Nonostante l’indubbio genio dell’armaiolo americano sarebbe errato e riduttivo attribuire solo a lui la riuscita del progetto, riuscita dovuta anche all’opera degli ingegneri che, alla Colt, lavorarono insieme a Browning sul disegno originale; l'apporto di questi oscuri ingegneri non è relativo solo alla industrializzazione del progetto definitivo, ma anche al lavoro di sviluppo svolto prima di arrivare al congelamento del disegno.
Browning aveva ceduto alla Colt i diritti relativi ad una semiautomatica cal. 38 incorporante i suoi brevetti del 20 aprile 1897 e del 9 settembre 1902; sulla base di questi brevetti la Colt realizzò la pistola cal. 38 mod. 1900 che diventò, subito dopo, la mod. 1902 a causa di alcune piccole modifiche. Sia l’Esercito che la Marina acquistarono alcune 1900-1902 (per un totale di poco superiore alle 200 unità) ma gli acquisti non ebbero seguito e la 1902 rimase in produzione, per il solo mercato civile, fino al 1920 totalizzando 53.000 esemplari prodotti. La 1902 (conosciuta, negli ambienti collezionistici statunitensi, come parallel ruler) utilizzava una chiusura stabile
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(No Model.)
No. 580,924.
8 Sheets— Sheet 1.J. M. BROWNING.FIREARM.
PatentedApr. 20, 1897.
A / L L if.? .
Un esemplare della Colt 1902.
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SPORTING MODEL. 3 3 CA LIB R E.M ILITA R Y MODEL. 3 s c a l i b r e .In th is model the slide rem ains open a f te r Hrinc th e la st c a r trid g e . W hen reloading 1 he a rm in th is position, insert the m agazine, then press dow nw ard tin; slide-stop (to the te a r of the iriu g e r as illustrated) The slide goes forw ard inserting a C artridge w ithout an y m ovement of the slide hy hand The slide stop is opera ted hy th e tliuinh of the hand holding the pistol.
US Cal. Kinde.«*, Smokeless, ¡ ¡s fa i , l.'iinh-s-. Sumkeless.M etal Batched ß itllel. Soll I Mint Bullet.
P rice per 1,00(1........ S-’O 00 P rice per I.Odli.........Sl’II 00Russet Leather Holster, Willi Flap, SI 00
La Colt 1902 in versione militare e in versione civile, in un vecchio catalogo.
Sotto: la Colt 1903 fu un derivato della 1902 inteso come arma per il mercato civile è sta alla 1902 come la Commander alla Government.
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La 1905 e la 1909 sono le vere antesignane della 1911; la chiusura con una sola bielletta di svincolo venne adottata sulla 1905, la 1909 fu provata dai militari risultando molto promettente, con poche modifiche divenne la Model of 1911.
con due risalti come quella della 1911 ma la chiusura veniva impegnata o disimpegnata per mezzo di due biellette (una in volata e l’altra in culatta), in questo modo la canna si alzava ed abbassava restando sempre parallela al fusto. Dopo la decisione dell’Army di passare al calibro .45 (1904) la Colt sviluppò una versione in .45 ACP della 1902 che prese il nome di Mod. 1905. La 1905 ebbe un contenuto successo commerciale (6.000 esemplari dal 1905 al 1911) ma è molto importante in quanto precorritrice della 1911. Parallelamente alla vendita delle 1902 e 1905 la Colt continuò (insieme a Browning) il lavoro di sviluppo producendo diversi modelli sperimentali (più di 200 fra cui anche uno con sottrazione di gas) e fu solo nel 1909 che vide la luce il sistema di svincolo con una sola bielletta sotto la camera di scoppio. Attraverso successivi affinamenti del Mod. 1905 (acquistato sperimentalmente dall’Army in 400 esemplari) e l’introduzione della chiusura attuata da una so
la bielletta si giunse finalmente ad un modello definitivo che venne sottoposto agli ormai famosi tests dai quali uscì come: Government Model of 1911.
Abbiamo precedentemente scritto che sarebbe errato e riduttivo attribuire al solo Browning il merito del successo arriso alla 1911; dopo quanto brevemente visto, questa nostra asserzione dovrebbe risultare pienamente giustificata. La sola Colt o il solo Browning forse non sarebbero mai arrivati alla 1911 ed è quindi giusto usare la denominazione completa Colt-Browning a ricordare che sono stati necessari gli apporti del sìngolo Genio e della Grande Industria per arrivare a quel gioiello ai più conosciuto come Government Model. Parlare di gioiello non è una inutile iperbole perché il disegno Colt-Browning è eccellente e longevo (più di qualsiasi altro) ed è anche uno di quelli che ha avuto maggiore importanza ed influsso nello sviluppo delle armi corte moderne.
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Alla ricerca di una nuova arma da fianco, dimensionalmente e ponderalmente più contenuta dei modelli in dotazione, il War Department (oggi Department of Defense) commise un gigantesco errore abbandonando i Colt S.A.A. e gli S&W Schofield, entrambe in .45 Colt, a favore dei Colt 1892 D.A. cal. .38 Long Colt. Il Ministero della Guerra fece la sua scelta per dotare le truppe di un revolver meno affaticante, più facile da usare e con maggior volume di fuoco. I calcoli, giusti per l’arma, si rivelarono tragicamente sbagliati per la munizione, non tenendo conto della disparità di balistica terminale esistente tra .38 Long Colt e .45 Colt (sia pure, quest’ultimo, nella versione «Military» con carica ridotta per poter essere impiegata sugli Schofield). La diversa «prestanza» delle due munizioni risulta evidente dal confronto di alcuni dati dei caricamenti standard:— .38 Long Colt 148 grs. LRN x 770 f/p.s. /
Ec = 26,8 Kgm.(carica = 18 grani di polvere nera / canna 6’ ’);
— .45 Colt (Military) 250 grs. LFP x 770 f/p.s. / Ec = 45,3 Kgm.(carica = 28 grani di polvere nera / canna 6” ).
Non essendoci altre variabili introdotte dalla eventuale espansione della palla (inesistente ai fini pratici a causa della identica bassa velocità erogata dalle due cartucce) la differenza di «stopping power» è enorme; se ne accorsero, sulla loro pelle, i soldati statunitensi nelle Filippine quando dovettero fronteggiare le cariche suicide dei Moros Juramentados.
La rivolta dei Moros durò, ufficialmente, dal febbraio 1899 al luglio 1902 ma la guerriglia
fu, ancora per anni, una spina nel fianco delle truppe americane. Fino dalle prime schermaglie l’inefficacia del .38 come «man- stopper» risultò evidente e le «horror stories», di militari sventrati o decapitati dopo aver scaricato il tamburo nel tronco dell'attaccante, si moltiplicarono come funghi. Visto l’insostenibile stato della situazione la reazione del War Department fu immediata e si articolò su due provvedimenti: uno tampone, l’altro a lunga scadenza. Come soluzione tampone i 1892 vennero immediatamente ritirati dal servizio attivo e rimpiazzati con i vecchi S.A.A.; nel frattempo una apposita commissione, diretta dal Capitano John T. Thompson (Ordnance Corps) e dal Maggiore Thomas La Garde (Medicai Corps), ricevette l’incarico di determinare il calibro più adatto per l’arma da fianco. All’epoca non erano disponibili i sofisticati sistemi attuali (cronografi elettronici, modelli matematici gestiti da computers, fotografia stroboscopica per determinare forma e dimensioni di ferite traumatiche simulate in blocchi di gelatina balistica standardizzata, ecc.) e fu giocoforza ricorrere a sistemi empirici consistenti nello sparare colpi di prova contro: pendoli balistici, animali in attesa di macellazione e cadaveri sospesi dal suolo. Scopo della sperimentazione era di quantificare, per ogni calibro, alcuni parametri balistico-terminali come: penetrazione attraverso ossa e tessuto, forma e dimensioni del canale di ferita permanente, energia cinetica, quantità di moto, ecc.. I tests di Thompson e La Garde portarono gli autori a concludere che il potere d ’arresto (espressione che oggi sappiamo essere parzialmente non corretta perché corrispondente ad una realtà non quantificabile e scarsa-
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Revolver S<£W Schofield, a causa della non elevata robustezza di questa arma /’Ordnance dovette adottare un caricamento ridotto per la .45 Colt poiché l ’uso continuato di munizioni standard metteva rapidamente fuori servizio il revolver.
Con il revolver Colt 1892 i soldati statunitensi ebbero un’arma scarsamente efficace a causa della debole munizione impiegata: l ’anemica .38 Long Colt; questa cartuccia servì però a S&W come base per la loro .38 Special sulla quale ogni commento è superfluo.
il vecchio revolver Colt S.A.A. impiegava una munizione più potente: la cartuccia 45 Colt con caricamento standard.
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Il Colt 1909 .45 Colt è virtualmente identico al New Service .45ACP, ha il dubbio primato di essere stata l ’arma con la più breve vita operativa delle FF.AA. statunitensi; questo non per pecche proprie ma per l ’immediata obsolescenza della munizione soppiantata dalla .45 ACP.
mente qualificabile) era principalmente funzione dell’area frontale del proiettile e della sua quantità di moto, privilegiando quindi la Massa nei confronti della velocità (Q = M • V) e mettendo così in secondo piano l’Energia Cinetica che alla velocità è quadraticamente proporzionale (Ec = 1/2 M-V2); quale logica conseguenza venne raccomandata l’adozione del .45 come calibro minimo ammissibile. Oggi i termini del problema sono notevolmente variati e diversi studi, fra cui quello estremamente controverso sul R.l. (Relative Incapacitation Index) ed il suo recente aggiornamento, hanno portato a privilegiare velocità e caratteristiche espansive della palla. I tests di Thompson e La Garde furono viziati da errori e preconcetti; a titolo di esempio basti ricordare che la famosa prova su bovini da macellazione vide l’impiego, in epoche, condizioni e modalità differenti, di animali tra loro diversi per stato, sesso e peso; rileggendosi poi I resoconti non si riescono a comprendere le cause che determinarono, nell’ambito di questa prova, la preminenza di un calibro sull’altro. Pur con la scarsa scientificità delle prove, considerando le limitazioni oggettive a quei tempi esistenti, la raccomandazione di Thompson e La Garde per un calibro non inferiore al .45 (sicuramente influenzata dagli ottimi risultati del .45
Colt nell’uso pratico) deve essere considerata giusta e logica se viene calata In un preciso contesto tecnico-storico. Nei primissimi anni del secolo l’espansione dei proiettili di arma corta era una pia illusione (senza considerare le convenzioni internazionali), anche perché risultava molto difficile conciliare massa e velocità stanti la metallurgia dell’epoca ed I propellenti allora in uso.
È opinione diffusa che i vecchi Single Action Army siano stati subito rimpiazzati con la 1911, la realtà risulta Invece diversa. Nel 1909 gli S.A. ed I rimanenti 1892 furono sostituiti da un altro revolver, versione .45 Colt (ma cartuccia caricata con polveri infumi) del D.A. New Service, denominato M 1909.
Nei primi anni del secolo il progresso correva con passo rapidissimo, mal prima sperimentato. L’adozione, ad opera dei Francesi, delle polveri infumi aveva innescato un progressivo processo di rapida obsolescenza delle armi e munizioni in uso. Grazie alle nuove polveri la allora neonata .45 ACP offriva prestazioni identiche alla .45 Colt In versione civile, surclassando cosi il .45 Colt Milltary; a questo si aggiunga che la nuova cartuccia aveva pesi, dimensioni a costi notevolmente inferiori. Erano quelli gli anni in cui le maggiori potenze (ad eccezione degli Inglesi) si an-
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davano orientando sulla pistola semiautomatica come arma da fianco. Le scelte tattiche della «concorrenza» ed i notevoli progressi tecnici fecero si che il 1909 goda del dubbio primato di essere, fra le armi marziali statunitensi, quella con la minor vita operativa; già mentre i primi revolvers arrivavano ai reparti, il War Department era alla ricerca di un sostituto.
Così come è accaduto recentemente per la sostituzione della 1911 A1 con la 92F/M9, anche allora quando l’U.S. Army mise metaforicamente fuori il cartello «cercasi nuova pistola», le offerte, pur se non sollecitate, iniziarono a piovere. Provarono i nostri nonni con la Glisenti 1910 che si guadagnò, in quella occasione, il nome di «Luger dei poveri». Provarono i Tedeschi con C96 e Parabellum (que- st’ultima, anche in .45 ACP). Tentarono in molti ma, la condizione capestro del calibro (.45 ACP), la pochezza di alcuni progetti nonché considerazioni di ordine industriale e proto- ¡o nistico ridussero i concorrenti alle proposte: Colt e Savage, con la Parabellum come outsider. Fino dall’inizio la proposta Colt si pre sento come più valida (anche nell’ottica della produzione industriale e del potenziale di crescita) e la successiva serie di prove servì so
10 a trasformare l’ipotesi in certezza. Nel 191011 modello Colt predecessore della Government fu sottoposto (come gli altri concorrenti) ad un test di resistenza nel corso del quale sparò 6.000 colpi con solo 13 tra inceppamenti ed interventi dì piccola manutenzione. Il risultato, per l’epoca stupefacente, dette ulteriore spinta alla ultimazione della versione definitiva che, all’inizio dei 1911, superò lo stesso test di 6.000 colpi senza il minimo problema e si aggiudicò ia commessa governativa. Il test di durata che sanzionò l’adozione della Colt (test ancora oggi sbandierato dagli sfegatati sostenitori della Old Reliable) venne eseguito secondo le seguenti modalità: 6.000 colpi in totale con pulizia e lubrificazione ogni 1.000, sospensione del tiro (per 5 minuti) ogni 100 colpi in modo da consentire un certo raffreddamento dell’arma. Come si vede è una prova dura, insostenibile per altre armi dell’epoca, ma siamo a dir poco dubbiosi quando si asserisce che non ci sono oggi armi capaci di ripeterla e di fare anche meglio; in ogni modo questo inciso non può, né vuole, togliere niente alla leggendaria «reliability» dimostrata dalla .45 nella sua lunga vita e anche se una prova può sempre prestare il fianco a cri-
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Fra le armi presentate dall’industria tedesca ci fu anche la Mauser 1896; per certi versi un vero capolavoro meccanico, era però troppo complessa e fragile. Come arma militare era inferiore sia alla 1911 che alla Parabellulm. Anche la Glisenti (sotto) venne presentata al concorso de ll’U.S. Army vinto dalla 1911. Ci guadagnò solo il nome di «Luger dei poveri».
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Parabellum 06, di questa arma vennero approntati alcuni esemplari sperimentali in .45 ACP; arma splendida per i suoi tempi ma sostanzialmente inferiore alla 1911 in vista di una adozione marziale.
fiche ed osservazioni, è poi l’uso operativo quello che dà l’esatta misura della qualità di un arma e nessuno, ripeto nessuno, può contestare il lunghissimo e parimenti brillante stato di servizio della Government.
L’adozione ufficiale è del 29 marzo 1911 con la denominazione «AUTOMATIC PISTOL CA- LIBER .45 — Model of 1911 » ma le consegne iniziarono solo il 4 gennaio 1912, in quel giorno l’esemplare di serie con matricola 1 lasciò gli stabilimenti Colt diretto alla Springfield Ar- mory (per la cronaca: le prime 1911 prodotte furono 50 ed appartenevano all’ordine iniziale dell’Army che prevedeva un costo di 14,25 dollari U.S.A. per esemplare).
Sicuramente nessuno degli ignoti personaggi coinvolti nella consegna si rese conto che, in quel momento, iniziava a nascere un mito.
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Savage Searle; grossa e pesante non poteva reggere il confronto con la 1911 anche se alle prove funzionò bene. Dotata di una particolare chiusura a canna rotante (assimilabile a quella della Steyr 1911/1912) sulla quale ancora si dibatte se debba essere considerata una chiusura stabile o una chiusura metastabile. Probabilmente funzionava bene con la .45 ACP a causa della non indifferente massa del carrello e delle basse pressioni erogate; agli effetti pratici la Savage può essere considerata come una pistola a chiusura labile con l ’aggiunta di una complicazione sostanzialmente inutile. La chiusura Searle ebbe seguito solo per una pistola 7,65 Browning adottata dall’Esercito portoghese.
Anche il Revolver automatico Webley-Fosbery venne preso in considerazione quale arma da fianco per i militari americani. Troppo fragile e complesso non ha avuto seguito anche perché privo di vantaggi reali nei confronti delle normali armi corte, fossero esse pistole o re- volvers.
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La Parabellum 08 venne seriamente considerata quale alternativa alla proposta Colt; allora la pistola a cui tutti guardavano, fu svantaggiata anche dalla decisione di non approntarne una serie pilota in .45 ACP. Era la migliore pistola della prima generazione ma la 1911 apparteneva alla generazione successiva e come tale indubbiamente superiore.
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COLT-BROWNINGDESTINATE AL MERCATO MILITARE
La grande messe di dati disponibili, alcuni contraddittori, e lo spazio a disposizione rendono il compito di chi scrive particolarmente difficile. Abdichiamo in partenza alla presunzione di dare un quadro veramente completo ed adottiamo invece una veste sinottica che guadagni in comprensibilità quello che, necessariamente, deve perdere in completezza.
Nonostante le specifiche militari di base siano rimaste sempre costanti (caricatore da 7 colpi, canna 5” , mire fisse, peso di 2 libbre e 7 once, calibro .45 ACP) la Government Model è stata sottoposta a continue modifiche (di importanza più o meno rilevante) cosi che le due versioni 1911 e 1911A1 sono costituite da una miriade di sottoversioni che si differenziano per finitura, fabbricante e vari piccoli particolari.
MODEL OF 1911
Prodotta in circa 700.000 esemplari (dal 1912 al 1923) la 1911 è la primitiva versione della Government Model e si distingue immediatamente per particolari caratteristici: finitura sempre brunita, guancette in noce zigrinato con «diamante» intorno alla testa delle viti, grilletto «lungo», sicura dorsale con «coda corta», zigrinatura su superficie superiore slide- stop/pulsante sgancio caricatore/superfici di comando della sicura, mainspring-housing piatto e liscio dotato di anello portacorreggio- lo, fusto senza sgusci dietro al grilletto.
1911 di produzione Colt
Le 1911 Colt si riconoscevano immediatamente per la loro finitura Military blue, non al livello delle versioni commerciali ma superio
re a tutte le altre 1911 marziali. Siamo riusciti ad ottenere dati sicuri sulla quantità di armi prodotte solo per il periodo 1912-1918 (500.000 esemplari), altrettanto non è stato possibile per le pistole prodotte dal 1919 al 1926. È da notare che la data ufficiale di nascita della 1911 A1 è il 1926, in realtà, negli anni dal 1923 al 1926 la Colt ha consegnato sia 1911 che 1911 A1.
Nel primo anno le 1911 Colt venivano realizzate con tacca di mira che presenta la parte superiore arrotondata e l'apertura, a forma di U, molto piccola; nel 1913 la parte superiore della tacca diventava piana pur mantenendo l’apertura ad U. Dal 1912 al 1914 i cani erano dimensionalmente molto contenuti e si allargavano in prossimità della cresta. Dopo l’ottobre 1913, sulla parte sinistra del carrello, ai brevetti del 20/04/1897 e 09/09/1902, veniva aggiunto il brevetto del 19/08/1913 (relativo ad una semplificazione della meccanica tale da ridurre il numero delle parti ed a permettere lo smontaggio totale senza particolari utensili) con il contemporaneo spostamento del cavallino Colt, dalla parte posteriore sinistra del carrello, ad una posizione centrale in mezzo alle scritte (quindi, sempre sulla sinistra del carrello). Il tipo di scritte che caratterizza le Colt prodotte dopo il 1913 (brevetti-simbolo del fabbricante-nome del fabbricante) è, come regola generale, lo stesso anche per le 1911 prodotte su licenza; cambiano, ovviamente, nome del fabbricante e suo eventuale simbolo.
Nessun fabbricante di 1911 e 1911 A1 ha messo il suo nome o simbolo sul fusto (parliamo, ovviamente, di armi marziali) ma la Colt, dal 1912 ad epoca sconosciuta (sicuramente durante la II guerra mondiale), riportava le ul-
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Lato destro, sinistro e particolare del carrello della 1911 commemorativa prodotta dalla Colt nella ricorrenza dei settanta anni di servizio del modello Colt-Browning.
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La versione civile (Government Model) e quella militare sono praticamente identiche ad eccezione dei marchi.
lime tre cifre della matricola sul carrello (parte superiore, vicino al firing-pin stop); inoltre, tutte le 1911 Colt recano stampigliata la lettera H sulla parte superiore del carrello e sui fusti. Come già scritto, per regola generale il simbolo del fabbricante appare sulla sinistra del carrello, è altresì regola generale che la matricola sia impressa sulla destra del fusto (sopra il grilletto) e la scritta «United States pro- perty» sulla sinistra dello stesso.
Una scrittura che causa la costituzione di tre sottogruppi nel gruppo delle 1911 Colt è quella che appare sulla destra del carrello; sulle armi di Hartford, oltre alle parole MODEL of 1911, veniva riportata anche l’indicazione del Servizio al quale erano destinate le pistole (l’indicazione del Servizio non appare sulle 1911 prodotte da altri fabbricanti). Il primo sottogruppo è il più comune ed ha la scritta «MODEL of 1911 — U.S. Army», gli altri due sono caratterizzati dalle scritte «MODEL of 1911 — U.S. Navy» (circa 15.537 esemplari) e «MODEL of 1911 - U.S.M.C.» (circa 6.750 esemplari). Nonostante un totale generale di circa 22.287 pezzi le «versioni navali» (Navy e M.C.) sono rarissime a causa dell’altissimo «attrition rate» causato dal lungo e pesante impiego cui sono state sottoposte, impiego iniziato nel 1914 quando Marinai e Marines sbar
carono a Vera Cruz in Messico. Tutte le 1911 e 1911 A1 successivamente ricevute dai due Servizi e più tardi le 1911 A1 passate all’Air Force (che, non ci dimentichiamo, era inizialmente la U.S. Army Air Force) recano i marchi dell’esercito e non presentano particolari stampigliature di accettazione (almeno per quanto di nostra conoscenza).
1911 Springfield ArmoryPrimo licenziatario della pistola Colt, l’Ar
senale governativo di Springfield ha sempre prodotto 1911 identiche a quelle di Hartford ad eccezione del mirino, ricavato di pezzo, per fresatura, insieme al carrello, alla ovvia differenza nei marchi del fabbricante ed alla meno ovvia omissione del brevetto 1913 (forse i roll marks sono stati preparati prima di quella data). Come indicazione del costruttore compare «SPRINGFIELD ARMORY/U.S.A.»; sul fusto (sopra al pulsante di sgancio caricatore) è impressa una bomba fiammeggiante, simbolo dell’Ordnance U.S.A., con una O al centro; sulla destra del carrello è stampigliata l’aquila simbolo dell’Arsenale.
L’Arsenale di Springfield ha prodotto circa 75.000 esemplari di 1911 a partire dal 1912 e fino al 1918, dopo questa data non sono più
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stati fabbricati fusti né assemblate armi complete; l’Arsenale si è limitato alla produzione di parti per 1911 (successivamente 1911 A1 ) ed al ricondizionamento delle stesse. Per i collezionisti è importante ricordare che, pur essendo state prodotte in vari lotti, non esistono 1911 di produzione Springfield, con matricola superiore a 355.000. Le pistole (1911 o 1911 A1) che sembrano essere state prodotte a Springfield ma hanno matricola superiore al 355.000 possono essere: o dei «Franke- stein» assemblati con pezzi di varia provenienza, oppure 1911 e 1911 A1 ricostruite (spesso parkerizzate) e reimmatricolate (Una quantità sconosciuta di matricole è stata lasciata a disposizione degli Arsenali di Springfield e di Rock Island, oltre che di altre officine governative, per poter rimpiazzare matricole cancellate o mancanti sulle Government ricostruite).
1911 Remington — U.M.C.Prodotte in 21.676 esemplari, dal 1918 al
1919, si riconoscono per i marchi sul carrello: a destra la scritta (su due righe) «MODEL of 1911 / U.S. ARMY CALIBER .45», a sinistra i brevetti Colt 1908 e 1913 (omesso quello del 1897), e la denominazione del fabbricante.
1911 di produzione Remington.
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ni...... unii,.......mi......inutili!........ ........... mi......... imi............... ............. ...................... ........... .......... ...... ...... ......... .........1111........ " " 1|G trSFIREARMS 1
| Today§ Colt’s Patent Fire Arms Mfg. Co.| H a r t f o r d , C o n n ., U . S . A .| Manufacturers of: Colt's Revolvers, Colt’s Automatic || Pistols, Co't's (Browning) Automatic Machine Guns. 1Colt's (Browning) Automatic Machine Rifles, Thompson | Submachine Guns. 2Tliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin iiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mu iiiiiiiiiiiiiiiiin mi iiiiiinii nun in iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiuii in iiiiiiiiiiiiiiiiiiiniTi
Pubblicità della Colt su una vecchia rivista americana. In questo caso l ’immagine propone alcune tappe significative fino al modello 1911.
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1911 Savage Munitions Company of San Diego
Il contratto Savage venne cancellato alla metà del 1919, prima che la Società potesse iniziare la completa produzione della 1911, quando già erano stati realizzati 100 carrelli; questi vennero consegnati alla Colt che li assemblò su fusti di propria produzione. Le 1911 Colt con carrello Savage portano i normali marchi Colt con l’aggiunta, sul carrello, di una bomba fiammeggiante con al centro una S.
1911 North American Arms Company
Questa società canadese produsse solo una serie pilota, comprendente meno di 100 esemplari, prima che il contratto venisse cancellato nella seconda metà del 1919. Le armi N.A.A.C. non hanno matricole assegnate dal- l’Ordnance né altri marchi ufficiali; si distinguono per la matricola assegnata, per uso interno, dalla ditta produttrice (da 1 fino ad un numero imprecisato ma inferiore a 100) e per la scritturazione, divisa su tre righe, apposta sulla sinistra del carrello «MANUFACTURED BY / NORTH AMERICAN ARMS CO., LIMITED / QUEBEC, CANADA».
La 1911 venne prodotta su licenza anche in Norvegia dove ricevette la denominazione di Mod. 1914, differiva dall’originale solo per il comando dell’hold-open e fu mantenuta in servizio fino alla seconda Guerra Mondiale; gli occupanti tedeschi la apprezzarono particolarmente e ne armarono le Waffen SS.
1911 Norvegesi
Costruite su licenza, in un arsenale governativo, con la denominazione M 1914, si differenziano dagli originali solo per il diverso disegno dello slide-stop che ha le superfici di comando spostate verso il basso e maggiorate (è più comodo di quello Colt). Le 1911 norvegesi hanno, sul carrello, la scritta «11,25 m/m AUT. PISTOL M/1914» accompagnata dai marchi ufficiali; la matricola è riportata su fusto, carrello, sicura, grilletto e slide-stop.
Prodotte in 20.000 esemplari, dal 1914 fino all’inizio degli anni 30, le M14 fecero gola agli occupanti nazisti; questi, oltre ad appropriarsi delle pistole esistenti, riuscirono a farsene costruire altre 10.000 che vennero distribuite ai reparti sotto la denominazione «Pistole 657».
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Government Model cal. 455 vennero fornite alle forze armate britanniche, in particolare i Royal Flying Corps predecessori della R.A.F.
Government Model cedute alla Gran Bretagna
Come tutte le altre Nazioni coinvolte nel conflitto, anche la Gran Bretagna si trovò nella necessità di procurarsi più armi corte di quante non potessero fornirne le fabbriche nazionali. Invece di ricorrere agli Spagnoli (grandi beneficiari della penuria di armi corte durante la I guerra mondiale) e grazie ai particolari accordi con i cugini di oltre oceano, gli Inglesi ottennero dei buoni quantitativi di Government Model prelevate direttamente dalla produzione commerciale Colt. Tutte le Government Model consegnate al Governo di Sua Maestà hanno le splendide finiture civili dell’epoca e portano i marchi del fabbricante per le armi destinate al mercato civile, con la sola aggiunta dei banchi di accettazione britannici. Le pistole vennero assegnate alla Royal Navy ed ai Royal Flying Corps (i precursori della R.A.F.), per questo motivo le Government inglesi sono state camerate (con l’eccezione di pochissimi primi esemplari consegnati in gran fretta) per il .455 Webley Auto, allora impiegato sulle pistole Webley in dotazione alla Royal Navy. Per i collezionisti, è interessante ricordare che su parte degli esemplari in dotazione all’Air Force è stata aggiunta, quanto
i RFC diventarono Royal Air Force, la stampigliatura R.A.F. (sulla sinistra del fusto, davanti allo slide-stop).
1911 A1
Con un totale generale superiore ai 2.000.000 di esemplari, realizzati dalla Colt e dai suoi licenziatari statunitensi, la 1911 A1 è la versione, dell’originale disegno Colt- Browning, riprodotta in maggior quantità. Anche se l’adozione ufficiale è del 1926, i primi esemplari sono usciti dalle linee di montaggio già all’inizio del 1924 e la produzione è continuata, pur con diverse interruzioni, fino a data incerta, ma non troppo lontana nel tempo. Era opinione diffusa che l’acquisizione della 1911 A1, da parte dello Zio Sam, fosse terminata con il 1945 (per la verità, alcune fonti indicavano le ultime forniture come risalenti alla Guerra di Corea), solo recentemente si è saputo con certezza che la Colt ha consegnato, all’Ordnance statunitense, quantitativi sconosciuti delle sue pistole (non Government Model ma vere 1911 A1 ) anche durante i conflitti Coreano e Vietnamita. Le recenti acquisizioni di materiale bellico sono classificate ma, a quanto si dice, l’ultimo contratto, per la
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In seguito a modifiche di dettaglio la 1911 divenne 1911 A1, l ’arma ancora oggi usata dai G.l. che solo ora stanno iniziando a ricevere le prime 92F. Accanto: la Colt 45 al fianco di John Wayne in uno dei suoi tanti film di guerra.
fornitura di 1911 A1, è stato concluso nei primi anni 70, sul finire del diretto impegno U.S.A. in Vietnam.
La 1911 A1 nasce, come evoluzione della 1911, nel 1924 (anche se l’adozione ufficiale è del 1926) ma acquista la sua veste definitiva, quella con cui è maggiormente conosciuta perché riprodotta in altissimo numero, solo negli anni a cavallo dell’ingresso statunitense nel II Conflitto Mondiale, quando viene sottoposta a tutta una serie di modifiche necessarie per sveltirne la produzione. Si possono pertanto distinguere le 1911 A1 in due gruppi: il primo comprendente le armi prodotte dal 1924 al 1940, il secondo quelle fabbricate dal 1941 fino all’inizio degli anni 70.
Il passaggio dalla 1911 alla versione A1 avviene attraverso le seguenti modifiche:— mainspring-housing curvo invece che di
ritto e con leggero zigrino invece che liscio;
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MIRINO SOTTILE CRESTA DEL CANE PICCOLA
MIRINO SPESSO CRESTA DEL CANE ALLUNGATA
Confronto tra 1911 e 1911 A1.
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— grilletto più corto e con superficie zigrinata;
— sgusci di alleggerimento sui due lati del fusto in corrispondenza del grilletto;
— mirino e tacca di mira allargati, tacca squadrata e mirino rigato antiriflesso;
— guance in noce zigrinate ma senza diamanti intorno alla testa delle viti;
— coda della sicura dorsale allungata per proteggere la mano da eventuali pinzature inflitte dal cane;
— la scritta «MODEL OF 1911 — U.S. Army» diventa «M 1911 A1 U.S. Army».
A partire dal 1940 la 1911 A1 viene sottoposta a successive modifiche che hanno il solo scopo di rendere più rapida ed economica la fabbricazione, eccole in breve:— nel 1940-41 scompaiono le guancette in
noce, sostituite con altre realizzate, per fusione, in gomma dura zigrinata a loro volta soppiantate da guancette in plastica zigrinata di colore nero o marrone;
— a partire dal 1941 tutte le 1911 A1 sono parkerizzate invece che brunite (solo le 1911 A1 di produzione Colt anteguerra sono brunite), a seconda del tipo di procedimento adottato dal fabbricante la parkerizzazione può essere grigia o verde;
— contemporaneamente alla sostituzione
della brunitura con la parkerizzazione, la zigrinatura su mainspring-housing / slide- stop / pulsante caricatore / sicura / grilletto diventa opzionale e viene spesso sostituita dalla semplice rigatura; il cane ha la cresta appiattita (stessa larghezza del corpo) ed accorciata, il grilletto viene realizzato per stampaggio;
— la scritta «UNITED STATES PROPERTY» viene spostata dalla sinistra alla destra del fusto e quella «M 1911 A1 U.S. Army» è trasferita dalla destra del carrello alla destra del fusto (sopra la guardia del grilletto).
Vediamo brevemente, in dettaglio, quali sono stati i fabbricanti di 1911 A1 e come si riconoscono le armi da questi prodotte.
Colt: Tutte le 1911 A1 prodotte prima della guerra sono di questo fabbricante ed hanno elevato valore collezionistico a causa dello scarso (rispetto al totale) numero prodotto. Dopo il 1941 e fino al 1945 la Colt ha realizzato 480.664 pistole complete, ha fornito un numero imprecisato di componenti ad altri fabbricanti, ed ha partecipato alla fabbricazione di altre 345.000 armi insieme alla Union Switch & Signal Company. Non conosciamo i contras- segni esterni delle coproduzioni Colt-U.S.&
Guerra in Vietnam. Un «topo di galleria» si cala in un complesso sotterraneo dei Viet Cong con la sua Colt .45. In spazi cosi angusti la pistola risultava assai più utile di un’arma lunga.
S.Co. (che portano i marchi Colt) ma, il problema della loro identificazione, si può parzialmente risolvere ricordando che le sigle GHD/WB/VP erano apposta dagli ispettori Colt (anche sulle armi di intera produzione Colt) mentre gli ispettori U.S.&S. avevano le sigle FJA/RCD/HS per le canne ed R per I caricatori. Con buona probabilità la Colt ha fornito carrelli e fusti con i propri marchi e la U.S.& S. canne, caricatori e minuterie.
Singer Manufacturing Company: Sono fra le più rare delle 1911 A1, avevano tutte guan- cette In gomma dura di produzione Colt, sul carrello portavano l’iscrizione «S.MFG.Co. / Elizabeth, N.J.» È da ricordare che tutte le matricole sono precedute dal preffisso S.
Ithaca Gun Company: Questa società, con sede ad Ithaca, N.Y. ha realizzato circa 440.000 pezzi dal 1943 al 1945. Le pistole Itha- ca si differenziano dalle altre solo per la presenza del nome del fabbricante.
Remington Rand, Ine.: È la società che, durante il periodo bellico, ha prodotto il maggior numero di 1911 A1 (più di 950.000 dal 43 al 45) e, nella produzione di armi Colt-Brownlng, è quantitativamente seconda solo alla Colt. Attenzione: nella improbabile ipotesi che vi troviate di fronte ad una Remington-Rand che porta la sigla ERRS (Engineering Remington Rand Sample) sappiate che questa è un esemplare rarissimo poiché fa parte di una minuscola serie pilota fabbricata dal 1942.
Union Switch & Signal Company: 55.000 pezzi completi nel 1943 più, nello stesso anno 100 esemplari di pre-produzione marcati «U.S.& S. Co. / Exp No...» che, neanche a dirlo, sono rarissimi e, negli U.S.A., valgono un bel mucchietto di dollari. Come già scritto a proposito della Colt, la U.S.& S. ha fornito parti staccate; con le quali, insieme al gigante di Hartford, sono state realizzate 345.000 pistole.
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Prime e più interessanti sono le versioni «training» della 1911 A1, le Ace e Service Model Ace cal. .22L.R. che verranno trattate fra le Colt «civili» perché la loro acquisizione, da parte dell’Army, è stata limitata a qualche centinaio di esemplari.
Parlare delle copie e delle varianti realizzate con o senza licenza è impresa improba e non basterebbe tutto un «profilo» per esaurire l'argomento, dobbiamo perciò limitarci a pochi accenni. Oltre che negli S.U., la produzione di copie o derivati delle 1911 e 1911A1 e avvenuta (con o senza licenza) in: Norvegia, Canada, Brasile, Spagna, Messico, Argentina,
Giappone, Corea e Vietnam; è stata tentata in Italia (quando venne scelta la Beretta 951 per la fornitura a vari corpi armati, una delle concorrenti era la copia della 1911 A l , che però aveva dimensioni più ridotte perché costruita intorno alla cartuccia 9 parabellum, presentata dalla FNA di Brescia) ed è stata realizzata su rudimentali basi artigianali in molti altri paesi. Come quantità realizzate il maggior fabbricante, dopo gli S.U., è sicuramente la Spagna dove la ùlama ha costruito copie della 911 e 911A1 (commercializzate anche sotto i marchi Ruby, Gabilondo, Tauler) e la Star ha costruito copie della 1911 A1 da cui ha poi deri-
1911A 1 dell'Esercito brasiliano, queste pistole vennero anche fabbricate in Brasile e lo sono ancora oggi; la Fabbrica de Itajuba ha pensato di derivarne un modello a doppia azione e con caricatore bifilare cambiando però il calibro in 9 Parabellum.
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Copia della Commander fabbricata in solo 100 esemplari dalla brasiliana Fabrica de Itajuba; queste armi splendidamente finite erano destante agli Ufficiali superiori delle FF.AA. carioca.
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Star Militare .45 ACP; questa Casa spagnola iniziò producendo copie pedisseque delle Colt ma ne ha poi derivato modelli originali che se ne differenziano per particolari non secondari come la catena di scatto.
Liama civile .45 ACP; la spagnola Gabilondo ha prodotto e produce copie della 1911 A 1 per i mercati civili e militari.
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FNA calibro 9 parabellum. Identica alla 1911 A1 ma dimensionata per il 9 Parabellum e con catena di scatto completamente diversa (tipo Beretta) fu concorrente sfortunata della Beretta 1951 quando quest’ultima venne adottata per te nostre FF.AA. e di Polizia.
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Dopo aver acquistato 1911 e 1911 A1 di produzione Colt, g li Argentini iniziarono a produrle autonomamente e la H.A.F.D.A.S.A. ne derivò la Ballester Molina che si differenzia dalle Colt solo per piccole modifiche.
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La Obregon smontata; questa pistola messicana è in pratica un matrimonio tra la struttura generale della pistola Colt-Browning, della quale conserva catena di scatto e caricatore, ed una chiusura di tipo Steyr 1911-1912.
vato propri modelli in vari calibri, il tutto in molte centinaia di migliaia di esemplari. In Argentina, la HAFDASA di Buenos Aires ha prodotto copie della 1911 e 1911 A1 (le copie argentine sono entrate in servizio insieme ad originali di provenienza Colt ed avevano la denominazione M1916 e M1927), dalla A1 ha poi derivato (attraverso modifiche estetiche, al ritegno caricatore che resta però compatibile con i caricatori Colt, ed alla catena di scatto) la Ballester Molina in cal. .45ACP come l’arma «ispiratrice». Un discorso completamente diverso merita il Messico dove è stata sviluppata la Obregon che, pur essendo esternamente simile alla Colt ed adottandone la catena di scatto, è dotata di chiusura stabile con canna rotante sistema Krnka (quella della Steyr 1911/12 per intenderci). Non si può poi tacere del «revival» da tempo in atto negli S.U. e che vede la produzione di copie della 1911
A1 (ad es. Auto Ordnance) o di pistole a questa ispirate e che si differenziano per particolari minimi o, ben più interessante, per la costruzione in acciaio Inox (Vega, AMT, Randall, ecc.).
Una versione particolare della 1911 A1 che merita un trattamento a parte è quella denominata: M 15 Cal. .45 ACP General Officer Model. La M15 nasceva come una comune 1911 A1 e veniva poi convertita presso l’arsenale di Rock Island; l’arma originale risulta profondamente modificata: il carrello accorciato di 3/4” , la canna sostituita da una nuova espressamente costruita, l’azione accuratizzata e tutte le tolleranze ridotte, grilletto e mire sostituiti con altri appositamente realizzati (partendo dal pieno!), le superfici esterne tirate a specchio e brunite (la parte superiore del carrello è sabbiata antiriflesso) ottenendo una finitura da favola. Le 1911 A1 trasformate in M
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La AMT Hardballer è stata la prima copia della Government Model prodotta in acciaio Inox; il grilletto è identico a quello della Gold Cup.
Copia di buona qualità della 1911 A1, la Auto Ordinance viene fabbricata in 9 Parabellum, .45 ACP e .38 Super Auto; è importata anche in Italia nel calibro .45 HP.
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Oggi scomparsa dalla scena la MS Safari fu il primo fabbricante che cercò di produrre in serie armi mutuate dalla Governmente Model ma già dotate di quelle modifiche apportate per le gare Combat o l ’uso di difesa personale e polizia.
15 hanno ricevuto una nuova matricola «Serial No. GO ....» riportata anche sui caricatori di dotazione (accuratizzati ed adattati perfettamente alla pistola); le lettere GO significano General Officer ed infatti la M 15 era data in dotazione personale agli Ufficiali Superiori che raggiungevano il grado di Generale (ognuna delle guancette in noce reca una placca con le iniziali del generale propietario della pistola) e questi ne conservano la proprietà anche dopo l’eventuale congedo. La M 15 è stata «prodotta» a partire dal 1972, rappresenta sicuramente la «Rolls Royce» delle Colt e forse di tutte le pistole militari, essendo un prodotto di alto artigianato con caratteristiche riscontrabili solo su armi di grandissimo prestigio.
Sviluppata in sostituzione della Colt .380 a cane interno quale arma per g li Ufficiali Generali, la General Officer Model può essere considerata a buon titolo la Rolls Royce delle p istole militari di tutti i tempi.
COLT GOVERNMENT MODEL LA FAMIGLIA DELLE ARMI CIVILI
Immediatamente dopo l’adozione militare della 1911, ad Hartford decidono di affiancare, alla versione marziale, un modello civile che, per capitalizzare sul fatto che la 1911 è l’arma da fianco dei Servizi Statunitensi, riceve la denominazione: Government Model. Per quanto riguarda la 1911, le differenze tra armi civili e militari stanno solamente nelle fini- ture più curate e nelle tolleranze più contenute delle armi destinate al mercato civile.
Nel periodo dal 1924 al 1926 la 1911 A1 sostituisce la 1911 sulle linee di produzione e Colt continua ancora con la politica della stessa arma più o meno curata a seconda della destinazione di mercato; unica «novità» è l’aggiunta del prefisso C alla matricola delle armi vendute come Government Model. Finalmente, nel 1929, Colt immette sul mercato la versione in .38 Super Auto della Government Model. La nuova cartuccia è una versione potenziata dal .38 Auto già usato sulla Colt Mod. 1902 (la famosa «parallel ruler» antesignana della 1911) e ne conserva il bossolo (anche se con pareti rinforzate) semi-rimmed. Il bossolo semi-rimmed e l’errata decisione di fare head-space sul misero rim del S.A. invece che sulla bocca del bossolo sono responsabili di iniziali problemi di funzionamento e della sempre lamentata scarsa precisione dell’arma (dovuta non a scarsa precisione intrinseca dell’arma o della cartuccia ma all’head-space su rim, infatti, nelle canne dove l’head-space avviene sulla bocca del bossolo il 38 S.A. si dimostra capace di ben altra precisione); questo e l’atteggiamento fideistico degli americani nei confronti del .45 ACP hanno fatto si che la .38 S.A. non sia mai stata compresa sul mercato statunitense. Per quanto riguarda gli
altri mercati, la .38 S.A. ha avuto poca o nulla diffusione in Europa (dove non esistevano barriere legali si è vista sbarrata la strada da altri calibri più diffusi nel Vecchio Continente) ed ha incontrato un certo successo solo nei Paesi dell’America Latina, successo dettato più da situazioni contingenti, come il divieto di detenere armi .45 ACP vigente in alcuni Stati Sud Americani, che da reale convinzione degli acquirenti.
Il 1930 è l'anno della prima grossa variante alla meccanica originale, nasce la Colt Ace, versione .22 L.R. della 1911 A1. La Ace è una pistola a canna fissa con chiusura labile e, pur mantenendo il fusto della 1911 A1, pesa 38 once contro le 39 dell’arma originale (il fusto è lo stesso, la canna è più pesante ma il carrello è molto alleggerito per consentire l’uso della cartuccia rimfire con la sua modesta energia di rinculo); altre differenze sono: canna pesante di tipo Match, azione finita a mano e molto curata, tolleranze estremamente
Government .45 ACP, differiscono dalle Colt militari solo per le migliori finiture.
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Colt National Match .45 ACP, la «mamma» della Gold Cup.
Prima cartuccia ad alta intensità adottata sulla Government è stata la .38 Super Auto; questo binomio arma cartuccia meriterebbe più successo di quanto non abbia avuto.
Colt Service Model Ace; prima Government .22 L.R. non aveva ancora la camera flottante e difettava di affidabilità.
contenute, caricatore da 10 colpi (9 in 38 .S.A. — 7 in .45 ACP), l’arma è, per la prima volta, disponibile anche con mire registrabili oltre che fisse.
Per rispondere alle esigenze di coloro che vogliono impiegare «thè old slabside» nel tiro agonistico, senza dover ricorrere ad elaborazioni artigianali (già allora diffuse), viene introdotta, nel 1932, la National Match .45 ACP (destinata anche alle gare militari) seguita, nel 1933, dalla Super Match .38 S.A.. Sia la National Match che la Super Match differiscono dalle Government Model per l’azione finita manualmente, il grilletto zigrinato (rigato sulle normali armi commerciali), la canna Match e le tolleranze ridotte. Entrambe le armi rimangono in produzione fino al 1940, sia con mire fisse che registrabili.
La Ace è nata per il tiro sportivo ed il training all’uso delle 1911 A1 e Government Mo
del; purtroppo, il rinculo della .22 L.R. è troppo debole per assicurare II corretto funzionamento dell’arma nel tiro sportivo (a meno di non usare munizioni high speed) e, nel contempo, non è sufficientemente propeudetico per la .45. È per questi motivi che, nel 1938, alla Ace si affianca la Service Model Ace, derivata dalla National Match, di cui conserva l’impostazione generale, ma incorporante la camera flottante che permette di amplificare il rinculo della .22 fino a quadruplicarlo (la camera flottante è stata ideata da Marsh Williams, conosciuto anche come Carabine Williams per essere il progettista della .30 M 1). Rispetto alla Ace la Service Model Ace è più pesante (42 once) ed ha maggior rinculo, anche se questo è abbastanza inferiore a quello delle armi cal. .45, rispetto alle quali la S.M. Ace ha lo stesso peso di carrello. Il successo della S.M. Ace (intesa come arma per training,
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Il meccanismo di funzionamento della camera flottante è estremamente semplice. Al momento dello sparo, il bossolo si deforma elasticamente aderendo alle pareti della camera ed inizia la sua corsa retrograda trascinandola con se lungo l’asse della canna. Il gruppo camera flottante-bossolo ha massa enormemente superiore a quella del solo bossolo (29:1) e velocità inferiore, ma in misura meno che proporzionale (il gruppo camera- bossolo subisce anche l’azione dei gas della combustione). La quantità di moto q*di un corpo con massa M e velocità V*è data da:
q*= M-V* [Kgrn/s]
e quindi risulta evidente che q camera-bossolo > cfbossolo (M cresce più di quanto V non diminuisca), da questo discende che sarà maggiore l’impulso J ricevuto dal carrelkj: per F C nel tempuscolo t sarà J = J0 F.dt = a q [Newton• secondo] essendo F = d-q per la II legge di Newton. d t
Dopo un tempuscolo brevissimo la camera flottante si arresta contro l’apposito risalto ed il bossolo, la cui quota di deformazione elastica è nel frattempo rientrata per l’abbassamento della pressione in canna, continua la sua corsa retrograda che si conclude con estrazione ed espulsione.
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.22 Conversion Unit: un accessorio utilissimo che permette di sparare motto senza svenarsi economicamente.
divertimento e piccola caccia, ma senza alcuna ambizione agonistica) è tale che la ACE esce di produzione nel 1940, la Service Model dura fino al 1942 ma deve poi soccombere di fronte alle esigenze belliche (il concetto verrà poi ripreso dalla Colt con la «New Service Model Ace» e, nel frattempo, l’ idea della camera flottante dà origine alla .22 Conversion Unit).
Gli studi sulla Camera flottante consentono alla Colt di mettere in commercio, sempre nel 1938, un Kit di conversione (originariamente destinato alle sole 1911 A1 e Government .45, è stato esteso agli altri calibri solo dopo la fine della guerra: .38 S.A. nel 1946, 9 Parabellum nel 1970 con la nascita della Serie 70) che consente l’uso delle munizioni rimfi- re sulle centerfire .45. Contemporaneamente al Kit .22-,45, viene commercializzato anche quello .45-,22 che permette l’uso del .45 ai possessori di Ace e S.M. Ace. Sia la conversione .22-.45 che la .45-,22 vengono tolte di produzione, insieme a tutte le altre Colt commerciali, nel 1942 a causa del conflitto in atto con le Potenze dell’Asse.
Dopo la fine della II Guerra Mondiale la Colt inizia nuovamente, nel 1946, la produzione di
armi corte destinate al mercato civile; di quelle fin qui trattate ritornano in commercio solo le Government Model nei calibri .45 e .38 con le relative conversioni al .22 (la conversione è unica e va bene su tutti i castelli Government perché l’espulsore è un lamierino stampato, a forma di L, collegato alla canna, che scorre (con la sua parte posteriore) entro guide nel carrello.
Con il ritorno in Patria dei G.l. inizia la diffusione, negli S.U., del calibro 9 Parabellum (presente, con scarso successo, già da molti anni) e questa diffusione è contemporanea ad una sempre crescente richiesta di semiautomatiche potenti ma con dimensioni e pesi inferiori a quelli delle classiche Government. È per far fronte alle nuove richieste del mercato (non come erroneamente creduto in risposta alla specifica Governativa per una nuova pistola di ordinanza; questo è vero per la S&W 39 ma non per la Commander) che la Colt inizia nel 1947/48 gli studi su una pistola, più compatta e leggera della Government, camerata in 9 Parabellum. Gli sforzi della casa di Hartford si concretizzano nel 1949 quando la prima Commander esce dalle linee di produzione (la Commander è la prima pistola ame-
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ricana originariamente camerata in 9 Parabel- ACP) e prende la denominazione Llghtweightlum). Pur essendo una versione compattizzata Commander. È strano notare come, mentredella Government, la nuova arma è metallur- la Combat Commander viene, ancora oggigicamente molto diversa dalla progenitrice prodotta nei 3 calibri, la versione Lightweightperché adotta il fusto in lega di alluminio (la sia camerata, a partire dal 1979, solo per il .45Commander, oltre ad essere la prima 9 Para ACP che, dei tre calibri, è quello con maggioramericana, è la prima arma, prodotta In se- energia di rinculo. La Combat Commander èrie, ad abbinare: munizionamento potente, molto più venduta della Commander e, unochiusura stabile e fusto in lega leggera). Se del motivi della preferenza accordata al mo-i cambiamenti meccanici sono, relativamen- dello con fusto in acciaio risulta essere il mite, di poco conto (fusto, canna e carrello più nore rinculo che questa ha rispetto alla Light-corti; bushing, tappo di tenuta molla e guida- weight. La Commander no ha rinculo supe-molla di minori dimensioni; diverso profilo riore a quello della S&W 39 e non si capisceesterno del cane; sicura dorsale tipo 1911, con perché quest’ultima venga sempre definita co-coda più corta) ed intesi ad aumentare l’oc- me arma con rinculo più che accettabile men-cultabilità e le caratteristiche di porto della pi- tre la Colt è paragonata ad un cavallo che scal-stola, quelli metallurgici sono enormi e si può eia. In questa ottica è quindi strano che siaben dire che Colt ed Alcoa (la «Coltalloy» con cessata la produzione delle Commander ca-cul è realizzato il fusto è una lega di allumi- merate per i calibri con minor energia di rin-nio, ad alta resistenza meccanica, del tipo T6, culo mentre viene sempre venduta la versio-prodotta dalla Alcoa) hanno aperto una nuo- ne .45 che, questa si, scalcia come un mulo,va strada nello sviluppo delle armi corte. Do- Dopo l’introduzione della Commander la po la versione 9 Para, la Commander viene Colt si concede una «pausa di riflessione» fi- camerata per il .45 ACP ed il .38 Super Auto, no al 1957, anno in cui ha inizio la produzio- oltre a 1.000 esemplari (In due lotti di 500) in ne della Gold Cup National Match .45 (erede cal. 7,65 Parabellum destinati all’ Italia. Nel della National Match), arma dedicata al tiro 1970 la Commander è affiancata dalla Com- agonistico che, negli S.U., è consentito anche bat Commander con fusto in acciaio (anche con il .45. La Gold Cup è una splendida piquesta camerata per 9 Para, .38 S.A., .45 stola da tiro che si discosta dalla Government
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per molti particolari: oltre alla canna match, a ll’azione finita a mano, alle contenutissime tolleranze ed al mainspring-housing piatto come quello della 1911, sono stati modificati bushing (aggiustato manualmente su ogni arma), carrello (più leggero, con finestra di eiezione diversamente sagomata, bindella trattata an- tirlflesso, mire micrometriche) e grilletto (più largo, zigrinato e con regolazione della corsa di retroscatto). Nel 1961 alla Gold Cup .45 si affianca la Gold Cup Mark III National Match .38 Special; camerata per il .38 Special WC, dotata di chiusura labile e con caricatore da 5 colpi, la nuova arma è destinata alle gare di P.G.C. nelle quali non è ammesso il .45 ACP.
Il 1970, con l’introduzione delle Government MKIV Series 70 e della Combat Commander, è una pietra miliare nella storia recente della Colt e vede la scomparsa di tutti i modelli allora in produzione con l’eccezione della LW Commander, della .22 conversion unit e della MK III National Match .38 Special WC; Le
Commander e le unità di conversione sono rimaste in produzione, nella loro forma originale, fino all’avvento della serie 80; la MK III .38 Special si è trascinata stancamente fino al 1974, anno in cui scompare senza troppi rimpianti dalla scena. A partire dal 1970 e fino al 1978, la produzione Colt, basata sull’orlgina- le progetto Colt-Brownlng, è così articolata:— Government Model MK IV Series 70 cal.
.45ACP/.38S.A./9 Parabellum;— Gold Cup MK IV Series 70 cal .45 ACP;— Commander (LW) cal. .45ACP/.38S.A./9
Parabellum;— Combat Commander negli stessi calibri;— .22 conversion unit destinate a Govern
ment e Gold Cup.Se le Commander (LW) sono identiche a
quelle prodotte fino al 1949 (solo la sicura, così come per gli altri 0 trame, è dotata di superaci maggiorate per renderne più comodo l’uso) e le Combat Commander ne sono la versione con fusto in acciaio, Government e Gold Cup presentano alcuni cambiamenti rilevan-
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Government Model 9 Luger. Contrariamente a quanto si crede non sono pochi coloro che. anche negli Stati Uniti, vogliono il 9 Parabellum pur apprezzando il disegno Colt Government.
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Collet bushing (di una .45 HP) a confronto con bushing monopezzo (di una 9 Steyr).
1911 A1 commemorativa della II Guerra Mondiale — Teatro Europeo.
ti: introduzione del cal. 9 Parabellum, bushing di nuovo disegno e modifiche alla canna. Sembrano piccolezze e invece sono cambiamenti che hanno richiesto anni di studio. Verso la fine degli anni 60 alla Colt si pongono il problema di incrementare significativamente la precisione della Government senza penalizzazioni alla sicurezza di funzionamento in condizioni limite. Scartate a priori le possibilità di variare sostanzialmente il disegno dell’arma o di ridurre le tolleranze costruttive mantenendo inalterata la meccanica (l’arma ottenuta sarebbe, come la Gold Cup, più precisa ma anche più sensibile all'ingresso di corpi estranei o all’accumulo di residui della combustione), gli ingegneri della Colt si indirizzano su una soluzione che mantenga il maggior numero possibile di parti in comune con le armi già in produzione. Partendo dalla constatazione che un arma con canna mobile è tanto più precisa quanto più la canna riassume la stessa posizione dopo ogni colpo, si decide di intervenire sui maggiori responsabili del corretto riallineamento della canna: la canna stessa,
il bushing e la chiusura. Dopo un congruo periodo di studi e sperimentazioni si giunge, nel 1970, alla produzione di una nuova arma in cui il bushing è radicalmente diverso dal precedente. Il nuovo bushing è costituito da una corona circolare dotata di 4 appendici elastiche in acciaio temperato (disposte a 60° — 120° — 240° — 300° lungo la circonferenza del bushing stesso) che hanno il compito di «centrare» esattamente la canna dopo ogni colpo. Nella sua metà posteriore, ogni appendice ha (vedi foto) una curvatura verso l’interno che riduce il diametro del cerchio inscritto fra le 4 appendici. La canna è sostanzialmente identica a quella della 1911 A1 con l’eccezione del tenone posteriore di dimensioni maggiori (è parimenti maggiore anche la relativa sede nel carrello) e del profilo della parte compresa tra risalto anteriore di chiusura e volata. Il diametro esterno della canna è pari a 14,351 mm. dal risalto anteriore fino a 16,51 mm. dalla volata dove il diametro aumenta fino a 14,732 mm. per restare poi costante. In posizione di riposo, il cerchio più stretto inscrit-
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1911 A1 commemorativa della II Guerra Mondiale — Teatro del Pacifico.
to fra le appendici ha diametro di 14,478 mm. e quindi il bushing è libero di scorrere lungo la canna, anche quando questa è basculata, ma la Impegna saldamente, in vicinanza della volata, quando l'arma è In chiusura ed anche nel tratto Iniziale (finale) della corsa retrograda (in avanti) del carrello, quando la palla non ha ancora lasciato la canna. La canna non è trattenuta solo dalla forza delle appendici elastiche ma anche dall’interazione fra canna-appendici e pareti del carrello. Con l'arma in chiusura, le appendici, allargandosi, contrastano con le pareti del carrello rimanendo imprigionate tra le stesse ed il profilo esterno della canna e formando così un vincolo estrema- mente saldo. Il sistema fornisce un corretto posizionamento della volata, ma, quando l’arma va in chiusura — e la culatta si alza, — non basterebbe da solo per consentire un perfetto allineamento; basta considerare il vantaggio meccanico della canna dalla parte della culatta (braccio di leva = 127 mm.) contro la forza esercitata dalle appendici del bushing il cui braccio di leva è pari a 16,51 mm.. Per
questo motivo, oltre ad aumentare le dimensioni del tenone in culatta, le tolleranze tra risalti di chiusura e sedi nel carrello sono ridotte al minimo, così come è ridotta al minimo la tolleranza sulla lunghezza della blelletta di svincolo. Le modifiche e le differenti tolleranze studiate per la MK IV non inficiano minimamente la «realiability» della pistola Colt e consentono un certo incremento della precisione rispetto alle precedenti Government Model (per la Gold Cup non c ’è stato alcun incremento poiché questa pistola è sempre stata costruita con tolleranze contenutissime e tenendo conto solo della necessità di fornire altissima precisione). Pur non compromettan- do l’affidabilità dell’arma, i vari cambiamenti richiedono una maggior cura da parte del fabbricante, pena uno scadimento generale delle prestazioni. Per il collet bushing, in particolare, è necessario uno stretto controllo di qualità (con particolare riguardo al trattamenti termici), le appendici non si devono assolutamente piegare, deformare, snervare o usurare per non creare problemi di funzionamento
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New Service Model Ace. La produzione di questa arma è iniziata nel 1977 abbinando fusti di Government a Carrelli identici a quelli della .22 Conversion Unii. Viene importata in Italia ed è stata la prima •<Government» disponibile dopo le famose circolari che avevano tolto di circolazione anche le poche Comman- der originali e 1911/1911 A1 ritubate allora circolanti nel nostro Paese.
Government Model 9 Steyr, prodotta specificatamente per il mercato italiano potrebbe essere una valida alternativa al .38 Super Auto disponendo di bossoli più robusti a caricamenti adeguati.
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Prima arma della Serie 80 è stata la Government Model .380; simile ad una Government .45 ma in scala ridotta ha però catena di scatto nuova e chiusura modificata.
e, al limite, l’inoperabilità deN’arma. In una ottica militare è ancora preferibile il bushing convenzionale, più facile da fabbricarsi, meno soggetto ad usura e quasi indistruttibile.
Fino al 1978, con l’eccezione di particolari serie commemorative (serie che la Colt ha da sempre sfornato con regolarità e che, ancora oggi, continua a proporre periodicamente), non ci sono state altre novità: in quell’anno entra in commercio la New Service Model Ace, rivistazione della S.M. Ace con fusto della Government .45 e carrello esteticamente identico alla Gold Cup (nei primi anni '70 sono state prodotte diverse centinaia di Gold Cup .22, alcune delle quali importate in Italia) ma con finiture e catena di scatto assolutamente di serie.
Ultime nate della serie 70 sono state (1983) le Combat Government .45 ACP (in pratica Government Model accuratizzate, con scatti alleggeriti, dotate di mire fisse tipo combat, sicura dorsale con coda lunga e sagomata in modo da proteggere la mano, mainspring hou- sing piatto come quello della 1911 ma zigrinato, guancette Pachmayr tipo combat) e la versione 9 Steyr, destinata al mercato italiano, della Government MK IV; la Government 9 Steyr, come alcune delle prime 9 Parabel
lum, manca del collet bushing sostituito da un bushing «solido» come quello montato sulle armi ante serie 70 e sulle Commander.
Intorno al 1938 la Colt ha studiato e brevemente prodotto una variante della Government dotata di una sicura automatica al percussore che però, contrariamente a quella della contemporanea P38, impediva solo l’avanzamento del percussore ma non lo bloccava solidamente. Scomparse entro breve tempo e mai più riesumate le Government con arresto del percussore sono ormai solo prelibati pezzi da collezione e solo nel 1980 la Colt ha iniziato la produzione di una sua pistola dotata di blocco al percussore. Si tratta della Government Model .380, pistola che si richiama formalmente alla Government ma se ne differenzia, oltre che per le dimensioni molto più compatte, per pesanti variazioni della meccanica. La chiusura ha un solo risalto e la bielletta è stata sostituita con uno zoccolo dotato di profilo a camme tipo SIG 210; la catena di scatto ricorda molto quella della Beretta 70; manca la sicura dorsale ma è stata aggiunta quella al percussore. Quest’ultima ha la strana caratteristica di funzionare solo a cane armato e quindi, a cane abbassato, la pistola ha solo un banale percussore inerziale.
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Schema di funzionamento del blocco al percussore adottato sulle Colt M K IV Serie 80. Nel suo movimento retrogrado l ’appendice del grilletto entra in contatto con la «Trigger bar lever» (I) spingendo indietro il braccio inferiore di questa ne provoca il sollevamento di quello superiore che, impegnando la camma nella «Plunger lever» (II) fa si che l ’appendice di
questa sollevi il fermo del percussore che è normalmente trattenuto in basso dalla spinta della molla antagonista. Una volta sollevato il piolo di blocco, il percussore è libero di avanzare a va a colpire l ’innesco sotto la spinta del cane che viene liberato quando l'appendice del grilletto incontra la leva di scatto.
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Gold Cup Serie 80, al pari della Government, differisce dalla Serie 70 per l'aggiunta del blocco al percussore. In .45 HP è la prima Gold Cup disponibile sul mercato civile italiano.
A partire dal 1983 la Colt ha Iniziato la produzione, inizialmente solo in calibro .45 ACP, della Government Model Serie 80 prima pistola in assoluto, fra quelle prodotte ad Hartford, dotata di una sicura automatica che blocca completamente il percussore, indipendentemente dalla posizione del cane, se il grilletto non è completamente premuto. Volendo mantenere al massimo la comunanza di parti e quella concettuale con la precedente produzione, la catena di scatto è rimasta sostanzialmente invariata salvo l’aggiunta di due levette imperniate una sul perno della leva di scatto e l’altra su quello del cane. Premendo il grilletto, l’appendice posteriore dello stesso agisce sulla prima levetta (quella imperniata sul perno della leva di scatto) che a sua volta fa sollevare la seconda in modo da spingere in alto il pistoncino di blocco alloggiato nel carrello. È un sistema semplice ma richiede tolleranze molto contenute e genera attriti parassiti che possono però essere quasi totalmente eliminati lucidando le parti in contatto, cosa questa mai fatta di fabbrica e così le Serie 80 hanno uno scatto non pesante ma abbastanza spugnoso. Oltre alla sicura automatica sul percussore, la Serie 80 è caratterizza
ta dal cane in cui la tacca della mezza monta (quella che serve per intercettare il cane se sfugge dalla tacca di armamento a grilletto non premuto) viene sostituita con un robusto gradino in modo da eliminare i rischi di rottura della monta di sicurezza. Oltre alla presenza delle nuove parti, la sicura al percussore ha richiesto la modifica di alcuni elementi e così cane, percussore ed estrattore non sono intercambiabili con quelli della Serie 70. A parte quanto visto le armi della Serie 80 sono identiche alle omonime della Serie 70.
Dopo la Government .45, tutte le altre pistole basate sullo O trame (designazione Colt per le Government Model) sono state aggiornate alla Serie 80 (in pratica Government, Gold Cup, Commander e Combat Commander nei vari calibri oltre a SM ACE e .22 Conversion Unit) che comprende oggi anche altri modelli sviluppati nel quadro della Serie 80. Prima fra le nuove pistole è stata la Officer ACP, versione compatizzata della Government lunga 180 mm e alta solo 125 con capacità del caricatore ridotta a 6 colpi .45 ACP (non sono previsti altri calibri ad eccezione del .45 HP per il mercato italiano). Sulla Officer è stato possibile ridurre sostanzialmente la lunghezza
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La Officer’s Model è nata quale risposta della Colt alla Detonics e a tutte quelle Government «rimpiccolite» dai vari artigiani. Arma relativamente piccola mantiene il calibro .45 ed è disponibile anche in Italia come .45 HP.
Offlcer s ACP parzialmente smontata, si nota la forma particolare della canna necessaria per assicurare il ritorno costante nella stessa posizione in modo da non compromettere la rosata.
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Con la Serie 80 la Colt ha introdotto anche l'acciaio inossidabile, sono così disponibili Government e Gold Cup completamente realizzate con questo materiale. Sono entrambe importate in Italia nel calibro .45 HP
Alla prima Officer's Model sono state poi affiancate la Officer's Lightweitght con fusto in lega e quella Stainless (visibile nella foto) in acciaio inox, tutte in .45 ACP. (45 HP per l ’Italia)
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la Combat Elite la Colt offre di serie una pistola dotata di quasi tutti gli optional normalmente installati dagli artigiani, il tutto ad un prezzo non ridottissimo in assoluto ma inferiore rispetto all’acquisto di una Government ed alla sua successiva modifica. La Combat Elite è caratterizzata da: fusto in acciaio inox, sicura dorsale d i maggiori dimensioni, catena di scatto accura- tizzata, mire combat con riferimenti bianchi, finestra di espulsione maggiorata, camera e rampa lucidate in modo da consentire la perfetta alimentazione con qualsiasi tipo di palla. In .45 HP è ora disponibile anche sul mercato nazionale.
9 mm. conversion unit: viene prodotta dalla Colt a partire dal 1986 per coloro che, già disponendo di una M KIV Serie 80 in altro calibro vogliono usare anche il 9 Parabellum. Se l ’arma è in .45 sarà necessario sostituire l ’espulsore per avere una totale affidabilità nell'eiezione del bossolo.
ÌOLT'MK ¡V,
grazie all’adozione di una nuova canna con profilo terminale esterno a sezione conica in modo da centrarsi nel ridotto bushing montato sulla pistola; oltre alla canna sono stati modificati bushing e tappo per la molla di recupero, quest’ultima è ora costituita da due molle una dentro all’altra.
Un altra novità della Serie 80 è stata l’ado-
prodotta solo in 5.000 esemplari su richiesta di un grosso distributore statunitense (Lew Horton) è nata la General Officer che accoppia un carrello Officer al fusto della Commander in lega di alluminio; l’idea deve essere piaciuta perché alla General Officer hanno fatto seguito la Officer Lightweight, una Officer ACP (termine intercambiabile con Officer Model) con fusto in lega, e la già menzionata Stain-
zione dell’acciaio inossidabile, dopo la Go- less Steel Officer Model.vernment .45 Stainless sono state immesse sul mercato anche Gold Cup e Officer Model fabbricate con acciaio inox. Le armi inossidabili non sostituiscono gli analoghi modelli in acciaio al Cr Mo ma gli si affiancano.
La Officer Model ha dato vita ad una ulteriore estensione della famiglia Government;
Ultime novità, in ordine di tempo, la Combat Elite (una Combat Government Serie 80 con fusto in acciaio inox), le unità di conversione al calibro 9 Parabellum per le Government Serie 80 e le versioni «ultimate» (con finitura particolarmente curata) Government e Officer Inox.
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Con un processo simile a quello che dalla Commander ha portato alla Officer’s, la Colt ha derivato, dalla Government .380, la piccolissima Mustang: una 9 corto a chiusura stabile più compatta di molte 6,35 Browning. Speriamo di vederla prima o poi anche in Italia, se tecnicamente possibile in 9 Ultra ma sarebbe interessante anche nel più debole 7,65 Browning.
con la Serie 80 la Colt ha iniziato a produrre le sue canne .38 Super Auto in modo che la cartuccia faccia head-space sull’orlo del bossolo e non più sul minuscolo risalto (rosata e sicurezza di funzionamento ne risultano drasticamente migliorate); sono in commercio delle Combat Commander in calibro 9 Steyr matricolate come armi della Serie 80 ma mancanti della sicura al percussore e quindi Serie 70 a tutti gli effetti.
Dopo lunghi anni di forzato digiuno finalmente anche gli appassionati italiani possono disporre di quasi tutti i modelli basati sulla O trame. Sono infatti disponibili: Government brunita, inossidabile e ultimate; Combat Elite; Officer’s brunita, inossidabile, «ultimate» e «lightweight»; Gold Cup brunita e inossida-
lia sono camerate per la .45 HP, cartuccia ad hoc per il nostro Paese dove il .45 ACP viene ancora considerato «cattivo» e se ne differenzia per il bossolo più corto di un millimetro, sovrapponibile alla hardball del .45 ACP (FMJRN da 230 grani) non è però intercambiabile con questa.
Per completare il quadro sulla Serie 80, si deve ricordare la Mustang, minuscola pistola calibro 9 corto a chiusura stabile derivata dalla Government .380 con procedura identica a quella che ha portato dalla Government 45 ACP alla Officer ACP.
È forse pleonastico ma giova aggiungere che i carrelli dellaSerie 80 non sono intercambiabili con quelli della Serie 70 a meno di importanti modifiche.
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LA MECCANICA COLT-BROWNING
Cuore di ogni arma è la chiusura e quella Colt-Browning rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione delle armi corte, oltre ad essere, ancora oggi, una delle più usate (nella forma originale, perché se si considerano anche quelle derivate, la chiusura Browning è stata ed è la più usata, in assoluto, su pistole con chiusura geometrica).
Tipologicamente, quella della Government è una chiusura stabile a corto rinculo e cioè, sia prima che dopo lo sparo, canna e carrello sono saldamente collegati da un vincolo meccanico che si interrompe solo dopo una corsa iniziale di lunghezza inferiore a quella del bossolo (max. 0,5 I. bossolo), quando le pressioni in canna sono ormai scese a livello di sicurezza.
Nella pistola Colt, otturatore e carrello formano un solo pezzo, nella parte superiore del carrello (davanti alla finestrella di espulsione) sono ricavati due intagli semilunari nei quali, ad arma chiusa, alloggiano i corrispondenti risalti della canna; questa è articolata su una bielletta (posta sotto la camera di scoppio) collegata al castello da un perno intorno al quale può ruotare (il perno è quello dell’hold- open). Alla partenza del colpo canna e carrello rinculano, per un primo tratto, solidamente collegati; durante questo primo tratto la canna inizia ad abbassare la culatta che compie una rotazione di un arco di cerchio (la canna è il raggio e la volata il centro) al cui termine i risalti escono completamente dalle sedi (l’abbassamento della culatta avviene sotto l’azione della bielletta) svincolando canna e carrello. A svincolo avvenuto, la canna si arresta mentre il carrello continua la sua corsa retrograda vincendo la forza della molla di recupero,
molla che, distendendosi, riporterà il carrello in batteria provocando la cameratura di una nuova cartuccia e l’attuazione della chiusura.
Con la cameratura del colpo entra in gioco un aspetto importantissimo, ma ai più sconosciuto, della meccanica Colt-Browning: l’alimentazione controllata. Chiunque abbia osservato, anche solo fuggevolmente, la relazione tra canna e fusto esistente sulle semiautomatiche Colt, non può non essersi chiesto come è possibile che queste pistole digerisca-
Contrariamente a quello che accade su molte pistole (che camerario il colpo e poi lo agganciano con l'estrattore), sulle armi di tipo Colt-Browning la gola sul bossolo viene impegnata dall'estrattore già quando la cartuccia sta fuoriuscendo dal caricatore. Questa caratteristica, riscontrabile anche sul K 98, contribuisce non poco alla leggendaria affidabilità della pistola in esame.
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no cartuccia su cartuccia con monotona regolarità. È pur vero che la .45 ACP con palla FM-J è munizione ideale per quanto riguardal’alimentazione, quale che sia l’arma per essa camerata (massa notevole, indovinato rapporto lunghezza diametro, bossolo rimless a pareti diritte, profilo esterno della palla), ma per le .45 con altra palla e per le munizioni adottate, di volta in volta, sullo «old warhor se»? La risposta ad una domanda del genere investe più fattori (lucidatura ed angolo della rampa di alimentazione, raccordo degli spigoli vivi suila faccia posteriore della canna, finitura della camera di cartuccia, ecc.) ma, fra questi, quello di gran lunga più importante è l’alimentazione controllata.
Alimentazione controllata significa che la cartuccia viene estratta dal caricatore ed impegnata dall’unghia estrattrice (in verità l ’unghia estrattrice inizia ad impegnare la gola nel bossolo già prima che questo lasci le labbra del caricatore) prima di essere del tutto camerata (come avviene nelle azioni K 98); in questo modo la pistola può sparare da qualunque posizione (anche rovesciata) senza che la cartuccia assuma angolazioni tali da prevenirne la cameratura. Con la normale cartuccia a palla la parte anteriore della stessa inizia a scorrere suila rampa (al limite urta contro il «cielo» della camera di cartuccia se ia munizione è molto lunga) prima che il bossolo abbia abbandonato completamente il caricatore ma,
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con l’alimentazione controllata, accade che contemporaneamente l’unghia estrattrice impegni la gola e quindi controlli la parte posteriore della cartuccia. In fase di alimentazione, la cartuccia è trattenuta sia davanti (rampa) che dietro (unghia estrattrice) durante tutto il ciclo di alimentazione e pertanto, anche quando ha lasciato le labbra del caricatore, non può presentarsi disassata rispetto alla camera. Con munizioni più corte rispetto al .45 ACP standard (.45 ACP con altra palla, 9 parabellum, altri calibri con palle leggere) è necessaria una modifica ai caricatori (attuata da diversi anni sulle Colt commerciali) in modo che le labbra degli stessi liberino il bossolo prima di quanto non accada con i normali caricatori militari; così facendo la gola sul bossolo viene impegnata anticipatamente dall’unghia estrattrice e la cartuccia è inserita in camera sufficientemente allineata con l’asse della stessa e non molto disassata, come normalmente avverrebbe usando munizioni di lunghezza inferiore alla standard (questo riduce anche la possibilità che la bocca del bossolo e/o la testa della palla si impuntino sulla rampa o sui bordi della camera). Naturalmente, per l’alimentazione controllata risultano criti
che la distanza tra unghia estrattrice e faccia otturatore nonché le condizioni della faccia e dell’unghia. Una distanza eccessiva o insufficiente provoca inceppamenti, così come li provocano eventuali scabrosità sulla faccia dell’otturatore o sulla superficie dell’unghia estrattrice (lo spigolo inferiore della stessa deve sempre essere raccordato e mai vivo).
Tutta la meccanica della Government è improntata alia massima semplicità ed anche la catena di scatto non fa eccezione. Premendo il grilletto questo, con il suo prolungamento, agisce sulla leva di scatto sottraendola al cane il quale sotto l’azione della molla cinetica, percuote ¡1 percussore inerziale alloggiato nel carrello. L’arma non funziona a raffica per la presenza di un disconnettore che viene attivato dal carrello, infatti la testa del disconnettore protrude dal fusto (sulla mezzeria davanti al cane) e non viene premuta verso il basso (interrompendo la catena di scatto) solo quando l’arma è in chiusura perché allora coincide con una apposita sede ricavata nella parte inferiore dell’otturatore. La pistola è dotata di una sicura manuale, posta sulla sinistra del fusto, che blocca la leva di scatto ed è inseribile solo con cane armato; è pre-
Coonan e L.A.R. Grizzly (pagina accanto) sono, calibri a parte, solamente l'ennesima rivisitazione del progetto Colt-Browning e diverse parti di queste armi sono intercambiabili (talvolta con qualche aggiustaggio) con le analoghe delle Government.
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sente anche una sicura dorsale che impedisce la partenza del colpo se l’arma non è saldamente impugnata. Unici potenziali punti deboli della catena di scatto sono la molla a lamina multifunzionale e l’indebolimento della leva di scatto provocato dalla necessità di lasciare spazio per il passaggio del disconnettore (questo passa attraverso la leva di scatto). La molla a lamina multifunzionale è dotata di tre branche che caricano: grilletto (funge da molla antagonista), leva di scatto, disconnettore e sicura dorsale. Dopo un lungo uso la molla a lamina può indebolirsi (sopratutto la branca all’estrema destra che carica la sicura dorsale) ma, quasi mai, rompersi. È possibile ridare forma alla branca indebolita ma è più semplice sostituire l’intera molla perché facilmente disponibile ed a un prezzo con-
tenuto.Per anni praticamente invariata a meno del
collet bushing, la meccanica Government ha visto solo recentemente una aggiunta significativa costituita dal bloccaggio del percussore. È degno di nota come, con relativamente poche modifiche sia stato così possibile eliminare un vero tallone di Achille proprio di tutte le pistole con percussore inerziale: la partenza accidentale di colpi in seguito a caduta dell’arma, sia a cane alzato che abbassato.
Con la meccanica Government è stato fatto praticamente di tutto e così pistole «nuove» come la L.A.R. Grizzly ’45 Magnum e la Coo- nan .357 Model A sono solo Government rivedute e corrette. Rivedute e corrette fino ad un certo punto visto che diverse parti risultano intercambiabili o quasi.
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Colt Government e automatica .45 ACP sono quasi sinonimi; la pistola di Browning è stata inizialmente dimensionata intorno al .45 ACP ed è stato questo uno dei motivi di successo (è valido anche il contrario) viste le notevoli prestazioni della cartuccia e la sua morfologia che, insieme alla notevole massa della palla ed alle basse pressioni erogate, facilitano non poco il corretto funzionamento di una pistola semiautomatica anche in condizioni limite. L’originale cameratura in .45 ACP ha poi consentito anche un vasto potenziale di sviluppo perché, progettata intorno ad una grossa cartuccia, la Government non ha posto problemi eccessivi quando si è trattato di passare a munizioni più rispondenti ad altre esigenze ma dimensionalmente più piccole.
Tecnicamente, storicamente e quantitativamente, la .45 ACP risulta più importante di qualsiasi altra cartuccia adottata per la Government e non sono poche le cartucce via via camerate nella grossa Colt, come la .455 Webley Auto, .38 Super Auto, 9 Parabellum .22 L.R., .38 Special Wad Cutter, 7,65 Parabellum, 9 Steyr e .45 HP (le ultime tre esclusivamente per il mercato italiano) sono le cartucce per le quali la Government e i suoi derivati sono stati camerati dalla Colt. Non è proponibile trattare tutte le munizioni che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con Government e derivati; per questo motivo limiteremo l’analisi al .45 ACP ed alla .38 Super Auto, quest’ultima perché ha segnato una svolta essendo stata la prima cartuccia ad alta intensità camerata nella Government.
.45 ACPSviluppata da John Moses Browning nel
1905 ed adottata nel 1911 daH’U.S. Army insieme alla Colt Government è, insieme al 9 Parabellum, la più diffusa munizione miltiare per armi corte e pistole mitragliatrici al di fuori del blocco comunista.
Dotata di indubbie qualità per quanto riguarda l’alimentazione, la sicurezza di funzionamento e le prestazioni di balistica terminale, è però una cartuccia a bassa intensità (press. max ammissibili inferiori a 1.350 atmosfere) e come tale dotata di relativamente bassa Vo con conseguente scarso potere perforante e traiettoria curva. L’essere una munizione a bassa intensità è però anche un vantaggio per il modo in cui si sviluppa la curva pressoria e per la contenuta pressione unitaria, con conseguenti minime sollecitazioni impartite all’arma (N.B.: non ci riferiamo all’energia di rinculo, decisamente notevole, ma alle pressioni di esercizio ed alla temperatura dei gas).
Originariamente il .45 ACP montava una palla da 200 grani con V0 = 900 f/p.s. ma i militari preferirono adottare una palla da 230 grani (disegnata dal Frankford Arsenal) per Incrementare potere di arresto e sicurezza di funzionamento. Per molti anni (fino alla fine degli anni 30) sono coesistite entrambe le versioni, attualmente le munizioni militari sono quelle sotto elencate.— Cartridge, callber .45, Ball, M 1911
palla FMJRN pesante 234 grani con rivestimento in lega di rame oppure 231 grani con rivestimento in acciaio decarburato placcato con gildlng.Vm = 855 f/p.s. a 25,5 piedi dalla bocca — P. max = 19.000 P.S.I. bossolo in ottone.
— Cartridge, caiiber .45, Ball, M 1911, Steel Case, c.s. ma con bossolo in acciaio.
— Cartridge, caiiber .45, Ball, M 1911, Match Grade palla FMJRN da 234 grani rivestita in lega di rameVm = 855 ± 25 f/p.s. a 25,5 piedi dalla bocca — P. max 19.000 P.S.I.Bossolo in ottone — dispersione media max. ammissibile = 3” a 50 yds
— Cartridge, caiiber .45, Test, High Pressure, M1
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munizionamento di prova da non usarsi normalmente nell’arma, sviluppa una P. max = 22.000 P.S.I.
— Cartridge, caliber .45, Blank, M9 cartuccia a salve, è ammessa una perforazione max. con 0 0,1” su schermo di carta a 15 piedi dalla volata. Ne esiste anche la versione con bossolo in acciaio: M9 Steel case.
— Cartridge, caliber .45, Tracer, M26dati balistici come .45 Ball, M1911, il tracciate deve essere visibile da 15 yards dalla volata fino alla distanza minima ammissibile di 150 yards. Ne esiste anche la versione con bossolo in acciaio: M 26 Steel case.
— Cartridge, caliber .45, Match, Wad cutter Munizioni commerciali acquistate di volta in volta per l’uso di gara, devono possedere i seguenti requisiti (riferiti ad una serie di 10 colpi):
— palla da 185 grani FMJSWC rivestita in gil- ding; a 15 piedi dalla volata, la variazione max. ammessa di velocità è 45 piedi su una Vm = 765 f/p.s.; la pressione media max. ammessa deve essere pari od inferiore a 18.000 P.S.I. con una escursione massima (tra il colpo con pressione più alta e quello con pressione più bassa) inferiore ai 6.200 P.S.I..
— Dummy cartridge, caliber .45, M 1921
false cartucce per familiarizzazione al maneggio dell’arma, si identificano esternamente per la presenza di un foro sul bossolo. Ne esiste anche la versione con bossolo in acciaio: M 1921 Steel case.
— Munizioni .45 a pallini destinate alte FF.AA.
Negli anni '30 la fabbrica Peters vendeva una cartuccia cal. .45 ACP con la palla sostituita da un contenitore in carta pieno di pallini; questa munizione era destinata ad essere usata nei Thompson per il controllo delle rivolte all’ interno dei carceri. Nel 1942 la Remington ricevette un contratto, da parte del- l’Army, per la produzione di una cartuccia simile a quella della Peters ma destinata alla sopravvivenza dei piloti abbattuti (in quell’epoca, l’Aviazione militare degli S.U. era una branca dell’Esercito e si chiamava U.S.A.A.F.). Le cartucce Remington, denominate M 12, rimasero poco in servizio perché il contenitore di carta assorbiva facilmente umidità deformandosi e/o lacerandosi. Nel 1944 la M12 fu sostituita dalla M 15 con bossolo più lungo e senza contenitore in carta. Sia la M12 che la M15 venivano incluse nei kits di sopravvivenza, spesso insieme ad una canna liscia per la 1911 A1, ma non erano completamente soddisfacenti perché risultava impossibile usarle con i caricatori e la pistola poteva sparare solo un colpo per volta. L’uso della M15 è continuato fino alla Guerra
Una cartuccia calibro .45 ACP con palla incamiciata FMJ FIN, una cartuccia .45 ACP commerciale della Frontier con palla Sl/I/C da 185 grani, ed a destra una cartuccia commerciale calibro .45 HP della Hirtenberg.
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di Corea per poi scomparire, durante la Guerra del Vietnam si ripresentò la necessità di una munizione cal. .45 ACP con caricamento a pallini; questa volta era però «conditio si ne qua non» che la cartuccia a pallini permettesse il funzionamento degli automatismi nelle 1911A1 e negli M 3 Grease Guns e non presentasse il minimo problema di alimentazione dai caricatori; infatti, la cartuccia richiesta non era destinata solo alla sopravvivenza in ambiente ostile, ma anche a imprecisate «operazioni speciali». La nuova munizione impiegava un bossolo convenzionale ed un contenitore in plastica e conteneva 28 pallini n. 4 ed un panettone 00 (l’accento era evidentemente posto sulle «operazioni speciali»). La cartuccia cal. 45 a pallini non ha mai ricevuto una denominazione ufficiale, né se ne conosce il fabbricante; scarsamente diffusa e meno usata è, ai più, quasi sconosciuta e ne sopravvivono pochissimi esemplari appartenenti a collezionisti. Alcune confezioni originali (provenienza CIA?) esistono oggi solo nella raccolta dei laboratori balistici dello FBI; le cartucce (bossolo marcato Sako!) sono impacchettate in contenitori «sterili» da 20 colpi, ogni contenitore reca solo una etichetta su cui è scritto: 20 cartridges, cal. .45 Special Purpo- se.
KTW e Arcane, due tipi d i munizioni che hanno portato del nuovo nel campo delle cartucce per pistola dando anche una nuova personalità a calibri come il .45 ACP che, soprattutto con le Arcane, vede accrescere le sue possibilità d i impiego.
— Munizioni Metal penetrating ed armour piercing
Uno dei difetti del .45 ACP è la scarsa penetrazione, a questo si è cercato di porre rimedio in vari modi; malgrado non esista una cartuccia .45 perforante standardizzata per uso militare, diversi arsenali governativi e fabbriche civili hanno prodotto munizioni «metal penetrating» ed anche «armour piercing» destinate all’uso militare e di polizia. Le strade battute sono state di tre tipi: palla di peso standard con camiciatura, in acciaio, molto spessa e spinta fino a più di 900 f/p.s. (una bella sventola); palla più leggera (in genere 185 grani) con nucleo perforante in acciaio (es. le Re- mington Highway Master) a velocità intorno ai 1.000 piedi al secondo; palla leggerissima con nucleo in acciaio temperato o in tungsteno e rivestimento in teflon, spinta a velocità impensabili per il .45 ACP (fino a 1.200-1.300 f/p.s.). La prima soluzione sollecita troppo l’arma ed ha valore solo come «metal penetrating», è sta
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ta, per lungo tempo, la preferita dai militari perché, anche se il potere perforante è ben lontano dalla semplice munizione a palla 9 Parabellum NATO, conserva un altissimo stopping power; la seconda è ormai da tempo in disuso (le Highway Master non vengono più prodotte dai primi anni 70 e non ci risulta che fabbriche civili o stabilimenti governativi producano, attualmente, un qualche cosa di equivalente) ma la terza si è dimostrata quella vincente, dando nuove ed insperate possibilità al .45 ACP. La munizione perforante con nucleo in acciaio temperato (il tungsteno è stato abbandonato per motivi di costo) è stata messa a punto dalla KTW e la sua realizzazione ha richiesto l’uso di tecnologie modernissime, infatti, solo la camiciatura In teflon (un lubrificante solido polimerico) ha consentito di raggiungere velocità iperboliche (per il .45) senza un eccessivo innalzamento del tetto pressorio (incompatibile con la strutturazione del binomio arma — cartuccia); la .45 perforante della KTW ha, più o meno, le stesse capacità penetrative di un 9 Para Armour Piercing di foggia convenzionale; chiaramente, quando la stessa tecnologia viene applicata alla 9 Parabellum i risultati sono ancora superiori. Un altra munizione che fa uso di palla leggerissima spinta a velocità folli è l’Arca-
ne Francese questa cartuccia dà risultati notevoli in tutti i calibri ed eclatanti nel .45 ACP. Per una sua analisi rimando i lettori al n. 2/86 della rivista.
— Nuova palla a testa piattaUltima evoluzione nello sviluppo del .45
ACP, come cartuccia militare, è la nuova palla da 230 grani studiata dai tecnici dei- l’A.F.A.L. (io stesso del programma XM 9). La palla messa a punto nei laboratori dell’Air Force è a testa piatta (incrementando così il potere di arresto senza dover ricorrere a munizionamento espansivo, proibito, per uso militare, dalle convenzioni internazionali) ma non presenta problemi di alimentazione grazie al particolare profilo esterno, studiato in modo tale che, quando incontra la rampa o la camera, la palla presenti sempre una superficie convessa. Tests esaurienti hanno dimostrato che la nuova palla offre sicurezza di alimentazione uguale o superiore rispetto alla classica round nose. le FF.AA. Statunitensi non hanno adottato la nuova palla ma, nel contempo, è stata sviluppata anche una palla analoga per il 9 parabellum (peso 124 grani); è quindi probabile che, anche col passaggio alla 92 F, le cartucce destinate a pistole e mitra in uso nei Servizi U.S.A. non adotteranno più la classica palla round nose, sostituendola con quella a testa piatta.
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Anche se la carriera marziale della nuova palla sviluppata dall’A.F.A.L. è rimandata ad un incerto futuro e ad un altro calibro, la stessa palla è stata molto ben accettata sul mercato civile e viene venduta come componente per la ricarica (dalla Hornady nel cal. .45ACP e 9 Para) ma anche montata su munizioni di fabbrica (cartucce Frontier, una fabbrica di proprietà della Hornady). Con la palla della Hornady lasciamo il campo delle munizioni con
Cartuccia .45 ACP brasiliana prodotta dalla D.T.P.E.
uso totalmente o prevalentemente marziale per quello delle cartucce destinate al mercato civile. Limiti di spazio ci impediscono di affrontare l’argomento, se non per sommi capi. Attualmente sono disponibili, sul mercato civile U.S.A., diverse decine di caricamenti per il .45 ACP e, anche trascurando i caricamenti speciali (e ce ne sono molti come Glaser Sa- fety Slug, Hard Cap a pallini, ...), le cartucce di fabbrica (non accenniamo neanche alle possibilità offerte ai ricaricatori) sono tantissime e tali da soddisfare qualsiasi esigenza (a solo titolo di esempio ricordiamo che il .45 ACP viene caricato commercialmente con palle di tutte le fogge aventi peso compreso tra 180 e 230 grani e velocità più elevate sono riservate per le palle di peso minore). L’unico limite del .45 ACP e della Government è nel tetto pressorio, che non può superare le 19.000 P.S.I. a meno di gravi rischi (il bossolo del .45 ACP ha pareti sottili ed inoltre la camera di cartuccia, per lasciare spazio alla rampa di alimentazione, è conformata in modo da non supportare completamente le pareti del bossolo); queto fatto, insieme allo sviluppo di wild- cat basati sul .45 ACP (.41 Avenger, .38/.45) ha portato alla nascita di nuove cartucce derivate dal .45 ACP ma che, rispetto alla progenitrice, hanno maggior lunghezza e pareti più spesse. Sono così apparse le .45 Wildey Magnum e la .451 Detonics Magnum che vengono impiegate in armi radicalmente nuove, come la Wildey a presa di gas, oppure in versioni pesantemente modificate della Colt- Browning (.451 Detonics Magnum e kits di conversione per Government e Commander) o anche in armi ispirate alla Colt ma diversa- mente strutturate (Grizzly).
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Introdotta nel 1929, come versione potenziata della vecchia .38 Auto, quale munizione sportiva e per uso da parte delle forze di Polizia (sembra per la capacità di penetrare i giubbotti antiproiettile allora piuttosto In uso da parte della Mafia) la .38 S.A. è stata, fino a poco tempo fa, la più veloce e potente munizione per pistola semiautomatica prodotta negli U.S.A. (nella Government, che ha la canna da 5” , la palla FMJ da 130 grani viaggia ad una media di 1.275 f/p.s.). Malgrado lo scarso rinculo (rispetto al .45 ACP) e le ottime prestazioni velocistiche (in media, a parità di peso di palla, la .38 sviluppa 200 piedi al secondo più del 9 Parabellum) non ha mai avuto un grande successo; questo fatto è dovuto a diversi fattori come la presenza di altri calibri più affermati (.45 ed i vari 9 mm.) e la mancanza, fino ad epoca recente, di caricamenti commerciali con palla diversa dalla FMJ da 130 grani; comunque, quello che più ha Influenzato lo scarso successo del .38 S.A. è sicuramente la scarsa precisione dimostrata nelle Government fino alla serie 70. Così come usciva dalla fabbrica, una Colt .38 S.A., era raramente in grado di competere, come precisione, anche con una 1911 A1. Il bossolo del Super Auto è del tipo semirimmed e l’head- space dipende dalla piccola corona circolare formata dal rim (larghezza massima 0,022” ) invece che dalla lunghezza del bossolo come avviene nello ACP e nel 9 Para (quest’ultimo aiutato anche dalla conicità del bossolo); se si considera che spessore e larghezza del rim possono variare da lotto a lotto e da fabbricante a fabbricante, si capisce come può accadere che il bossolo entri troppo a fondo in camera e venga trattenuto dal solo estrattore
oppure, al contrario (se ha rim troppo spesso) abbia una headspace troppo corto. Le variazioni nello headspace portano a variazioni dell’accensione nell’innesco e quindi a variazioni del punto di impatto (ferma restando qualsiasi altra variante). L’unico mezzo per fare si che il .38 S.A. eroghi tutta la precisione di cui è potenzialmente capace consiste nel cambiare headspace e farlo avvenire sull’orlo del bossolo; a questo scopo si può ricorre-
Tre cartucce calibro .38 Super Auto con palla FMJ.
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re a modifiche della canna originale (brasatura di una boccola e successiva rialesatura con un reamer opportuno), oppure alla sua sostituzione con una della Bar-Sto (o le nuove Colt) dove l’headspace avviene già sull’orlo del bossolo.
La .38 S.A. risulta molto importante nella evoluzione della Government perché rappresenta la prima munizione ad alta intensità per
cui l’arma è stata camerata (circa 35.000 P.S.I. contro i 19.000 della ACP), ed è un vero peccato che non sia stata apprezzata come avrebbe dovuto perché, se opportunamente camerata e caricata, potrebbe essere quasi l’equivalente di un .357 Magnum, con palla leggera sono tranquillamente raggiungibili energie cinetiche dell’ordine dei 70 Kgm. accoppiate con precisione adeguata).
Stampa: Grafiche Consolini (Bo) Allegato alla rivista Diana Armi
Tutti i diritti sono riservati
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A cura di:
VITTORIO BALZI
1 - NASCITA DELLA P 38
Con la sua P 88, da pochi mesi presentata commercialmente negli anni 1915-1917. L’i- in veste definitiva sui mercati mondiali, la Wal- nizio della Grande Guerra e la disponibilità di ther propone un ulteriore modello di pistola mi- disegni più validi preclusero ogni possibilità litare a doppia azione dotata di notevoli carat- alla Walther 9 Para con chiusura labile e fu teristiche tecniche e funzionali. Per la Walther solo nel periodo a cavallo tra la fine degli an- e per tutti gli appassionati dì armi, il 1988 non ni ’20 e l’inizio dei ’30 che apparvero ben dueè solo l’anno che ha visto l’ introduzione di un nuove Walther 9 Parabellum. Denominate en-nuovo modello; è anche l’anno del giubileo trame Mod. MP (Militär Pistole), le due pisto- della P 38: la prima pistola militare a doppia le erano esteticamente molto simili ma utiliz- azione del mondo intero, avveniristica al momento della sua introduzione in servizio ed ancora oggi attuale sia nella concezione che nelle possibilità operative.
La prima pistola Walther in calibro 9 Parabellum fu un semplice ingrandimento della P. 38 e P88: la sintesi di cinquanta anni di pi- Mod. 4 calibro 7,65 Browning e venne offerta stole Walther a chiusura stabile.
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Il 1988 è l ’anno del giubileo della P. 38 che la Walther ha voluto celebrare con una versione ad hoc della sua P. 38 post bellica ; oltre alla favolosa tiratura delle superfici, alle dorature ed alle speciali guancette in legno, questa P. 38 ha, per la gioia di collezionisti ed appassionati, il fusto in acciaio invece che il lega leggera.
Primo tentativo di realizzare una pistola Walther calibro 9 Parabellum fu quello concretizzatosi in una versione pantografata della Mod. 4.
zavano un diverso tipo di chiusura. Una delle MP era semplicemente una PP pantografata e manteneva quindi la chiusura labile, l’altra faceva uso di una chiusura metastabile simile a quella della Remington 51. Riprodotte in numero limitatissimo di esemplari, soprattutto la seconda che è praticamente sconosciuta, la due MP scomparvero ben presto per fare posto ad un nuovo radicale disegno che stava prendendo forma sotto la matita di Herr Fritz Walther e che ricevette anch’esso la de
nominazione MP. Fu questa terza MP ad originare tutta la successiva famiglia delle Walther a chiusura stabile, e non, come comunemente affermato, la derivata Armee Pistole. La MP «terza serie» (definizione personale ed impropria adottata solo per non ingenerare confusione) era dotata di una catena di scatto derivata da quella delle PP ma con l’aggiunta di una sicurezza automatica nel fusto che impegnava il cane impedendogli di raggiungere il percussore anche in caso di urto sulla volata; aveva inoltre il cane coperto da una carenatura del carrello ed il primo colpo poteva quindi essere esploso solo in doppia azione. Sulla MP «terza serie» comparve una nuova chiusura stabile costituita da due blocchetti scorrevoli verticalmente, situati sui fianchi della canna quasi in corrispondenza della camera di scoppio e dotati ciascuno di due risalti: uno antera-superiore ed uno infero-posteriore. Con la pistola in batteria pronta al fuoco i blocchetti, sotto la spinta di risalti del fusto, sono nella posizione superiore e rendono solidali canna e carrello che iniziano a rinculare insieme dopo la partenza del colpo fino a quando la canna non viene arrestata da un apposito risalto. In corrispondenza all’arresto della canna i blocchetti di chiusura vengono a mancare dell’appoggio inferiore e possono così scendere a questo forzati dal movimento retrogrado del carrello, carrello che agisce sui risalti posteriori. La discesa dei blocchetti libera completamente il carrello che può continuare la sua corsa retrograda completando estrazione ed espulsione e comprimendo le due molle di recupero simmetriche.
Ulteriore stadio nello sviluppo delle Walther a chiusura stabile fu la AP (Armee Pistole, Pistola per l’Esercito) che corresse molti dei difetti della precedente MP. Fu aggiunto un ponticello di rinforzo nella parte anteriore del carrello prima completamente aperta; lo slide- stop ed il chiavistello di smontaggio non furono più concentrati in un unico comando ma in due separati e con forma molto simile a quella definitiva; catena di scatto e tutte le parti interne ricevettero delle modifiche ma la modifica più importante fu quella relativa alla chiusura: abbandonati i due chiavistelli venne adottato un unico chiavistello oscillante svincolato da un pistoncino e dotato di due
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PP (a sinistra) e PPK sono sulla breccia dal 1929 ma conservano intatta la loro validità-, col loro successo contribuirono a creare la base industriale sulla quale si è poi sviluppata la P. 38.
La prima delie Walther Mod. MP fu una PP ingrandita e camerata in 9 Parabellum.
alette laterali. Quest’ultimo sistema fu quello definitivo mantenuto inalterato sulle successive P. 38.
A questo punto si potrebbe supporre che il prossimo stadio evolutivo sia stata la Heere- spistole mentre in realtà ci furono delle variazioni caratterizzate dal ritorno alla denominazione MP e facilmente riconoscibili esternamente perché per la prima volta i fianchi del carrello vennero lasciati completamente lisci senza i due risalti delle MP precedenti ed il
Questa Mod. MP può apparire semplicemente come un altra PP pantografata e soggetta ad alcune modifiche di dettaglio, in realtà su questa arma venne adottato un ritardo di apertura concettualmente simile a quello della Remington 51.
Si crede comunemente che «mamma» della P. 38 sia stata la Mod. AP\ in realtà l ’origine della famiglia deve essere fatta risalire ad una ennesima Mod. MP, arma che già conteneva «in nuce» molte delle caratteristiche proprie della P. 38.
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La MP «terza serie» (definizione inventata dall ’autore per distinguerla dalle precedenti) adottava una chiusura concettualmente assimilabile a quella della P. 38 ma realizzata attraverso due blocchetti scorrevoli verticalmente ed alloggiati sui fianchi della canna.
Anche se non è proprio la «mamma» della P. 38, la Mod. AP (Armee Pistole) può comunque aspirare a questo titolo visto che fu su questa che venne adottato per la prima volta il chiavistello di chiusura oscillante.
singolo della AP. Le MP furono le ultime Walther calibro 9 Para con canne coperto ed II loro quarto sviluppo sperimentale (verso la fine del1937 visto che I relativi brevetti sono del gennaio 1938 mentre quelli delle MP con cane interno sono del 1936 e l’attività di ricerca continuò nel ’36-’37 sulle AP ed MP della terza serie sperimentale) vide finalmente II cane scoperto anche se con forma non definitiva e cresta slmile a quella della successiva Tokarev. Se le prime MP IV serie furono semplicemente delle AP con cane esterno, le ultime incorporarono una caratteristica unica che ha poi costituito uno dei tratti peculiari delle P. 38 ed è oggi ritenuta indispensabile su tutte le pistole: la sicura automatica al percussore.
Il brevetto tedesco n. 715.716 del 2 aprile1938 è quello relativo alla Walther Mod. HP (Heeresplstole) e fu questa pistola, ulteriore affinamento della MP, ad essere presentata alla gara indetta dalla Wehrmacht per l’adozione di una nuova arma da fianco (anche se probabilmente le prime armi presentate furo-
Versione sperimentale a canna lunga della Mod. AP\ così come era molto di moda in quegli anni, questa pistola poteva essere dotata di calciolo amovibile.
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no delle MP IV serie) ed a diventare poi P. 38 dopo l’adozione ufficiale. È interessante notare come durante tutto lo sviluppo delle Walther a chiusura stabile l’attività di ricerca e sperimentazione non sia mai stata interrotta fino al 1940 e sla continuata, sia pure su scala ridotta anche in epoca successiva.
La stessa HP è stata sotto sottoposta ad un numero infinito di sperimentazioni e modifiche, spesso insignificanti ma continue. Il passaggio dalla MP IV serie alia HP comportò un nuovo disegno dell’impugnatura e di altri particolari; vide inoltre l’adozione di un nuovo estrattore, dell’avviso di colpo in camera e del carrello aperto superiormente chiuso da un elemento rettilineo dotato di appendici elastiche che serve anche per trattenere la tacca di mira. La Mod. HP mantenne la sicura automatica al percussore già sperimentata sulla MP
ma venne sperimentato anche un diverso sistema di sicura che prevedeva, oltre al bloccaggio, l'avanzamento del percussore in modo da sottrarlo all’ impatto del cane che andava così ad urtare direttamente sul carrello; da notare che tutte le Mod. HP con sicura che sposta in avanti il percussore hanno la testa di questo particolare a sezione quadrata mentre, al contrario, non tutte le pistole con percussore a testa quadra hanno la sicura che sposta il percussore In avanti e mantengono invece la sicura automatica e quella abbatticene Il cui barilotto sblocca II percussore prima dell’impatto.
Come già detto l’attività sperimentale fu notevole e cosi vi furono Mod. HP con fusto In lega leggera, altre In calibro 7,65 Parabellum a singola o doppia azione, altre ancora con mire per il tiro notturno o con riferimenti colo-
Se seguiamo l ’albero geneologlco della P. 38, dopo la Mod. AP ritroviamo un altra Mod. MP\ per la verità ne troviamo diverse, una delle quali è qui raffigurata montata e parzialmente scomposta.
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Fig. 8
rati, eco.. Le Mod. HP passarono attraverso ben tre diversi stadi di sviluppo e la terza serie fu quella definitiva che vide, oltre a modifiche di dettaglio, l’abbandono del percussore a testa quadra in favore di quello con testa circolare.
Malgrado la sigla P. 38 stia a significare Pistola adottata nell’anno 1938, l’adozione for-
Richiesti nel 1937, i brevetti per la meccanica della Mod. AP vennero concessi sul finire del 1938 e portano le firme di Fritz Walther e Fritz Barthelmes.
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Nov. 8, 1938. 2,135,992AUTOMATI C F I S T O L
F. WALTHER ET AL
Filed May 29, 1937 - 2 Sheets-Sheet 1
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La Mod. HP (Heeres Pistole) destinata al mercato civile, si differenziava dalle armi destinate ai militari per la splendida finitura delle su perfid.
male della P. 38 porta la data del 26 aprile 1940 mentre l’inizio della produzione, avvenuta in una fabbrica costruita ad hoc per produrre le pistole destinate alla Wehrmacht, è de! tardo ’39 con la c.d. serie Zero (così chiamata perché le matricole iniziavano col numero zero) all’ interno della quale si riscontrano ben quattro varianti sperimentali (vennero sperimentate molte modifiche di dettaglio o anche di una qualche sostanza, alcune delle quali già sperimentate in passato come la sicura che blocca il percussore e lo sottrae al cane spostandolo in avanti).
Nel frattempo la Walther commercializzò le praticamente identiche Mod. HP, sia per i mercati civili che per quelli militari (pratica dura-
Mod. Hp calibro 7,65 Parabellum.
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Vari tipi di sicura automatica al percussore sperimentati dalla Walther, l ’ultimo a destra è quello definitivo usato ancora oggi.
FIGI RE 3-37A
Alcune Mod. HP montavano un percussore a testa quadra, parte di questi percussori sono del tipo che viene spostato in avanti a ll’inserimento della sicura.
la fino alla fine della guerra; la RSI, ad esempio, acquistò delle Mod. HP in tutto identiche alle P. 38 dello stesso periodo) ma la direzione della Walther non tardò a comprendere quanto sarebbe stato utile poter commercializzare l’arma con un nome che facesse Immediato riferimento alla adozione marziale. Impossibilitati per Legge a commercializzare pistole col marchio governativo ufficiale (la sigla P. 38 Indicava anche che l’arma era proprietà del governo) I responsabili della Walther trovarono un geniale escamotage inventando Ipso facto le Mod. P. 38, definizione usata su tutte le pistole «commerciali» non marcate come Mod. HP.
P. 38 serie Zero.
Uno dei primissimi esemplari di P. 38 di serie, reca il n. 480 come sigla di identificazione della Walther.
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Walther Mod. P. 38. Questa pistola altro non è che una comunissima P. 38 ribattezzata Mod. P. 38 per aggirare il divieto di vendere pistole con una denominazione ufficiale.
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2 - L’ADOZIONE MARZIALE DELLA P. 38
Anche se mitizzata da stampa, cinema e letteratura, la Parabellum (alias Luger) non è mai stata una eccellente arma militare e negli anni '30 era ormai obsoleta da un pezzo.
Desideroso di sostituirla il Comando della Wehrmacht indisse, nel 1937, una gara ufficiale (i contatti informali erano già iniziati nel
Per quanto fosse un vero capolavoro di meccanica fine la Pistola 08 era, negli anni '30, ormai superata quale arma militare.
1934) per la scelta di un nuovo modello regolamentare e, come noto anche ai sassi, questa gara fu vinta dalla Walther. La Casa di Zel- la Mehlis potè vantare, oltre all’eccellenza del progetto, tutta la vasta attività sperimentale già condotta ed il notevole livello di sviluppo ormai raggiunto. Fattori questi ultimi che ebbero un peso decisivo perché con la guerra ormai alle porte i tedeschi non potevano perdere molto tempo nello sviluppo delle nuove armi; col senno di poi possiamo dire che questa volta la fretta non fu cattiva consigliera ed il progetto Walther, oltre ad essere quello al più avanzato stadio di sviluppo, era effettiva-
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Al concorso per la sostituzione della Parabellum la Sauer & Sohn presentò una versione ingrandita e dotata di una qualche forma di chiusura stabile della sua 38 (H).
Concorrente sfortunata della Walther fu la Mauser con la sua HSv.
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La Mauser HSv parzialmente smontata: notare il chiavistello oscillante fulcrato posteriormente e le molle di recupero alloggiate sui fianchi del calcio.
mente anche il migliore in assoluto. Tutto questo non ci esime comunque da un esame pur rapidissimo dei concorrenti sfortunati che furono la Mauser HSv, un prototipo Sauer & Sohn e la BSW della Berlin-Suhler Waffen Fahrzeugwerke. Per quanto riguarda il modello Sauer & Sohn non sono rimasti né prototipi, né disegni, né fotografie; stando ai «si dice» avrebbe dovuto trattarsi di una versione pantografata della 38(H) a doppia azione ma con una qualche sorta di chiusura stabile.
La Mauser HSv (Hahn-Selbstspannung, versuchung = Cane-caricamento automatico,
sperimentale) riprendeva alcune soluzioni mutuate dalla HSc ma faceva uso di una chiusura stabile con blocco oscillante che però, a differenza di quello della Walther, era imperniato posteriormente ed azionato da profili a camme del fusto. Abbastanza inusuale, anche se non originale in assoluto essendo stata adottata in precedenza dalle Le Français e dalle Webley & Scott, era la disposizione delle due molle di recupero: alloggiate sui fianchi dell’impugnatura ed agenti sul carrello a mezzo di apposite leve (una disposizione identica viene oggi usata sulle Beretta 950 e derivate). Riprodotta in pochissimi esemplari la HSv fu comunque oggetto di attività sperimentale fino al 1944 ed è interessante notare come la molto più tarda (anni 70) e parimenti sfortunata HSp abbia adottato una chiusura con blocco oscillante azionato da profili a camme.
Nel 1933 i tecnici della BSW (la BSW era la continuazione della Simpson e le autorità naziste la avevano inglobata dal 1935 nella
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Al concorso per la sostituzione della Parabellum partecipò anche la BSW con una interessante pistola a doppia azione dotata di chiusura stabile a sottrazione di gas. La pistola BSW smontata.
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Le prime P. 38 prodotte dalla Walther ebbero il codice 480.
fondazione Wilhelm Gustloff) avevano ottenuto il brevetto per una pistola a doppia azione e chiusura stabile a sottrazione di gas che venne sottoposta alla Wehrmacht nel 1937 dopo aver subito tutta una serie di modifiche ed aggiornamenti; sia il fabbricante che l’Esercito tedesco manifestarono un interesse abbastanza tiepido e sono rimasti solo due prototipi a testimonianza di un progetto che poteva avere risvolti interessanti. La chiusura della pistola BSW è attuata da un elemento assimilabile ad una leva di secondo genere infulcrata subito davanti alla guardia del grilletto e che arriva fino in prossimità della volata, zona dove si trova il foro di presa gas. Circa al termine del terzo anteriore della leva è ricavato un risalto che va ad impegnare una sede corrispondente nel carrello. Dopo lo sparo i gas spillati in prossimità della volata premono sulla leva abbassandola e liberando il carrello.
Eccellenza del disegno, stadio di approntamento molto avanzato, notevole esperienza commerciale e di industrializzazione nello specifico settore, sono i fattori che hanno consentito alla Walther Mod. HP di diventare la P. 38 trionfando su progetti più «acerbi» sul piano dell’evoluzione e della industrializzazione ma tecnicamente molto interessanti.
La sanzione formale dell’adozione della P. 38 come pistola di ordinanza è del 26 aprile 1940 e a quella data già si respiravano venti di guerra, venne quindi deciso di far produrre la pistola anche dalia Mauser e, per non dare informazioni utili ai futuri nemici, ciascun fabbricante marcò con un particolare codice le pistole di sua produzione destinate alla Wehrmacht. La Walther usò il codice 480 dal luglio al settembre 1940; dopo quel mese il codice divenne ac senza indicazione di anno, pratica che durò fino al mese di novembre. A partire dal dicembre 1940 le P. 38 di produzione Walther ricevettero il codice ac seguito dagli ultimi due numeri dell’anno di fabbricazione (ac40 - ac41...).
Le P.38 di fabbricazione Mauser ricevettero il codice byf seguito dagli ultimi due numeri dell’anno di fabbricazione dal 1940 al 1944 mentre II codice divenne svw, sempre seguito dall’anno di fabbricazione, nel 1945. Chi trovi delle P. 38 con il codice svw46 non pensi ad un errore: la Mauser continuò a fabbricare P. 38 per conto delle truppe di occupazione francesi in conto danni di guerra e tale fabbricazione durò per tutto il 1946. Si trovano talvolta delle P. 38 con guancette In lamiera imbutita e fosfatata, a quanto mi risulta sono tutte di fabbricazione Mauser e con il codice s v w .
Col progredire della Guerra aumentava sempre più il numero delle pistole necessarie, fu quindi deciso di affidare la produzione alla Spreewerke di Spandau, un sobborgo di Berlino, ditta specializzata nella produzione di pezzi d’artiglieria e loro componenti. La produzione Spreewerke iniziò nel 1944 e ricevette il codice cyq senza alcuna indicazione dell’anno di fabbricazione.
Walther, Mauser e Spreewerke furono i soli fabbricanti di P. 38 complete ma parti di queste pistole vennero prodotte anche da Fabri- que Natlonale (codice Ch), CZ e Brno sotto la
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Abbandonato it codice 480, le pistole Walther furono contraddistinte da quello ac dal settembre al novembre 1940 e da quello ac seguito dall’anno di fabbricazione a partire dal dicembre 1940.
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Marcate con la sigla byf seguita dall’anno di fabbricazione, le P. 38 prodotte dalla Mauser ricevettero invece la sigla svw (sempre seguita dall’anno di fabbricazione) a partire dal '45 e fino ai '46 (pistole prodotte per il governo francese).
Cyq è il marchio che distingue la P. 38 prodotte dalla Spreewerke di Spandau, queste pistole non hanno l ’indicazione dell’anno di fabbricazione.
denominazione di Brun A.G. (codice Dov) e dalla E.N.M. di Niedereinsiedel (codice Jvd).
Organo tecnico della Wehrmacht preposto al controllo qualitativo delle armi e loro parti era lo Heeres Waffenamt i cui punzoni certificavano l’approvazione ufficiale del prodotto. Oltre al classico punzone con aquila sovrastante svastica usato su tutte le armi tedesche antecedenti al 1940, le P. 38 possono portare uno dei seguenti punzoni. Aquila sovrastante la cifra 359 per le pistole prodotte dalla Walther ed alcune di quelle di realizzazione Mauser; aquila sovrastante il codice alfanumerico waA135 oppure solo il numero 135 per le armi Mauser di tutti i tipi; aquila sovrastante il numero 88 è il Waffenamt della Spreewerke e lo si trova anche in congiunzione con i codici Ch e Dov sulle parti di pistole fabbricate nei territori occupati ed assemblate alla Spreewerke; aquila sovrastante il numero 140 è il codice della Fabrique Nationale, usato su tutte le armi e parti di arma usciti dagli stabilimenti di Herstal e quindi anche sulle parti di P. 38. Sulle P. 38 sono apparsi anche i punzoni di altre FF.AA. e più precisamente quelle francesi ed i corpi di Polizia della DDR: stella a cinque punte è il punzone di accettazione francese sulle svw 45 e svw 46; la margherita * è invece il punzone Impresso sulle P. 38 messe in servizio nella DDR dopo il 1945.
Dal 1938 al 1945 furono prodotte circa 1.300.000 pistole fra P. 38, Mod. P. 38 e Mod. HP, la grande maggioranza di queste armi andò alle FF.AA. e di Polizia tedesche o di Paesi alleati (è ad es. il caso delle Mod. HP acquistate nel 1944 dalla RSI) e solo quantitativi abbastanza trascurabili vennero esportati verso Paesi neutrali (Svezia e Portogallo) o venduti sui mercati civili esteri ed interni (intendendo per mercati civili interni quelli del Reich e dei Paesi Occupati). Col finire della guerra anche le P. 38 iniziarono, al pari di altre armi tedesche, una loro diaspora quali prede belliche o come lasciti delle disciolte FF.AA. germaniche alle Polizie ed Eserciti delle nuove entità politiche sorte dallo smembramento del Reich; Austria, Germania Est e varie Polizie della RFT rientrano in questa categoria mentre nell’altra troviamo: Jugoslavia, Cina, Francia, Cile, Corea del Nord, Grecia, Indonesia, Israele, Libia, Mozambico, Nicaragua,
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Oltre che con la guance in materiale sintetico le P. 38 furono prodotte anche con guance in lamiera stampata ed in alluminio fuso, queste ultime sono quelle in fotografia.
L'aquila sovrastante il numero 359 o il codice WaA359 è il WaffenAmt assegnato alle armi Walther.
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Walther Mod. HP destinata a ll’Esercito svedese.
La fabbricazione della P. 38 è continuata anche nell’Immediato dopoguerra ad opera della francese Manurhin della quale è qui riprodotta una P1.
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La Manurhin ha prodotto anche le varianti successive della P. 38: P. 38 IV (P1-M) e P. 38 Kurz (P1-K).
Walther P. 38: attenzione; dopo la guerra è stato tolto il punto dalla denominazione della pistola.
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Norvegia, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Viet Nam del Nord. Il lettore non si stupisca dell’inclusione nella lista di Paesi che non hanno avuto niente a che fare con il III Reich, ad essi le pistole furono cedute da quei Paesi che le avevano ricevute in conto danni di guerra o catturate tout-court.
Dopo il 1945 la Walther dovette abbando- nae i suoi stabilimenti di Zella Mehlis in Tu- ringia (zona di occupazione sovietica) e cessare ogni produzione militare, tanto che nella nuova sede di Ulm venne ripresa la fabbricazione di registratori di cassa che costituiva una importante branca di attività già prima della guerra. La forzata uscita di scena della Walther non segnò però la fine della P. 38 la cui licenza di produzione venne concessa alla
francese Manurhin insieme a quelle delle PP e PPK e, nel 1951, alla turca Kirikale che ha fabbricato P. 38 per l’esercito ottomano (la stessa Kirikale è la ditta che ha riprodotto senza licenza le PP sempre per fornirle all’Esercito turco e per la vendita sui mercati civili). Nel 1957 la Walther potè riprendere la fabbricazione della P. 38, questa volta col fusto in lega leggera che, con la designazione di P 1 è tuttora l’arma d’ordinanza dell’Esercito della RFT mentre viene commercializzata sui mercati civili come P38 (senza il punto dopo la P). Walther e Manurhin hanno venduto le loro pistole a diverse polizie e FF.AA., fra queste quelle norvegesi e quelle cilene (armi Walther) mentre fra le polizie è interessante notare che quella di Berlino Ovest è armata con P 38 di fabbricazione Manurhin.
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Esploso della P. 38, notare come il fusto non abbia al suo interno che poche parti della meccanica.
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3 - LA TECNICA DELLA P. 38
Basta un confronto superficiale tra la P. 38 e le pistole antecedenti o coeve per rendersi conto che la pistola della Walther appartiene ad una nuova generazione e questo non solo per le caratteristiche proprie deH'arma ma anche per la sua concezione e le sue modalità costruttive. Contrariamente a tutte le altre pistole di quel periodo, la P. 38 fu concepita ab
ovo secondo tecniche per la rapida produzione di massa che, nello specifico settore, avrebbe trovato applicazione compiuta su altri modelli solo molti anni dopo. Un esempio per tutti è il fusto: contrariamente alie varie Luger, Colt, Mauser e Browning, tutta la catena di scatto della P. 38 è esterna al fusto o passa attraverso aperture passanti dello stesso, il tutto
Sezione della P. 38 a percussione centrale.
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con ovvio vantaggio sul numero e la complessità delle operazioni di lavorazione all’utensile che sono in buona parte costituite da fresature rettilinee e forature passanti. Col diffondersi deN’imbutitura pesante applicata alle armi corte è sembrato, nei primi anni ’70, che tecniche di fabbricazione del fusto come quelle adottate sulal P. 38 fossero ormai divenute obsolete; l’affermazione del controllo numerico ha rivalutato notevolmente tutte le metodologie di lavorazione all’utensile e, ferme restando le migliori proprietà meccaniche dei pezzi forgiati e fresati, si può tranquillamente affermare che sotto l’aspetto produttivo il fusto della P. 38 è oggi più moderno che mai. Per chi voglia pensare alla microfusione faccio notare che questa metodologia di fabbricazione trova applicazione vantaggiosa solo su serie quantitativamente importanti (anche se non richiede i grandissimi numeri degli stampaggi), difetta di flessibilità ed offre manufatti con caratteristiche meccaniche inferiori a quelle delle parti forgiate e fresate.
Dopo il brevissimo accenno alle metodiche di fabbricazione vediamo ora insieme quali sono le parti costituenti una P. 38 e le relative funzioni. Iniziamo dalla chiusura che offre il tratto più caratteristico di tutta l’arma, ne condiziona l’estetica e, cosa ben più importante, si è rivelata come l’unica chiusura stabile in grado di fare concorrenza a quella Colt Browning.
Come tipologia, quella della P. 38 è una chiusura stabile a corto rinculo e si tratta quindi di una chiusura che anche in quiete pone un vincolo meccanico tra canna e carrello, vincolo che viene a cessare dopo un breve tratto di corsa retrograda del carrello (in questo caso circa 4 mm.). Per porre in essere il vincolo meccanico si fa ricorso ad un blocchetto oscillante posto tra i due tenoni sotto la canna (approssimativamente nella zona della camera cartuccia) ed imperniato sul tenone anteriore; il blocchetto oscillante ha due alette nella parte supero-posteriore e queste alette, ad arma in chiusura, entrano in apposite sedi nei fianchi dei carrello perché la parte posteriore del blocchetto si sposta verso l’alto sotto la spinta di un profilo a camme nel fusto. Appena partito il colpo, canna e carrello iniziano a rinculare solidali, dopo che hanno per
corso 4 mm. il pistone alloggiato nel tenone posteriore agisce sul chiavistello abbassandolo perché la sua faccia posteriore contrasta con la parete che delimita l’alloggio del caricatore. L’abbassamento del blocchetto provoca la fuoriuscita delle alette dalle relative sedi ed il carrello, ora completamente libero, può continuare la sua corsa retrograda mentre la canna si arresta perché l’intero tenone posteriore contrasta con la parete prima menzionata.
La forma segue la funzione e questo è più che mai valido per una pistola come la P. 38 che vede la sua estetica «cattiva» e «grintosa» fortemente condizionata dalle caratteristiche tecnico-operative e dalle scelte fatte per quanto riguarda le modalità di fabbricazione. Per esigenze di spazio non possiamo purtroppo soffemàrci sul secondo aspetto e dobbiamo quindi ritornare sul primo prendendo in esame tutto il gruppo di scatto e le sicure.
Derivate concettualmente da quelle della precedente PP, la catena di scatto e le sicure della P. 38 sono state per molti anni quanto di più moderno ci fosse nello specifico settore: solo con la P 220 degli anni ’70 si è vista una pistola militare con doppia azione e sicura al percussore mentre le due caratteristiche separate erano state impiegate sulla S&W 39, la prima pistola a doppia azione con destinazione militare dopo la P. 38, e sulla CZ 52 che fu la prima pistola del dopo guerra ad avere una sicura automatica al percussore. Doppia azione, sicura automatica al percussore, ab- batticane sono oggi caratteristiche che diamo per scontate ma quando apparvero sulla P. 38 erano veramente rivoluzionare e si deve all’eccellente curriculum operativo della pistola tedesca se sono state accettate da tutti.
Se si considera solo la catena di scatto vera e propria le componenti principali sono quattro: grilletto, barra di trazione-discon- nettore, leva di scatto, cane. Una normale catena di scatto a singola azione ha più o meno le stesse componenti (a volte di più, se il disconnettore è pezzo a se stante), quello che qui cambia radicalmente è però la complessità della leva di scatto e del cane. Vista in pianta la leva di scatto appare come un solido di forma complessa assimilabile ad un rettangolo privato di uno dei lati maggiori; il lato
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Il chiavistello di chiusura della P. 38. Sotto, relazione tra chiavistello di chiusura e carrello.
maggiore rimanente è costituito da un elemento rettilineo con superficie superiore convessa e superficie inferiore piana ma attraversata trasversalmente da una fresatura a sezione triangolare. La superficie convessa è quella che impegna il cane in doppia azione mentre quella piana trattiene il dente di scatto in singola azione. I «lati minori del rettangolo» sono i bracci alle cui estremità libere è imperniata la leva di scatto. Il braccio destro è anche un elemento multifunzionale, ha forma approssimativamente di un triangolo rettangolo ed è imperniato in corrispondenza dell’angolo retto.
Il «lato anteriore», curvo, funge da camma e spinge in avanti la barra di trazione quando il cane viene armato manualmente.
All’Interno del «triangolo» è ricavata una fresatura di forma vagamente quadrangolare con gli angoli sostituiti da curve ad eccezione di quello antera-superiore nel quale viene ricavato un dente che, unitamente col dente della leva di scatto, forma un arpionismo che viene impegnato premendo il grilletto e spostando quindi in avanti la barra di trazione- disconnettore. Il cane assomiglia più a quello di un revolver a doppia azione che a quello di una automatica: manca la monta di sicurezza, il dente della singola azione si trova al di sotto del fulcro a cane abbattuto, sulla faccia anteriore del cane è imperniata una tavola mobile caricata a molla che viene impegnata dalla superficie convessa della leva di scatto durante il tiro in doppia azione. A cane abbat-
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La catena di scatto della P. 38, a sinistra con cane abbassato, a destra con cane armato.
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Vista inferiore del carrello della P. 38, il piston- cino sulla destra è quello della sicura automatica al percussore.
Sotto, fianco destro della P. 38 con cane abbattuto, si noti la forma della leva di scatto eo il suo rapporto con la barra di trazione- disconnettore.
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Relazione tra leva di scatto e dente della singola azione a cane armato.
tuto, premendo a fondo sul grilletto provoco lo spostamento In avanti della barra di trazione che aggancia, col suo dente posteriore, la leva di scatto e la fa basculare, cosi che la superficie convessa dell’elemento posteriore si solleva ed Impegna la tavola del cane armandolo; al progredire della pressione sul grilletto la leva di scatto raggiunge la sua massima elevazione ed il becco della tavola del cane sfugge alla superficie concava provocando l'abbattimento del cane. Se armo manualmente ¡I cane, il dente di scatto della singola azione va ad appoggiarsi nella fresatura a sezione triangolare praticata sulla superficie inferiore dell’elemento posteriore della leva di scatto. La pressione sul grilletto sposta in avanti la barra di trazione che fa così sollevare la leva di scatto sottraendola al dente del cane. La barra di trazione ha, nel suo terzo posteriore, un ingrossamento che, ad arma in chiusura, coincide con una fresatura nella parete sinistra del carrello; se ingrossamento e fresatura non coincidono perfettamente la bar
ra di trazione viene spinta verso il basso dal carrello, svincolando così l’arpionismo, svolgendo quindi la funzione di disconnettore ed inibendo la possibilità che venga fatto partire un colpo premendo II grilletto ad arma non perfettamente chiusa.
Oltre a quella che Impedisce la partenza del colpo ad arma non in chiusura la P. 38 dispone di altre due sicure, automatica al percussore ed abbatticane, e di un indicatore di colpo in camera. La sicura automatica al percussore è costituita da un plstoncino dotato, nel suo terzo superiore, di appendice prismatica e parzialmente cavo per ospitare parte di una molla che lo spinge verso il basso. Quando Il pistone è al suo punto morto inferiore l’appendice entra In uno scasso sul fianco del percussore ed Impedisce allo stesso ogni movimento; col pistonclno al punto morto superiore il percussore è libero di muoversi.
L’innalzamento del pistoncino avviene ad opera di una camma piatta spinta dalla leva di scatto che a sua volta viene messa in movimento dal cane, nel caso della singola azione, o dalla barra di trazione durante lo scatto In doppia azione. Ne consegue che il percussore rimarrà libero alla fine della corsa del grilletto nel tiro In doppia azione e tutte le volte che il cane è completamente armato.
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Percussore di P 38 (diverso nella forma da quello della P. 38) e relativa sicura automatica.
Vista inferiore della sicura manuale notare la complessità della forma e le ridotte sezioni resistenti. Sotto: una volta inserita, la sicura manuale blocca fisicamente il percussore.
percussore della P. 38 ha una forma piuttosto complessa che deriva, fra l’altro, dalla presenza della sicura automatica e di quella manuale abbatticane. Quest’ultlma è costituita da un barilotto cilindrico inserito trasversalmente nel carrello e comandato da una leva laterale. La leva laterale (e quindi II barilotto della sicura) può compiere una rotazione di circa 55°; quando è in posizione sul grilletto, se la leva viene ruotata verso il basso la pistola risulta in sicura con cane abbattuto e percussore bloccato dal barilotto oltre che dalla sicura automatica. La sicura non può cambiare posizione (a meno che non si agisca sulla
leva laterale) perché Impeditane da un piston- clno Inserito In un canale all’Interno del carrello e caricato dalla stessa molla che, all’altra estremità carica il pistoncino che trattiene l’estrattore.
L’inserimento della sicura blocca fisicamente il percussore e causa l’abbattimento del cane perché, ad arma in sicura, il barilotto preme su una leva sulla sinistra del fusto, leva che agisce su quella di scatto sollevandola e sottraendola al cane che si abbatte urtando la testa del percussore II quale non può però muoversi perché saldamente bloccato dal barilotto della sicura (non da quella automatica,
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A cane armato entrambe le leve si sollevano, quella di sinistra appoggia sulla leva di scatto e la spingerà in basso quando sarà inserita la sicura.
disinserita dall’armamento del cane e non reinserita dall’inserimento della sicura manuale, inserimento che, al contrario, fa alzare ancora di più la leva di scatto).
Il sistema di sicure della P. 38 è ancora oggi valido anche se non completamente esente da difetti. Il percussore libero a cane armato non viene più ritenuto accettabile sulle pistole con sicura automatica al percussore di moderna progettazione; quando questo tipo di sicura venne introdotto sulla P. 38 era semplicemente futuristico per la sua epoca, non
Particolare delle due leve fulcrate insieme al cane, quella di destra provoca l'innalzamento del pistoncino che costituisce la sicura automatica al percussore, quella di sinistra viene spinta in basso inserendo la sicura e va a premere sulla leva di scatto sottraendola al cane.
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ci dimentichiamo poi che le pistole con percussore inerziale e senza alcuna sicura automatica sono ancora oggi la grande maggioranza di quelle in circolazione senza causare inconvenienti degni di nota. Il barilotto della sicura manuale presenta sezioni resistenti abbastanza esigue a causa delle numerose fresature praticate sullo stesso; nelle normali condizioni di impiego tutto questo non crea alcun problema ma sussiste però il rischio della cristallizzazione del metallo come conseguenza dei ripetuti impatti causati dall’abbattimento del cane ogni volta che si inserisce la sicura (il cane picchia sul percussore che è trattenuto dalla sicura e quindi trasmette l'energia deH’ impatto al barilotto). Se il metallo del barilotto si cristallizza può accadere che, inserendo la sicura, l’impatto del cane sia sufficiente a provocarne la rottura spingendo in avanti il percussore che, dopo aver fatto esplodere il primo colpo, rimane bloccato in quella posizione e fa partire a raffica tutti gli altri colpi del caricatore perché la pistola si comporta come un’arma a raffica con percussore fisso e massa battente.
L’inconveniente ora descritto può avere gravi conseguenze ma il suo verificarsi risulta ab
La tacca di mira è trattenuta in sede dall’elemento elastico superiore d i chiusura del carrello.
Due diverse forme delle appendici elastiche dell'elemento di chiusura.
bastanza improbabile se non dopo un lunghissimo uso e può essere completamente scongiurato avendo l’accortezza di accompagnare il cane inserendo la sicura.
Alcuni possessori di P. 38 hanno sperimentato un antipatico inconveniente consistente nella «partenza» dell’elemento elastico superiore che chiude il carrello; «partenza» in genere accompagnata da quella di varie minutaglie come estrattore e relativo pistoncino, tacca di mira e sicura del percussore. Questo inconveniente può verificarsi per due motivi: rottura di un bossolo con proiezione dei gas all’interno del carrello o indebolimento delle appendici elastiche che trattengono in sede il «coperchio» del carrello. Alcuni autori suggeriscono di flettere in fuori le appendici elastiche del «coperchio» ed eventualmente di aumentare la profondità dei ritegni nel carrello impegnati dalle appendici. Quest’ultima soluzione rende assai difficoltoso un futuro smontaggio e per mio conto ho potuto constatare che ogni qualvolta ho incontrato casi di «apertura del carrello» le armi in gioco erano alquanto vecchiotte e la causa si poteva ricondurre ad appendici che avevano perso elasticità e forza se addirittura non presentavano rotture.
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4 - P. 38: L’EVOLUZIONE
Durante ¡I passaggio da Mod. MP a P. 38 ed anche nel corso della produzione, si è assistito ad una continua attività sperimentale rivolta sia all’aggiornamento di piccoli particolari che alla preparazione di versioni completamente nuove.
Tralasciando tutti quei modelli che della meccanica originale conservavano ben poco (ad es. la pistola in 9 Ultra o la c.d. High Power; no, non è un errore!) penso che delle esperienze prebelliche e del periodo bellico sia interessante ricordare il prototipo della P. 38 rimfire, quello «solid top» che eliminava l’e
lemento elastico superiore di chiusura del carrello, i fusti in lega leggera, le versioni solo a singola azione (molte delle quali Mod. HP in .30 Luger, peraltro normalmente disponibile con catena di scatto a doppia azione), le mire con i riferimenti colorati e quelle luminescenti per il tiro notturno, le versioni .38 Super Auto e .45 ACP (approntate allo stadio prototipico prima dello scoppio della guerra come Mod. HP o Mod. P. 38, non come P. 38). Non corrisponde invece al vero, almeno per quanto mi risulta, tutto il gran parlare che è stato fatto su versioni della P. 38 con canna
Pur con la P. 38 ancora alla serie Zero i tecnici della Walther continuarono nella sperimentazione di nuove soluzioni, un esempio è la «High Power» (come la definisce l ’autore di «The P. 38 Pistol») prodotta allo stadio di prototipo in epoca incerta ma comunque situabile a cavallo dell’inizio della Guerra. La High Power aveva una catena di scatto mutuata da quella della P. 38 mentre la chiusura era di tipo Krnka con canna rotante.
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Prototipo sperimentale prebellico di P. 38 cal. .22 L.R. .
Lato destro della P. 38 con carrello chiuso superiormente sviluppata come prototipo.
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Dalla fine della Guerra ad oggi, la francese Manurhin ha prodotto su licenza tutti i tipi di P. 38 postbellica, un esempio è questa P1-M ovvero la versione francese della P. 38 IV (o anche P4).
più lunga (si dice 6” 7,5” ed 8” ), a similitudine delle Mod. MP sperimentali con tanto di attacco per il calciolo, o con canna cortissima, quest’ultima approntata per la Gestapo.
Col finire della guerra poteva accadere che fosse messa fine alla vita della P. 38 invece fu grazie ai Francesi se questo non accadde. Iniziò proprio il Governo transalpino che, in conto danni di guerra, si fece produrre dalla Mauser P. 38 fino al 1946 ma la continuità nella produzione della pistola Walther fu opera della Manurhin di Mulhouse. Quando Herr Walther dovette abbandonare i suoi stabili- menti di Zella Mehlis nella Turingia occupata dai Sovietici, insieme a molti tecnici, ma col corredo di ben pochi disegni e l’assenza di attrezzature, si trasferì a Ulm dove fondò una nuova Cari Walther che però, a causa di restrizioni imposte dal Trattato di Pace, non potè, al pari di tutte le altre industrie tedesche, riprendere la produzione di armi. Walther potè cedere la licenza di fabbricazione delle sue PP, PPK e P. 38 alla Manurhin che ancora oggi produce queste armi con tutti gli aggiornamenti succedutisi nel tempo. Mancando la maggioranza dei progetti originali, anche se è presumibile che per le P. 38 si sia potuto ricorrere ai disegni delia Mauser (che era in zona di occupazione francese), si può supporre che, con PP, PPK e P. 38 sia stato applicato quel processo di «reverse engeneering»
(ricostruzione del progetto partendo da esemplari già prodotti) già adottato pochi anni prima sulle High Power di produzione Inglis.
Finalmente, nel 1957, con l’adesione della RFT alla NATO, vennero a cadere buona parte dei limiti imposti dal Trattato di Pace e le industrie tedesche poterono iniziare nuovamente a produrre armi. Fu in quell’anno che la Walther ricominciò a produrre P. 38 che però cambiarono denominazione divenendo P1, le pistole fornite alla neonata Bundeswehr ed alle Polizie tedesche, e P38 (senza il punto dopo la P) le armi commerciali, A parte alcune differenze di dettaglio, riscontrabili talvolta anche tra lotto e lotto di uno stesso modello, le P1-P38 differivano dalle P. 38 per avere il fusto in lega invece che di acciaio ma rimaneva un elevato grado di intercambiabilità delle parti tra le armi prodotte fino al 1946 e quelle post ’57. Accanto alla versione in 9 Parabellum venne proposta anche quella in 7,65 Parabellum ma la vera novità postbellica furono le P38 in .22 L.R. e le conversioni al rimfire per le centerfire che, nel caso del 9 Parabellum, fanno uso di una Einstecklauf calibro .22.
LA P 38 rimfire usa lo stesso fusto della centerfire mentre le differenze tra i carrelli sono riconducibili a percussore, estrattore, faccia dell’otturatore, alla presenza di numerose fresature d’alleggerimento sul carrello della rimfire ed all’uso, da parte dello stesso, della so-
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Con l ’adesione della RFT alla NATO (1957) vennero a cadere molti vincoli imposti dal Trattato di Pace e la Walther potè iniziare nuovamente a produrre armi come questa P. 38 cal. 7,65 Parabellum.
La più importante delle varianti post belliche che usano la meccanica P. 38 sostanzialmente inalterata è probabilmente la P. 38 cal. .22 L.Ft. .
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la molla di recupero destra lasciando la sinistra per la canna. Il caricatore .22 non ha niente di particolare se non esecuzione eccellente, lamiera spessa, fa uso dello stesso fondello dei caricatori centerfire, sul labbro destro è ricavato un piccolo risalto che funge da espulsore. Ovviamente la P38 .22 è una pistola a chiusura labile e quindi la canna non ha il chiavistello di chiusura, conserva però i due tenoni del tutto identici a quelli della canna centerfl- re con l’esclusione delle lavorazioni relative all’alloggiamento del chiavistello di chiusura In quello anteriore. Misurando le canne cen- terflre e quelle rimfire ci si accorge che la seconda è più lunga della prima di 7 mm. (132 contro 125) ed ha un risalto sul lato sinistro subito dietro al tenone posteriore. La canna rimfire è fissa invece che ad un grado di libertà come quella centerfire e la maggiore lunghezza è concentrata nella parte posteriore perché serve per impedire alla canna di muoversi assialmente (fornisce anche la rampa per l’ invito della cartuccia in camera); la canna rimane poi assolutamente ferma senza il minimo gioco assiale perché spinta in avanti dalla mol
la di recupero sinistra che contrasta col risalto posto dietro al tenone posteriore sulla sinistra della canna. La zona intorno al vivo di culatta della canna completa in .22 è assoluta- mente identica a quella della Einstecklauf e questo fatto si spiega, oltre che per ragioni di uniformità concettuale, con la constatazione che la canna rimfire completa è in realtà una normale canna centerfire che ha saltato le operazioni relative alla sede del chiavistello, è stata alesata e non rigata ed ha ricevuto una Einstecklauf accoppiata permanentemente. Di fronte alla genialità ed alla semplicità della soluzione non posso che fare tanto di cappello visto che si sono così coniugate due necessità antitetiche: ¡I massimo delle prestazioni col minimo sforzo economico per ¡I fabbricante che però «ripaga» questo risparmio con una esecuzione superba.
Per oltre dieci anni le P 1-P 38 rimangono In produzione senza modifiche degne di nota poi, nei primi anni ’70 ricevono un inserto di acciaio nel fusto in lega, inserto che funge anche da camma per sollevare il chiavistello di chiusura quando la pistola torna In batteria.
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Il caricatore della .22 e quello di una cal. 9.
Nell’occasione le P 38 ricevono altre piccole modifiche, alcune delle quali già apportate durante la produzione del tipo precedente, così che viene a diminuire ulteriormente l’intercambiabilità delle parti con le P. 38 come, ad es. nel caso del percussore e della leva di scatto (oltre ad essere di forma leggermente diversa questa, sulle P. 38 e le prime P 38 è imperniata su perni ribattuti mentre sulle P 38 con inserto i perni si estraggono facilmente). Esternamente le P 38 «prima» e «seconda» serie si riconoscono a colpo d’occhio perché sulla seconda serie le mire sono dotate di riporti bianchi per aiutarne l’acquisizione con cattiva illuminazione. È del 1986 la realizzazione di P 38 col fusto in acciaio ma questa ulteriore versione dovrebbe, almeno per ora, essere disponibile solo nel calibro 9 Parabellum; fanno eccezione le armi commemorative ed infatti le P 38 del giubileo importa da Bigna- mi hanno il fusto di acciaio. Le P 38 col fusto in acciaio si possono avere anche con canna da 6” invece dei 5” standard, purtroppo anche questa variante risulta prodotta solo in 9 Para.
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Nel 1986 cade il centenario della Walther e per commemorarlo viene proposta una versione riccamente incisa della P 38 che, a differenza di quella precedente, ha il fusto in acciaio.
La P 38 con fusto in acciaio viene orrerta anche in versione «standard» ma con un livello di finitura veramente favoloso.
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Nel 1986 esce dal libro dei sogni e diventa realtà la P. 38 con canna da 6 ” e fusto in acciaio.
La P 38 con canna lunga è uscita dal limbo dei sogni nel 1986 ma dodici anni prima era iniziata la produzione di altre due P 38 con canna diversa da quella standard: si tratta delle P 38 K (Kurz) e P 38 IV (conosciuta anche come Mod. P 4), con canna da 2,8” la prima e da 4,3” la seconda. Quello che differenzia queste pistole dalle normali P 38 seconda serie non è solo la lunghezza di canna: esaminando il carrello ci si accorge che questo è completamente chiuso e manca quindi il coperchio elastico superiore. Continuando nell’esame risultano evidenti altre peculiarità: tacca di mira registrabile lateralmente, mancanza dell’avvisatore di colpo in camera, sicura
manuale sostituita da un semplice a b b a tta ne e, per finire, Il cane ha sul corpo una strana cavità ed è dotato di una piccola cresta che non tende ad impigliarsi da tutte le parti come quella del cane «normale». Cavità sul corpo del cane e presenza di un semplice abbatt a n e al posto della sicura sono i sintomi esterni di un cambiamento interno che ha Interessato tutto il sistema di sicure dell’arma. Il percussore è oscillante e, se il grilletto non viene premuto completamente, la testa del percussore resta in posizione abbassata sotto la spinta di una molla. Con la testa In posizione abbassata, un dente ricavato sul corpo del percussore impegna una corrispondente sede nel carrello e quindi il percussore non si può spostare in avanti; tanto più che non può essere raggiunto dal cane perché la sua testa coincide con una cavità nel corpo del cane stesso. A cane armato la situazione non muta e solo quando il grilletto è alla fine della sua corsa retrograda (sla in singola che in doppia azione) un sistema di leve fa sollevare la testa del percussore che può cosi ricevere
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È sempre usando il fusto in acciaio che viene realizzata la P 38 del giubileo importata in Italia nel calibro 7,65 Parabellum.
Nel 1974 si affianca alla P. 38 la P. 38 IV (o P4) che sfrutta un sistema di sicure completamente diverso e che sarà poi ripreso su P5 e P88.
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Sfruttando la stessa meccanica della P4, la Walther propone la P. 38 K (Kurz) con canna da 2,8” ; anche questa P. 38 è stata riprodotta su licenza dalla Manurhin.
l’ impatto del cane mentre II percussore si può muovere perché il suo dente è uscito dalla sede. Col cane armato ne posso provocare l’abbattimento in completa sicurezza agendo sulla leva abbatticane posta dove prima stava la normale sicura manuale. La caduta del cane
si arresta contro il carrello e tutta l’operazione avviene in perfetta sicurezza poiché il percussore resta sempre bloccato e la sua testa coincide con la cavità sul cane.
Con la P 38 K e P 38 IV finisce la storia dell’evoluzione della P. 38 ed inizia il capitolo P 5, pistola che utilizza un sistema di sicure mutuato da quello della P 38 IV ed è per il resto una ulteriore riuscita interpretazione dei concetti che stanno alla base della famiglia P. 38. Famiglia a cui la P 5 appartiene a pieno titolo, viene trattata separatamente solo per non allungare a dismisura questo capitolo.
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Walther P5: questa pistola è figlia diretta della P. 3 8 IV e si potrebbe quasi considerare una ulteriore evoluzione del modello originale.
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5 - LA P. 5
Fino all’inizio degli anni 70 le polizie dei vari Ländern hanno fatto uso di pistole di piccolo calibro (quasi tutte PP e PPK in 7,65 Browning) e solo le Polizie federali (Bundesgrenz- shutz e Bereitschaftpolizei) disponevano di pistole in 9 Parabellum (in maggioranza P 1/P 38). La recrudescenza della criminalità e la strage di Monaco ad opera di terroristi palestinesi misero in moto un vasto programma di aggiornamento che comprendeva anche l’adozione di nuove armi corte per i tutori dell’ordine, armi che dovevano essere scelte In base ad un programma di valutazione preparato dal Governo della RFT.
Riassumendo in breve, per le nuove pistole di ordinanza erano richiesti: porto sicuro in condizioni di immediata disponibilità operativa (colpo in camera), assenza di sicure manuali, impiego senza inconvenienti anche da parte di mancini, vita minima di almeno 10.000 colpi, calibro 9 Parabellum con caricatore da almeno 8 colpi, lunghezza max. mm 180, altezza max. mm 130, spessore max. mm 34, peso max. kg 1.
Quattro diversi concorrenti (Walther, SIG- Sauer, Heckler & Koch, Mauser) presentarono altrettanti modelli di pistola, tutti a doppia azione con eccezione del modello HK dotato di un originale percussore lanciato armato per il primo colpo dalla pressione su una leva presente sul davanti dell’impugnatura, leva sulla quale la pressione deve continuare se vogliamo che il carrello armi il percussore per i colpi successivi; abbandonando la pressione sulla leva si disarma istantaneamente il percussore.
La pistola presentata dall HK aveva anche
un altra peculiarità: sfruttava i gas spillati dalla canna per attuare un ritardo di apertura. Tutte le altre armi usavano una chiusura stabile e corto rinculo: di tipo Browning la SIG-Sauer, con chiavistello oscillante Walther e Mauser. Mentre resta sconosciuta la denominazione prevista dalla Walther per la sua pistola, SIG- Sauer aveva battezzato P 225 la loro, Mauser, ricollegandosi alle sue tradizioni, aveva invece scelto il nome HSp mentre HK quello PSP.
Subito dopo l’inizio dei tests la HSp venne ritirata dal fabbricante mentre gli altri modelli superarono le prove previste e ricevettero l’imprimatur ufficiale che ne consentiva l’adozione da parte delle varie Polizie; imprimatur che comportava una denominazione ufficiale: P 5 per la Walther, P 6 per la SIG-Sauer, P 7 per la HK. Walther ha poi commercializzato col nome P 5 la sua pistola anche sui mercati civili di tutto il mondo (per quanto riguarda le adozioni più o meno «ufficiali», la P 5 è stata adottata da alcuni organi di Polizia tedeschi, fra questi le Polizie dei Ländern della Renania Palatinato e del Baden-Württemberg, e dalle Polizie dei Paesi Bassi).
Anche se pleonastico è interessante notare come sia possibile fare dei curiosi paralleli tra il programma per le polizie della RFT e quello della Wehrmacht nei 1938. Identico è il numero dei fabbricanti, tre dei quali sono gli stessi mentre quello nuovo (HK) presenta, a similitudine del suo lontano predecessore (BSW) una pistola che sfrutta per la chiusura i gas della combustione (attenzione però: quella della BSW era una chiusura stabile a sottrazione di gas, quello della HK è un ritardo
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Il confronto tra P5 e P.38 mette in evidenza la maggior compattezza della prima.
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La canna dell P5 e quella della P. 38.
d’apertura attuato a mezzo dei gas spillati dalla canna).
Mauser e Walther presentarono, negli anni ’30 e negli anni 70, pistole con chiavistello oscillante: comandato da camma e da piston- cino quello della Walther, comandato da due camme quello delle Mauser. La Mauser venne sconfitta tutte e due le volte eppure i suoi progetti erano teoricamente molto validi.
Torniamo ora all’oggetto di queste righe e cioè la P 5.
Questa pistola si può considerare come una filiazione della P 38 IV dalla quale mutua la
catena di scatto, con l’unica differenza della leva abbatticane non più alloggiata sul fianco sinistro del carrello ma su quello sinistro del fusto ed integrata in un unico comando con la leva dell’hold-open. A carrello in apertura, spingendo in basso il comando svincoliamo il carrello (il vincolo in apertura lo si ottiene con un caricatore vuoto); col carrello chiuso ed il cane armato ne provochiamo l’abbattimento agendo sul solito comando.
La chiusura della P 5 sfrutta lo stesso principio del chiavistello oscillante già impiegato sulla P 38; le differenze sono più formali che
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38 o 5 5
La catena di scatto delta P5 con cane a riposo.
Col cane armato il percussore della P5 è ancora bloccato e disassato.
Solo col grilletto a fondo corsa il percussore della P5 è sbloccato ed allineato col cane.
sostanziali e risultano dettate dall’esigenza di compattlzzare al massimo la pistola pur cercando di avere linee più filanti della P 38K. Infatti, contrariamente a quest’ultima, la P 5 non è semplicemente una P 38 con la canna corta, bensì una pistola concepita ab ovo per ridurre al minimo pesi ed ingombri (è la più leggera tra le pistole 9 Parabellum adottate dal
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le polizie tedesche negli anni 70 mentre come ingombro solo la P 7 fa un poco meglio pesando però quasi due etti di più). Pur essendo una pistola nata per uso di polizia, la P 5 è arma che si porta molto bene anche sotto gli abiti civili e questo non solo per pesi ed ingombri contenuti ma anche perché in sede di progetto si è cercato di contenere al massimo l’indice di impigliamento e di ridurre od eliminare tutti quei particolari che possono tradire la presenza di una pistola sotto gli abiti. Per esempio, l’elsa risulta più corta ed arrotondata rispetto alla P 38 ma questa differenza non dà alcun fastidio impugnando l’arma o sparando. Un altro esempio di intelligente progettazione è il caricatore; praticamente identico a quello della P 38 è trattenuto nella sua sede con un ritegno inferiore a bilancere assimilabile a quello usato sull’arma primigenia ma che invece di trattenere il caricatore dal di sotto, entra dentro una finestrella ricavata nella parte inferiore: in questo modo, pur mantenendo un caricatore da 8 colpi ed un ritegno inferiore, è stato possibile ridurre ulteriormente l’altezza totale della pistola e si è eliminata una ulteriore possibilità di impigliamento negli abiti.
In effetti, tutti gli accorgimenti adottati per facilitare il porto non hanno inficiato maneggevolezza e prestazioni dell’arma che sotto l’a
spetto operativo si colloca ai vertici della sua categoria.
Sicura e comoda da portare, la P 5 è, nella tradizione Walther, un’arma molto ben progettata e costruita, con un elevato livello di fini- tura e parimenti elevato livello di resa balistica (sia sotto il profilo delle velocità che delle rosate ottenibili; da notare, a questo proposito, la presenza-di una tacca di mira regolabile in derivazione e del trigger stop). Dolce allo sparo, più che adeguata per il puntamento istintivo, di funzionamento impeccabile, ben controllabile nel tiro rapido (ovviamente questi giudizi devono essere commisurati a pesi e dimensioni della pistola), comoda per le mani di più varia taglia, la P 5 è arma particolarmente indicata per il porto e possiede in sommo grado tutte quelle caratteristiche proprie delle migliori armi da difesa.
Per niente affaticante nell’uso e capace di fornire rosate di tutto rispetto, la «piccola» Walther a chiusura stabile è anche un arma divertente da usare, e questo è un aspetto molto più importante di quanto non possa apparire a prima vista: può essere usata quale «attrezzo da svago» ed invogliando il possessore all’uso facilita una maggiore confidenza con l’oggetto e nelle proprie capacità; confidenza che può risultare di importanza «vitale» nel caso, Dio non voglia, che la P 5 debba essere usata come arma da difesa.
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Lato sinistro e destro della Walther P. 88, una pistola che, oltre alla tipica chiusura con blocco oscillante, abbandona il canoni estetici tradizionali delle Walther a chiusura stabile.
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6 - LA P 88
La chiusura geometrica a corto rinculo con blocco oscillante è l’unica chiusura stabile diversa da quelle di tipo Browning ad avere una sua reale validità non confinata ad armi corte molto particolari e costituisce anzi la sola vera alternativa alle chiusure a corto rinculo con canna oscillante, rispetto alle quali può vantare la canna con un unico grado di libertà invece che con due gradi di libertà.
Walther è sinonimo di chiusura geometrica a blocco oscillante, chiusura che, nonostante le numerose sperimentazioni su soluzioni di altro tipo, è sempre stata usata sulle pistole con chiusura stabile proposte dalla ditta tedesca e ne è divenuta uno dei tratti caratteristici. Inoltre non ci dimentichiamo che questa chiusura ha sempre fornito ottimi risultati, risultati che sono sicuramente una delle cause del successo ottenuto da P. 38 e derivate. Non può quindi che destare sorpresa il fatto
che l’ultima pistola prodotta dalla Walther sia dotata di una chiusura stabile a corto rinculo con canna oscillante. Questa pistola è la P 88, arma che rompe radicalmente con alcune delle caratteristiche tecniche ed estetiche generalmente associate al nome Walther ma denuncia comunque la sua paternità. Questo non tanto per la presenza di alcune soluzioni tecniche già presenti sulla P 5 quanto perché conserva due tratti caratteristici propri di tutta la produzione Walther. Alla Walther sono capaci di fare del nuovo in assoluto e lo hanno dimostrato più volte, la loro produzione è però generalmente caratterizzata dall’adozione di soluzioni già consolidate ma portate al massimo grado di affinamento concettuale e tecnico. L’altro «filo rosso» che lega idealmente tutte le armi Walther è quello di un esecuzione di alto livello improntata per la maggior parte su pezzi forgiati e macchinati.
La canna della P. 38 e quella della P. 88.
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Vista inferiore dei carrelli P. 88 e P. 38, anche se entrambi hanno il classico pistoncino che comanda lo sblocco della sicura al percussore il sistema adottato dalla P. 88 (mutuato dalla P5 e quindi dalla P. 38 IV) è profondamente diverso da quello della P. 38 ed anche molto più efficiente e sicuro.
Il caricatore della P. 38 tiene 8 colpi, quello della P. 88 15. A sinistra, particolare della testa del percussore in posizione di quiete: questa posizione viene abbandonata solo quando il grilletto è giunto a fondo corsa.
Al pari di altre «wonder nines» (bifilari calibro 9 a doppia azione) la P 88 fa uso di una chiusura stabile derivata concettualmente da quella della Browning High Power modificata con l’abolizione del risalti superiori della canna sostituiti da una spalla (in corrispondenza della camera di scoppio) che contrasta con la parte anteriore della finestra di espulsione. Dopo la partenza del colpo, canne e carrello Ini
ziano a rinculare insieme vincolati fra loro dall’interferenza tra spalla sulla camera e finestra di espulsione. Percorso un certo tratto, il piano inclinato posto sotto la canna davanti alla rampa di alimentazione incontra una traversa nel fusto che funge da camma e la impegna spostando in basso la culatta ed arrestando il moto retrogrado della canna. Lo spostamento in basso della culatta provoca l’ab-
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Sul cane della P. 88 è ricavata una cavità che, se il grilletto non è premuto a fondo corsa, coincide con la testa del percussore.
bassamente della spalla che libera la finestra di espulsione svincolando II carrello che può così continuare il suo moto retrogrado estraendo ed espellendo il bossolo e comprimendo la molla di recupero. L’adozione della chiusura di tipo Browning modificata ha portato come conseguenza l’abbandono del carrello aperto In favore di uno chiuso che, con l’eliminazione delle due molle di recupero simmetriche sostituite da una sola con relativo guidamolla posta sotto la canna, ha lo spessore più contenuto rispetto a quello di qualsiasi altra arma di pari categoria.
Se la chiusura è Inusitata su una Walther, non altrettanto si può dire della catena di scat- Sezione della P 88.
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a cane armato.
Solo a grilletto premuto il percussore è Ubero ed allineato con la faccia del cane (illustrazione superiore)', anche se si mantiene la pressione sul grilletto dopo la partenza del colpo la barra di trazione funge da disconnettore ed impedisce la raffice.
Se, a cane armato, si agisce su una delle leve abbatticene si sottrae la leva di scatto al cane che cade e si arresta, in assoluta sicurezza, quando la leva di scatto intercetta la monta di sicurezza.
to che risulta concettualmente mutuata da quella della P 5 anche ma può vantare una più accentuata semplicità nel disegno delle singole parti. Rispetto alla P. 38 ed alle altre Walther «tradizionali» il passo in avanti è notevole, sia sul piano concettuale che su quello della qualità degli scatti e del loro peso, della durata e della robustezza. La complicata leva di scatto a «ferro di cavallo» è stata sostituita da un semplice leva imperniata nel fusto e caricata a molla. A cane armato la leva impegna la monta sul cane sotto la spinta della sua molla; premendo il grilletto viene portata In avanti la barra di trazione-disconnettore che, con un suo dente posteriore sottrae la leva al cane che si abbatte. In doppia azione è la barra di trazione che col suo dente posteriore aggancia il cane in una apposita tacca e lo solleva fino a farselo sfuggire; durante tutta l’operazione il dente della barra di trazione rimane interposto tra cane e leva di scatto. Al pari di quanto avviene su altre pistole la barra di trazione funge anche da disconnettore perché una sua appendice superiore coincide, ad arma in chiusura, con una sede nel fianco destro del carrello, quando questo non è in chiusura l’appendice della barra contrasta col carrello e viene spinta in basso interrompendo il contatto col cane. Questo sistema, applicato per la prima volta sulla P. 38, è oggi un classico delle pistole a D.A. e previene la partenza di colpi, per pressione sul grilletto, con arma non in chiusura, funge inoltre da disconnettore impedendo il tiro a raffica. Quando il grilletto è premuto a fondo corsa (e solo in questo caso) la barra di trazione agisce su una leva che fa sollevare il percussore basculante (altra caratteristica mutuata dalla P 5) svincolandolo dall’arresto nel carrello ed allineandolo col cane (a percussore spinto in basso, la testa coincide con una sede nel corpo del cane). A cane armato basta una pressione sulla leva abbatticane perché il cane sia disarmato In tutta sicurezza: il percussore resta sempre disassato e bloccato mentre il cane è accompagnato ad appoggiarsi sulla leva di scatto che impegna la monta di sicurezza. P 88 e P 5 sono le sole pistole in cui la monta di sicurezza coincida con la posizione di riposo del cane; se invece che con la leva abbatticane disarmo il cane premendo il grilletto e
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lo accompagno a fondo corsa, il cane si arresta in posizione più avanzata (a contatto del carrello) perché non intercettato dalla leva di scatto.
Una caratteristica che compare su tutte le Walther progettate dal 74 a oggi è la tacca di mira registrabile in derivazione (ogni scatto corrisponde ad uno spostamento di mm. 22 a mm. 25), tacca che nel caso della P 88 è dotate di due pallini di riferimento bianchi che, insieme ad un terzo pallino sul mirino, aiutano nell’acquisizione rapida con cattiva illuminazione. Anche in questo caso si tratta di una novità per una pistola Walther visto che fino ad oggi le pistole di Ulm usavano riferimenti di tipo Von Stavenhgen (quadrato sulla tacca, pallino sul mirino). Da notare che il mirino della P 88 è innestato a coda di rondine sul carrello e può essere fornito di varie altezze per regolare lo spostamento in verticale del punto di impatto.
A similitudine di quanto già fatto sulla P 5, abbatticane ed hold-open sono riuniti in un unico comando bifunzionale posto sul fusto. Rispetto alla P 5 ci sono però due importanti
differenze: il comando bifunzionale serve anche per bloccare manualmente il carrello in apertura e, oltre ad essere presente sul fianco sinistro, lo si trova riportato specularmente su quello destro. Infatti con la P 88 la Walther ha voluto tenere ben presenti i mancini e la P 88 è stata la prima pistola al mondo ad avere i comandi abbatticane (attenzione, non sicura abbatticane ma solo abbatticane) duplicati sui due fianchi ed il doppio pulsante di sgancio del caricatore (un pulsante a destra ed uno a sinistra) invece dell’ormai classico comando invertibile. Purtroppo non si ha niente per niente e cosi una pistola con un carrello piacevolmente sottile (il minimo spessore del carrello è un parametro importantissimo ai fini del porto in fondina inside) vede il suo spessore aumentare a dismisura proprio nella zona dietro alla guardia del grilletto con conseguente squilibrio estetico se osserviamo l’arma dall’alto, e forzato aumento dello spessore dell’impugnatura. In ogni modo i comandi sono ben posizionati e facilmente azionabili senza sforzo da parte di mani della più varia taglia. L’impugnatura è decisamente buona,
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Particolare del lato sinistro con la leva del chiavistello di smontagio ruotata verso il basso. Sul lato sinistro dell’arma è presente un comando assente su quello destro: il pulsante per bloccare manualmente in apertura il carrello.
per una bifilare, anche per mani di piccola taglia, e sarebbe veramente interessante vedere come sarebbe se l’arma disponesse di un solo comando abbatticane montato sul carrello.
L’ipotesi di una P 88 dotata solo di una piccola leva abbatticane sul carrello potrà forse far arricciare il naso ai «combat shooters», ma per chi porta la pistola sotto gli abiti potrebbe essere una cosa interessante; tanto più che la P 88 è già allo stato attuale una delle più compatte fra le bifilari non compattizzate e le supera tutte per quanto riguarda lo spessore del carrello. Uno sguardo alla sezione della P 88 ci permette di constatare che questa pistola sarebbe candidata ideale ad una operazione di «abbassamento»; già ora non è una torre (mm. 142) e potrebbe essere facilmente abbassata di alcuni cm. sacrificando due o tre
colpi nel caricatore. Fra sicura sul carrello e calcio accorciato verrebbe fuori una vera chicca; purtroppo non credo che alla Walther siano soverchiamente interessati ad una simile idea visto che hanno già in catalogo una fra le migliori 9 «da portare» del Mondo: la P 5. Tanto più che questa pistola ha da poco subito alcune modifiche volte a diminuirne ulteriormente gli ingombri e ad aumentarne la comodità di uso.
Anche se non potremo averla in versione compattizzata la P 88 resta una delle migliori esponenti della sua categoria: stabile al tiro, adeguatamente precisa, sicura col colpo in canna, affidabile, pronta all’uso, dotata di elevato volume di fuoco e caratterizzata da pesi ed ingombri non certo eccessivi per il tipo di arma. Avrà sicuramente un futuro quale arma militare, di polizia e per difesa personale; essendo ora prodotta anche in 9 x 21 è disponibile nel nostro Paese e si comincia a vedere con una certa regolarità nei poligoni. Insieme alle «sorelle» P 38 (disponibile in 7,65 Parabellum ed anche .22, sia come conversione che come pistola intera), P 5, PP e PPK, forma un gruppo di armi capaci di soddisfare ogni ipotizzabile esigenza ed aventi come comune denominatore l’alta qualità e le prestazioni elevate.
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7 - P 38/P 5/P 88: DATI TECNICI
A - WALTHER P 38
Tipo: Pistola semiautomatica con chiusura stabile e corto rinculo e chiavistello oscillante; catena di scatto a singola e doppia azione, sicura manuale abbatticane e sicura automatica al percussore mediante bloccaggio fisico dello stesso.
Calibro: 9 Parabellum, 7,65 Parabellum, .22 L.R. .
Dimensioni: mm. 216 x 137 x 37.Canna: mm. 125 con 6 righe destrorse (per
i calibri centerfire).Fusto: in lega leggera; in lega leggera con
inserto di acciaio ed in acciaio a partire dal 1986 ma solo per modelli 9 Parabellum o commemorativi.
ca non è in alcun modo registrabile mentre si può intervenire sul mirino che è innestato a coda di rondine.
B - WALTHER P 5
Tipo: Pistola semiautomatica con chiusura stabile e corto rinculo e chiavistello oscillante; catena di scatto a singola e doppia azione, abbatticane (non funge da sicura manuale ma ritorna automaticamente in posizione di quiete dopo che il cane è stato abbattuto) e sicura automatica attuata con percussore oscillante.
Calibro: 9 Parabellum, 9 x 21 IMI, 7,65 Parabellum.
A - WALTHER P 38
Caricatore: monofilare da 8 colpi per tutte e tre le cartucce impiegate.
Peso: ad arma scarica gr. 790 versione con fusto in lega e gr. 950 versione con fusto in acciaio; ad arma carica con otto colpi calibro 9 Pb. i pesi salgono a gr. 890 e 1.050 rispettivamente.
Finitura: brunitura di tutte le parti in acciaio; anodizzazione per il fusto; guancette in polimero o, a richiesta, in legno.
Mire: Tacca quadrata, mirino a rampa, riporti bianchi di tipo Von Stavenhagen, latac-
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WALTHER P 5
Dimensioni: mm. 180 x 129 x 32.Canna: mm. 90 con sei righe destrorse.Fusto: in lega leggera con inserto di acciaio.Caricatore: monofilare da 8 colpi.Peso: ad arma scarica gr. 795 che diventa
no circa 895 con 8 colpi di 9 Pb o 9 x 21.Finitura: brunitura di tutte le parti in acciaio;
anodizzazione per il fusto; guancette in polimero ad alta resistenza o, a richiesta, in legno.
Mire: mirino a rampa integrale col carrello, tacca di mira quadrata innestata a coda di rondine e registrabile in derivazione, riporti bianchi di tipo Von Stavenhagen.
WALTHER P 88
C - WALTHER P 88
Tipo: Pistola semiautomatica con chiusura stabile a corto rinculo e canna oscillante; abbatticene (non funge da sicura manuale ma ritorna automaticamente in posizione di quiete dopo che il cane è stato abbattuto) e sicura automatica attuata con percussore oscillante.
Calibro: 9 Parabellum e 9 x 21 IMI.Dimensioni: mm. 187 x 142 x 38.Canna: mm. 102 con righe destrorse.Fusto: in lega leggera.Caricatore: bifilare da 15 colpi.Peso: gr. 895 ad arma scarica che diventa
no circa 1.085 con 15 colpi di 9 Parabellum o 9 x 21.
Finitura: brunitura di tutte le parti in acciaio ad eccezione della canna; fusto anodizzato; guancette in polimero ad alta resistenza.
Mire: mirino a rampa innestato a coda di rondine sul carrello, tacca quadrata innestata a coda di rondine e regolabile in derivazione,due pallini bianchi sulla tacca ed uno sul mirino come ausilii al tiro in cattive condizioni di luce; è possibile disporre di mirini di varia altezza per variazioni in verticale del punto di impatto.
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SMONTAGGIO
ISTRUZIONI RELATIVE AL MODELLO DI PRODUZIONE ATTUALE
PER LE DIFFERENZE CON I MODELLI ANTECEDENTI VEDERE LE NOTE
— Togliere il caricatore dall’arma ed accertarsi che non ci sia colpo in camera.
— Appoggiare la volata dell’arma contro una superficie dura ma non abrasiva e premere a fondo. Quando canna e carrello si sono arrestati girare II chiavistello di smontaggio (foto 2 - vedere nota n. 1)
— Far scorrere il carrello sulle guide ed estrarlo dalle stesse (foto 3). Il cane deve essere disarmato altrimenti II carrello non può scorrere oltre II punto in cui Incontra la leva che comanda l’abbattimento del cane. Non abbattere mal il cane senza carrello per non danneggiare II fusto.
— Premere il pistonclno di sblocco sotto la canna ed estrarre la stessa dal carrello (foto 4 e 5), si è così completato lo smontaggio da campo (foto 6).
— Girare II blocco di chiusura fino a fargli sorpassare la posizione che può raggiungere per gravità e rimuoverlo dalla canna (foto 7). La molla di ritegno del blocco può essere rimossa Introducendo un cacciaperni da mm.
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2 attraverso l’anello formato dalla molla stessa e tirando verso II tenone che alloggia il pi- stonclno (foto 8). Il plstoncino è bloccato da una punzonatura e non si può rimuovere a meno di forare il tenone in corrispondenza della punzonatura e di sostituire la stessa con una spina. Questo lavoro è meglio farlo eseguire da un buon armaiolo (nota 4).
— Con un cacciavite di dimensioni appropriate forzare verso l’alto l’esteremltà del carrello e far scorrere il coperchio stesso verso l’avantl (foto 9 e 10 - vedere nota n. 2).
— La rimozione della parte superiore del carrello libera la tacca di mira che trattiene in sito il blocco del percussore con relativa molla (foto 11 e 12).
— Con un cacciaperni spingere dal basso Il blocco del percussore ed il ritegno del percussore stesso (foto 13).
— Usando un piccolo cacciavite sollevare il lobo della molla del percussore che trattie
ne l’ Indicatore di arma carica (foto 14), questo può ora essere rimosso sollevandone la parte anteriore e tirandola In avanti (foto 15). Inserita la sicura si può estrarre il percussore tirandolo dal dietro (foto 16).
— Mettendo la sicura in posizione intermedia tra F e S è possibile estrarla tirandola verso sinistra. Se non viene, rovesciare il carrello e far uscire la sicura con l'aiuto di un piccolo cacciavite (vedere nota 3).
— Con la punta di un cacciaperni spingere l’estrattore verso l’esterno pigiando sulla parte che protrude nell’Interno del carrello (foto 17 e 18 - vedere nota 3).
— Tolto II perno che premeva sull’estrattore far uscire la molla dell’estrattore aiutandosi con il solito cacciaperni (foto 19 - vedere nota 3).
— Il carrello è ora smontato in tutte le sue componenti (foto 20).
— Usando un cacciavite delle giuste dl-
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mensioni togliere le viti delle guancette (foto 21).
— Pigiare verso l’alto II fermo del caricatore (foto 22) e farlo uscire dalla sede tirando verso l’esterno II guldamolla del cane (foto 23). La rimozione del fermo del caricatore libera guidamolla e molla del cane.
— Usando un cacciavite sottile far uscire dalla sua sede (foto 24) il braccio della molla che comprime la barra che trasmette la trazione esercitata dal grilletto e rimuovere la molla dal suo supporto. Sempre con l’aiuto del solito cacciavite alzare l’anello posteriore della molla del grilletto e sganciarla dalla barra (foto 25). Sganciare la parte posteriore della barra dalla leva di scatto (foto 30 S) e rimuovere la barra dal castello (foto 26).
— Alzare il braccio posteriore della molla che carica hold-open e leva di scatto (foto 27) quindi alzare la molla e tirarla verso il dietro facendone così uscire il braccio anteriore dalla sede dell’hold-open. Far uscire l’hold-open tirandolo verso sinistra; la sua rimozione libera il grilletto con relativa molla e boccola della stessa. Il grilletto si estrae dall’alto. Per liberare la molla basta far uscire la boccola dalla sede.
— Con un cacciapeni appropriato far uscire I perni del cane e quello della leva di scatto (foto 28 e 29).
— Quando è stato rimosso il cane (tirandolo verso l’alto) si sono liberate anche la leva di abbattimento del cane che è situata sulla sinistra del fusto (30 HD) e la leva che comanda Il blocco del percussore (30 PL). L’espulsore si libera togliendo il perno della leva di scatto. A questo punto sono rimasti sul fusto solo molle e guidamolle. Usando un cacciavite di piccole dimensioni se ne inserisce la lama dopo alcune spire dall’inizio della molla e poi si comprime la molla stessa fino a quando non sla libero il guidamolla, allora si può estrarre II guldamolla stesso prima sollevandolo leggermente e tirandolo poi in avanti (foto 31).
Nel rimontare l’arma, oltre ad Invertire le procedure descritte è bene seguire alcuni accorgimenti:
a) il coperchio della parte superiore del carrello viene normalmente rimesso a posto con la semplice pressione manuale, qualora ciò
non sia possibile metterlo nella posizione indicata nella foto 10 e percuoterlo leggermente con un martello con testa di nylon, percussione e verso della stessa sono Indicati dalla lettera P sempre nella foto 10.
b) Quando si rimonta la barra di trasmissione della trazione esercitata dal grilletto ricordarsi di alzare l’anello posteriore della molla del grilletto e riabbassandolo fare attenzione che entri nella gola ricavata sul perno che fa pare della barra.
c) Reinserendo il carrello sulle guide fare attenzione che il cane sia disarmato e che il blocco di chiusura collegante canna e carrello sia in posizione tale da non contrastare contro lo spigolo del fusto. L’espulsore deve essere basculato in avanti in modo da scomparire nel vano di alloggio del caricatore e non contrastare con il martello, quando il carrello è reinserito sulle guide, farlo scorrere fino a poterlo bloccare con l’hold-open e poi rimettere in posizione di chiusura (parallelo al fusto) il chiavistello di smontaggio.
d) Non tutte le parti delle P 38 di produzione attuale sono intercambiabili con le analoghe degli esemplari precedenti, quindi, ordinando un pezzo di ricambio, specificare sempre l’epoca di costruzione dell’arma.
Caricatore: Il caricatore è chiuso inferiormente da una piastrina che scorre su guide ricavate per piegatura della lamiera delle pareti. La piastrina è trattenuta da un ritegno interno al caricatore e caricato dalla molla dell’elevatore. Il ritegno è dotato di un risalto cilindrico che si impegna in un foro ricavato nel centro della piastrina.
Per smontare II caricatore si inserisce nel foro un cacclaperni (preferibilmente di ottone o di altro materiale che non righi l’acciaio) e si preme fino a far uscire il risalto dal foro stesso. Facendo leva con il cacclaperni si fa scorrere la piastrina verso Lavanti (foto 33). Si completa l’operazione manualmente facendo attenzione a trattenere molla e ritegno con una mano. Scaricare lentamente la molla ed estrarla dal corpo del caricatore (foto 34). Rovesciare il caricatore e far uscire l’elevatore.
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Note
(') Differenza nello smontaggio da campo di esemplari bellici e prebellici: a) arretrare il carrello e bloccarlo con l’hold-open; b) girare il chiavistello di smontaggio; c) svincolare il carrello e farlo avanzare fino a quando non sia possibile abbassare il cane (lentamente), dopo aver abbassato ¡1 cane estrarre il carrello dalle guide.
(2) La parte superiore del carrello è chiusa da un coperchio in lamiera stampata dotato di due appendici elastiche (A foto 2) che lo trattengono in sede, la mancanza di tensione sulle appendici può rendere instabile il bloccaggio che queste assicurano, pertanto è possibile perdere il pezzo sparando. La fuoriuscita del coperchio (può essere provocata anche
da fuga di gas dal fondello del bossolo o dall’uso di munizioni troppo potenti) causa la perdita della tacca di mira, del blocco del percussore (con relativa molla) e del ritegno dello stesso (N foto 20). Per ovviare a questo inconveniente è possibile piegare leggermente verso l’esterno le appendici elastiche, ma la cosa migliore è acquistare un nuovo pezzo di ricambio. Frequenti smontaggi non sono consigliabili anche per non sciupare le guide per le appendici ricavate nel carrello; un buon armaiolo può rendere queste guide più profonde ma ciò causa notevoli difficoltà negli ulteriori smontaggi del carrello.
(3) Per coloro che sono in possesso d i esemplari del periodo bellico e prebellico oppure dei primi
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esemplari con fusto in lega (quelli senza inserto in acciaio) lo smontaggio dell’estrattore e della sicura avviene in modo differente da quanto già descritto: a) mettere la sicura in posizione intermedia tra F ed S, rovesciare il carrello e forzare la sicura verso sinistra con l’ausilio di un cacciavite di dimensioni appropriate (foto 32); b) la fuoriuscita della sicura libera la molla dell’estrattore, molla che serve anche per la sicura, è bene fare attenzione e non perdere il piccolo perno che esce insieme alle spire della molla; c) una volta scaricata la molla, estrarre l’estrattore tirandolo verso l’esterno, togliere il perno che preme sul percussore e far uscire la molla dalla sua sede.
Per rimontare sicura ed estrattore: a) introdurre la molla nella sua sede ed inserire i due perni alle estremità della stessa (attenzione perché il perno che preme contro la sicura è diverso da quello che carica l’estrattore); b) rimettere a posto l’estrattore; c) spingere nella sua sede la molla con il perno (aiutandosi con un cacciaperni da mm. 2 o un cacciavite di pic
cole dimensioni) e introdurre la sicura tenendola in posizione intermedia tra F ed S, quando la sicura è davanti alla sede della molla si deve premerla con forza e nel contempo togliere il cacciaperni.
Attenzione: quando, durante l’uso dell’arma, si inserisce la sicura si blocca il percussore e due spalle circolari ricavate sulla sicura stessa ricevono l’impatto del cane che cade. È consigliabile accompagnare il cane con il pollice e non farlo urtare contro la sicura perché ripetuti impatti possono causarne la «cristallizzazione» con conseguente rottura, rottura che provoca la partenza dell’eventuale colpo in camera e nel caso vi siano colpi nel caricatore l’arma spara a raffica fino ad esaurimento delle cartucce.
(4) Sempre per le armi belliche e prebelliche è da notare che il bloccaggio in sede del plstoncino attuato dal blocco di chiusura avviene anche mediante una spina passante ribadita alle estremità e pertanto anche in queste armi lo smontaggio del piston- cino deve avvenire solo in caso di necessità e sempre avendo pistoncini e spina di ricambio.
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Stampa: Grafiche Consolini (Bo) Allegato alla rivista Diana Armi
Tutti i diritti sono riservati
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A cura di:
VITTORIO BALZI
LA COLLABORAZIONE TRA BROWNING E FABRIQUE NATIONALE
Volendo adottare quale ordinanza il Mauser 1889, il Belgio si trovò di fronte all’alternativa se acquistare il fucile direttamente dalla Germania oppure produrlo su licenza. Vista l’importanza della commessa (150.000 pezzi), pur trascurando le implicazioni di ordine politico e strategico, era logico optare per la produzione su licenza; anche a costo di dover impiantare ex novo una fabbrica destinata a questo scopo. Sotto la spinta di questo fatto contingente nacque cosi, proprio nel 1889, una società fondata da dieci artigiani armieri di Liegi e chiamata Fabrique Nationale d ’Armes de Guerre; sede della neonata società una cittadina vicina a Liegi: Herstal.
In pochi anni la F.N. divenne una realtà industriale di tutto rispetto sempre alla ricerca di ulteriori nuovi sbocchi commerciali e di idee nuove. Fu durante uno dei suoi continui viaggi che nel 1897 Hart O. Berg, un dirigente «itinerante» della F.N. sempre in viaggio per ottenere contratti e esaminare progetti merite-
Mauser 1888: è stata la necessità d i riprodurre questo fucile su licenza che ha portato alla fondazione della Fabrique Nationale.
voli di interesse, incontro, durante una visita alla Colt, i fratelli Browning (John e Matthew) dai quali ottenne l’esclusiva per una nuova pistola a chiusa labile progettata da John Moses Browning. In quell’anno Browning aveva ottenuto diversi brevetti relativi ad armi e munizioni; alla Colt ritenevano che il più interessante fosse quello del 20 aprile 1897 per un arma a chiusura stabile e concentrarono tutti i loro sforzi sullo sviluppo di quella che sarebbe poi divenuta la Colt 1960, ovvero la «nonna» della 1911. Fra i brevetti trascurati da Colt, Browning aveva quelli relativi ad una pistola a chiusura labile (derivata da quella calibro 9 a sottrazione di gas che era stato il primo progetto di arma corta del Genio Mormone) e della relativa cartuccia 7,65 x 17 destinata a diventare famosa come 7,65 Browning o .32 ACP. Questi brevetti non mancarono di attirare l’attenzione di Berg che se li aggiudico offrendo una royalty imnprecisata su ogni pistola prodotta e versando un anticipo di 2.000 dollari (dollari del 18971). La pistola venne messa in produzione nel 1899 come F.N. Browning Mod. 1899; l’anno successivo ricevette alcune modifiche di dettaglio e divenne la Mod. 1900 che venne replicata in oltre un milione di esemplari.
Col Mod. 1886 la Winchester usci da una situazione di crisi causata dall’impossibilità dei modelli precedenti di camerare la potente .45/70 Government: uno dei primi successi del giovane Browning, è adesso riprodotto in soli 12.000 esemplari identici a ll’originale.
«Scoperto» da Bennet, il genero di Winchester, Browning ebbe una lunga e fruttuosa collaborazione con la casa di New Heaven (per citare solo i fucili più importanti basterà ricordare il monocolpo Hi Wall ed i lever action 1886,1894 e 1895). Questa collaborazione du-
gni con Winchester, Browning potè dedicarsi a collaborazioni con altri fabbricanti (Reming- ton e Stevens sono i più importanti) ma, a partire dal 1897, il grosso del suo lavoro andò alla Colt ed alla F.N. Quest’ultima in particolare è quella che ha legato indissolubilmente il suo nome a Browning: le Colt di progettazione (totale o parziale) Browning erano vendute come Colt tout court mentre le armi della F.N. hanno sempre portato il nome di Browning. Anche se gestite in maniera diversa e avendo, almeno allo stadio iniziale, differenti «filoni principali» (pistole di grosso calibro e chiusura stabile alla Colt, pistole di piccolo calibro e chiusura labile alla F.N.) le collaborazioni Colt-Browning e F.N.-Browning si intersecarono spesso tra di loro, tanto che non è raro vedere modelli identici o analoghi nelle rispettive linee produttive. Per ovviare a questo fatto e per poter continuare a sfruttare al meglio la loro «gallina dalle uova d ’oro» Colt ed F.N. giunsero a stipulare un contratto col quale dividevano il Mondo in rispettive zone di interesse per la commercializzazione di armi basate sui brevetti Browning.
In tema di disegni analoghi giova ricordare la Mod. 1903 o Grand Modèle calibro 9 Browning Long; si tratta in effetti di una copia pan- tografata della quasi coetanea Colt Pocket Pi- stol camerata in 7,65 Browning e in 9 Corto. Riprodotta in circa 160.000 esemplari (di cui100.000 su licenza dalla svedese Husqvarna) la 1903 venne adottata quale arma militare da Belgio, Danimarca, Svezia, Olanda, Turchia, Russia e Paraguay; la sua importanza trascen-
rò dal 1879 al 1897 e fu interrotta dai fratelli Browning (John era il genio di famiglia ma chi si occupava di tutti gli aspetti pratici, sia tecnici che legali, erano gli altri fratelli Browning, in primo luogoi Matthew) perché insoddisfatti per il tipo di pagamento: Winchester acquistava tutti i diritti sul brevetto e pagava una cifra una tantum; i Browning volevano delle royal-Hoc* pi ilio ormi nrnrlntio I ihorn r i a ì Olirti imrto_ i -tarn
F.N. Mod. 1900: prima arma nata dalla collaborazione tra Browning ed F.N. è stata anche la prima semiautomatica a chiusura labile di grande successo in tutto il mondo.
La Colt Pocket Auto.
F.N. 1903 (Grand Modele) completa di calciolo e caricatore prolungato, la similitudine con la quasi coeva Colt Pocket Auto non fu casua-
de il quantitativo, peraltro non trascurabile, di armi prodotte: fece entrare la F.N. sui mercati militari, servì da base per lo sviluppo delle 1910 e 1922, ebbe una parte non trascurabile (come vedremo oltre) nella genesi della HP,
Derivata dalla 1903, la 1910 è un’altra delle pistole «milionarie» nate dalla collaborazione tra F.N. e Browning ed ha passato la boa del milione di pezzi nel lontano 1935 rimanendo poi in produzione fino ad anni ’70 inoltrati. La 1910 (o 10 tout court) è una versione rimpiccolita e semplificata della 1903 a differenza della quale non monta un cane interno ma un percussore lanciato. Semplice, robusta, leggera, piccola ed affidabile la 10 ha avuto successo sui mercati civili ed è stata venduta ad un buon numero di Polizie o Enti Governativi. Proprio nell’ottica di un uso da parte di Polizie ed Eserciti venne sviluppata la Mod. 1922, In pratica una 1910 con caricatore più capiente (8 colpi in 9 corto e 9 in 7,65 Browning contro 6 e 7 rispettivamente per la Mod. 1910) e canna più lunga. Anche la 1922 ha avuto una carriera lunga e proficua venendo adottata, fra gli altri, da Olanda, Iugoslavia e Belgio oltre che dalla Wermacht durante l’occupazione tedesca del Belgio; è rimasta in produzione dal 1922 fino ai giorni nostri ed ha cambiato nome dopo la 11 Guerra Mondiale quando divenne la Mod. 10/22 per divenire infine Mod. 125.
Parlando di disegni milionari non si può dimenticare la Baby Browning, per decenni si-
ning (alias .25 ACP) che è stata riprodotta in oltre 4.000.000 di esemplari ed è oggi, insieme alla HP, una delle tre pistole di progetto Browning ancora sul catalogo F.N. Ad onor del vero la Baby Browning di oggi non è proprio la stessa arma progettata da John Moses ma d’altro canto neanche la Grande Puissance o High Power è veramente un’arma tutta di Browning. Prima però di affrontare l’argomento genesi della Grande Puissance mi preme sottolineare che, se le cose fossero andate un poco diversamente, forse oggi non avremmo la High Power perché la F.N. avrebbe prodotto una ennesima variante della 1911.
Nelle more delle interminabili prove volute dall’U.S. Army per la scelta di una nuova pistola, Colt era sempre alla ricerca di idee per accaparrarsi nuovi mercati, sopratutto in quei Paesi che, In base all’accordo con la F.N., costituivano terreno libero per entrambe i contendenti. A quel tempi i Balcani erano la polveriera d ’Europa e la Colt pensò ad una pistola che potesse essere particolarmente indicata per i gusti di quei posti: mentre Browning dava gli ultimi tocchi a quella che sarebbe poi divenuta la Government Model of 1911 ed alla relativa .45 ACP, Colt chiese a Winchester lo svllupo di una nuova cartuccia calibro 9,8 mm. con bossolo rimless e la cartuccia venne camerata in una apposita variante della pistola Colt-Browning, la Colt Model of 1910. Nel frattempo, per non restare indietro
F.N. 1922 in versione con mire registrabili. Baby Browning: progettata da Browning e revisionata da Saive negli anni '50, ha raggiunto i quattro milioni di esemplari prodotti.
F.N. Grand Browning cal. 9,65: ad eccezione del calibro e del sistema di fissaggio delle guancette è la copia conforme della Colt 1911.
eventuali richieste provenienti da Paesi all'interno della sua «sfera di influenza», la Fabri- que Nationale approntò tre prototipi della «mo- dele 1910» ovvero una copia carbone della COIt 1910 ma in .45 ACP. I tre prototipi furono poi portati a venti per avere materiale da
commerciale che Colt stava Iniziando con la sua 1910. Il 29 marzo 1911 la versione migliorata della Colt 1910 camerata in .45 ACP venne scelta ufficialmente quale nuova pistola marziale statunitense con la denominazione ufficiale «Pistol, Automatic, Caliber .45, Mo-
icj: » i *: ì l i ì m ì Hjt| ìii
aperte dall’adozione dell’US Army Colt abbandonò ogni altro progetto di pistola militare per soddisfare I desideri del ricchissimo mercato costituito dalle FF.AA. U.S.A. e di tutti quei Paesi che avrebbero ben presto seguito l’esempio Yankee. La F.N. si trovò così senza la concorrenza della Colt ed I tecnici belgi pensarono di abbandonare il calibro .45 ACP per seguire la strada, da loro giudicata molto promettente, di una cartuccia con calibro inferiore
ma velocità superiore; nacque così la cartuccia 9 ,65x23. Da molti ritenuta come la cartuccia per la quale doveva essere camerata la High Power, la 9,65 venne invece adottata su una annesima variante del disegno Colt- Browning che la F.N. denominò Grand Browning e che doveva essere riprodotta industrialmente. Solo l’Invasione del Belgio da parte dei Tedeschi impedì l’inizio della produzione in serie della Grand Browning.
GENESI DEL DISEGNO
Si è sempre affermato che la High Power (o Grande Puissance) è stato l’ultimo progetto di John Moses Browning e che questo progetto ha avuto concretizzazione dopo la morte dell’inventore ma con solo poche modifiche non sostanziali; si è del pari sempre affermato che il caricatore bifilare della HP è opera di Browning. La realtà risulta diversa e la Mod. 35 è in massima parte frutto dell’opera di un altro grande progettista: Dieudonné Joseph Saive. Questi è stato il papa di armi come lo FN 49 ed il FAL ed ha al suo attivo anche molte altre operazioni di successo; solo per la volontà di identificare i prodotti F.N. col nome Browning Saive è rimasto a lungo nell’ombra
ed anche oggi il suo lavoro rimane conosciuto per lo più tra gli adetti ai lavori.
Pochi anni dopo la fine della Grande Guerra (per l’esattezza il 9 Maggio 1921) lo Stato Maggiore francese emise la prima di diverse specifiche per la scelta di una nuova pistola di ordinanza. Tale pistola doveva avere calibro 9, canna di 20 cm., capacità del caricatore pari ad almeno 15 colpi, alzo graduato fino a 600 metri, peso non superiore al kg., possibilità di applicare un calciolo amovibile. In quegli anni di magra la prospettiva di un grosso contratto militare non poteva lasciare indifferenti i solerti amministratori della F.N. e così si decise di avviare subito un programma per
Fianco sinistro del prototipo a chiusura labile sviluppato da Browning, unitamente ad un modello con chiusura stabile, in risposta alle richieste F.N. del 1921 per lo sviluppo di una
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Fianco destro del prototipo a chiusura stabile sviluppato insieme a quello con chiusura labile della foto precedente; la chiusura stabile sembra sia stata aggiunta dopo il completamento dell’arma; notare la posizione dei risalti di chiusura in corrispondenza della camera di cartuccia.
un arma capace di soddisfare le richieste francesi. Con l’eccezione della piccola Savage a ritardo di apertura, a quell’epoca nessuna pistola montava un vero caricatore bifilare alloggiato nell’impugnatura (il bifilare era l’unico mezzo per consentire la capienza di 15 colpi senza andare a scapito delle dimensioni dell’arma) e la prima cosa da fare era quindi sviluppare un caricatore adatta alla bisogna. Questo incarico venne affidato a Saive che lo portò a termine modificando una Modello 1903 (Grand Modèle) che ricevette un caricatore da 15 colpi nel calibro 9 Browning Long. Da notare che l’impresa non deve essere stata delle più facili visto che la cartuccia Browning Long ha bossolo semirimmed con tutti i problemi che questo comporta. Immediatamente dopo il completamento del lavoro di Saive la F.N. si mise in contatto con Browning per sottomettergli le specifiche francesi e fargli prendere visione della 1903 modificata.
Tornato a casa nella sua Ogden Browning si prese alcuni giorni di riflessione per poi realizzare, nell’arco di poche settimane, insieme al fratello Ed (quello che fece quasi tutte le la-
ses) non uno ma due diversi modelli di pistola calibro 9 Parabellum con caricatore bifilare da 15 colpi, li primo modello aveva chiusura labile ma canna con un grado di libertà e che quindi poteva rinculare per un tratto. Il secondo modello aveva chiusura stabile a corto rinculo concettualmente identica a quella della Col-Browning ma con la bielletta sostituita da una rampa che contrasta con un traversino nel fusto. Esaminando le fotografie sembra quasi che il secondo modello sia una elaborazione concettuale del primo che doveva probabilmente essere riprodotto in due esemplari. In effetti i risalti di chiusura sul cielo della canna sono in corrispondenza della finestra di espulsione ed il traversino nel fusto pare sia stato aggiunto dopo che la pistola era stata completata. Entrambe le pistole facevano uso di un «chiavistello di culatta» con filettatura interrotta come i vitoni degli otturatori nei pezzi di artiglieria; il chiavistello di culatta alloggiava il percussore lanciato e la relativa sicura, svolgeva altresì diverse funzioni fra cui quelle di consentire montaggio e smontaggio.
Appena in possesso dei due modelli i tee-
Teb. 22, 1927.J. M. B R O W N IN G
AUTOMATIC FIREARM filed June 23, 1923
1,618,510
Sheet3—Sheet 1
Feb. 22, 1927. 1,618,510J. M. B R O W N IN G
AUTOMATIC FIREARMKlioa June 28, 1923 2 Sheeta-Sheet 2
sul secondo che, con poche modifiche di dettaglio (fra cui lo spostamento dei risalti di chiusura) divenne il Mod. 1922 Grand Rendement del quale vennero approntati un certo numero di prototipi per presentarli alla Commissione di Versailles ine ancata di scegliere la nuova ordinanza francese. Nel frattempo Browning chiese il rilascio di un brevetto a copertura della sua nuova pistola (28 giugno 1923): questo brevetto venne concesso il 22 febbraio 1927, tre mesi dopo la morte del progettista. Si noti che, a conferma dell’attribuzione al Sai- ve della paternità del caricatore bifilare, sul brevetto Browning non viene fatto alcun riferimento al nuovo caricatore.
Le Mod. 1922 sottoposte a prove dalla Commissione dell’Armée (presentate materialmente da Val Browning, il figlio di John Moses, e da Capitano Chevalier della F.N.) furono di due tipi diversi: Mod. 1922 «corto» e 1922 «lungo» con lunghezze di canna rispettive pari a 121 mm. e 200 mm. cui corrispondevano pesi di 950 e 1.130 grammi. Si comportarono molto bene tanto che i risultati ufficiali furono piuttosto incoraggianti. La pistola venne definita potente, ben disegnata, precisa, confortevole da usare. Furono richiesti una riduzione ponderale per il modello lungo e l’aggiun
ta di indicatori di colpo In camera e di percussore armato. Notevoli critiche furono invece mosse al sistema di smontaggio ed alla facilità di fabbricazione industriale di alcune parti; si suggerì quindi l’ incorporazione di alcuni concetti mutuati dalla Colt-Brownlng, In particolare riguardo allo smontaggio. Da notare che il parziale successo della Mod. 1922 segnò la fine definitiva della risorta Grand Browning in calibro 9,65 che era stata fabbricata, a scopo sperimentale, in 12 esemplari corredati di 100.000 cartucce nel 1921 e che la F.N. intendeva riprodurre in serie entro breve tempo tanto che la linea di produzione era ormai quasi completa quando venne deciso il totale abbandono del programma.
Dopo i risultati delle prove di Versailles Browning ed i tecnici della Fabrlque Nationa- le intrapresero un programma urgentissimo per adeguare la Grand Rendement alle raccomandazioni della commissione tecnica francese. Come base di lavoro venne scelta la1922 «corta» perché più adatta alle mutate specifiche dell’Armée. Ad eccezione di piccole modifiche di dettaglio e di un certo alleggerimento (circa 80 grammi) la vera differenza tra la Mod. 1922 «corta» e la successiva Mod.1923 (che mantenne il nome Grand Rende-
La Mod. 1923 o Grand Rendement.
ment) consisteva nella sostituzione (avvenuta ad opera di Saive) del percussore lanciato con uno inerziale ed il relativo cane esterno; rimaneva il chaivistello di culatta al cui interno scorreva il percussore ed era ospitata la leva di scatto. Le prove della Mod. 1923 avvennero il 23 Marzo 1925 e questa volta i ri
sultati furono ancora più incoraggianti che non nella prima prova. Il responso della Commissione di Versailles si può così sintetizzare: potente, confortevole, precisa, ben disegnata con particolari note di merito per la sicura manuale e la semplicità nello smontaggio da campo. La Mod. 1923 Grand Rendement venne
La Grand Rendement subì diversi interventi ad opera di Saive, interventi che portarono infine alla versione qui riprodotta dotata di ca-
Prototipo della Browning 1928.
ritenuta come la migliore e più perfezionata fra tutte le pistole sottoposte alla commissione.
Con la morte di Browning, awenuta ad Her- stal nel Novembre 1926, e malgrado la presenza del figlio di John, Val, tutte le attività di ricerca e sviluppo furono passate a Dieu-
La «Salve Mod. 1929», evoluzione della 1928
Prototipo del 1931: con l ’abbandono del barrel-bushing di tipo Colt è ormai stata raggiunta una configurazione definitiva.
donné Saive; Val Browning rimase alla F.N. solo per curare gli interessi di famiglia. Saive iniziò immediatamente a lavorare sulla Grand Rendement avendo davanti agli occhi la «carota» del contratto militare francese. Gli sforzi erano rivolti soprattutto al contenimento ponderale (i Francesi sembravano annettere la massima importanza al parametro peso): a questo scopo si giunse anche alla riduzione della capacità del caricatore, portata a 13 colpi, e a un successivo accorciamento del carrello. Per farla breve, nel corso degli anni dal 1923 al 1927 la F.N. propose anche contemporaneamente almeno due diverse versioni base della 1923 o Grand Rendement: quella a 15 colpi e quella a 13 e con carrello accorciato.
Nel 1928 scadono I brevetti del 14 febbraio 1911 rilasciati alla Colt per la sua Government Model e la dirigenza della F.N. ordina immediatamente a Saive di portare a termine una operazione da più parti auspicata: combinare le migliori caratteristiche della Gran Rendement con quelle della 1911. La nuova pistola che nasce da questa operazione (si tratta della terza modifica importante che Saive attua sul disegno originale di Browning) e in pra-
13 colpi alla quale è stato abbinato il sistema di smontaggio della Colt. Viene così abbandonato il chiavistello di culatta e l’otturatore ospita ora solo il percussore inerziale ed una lunga leva che trasmette il moto del grilletto alla leva di scatto. Anche se Browning è ormai morto da due anni motivi di contratto ed anche di immagine impongono il mantenimento del suo nome e così la nuova arma viene denominata Browning Mod. 1928. L’anno successivo la Mod. 1928 riceve una ulteriore modifica con la parte posteriore del telaio dell’impugnatura che da diritta diviene curva; il nuovo prototipo non riceve denominazione ufficiale ma viene comunque definito come Mod. 1929 tout court. L’ultimo stadio evolutivo è raggiunto nel 1931 quando Saive abbandona la boccola in volata tipo Colt per passare ad un sistema identico a quello delle HP attuali. La grave congiuntura mondiale che segue al crollo di Wall Street ed il tentativo di tenere dietro alle mutevoll e forse pretestuose (può anche darsi che tutte le prove volute dai francesi siano state solo un mezzo per spillare gratuitamente idee agli altri; forse non è un caso se molte delle soluzioni che si trovano su modelli F.N. disegnati da Saive e presentati alle gare
High Power del primo tipo destinato al mercato civile e caratterizzato da alzo tangente graduato fino a 1.000 metri.
pari sulle 1935 A ed S) richieste francesi portano ad un rallentamento nel programma della pistola bifilare F.N. GII studi comunque continuano, sia pure a passo ridotto, e finalmente si giunge, nel 1934, al congelamento della configurazione definitiva; configurazione che, lo si badi bene, non differisce sostanzialmente da quella odierna ormai riprodotta in oltre
1.500.000 esemplari dalla sola F.N. La vita «pubblica» della nuova pistola denominata ufficialmente Grande Puissance (sottointeso «di fuoco») mod. 1935 ma conosciuta ai più col nome anglosassone di High Power, inizia ufficialmente il 23 maggio 1935 quando il primo lotto di mille pezzi viene consegnato all’Esercito belga.
Sezione fantasma della HP ripresa dal primo
LA MECCANICA: DESCRIZIONE ED EVOLUZIONE
Anche se la High Power dovrebbe essere definita, quanto meno, come Browning-Saive resta indubbia la matrice iniziale del Genio Mormone, tanto più che parte delle modifiche di Saive sfruttano altri brevetti di Browning e cioè quelli della 1911. La Grande Puissance è spesso considerata come una evoluzione della Government, almeno per quanto riguarda la chiusura, un esame della sua meccanica non può quindi prescindere da un confron
Schema di funzionamento della catena di scatto ripreso da un manuale canadese.
to, pur fatto en passant, con l’altra illustre creatura di Browning. Quella di seguito descritta è la meccanica «primigenia» usata sulle High Power dal 1934 al 1961, le successive varianti sono poi esaminate separatamente sempre in questo capitolo.
Così come la 1911, la HP è una pistola con chiusura stabile a corto rinculo e canna a due gradi di libertà; il vincolo meccanico è assicurato da due risalti anulari sulla canna, su-
lllustrazione del principio di funzionamento della sicura al caricatore; anche questa illustrazione è stata ripresa da un manuale ca-
In questa foto è visibile, indicato dalla freccia, il piede della sicura al caricatore che p ro lu de nella sede del caricatore; quando questo sarà inserito, il piede verrà spinto in avanti abilitando il grilletto al tiro.
Confronto tra i profili a camme del primo e del secondo tipo (parte posteriore del tenone retta e non curva).
bito davanti alla camera di scoppio, che entrano in corrispondenti risalti sul cielo del carrello. Dove le due chiusure si differenziano è nel sistema di svincolo; sulla Browning la biel- letta è stata sostituita con uno zoccolo nella cui parte inferiore è ricavata una guida inclinata di circa 45° che va a contrastare con un robusto traversino passante attraverso il castello. Alla partenza del colpo canna e carrello iniziano a rinculare solidamente, collegati dal vincolo meccanico attuato dai risalti che impegnano le sedi nel carrello. Nel primo tratto di rinculo la canna ha movimento retrogrado lineare, solo quando la guida incontra il traversino avviene l’abbassamento della culatta che provoca l’ interruzione del vincolo meccanico con la fuoriuscita dei risalti dalle sedi;
carrello continua la sua corsa retrograda vincendo la forza della molla di recupero. Nella Colt-Browning la bielletta fa iniziare la rotazione della culatta all’inizio del moto retrogrado e quindi, presumibilmente, quando la pallottola è ancora in canna. Nella HP il moto della canna si divide in due fasi, una iniziale di tipo traslatorio ed una seguente di tipo roto- traslatorio e la pallottola lascia la canna durante la prima parte di corsa. A questo punto già un primo vantaggio, della chiusura usata sulla HP rispetto alla classica Colt-Browning, risulta evidente: la maggior precisione a parità di qualsiasi altra condizione e la minor influenza delle tolleranze di lavorazione e di eventuali giochi. Un altro vantaggio abbastanza intuitivo è quello di una maggiore robustezza dell’insieme con conseguente minor influenza dell’usura e chiusure che lavorano a tempo e continuano a farlo anche dopo un certo uso.
Oltre ai vantaggi sopra accennati la modifica del sistema di chiusura e la scelta fatta da Saive di un nuovo sistema di smontaggio ne hanno consentiti diversi altri ai quali accen-
Mod A
f.,75
Sfruttando studi Inglis, nel 1947, venne modificato il puntone del cane (da tipo A a tipoB); questo obbligò a modificare anche il cane ma solo per quanto riguarda il punto di fissaggio del puntone.
po risulta notevolmente semplificato, si è avuta una riduzione nel numero delle parti (sono spariti barrell-bushing e recoil spring plug) che sono inoltre più robuste. Particolarmente benefica l’eliminazione del barrel-bushing che richiede un aggiustaggio laborioso quando si voglia garantire una certa precisione dell’arma ed è più soggetto ad usura e/o rotture (soprattutto nel caso del collet-bushing con appendici elastiche tipo serie 70 ed 80) che non la boccola brasata della HP. L’eliminazione della bielletta e la sua sostituzione con lo zoccolo dotato di rampa ha reso meno importante, ai fini dell’allineamento della canna, il tenone in culatta che è stato così ridotto dimensionalmente (consentendo una minore distanza tra vivo di culatta e faccia otturatore) e richiede minor cura esecutiva. È stato possibile disporre di una vera rampa di alimentazione e così, grazie anche alla minor distanza tra faccia otturatore e vivo di culatta, le pareti della camera sopportano il bossolo in maniera maggiore di quanto non avvenga sulla Colt; inoltre la presenza di una vera rampa di alimentazione facilita l’introduzione in camera della
Se la chiusura è stata pesantemente modificata, le altre componenti contenute nel carrello (estrattore e percussore) rimangono sostanzialmente inalterate sotto l’aspetto morfologico e quello funzionale. Percussore inerziale ed estrattore sono trattenuti dalla piastrina reggipercussore, con i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta: facilita nello smontaggio, alimentazione controllata ma anche possibilità che parta accidentalmente il colpo in canna, e comunque difetti di funzionamento, qualora la piastrina abbia gioco nella sede; problemi di alimentazione ed estrazione se invece c ’è gioco tra piastrina e gambo dell’estrattore.
Una parte della P 35 che non ha niente a comune con la 1911 è la catena di scatto. Il grilletto è caricato da una molla a filo di forma complessa (trattenuta dallo stesso perno del grilletto) dotata di due bracci, l’anteriore serve da molla antagonista per il grilletto, il posteriore trattiene e carica una leva verticale articolata sul corpo del grilletto. Quando si tira il grilletto la leva vien spinta verso l’alto agendo su una seconda leva, normale alla pri-
o l l ’ i n t o r n n r i a l r o r r a l l n I a c o o n n .
Comparazione Ira le quote del traversino e della fresatura a camme su armi antecedenti al 1950 (A) e pistole costruite a partire da quella data (B).
Il vecchio (A) ed il nuovo (B) piede della sicura introdotto nel 1950.
Esploso del grilletto con sicura al caricatore.
da leva è imperniata circa a metà della sua lunghezza (il perno della leva si può rimuovere solo dopo aver tolto percussore ed estrattore e forma un unico pezzo con la caratteristica piastrina presente sulla destra del carrello) e, con l’estremità opposta a quella in contatto con la leva verticale va a spingere la leva di scatto che si sottrae al cane provocandone la caduta. La leva verticale articolata sul corpo del grilletto svolge anche altre funzioni accessorie ma importantissime: impedisce la partenza del colpo se l’arma non è perfettamente in chiusura perché, in questo caso, non entra in contatto con la leva nel carrello; agisce da disconnettore poiché, anche se dopo la partenza del colpo il grilletto viene mantenuto premuto a fondo corsa, non si avrà raffi-r a n o r r h à la lo\/Q à r im o o f a in alt/-» a w ia n a f a i
ta ruotare In avanti fuori dal contatto con la leva nel carrello al ritorno di questo In batteria; se il caricatore è sfilato dall’arma è impossibile sparare perché un pistoncino, potendo arretrare nell’interno dell’alloggiamento del caricatore, sposta in avanti la leva verticale impedendole di entrare In contatto (quanto meno questo contatto sarà insufficiente) con la leva nel carrello.
Tutti i progetti, anche quelli più riusciti, subiscono continue modifiche ed aggiornamenti dettati dall’esperienza o per adeguare le caratteristiche del prodotto a mutate esigenze o anche, più semplicemente per ridurre i costi di fabbricazione. Anche la Grande Puissan- ce ha subito, nel corso della sua lunga vita, diversi aggiornamenti. Tralasciando quelli di
------- I--*------ *--------- '--
Comparazione tra estrattore pre '62 (A) e post '62 (B).
La vecchia leva del carrello (A) a confronto con la nuova (B) ed i relativi perni di rotazione; ogni commento è superfluo per quanto riguarda la comparazione dei costi delle due soluzioni.
zione diversa o un tipo particolare di portacor- reggiolo come nel caso delle HP Lituane) esamineremo qui di seguito ie modifiche apportate alla meccanica ed alle tecnologie di fabbricazione delle pistole F.N.; le Inglis saranno trattate a parte e, in questa sede, vi farò riferimento solo nei casi strettamente necessari.
Dopo avere venduto ormai diverse decine di migliaia di pistole, i tecnici della F.N. si accorsero con comprensibile orrore che il tenone, nel quale è ricavato il profilo a camme che causa lo svincolo delle chiusure per contrasto col traversino nel fusto, tendeva a fratturarsi, nella sua zona di minor sezione, dopo qualche migliaio di colpi sparati. La causa venne identificata nella forma della fresatura che fungeva da camma: il profilo terminale, di tipo semi-circolare, nel lungo periodo induce- va dei fenomeni di cristallizzazione del metallo. Il problema fu risolto definitivamente con una fresatura di nuovo profilo che lasciava diritta la parte posteriore del tenore.
Passò la bufera della guerra e, per tutta la
durata del conflitto, le uniche modifiche apportate dall’occupante tedesco furono solo volte a semplificare la costruzione con l’abolizione degli alzi tangenti e della sicura al caricatore. Riporto questo particolare perché le High Power prodotte dal settembre '44 (quando la F.N. tornò nelle mani dei legittimi proprietari) al 1946 sono prive della sicura al caricatore: per risparmiare tempo si continuò tout court la produzione delle pistole già iniziata sotto i Tedeschi. Queste pistole sono facilmente identificabili per la presenza della lettera A nella loro matricola.
Un problema riscontrato già prima della Guerra ed anche nei primi esemplari di fabbricazione Inglis era quello relativo alla boccola inserita nella faccia dell’otturatore e che fungeva da arresto della corsa in avanti del percussore oltre che da guida dello stesso. Si era infatti scoperto che un semplice foro nell’otturatore non dava garanzie di affidabilità a causa del metallo troppo tenero usato per la slitta; la soluzione adottata consisteva nell’inserimento di un cilindretto forato, in acciaio
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La sostituzione di estrattore e leva del carrello con relativo fermo portò a variare alcune operazioni all'utensile con un ulteriore riduzione dei costi di fabbricazione.
Nel 1962 anche le canne della HP subiscono una modifica sostanziale: non sono più realizzate partendo da forgiato ma vengono ottenute secondo un sistema assimilabile al mo- nobloc di culatta dei fucili a due canne.
temperalo, accoppiato ad interferenza e cianfrinato. Non sempre i risultati dell’operazione erano perfetti con spostamenti del cilindretto ovviabili solo presso officine ben attrezzate. Ogni problema venne risolto nel 1947 con l’adozione di trattamenti termici selettivi che permettevano di temperare la faccia dell’otturatore ed il canale di passaggio del percussore senza interessare il resto del carrello. L’intervento ora descritto faceva parte di un programma di revisione del disegno iniziato nel 1947 e che sfruttava anche accorgimenti messi a punto dalla Inglis: è ad esempio il caso del puntone del cane che venne modificato, questa modifica costrinse ad una parallela modifica del cane ma solo per quello che riguardava il punto di ancoraggio del puntone al cane (cane e puntone sono intercambiabili solo come insieme nel senso che un puntone prebellico non va bene con un cane destinato al nuovo puntone e viceversa).
Quando si effettua una modifica su un arma già in produzione si cerca sempre di mantenere la massima intercambiabilità fra le nuo
ve parti e le pistole preesistenti; può però accadere che il fabbricante sia forzato a realizzare una modifica che rende impossibile l’Intercambiabilità di una certa parte con armi preesistenti. È questo il caso delle modifiche che fanno parte del programma di aggiornamento del 1950. Venne deciso di ridurre leggermente le dimensioni del profilo a camme sotto la canna e del relativo traversino nel fusto. Questo cambiamento si rese necessario per prevenire rotture di parti nel lungo periodo ma la decisione di adottarlo non deve essere stata delle più facili. Ogni canna prodotta a partire dal 1950 non può essere montata su armi antecedenti (siano esse F.N. o Inglis); viceversa, le canne antecedenti al 1950 possono essere montate sui nuovi fusti ma hanno un notevole gioco, tanto che precisione e funzionamento ne risultano sensibilmente handicappati. Dopo aver prodotto poche pistole con camma e traversino di nuove dimensioni i tecnici della F.N. decisero di aggiungere una modifica che riguardava la sicura al caricatore; trattandosi di dover aumentare le
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dimensioni del «piede» fu necessario fresare il fusto per consentire il passaggio del piede di maggiori dimensioni; ovviamente le sicure al caricatore post-1950 non possono essere montate su armi antecedenti.
Anche dopo i cambiamenti del 1950 le attività di ricerca continuarono e si concretizzarono (1958) in una modifica alla leva di scatto, ed alla relativa leva nel carrello, per migliorare la qualità dello scatto diminuendo anche la corsa iniziale a vuoto. Leve di scatto e leve nel carrello sono intercambiabili come insieme e leve di scatto ante 1958 non possono essere accoppiate con leve del carrello post 1958 (ovviamente è vero anche l’inverso). È però nel 1962 che l’attività di ricerca riceve un impulso notevole con la creazione di un gruppo incaricato di studiare modifiche capaci di ridurre i costi di fabbricazione senza sacrifici nella qualità del prodotto finito che, anzi, deve essere migliore che in precedenza.
Il lavoro del gruppo di studio non tarda a dare i suoi effetti. Il diverso profilo della parte antera Inferiore del carrello e l’abolizione dello sguscio semicircolare in corrispondenza del- l’alberino dello slide-stop sono due provvedimenti presi per ridurre i costi riducendo il tempo macchina necessario per ogni carrello. La riduzione delle operazioni di fresatura ha solo un effetto cosmetico, ben diverso è il discorso per altre tre modifiche nate dalle raccomandazioni del gruppo di lavoro. Le High Power prodotte fino al 1962 montavano un estrattore di tipo Colt 1911, estrattore non dei peggiori ma comunque non privo di difetti (principalmente connessi con l’accoppiamento alla piastrina reggipercussore ed alla tendenza a snervarsi del corpo che funge anche da molla a lamina) e soprattutto alquanto costoso da realizzare e montare correttamente. Dopo il 1962, l’estrattore di vecchio tipo è stato sostituito con uno esterno, caricato da molla a spirale e imperniato su una semplice spina elastica. Rispetto al vecchio, il nuovo estrattore è più robusto, più duraturo nel tempo, aggancia meglio i bossoli e costa meno nella realizzazione. Avere modificato l’estrattore aveva privato di fermo il perno di rotazione della leva nel carrello, la soluzione più semplice e logica era quindi la sostituzione dell’elegante ma
grante della piastrina visibile sulla destra del carrello) con una economica ed efficace spina elastica.
Ultima modifica del 1962 fu l’adozione di un nuova tecnologia di fabbricazione della canna; fino ad allora si era fatto uso di canne ricavate partendo da forgiato, dopo il 1962 le canne sono state tutte realizzate con una tecnica assimilabile a quella del monobloc di culatta. Si parte da un tubo rigato che viene camerata e lavorato esternamente in modo da ottenere il profilo esterno della canna finita nella parte che va dalla volata al risalto posteriore (i risalti sono già macchinati in questa fase); la restante parte posteriore della canna (in pratica quella corrispondente alla camera) è ridotta in diametro in modo da poter entrare dentro un manicotto realizzato separata- mente che comprende rampa di invito e tenore inferiore. Tubo e manicotto sono poi brasati insieme ottenendo la canna finita. Anche se può far storcere il naso ai puristi questo tipo di fabbricazione non ha mai dato problemi grazie all’alto standard qualitativo di tutte le operazioni ed ai severi controlli di qualità cui sono sottoposti i pezzi.
Tutte le HP prodotte prima del 1964 hanno guancette in legno, a partire da quell’anno diventano disponibili anche quelle in «Cycolac» che vengono all’inizio proposte solo per le armi destinate al mercato militare; armi parke- rizzate o verniciate, molto spesso con anello portacorreggiolo identico a quello delle vecchie Inglis. Non ci sono modifiche degne di nota fino al 1973; in quell’anno la Fabrlque Na- tionale abbandona la dizione «.. d ’Armes de Guerre» per diventare semplicemente «Fabri- que Nationale». La nuova ragione sociale compare ovviamente su tutte le pistole prodotte da quell’anno che sono contraddistinte da alcuni particolari: finitura sabbiata in alternativa a quella lucida anche sulle armi civili, bu- shing brasato di nuovo disegno che protegge meglio la volata della canna, viene adottato un cane di nuovo disegno che sembra sia richiesto dal mercato civile americano: è una delle sostituzioni più infelici in tutta la storia della HP; brutto, impaccioso e scomodo nell’armamento il nuovo cane ha scatenato la ricerca di cani di vecchio tipo (burr hammers
Fianco destro di una pre ’62 ed una post ’62 a confronto.
ricambi. Il 1973 è anche l’anno in cui viene offerta commercialmente la versione della HP con fusto in lega leggera; dopo gli esperimenti canadesi del 1946 e gli studi di Saive dei primi anni ’50 diviene finalmente realtà la Grande Puissance del peso di 700 grammi invece dei normali 900. Non mi pare comunque che il fusto in lega sia stato un grande successo visto che questa opzione è poco ricordata anche nei documenti ufficiali della casa, viene quasi sistematicamente ignorata da tutta la pubblicistica (sia nazionale che straniera) e sembra quasi impossibile riuscire a vedere una HP fusto in lega dal vero.
Alcune fonti citano il 1973 come anno di nascita delle versioni ad hoc in 7,65 parabellum per quei Paesi, Italia in testa, nei quali il 9 Parabellum è vietato. Una tale affermazione deve essere presa con un grosso granello di sale visto che le High Power più apprezzate sul
la lettera di inizio delle matricole) e cioè le versioni civili brunite lucide delle Modello 1965. Queste armi hanno canne sicuramente non fabbricate in Italia visto che, al pari delle armi, recano i Banchi di Liegi e riportano, oltre all’indicazione del calibro (nei tipici caratteri usati allo scopo dalla F.N.) anche la matricola dell’arma di appartenenza. Sotto il profilo strettamente tecnico da notare che le canne in 7,65 Parabellum (almeno quelle che ho potuto esaminare) vengono realizzate in un solo pezzo al contrario delle contemporanee 9 Parabellum. È inoltre da rimarcare che tutte le pistole prodotte dalla F.N. a partire dal 1973 hanno un codice alfanumerico riportato sulla parte anteriore dell'Impugnatura, codice che può coincidere con la matricola ufficiale ma che serve principalmente per uso interno ed anche per indicare l’anno di fabbricazione. A parere di chi scrive, gli autori che indicano nel 1973 l’anno di nascita delle versioni in .30 Lu- ger si riferiscono ad armi «strettamente di serie» come probabilmente non sono le T italiane forse realizzate in numero non elevato su specifica richiesta dell’importatore. Sono invece armi di serie, proposte anche in altri Paesi oltre all’ Italia, quelle HP «Modello 1973» con
wmmài| s * mlllrnIti\ÌHa
High Power mod. «T»; così sono conosciute in Italia quelle poche HP 7,65 Parabellum importate negli anni '60 inizio anni ’70; la denominazione autoctona deriva dalla presenza della lettera T nelle matricole, si tratta in realtà del «Modello standard del 1965» in versione civile.
riore apparse sul mercato italiano nel ’77/’78e cioè subito dopo le prime catalogazioni.
Ultima evoluzione della High Power a singola azione è la Mark II introdotta nel 1982 e caratterizzata esclusivamente per la sicura
ambidestra maggiorata, mire e guancette di nuovo disegno e una nuova rampa di invito delle cartucce in camera che dovrebbe consentire il funzionamento corretto anche con
Nel 1973 la Fabrique Nationale d ’armes de Guerre diventa semplicemente Fabrique Na tionale e la High Power civile con mire fìsse prende il nome di «Vigilante». Le armi costruite dal ’73 in avanti sono caratterizzate dal cane
Hig Power Mark II: introdotta nel 1982 è la versione attuale della Grande Puissance, al pari di tutte le HP precedenti viene venduta con o senza anello portacorreggiolo.
palle di peso inferiore allo standard e conformazione particolare (es. i caricamenti con palla JHP da 90-100 grani o la Glaser Safety Slug). L’evoluzione della High Power continua
ancora ma Fast Action e Doppia azione saranno trattati nel capitolo dedicato a «Copie e derivati».
UN POCO DI STORIA
Subito dopo il congelamento definitivo del disegno, avvenuto nel 1934, iniziò la commercializzazione della High Power sui mercati civili e militari; la prima commessa militare fu quella dell’Esercito Belga che adottò la pistola F.N. con la denominazione di P 35 e ne ricevette il primo lotto di 1.000 pezzi il 23 maggio 1935; queste armi erano della versione con alzo tangente graduato fino a 500 metri, con incrementi di 50 metri, e calciolo fondina (i primi esemplari destinati ai mercati civili avevano alzo graduato fino a 1.000 metri). Il primo ordine per l’esportazione non tardò a giungere e fu probabilmente quello cinese per 5.000 pezzi con alzo tangente e calciolo amovibile. Come vedremo da qui a poco, questo ordine rivestì enorme importanza perché l’arma piacque molto ed i Cinesi, a guerra iniziata, vollero procurarsene altre 200.000; fu la loro richiesta a far nascere la HP Inglis. Altri ordini giunsero alla F.N. negli anni dal 1935 al 1940: quantitativi imprecisati di HP furono acquistati dal Perù (versione con mire fisse) e dall’Estonia che ne equipaggiò Esercito e Polizia, 5.000 pezzi con alzoi tangente vennero ordinati dalla Lituania. Nel settembre 1939 la Manufacture d ’armes de l’Etat (di proprietà dello Stato francese) ordinò 1.000 HP e nel 1940 Svezia e Finlandia ordinarono rispettivamente 1.000 e 1.500 pezzi. Questi ultimi ordini non andarono a buon fine perché il 12 maggio 1940 le truppe tedesche occuparono Liegi.
PISTOLE 640 (b) - LE HP CON LA SVASTICA
Immediatamente dopo l’occupazione della fabbrica i Tedeschi cercarono di iniziare lo sfruttamento della produzione ai loro fini. La direzione passò sotto il controllo della DWM (DWM Werk Luttich - Fabbrica DWM di Liegi): venne continuata ed incrementata (sia per quantità che per tipologia) la produzione di munizioni, si iniziò la fabbricazione di parti di armi (ad es. P 38) di progettazione tedesca ma fu continuata anche quella di alcune armi F.N., in particolare delle pistole HP, 1910 e 1922. Nel contempo si installò a Bruxelles uno degli uffici regionali Waffenamt con a capo il Capitano Kuntze il cui codice era WaA613. Nonostante che la grande maggioranza dei tecnici e delle maestranze avesse abbandonato il posto di lavoro (molti tecnici scelsero la via dell’esilio, fra questi tutta la dirigenza e Sai- ve) i Tedeschi non tardarono, perfas o nefas, a riavviare la produzione e ad «incrementare» l’occupazione. 3.433 HP prodotte prima dell’occupazione furono immediatamente sequestrate ed inviate ai reparti. Continuando le lavorazioni interrotte e sfruttando parti a magazzino furono assemblate, nel 1940, 8.500 Pistole 640 (b) (questo il codice assegnato alle HP) che recano tutte il Waffenamt WaA613. In guerra non c ’è tempo per le frivolezze e così, una volta terminate le parti a magazzino furono completamente abbandonati l’alzo tangente, la sicura al caricatore ed il calciolo amovibile; parte della WaA640 e tutte le Pistole 640 (b) successive sono quindi dotate di mire fisse, non hanno sicura al caricatore né fresa-
Una HP prebellica destinata al mercato civile; notare la profusione di punzonature su fu-
Particolare dei B anchi apposti sulla H P prebellica.
de 63.000 P 640 (b) consegnate alla Wer- macht. Le HP consegnate ai tedeschi furono quindi la bellezza di 319.000 in poco più di tre anni.
ci di lavorare per gli occupanti i dipendenti F.N. segnarono alquanto il passo nella produzione di armi. A fronte di questo atteggiamento gli organi competenti della Wermacht risposero con un giro di vite ed il lavoro coatto. Primo sintomo del giro di vite fu il trasferimento in Polonia del Capitano Kuntze (forse giudicato troppo di manica larga?) e così solo poche (6.500) delle 65.700 P 640 (b) prodotte nel 1941 portano il codice WaA613; 25.000 hanno il codice WaA103 e le restanti quello WaA140. Quest’ultimo codice è rimasto in vigore fino al 6 settembre 1944 quando i Tedeschi lasciarono la F.N. Il lavoro coatto non fa certo miracoli per la qualità ma li può fare per la quantità: nel 1942 80.600 P 640 (b) lasciarono i DWM Werk Luttich, nel 1943 il totale passò a 101.000 ed il 1944, nonostante i bom-
JOHN INGLIS Co. LIMITED
Chiusa dopo la morte del proprietario, Mr. John Inglis, la «John Inglis Company», ditta con esperienze nella produzione di caldaie e di carpenteria pesante, era stata rilevata da un gruppo finanziario e denominata prima «British Canadian Engineering Limited» e poi «John Inglis Company Limited». La «nuova» società manteneva gli impianti della vecchia che erano chiusi ed impiegavano solo il personale per la manutenzione dei macchinari. Attraverso una serie di «connections» non proprio trasparenti, il Maggiore Hahn, amministratore della società, riuscì a concludere un contratto col Governo britannico per la fabbricazione in Canada degli allora (1938) nuovissimi Bren. Nonostante tutti i dubbi sulla correttezza dell’appalto (ci fu anche una inchiesta ufficiale che si concluse però con un verdet-
Pistole 640 (b) con alzo tangente (o a quadrante che dir si voglia); il W affenamt W aA 140 indica com e data d i produzione gli ultimi m esi del ’41. Strana una H P con alzo a quadrante costruita in questo periodo: tutti asseriscono che i tedeschi non fecero fabbricare carrelli con alzo tangente m a usarono solo quelli già disponibili in m agazzino prima dell'occupazione.
° 640 (b) con mire fisse.
nufatti che uscirono dalla Inglis si rivelarono di qualità eccellente. Tanto eccellente da impressionare molto favorevolmente l’Esercito Cinese (al quale erano andati parte dei primi Bren Inglis) che pensò di far produrre alla In- glis 200.000 High Power, pistole alle quali era interessato ma che, per ovvi motivi (era l’inizio del 1943), la F.N. non poteva fornire.
Dopo l’occupazione del Belgio molti dirigen-
Inglis No. 1 M k 1* con ideogrammi cinesi; questi sem brano apposti di fabbrica m a la cosa è piuttosto strana perché secondo fonti ufficiali la rullatura degli ideogram m i è stata abbandonata col passaggio da M k 1 a M k 1 *.
tagna, fra questi Saive che era stato immediatamene messo al lavoro con due diversi incarichi: perfezionare il suo progetto di fucile con otturatore oscillante (che avrebbe poi dato origine allo FN 49 ed al FAL), riprodurre ed industrializzare il progetto della HP. Saive e tutti i dirigenti F.N. in esilio si rendevano benissimo conto che se la Gran Bretagna avesse messo in produzione la High Power il danno
to grande da risultare fatale anche dopo la fine dell’occupazione nazista; per questo motivo il suo lavoro sulla HP «albionica» procedeva abbastanza a rilento.
L’abilità con cui Joassart, Laloux, Saive ed altri riuscirono a condurre l’operazione HP- Inglis e a «sabotare» i piani di fabbricazione della HP in Gran Bretagna meriterebbe un libro a parte. Purtroppo lo spazio è tiranno e dovremo accontentarci di ricordare che, una volta ottenuto l’appoggio di Val Browning, presidente della J.M. & M.S. Browning Company (Soc. nata per commercializzare le armi di progetto Browning) e titolare dei diritti connessi all’uso del nome Browning, gli esuli belgi riuscirono a far approvare un piano per la fabbricazione di 200.000 HP negli stabilimenti In-
dei programmi britannici. In cambio dell’assistenza nella nuova stesura ed industrializzazione del progetto la F.N. e Val Browning ottennero che, alla fine della guerra, la Inglis avrebbe cessato ogni attività connessa con la fabbricazione della HP ed avrebbe ceduto i relativi macchinari alla F.N. Fu inoltre accordata una royalty del 5% su ogni esemplare prodotto in eccesso dei 200.000 previsti per il contratto cinese; per questi la royalty doveva essere solo dello 1,5%.
Una volta sistemata la parte «burocratica» il lavoro iniziò con ritme febbrile. Per la verità il lavoro di riprogettazione era già iniziato da tempo usando diversi esemplari di HP prebelliche (alcuni forniti direttamente dai cinesi) per rilevare le quote. Pur essendo abbastanza digiuni della progettazione ed industrializzazio-
vano svolto un lavoro egregio (problemi significativi erano venuti solo dalla geometria del caricatore) e, con l’aiuto di Saive e Laloux, le prime Inglis teste di serie iniziarono i collaudi nel gennaio 1944. Il lavoro di riprogettazione fu compiuto a tempo di record e lo stesso l’opera di industrializzazione e la preparazione delle linee produttive. I tecnici della Inglis avevano iniziato il loro lavoro su HP prebelliche col primo tipo di profilo a camme per il disimpegno della chiusura; inoltre l’opera di conversione delle misure da millimetri a frazioni di pollici e l’uso di acciai diversi avevano portato a leggere differenze su alcune quote con conseguente incompleta intercambiabilità delle parti fra HP di produzione F.N. ed HP Inglis. Abbastanza insignificante sul piano pratico e tutto sommato comoda per la F.N. dal
N o. 1 e N o. 2 a confronto, entram be le pistole sono della serie M k 1 *.
chiamo che inglis avrebbe cessato la produzione di HP con la fine della guerra) la non completa intercambiabilità venne considerata come ininfluente (e forse anche benvenuta!). Ben diverso il discorso per quanto riguardava il profilo a camme nel tenone: anche se non nell’immediato, poteva esser fonte di gravi inconvenienti; le esigenze belliche obbligavano ad iniziare la produzione senza por tempo in mezzo e così fino a tutta l’estate del 1944 le Inglis montavano canna di vecchio tipo. Soluzione definitiva a questo e ad altri problemi
estrattore e caricatore) venne con la modifica Mk I* apportata su tutte le Inglis prodotte dal settembre 1944 e come retrofit anche su parte degli esemplari antecedenti mediante sostituzione di canna, carrello ed espulsore. Da notare che le parti costituenti la modifica Mk I* sono definite ufficialmente come Mk II anche se le pistole complete allo standard definitivo sono denominate solo Mk 1 *. Destinate all’Esercito cinese, le prime Inglis prodotte furono del tipo con alzo tangente e calciolo amovibile, come richiesto appunto da quell’esercito; ricevettero la denominazione No. 1 Mk I mentre per quelle con mire fisse la denominazione assegnata fu NJo. 2 Mk I. Dopo l’introduzione della modifica Mk I* le denominazioni, per le armi di nuova produzione e per quelle sottoposte a retrofit, divennero No. 1
Le scritte sul carrello di una N o. 2 M k 1*.
Punzoni di accettazione canadesi costituiti da D C P (Dom inion of Canada Proof) con bandiere incrociate su fusto e carrello; C m aiuscola
tro al D C P ; sulla camera di scoppio erano inoltre presenti due bandierine incrociate (l ’esem plare riprodotto in foto monta una canna 7,65
G li ultimi lotti di H P Inglis prodotte avevano matricole (su canna, fusto e carrello), bandierine incrociate sulla cam era di scoppio e «diam ante» pantografati invece che rullati. Il «diam ante», ovvero il m archio Inglis iscritto dentro un rom bo è peculiare di queste armi.
Nonostante che fosse intenzione dell’Esercito Cinese procurarsi prima 200.000 e poi ben300.000 Inglis, solo un numero relativamente limitato di pistole fu consegnato alle truppe del Celeste Impero. Non dispongo di dati precisi al riguardo ma, poiché sono state prodotte in totale circa 50.000 No.1 (fra Mk I e Mk T) e l’Esercito Cinese non ha ricevuto No. 2 ma solo pistole con alzo tangente, si può solo concludere che il totale delle Inglis cinesi è considerevolmente inferiore a 50.000 pezzi poiché una parte imprecisata di No. 1 è andata alle truppe canadesi e britanniche. Delle No. 1 andate all’Esercito Cinese, solo le Mk I sono state marcate di fabbrica con gli ideogrammi sul carrello. Tutte le pistole prodotte dalla Inglis furono consegnate alle FF.AA. canadesi che dovevano provvedere all’accettazione ed al successivo smistamento agli utenti finali: le stesse FF.AA. Canadesi, quelle Britanniche e quelle Cinesi. Le pistole destinate fin dall’inizio alle FF.AA. Canadesi ed a quelle Britanniche avevano una T nella matricola; sia fra le pistole britanniche che fra quelle canadesi si trovano però esemplari con le lettere CH nelle matricole, lettere che stavano a significare la destinazione «cinese».
La storia delle HP Inglis sarebbe lunga ed
di spazio impediscono di dilungarsi oltre (non posso però non ricordare come i tecnici Inglis svilupparono un sistema per il quale, invece che da forgiato, i fusti delle HP canadesi iniziavano la loro vita come sagome ritagliate da lastre di acciaio dei corretto spessore attraverso l’ossitaglio; del pari è da ricordare che diverse modifiche di dettaglio studiate dai tecnici Inglis furono poi incorporate anche nella produzione F.N. postbellica). Terminata definitivamente con la resa del Giappone la II Guerra Mondiale, la John Inglis cessò di produrre HP nel settembre 1945 dopo un totale di 151.000 pezzi realizzati.
Con l’abbandono delle produzione di HP la John Inglis uscì dal settore delle armi da fuoco (negli anni ’50 fu fatto un tentativo per distribuire in Canada i prodotti F.N. ma questa impresa fu di tipo commerciale e non produttivo); come da accordi presi nel 1943 tutti i macchinari furono messi a disposizione della F.N. che però non li portò in Belgio giudicando antieconomico l’impegno finanziario necessario anche perché si trattava di macchine non standardizzate col restante parco F.N. Con l’uscita di scena della John Inglis non cessa però la storia delle HP canadesi; i macchinari destinati alla F.N. e da questa rifiutati furono de-
Da più fonti definite com e prototipi di conce- none Inglis, le «Lightw eight» H P furono invece opera della Canadian Arsenals. R im ase la scritta Inglis perché mentre i fusti vennero reaizzati ad hoc i carrelli usati furono prelevati tal m agazzino ricambi. Notare il particolare Ielle fresature di alleggerimento.
Xbbandonata nel 1979, la «C apitan» è stata 'enduta p e r m olti anni quale contraltare civi-
La Capitan col calciolo fondina ed il caricatore m aggiorato da 20 colpi. Capitan e « T » a confronto.
una impresa governativa) dove vennero im- liegati per produrre un numero imprecisato li esemplari completi di No. 2 Mk I* ma so- iratutto per realizzare ricambi da impiegare ulle pistole delle FF.AA. Canadesi; i Cana- lian Arsenal hanno svolto una discreta mole li lavoro in questo settore e nel 1971 misero i punto una procedura standard per conver- re le No. 1 in No. 2 attraverso la fresatura lell’alzo tangente e la sua sostituzione con un ilocchetto, brasato in loco, incorporante una acca fissa. L’attività del Canadian Arsenal on si è limitata solo a questo ma ha conti- uato a svolgere opera di ricerca con la pro- ettazione e realizzazione di prototipi «Lightweight» che avevano fusto in lega e carrello lleggerito (alcuni anche accorciato a simili- jdine di quanto fatto, in quegli anni, dalla Colt on la Commander). Le «Inglis» alleggerite (fu- jno usati carrelli Inglis opportunamente fre- ati mentre i fusti vennero realizzati ex noto) aggiunsero lo stadio prototipico e vennero primentate anche dall’Esercito di Sua Mae- tà Britannica, non andò invece oltre la pro- ettazione una proposta High Power a dop- ia azione.
FABRIQUE NATIONALE DOPO LA GUERRA
L’accorta opera di protezione dei diritti di proprietà svolta dagli esuli dirigenti della F.N. fornì uno dei pilastri su cui si è basata la rinascita della fabbrica belga. Dalla fine della guerra ad oggi la High Power è stata la pistola militare più diffusa (come numero di Paesi che la hanno adottata) del mondo occidentale e la 1911/1911 A1 può vantare una maggiore quantità di pezzi prodotti grazie alle imponenti commesse statunitensi del periodo bellico; dal ’46 ad oggi sono però di più le HP prodotte e vendute che non le Colt (solo la F.N. oltre1.500.000 esemplari). Qui di seguito sono elencati alcuni dei Paesi acquirenti (per i rispettivi eserciti o comunque per agenzie governative o corpi di polizia) di grande Puissan- ce a partire dal 1944: Austria, Belgio, Cambogia, Colombia, Danimarca, El Salvador, Olanda, Indonesia, Libano, Paraguay, Portogallo, Siria, Regno Unito (che ha agito anch per conto di diversi Paesi del Commonwealth i quali hanno ordinato le L9A1 ; queste altro non sono che F.N. modello standard del 1965
P con i m archi B row ning del prim o tipo; di /andò cioè la Società aveva sede a Saint
I m archi della Brow ning am ericana sono stati di a lm eno 6 tipi diversi contando anche quello del centenario; qui riprodotto un disegno F .N . con le indicazioni del V tipo di m archio com m erciale.
H P con i m archi Brow ning del secondo tipo apposti da quando è stata aperta anche la B row ning Arm s. C o o f Canada con sede a
on appositi marchi), Venezuela, Germania vest, Jugoslavia, Congo belga, Taiwan, Iraq, liappone, Lussemburgo, Nicaragua, Perù. Capitan (la versione civile con alzo tangen-
ì), Vigilante, Sport; sono alcuni dei nomi con ui sono state o vengono vendute nel Mondo i diverse versioni civili delle HP, pistole che ano avuto ed hanno una importanza premiente nel panorama mondiale del commercio i armi corte civili. Nel panorama delle HP «ci- ili», diverse da quelle militari solo e non sem- re per le finiture, uno spazio speciale merita nome Browning. Come abbiamo visto poco t, titolare dei diritti connessi con l’uso del noie Browning era la J.M. & M.S. Browning Co. Ila quale venivano pagate royalties per ogni rma prodotta dalla F.N. recante il nome Brow- ing; liquidata nel 1951 questa società fu so
stituita dalla Browning Arms Co. che, verso la metà degli anni '50, iniziò la commercializzazione di prodotti F.N., fra i quali anche la HP, sul mercato americano. Nel 1958 fu creata anche la Browning Arms Co. of Canada con sede a Montreal, la cui proprietà era divisa tra Browning (70%) e F.N. (30%). Fino al 1977 le HP vendute ad enti governativi e corpi di polizia erano responsabilità del Bureau de De- fence et Securité (BDS) mentre le HP «civili» venivano commercializzate sotto il marchio F.N. (F.N. Sport) oppure, in Gran Bretagna e Canada, con quello Browning. Nel 1977 la F.N. ha acquistato la Browning ed oggi usa questo nome (Browning Division) per tutte le vendite sui mercati civili; quelle militari restano responsabilità del BDS.
Salvatore Giuliano con al
DERIVATI E COPIE
COMPET1TION
Nata quale arma militare e da polizia, la HP ha una precisione più che adeguata per i prevedibili impieghi fra i quali non figurano però le competizioni di tiro accademico. Non bastava certo l’aggiunta di una tacca di mira registrabile (mod. Sport del 1971) per fare della HP una pistola da tiro e, solo col Mod. Com- petition, si è cercato di spremere a fondo ciò che il disegno dell’arma poteva dare in termini di precisione. Sulla Competition le tolleranze sono considerevolmente più contenute che non sugli altri modelli civili e questo aiuta non poco ma par ottenere le prestazioni richieste è stato necessario sviluppare una canna nuova («stretta» di camera, con free bore conte
nuto, più lunga e dotata di contrappeso che tende a caricare dall’alto in basso aiutando nella precisa ripetizione del posizionamento tra un colpo e l'altro) e migliorare drasticamente le caratteristiche dello scatto. A questo scopo la catena di scatto è finita a mano, ha tolleranza ancora più ridotte e sono stati approntati un nuovo tipo di sicura al caricatore nonché un cane ed una leva di scatto di nuovo disegno. Per completare l’opera la Competition è corredata di mire micrometriche concepite in modo da offrire definizione ed allineamento quanto più possibile elevati. Per la prima volta su una pistola F.N. le guancette sono di serie Pachmayr in neoprene.
Nonostante la denominazione, il Mod. «Sport» è sem plicem ente una norm ale H P alla quale
S e la Sport è solo una H P standard (V igilante) con m ire registrabili, ben diverso il discorso riguardo alla G P Competition; quest’ultima, nonostante la notevole som iglianza con la Vigilante, è un'arm a da tiro a tutti gli effetti.
F.N. FAST ACTION
All’ inizio degli anni 7 0 iniziarono alla F.N. gli studi per una nuova famiglia di pistole destinata a soppiantare la High Power; si pensò in principio di usare quante più componenti fella HP fosse possibile. Intenzione dei progettisti era quella di mantenere una elevata somunanza di parti tra le armi appartenenti alla stessa famiglia (l’obiettivo ideale sarebbe stato quello di poter ottenere le varie pistole solo sostituendo alcune delle parti), questo fatto ed il perfezionamento delle tecniche fi pressofusione portarono in breve all’abban- Jono dell’idea di usare alcune parti della HP ; ad usare invece fusti e carrelli concepiti ex- ìovo e pressofusi (rimaneva solo una simili- udine formale con la vecchia HP). La famiglia di pistole avrebbe dovuto comprendere tre fiverse versioni tra loro differenti per le dimensioni (standard, media, compatta) ed ognuna felle tre versioni poteva essere richiesta co- ne: singola azione, doppia azione e «Fast Ac- ion». Quest’ultimo termine descrive una ca- ena di scatto messa a punto dalla F.N. ed in ¡rado di ovviare ai difetti della doppia e della
Cuore della Fast Action era un cane di particolare concezione composto da due parti distinte che potevano essere mantenute separate o unite a seconda del bisogno. Una volta camerato il colpo, col cane, inteso come complesso, armato bastava una pressione in avanti per portare il cane vero e proprio a riposo dove veniva bloccato da un arresto; la molla cinetica rimaneva però compressa e caricava un elemento anulare (l’altra parte del complesso «cane») tenuto separato dal cane tramite una molla. Iniziando la pressione sul grilletto il cane era liberato dall'arresto e tornava indietro richiamato dalla molla che lo teneva separato dall’elemento anulare al quale rimaneva solidale dopo essere ritornato in posizione di fuoco. Continuando la pressione sul grilletto veniva sbloccato il percussore e sganciata la leva di scatto liberando il «complesso cane» nel suo insieme che andava a percuotere il percussore sotto la spinta della molla cinetica. Sembrava l’uovo di Colombo ma la Fast Action aveva dei difetti capitali quale arma militare: troppi pezzi, troppo complessi, troppo piccoli, troppo fragili, troppo soggetti all’influenza di corpi esterni. Fu un fiasco eia-
dell’U.S. Air Force prima e dell’U.S. Army dopo venne ben presto abbandonata (sono stati realizzati solo 11 prototipi) prima ancora della fine dei trials statunitensi conclusi, come tutti sanno con la vittoria della Beretta 92F.
Esploso della F .N . Com petition.
F.N. DOPPIA AZIONE
Fin dal 1952 la F.N. disponeva già di una versione a doppia azione della HP. Questa era stata progettata da Saive che, partendo da un fusto standard, sviluppò un’arma con pochi punti di contatto coll’originale. Doppia azone con barra esterna tipo P 38, pacchetto di scatto estraibile, canna con sistema di svincolo completamente nuovo raggruppante in un unico pezzo rampa di invito e camma per abbassamento ed innalzamento della culatta. Un ve-
ro capolavoro, funzionale e piacevole da vedersi; poiché però a quei tempi le HP si vendevano come panini caldi la dirigenza F.N. (che pure aveva commissionato il lavoro a Sai- ve) decise di lasciare le cose come stavano e la doppia azione finì nel limbo delle cose che potevano essere.
Passati venti anni dalla doppia azione di Sai- ve troviamo la F.N. al lavoro sul programma per la famiglia di pistole destinate a soppiantare la HP. Come scritto in precedenza una delle appartenenti a questa famiglia doveva essere la nuova HP a doppia azione, pistola che è oggi giunta alla sua terza e definitiva riconfigurazione. La prima HP DA faceva uso, come l’antenata di Saive, di un fusto della HP «standard» modificato; abbandonata l’ idea di usare componenti della HP «standard» si passò alla prima serie con fusto e carrello gettati (sia la prima che la seconda serie di pistole avrebbero dovuto comprendere anche i modelli Fast Action); da notare che nei fusti gettati la metà inferiore del telaio dell’impugnatura non contiene parti in movimento ed è quindi facilmente «accorciabile» per dare origine ai modelli compatti. L’eliminazione del
la manuale con un semplice abbatticane ambidestro ed una modifica all’estrattore hanno porato alla HP Doppia Azione Terzo Modello.
Piuttosto classica concettualmente, la HP DA è caratterizzata da una originale soluzione per quanto riguarda il fermo del percussore (soluzione adottata anche sulla defunta Fast Action). Invece del solito pistoncino o di un blocco prismatico, sulla DA si fa uso della piastrina reggipercussore per arrestare ogni movimento del percussore e per schermarlo dal cane se il grilletto non è premuto a fondo corsa. Caricata a molla la piastrina è normalmente spinta verso il basso bloccando il percussore (per interazione tra una spallatura ricavata nella piastrina e la testa del percussore stesso opportunamente sagomata) e schermandolo dall’impatto del cane (la piastrina è piuttosto spessa e quando arresta il percussore ne contiene anche tutta la testa).
Esploso della Fast Action che avrebbe do vuto utilizzare un fusto d i H P con m odifiche ri-
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Concettualmente semplice, non molto costosa nella realizzazione ma valida per disegno ed esecuzione (è pur sempre una F.N.) la Doppia Azione dovrebbe segnare la fine definitiva della normale HP; per i patiti della singola azione è poi prevista una versione così modificata della DA.
LE COPIE
Adottata da molti Paesi la HP è stata prodotta su licenza solo in quattro di questi; oltre al Canada (produzione autorizzata solo per la durata della guerra) hanno ottenuto la licenza di fabbricare HP: Argentina Venezuela e Nigeria. Tenace nemico della concessione di licenze di fabbricazione Laloux (Direttore Generale della F.N. dal dopoguerar alla fine degli anni ’60) considerava questo tipo di affare
Due viste del prototipo, preparato da Saive nel 1952, p e r una versione «doppia azione» della H P.
La «doppia azione» di Saive smontata nelle
come il classico allevamento della serpe in seno ed aveva inoltre paura di affiancare il nome F.N. a produzione non qualificata. Canada a parte gli altri Paesi che hanno ottenuto la licenza a produrre HP sono stati costretti a pagare cifre notevoli (comunque sempre più economiche nel lungo periodo che non l’acquisto delle armi direttamente dal fabbrican-
Esploso della «doppia azione» prim o tipo che, al pari della Fast Action, avrebbe dovuto usare un fusto H P con m odifiche ridotte al minimo.
te) ed a seguire una lunga trafila che iniziava con l’assistenza della F.N. per il montaggio in loco di pistole con parti provenienti dal Belgio. Le paure di Laloux non erano certo destituite di fondamento, basti pensare al caso dell’Argentina che produce HP presso la Fabbrica Armas Portátiles Domingo F. Matheu di Rosario: sono attualmente offerte sui merca
ti internazionali (in primo luogo quelli Sud Americani) sia una versione militare con mire fisse che una civile con mire registrabili di disegno argentino.
Se le copie argentine sono autorizzate lo stesso non è vero per quelle indonesiane ed ungheresi. Per lo meno le Pindad, cosi si chiamano le copie indonesiane delle HP degli anni
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Sezione illustrante il funzionam ento della «doppia azione» e della sicura al percussore.
La «doppia azione» terzo tipo (la seconda ad usare fusto e carrello pressofusi), deriva dalla prim a p e r semplificazione di alcune parti e l ’abbandono della sicura manuale sostituita da
’50, sono state prodotte per uso interno (circa 30.000 esemplari alle FF.AA. indonesiane). Ben diverso il discorso riguardo alle FEG FP9: copie non autorizzate delle HP post '62 che, quale unica differenza, possono vantare una bindellina ventilata in più. Si tratta di armi poco costose ma fabbricate con metodologie tradizionali che, a partire dal 1982, vengono of-
civile americano, proprio come alternativa economica alla HIP. Non contenti delle FP9 alla FERUNION ne hanno sviluppato anche dei derivati a doppia azione con caricatore da 14 colpi e sicura di tipo Walther sul carrello: le P9R con fusto in acciaio e le identiche P9RA che hanno però il fusto in lega.
Versione civile della H P prodotta su licenza
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ZE G FP 9 , copia m agiara della H P dalla qua- e si differenzia solo p e r la presenza di una Piccola bindella ventilata.
LA NAACO BRIGADIER
Copia per certi aspetti, concettualmente originale per altri la pistola della North American Arms company di Torono fu un tentativo per combinare alcune caratteristiche dell’HP con una megacartuccia .45 NAACO (del tutto identica alla odierna .45 Winchester Magnum) ed una interessante catena di scatto a doppia azione completamente estraibile come sottoinsieme completo dall'arma, il tutto montato su un fusto in lega. Realizzata solo allo stadio pro-
ferivata formalmente dalla H P , la sfortunata totipico (un solo esemplare costruito a mano)M A C O Brigadier fu però una pistola in cui ¡a Brigadier mancò di attirare interesse da par-
La N A A C O Brigadier smontata nelle sue com - nata (stranamente per il calibro); il suo man- ponenti essenziali. cato immediato successo portò alla bancarotta
della NAACO che sparì dalla scena facendo «morire» il progetto della Brigadier e quello della derivata pistola mitragliatrice Borealis che-----------u i — ~ i : i f.
SMONTAGGIO H.P.
A) Togliere il caricatore ed accertarsi, controllando più volte, che non ci sia colpo in camera.
B) Arretrare il carrello e bloccarlo usando la sicura (foto 1). Premere, da destra verso sinistra, sulla testa del perno dell’hold-open ed estrarre il tutto dal fusto (foto 2). Trattenendo saldamente il carrello (la molla di recupero è alla massima comprensione) lo si libera dal vincolo della sicura facendolo, successivamente, scorrere sulle guide fino a separarlo dal fusto. Con II carrello capovolto (osservate bene la posizione del guidamolla perché questo deve essere rimontato nello stesso modo per poter riassemblare carrello e fusto) premere, verso la volata, sulla testa del guidamol-
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la (foto 3), sollevarla ed estrarre molla e gui- damolla. La canna esce dalla parte inferiore del carrello (foto 4) completando così lo smontaggio da campo (foto 5).
C) Lo smontaggio del carrello si inizia premendo, con un cacciaperni 0 3, sulla testa del percussore fino a quando la stessa non disimpegna la piastrina reggipercussore che è così possibile far scorrere verso il basso (foto6) . Nel togliere la piastrina fate attenzione che il percussore non schizzi via sotto l’azione della sua molla antagonista. Tolta la piastrina si estraggono percussore e relativa molla (foto7) .
L’ulteriore smontaggio del carrello si differenzia a seconda del periodo di produzione dell’arma.
C,) HP prodotte dal 1935 al 1962.L’estrattore è simile a quello della Govern
ment Model e viene smontato nello stessoi modo: si fa entrare l’unghia nel canale (foto8) e si estrae l’estrattore dalla parte posteriore del carrello. Tolti percussore ed estrattore, fi
perno che collega la leva di rinvio al carrello (foto 9) e se ne completa l’estrazione tirando la piastrina che fuoriesce dal fianco del carrello. Basta capovolgere il carrello e la leva di rinvio esce, per gravità, dal carrello (foto 10).
C2) HP post-belliche del 1961.L’estrattore è una leva caricata da molla eli
coidale e si separa dal carrello dopo aver tolto la spina elastica di collegamento (foto 11).
Anche la leva di rinvio è collegata al carrello da una spina elastica visibile subito sotto l’estrattore (foto 12).
D) Prima di poter lavorare sulla meccanica del fusto è necessario togliere le guancet- te (foto 13). La leva di scatto è bloccata da una spina (foto 14) che serve anche per stabilizzare l’espulsore (altrimenti pivottante sulla sicura). Tolta la spina (operazione da eseguire a cane abbassato) si estrae la leva di scatto dalla parte superiore dei fusto (foto 15).
Trattenendo il cane in posizione di armna- mento si comprime la molla cinetica ed è così possibile rimuovere la molla a lamina della leva di scatto (foto 16).
Con l’espulsore ruotato verso il basso (viene a trovarsi in posizione normale rispetto a quella corretta) si può estrarre, verso sinistra, la sicura (foto 17). La rimozione della sicura libera il cane che si pu così estrarre, dalla parte superiore del fusto, insieme a molla e guida- molla (foto 18).
Il guidamolla è collegato al cane da un perno e la molla è trattenuta da una corona circolare internamente filettata (foto 19) e bloccata da una spina di sicurezza che ne impedisce l’allentamento accidentale. Per separare molla e guidamolla è necessario avvitare la corona circolare fino a quando questa non è più in contatto con la spina di sicurezza; una volta tolta la spina si svita la corona circolare fino a liberare la molla (attenzione: la molla è ancora compressa e può schizzare via).
Per rimontare il tutto la cosa più semplice è disporre di una morsa nelle cui ganasce stringere il guidamolla. Dopo aver tolto il cane con molla e guidamolla anche l’espulsore è libero e può essere separato dal fusto (foto 20) .
E) Il ritegno caricatore è morfologicamente identico a quello della Colt e si smonta nello stesso modo: basta premere a fondo II pul-
E
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sante e far ruotare verso sinistra la testa del pezzo che collega il ritegno al fusto (foto 21), tutto l’ insieme si estrae ora verso destra. La separazione delle componenti del ritegno è possibile facendo ruotare, verso destra, il pezzo che prima è stato ruotato a sinistra. Attenzione alla molla che è sempre compressa (foto 22).
F) Il grilletto è imperniato su una spina passante (foto 23) nella quale è ricavata una gola dove entra un braccio della molla del grilletto (foto 24).
Per smontare il grilletto si dovrà, per prima cosa, disimpegnare la molla dalla gola e successivamente, con un appropriato cacciaper- ni, far uscire la spina dal fusto. Una volta libero, il grilletto deve essere traslato in avanti e fatto ruotare (all’interno della guardia) verso il basso in modo che fuoriesca dal fusto. Sul grilletto sono presenti due spine: la anteriore che blocca la molla e la posteriore che trattiene la sicura al caricatore (costituita da un piedino a forma di T e da una piccola molla a spirale). La leva del grilletto è trattenuta dal braccio della molla che blocca anche la spina passante e dalla opportuna sagomatura della parte inferiore della leva e della sua sede nel corpo del grilletto.
RIMONTAGGIO: oltre a rovesciare le procedure descritte ed a tenere conto degli avvertimenti già fatti è bene tenere presenti alcuni punti.
?4a) Dopo aver bloccato in morsa ¡1 guidamol-
la della molla cinetica si inserisce la stessa e la si tiene compressa al massimo (attenzione, se schizza via è pericolosa) avvitando la corona circolare di fermo fino a passare il foro, nel codolo del guidamolla, entro cui deve essere inserita la spina di sicurezza. Una volta inserita la spina si svita la corona circolare fino a quando non contrasta con la spina stessa. La spina impedisce l’allentamento della corona e questa blocca, a sua volta, l’eventuale fuoriuscita della spina dal foro.
b) Nel rimontare la leva del grilletto ci si assicuri, sempre, che la sede sulla stessa venga correttamente impegnata dal braccio della molla.
c) Non avendo a disposizione 4 mani (anche 3 sarebbero bene accette) il rimontaggio della leva di scatto è alquanto difficoltoso. Personalmente seguo una procedura alquanto ridicola a vedersi, che forse farà rivoltare Browning nella tomba a storcere il naso a molta gente; c ’è però un piccolo particolare: per me ha sempre funzionato bene! Una volta reinstallata la molla a lamina (tenendo il cane a tutta monta in modo che la molla cinetica lasci spazio al piede di quella a lamina) la blocco con una molletta per panni; con la mano sinistra tengo il cane armato e con la destra metto nella giusta posizione espulsore e leva di scatto; quando i fori del fusto, della leva di scatto e dell’espulsore sono allineati inserisco (con la bocca!!) un cacciaperni 0 2 che mi tiene così a posto i vari pezzi. Usando una grip, fra le cui ganasce inserisco due spessi pezzi di cuoio, comprimo al massimo la parte superiore della leva di scatto, basta ora inserire la spina togliendo, nel contempo, il cacciaperni; naturalmente il cane deve essere trattenuto, nella sua estrema posizione retrograda, perché non prema sulla leva di scatto.
Stampa: Grafiche Consolini (Bo) Allegato alla rivista Diana Armi
' T u t t i i H i n t t i c n n n r i c p r v t i t i
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A cura di:
VITTORIO BALZI
IIL FUCILE D’ASSALTO
Graecia capta ferum vìctorem cepit\ al pari della Grecia, sconfitta ed occupata dai romani, la Germania del 1945, sconfitta ed occupata anch’essa, «conquistò» i suoi ex-nemici. Se l’influenza greca sulla vita dei romani si manifestò nel campo della cultura e del costumi sociali, quella dei tedeschi interessò pesantemente tutta la ricerca scientifica (con l’eccezione, visto che stiamo parlando degli scienziati del III Reich, della fisica relativistica) e tutte le tecnologie suscettibili di un qualche impiego bellico nonché il pensiero militare vero e proprio.
I frutti dell’influsso germanico furono notevoli anche nello sviluppo delle armi leggere e delle relative tattiche di impiego; l'arma di cui ci occuperemo in queste note ne è un esempio tra i più significativi visto che è stata sviluppata tenendo ben presenti gli insegna- menti della II Guerra Mondiale ed avendo come ispiratore quello Stg. 44 che è l’archetipo di tutti i fucili di assalto.
L’origine storica del termine «fucile d ’assalto» trova le sue radici nella Germania nazista dove, a guerra già Iniziata da un pezzo, nacque questa denominazione onde indicare un arma lunga da fanteria camerata per munizionamento intermedio (quello da pistola risultava troppo poco potente e con scarsa gittata, quello da fucile balisticamente esuberante e poco controllabile nel tiro a raffica), leggera, precisa (anche se su leggerezza e precisione dello Stg. 44 si potrebbero avanzare diversi commenti assai malevoli), di costruzione semplice, dotata di caricatore amovibile a grande capacità e della possibilità di tiro selettivo.
Se è vero che i tedeschi sono stati i primi a «congelare» il concetto di fucile d ’assalto ed a materializzarlo In un arma operativa, è altrettanto vero che già altri Paesi avevano sviluppato o stavano sviluppando armi riconducibili, in qualche modo, al comune denominatore dell'arma di assalto; che poi queste armi venissero sviluppate come carabine, fucili o
mitra e come tali si cercasse di impiegarle, stà solo a dimostrare una grande confusione dottrinaria ed a livello Industriale, confusione che impedi, prima dello Sturmgewehr, di riunire in un unico disegno tutte quelle caratteristiche che fanno un vero fucile d’assalto, ma soprattutto impedì di concretizzare le reali esigenze tattiche (esigenze da molti non comprese anche dopo la guerra), la cui attenta considerazione avrebbe da sola, come accadde poi in Germania, portato allo sviluppo del fucile d ’assalto.
Fin dall’inizio del 900 sono stati studiati e prodotti fucili capaci di tiro selettivo (primo fra tutti fu il Cei-Rigottl progettato dall’omonimo Capitano dei Bersaglieri; quest’arma rappresenta una pietra miliare nello sviluppo del fucili automatici visto l’allora rivoluzionario sistema di sfruttamento diretto dei gas di sparo; non aveva difetti sostanziali ma venne condannata dalla mentalità del tempo che considerava pienamente adeguato alla bisogna II comune bolt-action e paventava l’enorme quantità di munizioni necessaria dotando le truppe combattenti di un arma automatica individuale) ma nonostante alcune limitate adozioni queste armi, quando non davano grattacapi a causa della meccanica, risultavano condannate fin dall’ inizio dal fatto di essere camerate per munizioni balisticamente esuberanti. Due sole armi preconizzarono, almeno parzialmente, il fucile d’assalto e non è un caso se entrambe usavano munizionamento diverso da quello dei fucili della fanteria (la chiave per realizzare un vero fucile d ’assalto stà proprio nel munizionamento). Queste due armi sono: il MAB 38 e la carabina M1/M2 (M2 è la versione con tiro selettivo); il MAB, vista l’impostazione generale, la lunga canna, la capacità di tiro selettivo, la bassa cadenza nel tiro a raffica (600 colpi al primo) e la munizione impiegata (quella 9 M 38 prodotta dalla Fiocchi capace di surclassare qualsiasi altra
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MP43 smontato.
cartuccia usata sui mitra, altro non era che una 9 Parabellum particolarmente esasperata) aveva una portata utile molto superiore a quella di qualsiasi mitra coevo (anche se i 500 metri dell’alzo erano un tantino ottimistici) il che gli consentiva di colmare, almeno parzialmente, quel gap esistente tra le p.m. ed i fucili della fanteria ma non di ricoprire il ruolo di tutte e due queste armi (in verità, neanche oggi il fucile d’assalto può completamente sostituire la p.m.)- La carabina M1 venne sviluppata per prendere il posto (a livello di serventi, sottufficiali e ufficiali inferiori) della pistola 1911 A1 ma finì con l’affiancarsi alle altre armi già esistenti ponendosi, al pari del MAB, in posizione intermedia tra mitra cal. 45 ACP e Garand. La M1 e soprattutto la M2 avrebbero potuto essere dei fucili d ’assalto, almeno in nuce, se non fossero state handicappate dalla cartuccia che, nonostante sia stata sviluppata ad hoc, era balisticamente troppo vicina a quelle da pistola. In ogni caso sia il MAB che la M1/M2 trovarono utile impiego su tutti i fronti e fino all’avvento dello Stg. 44 furono le armi più «polivalenti» impiegate dai contendenti nella Seconda Guerra Mondiale (ad onor del vero anche il PPSh sovietico può essere assimilato, come polivalenza, al MAB).
Già dopo la Prima Guerra Mondiale i tedeschi cominciarono a ritenere balisticamente
esuberante la loro 8 x 57 e pensarono quindi di sostituirla con una munizione meno potente conseguendo così grossi vantaggi sia tattici che strategici. La logica seguita dai gruppi militari ed industriali favorevoli al calibro intermedio è ineccepibile e si può riassumere con poche parole. Difficilmente un combattimento comporta scambio di fuoco di fucil e- ria a distanze eccedenti i 300/400 metri ed è parimenti difficile che un normale fante (non un tiratore scelto) possa impegnare, con speranza di successo, bersagli puntiformi a distanze superiori: è quindi sufficiente una munizione con una gittata utile inferiore a quella delle normali munizioni, questa cartuccia sarà più piccola e leggera, se ne potranno portare maggiori quantità a parità di peso, diminuendo il carico del supporto logistico e/o aumentando il volume di fuoco del singolo combattente. Su un piano strategico la cartuccia intermedia costa di meno e necessita di una minore quantità di materiali pregiati per la sua fabbricazione. In questa ottica, già nel 1934 l’Heereswaffenamt (organismo preposto agli armamenti) aveva incaricato diverse ditte di studiare una cartuccia che potesse soppiantare la 8 x 57 JS nell’uso con i normali fucili (per le MG si considerava, giustamente, necessario mantenere in servizio l’8 Mauser). RWS (Rheinishe Westfalische Sprengstoff),
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Winter, GECO (Gustav Genshow & Co.) e Polte sottomisero vari progetti di munizioni intermedie; la cartuccia della Polte (7,9 x 30) venne considerata la migliore fra quelle presentate e, nel 1941, la sua versione migliorata 7,9 x 33 fu adottata come 7,9 Infanterie Kurz Patrone; nel 1942 ricevette la denominazione Maschinekarbiner Patrone S, nel 1943 quella di Pistolen Patrone 43 m E e, ancora nello stesso anno, divenne definitivamente Infanterie Kurz Patrone 43.
Le varie denominazioni della cartuccia 7,92x33 riflettono le peripezie dell’arma destinata ad usarla: lo Stg. 44. Già nel 1940 vennero stipulati contratti con Haenel e Walther per lo sviluppo di un fucile capace di tiro selettivo e camerato per la nuova munizione intermedia; i primi prototipi furono approntati in breve tempo e già nel 1942 circa 7.800 esemplari di ognuna delle due armi vennero distribuiti, a scopo valutativo, alle truppe operanti sul fronte orientale; le armi ricevettero le denominazioni MKb42 (W) quella della Walther e MKb42(H) quella della Haenel (MKb = Maschinenkarabiner). Nel frattem po la Rheinmetall-Borsig (ma c ’è chi dice la Krieghoff) aveva sviluppato lo FG42 (Fallschirmjäger Gewehr 42), arma interessantissima e per certi versi forse più moderna delle MKb42 ma pesantemente handicappata dal fatto di
US Carbi ne M1.
essere camerata per la 8 x5 7 e che proprio In questo trovò la sua fine nonostante venisse «spinta» dal potentissimo Hermann Goerlng che ne voleva dotare I suoi paracadutisti. Sia la MKb42(W) che lo FG 42 si dimostrarono complessivamente inferiori alla MKb42(H), da questa venne sviluppata, attraverso l’opera di Hugo Schmeisser che già l’aveva disegnata, la MP 43 che fu adottata dal Waffenamt come arma d’ordinanza per tutti i componenti della squadra fucileri. La MP 43 divenne successivamente MP43/1, MP 44 e, finalmente, Stg. 44 (Sturmgewehr 44); sembra che questa sorta di odissea sla dovuta al fatto che Hitler fosse contrarlo al concetto stesso di munizione intermedia e di arma ad hoc a questa destinata (si dice che il «furbone» considerasse queste armi valide solo per operazioni difensive mentre la Wehrmacht doveva sempre e solo attaccare!), è quindi ipotizzabile che la nascita formale (sostanzialmente esso era già nato con la MKb42) del fucile d’assalto sia dovuta alle ubbie del folle dittatore nazista.
Vediamo ora, almeno brevemente, come era fatto lo Stg. 44; questa arma merita un cenno ogni volta che si parla di fucili d’assalto e lo merita ancora di più quando oggetto d ’esame è II Kalashnikov, primo e più illustre esponente di tutta una «progenie» che ha nello Stg. il capostlpite.
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Già ad una prima occhiata superficiale lo Stg. 44 risulta quasi futuribile rispetto alle armi coeve o antecedenti anche solo di pochi anni; l’esteso uso di lamiere stampate e la divisione del fusto in scatola di scatto e scatola di culatta fra loro Incernierate e collegate da un perno sono gli elementi più caratterizzanti dello Stg. 44; più caratterizzanti anche del lungo caricatore curvo, allora mai visto su armi che non fossero mitra o fucili mitragliatori, e dell’angolo di calcio contenutissimo, anche questa era all’epoca una caratteristica semplicemente inusitata per un fucile, per minimizzare il rilevamento nel tiro a raffica. Solo il principio scelto per attuare la chiusura era, tutto sommato, abbastanza convenzionale ma non convenzionale ne era la realizzazione. Lo Stg. 44 ha una chiusura stabile che viene sbloccata usando una piccola quantità di gas spillata dalla canna. Quando la pallottola supera il foro di passaggio dei gas, una parte di questi passa attraverso il foro e va a premere sulla testa del pistone che retrocedendo fa retrocedere il portaotturatore, questo dispone di un «gancio» che ne impegna uno corrispondente nella parte posteriore dell'otturatore realizzando così un arpionismo che è in presa quando il portaotturatore va Indietro. Dopo una breve corsa a vuoto il portaotturatore (che in realtà portaotturatore non è visto che ha solo funzioni di spinta e non di guida dell’otturatore che viene guidato dalle pareti interne della scatola di otturazione all’uopo opportunamente sagomata) incontra l’otturatore e ne solleva la parte posteriore liberandone così il risalto inferiore dalla spalla di arresto; una volta libero l’otturatore inizia la sua corsa retrograda sia perché trascinato dal portaotturatore che sotto la spinta del fondello. L’otturatore oscillante dello Stg. 44 è una soluzione semplice e razionale perché permette di contenere al massimo il numero totale delle parti (con un accorto disegno è stato possibile realizzare in un unico pezzo pistone, guidamolla, asta d'armamento, e portaotturatore, una simile molteplicità di funzioni si trova solo In armi di ben più tarda progettazione) a tutto vantaggio della robustezza e della economia di realizzazione (facilità ed economia di realizzazione dovrebbero essere uno dei punti salienti di tutti i fucili d ’assalto). L’accorta progettazione e l’altrettanto accorta Industrializzazione hanno permesso di raggiungere dei livelli di robustezza e contenuto costo di fabbricazione (ovviamente per grandi serie visto che la lamiera stampata ha un suo notevolissimo costo ammortizzabile solo su serie importanti) che nessuna arma successiva è stata, fino ad epoca recente, capace di eguagliare. Im- SKS cal. 7,62x39 mm.
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piegando munizioni relativamente corte, come la Kurz Patrone 43, l’otturatore oscillante (che nel caso dello Stg. 44 è veramente poco più di un «pezzo di ferro» con ovvi vantaggi di costo) non presenta neanche quegli svantaggi teorici che potrebbe avere un otturatore con i risalti di chiusura posteriori quando usato con munizioni abbastanza lunghe a causa del corrispondente eccessivo braccio di leva che si crea tra faccia dell’otturatore (punto di applicazione dell’energia di rinculo) e risalti di chiusura. Grazie alla relativa facilità di costruzione in serie lo Stg. 44 raggiunse vette produttive altissime se si considera lo stato della macchina bellica tedesca (più di 5.000 esemplari al mese già nel febbraio 1944 per arrivare a 55.000 nel novembre dello stesso anno) e solo il collasso del Terzo Reich pose fine alla produzione di questo fucile, produzione che stranamente non venne ripresa da nessuno degli occupanti (come invece venne fatto per molti altri strumenti bellici tedeschi compresi aerei e sottomarini ma anche, più semplicemente, pistole e cannoni) che probabilmente, ad eccezione dei russi, non avevano recepito l’importanza degli insegnamenti offerti, dalla guerra appena conclusa, riguardo all’impiego delle armi leggere.
I sovietici, a differenza dei loro ex alleati e già nemici in pectore, compresa pienamente la validità del concetto di munizione intermedia, fin dal 1943 ne avevano sviluppata una di loro concezione (anche se diversi autori affermano che la cartuccia intermedia sovietica era stata studiata in Germania, in concorrenza con la 7 ,92x33 da alcuni ritenuta insoddisfacente, e sarebbe quindi anch’essa frutto di preda bellica mancano al riguardo prove conclusive) la 7,62 x 39 M 43 che venne impiegata, già dal 1946, nella carabina SKS; questa arma, di impiego assimilabile alla M1 americana, era parzialmente derivata (principio di funzionamento e disegno dell’otturatore) da un fucile anticarro e per quanto robusta e semplice da usare non era certo un vero fucile d'assalto, fucile che non tardò a materializzarsi con lo Avtomat Kalashnikov.
SKS Sezione Schematica.
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SKS smontata.
SKS di fabbricazione yugoslava, disegno da un manuale originale.
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IlNASCITA DELLO AK 47
Al termine del II conflitto mondiale i vincitori si trovarono In mano una quantità impressionante di armi leggere, sia di produzione propria che di preda bellica, tutte con un comune denominatore: l’obsolescenza.
La riconslderazione del ruolo dell’arma individuale, iniziata già durante la guerra e portata a compimento dal mutare delle tattiche di impiego di fanteria e corazzati, rendeva di colpo sorpassati sia i vecchi bolt action che I più nuovi fucili semiautomatici. Se gli occidentali non seppero e non vollero adeguarsi alla nuova concezione dell’arma individuale, ben diverso fu il comportamento dei sovietici. Questi avevano proficuamente impiegato a massa i vari PPS, PPSh e PPD ih un ruolo che anticipava quello del fucile d ’assalto ed i generali dell’Armata Rossa richiedevano un arma che conservasse I pregi dei loro moschetti automatici (rusticità, robustezza, affidabilità, volume di fuoco) aumentando portata utile e capacità di penetrazione. Non facendosi soverchie illusioni sul materiale umano a disposizione (e molto probabilmente anche con un occhio alle future cessioni di armi a movimenti di guerriglia e di pseudo liberazione), fin dall’inizio venne abbandonata ogni velleità di impiego del fucile sulle lunghe distanze per privilegiare robustezza da carro armato, affidabilità totale e facilità di manutenzione. In una sola parola quello che i capi sovietici volevano era un supermltra facilmente ri- producibile in grandi quantità, poco bisognoso di manutenzione, proficuamente impiegabile anche da parte di personale scarsamente addestrato e capace di sostituire tutte le armi individuali ad eccezione di quelle per tiratori scelti.
Per realizzare l'arma desiderata i sovietici disponevano già della cartuccia, quella 7,62 x 39 sviluppata nel 1943 da Ellzarov e Se- min (se si vuole prendere per buona la tesi dello sviluppo autonomo) e della cui bontà I capi militari erano tanto convinti da accettarla an
che se camerata nella SKS, arma già obsoleta al momento della sua distribuzione ai reparti. Se la cartuccia c ’era mancava l’arma destinata ad usarla ed a questo pensò l’allora sconosciuto sergente Kalashnikov. Mikhail Ti- mofeyevich Kalashnikov venne seriamente ferito durante la battaglia di Brausk e nel corso della sua convalescenza iniziò ad interessarsi di armi individuali. Cominciò con un disegno di moschetto automatico a cui venne però preferito quello di Sudayev che divenne il PPS43, volse poi la sua attenzione verso la allora neonata cartuccia intermedia per la quale camerò una piccola carabina ad otturatore rotante, anche questa arma non riscosse successo e non se ne conservano tracce. Finalmente, aH'inlzio del 1946, Kalashnikov imboccò la strada giusta, quella strada che dopo non poche tribolazioni avrebbe portato allo AK 47 in versione definitiva. Fin dall’Inizio Kalashnikov ebbe le idee molto chiare sul tipo di meccanica, sull’Impostazione generale dell’arma e sulle prestazioni richieste ma la sua opera si scontrò con lo stato di arretratezza in cui versava l’Industria sovietica. Nell’ottica di una produzione in grandi serie niente può eguagliare la lamiera stampata, materiale che, come ampiamente dimostrato dal tedeschi (fra l'altro con quegli splendidi esempi che sono MG 42 e Stg. 44) si prestava ottimamente all’impiego sulle armi. Dal 1947 al 1950 I sovietici tentarono senza successo di fabbricare lo AK 47 usando un fusto composto da parti macchinate e stampate; se disegnare un arma e realizzarne dei prototipi è relativamente facile, ben diverso risulta il discorso quando si affronta l’opera di industrializzazione e la successiva produzione in serie. La produzione di parti strutturali (per un arma da fuoco) In lamiera stampata non è operazione che si possa Improvvisare da mattina a sera; nella seconda metà degli anni 40 i sovietici erano praticamente digiuni di stampaggi e non riuscirono ad assimilare rapidamente le tecnologie
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sottratte ai tedeschi; nonostante i molti tentativi fatti la prima versione del Kalashnikov fu un fiasco clamoroso perché non si riuscì a superare i problemi posti dal collegamento fra le parti stampate e quelle macchinate, i rivetti usati a questo scopo cedevano miseramente dopo un certo uso deH’arma ed anche una loro sostituzione con saldature era al di là delle possibilità tecnologiche sovietiche dell’epoca. Vista la non praticabilità della produzione in serie mediante stampaggi fu deciso di ricorrere a tecniche più sperimentate e padroneggiate: asportazione di truciolo partendo da un forgiato. Se oggi, grazie alle macchine operatrici a controllo numerico, questo tipo di fabbricazione può essere favorevolmente comparabile, almeno entro certi limiti, anche con lo stampaggio delle lamiere, all’epoca ha com
portato un aggravio non indifferente dei costi di fabbricazione ed un allungamento dei tempi necessari; per contro, sempre in riferimento alle tecnologie disponibili nei tardi anni ’40, l’arma ottenuta è risultata più robusta e durevole nel tempo. Una seconda versione del Kalashnikov vide la luce all’inizio degli anni ’50, questa versione fece ricorso alla fresatura del fusto ma probabilmente l’aggravio di costi e tempi necessario per la sua fabbricazione venne ritenuto eccessivo, tanto che, entro pochissimo tempo, venne messa in produzione una terza versione, anch’essa col fusto ottenuto per macchinatura di un forgiato, che si differenzia per diversi particolari tendenti a diminuire il tempo necessario per la costruzione deH’arma. La terza versione del Kalashnikov è quella definitiva ed ha ricevuto la denomi-
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Foto ed esploso della prima versione prodotta in serie dall'AK47 con castello in acciaio forgiato.
nazione AK 47; se 47 indica l’anno di adozione risulta chiaro che quella assegnata è una denominazione di comodo visto che l’arma ha iniziato a pervenire, in grande quantità, ai reparti solo nel 1956. In ogni modo lo AK 47 è la versione su cui è nata la fama del Kalashnikov, tanto che anche I più tardi AKM vengono chiamati spesso, per quanto erroneamente, AK 47.
Nonostante il costo di fabbricazione elevato ed i tempi relativamente lunghi che questa fabbricazione richiede lo AK 47 è stato riprodotto in decine di milioni di esemplari, sia in Russia che in molti stati legati a Mosca (Cina, Germania Est, Polonia, Bulgaria, Romania, Corea del Nord, Ungheria, Yugoslavla) e praticamente tutti gli eserciti dei Paesi nell’orbita sovietica ne fanno uso. Solo sul finire degli
anni 50 i sovietici sono riusciti a realizzare un Kalashnikov col fusto in lamiera stampata (1959), questa versione è denominata AKM e meccanicamente non si discosta dal sue predecessore (l’unica differenza è data dalla presenza di un riduttore di cadenza sullo AKM) ma la diversa tecnica di fabbricazione ha comportato notevolissimi vantaggi che possono venire riassunti con pochissime parole: maggior velocità di fabbricazione, costo più contenuto, peso inferiore (un AKM pesa i 2/3 di un AK 47). Nonostante lo AK 47 sia considerato il fucile d ’assalto per antonomasia ritengo che questa palma spetti allo AKM perché, pur con una meccanica sostanzialmente identica, adempie a tutti i requisiti base di un fucile d ’assalto, non ultimo quello della fabbricabiliià in grande serie a prezzo contenuto.
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AK47 Standard, calcio metallico pieghevole.AK47 Standard, calcio in legno.
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AKM, calcio in legno. AKMS, calcio metallico pieghevole.
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Un 'esercitazione delle truppe del Patto di Varsavia: si spara, data la posizione, contro ipotetici paracadutisti nemici.
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IllLA MECCANICA KALASHNIKOV
DESCRIZIONE GENERALE DELL’ARMA
Prima di iniziare un discorso sulla meccanica dello AK è bene puntualizzare che, contrariamente a quanto possono credere ed asserire gli esperti della mutua, la sorprendente «reliability» dello AK 47 è dovuta non a grandi tolleranze o a scarsa accuratezza di lavorazione ma, al contrario, alia splendida esecuzione di tutta l'arma: parti assemblate benissimo, giochi modesti, particolari molto ben macchinati e rifiniti a mano con cura (cura tanto elevata che una lavorazione come quella dello AK 47 si può riscontrare solo su armi civili di grande pregio); ad ulteriore dimostrazione della cura posta nella fabbricazione degli AK basti pensare che tutte le parti smontabili a mano sono matricolate.
Come non mi stanco mai di ripetere il cuore di una qualsiasi arma è la chiusura e quella del Kalashnikov è, ancora oggi, una delle migliori in assoluto. Costituita da pochi pezzi è robusta, affidabile, progettata bene e realizzata meglio. Lo AK è dotato di chiusura ad otturatore rotante che viene sbloccato dai gas spillati dalla canna; se il principio è quanto di più classico si potesse utilizzare all’epoca della progettazione, la concezione e l’esecuzione di tutto l’insieme si discostano non poco da quelli della maggioranza delle armi coeve e l’unico fucile che all'epoca poteva vantare un sistema di chiusura più semplice (mi riferisco ovviamente alle armi a sottrazione di gas) era lo Stg. 44 dal quale è pensabile che Kalashnikov abbia mutuato l’idea della multifun- zionalità di alcune componenti. Nello AK pistone di presa gas, asta d’armamento e portaotturatore sono un unico pezzo (in realtà il pistone e la slitta portaotturatore sono due pezzi separati uniti tra loro da una spina ma questa separazione è stata adottata solo per facilitare la produzione di un pezzo già complesso e, nel normale smontaggio da campo, è totalmente inutile separare il pistone dalla slitta) al quale è collegato l’otturatore rotante
dotato di due robuste alette di chiusura ed attuato da una pista a camme ricavata nel portaotturatore. E interessante notare che, contrariamente a quanto avviene sulla maggioranza delle armi con otturatore rotante, la rotazione dell’otturatore non è continua lungo tutta la corsa ma si arresta dall’ istante in cui l’otturatore fa uscire una cartuccia dal caricatore fino a quando questa non è completamente camerata; una volta che la cartuccia è camerata l’otturatore riprende il suo movimento rotatorio per assicurare la chiusura; è intuitivo quanto importante risulti questo accorgimento per garantire sicurezza di funzionamento. La molla di recupero è posta dietro l’otturatore, vincolata al guidamolla (in questo modo, smontando l’arma si evitano i rischi associati alle molle «impazzite» tipici delle armi in cui questi elementi dalla personalità schizofrenica non sono vincolati) che serve anche da blocco del coperchio in lamiera stampata che copre il fusto. Il coperchio bloccato dalla molla di recupero consente un facilissimo e rapido smontaggio dell’arma ma non può servire da base per la tacca di mira (che è spostata in avanti sul tubo di passaggio del pistone p.g.) né per ottiche di mira o strumenti per il tiro notturno; questo perché il sistema non è rigido ed inoltre non riassume sempre la stessa esatta posizione ogni volta che viene rimontato (una differenza di pochi decimi manda completamente a pallino la taratura delle mire ottiche).
Se la chiusura dello AK è molto ben congegnata la catena di scatto risulta un piccolo capolavoro di semplicità e robustezza. Anche qui si è scelto il principio della multifunziona- lità e della massima robustezza e sicurezza di funzionamento, anche a scapito dello scatto che non è proprio da match; si deve peraltro sottolineare che, sul tipo di arma considerata e con le limitazioni imposte dalla munizione, uno scatto leggero sarebbe stato inutile e con-
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Gruppo otturatore de ll’AK47. Portaotturatore (A), otturatore (B) e g li stessi assemblati (C).
troproducente ai fini della sicurezza. Per una descrizione delle parti rimando il lettore ai disegni che accompagnano queste note e mi limito a spiegare il funzionamento. Il grilletto è dotato di una appendice anteriore che funge da leva di scatto ed ospita, al suo interno, il disconnettore per il tiro semiautomatico; il disconnettore è caricato a molla e, sulla sua appendice posteriore, agisce il braccio del selettore-sicura. Il cane, di forma complessa ha due diversi punti di aggancio per le due leve di scatto: sulla testa quello per la leva di scatto del tiro semiautomatico, vicino al perno di rotazione per la leva di scatto del tiro a raffica libera. La leva di scatto per il tiro a raffica, costituita da due braccia di diversa lunghezza, funge anche da sicura automatica che impedisca lo sparo quando l’otturatore non è completamente in chiusura. Quando il selettore è nella posizione di tiro semiautomatico il braccio di questo non agisce sulla coda del
disconnettore e quindi, a cane armato dal movimento retrogrado dell’otturatore (in realtà è il portaotturatore che contrasta con il cane), il dente del disconnettore impegna la testa del cane mentre il grilletto è premuto e lo rilascia, facendolo così agganciare dalla leva di scatto del tiro semiautomatico, quando viene meno la pressione sul grilletto. La leva di scatto per il tiro a raffica funge, nel tiro semiautomatico, solo da sicura automatica perché la testa del braccio più corto non contrasta con il dente sul cane solo quando l’otturatore è completamente in chiusura e quindi il braccio più lungo della leva può spostarsi in avanti sottraendo così quello più corto al dente sul cane. Spostando il selettore nella posizione per il tiro a raffica libera si neutralizza il disconnettore (il braccio del selettore preme sulla coda del disconnettore impedendo a questo di agganciare la testa del cane) e così, tenendo il grilletto premuto, funziona solamente la le-
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1) Cane2) Otturatore3) Percussore4) Portaotturatore5) Molla di recupero6) Pistone7) Gruppo presa gas8) Caricatore9) Ritegno caricatore
10) Leva di scatto per raffica - sicura automatica
11) Molla del cane e del grilletto12) Grilletto
va di scatto per il tiro a raffica che garantisce il necessario ritardo tra chiusura dell’otturatore e caduta del cane (se il cane si abbattesse in concomitanza alla chiusura dell’otturatore difficilmente partirebbe il colpo perché essendo in movimento sia cane che percussore, alloggiato nell’otturatore, la differenza di velocità relativa raramente sarebbe bastante ad originare una sufficiente energia cinetica del cane) sottraendo il braccio più corto al dente ricavato vicino al perno di rotazione quando quello più lungo si sposta in avanti non essendo più contrastato dal portaotturatore al momento In cui l’otturatore va in chiusura. Con l'arma in sicura il braccio del selettore blocca completamente dlsconnettore e grilletto (vedi disegno) impedendo ogni movimento della catena di scatto mentre la leva di comando del selettore (che è nella posizione di massima elevazione) chiude ogni possibile accesso ad eventuali corpi estranei ed impedisce
parzialmente il movimento retrogrado dell’otturatore. La sicura può essere inserita anche a cane disarmato, caratteristica resa necessaria dalla duplice funzione di sicura e sportello antlpolvere (è previsto espressamente dal manuale sovietico dello AK 47 che l’arma, quando non sia necessaria una pronta apertura del fuoco, venga tenuta con cane abbattuto su camera vuota e sicura inserita per proteggere la meccanica da eventuali corpi estranei), quando la leva è nella posizione di massima elevazione l’arma è in sicura, scendendo si incontra prima la posizione per il fuoco a raffica e poi quella per il tiro semiautomatico. Un particolare degno di nota della catena di scatto è che cane e grilletto sono caricati da un unica molla multifunzionale ricavata da più fili ritorti invece che da un unico filo di acciaio armonico di robusto spessore. Questo tipo di molla era già stato usato sullo Stg. 44 e dopo molti anni in cui è stato impiegato so-
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GRUPPO DI SCATTO DELLO AK 47 CON SELETTORE IN POSIZIONE DI RAFFICA
A) Con grilletto in posizione di riposoB) Con grilletto premuto
1) Braccio del selettore2) Disconnettore3) Grilletto4) Cane5) Leva di scatto per il tiro semiautomatico (è di pezzo col grilletto)6) Leva di scatto per il tiro a raffica - sicura automatica che impedisce lo sparo se l'otturatore
non è completamente in chiusura.
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ASSONOMETRIA DEL GRUPPO DI SCATTO CON SELETTORE IN POSIZIONE DI SICURA
1) Selettore2) Disconnettore3) Grilletto4) Cane5) Leva di scatto per il tiro semiautomatico6) Leva di scatto per il tiro a raffica - sicura automatica
Levetta a bitancere di fermo del caricatore de ll’AK47 e derivati.
10 sulle armi sovietiche o a queste ispirate vede ora un utilizzo massiccio da parte di diversi fabbricanti; fino a poco tempo fa si riteneva che l’unico vantaggio di una molla ricavata da fili ritorti fosse il minor costo di fabbricazione mentre da alcuni anni diversi tecnici sembrano convinti che il filo di questo tipo dia maggiori garanzie di resistenza allo snervamento.
Un particolare di importanza apparentemente limitata ma che invece dovrebbe essere sempre tenuto nella massima considerazione è il ritegno del caricatore, quello dello AK è ancora oggi tra i migliori In assoluto (robusto, sicuro e facile da usare anche per i mancini) ed all’epoca della sua realizzazione era sicuramente il migliore In assoluto. La semplice levetta a bilancere offre molte caratteristiche positive (non ultima quella di essere facilmente realizzabile per stampaggio ad un costo veramente infimo) ed ha un solo aspetto negativo, aspetto che dipende più dalla stupidità umana che da altro: il caricatore, quando viene inserito, deve prima essere impegnato dalla parte anteriore e poi fatto rotare verso il grilletto fino a quando il ritegno non entra nella sua sede sul caricatore; può accadere che qualche «tacchino» cerchi di inserire a forza11 caricatore senza rispettare la procedura cor
retta, il risultato è quello di bloccare l’arma fino a quando qualche anima buona non riesce a togliere il caricatore forzato in posizione innaturale.
Le mire dello AK 47 sono costituite da una tacca di mira di sezione quadrata montata su un braccio dotato di un cursore che può essere regolato per distanze da 100 a 800 metri oppure, quando l’alzo è nella sua posizione più bassa, per il tiro da combattimento contrassegnato dal simbolo n (P in cirillico). Completa il sistema di mira un mirino montato su rampa sopra la volata e protetto da orecchie; le mire dello AK 47 non sono regolabili sul campo, normalmente questa operazione viene effettuata in fabbrica agendo sul mirino che può essere regolato in elevazione ed azimuth. Il mirino è montato su un barilotto che può venire spostato lateralmente e la sua parte inferiore è costituita da un cilindro filettato e aperto lungo un diametro per i 3/4 della sua altezza; in questo modo la metà inferiore del cilindro risulta elastica e forza leggermente nella filettatura sul barilotto in .modo da non potersi allentare con le vibrazioni. Per il tiro in condizioni di scarsa illuminazione lo AK può essere dotato di un sistema di mire fosforescenti costituito da due dischetti; il mirino viene montato su una rampa modificata, è ribal-
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La tacca di mira per gli AK, qui riprodotta assemblata e scomposta nelle sue componenti, ha una base di forma complessa che viene saldamente collegata a ll’arma essendo investita sulla canna (e spinata) ed entrando nella fresatura apposita sulla parte anteriore del fusto nello AK 47 (sull’interno nello AKM). La levetta sulla destra della base per la tacca serve da ritegno alla parte superiore dell’astina
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guardamano. La tacca è graduata fino ad 800 metri per gli AK 47 e fino a 1.000 per gli AKM. Su entrambe le armi il simbolo indica la posizione per i tiro di «combattimento» daO a circa 300 metri; questa posizione serve per una mira approssimativa quale quella che viene usata nei combattimenti reali su distanze relativamente contenute.
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Mirino perAK 47 (ed AKM) assemblato e particolari del mirino vero e proprio e del barilotto sul quale lo stesso viene avvitato. Il barilotto può essere spostato lateralmente (regolazione in azimuth) mentre avvitando e svitando il mirino si regola il punto di impatto in elevazione. La rampa per il mirino viene investita e spinata sulla canna; una boccola in volata la trattiene saldamente in posizione.
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Il fusto dello AKM è un semplice scatolato ad U al quale vengono fissate tutte le parti necessarie (inserto - guardia grilletto - ritegno caricatore - chiusura posteriore) mediante ribattini. La chiusura posteriore serve anche da interfaccia col calcio e ve ne sono di due tipi diversi: per la versione a calcio fisso (A) e per quella a calcio ribaltabile (B).
tabile e quando non viene usato stà in posizione abbattuta lungo la canna; la tacca viene agganciata alla normale tacca per il tiro diurno mediante una linguetta elastica; quando sono in opera, le mire per il tiro notturno coprono completamente le altre.
Ad eccezione delle mire per il tiro in condizioni di scarsa illuminazione lo AK 47 non ha altri accessori, mancano completamente bi- piede, attacchi per ottiche, compensatore, spegnifiamma, lanciagranate e, in generale, tutti quegli accessori che accompagnano i fucili d ’assalto di produzione occidentale; addirittura manca l’attacco per la baionetta che è sempre stato un feticcio intoccabile per tutti gli eserciti (l’attacco è stato introdotto con lo AKM ma in questo caso la baionetta serve anche come tagliatili), l’unica concessione fatta alla adattabilità dell’arma per diversi usi è stato il calciolo ribaltabile che ricorda molto quello delle MP 38/40.
Lo AK 47 è un arma splendidamente costruita ed in questo trova la sua forza ma anche molti dei suoi limiti (proprio come il nostro MAB; era il migliore fra tutti i mitra coevi, resistente a tutto durava una vita ma costava un pozzo di soldi) e per questo motivo i sovietici decidevano, nel 1959, di ritentare la carta del fusto in lamiera stampata con lo AKM (Moder- nizirovannyi Avtomat Kalashnikova) ma questa volta avevano ormai padroneggiato le tec
niche di stampaggio delle lamiere e l’arma risultante è stata un successo enorme la cui evoluzione continua ancora oggi.
Convinto, giustamente, che è stupido cambiare un cavallo vincente, Kalashnikov decise di adottare, per lo AKM, una meccanica sostanzialmente invariata rispetto a quella dello AK 47; infatti, con l’eccezione di alcune varianti di dettaglio su parte dei pezzi componenti la catena di scatto e l’aggiunta di un riduttore di cadenza, la meccanica dello AKM è identica a quella dello AK 47.
Anche se qualche «esperto» dice che i fusti in lamiera stampata non assicurano il massimo della robustezza questa asserzione è soltanto meteorismo verbale ed inoltre la scatola di culatta (nelle armi in cui il fusto è diviso in scatola di culatta e scatola di scatto) o il fusto nel suo insieme non devono sopportare nessuno stress derivante dalle chiusure (l’eventuale problema potrebbe essere casomai quello della usura, problema che si può presentare anche con fusti macchinati, per non parlare di quelli gettati, se è stata fatta una scelta errata per i materiali e/o i trattamenti termici) ad eccezione del punto dove queste lavorano, per questo motivo gli otturatori rotanti vanno in chiusura o in un prolungamento della canna oppure in un manicotto molto robusto collegato al fusto. Nello AKM è stata scelta la seconda soluzione e così il fusto è
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4L'inserto macchinato e trattato termicamente è la parte del fusto che subisce gli stress delle chiusure; sarebbe stato possibile (meglio dire sarebbe oggi possibile, visto lo stato di arretratezza in cui versava a ll’epoca l ’industria sovietica) fare a meno dell’inserto guadagnando in peso ma perdendo in durata dell'arma. Anche oggi, nonostante i progressi della tecnica, una soluzione del genere è preferibile quando si voglia privilegiare la durata dell’arma.
un semplice scatolato a forma di U, formato con lamiere spesse 1 millimetro, al quale vengono poi fissati (mediante ribattini) il pezzo stampato che chiude posteriormente il fusto e serve da interfaccia col calcio, guardia del grilletto e ritegno caricatore, inserto macchinato e trattato termicamente. L’inserto alloggia i recessi per le alette di chiusura dell’otturatore e di fronte a questi è ricavato un manicotto filettato al quale viene avvitata la canna; nella parte superiore dell’inserto viene macchinato uno zoccolo per la tacca di mira, quest’ultima è la stessa della RPK ed è quindi graduata da 100 a 1.000 metri oltre ad avere la posizione per il tiro di combattimento indicata col simbolo n
L’adozione del fusto in lamiera stampata ha comportato la modifica di alcune componenti della catena di scatto, modifica che è stata solo di dettaglio ad eccezione della soppressione del disconnettore sostituito da un riduttore di cadenza (che ovviamente svolge anche la funzione di disconnettore); questo è stato un passo sulla cui utilità e saggezza mi permetto di esprimere qualche dubbio: un unico pezzo virtualmente indistruttibile è stato sostituito con una combinazione di 5 parti, tutte singolarmente più piccole e fragili del disconnettore originale, che costano di più e non servono assolutamente a niente visto che la ca
denza al ritmometro è risultata identica sia per AK47 che per AKM (non 600 colpi al primo come molti asseriscono ma 800). Oltre alle differenze già viste (fusto - catena di scatto - tacca di mira) lo AKM si discosta dallo AK 47 per l’uso di calciatura in legno laminato invece che di massello, l’introduzione dell’attacco per la baionetta, i fori di sfiato del gruppo presa gas, le nervature di irrigidimento sul coperchio del fusto, e la finitura superficiale della quasi totalità deH'arma. La sostituzione del massello di faggio con una calciatura realizzata in laminato porta tre vantaggi: minor costo, maggior stabilità agli elementi atmosferici, peso inferiore. La finitura esterna dello AKM è data da fosfatazione, parimenti tostatati sono portaotturatore ed otturatore; sullo AK 47 l'esterno era brunito mentre otturatore e portaotturatore erano lasciati in bianco; sia sullo AK 47 che sullo AKM, l’anima e la camera di cartuccia sono cromati a spessore. Esternamente lo AKM si distingue a colpo d’occhio dallo AK 47 per il fusto in lamiera stampata caratterizzato dalla profusione di rivetti e dalla presenza di due piccoli infossamenti di forma ellissoidale (una ellisse molto schiacciata) proprio nel punto (sopra il caricatore) in cui nello AK 47 compaiono due rilievi di forma rettangolare; un altra caratteristica di immediata acquisizione è la presenza (sullo AKM) di due nervature sul-
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la astina, nervature destinate a migliorare la presa della mano per meglio contrastare il rilevamento durante il tiro a raffica. Sempre per meglio contrastare il rilevamento nel tiro a raffica e per diminuirne la dispersione (in verità la distorsione nel tiro a raffica è una delle caratteristiche meno entusiasmanti dello AK 47 / AKM a causa dell’angolo di calcio troppo accentuato, delle non indifferenti masse in movimento e della mancanza di un compensatore-freno di bocca) sugli AKM delle ultime serie viene montato un compensatore dalla forma caratteristica (vedi foto) che dovrebbe servire a contrastare la tendenza a spostare il tiro in alto e verso destra tipica degli AK.
AK 47 ed AKM sono stati riprodotti in enorme quantità (fra «originali» e «copie» intorno ai 50.000.000 di esemplari) ed hanno una diffusione vastissima accompagnata da una fama di affidabilità a prova di bomba. Che il disegno di Kalashnikov abbia non pochi pregi è indiscutibile ma gli AK sono stati alquanto mitizzati e, pur essendo fra i migliori fucili d’assalto in assoluto, anche quando vengono paragonati ad armi di concezione molto più recente, non possono certo venire considerati privi di difetti.
Nessuno può mettere in dubbio gli eccellenti standards costruttivi delle armi di Kalashnikov, l’intelligenza di molti accorgimenti particolari (canna e camera cromate, molla del cane e del grilletto, smontaggio da campo senza attrezzi, ritegno del caricatore, durata e robustezza di tutte le componenti, espulsione angolata di 45° in avanti, ecc.) e la ormai più che accertata sicurezza di funzionamento in ogni condizione, sicurezza che non può prescindere dalla pulizia dell’arma come molti erroneamente credono; un AK è più tollerante, all’accumulo di depositi ed all’ingresso di corpi estranei, rispetto a molte armi della sua categoria ma esiste un limite a tutto e la mancanza di pulizia e lubrificazione manda a pallino anche la meccanica dei Kalashnikov.
Su nessuno degli AK, delle loro copie o delle armi derivate (ad eccezione degli M70 yugo- slavi) è presente un hold open per l’otturatore a caricatore vuoto, questa mancanza può risultare disastrosa in combattimento (che gaudio puntare il fucile su un bersaglio e sentire lo scatto a vuoto!) ed è scomoda (manca un qualsiasi marchingegno che tenga l’otturatore in apertura) quando si voglia dare solamente una scovolata di emergenza alla canna (ad es. per eliminare corpi estranei o acqua) senza smontare l’arma oppure semplicemente controllare lo stato della canna. La leva della sicura-selettore è scomoda da azionare a mani nude e quasi impossibile con mani guantate oppure sulle versioni con calcio ribaltabile quando questo non è esteso. Il movimento del selettore provoca un rumore ben avvertibile che può mettere sull’avviso il nemico; un poco come il «ping» del Garand quando espelle la clip vuota avvertendo così tutti che il fucile è scarico.
AK ed AKM non possono montare alcun ti
rreno di bocca dell'AKM.
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Il Kalashnikov è indissolubilmente legato all'immagine del guerrigliero: nella foto un vec-
po di ottica di mira o di apparati per il tiro notturno e l’osservazione; se una volta questo era un difetto veniale, oggi con l’importanza data da tutti i principali eserciti al combattimento notturno (l’Armata Rossa è, fra tutti, uno di quelli che più cura il problema e risulta molto strano che non abbia provveduto a mettere in linea un attacco standardizzato per le sue armi) ed il progresso nello sviluppo di apparati ad intensificazione di luminescenza, infrarosso passivo ed immagine termica (apparecchiature ormai molto diffuse e la cui diffusione è destinata ad aumentare progressivamente visto l’abbassamento dei costi in rapporto alle prestazioni) l’indisponibilità di un’interfaccia standard tra ottiche (intendendo con questo termine anche le apparecchiature optroniche per il combattimento notturno) ed AK è veramente un grosso problema.
AK 47 ed AKM hanno una cadenza dichiarata di 600 colpi al primo nel tiro a raffica, sparano una cartuccia con relativamente scarsa energia di rinculo e sono alquanto pesanti (sopratutto lo AK 47 che pesa più di 4.600 grammi scarico) rispetto alla munizione impiegata. Sembrerebbero condizioni ideali per riuscire a contenere la dispersione della raffica, in realtà l'angolo di calcio abbastanza accentuato (che peraltro risulta utilissimo nel tiro istintivo dalla spalla), le notevoli masse in movimen-
chio manifesto dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
to, la mancanza di una qualsiasi forma di compensatore in volata (presente solo sugli AKM delle ultime serie produttive e sulla cui reale efficacia è lecito avanzare qualche dubbio visto anche il fatto che lo AKM è più leggero dello AK 47 pur avendo le stesse masse in movimento) ed il condotto dei gas privo di ogni possibilità di regolazione della portata (se il flusso dei gas deve essere sufficiente ad assicurare un corretto funzionamento anche in condizioni limite, quando l’arma è ben pulita e lubrificata il flusso risulta eccessivo ed il funzionamento sarà più violento del necessario) portano ad una dispersione della raffica superiore a quanto ci si potrebbe attendere dal connubio arma cartuccia, dispersione che per lo AK 47 (più stabile dello AKM senza compensatore) si situa sui livelli, non proprio entusiasmanti, dei fucili d’assalto in 7,62 NATO. La mancanza di un freno di bocca si fa ulteriormente sentire se si considera che sulle armi occidentali questi «aggeggi» sono usati anche per il lancio delle granate, cosa questa preclusa a tutti gli AK con l’eccezione di una speciale versione polacca (e di alcune armi derivate dagli AK ma prodotte al di fuori dei paesi del Patto di Varsavia).
Anche se non immuni da difetti i fucili di Kalashnikov sono comunque ottime armi (all’epoca in cui sono entrate in servizio erano si-
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AK47 Smontato.
diramente il miglior armamento che si poteva dare ad un fante) facilmente riproducibili da chi disponga di una sia pur modesta organizzazione industriale (ovviamente il grado di abilità del fabbricante conta molto e le armi sovietiche sono superiori a molte delle loro copie su licenza), se a questo si aggiungono le particolari condizioni che stanno talvolta alla base dello loro adozione (obbligo virtuale per i Paesi appartenenti al Patto di Varsavia o comunque nell’orbita di Mosca, cessione a «condizioni di estremo favore», non disponibilità di altre fonti) si comprende come queste armi abbiano una diffusione irrepetibile che da sola basterebbe per fare degli AK un fenomeno unico nel settore delle armi individuali. AK 47 e derivati autoctoni sono stati o vengono prodotti in: U.R.S.S., Cina, Finlandia, Germania est, Ungheria, Corea del Nord, Polonia, Romania, Yugoslavia. Gli AKM, la cui produzione richiede una più sviluppata organizzazione industriale, vengono prodotti in: U.R.S.S., Germania Est, Polonia, Ungheria, Romania, Egitto, Corea del Nord. Se la lista dei produttori è impressionante, ancora più impressionante è quella degli utilizzatori maggiori che non ne sono produttori (un elenco completo degli utilizzatori non produttori, anche trascurando i vari movimenti di guerriglia, è virtualmente impossibile) e vede Paesi che dispongono an
che di altre fonti di approvigionamento: Angola, Afghanistan, Albania, Bulgaria, Cambogia, Cile, Congo, Cuba, Indonesia, Iraq, Laos, Mongolia, Marocco, Nicaragua, Pakistan, Siria, Vietnam, Yemen (per alcuni di questi Paesi gli AK sono uno dei risultati di un passato flirt con Mosca; a riprova della qualità dell’arma è da notare che i fucili sovietici sono mantenuti in servizio anche quando l’attuale Governo è ferocemente antisovietico e dispone di altre ottime armi). Un caso a parte è Israele, dispone di ingenti quantità di AK 47 ed AKM che hanno il grandissimo pregio di non essere costati una lira essendo preda bellica; gli Israeliani sono rimasti tanto soddisfatti degli AK che li hanno adottati per le loro FF.AA. e ne hanno fatto la base per lo sviluppo del Gali!.
L’evoluzione delle armi di Kalashnikov non si è fermata con lo AKM (AKMS nella versione con calciolo ribaltabile), da questo sono stati derivati RPK ed SVD; quando si è deciso di mutare il calibro per adeguarsi ai progressi del munizionamento lo AKM è servito come base per lo AK 74 (AKS 74 con calciolo ribaltabile) e per la relativa arma di squadra, lo RPK 74. Vedremo di seguito, in maniera dettagliata, gli sviluppi sovietici e, più en passant, quello che è stato fatto all’estero prendendo a modello AK 47 ed AKM.
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GLI SVILUPPI IN UNIONE SOVIETICAIV
RPK.
Kalashnikov è un grande progettista, tanto grande che, a partire dallo AK 47, tutti i fucili d ’assalto, le armi di squadra e le GPMG cal. 7,62 x 54 introdotti in servizio nell’Armata Rossa sono stati progettati da lui. Sicuramente, oltre alla bontà del disegno, ha giocato anche la comunanza di parti e l’uniformità di addestramento (quella politica dei piccoli passi che i sovietici seguono fin dal 1945 per tutto ciò che riguarda gli armamenti terrestri e, in misura minore, anche gli altri) ma questo non toglie niente (anzi aggiunge) alla abilità di quello che è sicuramente uno dei più grandi tecnici del settore armiero.
Anche se la sua comparsa ufficiale è del 1966 (parata del I maggio sulla Piazza Rossa) la Mitragliatrice Leggera Kalashnikov (Ruchnoi Pulemet Kalashnikov - RPK) è sicuramente di progettazione ben anteriore. Tutti sono concordi nello affermare che lo AKM monta la stessa tacca di mira della RPK, ma se la progettazione dello AKM viene fatta risalire al 1959 e la sua produzione in serie è immediatamente successiva, come è possibile che sia stata adottata la tacca di mira di un arma ancora a venire? Visto il fatto che RPK ed AKM differiscono praticamente solo per il fusto rinforzato della RPK, la lunghezza della
canna (che è anche di maggior diametro), il diverso calcio e la presenza del bipiede sulla RPK, avanzerei l’ipotesi che le due armi siano state sviluppate contemporaneamente come un vero sistema d ’arma nel quale si è fatto il maggior uso possibile delle stesse componenti, anche a scapito delle prestazioni dell’arma di squadra.
La denominazione ufficiale della RPK è di mitragliatrice leggera ma in realtà l’arma di Kalashnikov è un fucile mitragliatore fra i meno capaci di erogare fuoco a raffica sostenuto sparando ad otturatore chiuso e non essendo niente di più che un fucile d’assalto a canna pesante. Pur disponendo di caricatori prismatici da 40 colpi o a tamburo da 75 (ovviamente può essere usato anche il caricatore standard da 30 colpi degli AK) e sparando con una cadenza teorica di 660 colpi al primo lo RPK (uso il maschile perché è un fucile mitragliatore) non è capace di sparare a raffica più di 80 colpi al primo, questo per i problemi di autoaccensione derivanti dal surriscaldamento della camera di cartuccia, surriscaldamento al quale non si può ovviare (se non con stracci imbevuti d'acqua) in alcun modo visto che lo RPK spara ad otturatore chiuso, non ha canna intercambiabile e, fra una serie e l’al-
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RPK Smontato.
tra, è impossibile tenere l'otturatore in apertura per la mancanza di un qualsiasi hold- open. La canna dello RPK è più lunga di quella dello AKM e questo fatto ha richiesto lo spostamento in avanti del gruppo di presa gas ed il conseguente allungamento del pistone; stupisce che non si sia provveduto all’aggiunta di un sistema di regolazione del flusso dei gas perché con un unica regolazione si è obbligati ad avere un flusso dei gas eccedente le necessità deH’arma pulita (eccedenza necessaria per consentire il corretto funzionamento ad arma molto sporca e/o in climi rigidi) con un conseguente funzionamento alquanto violento, violenza che diminuisce solo con il progressivo accumulo di residui della combustione. La violenza del funzionamento ad arma pulita porta ad un aumento della dispersione nel tiro a raffica, dispersione che non avrebbe alcun bisogno di ulteriori aggiunte visto che già le masse in movimento sono aumentate rispetto a quelle dello AKM (pistone più lungo) e lo RPK è un arma relativamente leggera per il suo ruolo oltre a mancare compieta- mente di un qualsiasi compensatore — freno di bocca (non adottato forse per la già eccessiva lunghezza deH’arma). Il bipiede dello RPK non è dei più riusciti: manca ogni possibilità
di regolazione e la sua posizione, in prossimità della volata, interferisce col regime vibratorio della canna oltre a limitare severamente il campo di tiro orizzontale. Molto meglio sarebbe stato applicare il bipiede in posizione baricentrica eventualmente su un prolungamento ad hoc del fusto o almeno in corrispondenza del gruppo presa gas dove maggiore è la rigidità dell’insieme; purtroppo la posizione del bipiede è vincolata dalla geometria dell’arma e dalla lunghezza dei caricatori prismatici da 40 colpi che, già così, limitano l’elevazione della volata; più comodo da usare (e più capiente) è il caricatore a tamburo da 75 colpi che è però più soggetto a rotture e malfunzionamenti oltre ad essere di lungo e difficoltoso riempimento (si deve anche tener presente che ogni arma ha solo un caricatore a tamburo di dotazione). Un ulteriore difetto del bipiede montato sullo RPK è che la sua eccessiva altezza (lo ripeto, necessaria per poter usare i caricatori da 40 colpi) costringe il soldato ad una posizione di tiro innaturale e scomoda (la testa deve stare troppo in alto) che inoltre aumenta l'esposizione del tiratore al fuoco nemico ed impedisce il corretto controllo del calcio con la mano che non impugna l’arma. Nonostante i manuali dell’Armata Rossa
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prevedano, per le armi di squadra e per quelle di appoggio, che durante II fuoco si debba tenere la sinistra (la destra per un mancino) sul calcio e nonostante la conformazione del calcio sullo RPK (conformazione voluta proprio per offrire alla mano un punto dove afferrare Il calcio), l’alto blpiede ed il lungo caricatore rendono quasi impossibile questo tipo di impugnatura su terreno completamente piatto; in questo caso lo RPK deve essere Impugnato come un normale fucile in modo da poter appoggiare I gomiti sul suolo per poter tenere la testa e la parte superiore del busto sollevati a sufficienza. Per completare le dolenti note sui perversi effetti del blpiede si deve ricordare che la possibilità di trattenere il calcio durante il tiro a raffica è particolarmente utile su quelle armi che, come lo RPK, hanno la parte posteriore del calcio diritta e con calciolo metallico; in questo modo diventa necessario riaggiustare il calcio alla spalla tra una raffica e l’altra vista la mancanza di un qualunque accorgimento che permetta un più stabile accoppiamento tra calcio e spalla.
Le mire dello RPK sono identiche a quelle dello AKM; vista la portata pratica di circa 500/600 metri, la tacca di mira regolabile da 100 a 1.000 metri è alquanto ottimistica ed inoltre, considerate le prevedibili distanze di combattimento, è probabile che verrà fatto largo uso della posizione di «combattimento», contrassegnata dal simbolo fi e buona per un
puntamento approssimativo da 0 a 300 metri; oltre alla posizione di «combattimento» le mire dello RPK hanno un altro accorgimento molto utile: un sistema di mire ribaltabili, per il tiro in condizioni di scarsa illuminazione, costituito da due dischetti fosforescenti. È un sistema semplice e robusto che permette solo un puntamento approssimativo ma la sua utilità di notte o comunque quando c ’è poca luce risulta inestimabile. Oltre alle mire fosforescenti i sovietici hanno sviluppato, In questi ultimi anni, un attacco che consente l’uso, sullo RPK, degli apparati a ll’infrarosso attivo NSP-2 e PPN-2 oltre a quelli ad intensificazione di luminescenza che l’Armata Rossa sta iniziando a mettere in servizio. Per quanto possa sembrare strano i sovietici hanno sviluppato una versione con calciolo ribaltabile dello RPK, lo RPKS; questa arma è nata per le esigenze dei reparti paracadutisti e per II tiro dall’interno dei BMP, infatti su tutti i BMP dovrebbe essere presente una postazione riservata allo RPKS mentre le altre sono per gli AKMS.
Al pari del suo «fratello minore» AKM, lo RPK è un arma di robustezza a tutta prova, capace di funzionare in condizioni che manderebbero In tilt molti altri fucili mitragliatori e gli aspetti negativi che lo RPK presenta sono il frutto di una scelta precisa: armi robuste, con elevata sicurezza di funzionamento e che possono essere fatte funzionare da chiunque sappia usare lo AK 47 o lo AKM. La
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scelta sovietica è molto logica se si tiene conto che, nell’Armata Rossa sono a disposizione miriadi di GPMG e di mitragliatrici pesanti destinate ad appoggiare la fanteria, fanteria che inoltre combatte sempre (fin quando è umanamente possibile) con l'appoggio dei BMP dai quali è sbarcata e i VCI sovietici dispongono di armamento pesante ed articolato che, fino a poco temffc) fa era ben superiore alle classiche 12,7 o 7,62 NATO montate sui VTT occidentali (oggi, anche in occidente i VTT
vengono sostituiti, fondi permettendo, da VCI dotati di robusto armamento).
In conclusione lo RPK è un arma che non andrebbe bene per gli eserciti occidentali (diversamente strutturati rispetto all’Armata Rossa) ma risponde appieno alle esigenze di quelli orientali e dei movimenti di guerriglia foraggiati da Mosca (in questo caso la rusticità, la facilità di manutenzione e l'uniformità con gli AK fanno premio su qualsiasi altra considerazione).
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SVD
I sovietici hanno sempre avuto una grande tradizione nell’uso dei tiratori scelti e durante la II Guerra Mondiale hanno impiegato interi reparti di questi specialisti (alcuni di questi reparti erano composti interamente da donne) con risultati eccellenti. I tiratori scelti sovietici degli anni 40/45 erano armati con una speciale versione del Mosin-Nagant denominata M1891/30 e camerata, come il normale M 1891, per la cartuccia 7 ,62x54 R balistica- mente simile al 7,62 NATO e quindi capace di impegnare, in mano a personale altamente addestrato, bersagli fino al limite dei 1.000 metri. Per circa 25 anni l’Armata Rossa ha tenuto in servizio gli M 1891/30 e solo sul finire degli anni 60 sono pervenute in occidente alcune informazioni su un nuovo fucile destinato a sostituirli. L’arma che ha rilevato l’eredità del 1891/30 è lo SVD (iniziali delle parole russe che significano «fucile semiautomatico Dragu- nov») meglio conosciuto come Dragunov tout court; lo SVD mantiene la munizione del 1891/30 ed è questa una scelta logica considerando le buone caratteristiche balistiche della 7,62 x 54 R ed il fatto che, meno logicamente avendo bossolo rimmed, la stessa viene impiegata sulle GPMG dell’Armata Rossa (attualmente la serie PK, ennesimo disegno di Kalashnikov). Bisogna dire che per progettare il Dragunov non si sono spremuti troppo il cervello essendo questo fucile una copia panto- grafata dello AKM con incorporate tutte le modifiche del caso. La 7,62 x 54 R è considerevolmente più prestante della 7 ,62x39 e di conseguenza ha maggior energia di rinculo oltre a lavorare con una pressione massima superiore e ad avere più spostata in avanti l’ordinata massima della curva di erogazione delle pressioni. A causa del cambiamento di munizione e della canna più lunga è stato necessario rivedere l’otturatore ed il portaotturatore (simili ma non identici a quelli dello AKM) e spostare in avanti il gruppo di presa gas. La revisione del gruppo di otturazione e l’allungamento del pistone (resi necessari anche dalla maggior lunghezza della cartuccia) avrebbero comportato un ulteriore aumento delle già elevate masse in movimento con un conseguente importante spostamento del centro di gravità durante il tiro (lo SVD pesa 4,385 grammi con ottica e caricatore vuoto, pochini in assoluto per uno sniper semiautomatico diventano insufficienti con masse in movimento come quelle che ci sarebbero usando un pistone a corsa lunga), spostamento assolutamente deleterio per il tiro di precisione. Per ridurre le masse in movimento si è abbando-
iH
f
Fucile da tiratore scelto SVD (Dragunov).
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I!
Regolazione della valvola che controlla il passaggio dei gas sullo SVD. È sufficiente il rim di un bossolo per spostare il regolatore liberando o chiudendo un foro di sfiato; a foro aperto è minore la pressione del gas che agiscono sul pistone.
nato ¡1 pistone a corsa lunga che è stato sostituito da uno a corsa breve di peso contenuto. Il pistone a corsa breve riceve un forte impulso dai gas, spillati attraverso la valvola di passaggio, e va a colpire con forza il portaotturatore facendolo retrocedere e ritornando poi In avanti sotto la spinta di una molla antagonista. Il portaotturatore, durante il suo movimento retrogrado provoca, attraverso una pista a camme, lo sblocco dell’otturatore che retrocede solidalmente col portaotturatore fino a fondo corsa comprimendo la molla di recupero, questa, quando si distende, spinge in avanti il gruppo portaotturatore otturatore che estrae una cartuccia dal caricatore, la Introduce in camera e va in chiusura. L’otturatore compie la rotazione che assicura la chiusura solo dopo aver camerato la cartuccia ed il portaotturatore termina la sua corsa in avanti solamente dopo che l’otturatore è andato In chiusura. Questo schema di funzionamento, ripreso da quello degli AK, assicura l’assenza di inconvenienti durante la cameratura della cartuccia e garantisce contro la partenza di colpi se l’otturatore non è saldamente in chiusura; infatti, pur se morfologicamente diversa da quella degli AK (dove serve anche come leva di scatto per il tiro a raffica) è presente una sicura automatica che sblocca il cane solo quando il portaotturatore è arrivato a fondo
corsa. Oltre alla sicura automatica, tutta la catena di scatto, per quanto mutuata concettualmente da quella dello AK 47, è stata rivisitata tenendo a mente la necessità di uno scatto privo di grattamenti, filature e corse a vuoto e che parta con pressione non eccessiva: il cane è stato modificato nella zona dove viene agganciato dalla leva di scatto, parimenti modificati sono disconnettore, leva di scatto (ora articolata sul grilletto e non più di pezzo con questo) e grilletto, non c'è più un unica molla che carica cane e grilletto, è stata sostituita con due separate per poter diminuire la forza esercitata sul grilletto. Per la prima volta su un arma individuale sovietica è presente un sistema di regolazione dei gas; il regolatore ha due diverse posizioni (che possono essere selezionate usando il rim di una cartuccia): una per il tiro ad arma pulita (in modo da evitare il funzionamento violento che caratterizza, con la meccanica non imbrattata, le armi senza possibilità di regolazione del flusso) e l’altra da usare in presenza di un forte accumulo di depositi e/o con clima molto rigido.
Ad una prima occhiata il Dragunov può sembrare come un accozaglia di parti messe insieme senza molto riguardo per il risultato finale; la realtà è ben diversa ed il fucile è stato oggetto di un attento studio ergonomico volto però anche al contenimento del numero to-
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Spegnifiamma dello SVD Dragunov, questo spegnifiamma agisce anche come compensatore perché delle cinque aperture, praticate lungo il corpo dello spegnifiamma, tre sono rivolte verso l ’alto e quindi risulta maggiore la quantità di gas proiettata in alto di quella proiettata in direzione infero-laterale. Notare l ’assurdità del ritegno per la baionetta.
tale di parti e della loro complessità. Un esempio è ¡I calcio: non completamente regolabile come quelli di alcuni snipers occidentali, risulta però molto comodo per la stragrande maggioranza degli utenti (in realtà l’unica forma di regolazione è quella relativa al poggia- guancla che può anche essere completamente eliminato) e la combinazione impugnatura a plstola-grilletto-guardia consente l’uso di guanti Invernali senza eccessivi patemi (a chi obietta che non si usano i guanti con un arma da cecchinagglo rispondo di provare a farlo con 20 gradi sotto zero!). Complemento indispensabile per uno sniper semiautomatico è un compensatore, quello del Dragunov serve anche come spegnifiamma ed è caratterizzato dalle 5 lunghe aperture longitudinali attraverso le quali escono parte del gas che spingono la palla; due aperture sono orientate verso il basso e tre verso l’alto in modo che i gas esercitino una spinta maggiore dall’alto verso il basso contrastando il movimento a salire della volata. Lo spegnifiamma del Dragunov è particolarmente riuscito essendo uno dei pochi che riescono a fungere anche da compensatore senza alterare la traiettoria della palla e non avendo sfiato dei gas normale ri
spetto al suolo (su terreno sabbioso i gas che escono verso il basso tendono a sollevare polvere e sabbia ostruendo la linea di mira e rendendo più visibile la posizione del tiratore, la mancanza di uno sfiato normale al suolo diminuisce la quantità di polvere sollevata e fa si che questa non sia immediatamente sotto la canna ottenendo perciò un minor disturbo della linea di mira). Lascia perplessi che, sullo spegnifiamma del Dragunov, sia riportato l’attacco per la baionetta, totalmente Inutile ed anche dannoso (sparare con la baionetta inastata porta ad un deciso mutamento del regime vibratorio della canna e quindi del punto di impatto) su un fucile di precisione.
Un fucile di precisione deve avere come necessario complemento un ottica adeguata, Il cannocchiale PS0-1 montato sul Dragunov, per quanto si discosti dai tipi occidentali (considerati i migliori fra tutti) è sicuramente adeguato all'uso previsto e presenta aspetti molto interessanti. L’ingrandimento è stato limitato a 4X in modo da consentire anche un Impiego rapido, su brevi distanze, relativamente comodo mentre il campo visivo di 6° è al livello delle realizzazioni occidentali cosi come allo stesso livello sono i trattamenti delle
Windage knob Sun sh'ptd
EyeshieldE leva t io n k n o b
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Sight base
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H p t 'C u ie l a m o
R p f i r l p s ^ v i i r h
Ottica di mira PSO-1 a 4 ingrandimenti montata sul Dragunov.
lenti per diminuire l’assorbimento di luce. Il reticolo può essere illuminato, la fonte di energia è costituita da una piccola batteria a secco alloggiata nella parte posteriore della base per l’ottica e la lampadina che illumina il reticolo è facilmente sostituibile (basta svitare il coperchio dell’alloggiamento). Il reticolo è regolabile, a seconda della distanza di tiro, in maniera molto semplice: usando il reticolo distanziometrico ricavato nell'ottica (reticolo tarato sull’altezza media di un uomo, circa m. 1,70) si ricava la distanza del bersaglio (da 100 a 1.000 metri sono le distanze misurabili col reticolo) e si sposta il reticolo di mira agendo sulla rotella che ne comanda l’elevazione fino a quando il numero che corrisponde alla distanza misurata (da 1 a 10) non è allineato, sulla scala della rotella, con la tacca di riferimento. È possibile (almeno in linea teorica) impegnare bersagli anche a distanze eccedenti i 1.000 metri ed inferiori a 1.300: con il reticolo tarato per i 1.000 metri (10) si usano i riferimenti (a forma di accento circonflesso) posti sotto al riferimento normalmente usato; sono presenti 3 riferimenti (1.100,1.200, 1.300 metri) e si usa la parte superiore del riferimento per mirare alla distanza desiderata. Owiamen-
te le distanze superiori ai 1.000 metri devono essere stimate o misurate con altri strumenti così come devono essere stimate o altrimenti misurate quelle distanze non previste dal reticolo distanziometrico. Se, ad es., il bersaglio è alla distanza di 850 metri il tiratore sa solamente che deve sparare ad un punto compreso tra gli 800 ed i 900 metri. In questo caso il reticolo di tiro viene regolato sugli 800 metri e l’elevazione aggiuntiva è semplicemente stimata ad occhio. Siamo lontani dalle raffinatezze delle ottiche da sniping fabbricate in alcuni paesi occidentali e l’idea di impegnare bersagli a distanze eccedenti i 1.000 metri, per giunta con un ottica 4X, è alquanto peregrina, anche senza tener di conto degli effetti del vento che, già avvertibili su distanze ben inferiori, rendono impervio il tiro a 1.000 metri con combinazioni arma cartuccia di ben altra prestanza (nelle gare sulle 1.000 yards che si tengono negli S.U. il .308 Winchester, balisticamente sovrapponibile al 7,62 x 54 R, viene considerato «marginale» proprio a causa dei problemi connessi con il vento). Un accorgimento semplice da realizzare ma che contribuisce non poco alla comodità del tiratore è il manicotto a soffietto, realizzato in
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SVD Smontato.
gomma tenera, al quale si appoggia l’occhio di chi spara: previene disturbi causati da interferenze esterne (ad es. un lampo luminoso di fianco al tiratore) e dà automaticamente (quindi rapidamente) la corretta distanza focale. Un accessorio del PSO-1 era utilissimo quando l’ottica è stata distribuita ai reparti sovietici ma ha perso oggi molta della sua utilità; questo accessorio è un detector di emissioni infrarosse che consente di prendere la mira al buio su uno sniper avversario quanto questo usi un sistema all’infrarosso attivo. Oggi gli eserciti occidentali usano sistemi di mira ad intensificazione di luminescenza (altri, ancora più evoluti, come quelli che sfruttano l’immagine termica, sono pronti per la distribuzione) ed hanno quasi abbandonato i sistemi all’infrarosso attivo. Anche la possibilità di usare il PSO-1 in combinazione con un desig n a to r all’infrarosso (ventilata da organi di intelligence occidentali ma non accertata sicuramente) è oggi di utilità limitata in un eventuale conflitto contro eserciti dotati di materiali moderni: il designatore sarebbe subito esposto al fuoco nemico!
Il Dragunov ha sempre goduto di una grande fama in buona parte meritata: l’arma è co
moda da usare, di facile manutenzione, robusta e tollerante, ma le sue vere prestazioni nello snlping devono essere ridimensionate; esperimenti condotti con armi catturate (dal Vietnam al Libano) hanno dimostrato che, sulle lunghe distanze, le capacità della combinazione SVD / PSO-1 sono inferiori a quelle dei pariclasse occidentali (ad es. gli sniper HK basati sul G3 o il sistema americano M 21 costituito da uno M14 opportunamente modificato e dall’ottica ART) ed ancora di più lo sono nel confronto con gli sniping rifles ad otturatore girevole scorrevole dell’ultima generazione. Resta però il fatto che lo SVD è entrato In servizio prima di parecchi dei suoi concorrenti occidentali e fa parte di un completo sistema d’arma comprendente AKM ed RPK con ovvi vantaggi sul piano della standardizzazione e dell’addestramento; ha poi un sostanziale vantaggio su qualsiasi sniping rifle occidentale: è distribuito in grandi quantità ai reparti dei Paesi orientali e viene inoltre usato praticamente da tutti coloro che hanno adottato AK 47 ed AKM (esemplari di fabbricazione sovietica oppure riprodotti in loco, magari con qualche modifica).
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AK 74
.3
In occidente solo ora ci stiamo faticosamente avvicinando all’adozione comune di una vera munizione intermedia mentre i Paesi orientali sono già standardizzati da molti anni sulla 7,62 x 39; il bello della situazione è che da noi l’adozione di una cartuccia intermedia di piccolo calibro è stata e viene ferocemente osteggiata mentre i sovietici, quatti quatti, hanno sviluppato ed iniziato a distribuire una nuova arma d’assalto basata sulla cartuccia5.45 x 39. Le prime notizie sul nuovo munizionamento hanno iniziato ad arrivare al di qua della Cortina di Ferro verso la metà degli anni 70. In principio gli analisti dei Servizi di Intelligence occidentali hanno ritenuto che la5.45 fosse una munizione a carattere poco più che sperimentale e, al più, destinata a fucili d ’assalto da dare in dotazione solamente ai paracadutisti e ad altre truppe speciali. Prendendo a metro le vicissitudini occidentali ci si chiedeva perché i sovietici dovessero disfarsi di milioni e milioni di ottimi fucili d ’assalto già camerati per una vera munizione intermedia che, per quanto inferiore al .223 (all’epoca M 193 ed oggi, dopo una leggera cura ri- costituente, 5,56 NATO STANAG 4172) era tatticamente superiore, come munizione per fucile d’assalto, al pur balisticamente ottimo 7,62 NATO (cartuccia splendida per una GPMG o un arma da cecchinaggio ma incompatibile con un vero fucile d’assalto per la troppo elevata energia di rinculo, il peso e le dimensioni delle armi che la devono impiegare) che costituiva allora la munizione più impiegata sui fucili d ’assalto dell’Alleanza Atlantica. Contrariamente alle previsioni degli esperti occidentali i sovietici hanno iniziato ad immettere in servizio grosse quantità dello AK 74 (questa è la denominazione della nuova arma) con il preciso scopo di sostituire gradualmente tutti gli AKM dei reparti di prima linea, ovviamente gli alleati dell’U.R.S.S. non potranno che uniformarsi al comportamento del «Grande Fratello» ed è quindi prevedibile, per il binomio AK 74 - 5,45 x 39 un successo analogo a quello degli AK e della 7,62 x 39; successo che sarà dettato da considerazioni politiche prima che tecniche e prescinderà dalle pur elevate qualità della combinazione arma cartuccia.
Definire nuovo lo AK 74 è forse una esagerazione perché, nell’ottica della continua evoluzione del materiale in dotazione, sempre seguita dall’Armata Rossa, il fucile di cui ci occupiamo è un derivato dello AKM e si differenzia da questo solo per quelle modifiche che sono state necessarie nel passare al calibro
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minore e la presenza di un voluminoso compensatore freno di bocca. All’esterno le due armi si differenziano solamente per il compensatore, il caricatore ed una fresatura longitudinale nel calcio, fresatura di cui sfugge la ragione e si può ipotizzare che sia stata aggiunta per aumentare la riconoscibilità dello AK 74 rispetto allo AKM. Il caricatore dello AK 74 è realizzato in materiale sintetico, molto robusto, sicu nell’alimentazione, leggero ed ovviamente , on può arrugginire; è di uno sconcertante colore rosso ruggine che non contribuisce certo alla mimetizzazione e risulta un ottimo punto di riferimento per sparare addosso ad un soldato armato di AK74. Non comprendo il motivo della strana colorazione data al caricatore e l'Ipotesi, avanzata da più parti, che il caricatore sia stato colorato in rosso per impedire che venga confuso con quello dello AKM mi lascia alquanto perplesso perché non credo proprio che i militari sovietici siano tutti dei mongoloidi (oltre al fatto che un caricatore identico e disponibile da qualche anno, anche per gli AKM. Secondo chi ha potuto provare a fondo lo AK 74, Il compensatore- freno di bocca che viene montato su questo fucile è uno dei più riusciti e permette un fuoco a raffica sostenuto senza eccessive dispersioni della stessa. Il freno di bocca funziona
facendo urtare i gas in fase di espansione contro una superficie plana posta nella parte anteriore, In questo modo i gas vengono deflessi all’indietro e spingono l'Insieme in avanti rl- ducendo così il rinculo del fucile. Per ridurre il rilevamento viene fatto uso di tre aperture circolari poste nella metà anteriore del freno e ricavate su un arco di circa 180° con l’apertura centrale In corrispondenza del piano passante per l’asse di simmetria. Un inconveniente dei freni di bocca è che i gas deflessi vanno a finire in direzione del tiratore, questo problema è stato in gran parte risolto attraverso l’apertura di alcune piccole fessure attraverso le quali escono gas ad alta pressione che vanno ad interferire con quelli deflessi verso il tiratore. Il freno di bocca-compensatore dello AK 74 sembrerebbe praticamente perfetto ma in realtà presenta tre inconvenienti: non consente il lancio di granate, da una vampata terrificante e, cosa ben più grave, è rumorisissi- mo per quelli che stanno sui lati del tiratore e proietta, verso gli stessi, eventuali residui della combustione. Considerando lo scarso peso che i sovietici hanno sempre annesso al fattore uomo, è illuminante il fatto che su riviste specializzate, dove vengono trattati i problemi della sanità militare, alcuni autori hanno espresso la loro preoccupazione per la pos-
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Guerrigliero afgano munito di AK 74 con installata un’ottica di mira.
sibilità che continue sedute di tiro con lo AK 74 possano provocare sordità o comunque danni all’udito di coloro che risultino esposti prolungatamente alle onde d ’urto causate lateralmente dallo AK 74 e che stiano in un raggio di 2/3 metri dal compensatore. Infatti il compensatore dello AK 74 è fonte di estremo disturbo per i vicini mentre non dà alcuna noia al tiratore. In ogni caso, pur se il problema dalla troppo marcata segnatura acustica può essere fonte di gravi inconvenienti anche in combattimento perché indica chiaramente la posizione del tiratore (oltre al baccano non indifferente, lo AK 74 si segnala per la sostanziosa vampa globulare in volata, vampa che viene stimata come tripla rispetto allo AKM), i sovietici hanno fatto un deciso passo in avanti visto che lo AK 74 viene accreditato di rinculo e rilevamento al livello di un .22 L.R. e questo risulta particolarmente utile sia in combattimento che in fase di addestramento delle reclute. La conversione di personale già addestrato sugli AKM non crea il minimo problema perché le due armi sono virtualmente identiche per quanto riguarda la meccanica e, canna a parte, l'unica differenza sta nell’ottura-
tore più leggero e leggermente modificato (con una corrispondente modifica nel portaotturatore) per impedire che, in sede di smontaggio, l’otturatore possa cadere separandosi involontariamente dal portaotturatore quando l’intero complesso viene separato dal fusto. Un altra piccola modifica sullo AK 74 è costituita dall’estrattore che, rispetto a quello dello AKM (che ha sempre goduto fama di relativa fragilità), è stato considerevolmente ingrandito ed irrobustito. Al pari dello AKM esiste una versione con calcio ribaltabile anche dello AK 74, questa versione si chiama AKS-74 ed ha un calcio ribaltabile lateralmente realizzato in lamiera stampata; il calcio viene ripiegato sul fianco destro dell’arma e non interferisce col movimento della sicura contrariamente al calcio di vecchio modello.
Lo AK 74 è il tipico frutto della politica «evolutiva» seguita dai sovietici in molti settori dell’armamento, con poca spesa si è ottenuta un’arma abbastanza al passo con i tempi senza niente perdere delle caratteristiche positive possedute dalle armi di vecchio modello e senza complicare il problema (gravosissimo per un esercito enorme come quello sovieti-
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co) dell’addestramento. Che lo AK 74 sia superiore a tutti i fucili d ’assalto occidentali attualmente in servizio o prossimi ad esserlo, è una fola messa in giro dai soliti «esperti» sempre pronti a dare una patente di eccellenza assoluta a tutto quello che viene messo in servizio dall’Armata Rossa. La munizione impiegata è balisticamente inferiore alla ormai obsoleta M193 (V°900 m/s. palla da 53 grani, Energia alla bocca 142 Kgm.) anche se montando una palla concettualmente assimilabile a quella del 5,56 NATO STANAG 4172 dovrebbe avere migliori effetti terminali (palla intrinsecamente instabile per spostamento indietro del centro di massa ma ben stabilizzata in volo da una rigatura con passo molto corto, 1/196 m m , dotata di penetratore in acciaio) rispetto alla vecchia cartuccia americana. Come portata utile la 5,45 x 39 sì colloca sui livelli della M193 ma, rispetto a questo, ha una traiettoria meno radente anche se più tesa di quella della vecchia 7,62x39; il tiro a distanze fino a 3/400 metri dovrebbe risultare più facile con la nuova 5,45 che con la 7,62 ma in ogni caso il comportamento in volo, la capacità di penetrazione in tutti i materiali, la reale portata utile e l’energia cinetica a tutte le distanze sono ben inferiori a quelle della nuova 5,56 NATO. Solo riguardo alla letalità a breve distanza la 5,45 si colloca su livelli assimilabili a quelli della 5,56 NATO ma, all’au- mentare della portata, la munizione occidentale (che ha una maggiore velocità alla bocca ed una palla con miglior Sd e minor Cx) risulta ben superiore anche riguardo a questo parametro. Per quanto riguarda l’arma vera e propria è indiscutibile che lo AK 74 sia uno tra i migliori fucili d’assalto ma affermare che è superiore alle ultime armi occidentali mi sembra quanto meno esagerato ed imprudente: manca la raffica limitata, non si possono lanciare bombe da fucile, manca compieta- mente un’ interfaccia standardizzata con ottiche di mira o strumenti di puntamento e ricerca al buio, sotto l’aspetto ergonomico lo AK denuncia tutto il peso dei suoi anni (sicura- selettore, calcio, ecc.). Anche sotto l’aspetto costruttivo e, reggetevi forte, della affidabilità generale, lo AK 74 comincia a sentire il peso degli anni; dalla sua ha indubbiamente il bassissimo costo (sia in termini industriali che di addestramento) che è stato necessario per passare dallo AKM allo AK 74 e non è escludibile che sia possibile riconvertire al nuovo standard anche parte degli AKM già in servizio. Ancora una volta lo AK 74 è un arma di ottime caratteristiche generali e costituisce il miglior compromesso a cui poteva arrivare l’Armata Rossa nella cui ottica la scelta dello
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AK 74 è quanto di più felice fosse possibile fare (lo stesso discorso è valido anche per gli alleati di Mosca siano essi stati sovrani o movimenti di guerriglia); da questo a dire che l’ultimo Klashnikov è quanto di meglio disponibile al mondo ne corre parecchio!
R P K 74
Continuando nella logica ferrea che ha sempre governato l’evolversi dei loro armamenti i sovietici hanno affiancato allo AK 74 la sua versione fucile mitragliatore: RPK 74 che, come lo RPK, è, più che altro, una versione a canna pesante del fucile d’assalto e quindi incapace di erogare fuoco a raffica sostenuto per lunghi periodi. Al pari dello RPK anche lo RPK 74 spara ad otturatore chiuso e non dispone neanche del caricatore a tamburo del fratello maggiore, è quindi limitato agli scomodi caricatori da 40 colpi (gli unici in dotazione allo RPK 74) e può usare quelli da 30 del fucile. Tutte le osservazioni fatte sullo RPK sono valide ad eccezione della controllabilità nel tiro a raffica che risulta sicuramente superiore grazie alla nuova munizione che ha minor energia di rinculo e richiede inferiori masse in movimento, inoltre il nuovo fucile mitragliatore è dotato di freno di bocca (simile a quello degli M16) diverso da quello dello AK 74 per non aumentare a dismisura la già notevole lunghezza dell’arma. Particolare interessante dello RPK 74 è il calciolo convenzionale che è stato reso ribaltabile sul fianco destro dell’ar- ma; stranamente sembra (i dati sullo RPK 74 sono molto sommari) che esista anche la ver
sione RPKS 74 con calcio metallico ribaltabile; non si capisce l’utilità di questa versione se già il normale calcio è ribaltabile; esiste comunque la possibilità che questo apparente mistero sia dovuto all’incertezza da parte degli analisti occidentali e che una delle due versioni sia stata abbandonata.
Al presente i dati a disposizione sullo RPK 74 sono pochi ed alquanto confusi e non è escluso che i sovietici stiano pensando a qualche cosa di nuovo come la versione a canna intercambiabile di cui da tempo si parla. Visto il sistema costruttivo del fusto, una versione a canna intercambiabile dello RPK 74 non dovrebbe essere eccessivamente difficile da realizzare con impegno relativamente scarso, altrimenti si può essere sicuri che, considerando la linea evolutiva seguita in precedenza, l’arma verrebbe irrevocabilmente cassata dagli uffici competenti dell’Armata Rossa.
Anche nel caso dello RPK 74 vale quanto detto a proposito dello AK 74, l’arma è valida in assoluto e validissima nell’ottica di impiego sovietica ma, in un confronto testa a testa, risulta complessivamente inferiore agli analoghi modelli occidentali dell’ultima generazione (anche solo restando in Italia il Beretta AS 70/90 è superiore come fucile mitragliatore e, salendo di uno scalino come spettro di impiego, il Franchi/HK LF 23 E è una vera mitragliatrice leggera cosa che lo RPK 74 non sarà mai nonostante il nome), resta però il fatto che lo RPK 74 viene distribuito in grosse quantità mentre le armi occidentali cominciano solo ora a vedere un timido inizio di impiego su scala non ridotta (Minimi).
RPK Smontato.
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A K R
Dalla Seconda Guerra mondiale i sovietici non hanno più costruito nuovi mitra e quelli ancora in dotazione a vari corpi armati del blocco orientale sono reliquie di 40 anni fa.
Una volta tanto sembra che gli errori degli altri non abbiano insegnato niente ai sovietici i quali si sono imbarcati nella rischiosa Impresa di sviluppare un mitra basato sulla meccanica e la cartuccia del fucile d’assalto. Già la vampata dello AK 74 è impressionante e passando da una canna lunga 40 centimetri (AK 74) ad una lunga solo 20 (AKR) i risultati iniziali devono essere stati estremamente soddisfacenti per coloro che vogliono un piccolo lanciafiamme. Poiché non era nell’ Intenzione di Kalashnikov lo sviluppare un lanciafiamme ma, molto più prosaicamente, un mitra, è stato necessario inventare un qualche marchingegno per ridurre la vampa di bocca. Il «marchingegno» sviluppato per lo AKR è costituito da uno spegnifiamma conico montato al termine di una camera di espansione che dovrebbe produrre due effetti: subitaneo calo pressorio prima che la palla lasci la volata (In realtà la parte terminale dello spegnifiamma) in modo da ridurre la pressione del gas nel gruppo di presa gas (troppo vicino alla camera di cartuccia) e flemmatizzazione dei gas infiammati in modo da ridurre vampata e segnatura acustica. Sia la vampata che la segnatura acustica sono già molto rilevanti sullo AK 74 e sullo AKR, nonostante lo spegnifiamma, devono essere spettacolari ed anche le prestazioni della 5,45 risultano considerevolmente ridotte. Sparare una munizione ad alta velocità e piccolo calibro, come la 5,45 sovietica o la M 193, in una canna corta è una cosa priva di senso perché, anche trascurando la vampata ed II botto colossale (cosa inammissibile visto il fastidio che arrecano), le moderne munizioni per fucile d ’assalto fanno conto proprio sulla velocità, velocità che perdono, più di altre cartucce con maggior calibro, accorciando la canna; la canna dello AKR è stata drasticamente accorciata e ci si può tranquillamente chiedere a cosa serva tutto quell’ac- crocco rispetto al quale un tranquillo mitra cal. 9 Para costa meno, è meno ingombrante e pesante, si controlla meglio (mi riferisco ad un mitra dell’ultima generazione), ha portata pratica superiore nel tiro a raffica ed effetti di balistica terminale sovrapponibili o forse superiori. La logica che ha governato l'adozione dello AKR deve essere ricercata nel desiderio di portare la standardizzazione al più alto livello possibile. Fusto, catena di scatto, portaotturatore ed otturatore sono gli stessi del
lo AK 74 con ovvie economie di scala nella fabbricazione e nessun problema di addestramento per quanto riguarda la meccanica dell’arma. Oltre alle modifiche rese necessarie dall'accorciamento della canna (gruppo presa gas, pistone, astina, spegnifiamma) sullo AKR la tradizionale tacca di mira degli AK è stata sostituita con due fogliette abbattibili tarate per 200 e 400 metri (che ottimisti!), il coperchio è stato incernierato nella sua parte anteriore ed il caricatore è stato sostituito con uno che presenta una costolatura di rinforzo anteriore. Il calcio dello AKR, ribaltabile, è lo stesso dello AKS 74.
Indiscutibilmente lo AKR è stato ottenuto con poca spesa, non complica il problema del munizionamento né quello dell’addestramento ma resto convinto che l’Armata Rossa sarebbe stata meglio servita da un vero mitra, magari in 9 Makarov se non si voleva aggiungere una nuova munizione. Già altri eserciti (ad es. quello USA) hanno ceduto alla chimera di un mitra derivato in foto dal fucile d ’assalto e sparante la stessa munizione, ogni volta è stato un fiasco ed ormai nessun fabbricante occidentale si balocca più con canne da 20 centimetri (il limite inferiore sembra sia stato scelto intorno ai 30 centimetri per le versioni corte dei fucili d’assalto) pur disponendo di un munizionamento meno sensibile agli accorciamenti di canna (5,56 NATO). Quando si vuole disporre di un arma molto compatta l’unica scelta possibile sembra essere il munizionamento da pistola (in occidente slamo favoriti dall’aver scelto l’eccellente 9 Parabellum) ed anche volendo mantenere la più elevata standardizzazione possibile si può sempre ricorrere ad un mitra 9 Para derivato dal fucile d’assalto ma con chiusura labile come il nuovo Colt calibro 9 che ha destato non poco interesse da parte dell’Army (in altri casi, ad es. HK, i mitra derivati dai fucili d ’assalto ne conservano addirittura il ritardo di apertura opportunamente tarato).
AKR: lato destro, lato sinistro e smontato. Di quest'arma sono disponibili pochissime immagini.
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I DERIVATI DEGLI AK DI ORIGINE NON SOVIETICA
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Addentrarci nel campo delle armi derivate dagli AK è impresa Improba, tante sono le variazioni sul tema: si va da piccole modifiche di dettaglio, come per gli AK 47 cinesi che diventano Type 56 solo per minute differenze nelle fresature sul fusto ed i diversi caratteri che indicano le posizioni del selettore (contrariamente a quanto da molti creduto la baionetta pieghevole è presente solo su una parte dei Type 56), fino a vere rielaborazioni dell’arma (Valmet, M70 yugoslavi, Galil, ecc.). Purtroppo lo spazio è tiranno e in questa sede è impossibile affrontare compiutamente l'argomento, mi limiterò quindi a dare qualche cenno sulle armi più interessanti premettendo però alcune osservazioni di carattere generale. L’arma su cui si è più lavorato, al di fuori deH’Unione Sovietica, è lo AK 47, fatto apparentemente strano ma invece molto logico visto che lo AKM richiede una più sviluppata capacità industriale. Unica eccezione alla regola è Israele che ha sviluppato il suo Galil partendo dallo AK 47 ma adottando un nuovo sistema di fusione che consente di ridurre i costi ed i tempi di fabbricazione senza ricorrere al fusto in lamiera stampata e senza compromettere la qualità dell’arma; al contrario il
Galil è la massima espressione a cui si può arrivare partendo dalla meccanica AK. Quasi tutti gli Stati che hanno prodotto lo AKM producono anche lo RPK (che da questo è derivato) mentre ciò non avviene nei Paesi dove è stato riprodotto lo AK 47. Un caso isolato è il Vietnam che, senza produrre AK 47 o AKM, produce lo RPK partendo però da un fusto macchinato come quello dello AK 47; probabilmente la fabbricazione degli RPK vietnamiti è iniziata all’epoca dell’amicizia con la Cina che può aver fornito i fusti necessari (la Cina produce solo AK 47) ed è continuata poi autonomamente vista la non convenienza di impiantare una complessa linea di produzione, forse al di sopra delle possibilità tecnologiche del Vietnam e comunque non pagante per fabbricare solo RPK. Fra tutti i Paesi che producono AKM, solo la Corea del Nord ha mantenuto la catena di scatto dello AK 47 mentre tutti gli altri hanno optato per quella dello AKM contenente l’inutile riduttore di cadenza; non è un caso se israeliani e finlandesi, i più qualificati tecnologicamente fra coloro che hanno rielaborato il disegno Kalashnikov, hanno adottato la catena di scatto dello AK 47 e non quella dello AKM.
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Tipo 56 (Rep. Popolare Cinese) GALIL (Israe le).
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Modello 58 cecoslovaccoQuesto fucile è particolarmente interessante
perché pur richiamandosi formalmente allo AK se ne discosta completamente ed è l'unico esempio di fucile d ’assalto autoctono nei ranghi di un esercito del Patto di Varsavia. Cosa ancora più stupefacente il Mod. 58 non è in- teroperabile con lo AK perché, pur sparando la medesima cartuccia, non fa uso degli stessi caricatori e questi non sono tra loro intercambiabili; in realtà non esiste un unico pezzo del Mod. 58 che possa venire usato su un AK e viceversa, la meccanica delle due armi è profondamente diversa ed un soldato addestrato con lo AK non sa cosa fare se gli mettono in mano un Mod. 58. La caratteristica più notevole di questo fucile è il sistema di chiusura che viene attuata con un blocchetto oscillante simile a quello della P 38. Sotto la spinta dei gas, spillati attraverso il g.p.g., il pistone a corsa breve urta il portaotturatore che inizia a retrocedere e, dopo una corsa a vuoto di 22 mm. (che fa scendere i valori pressori in canna a livelli di sicurezza), agisce, per il tramite di un piano inclinato, sul blocchetto di chiusura sollevandolo e disimpegnandolo dalle spalle di arresto nel fusto. Il movimento circolare del blocchetto non serve solo a disimpegnare l’otturatore ma anche ad aiutarlo nell’estrazione primaria; la sua faccia anteriore è curva e, contrastando contro una apposita superficie fa spostare leggermente indietro l’otturatore che, ora completamente libero, continua a retrocedere trascinato dal portaotturatore. Anche la catena di scatto è completamente originale, non è qui possibile esaminarla come meriterebbe, basterà ricordare che a causa della chiusura adottata è stato necessario far uso di un percussore lanciato; sono presenti due leve di scatto affiancate e leggermente sfalsate la destra serve da leva di scatto per il tiro a raffica ed impedisce lo sparo fino a quando il portaotturatore non è in posizione di riposo mentre la sinistra serve solo per il tiro semiautomatico. Nonostante abbia il fusto completamente fresato il Mod. 58 è estremamente leggero e questo non contribuisce certo alla sua controllabilità nel tiro a raffica visto che manca di un qualsiasi compensato- re ed ha una cadenza di tiro pari ad 800 colpì al primo.
Fucile d ’assalto cecoslovacco Modello 58.
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PMK-DGN-60 polaccoI polacchi hanno riprodotto, pari pari, lo AK
47 (anche per i bulgari) e lo AKM ma l’esercito polacco è l’unico, fra quelli del Patto, a disporre di una particolare versione dello AK 47 capace di lanciare granate da fucile: il PMK- DGN-60. Rispetto allo AK 47, la versione speciale polacca è stata dotata di una valvola di arresto del fusso dei gas montata sul g.p.g., di un alzo che consente il tiro diretto ed indiretto delle granate e di un lungo tromboncino per il lancio della granate polacche F1/N60 (antiuomo) e PGN-60 (anticarro) che, stranamente, hanno un codolo 0 20 invece del 0 22 adottato universalmente. Per la propulsione delle granate il DGN-60 fa uso di speciali cartucce a salve che vengono ospitate in un particolare caricatore da 10 colpi modificato (con l’aggiunta di uno spessore interno) in modo da non poter assolutamente ospitare munizioni a palla (se impiegate per errore provocherebbero un disastro facendo esplodere la granata).
PMK-DGN-60.
5 ,6 m m . K K M P Ì6 9
In Germania Est sono stati riprodotti AK 47 ed AKM, denominati in loco MPiK (Maschine- pistole Kalashnikov) e MPiKM oltre alle relative versioni con calciolo ribaltabile che giungono una S alla loro denominazione. Ad eccezione di particolari secondari, come la mancanza dell’astina di pulizia e del recesso nel calcio fisso per il kit di pulizia oppure dello strano calcio ribaltabile dello MPiKMs, i fucili tedeschi sono copie perfette dei corrispondenti sovietici. Unico fucile autonomamente sviluppato in Germania Est è una versione .22 L.R. dello AKM che funziona esattamente come l’originale e serve per addestramento al tiro, marce e tutte quelle forme di familiariz- zazione in cui non serva sparare con l’arma vera. Il KKMPÌ69 si distingue a colpo d ’occhio mancando completamente del gruppo presa di gas reso superfluo daN’uso della chiusura labile; altro elemento caratterizzante del trainer è il materiale sintetico usato per calcio ed impugnatura a pistola; calcio ed impugnatura in sintetico si trovano anche sugli AKM prodotti in loco.
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M62-76 cal. 7,62x39 mm. M60 / M62 / M76 finlandesiPrendendo a base la meccanica dello AK
47 i finlandesi (che pure hanno in dotazione anche AK 47 sovietici e prodotti in loco) hanno fatto di tutto sviluppando pure armi di squadra e snipers camerati, al pari dei fucili, anche per munizioni occidentali come il .223 ed il .308. Tutto iniziò, piuttosto in sordina, con lo M60, studiato ma non prodotto in serie, come sostituito degli AK 47; lo M60 ha dato origine, attraverso modifiche di dettaglio a calcio, astina e impugnatura oltre all’aggiunta della guardia al grilletto (mancante sullo M60), allo M62 ed è quindi di questa arma che vedremo brevemente la descrizione; anche perché è dallo M 62 che sono derivati tutti gli altri fucili Valmet (parlo solo delle armi militari perchè quelle civili hanno una catena di scatto simile a quella del Dragunov). Meccanica- mente lo M62 ed i suoi derivati non differiscono dallo AK 47 ma all’esterno le differenze sono ovvie. Calcio, pistola ed astina sono in sintetico (il calcio può essere anche costituito da un unico tubo metallico ribaltabile sul fianco destro dell’arma); la tacca di mira è spostata sulla parte posteriore del coperchio (questo, nonostante conservi lo stesso sistema di fissaggio dello AK 47 è più stabile e può essere usato come base per mire metalliche ma non per ottiche a meno di non fissarlo con viti come sul Valmet Petra), in volata è presente un freno di bocca a cui si può agganciare la baionetta. La differenza più notevole tra AK 47 e Valmet sta nelle modalità costruttive e nonostante si affermi che il fusto del M62 è fresato, sarebbe più corretto dire che il fusto viene ottenuto per fusione ed eventualmente macchinato ove necessario. I più recenti derivati dello M 62 adottano un fusto in lamiera stampata simile ma non uguale a quello dello AKM; è però significativo come per i modelli in .308 si continui a far ricorso al fusto tradizionale. Questa scelta può essere comunque stata dettata da esigenze di carattere commerciale oltre che funzionale.
Come ho già scritto i finlandesi hanno fatto di tutto con la meccanica AK: anche un bull- pup calibro 5,56x45 (cartuccia M 193). Nonostante tutto il rispetto che ho per i finlandesi come fabbricanti d ’armi penso che stavolta abbiano clamorosamente «tappato». Agli inconvenienti tipici del disegno bull-pup si deve aggiungere il coperchio di chiusura adottato su tutti gli AK, appoggiarci la guancia per sparare deve essere un esperienza non proprio piacevole ed il tiratore ne viene sicuramente rintronato oltre ad essere disturbato non poco dai gas che possono fuoriuscire, vi-
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Valmet M 76 P cal. 5 ,56x45 mm.Valmet M82 cal. 5 ,56x45 mm.
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sto che il coperchio non è a tenuta stagna ed i gas che escono dalla camera di cartuccia da qualche parte devono andare. Volendo mantenere inalterata la meccanica dello AK si aggiunge anche l’impossibilità di variare l’espulsione (è pur vero che lo AK espelle in avanti ma un mancino ne resta sicuramente frastornato se non viene colpito dai bossoli caldi, nelcaso venga colpito.....) e la sicura, se non èstata modificata internamente come sembra, richiede uno sforzo enorme per essere azionata oltre ad essere ancora più scomoda di quella già noiosa dello AK.
Ci sarebbero ancora molte variazioni sul tema AK da discutere, come tacere del M 70 e derivati yugoslavi (unici AK che possono lanciare granate ed hanno l’hold open), degli AKM ungheresi oppure del famoso Galil.
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Fucile per tiratore scelto Valmet cal. 7,62 NATO.
M70 (Yugoslavia) cal. 7,62 x 39. M77/82 (Yugoslavia) versione commerciale cal. 308 Win.
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AKM Rumeno, differisce da ll’originale sovietico solo per l ’impugnatura anteriore.
Per confronto con la precedente arma, l ’ultima versione dello AKM-S di fabbricazione sovietica riconoscibile per il rompifiamma.
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LA CARTUCCIA DA 7,62x39 mm. MODELLO 1943VI
A questo punto è necessario dare almeno un brevissimo cenno sulla cartuccia 7,62 x 39 M 43, punto di forza e, nello stesso tempo, limite principale del Kalasnikov. All’epoca della sua introduzione in servizio la M 43 era pienamente adeguata ai prevedibili impeghi e la sua traiettoria da arcobaleno, accoppiata ad una dispersione non proprio da manuale, veniva ampiamente compensata dal fatto che i sovietici non hanno mai fatto conto sul fuoco mirato da parte delle truppe ordinarie preferendogli il volume di fuoco. Inoltre la bassa energia di rinculo, se paragonata a quella del7,62 NATO, consentiva una minore necessità dì addestramento ed una maggiore controllabilità sia nel tiro a raffica che in quello mirato. Il contemporaneo 7,62 NATO è una munizione superba e tutte le armi che lo impiegano sono meglio strutturate (angolo di calcio e freno di bocca-compensatore) dello AK per il tiro a raffica ma la cartuccia NATO ha una energia di rinculo notevole che, se non proibitiva in assoluto, complica notevolmente i problemi di addestramento e di controllabilità dell’arma. Pur tacendo dei vantaggi tattici e strategici derivanti dall’uso di una munizione intermedia è chiaro che, per le normali distanze di combattimento ed in presenza di un for
te fuoco di appoggio (come quello di cui godono le truppe del Patto) la M43 è superiore alla 7,62 NATO per un uso su fucili d’assalto. Il tempo passa per tutti e distribuisce insegna- menti che, piano piano, entrano anche nelle teste più dure; con dieci anni di ritardo sui sovietici anche gli occidentali hanno iniziato a produrre armi camerate per munizioni intermedie e se la M193 americana non era in to- to superiore alla M 43 questo risultato è stato finalmente raggiunto per la 5,56 NATO a norma STANAG 4172 con l’aggiunta che la cartuccia occidentale è più leggera e richiede meno materiali strategici della 7,62x39. Il cerchio si è chiuso ed ormai la M 43 denuncia i segni di una incipiente obsolescenza; i russi sono corsi ai ripari con la loro interpretazione della munizione di piccolo calibro ad alta velocità. I dati teorici paiono confermare la superiorità della munizione NATO anche nei confronti della recente 5,45; sarà la prova sui campi di battaglia (purtroppo non mancano mai su questa tormentata Terra) a dare il responso finale ma sembra che finalmente, dopo quaranta anni dalla fine della guerra mondiale, armi e munizioni occidentali siano superiori ai contraltari sovietici.
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7,62x39 M 1943 ordinaria: palla da 122 grani con camiciatura in acciaio decarburato rivestito in tombacco (sulle palle più recenti l’acciaio viene sostituito con gilding). V0720 m/s. - V60 660 m/s. - V100 620 m/s. - V300 450 m/s. - V500 320 m/s.
7,62 x 39 Tracciante: indicata con punta ver-
Nell'ordine, dall’alto: 7,62x25 mm. (7,63 Mauser); 9 x 19 mm. (9 Pb); 7,62 x 43 mm. M 43; 7,92x 33 mm. Kurz; 7,62 x 54 mm. R; 8 x 5 7 mm. Js.
de e striscia dello stesso colore sulle casse (1 ) — visibilità del tracciante fino ad 800 metri.
7.62 x 39 Perforante incendiaria: impiegabile su distanze non superiori ai 300 metri (manuale russo per AK 47) e dotata di nucleo in acciaio inglobato in quello di piombo — peso della palla e della miscela incendiaria 118 grani. Strisce rossa e nera sulla palla e sulle casse (1) e (2).
7.62 x 39 Incendiaria: la palla, del peso di 102 grani contiene composto incendiario nella sua parte anteriore che si frantuma all’impatto liberandolo. Palla e casse contrassegnate con una striscia rossa (1).
7.62 x 39 a salve: serve solo per esercitazioni e manifestazioni.
(1) Una cassa in legno contiene 1320 colpi sfusi suddivisi in due contenitori di lamiera zincata oppure 920 organizzati in clips, anche questi divisi entro due contenitori di lamiera zincata.
(2) Il nucleo in acciaio non è prerogativa assoluta delle munizioni perforanti incendiarie, anche palle delle munizioni ordinarie sono state fabbricate con nucleo di piombo e acciaio.
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SMONTAGGIO DA CAMPO DELLO AK 47 E DERIVATIVII
Ad arma scarica sì preme (in avanti e verso il basso) sul ritegno del coperchio (foto 1) fino a quando questo non raggiunge una posizione dalla quale il ritorno gli è precluso da un risalto sul fusto.
È così possibile sollevarne il coperchio (foto 2). Continuando la pressione sul ritegno del coperchio (in realtà la parte posteriore del guidamolla) lo si disimpegna (foto 3) ed è possibile separarlo dal fusto (foto 4).
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Basta ora sollevare e tirare indietro portaotturatore ed otturatore (foto 5) che sono facilmente separabili l ’uno da ll’altro (attenzione a che ciò non accada mentre il gruppo viene estratto dal fusto).
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L ’astina guardamano è divisa in due parti e la superiore contiene il tubo di passaggio del pistone (il pistone è spinato al portaotturatore e quindi, a questo punto è già stato rimosso); agendo sulla levetta posta alla base dello zoccolo per la tacca di mira, sulla parte destra, si libera l ’a- stina che può venire separata dalla canna (foto 6). Non conviene andare oltre nello smontaggio da campo anche se, con l ’ausilio di un cacciaperni, possono essere tolte le spine che bloccano percussore (privo della molla antagonista e quindi non cercatela pure rimontando l ’arma) ed estrattore (foto 7).
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TABELLA COMPARATIVA DEI DATI TECNICI ESSENZIALI DELLE ARMI DELLA SERIE AK
A K 4 7 A K M A K 7 4C a lib ro 7 ,6 2 x 3 9 7 ,6 2 x 3 9 5 ,4 5 x 3 9 ,5V o m /s . 7 1 0 7 1 5 9 0 0P e s o p a lla in g ra m m i 7 ,91 7 ,91 3 ,4 1 5P rin c ip io di fu n z io n a m e n to C a d e n z a d i t iro a ra ffic a
o t tu ra to re ro ta n te - s o ttra z io n e di g a s
c o lp i al p r im o 6 0 0 (1 ) 6 0 0 (1) 6 5 0P o rta ta u tile m . C a n n a
3 0 0 (2) 3 0 0 (2) 3 0 0 (2 )
a) L u n g h e z z a m m . 4 1 4 4 1 4 4 0 0b) R ig a tu ra e p a sso 4 d x /2 3 5 m m . 4 d x /2 3 5 m m . 4 d x /1 9 6 m m .L u n g h e z z a to ta le L u n g h e z z a co n c a lc io
8 6 9 m m . 8 7 6 m m . (3) 9 3 0 m m . (3 )
r ib a lta to - v e rs io n e S P e s o
6 9 9 m m . 7 0 6 m m . (3) —
a) A rm a s e n z a c a r ic a to re 4 .3 0 0 g ra m m i 3 .1 5 0 g ra m m i 3 .6 0 0 g ra m m ib) C a r ic a to re v u o to 3 2 2 g ra m m i 3 2 2 g ra m m i —
c) C a r ic a to re p ie n o (3 0 c o lp i) 8 2 7 g ra m m i 8 2 7 g ra m m i —
N O T E
(1 ) E s p e rim e n ti c o n d o tt i n e g li S .U . h a n n o d a to u n a c a d e n z a d i t iro p a ri ad 8 0 0 c o lp i al p rim o .(2 ) La p o rta ta u t ile è u n a q u e s t io n e v a r ia b ile a s e c o n d a di tro p p i fa t to r i, i d a ti in d ic a ti v a n n o p res i so lo c o m e in d ic a z io n i di la rg a m a s s im a .(3 ) C o n s p e g n if ia m m a .
Marchi riscontrabili su armi della serie AK
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INSERTO REDAZIONALE ALLEGATO A DIANA ARMI N° 2 - FEBBRAIO 1986 Direttore Responsabile: Attilio Vallecchi
© 1986 DIANA ARMI Aut. trib. Firenze N° 1870 del 6/11/1967 EDITORIALE OLIMPIA S.p.A. FIRENZE
«LE ARMI DI CUI SI PARLA: AVTOMAT KALASHNIKOV»A cura di: VITTORIO BALZI
Stampe Grafiche Consolini - Villanova di Castenaso
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