Vittorio Balzi, Colt 1911 - Browning HP35 - Walter P38 - Kalashnikov

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Book in italian language about 4 famous firearms: Colt 1911 - Browning HP35 - Walter P38 - Kalashnikov rifle

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A cura di:

VITTORIO BALZI

INTRODUZIONE

Sono ormai trascorsi 73 anni da quel fatici- do 29 marzo 1911, quando il War Department adottò ufficialmente la Colt .45, e la pistola Colt-Browning è, ancora oggi, una fra le più diffuse ed apprezzate al mondo (si noti bene che, pur con i continui aggiornamenti tecno­logici, il disegno originale è rimasto sostan­zialmente immutato). Con una produzione, nei soli S.U., vicina ai 4.000.000 di esemplari nelle varie versioni, più una cifra non esattamente quantificabile ma superiore al milione di co­pie o quasi-copie (sia statunitensi che estere), il progetto Colt-Browning è sicuramente, oltre che il più longevo, quello riprodotto in mag­gior quantità nella storia delle armi corte.

Cosa c’è alla base di un successo inegua­gliato e duraturo? Tanto duraturo che, dopo più di settanta anni, le semiautomatiche Colt- Browning sono diffuse e richieste come po­che altre e la loro popolarità non accenna a declinare ma anzi, almeno in particolari set­tori di mercato, continua a crescere. Se si pen­sa che tutte le contemporanee della 1911 so­no da tempo obsolete ed anche altre concor­renti arrivate più tardi sono ormai scomparse, non si può fare a meno di porsi la domanda già fatta sopra. Le cause del successo sono sicuramente molteplici ma tre fattori risulta­no più importanti di qualsiasi altro: l’iniziale scelta deH’ottimo .45 ACP, l’adozione marziale (la Government Model si identifica ormai con il G.l. ed è parte del foklore e della Storia re­cente Americani) e l’eccellenza del disegno che, innovativo e precursore per i suoi tempi, ha ancora alcuni vantaggi sui moderni concor­renti. Tutti e tre i fattori di successo verranno esaminati successivamente, quello che voglia­mo ora sottolineare è come John M. Browning

e la Colt siano arrivati al «congelamento» del disegno definitivo.

Browning non ha mai sviluppato i suoi pro­getti sulla carta per poi tradurli in pratica; il Genio Mormone era dotato di una qualità ra­rissima (è proprio questa caratteristica che, in­sieme alla fertilità della sua mente, lo rende un Genio) consistente nella visualizzazione mentale del disegno che veniva poi tradotto in uno schizzo approssimativo accompagna­to da mock-ups di legno o cartone, passando successivamente (spesso saltando anche lo schizzo) a «scolpire e plasmare» le singole par­ti direttamente dal pieno; queste parti, una vol­ta assemblate, costituivano un primo model­lo funzionante. Invece di calcolare angoli, vet­tori, momenti d’inerzia, sezioni resistenti, ecc., John Moses riusciva a far mente locale sulla funzione da svolgere ed a visualizzare forma e dimensioni delle parti demandate all’assol­vimento di quella particolare funzione. Le parti venivano realizzate ed assemblate ed il loro

Nata in piena Belle Epoque, la Colt 1911 è giunta fino a i nostri giorni sostanzialmente im­mutata mentre tutte le sue coeve sono ormai pezzi da museo o splendidi esempi di archeo­logia industriale.

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corretto funzionamento era raggiunto empiri­camente per prove successive. L’empirismo (se così si può chiamare) era però sempre gui­dato dalla conoscenza e dalla abilità del pro­gettista nel comprendere immediatamente co­me e perché qualche cosa non funzionava nel modo previsto e nell’eseguire, ipso facto, le necessarie modifiche.

Nonostante l’indubbio genio dell’armaiolo americano sarebbe errato e riduttivo attribui­re solo a lui la riuscita del progetto, riuscita dovuta anche all’opera degli ingegneri che, al­la Colt, lavorarono insieme a Browning sul di­segno originale; l'apporto di questi oscuri in­gegneri non è relativo solo alla industrializza­zione del progetto definitivo, ma anche al la­voro di sviluppo svolto prima di arrivare al con­gelamento del disegno.

Browning aveva ceduto alla Colt i diritti re­lativi ad una semiautomatica cal. 38 incorpo­rante i suoi brevetti del 20 aprile 1897 e del 9 settembre 1902; sulla base di questi brevetti la Colt realizzò la pistola cal. 38 mod. 1900 che diventò, subito dopo, la mod. 1902 a cau­sa di alcune piccole modifiche. Sia l’Esercito che la Marina acquistarono alcune 1900-1902 (per un totale di poco superiore alle 200 uni­tà) ma gli acquisti non ebbero seguito e la 1902 rimase in produzione, per il solo merca­to civile, fino al 1920 totalizzando 53.000 esemplari prodotti. La 1902 (conosciuta, ne­gli ambienti collezionistici statunitensi, come parallel ruler) utilizzava una chiusura stabile

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(No Model.)

No. 580,924.

8 Sheets— Sheet 1.J. M. BROWNING.FIREARM.

PatentedApr. 20, 1897.

A / L L if.? .

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Un esemplare della Colt 1902.

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C apaci! v o f Magazine, H slio(s, W eich l. 37 oiiocvs.Finish . Full Binisi K u IiIm t Stock«. I .iligtli ¡ ( f y /" of B arrel, « incile*. l.eng th -.ver all. t» in. lies

Ilu p n m -in e iits . Tlu- New S afH v . doing aw ay w óh ile ’oid Oiillhilieil lil.naìih—al'i-n arti ri al «ina: tla ,V|‘1V Hriirfiijrht atiin;t:m .-lairial atl.ni'iin. r i . I nkr Do «vii Devine; Non Birilli.' F ili: Non .Mairn/.ine ( a l i li : Un M ille M 'ip ti> hold lìie sitile open uiter disciiaiv.tiig ¡he tisi CaiIi'iiitf''. Kt'ilui.’tinn in nuniber of uperatiug puri». Increustil t a - pucity of Magazine.

SPORTING MODEL. 3 3 CA LIB R E.M ILITA R Y MODEL. 3 s c a l i b r e .In th is model the slide rem ains open a f te r Hrinc th e la st c a r trid g e . W hen reloading 1 he a rm in th is position, insert the m agazine, then press dow nw ard tin; slide-stop (to the te a r of the iriu g e r as illustrated) The slide goes forw ard inserting a C artridge w ithout an y m ovement of the slide hy hand The slide stop is opera ted hy th e tliuinh of the hand holding the pistol.

US Cal. Kinde.«*, Smokeless, ¡ ¡s fa i , l.'iinh-s-. Sumkeless.M etal Batched ß itllel. Soll I Mint Bullet.

P rice per 1,00(1........ S-’O 00 P rice per I.Odli.........Sl’II 00Russet Leather Holster, Willi Flap, SI 00

La Colt 1902 in versione militare e in versio­ne civile, in un vecchio catalogo.

Sotto: la Colt 1903 fu un derivato della 1902 inteso come arma per il mercato civile è sta alla 1902 come la Commander alla Govern­ment.

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La 1905 e la 1909 sono le vere antesignane della 1911; la chiusura con una sola bielletta di svincolo venne adottata sulla 1905, la 1909 fu provata dai militari risultando molto promet­tente, con poche modifiche divenne la Model of 1911.

con due risalti come quella della 1911 ma la chiusura veniva impegnata o disimpegnata per mezzo di due biellette (una in volata e l’al­tra in culatta), in questo modo la canna si al­zava ed abbassava restando sempre paralle­la al fusto. Dopo la decisione dell’Army di pas­sare al calibro .45 (1904) la Colt sviluppò una versione in .45 ACP della 1902 che prese il nome di Mod. 1905. La 1905 ebbe un conte­nuto successo commerciale (6.000 esempla­ri dal 1905 al 1911) ma è molto importante in quanto precorritrice della 1911. Parallelamen­te alla vendita delle 1902 e 1905 la Colt conti­nuò (insieme a Browning) il lavoro di svilup­po producendo diversi modelli sperimentali (più di 200 fra cui anche uno con sottrazione di gas) e fu solo nel 1909 che vide la luce il sistema di svincolo con una sola bielletta sot­to la camera di scoppio. Attraverso successi­vi affinamenti del Mod. 1905 (acquistato spe­rimentalmente dall’Army in 400 esemplari) e l’introduzione della chiusura attuata da una so­

la bielletta si giunse finalmente ad un model­lo definitivo che venne sottoposto agli ormai famosi tests dai quali uscì come: Government Model of 1911.

Abbiamo precedentemente scritto che sa­rebbe errato e riduttivo attribuire al solo Brow­ning il merito del successo arriso alla 1911; dopo quanto brevemente visto, questa nostra asserzione dovrebbe risultare pienamente giu­stificata. La sola Colt o il solo Browning forse non sarebbero mai arrivati alla 1911 ed è quin­di giusto usare la denominazione completa Colt-Browning a ricordare che sono stati ne­cessari gli apporti del sìngolo Genio e della Grande Industria per arrivare a quel gioiello ai più conosciuto come Government Model. Parlare di gioiello non è una inutile iperbole perché il disegno Colt-Browning è eccellente e longevo (più di qualsiasi altro) ed è anche uno di quelli che ha avuto maggiore importan­za ed influsso nello sviluppo delle armi corte moderne.

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Alla ricerca di una nuova arma da fianco, dimensionalmente e ponderalmente più con­tenuta dei modelli in dotazione, il War Depart­ment (oggi Department of Defense) commise un gigantesco errore abbandonando i Colt S.A.A. e gli S&W Schofield, entrambe in .45 Colt, a favore dei Colt 1892 D.A. cal. .38 Long Colt. Il Ministero della Guerra fece la sua scel­ta per dotare le truppe di un revolver meno af­faticante, più facile da usare e con maggior volume di fuoco. I calcoli, giusti per l’arma, si rivelarono tragicamente sbagliati per la mu­nizione, non tenendo conto della disparità di balistica terminale esistente tra .38 Long Colt e .45 Colt (sia pure, quest’ultimo, nella ver­sione «Military» con carica ridotta per poter es­sere impiegata sugli Schofield). La diversa «prestanza» delle due munizioni risulta eviden­te dal confronto di alcuni dati dei caricamenti standard:— .38 Long Colt 148 grs. LRN x 770 f/p.s. /

Ec = 26,8 Kgm.(carica = 18 grani di polvere nera / can­na 6’ ’);

— .45 Colt (Military) 250 grs. LFP x 770 f/p.s. / Ec = 45,3 Kgm.(carica = 28 grani di polvere nera / can­na 6” ).

Non essendoci altre variabili introdotte dalla eventuale espansione della palla (inesistente ai fini pratici a causa della identica bassa ve­locità erogata dalle due cartucce) la differen­za di «stopping power» è enorme; se ne ac­corsero, sulla loro pelle, i soldati statunitensi nelle Filippine quando dovettero fronteggia­re le cariche suicide dei Moros Juramentados.

La rivolta dei Moros durò, ufficialmente, dal febbraio 1899 al luglio 1902 ma la guerriglia

fu, ancora per anni, una spina nel fianco del­le truppe americane. Fino dalle prime scher­maglie l’inefficacia del .38 come «man- stopper» risultò evidente e le «horror stories», di militari sventrati o decapitati dopo aver sca­ricato il tamburo nel tronco dell'attaccante, si moltiplicarono come funghi. Visto l’insosteni­bile stato della situazione la reazione del War Department fu immediata e si articolò su due provvedimenti: uno tampone, l’altro a lunga scadenza. Come soluzione tampone i 1892 vennero immediatamente ritirati dal servizio attivo e rimpiazzati con i vecchi S.A.A.; nel frat­tempo una apposita commissione, diretta dal Capitano John T. Thompson (Ordnance Corps) e dal Maggiore Thomas La Garde (Me­dicai Corps), ricevette l’incarico di determinare il calibro più adatto per l’arma da fianco. Al­l’epoca non erano disponibili i sofisticati siste­mi attuali (cronografi elettronici, modelli ma­tematici gestiti da computers, fotografia stro­boscopica per determinare forma e dimensioni di ferite traumatiche simulate in blocchi di ge­latina balistica standardizzata, ecc.) e fu gio­coforza ricorrere a sistemi empirici consistenti nello sparare colpi di prova contro: pendoli ba­listici, animali in attesa di macellazione e ca­daveri sospesi dal suolo. Scopo della speri­mentazione era di quantificare, per ogni cali­bro, alcuni parametri balistico-terminali come: penetrazione attraverso ossa e tessuto, forma e dimensioni del canale di ferita permanen­te, energia cinetica, quantità di moto, ecc.. I tests di Thompson e La Garde portarono gli autori a concludere che il potere d ’arresto (espressione che oggi sappiamo essere par­zialmente non corretta perché corrisponden­te ad una realtà non quantificabile e scarsa-

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Revolver S<£W Schofield, a causa della non elevata robustezza di questa arma /’Ordnan­ce dovette adottare un caricamento ridotto per la .45 Colt poiché l ’uso continuato di munizioni standard metteva rapidamente fuori servizio il revolver.

Con il revolver Colt 1892 i soldati statunitensi ebbero un’arma scarsamente efficace a cau­sa della debole munizione impiegata: l ’ane­mica .38 Long Colt; questa cartuccia servì pe­rò a S&W come base per la loro .38 Special sulla quale ogni commento è superfluo.

il vecchio revolver Colt S.A.A. impiegava una munizione più potente: la cartuccia 45 Colt con caricamento standard.

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Il Colt 1909 .45 Colt è virtualmente identico al New Service .45ACP, ha il dubbio primato di essere stata l ’arma con la più breve vita operativa delle FF.AA. statunitensi; questo non per pecche proprie ma per l ’immediata obso­lescenza della munizione soppiantata dalla .45 ACP.

mente qualificabile) era principalmente funzio­ne dell’area frontale del proiettile e della sua quantità di moto, privilegiando quindi la Mas­sa nei confronti della velocità (Q = M • V) e met­tendo così in secondo piano l’Energia Cineti­ca che alla velocità è quadraticamente propor­zionale (Ec = 1/2 M-V2); quale logica conse­guenza venne raccomandata l’adozione del .45 come calibro minimo ammissibile. Oggi i termini del problema sono notevolmente va­riati e diversi studi, fra cui quello estremamen­te controverso sul R.l. (Relative Incapacitation Index) ed il suo recente aggiornamento, han­no portato a privilegiare velocità e caratteri­stiche espansive della palla. I tests di Thomp­son e La Garde furono viziati da errori e pre­concetti; a titolo di esempio basti ricordare che la famosa prova su bovini da macellazione vi­de l’impiego, in epoche, condizioni e modali­tà differenti, di animali tra loro diversi per sta­to, sesso e peso; rileggendosi poi I resoconti non si riescono a comprendere le cause che determinarono, nell’ambito di questa prova, la preminenza di un calibro sull’altro. Pur con la scarsa scientificità delle prove, consideran­do le limitazioni oggettive a quei tempi esisten­ti, la raccomandazione di Thompson e La Gar­de per un calibro non inferiore al .45 (sicura­mente influenzata dagli ottimi risultati del .45

Colt nell’uso pratico) deve essere considera­ta giusta e logica se viene calata In un preci­so contesto tecnico-storico. Nei primissimi an­ni del secolo l’espansione dei proiettili di ar­ma corta era una pia illusione (senza consi­derare le convenzioni internazionali), anche perché risultava molto difficile conciliare mas­sa e velocità stanti la metallurgia dell’epoca ed I propellenti allora in uso.

È opinione diffusa che i vecchi Single Ac­tion Army siano stati subito rimpiazzati con la 1911, la realtà risulta Invece diversa. Nel 1909 gli S.A. ed I rimanenti 1892 furono sostituiti da un altro revolver, versione .45 Colt (ma car­tuccia caricata con polveri infumi) del D.A. New Service, denominato M 1909.

Nei primi anni del secolo il progresso cor­reva con passo rapidissimo, mal prima speri­mentato. L’adozione, ad opera dei Francesi, delle polveri infumi aveva innescato un pro­gressivo processo di rapida obsolescenza del­le armi e munizioni in uso. Grazie alle nuove polveri la allora neonata .45 ACP offriva pre­stazioni identiche alla .45 Colt In versione ci­vile, surclassando cosi il .45 Colt Milltary; a questo si aggiunga che la nuova cartuccia aveva pesi, dimensioni a costi notevolmente inferiori. Erano quelli gli anni in cui le mag­giori potenze (ad eccezione degli Inglesi) si an-

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davano orientando sulla pistola semiautoma­tica come arma da fianco. Le scelte tattiche della «concorrenza» ed i notevoli progressi tec­nici fecero si che il 1909 goda del dubbio pri­mato di essere, fra le armi marziali statuniten­si, quella con la minor vita operativa; già men­tre i primi revolvers arrivavano ai reparti, il War Department era alla ricerca di un sostituto.

Così come è accaduto recentemente per la sostituzione della 1911 A1 con la 92F/M9, an­che allora quando l’U.S. Army mise metafori­camente fuori il cartello «cercasi nuova pisto­la», le offerte, pur se non sollecitate, iniziaro­no a piovere. Provarono i nostri nonni con la Glisenti 1910 che si guadagnò, in quella oc­casione, il nome di «Luger dei poveri». Prova­rono i Tedeschi con C96 e Parabellum (que- st’ultima, anche in .45 ACP). Tentarono in mol­ti ma, la condizione capestro del calibro (.45 ACP), la pochezza di alcuni progetti nonché considerazioni di ordine industriale e proto- ¡o nistico ridussero i concorrenti alle proposte: Colt e Savage, con la Parabellum come out­sider. Fino dall’inizio la proposta Colt si pre sento come più valida (anche nell’ottica della produzione industriale e del potenziale di cre­scita) e la successiva serie di prove servì so­

10 a trasformare l’ipotesi in certezza. Nel 191011 modello Colt predecessore della Govern­ment fu sottoposto (come gli altri concorren­ti) ad un test di resistenza nel corso del quale sparò 6.000 colpi con solo 13 tra inceppamenti ed interventi dì piccola manutenzione. Il risul­tato, per l’epoca stupefacente, dette ulterio­re spinta alla ultimazione della versione defi­nitiva che, all’inizio dei 1911, superò lo stes­so test di 6.000 colpi senza il minimo proble­ma e si aggiudicò ia commessa governativa. Il test di durata che sanzionò l’adozione della Colt (test ancora oggi sbandierato dagli sfe­gatati sostenitori della Old Reliable) venne eseguito secondo le seguenti modalità: 6.000 colpi in totale con pulizia e lubrificazione ogni 1.000, sospensione del tiro (per 5 minuti) ogni 100 colpi in modo da consentire un certo raf­freddamento dell’arma. Come si vede è una prova dura, insostenibile per altre armi dell’e­poca, ma siamo a dir poco dubbiosi quando si asserisce che non ci sono oggi armi capaci di ripeterla e di fare anche meglio; in ogni mo­do questo inciso non può, né vuole, togliere niente alla leggendaria «reliability» dimostra­ta dalla .45 nella sua lunga vita e anche se una prova può sempre prestare il fianco a cri-

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Fra le armi presentate dall’industria tedesca ci fu anche la Mauser 1896; per certi versi un vero capolavoro meccanico, era però troppo complessa e fragile. Come arma militare era in­feriore sia alla 1911 che alla Parabellulm. Anche la Glisenti (sotto) venne presentata al con­corso de ll’U.S. Army vinto dalla 1911. Ci guadagnò solo il nome di «Luger dei poveri».

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Parabellum 06, di questa arma vennero ap­prontati alcuni esemplari sperimentali in .45 ACP; arma splendida per i suoi tempi ma so­stanzialmente inferiore alla 1911 in vista di una adozione marziale.

fiche ed osservazioni, è poi l’uso operativo quello che dà l’esatta misura della qualità di un arma e nessuno, ripeto nessuno, può con­testare il lunghissimo e parimenti brillante sta­to di servizio della Government.

L’adozione ufficiale è del 29 marzo 1911 con la denominazione «AUTOMATIC PISTOL CA- LIBER .45 — Model of 1911 » ma le consegne iniziarono solo il 4 gennaio 1912, in quel gior­no l’esemplare di serie con matricola 1 lasciò gli stabilimenti Colt diretto alla Springfield Ar- mory (per la cronaca: le prime 1911 prodotte furono 50 ed appartenevano all’ordine inizia­le dell’Army che prevedeva un costo di 14,25 dollari U.S.A. per esemplare).

Sicuramente nessuno degli ignoti personag­gi coinvolti nella consegna si rese conto che, in quel momento, iniziava a nascere un mito.

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Savage Searle; grossa e pesante non poteva reggere il confronto con la 1911 anche se al­le prove funzionò bene. Dotata di una parti­colare chiusura a canna rotante (assimilabile a quella della Steyr 1911/1912) sulla quale an­cora si dibatte se debba essere considerata una chiusura stabile o una chiusura metasta­bile. Probabilmente funzionava bene con la .45 ACP a causa della non indifferente mas­sa del carrello e delle basse pressioni eroga­te; agli effetti pratici la Savage può essere con­siderata come una pistola a chiusura labile con l ’aggiunta di una complicazione sostanzial­mente inutile. La chiusura Searle ebbe seguito solo per una pistola 7,65 Browning adottata dall’Esercito portoghese.

Anche il Revolver automatico Webley-Fosbery venne preso in considerazione quale arma da fianco per i militari americani. Troppo fragile e complesso non ha avuto seguito anche per­ché privo di vantaggi reali nei confronti delle normali armi corte, fossero esse pistole o re- volvers.

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La Parabellum 08 venne seriamente conside­rata quale alternativa alla proposta Colt; allo­ra la pistola a cui tutti guardavano, fu svan­taggiata anche dalla decisione di non appron­tarne una serie pilota in .45 ACP. Era la mi­gliore pistola della prima generazione ma la 1911 apparteneva alla generazione successi­va e come tale indubbiamente superiore.

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COLT-BROWNINGDESTINATE AL MERCATO MILITARE

La grande messe di dati disponibili, alcuni contraddittori, e lo spazio a disposizione ren­dono il compito di chi scrive particolarmente difficile. Abdichiamo in partenza alla presun­zione di dare un quadro veramente completo ed adottiamo invece una veste sinottica che guadagni in comprensibilità quello che, neces­sariamente, deve perdere in completezza.

Nonostante le specifiche militari di base sia­no rimaste sempre costanti (caricatore da 7 colpi, canna 5” , mire fisse, peso di 2 libbre e 7 once, calibro .45 ACP) la Government Mo­del è stata sottoposta a continue modifiche (di importanza più o meno rilevante) cosi che le due versioni 1911 e 1911A1 sono costituite da una miriade di sottoversioni che si differenzia­no per finitura, fabbricante e vari piccoli par­ticolari.

MODEL OF 1911

Prodotta in circa 700.000 esemplari (dal 1912 al 1923) la 1911 è la primitiva versione della Government Model e si distingue imme­diatamente per particolari caratteristici: finitura sempre brunita, guancette in noce zigrinato con «diamante» intorno alla testa delle viti, gril­letto «lungo», sicura dorsale con «coda corta», zigrinatura su superficie superiore slide- stop/pulsante sgancio caricatore/superfici di comando della sicura, mainspring-housing piatto e liscio dotato di anello portacorreggio- lo, fusto senza sgusci dietro al grilletto.

1911 di produzione Colt

Le 1911 Colt si riconoscevano immediata­mente per la loro finitura Military blue, non al livello delle versioni commerciali ma superio­

re a tutte le altre 1911 marziali. Siamo riusciti ad ottenere dati sicuri sulla quantità di armi prodotte solo per il periodo 1912-1918 (500.000 esemplari), altrettanto non è stato possibile per le pistole prodotte dal 1919 al 1926. È da notare che la data ufficiale di na­scita della 1911 A1 è il 1926, in realtà, negli anni dal 1923 al 1926 la Colt ha consegnato sia 1911 che 1911 A1.

Nel primo anno le 1911 Colt venivano rea­lizzate con tacca di mira che presenta la par­te superiore arrotondata e l'apertura, a forma di U, molto piccola; nel 1913 la parte superio­re della tacca diventava piana pur mantenen­do l’apertura ad U. Dal 1912 al 1914 i cani era­no dimensionalmente molto contenuti e si al­largavano in prossimità della cresta. Dopo l’ot­tobre 1913, sulla parte sinistra del carrello, ai brevetti del 20/04/1897 e 09/09/1902, veniva aggiunto il brevetto del 19/08/1913 (relativo ad una semplificazione della meccanica tale da ridurre il numero delle parti ed a permettere lo smontaggio totale senza particolari utensi­li) con il contemporaneo spostamento del ca­vallino Colt, dalla parte posteriore sinistra del carrello, ad una posizione centrale in mezzo alle scritte (quindi, sempre sulla sinistra del carrello). Il tipo di scritte che caratterizza le Colt prodotte dopo il 1913 (brevetti-simbolo del fabbricante-nome del fabbricante) è, come re­gola generale, lo stesso anche per le 1911 pro­dotte su licenza; cambiano, ovviamente, no­me del fabbricante e suo eventuale simbolo.

Nessun fabbricante di 1911 e 1911 A1 ha messo il suo nome o simbolo sul fusto (par­liamo, ovviamente, di armi marziali) ma la Colt, dal 1912 ad epoca sconosciuta (sicuramente durante la II guerra mondiale), riportava le ul-

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Lato destro, sinistro e particolare del carrello della 1911 commemorativa prodotta dalla Colt nella ricorrenza dei settanta anni di servizio del modello Colt-Browning.

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La versione civile (Government Model) e quel­la militare sono praticamente identiche ad ec­cezione dei marchi.

lime tre cifre della matricola sul carrello (par­te superiore, vicino al firing-pin stop); inoltre, tutte le 1911 Colt recano stampigliata la let­tera H sulla parte superiore del carrello e sui fusti. Come già scritto, per regola generale il simbolo del fabbricante appare sulla sinistra del carrello, è altresì regola generale che la matricola sia impressa sulla destra del fusto (sopra il grilletto) e la scritta «United States pro- perty» sulla sinistra dello stesso.

Una scrittura che causa la costituzione di tre sottogruppi nel gruppo delle 1911 Colt è quella che appare sulla destra del carrello; sul­le armi di Hartford, oltre alle parole MODEL of 1911, veniva riportata anche l’indicazione del Servizio al quale erano destinate le pisto­le (l’indicazione del Servizio non appare sul­le 1911 prodotte da altri fabbricanti). Il primo sottogruppo è il più comune ed ha la scritta «MODEL of 1911 — U.S. Army», gli altri due sono caratterizzati dalle scritte «MODEL of 1911 — U.S. Navy» (circa 15.537 esemplari) e «MODEL of 1911 - U.S.M.C.» (circa 6.750 esemplari). Nonostante un totale generale di circa 22.287 pezzi le «versioni navali» (Navy e M.C.) sono rarissime a causa dell’altissimo «attrition rate» causato dal lungo e pesante im­piego cui sono state sottoposte, impiego ini­ziato nel 1914 quando Marinai e Marines sbar­

carono a Vera Cruz in Messico. Tutte le 1911 e 1911 A1 successivamente ricevute dai due Servizi e più tardi le 1911 A1 passate all’Air Force (che, non ci dimentichiamo, era inizial­mente la U.S. Army Air Force) recano i mar­chi dell’esercito e non presentano particolari stampigliature di accettazione (almeno per quanto di nostra conoscenza).

1911 Springfield ArmoryPrimo licenziatario della pistola Colt, l’Ar­

senale governativo di Springfield ha sempre prodotto 1911 identiche a quelle di Hartford ad eccezione del mirino, ricavato di pezzo, per fresatura, insieme al carrello, alla ovvia diffe­renza nei marchi del fabbricante ed alla me­no ovvia omissione del brevetto 1913 (forse i roll marks sono stati preparati prima di quel­la data). Come indicazione del costruttore compare «SPRINGFIELD ARMORY/U.S.A.»; sul fusto (sopra al pulsante di sgancio carica­tore) è impressa una bomba fiammeggiante, simbolo dell’Ordnance U.S.A., con una O al centro; sulla destra del carrello è stampiglia­ta l’aquila simbolo dell’Arsenale.

L’Arsenale di Springfield ha prodotto circa 75.000 esemplari di 1911 a partire dal 1912 e fino al 1918, dopo questa data non sono più

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stati fabbricati fusti né assemblate armi com­plete; l’Arsenale si è limitato alla produzione di parti per 1911 (successivamente 1911 A1 ) ed al ricondizionamento delle stesse. Per i col­lezionisti è importante ricordare che, pur es­sendo state prodotte in vari lotti, non esisto­no 1911 di produzione Springfield, con matri­cola superiore a 355.000. Le pistole (1911 o 1911 A1) che sembrano essere state prodot­te a Springfield ma hanno matricola superio­re al 355.000 possono essere: o dei «Franke- stein» assemblati con pezzi di varia provenien­za, oppure 1911 e 1911 A1 ricostruite (spes­so parkerizzate) e reimmatricolate (Una quan­tità sconosciuta di matricole è stata lasciata a disposizione degli Arsenali di Springfield e di Rock Island, oltre che di altre officine go­vernative, per poter rimpiazzare matricole can­cellate o mancanti sulle Government ricostrui­te).

1911 Remington — U.M.C.Prodotte in 21.676 esemplari, dal 1918 al

1919, si riconoscono per i marchi sul carrel­lo: a destra la scritta (su due righe) «MODEL of 1911 / U.S. ARMY CALIBER .45», a sini­stra i brevetti Colt 1908 e 1913 (omesso quel­lo del 1897), e la denominazione del fabbri­cante.

1911 di produzione Remington.

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ni...... unii,.......mi......inutili!........ ........... mi......... imi............... ............. ...................... ........... .......... ...... ...... ......... .........1111........ " " 1|G trSFIREARMS 1

| Today§ Colt’s Patent Fire Arms Mfg. Co.| H a r t f o r d , C o n n ., U . S . A .| Manufacturers of: Colt's Revolvers, Colt’s Automatic || Pistols, Co't's (Browning) Automatic Machine Guns. 1Colt's (Browning) Automatic Machine Rifles, Thompson | Submachine Guns. 2Tliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin iiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mu iiiiiiiiiiiiiiiiin mi iiiiiinii nun in iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiuii in iiiiiiiiiiiiiiiiiiiniTi

Pubblicità della Colt su una vecchia rivista americana. In questo caso l ’immagine propone alcune tappe significative fino al modello 1911.

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1911 Savage Munitions Company of San Diego

Il contratto Savage venne cancellato alla metà del 1919, prima che la Società potesse iniziare la completa produzione della 1911, quando già erano stati realizzati 100 carrelli; questi vennero consegnati alla Colt che li as­semblò su fusti di propria produzione. Le 1911 Colt con carrello Savage portano i normali marchi Colt con l’aggiunta, sul carrello, di una bomba fiammeggiante con al centro una S.

1911 North American Arms Company

Questa società canadese produsse solo una serie pilota, comprendente meno di 100 esem­plari, prima che il contratto venisse cancella­to nella seconda metà del 1919. Le armi N.A.A.C. non hanno matricole assegnate dal- l’Ordnance né altri marchi ufficiali; si distin­guono per la matricola assegnata, per uso in­terno, dalla ditta produttrice (da 1 fino ad un numero imprecisato ma inferiore a 100) e per la scritturazione, divisa su tre righe, apposta sulla sinistra del carrello «MANUFACTURED BY / NORTH AMERICAN ARMS CO., LIMI­TED / QUEBEC, CANADA».

La 1911 venne prodotta su licenza anche in Norvegia dove ricevette la denominazione di Mod. 1914, differiva dall’originale solo per il comando dell’hold-open e fu mantenuta in ser­vizio fino alla seconda Guerra Mondiale; gli occupanti tedeschi la apprezzarono partico­larmente e ne armarono le Waffen SS.

1911 Norvegesi

Costruite su licenza, in un arsenale gover­nativo, con la denominazione M 1914, si dif­ferenziano dagli originali solo per il diverso di­segno dello slide-stop che ha le superfici di comando spostate verso il basso e maggio­rate (è più comodo di quello Colt). Le 1911 nor­vegesi hanno, sul carrello, la scritta «11,25 m/m AUT. PISTOL M/1914» accompagnata dai marchi ufficiali; la matricola è riportata su fusto, carrello, sicura, grilletto e slide-stop.

Prodotte in 20.000 esemplari, dal 1914 fi­no all’inizio degli anni 30, le M14 fecero gola agli occupanti nazisti; questi, oltre ad appro­priarsi delle pistole esistenti, riuscirono a far­sene costruire altre 10.000 che vennero distri­buite ai reparti sotto la denominazione «Pistole 657».

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Government Model cal. 455 vennero fornite alle forze armate britanniche, in particolare i Royal Flying Corps predecessori della R.A.F.

Government Model cedute alla Gran Bretagna

Come tutte le altre Nazioni coinvolte nel conflitto, anche la Gran Bretagna si trovò nella necessità di procurarsi più armi corte di quan­te non potessero fornirne le fabbriche nazio­nali. Invece di ricorrere agli Spagnoli (grandi beneficiari della penuria di armi corte duran­te la I guerra mondiale) e grazie ai particolari accordi con i cugini di oltre oceano, gli Ingle­si ottennero dei buoni quantitativi di Govern­ment Model prelevate direttamente dalla pro­duzione commerciale Colt. Tutte le Govern­ment Model consegnate al Governo di Sua Maestà hanno le splendide finiture civili del­l’epoca e portano i marchi del fabbricante per le armi destinate al mercato civile, con la so­la aggiunta dei banchi di accettazione britan­nici. Le pistole vennero assegnate alla Royal Navy ed ai Royal Flying Corps (i precursori del­la R.A.F.), per questo motivo le Government inglesi sono state camerate (con l’eccezione di pochissimi primi esemplari consegnati in gran fretta) per il .455 Webley Auto, allora im­piegato sulle pistole Webley in dotazione alla Royal Navy. Per i collezionisti, è interessante ricordare che su parte degli esemplari in do­tazione all’Air Force è stata aggiunta, quanto

i RFC diventarono Royal Air Force, la stam­pigliatura R.A.F. (sulla sinistra del fusto, da­vanti allo slide-stop).

1911 A1

Con un totale generale superiore ai 2.000.000 di esemplari, realizzati dalla Colt e dai suoi licenziatari statunitensi, la 1911 A1 è la versione, dell’originale disegno Colt- Browning, riprodotta in maggior quantità. An­che se l’adozione ufficiale è del 1926, i primi esemplari sono usciti dalle linee di montag­gio già all’inizio del 1924 e la produzione è continuata, pur con diverse interruzioni, fino a data incerta, ma non troppo lontana nel tem­po. Era opinione diffusa che l’acquisizione del­la 1911 A1, da parte dello Zio Sam, fosse ter­minata con il 1945 (per la verità, alcune fonti indicavano le ultime forniture come risalenti alla Guerra di Corea), solo recentemente si è saputo con certezza che la Colt ha consegna­to, all’Ordnance statunitense, quantitativi sco­nosciuti delle sue pistole (non Government Model ma vere 1911 A1 ) anche durante i con­flitti Coreano e Vietnamita. Le recenti acqui­sizioni di materiale bellico sono classificate ma, a quanto si dice, l’ultimo contratto, per la

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In seguito a modifiche di dettaglio la 1911 di­venne 1911 A1, l ’arma ancora oggi usata dai G.l. che solo ora stanno iniziando a ricevere le prime 92F. Accanto: la Colt 45 al fianco di John Wayne in uno dei suoi tanti film di guer­ra.

fornitura di 1911 A1, è stato concluso nei pri­mi anni 70, sul finire del diretto impegno U.S.A. in Vietnam.

La 1911 A1 nasce, come evoluzione della 1911, nel 1924 (anche se l’adozione ufficiale è del 1926) ma acquista la sua veste definiti­va, quella con cui è maggiormente conosciu­ta perché riprodotta in altissimo numero, so­lo negli anni a cavallo dell’ingresso statuniten­se nel II Conflitto Mondiale, quando viene sot­toposta a tutta una serie di modifiche neces­sarie per sveltirne la produzione. Si possono pertanto distinguere le 1911 A1 in due grup­pi: il primo comprendente le armi prodotte dal 1924 al 1940, il secondo quelle fabbricate dal 1941 fino all’inizio degli anni 70.

Il passaggio dalla 1911 alla versione A1 av­viene attraverso le seguenti modifiche:— mainspring-housing curvo invece che di­

ritto e con leggero zigrino invece che liscio;

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MIRINO SOTTILE CRESTA DEL CANE PICCOLA

MIRINO SPESSO CRESTA DEL CANE ALLUNGATA

Confronto tra 1911 e 1911 A1.

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— grilletto più corto e con superficie zigrina­ta;

— sgusci di alleggerimento sui due lati del fu­sto in corrispondenza del grilletto;

— mirino e tacca di mira allargati, tacca squa­drata e mirino rigato antiriflesso;

— guance in noce zigrinate ma senza dia­manti intorno alla testa delle viti;

— coda della sicura dorsale allungata per proteggere la mano da eventuali pinzatu­re inflitte dal cane;

— la scritta «MODEL OF 1911 — U.S. Army» diventa «M 1911 A1 U.S. Army».

A partire dal 1940 la 1911 A1 viene sotto­posta a successive modifiche che hanno il solo scopo di rendere più rapida ed economica la fabbricazione, eccole in breve:— nel 1940-41 scompaiono le guancette in

noce, sostituite con altre realizzate, per fu­sione, in gomma dura zigrinata a loro vol­ta soppiantate da guancette in plastica zi­grinata di colore nero o marrone;

— a partire dal 1941 tutte le 1911 A1 sono parkerizzate invece che brunite (solo le 1911 A1 di produzione Colt anteguerra so­no brunite), a seconda del tipo di procedi­mento adottato dal fabbricante la parke­rizzazione può essere grigia o verde;

— contemporaneamente alla sostituzione

della brunitura con la parkerizzazione, la zigrinatura su mainspring-housing / slide- stop / pulsante caricatore / sicura / grillet­to diventa opzionale e viene spesso sosti­tuita dalla semplice rigatura; il cane ha la cresta appiattita (stessa larghezza del cor­po) ed accorciata, il grilletto viene realiz­zato per stampaggio;

— la scritta «UNITED STATES PROPERTY» viene spostata dalla sinistra alla destra del fusto e quella «M 1911 A1 U.S. Army» è trasferita dalla destra del carrello alla de­stra del fusto (sopra la guardia del grillet­to).

Vediamo brevemente, in dettaglio, quali so­no stati i fabbricanti di 1911 A1 e come si ri­conoscono le armi da questi prodotte.

Colt: Tutte le 1911 A1 prodotte prima della guerra sono di questo fabbricante ed hanno elevato valore collezionistico a causa dello scarso (rispetto al totale) numero prodotto. Do­po il 1941 e fino al 1945 la Colt ha realizzato 480.664 pistole complete, ha fornito un nume­ro imprecisato di componenti ad altri fabbri­canti, ed ha partecipato alla fabbricazione di altre 345.000 armi insieme alla Union Switch & Signal Company. Non conosciamo i contras- segni esterni delle coproduzioni Colt-U.S.&

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Guerra in Vietnam. Un «topo di galleria» si cala in un complesso sotterraneo dei Viet Cong con la sua Colt .45. In spazi cosi angusti la pistola risultava assai più utile di un’arma lunga.

S.Co. (che portano i marchi Colt) ma, il pro­blema della loro identificazione, si può parzial­mente risolvere ricordando che le sigle GHD/WB/VP erano apposta dagli ispettori Colt (anche sulle armi di intera produzione Colt) mentre gli ispettori U.S.&S. avevano le sigle FJA/RCD/HS per le canne ed R per I carica­tori. Con buona probabilità la Colt ha fornito carrelli e fusti con i propri marchi e la U.S.& S. canne, caricatori e minuterie.

Singer Manufacturing Company: Sono fra le più rare delle 1911 A1, avevano tutte guan- cette In gomma dura di produzione Colt, sul carrello portavano l’iscrizione «S.MFG.Co. / Elizabeth, N.J.» È da ricordare che tutte le ma­tricole sono precedute dal preffisso S.

Ithaca Gun Company: Questa società, con sede ad Ithaca, N.Y. ha realizzato circa 440.000 pezzi dal 1943 al 1945. Le pistole Itha- ca si differenziano dalle altre solo per la pre­senza del nome del fabbricante.

Remington Rand, Ine.: È la società che, du­rante il periodo bellico, ha prodotto il maggior numero di 1911 A1 (più di 950.000 dal 43 al 45) e, nella produzione di armi Colt-Brownlng, è quantitativamente seconda solo alla Colt. At­tenzione: nella improbabile ipotesi che vi tro­viate di fronte ad una Remington-Rand che porta la sigla ERRS (Engineering Remington Rand Sample) sappiate che questa è un esem­plare rarissimo poiché fa parte di una minu­scola serie pilota fabbricata dal 1942.

Union Switch & Signal Company: 55.000 pezzi completi nel 1943 più, nello stesso an­no 100 esemplari di pre-produzione marcati «U.S.& S. Co. / Exp No...» che, neanche a dir­lo, sono rarissimi e, negli U.S.A., valgono un bel mucchietto di dollari. Come già scritto a proposito della Colt, la U.S.& S. ha fornito parti staccate; con le quali, insieme al gigante di Hartford, sono state realizzate 345.000 pisto­le.

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Prime e più interessanti sono le versioni «training» della 1911 A1, le Ace e Service Mo­del Ace cal. .22L.R. che verranno trattate fra le Colt «civili» perché la loro acquisizione, da parte dell’Army, è stata limitata a qualche cen­tinaio di esemplari.

Parlare delle copie e delle varianti realizzate con o senza licenza è impresa improba e non basterebbe tutto un «profilo» per esaurire l'ar­gomento, dobbiamo perciò limitarci a pochi ac­cenni. Oltre che negli S.U., la produzione di copie o derivati delle 1911 e 1911A1 e avve­nuta (con o senza licenza) in: Norvegia, Ca­nada, Brasile, Spagna, Messico, Argentina,

Giappone, Corea e Vietnam; è stata tentata in Italia (quando venne scelta la Beretta 951 per la fornitura a vari corpi armati, una delle concorrenti era la copia della 1911 A l , che pe­rò aveva dimensioni più ridotte perché costrui­ta intorno alla cartuccia 9 parabellum, presen­tata dalla FNA di Brescia) ed è stata realizza­ta su rudimentali basi artigianali in molti altri paesi. Come quantità realizzate il maggior fab­bricante, dopo gli S.U., è sicuramente la Spa­gna dove la ùlama ha costruito copie della 911 e 911A1 (commercializzate anche sotto i mar­chi Ruby, Gabilondo, Tauler) e la Star ha co­struito copie della 1911 A1 da cui ha poi deri-

1911A 1 dell'Esercito brasiliano, queste pistole vennero anche fabbricate in Brasile e lo sono ancora oggi; la Fabbrica de Itajuba ha pen­sato di derivarne un modello a doppia azione e con caricatore bifilare cambiando però il ca­libro in 9 Parabellum.

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Copia della Commander fabbricata in solo 100 esemplari dalla brasiliana Fabrica de Itajuba; queste armi splendidamente finite erano destante agli Ufficiali superiori delle FF.AA. carioca.

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Star Militare .45 ACP; questa Casa spagnola iniziò producendo copie pedisseque delle Colt ma ne ha poi derivato modelli originali che se ne differenziano per particolari non seconda­ri come la catena di scatto.

Liama civile .45 ACP; la spagnola Gabilondo ha prodotto e produce copie della 1911 A 1 per i mercati civili e militari.

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FNA calibro 9 parabellum. Identica alla 1911 A1 ma dimensionata per il 9 Parabellum e con catena di scatto completamente diversa (tipo Beretta) fu concorrente sfortunata della Beretta 1951 quando quest’ultima venne adottata per te nostre FF.AA. e di Polizia.

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Dopo aver acquistato 1911 e 1911 A1 di produzione Colt, g li Argentini iniziarono a produrle autonomamente e la H.A.F.D.A.S.A. ne derivò la Ballester Molina che si differenzia dalle Colt solo per piccole modifiche.

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La Obregon smontata; questa pistola messi­cana è in pratica un matrimonio tra la struttu­ra generale della pistola Colt-Browning, della quale conserva catena di scatto e caricatore, ed una chiusura di tipo Steyr 1911-1912.

vato propri modelli in vari calibri, il tutto in mol­te centinaia di migliaia di esemplari. In Argen­tina, la HAFDASA di Buenos Aires ha prodot­to copie della 1911 e 1911 A1 (le copie argen­tine sono entrate in servizio insieme ad origi­nali di provenienza Colt ed avevano la deno­minazione M1916 e M1927), dalla A1 ha poi derivato (attraverso modifiche estetiche, al ri­tegno caricatore che resta però compatibile con i caricatori Colt, ed alla catena di scatto) la Ballester Molina in cal. .45ACP come l’ar­ma «ispiratrice». Un discorso completamente diverso merita il Messico dove è stata svilup­pata la Obregon che, pur essendo esterna­mente simile alla Colt ed adottandone la ca­tena di scatto, è dotata di chiusura stabile con canna rotante sistema Krnka (quella della Steyr 1911/12 per intenderci). Non si può poi tacere del «revival» da tempo in atto negli S.U. e che vede la produzione di copie della 1911

A1 (ad es. Auto Ordnance) o di pistole a que­sta ispirate e che si differenziano per partico­lari minimi o, ben più interessante, per la co­struzione in acciaio Inox (Vega, AMT, Randall, ecc.).

Una versione particolare della 1911 A1 che merita un trattamento a parte è quella deno­minata: M 15 Cal. .45 ACP General Officer Mo­del. La M15 nasceva come una comune 1911 A1 e veniva poi convertita presso l’arsenale di Rock Island; l’arma originale risulta profon­damente modificata: il carrello accorciato di 3/4” , la canna sostituita da una nuova espres­samente costruita, l’azione accuratizzata e tut­te le tolleranze ridotte, grilletto e mire sosti­tuiti con altri appositamente realizzati (parten­do dal pieno!), le superfici esterne tirate a specchio e brunite (la parte superiore del car­rello è sabbiata antiriflesso) ottenendo una fi­nitura da favola. Le 1911 A1 trasformate in M

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La AMT Hardballer è stata la prima copia della Government Model prodotta in acciaio Inox; il grilletto è identico a quello della Gold Cup.

Copia di buona qualità della 1911 A1, la Auto Ordinance viene fabbricata in 9 Parabellum, .45 ACP e .38 Super Auto; è importata anche in Italia nel calibro .45 HP.

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Oggi scomparsa dalla scena la MS Safari fu il primo fabbricante che cercò di produrre in serie armi mutuate dalla Governmente Model ma già dotate di quelle modifiche apportate per le gare Combat o l ’uso di difesa persona­le e polizia.

15 hanno ricevuto una nuova matricola «Se­rial No. GO ....» riportata anche sui caricatori di dotazione (accuratizzati ed adattati perfet­tamente alla pistola); le lettere GO significa­no General Officer ed infatti la M 15 era data in dotazione personale agli Ufficiali Superiori che raggiungevano il grado di Generale (ognu­na delle guancette in noce reca una placca con le iniziali del generale propietario della pi­stola) e questi ne conservano la proprietà an­che dopo l’eventuale congedo. La M 15 è stata «prodotta» a partire dal 1972, rappresenta si­curamente la «Rolls Royce» delle Colt e forse di tutte le pistole militari, essendo un prodot­to di alto artigianato con caratteristiche riscon­trabili solo su armi di grandissimo prestigio.

Sviluppata in sostituzione della Colt .380 a ca­ne interno quale arma per g li Ufficiali Gene­rali, la General Officer Model può essere con­siderata a buon titolo la Rolls Royce delle p i­stole militari di tutti i tempi.

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COLT GOVERNMENT MODEL LA FAMIGLIA DELLE ARMI CIVILI

Immediatamente dopo l’adozione militare della 1911, ad Hartford decidono di affianca­re, alla versione marziale, un modello civile che, per capitalizzare sul fatto che la 1911 è l’arma da fianco dei Servizi Statunitensi, riceve la denominazione: Government Model. Per quanto riguarda la 1911, le differenze tra ar­mi civili e militari stanno solamente nelle fini- ture più curate e nelle tolleranze più contenute delle armi destinate al mercato civile.

Nel periodo dal 1924 al 1926 la 1911 A1 so­stituisce la 1911 sulle linee di produzione e Colt continua ancora con la politica della stes­sa arma più o meno curata a seconda della destinazione di mercato; unica «novità» è l’ag­giunta del prefisso C alla matricola delle armi vendute come Government Model. Finalmen­te, nel 1929, Colt immette sul mercato la ver­sione in .38 Super Auto della Government Mo­del. La nuova cartuccia è una versione poten­ziata dal .38 Auto già usato sulla Colt Mod. 1902 (la famosa «parallel ruler» antesignana della 1911) e ne conserva il bossolo (anche se con pareti rinforzate) semi-rimmed. Il bos­solo semi-rimmed e l’errata decisione di fare head-space sul misero rim del S.A. invece che sulla bocca del bossolo sono responsabili di iniziali problemi di funzionamento e della sem­pre lamentata scarsa precisione dell’arma (do­vuta non a scarsa precisione intrinseca del­l’arma o della cartuccia ma all’head-space su rim, infatti, nelle canne dove l’head-space av­viene sulla bocca del bossolo il 38 S.A. si di­mostra capace di ben altra precisione); que­sto e l’atteggiamento fideistico degli americani nei confronti del .45 ACP hanno fatto si che la .38 S.A. non sia mai stata compresa sul mercato statunitense. Per quanto riguarda gli

altri mercati, la .38 S.A. ha avuto poca o nul­la diffusione in Europa (dove non esistevano barriere legali si è vista sbarrata la strada da altri calibri più diffusi nel Vecchio Continen­te) ed ha incontrato un certo successo solo nei Paesi dell’America Latina, successo dettato più da situazioni contingenti, come il divieto di detenere armi .45 ACP vigente in alcuni Sta­ti Sud Americani, che da reale convinzione de­gli acquirenti.

Il 1930 è l'anno della prima grossa varian­te alla meccanica originale, nasce la Colt Ace, versione .22 L.R. della 1911 A1. La Ace è una pistola a canna fissa con chiusura labile e, pur mantenendo il fusto della 1911 A1, pesa 38 once contro le 39 dell’arma originale (il fusto è lo stesso, la canna è più pesante ma il car­rello è molto alleggerito per consentire l’uso della cartuccia rimfire con la sua modesta energia di rinculo); altre differenze sono: can­na pesante di tipo Match, azione finita a ma­no e molto curata, tolleranze estremamente

Government .45 ACP, differiscono dalle Colt militari solo per le migliori finiture.

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Colt National Match .45 ACP, la «mamma» del­la Gold Cup.

Prima cartuccia ad alta intensità adottata sulla Government è stata la .38 Super Auto; que­sto binomio arma cartuccia meriterebbe più successo di quanto non abbia avuto.

Colt Service Model Ace; prima Government .22 L.R. non aveva ancora la camera flottan­te e difettava di affidabilità.

contenute, caricatore da 10 colpi (9 in 38 .S.A. — 7 in .45 ACP), l’arma è, per la prima volta, disponibile anche con mire registrabili oltre che fisse.

Per rispondere alle esigenze di coloro che vogliono impiegare «thè old slabside» nel tiro agonistico, senza dover ricorrere ad elabora­zioni artigianali (già allora diffuse), viene in­trodotta, nel 1932, la National Match .45 ACP (destinata anche alle gare militari) seguita, nel 1933, dalla Super Match .38 S.A.. Sia la Na­tional Match che la Super Match differiscono dalle Government Model per l’azione finita ma­nualmente, il grilletto zigrinato (rigato sulle nor­mali armi commerciali), la canna Match e le tolleranze ridotte. Entrambe le armi rimango­no in produzione fino al 1940, sia con mire fis­se che registrabili.

La Ace è nata per il tiro sportivo ed il trai­ning all’uso delle 1911 A1 e Government Mo­

del; purtroppo, il rinculo della .22 L.R. è trop­po debole per assicurare II corretto funziona­mento dell’arma nel tiro sportivo (a meno di non usare munizioni high speed) e, nel con­tempo, non è sufficientemente propeudetico per la .45. È per questi motivi che, nel 1938, alla Ace si affianca la Service Model Ace, de­rivata dalla National Match, di cui conserva l’impostazione generale, ma incorporante la camera flottante che permette di amplificare il rinculo della .22 fino a quadruplicarlo (la ca­mera flottante è stata ideata da Marsh Wil­liams, conosciuto anche come Carabine Wil­liams per essere il progettista della .30 M 1). Rispetto alla Ace la Service Model Ace è più pesante (42 once) ed ha maggior rinculo, an­che se questo è abbastanza inferiore a quel­lo delle armi cal. .45, rispetto alle quali la S.M. Ace ha lo stesso peso di carrello. Il successo della S.M. Ace (intesa come arma per training,

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Il meccanismo di funzionamento della ca­mera flottante è estremamente semplice. Al momento dello sparo, il bossolo si deforma elasticamente aderendo alle pareti della ca­mera ed inizia la sua corsa retrograda trasci­nandola con se lungo l’asse della canna. Il gruppo camera flottante-bossolo ha massa enormemente superiore a quella del solo bos­solo (29:1) e velocità inferiore, ma in misura meno che proporzionale (il gruppo camera- bossolo subisce anche l’azione dei gas della combustione). La quantità di moto q*di un cor­po con massa M e velocità V*è data da:

q*= M-V* [Kgrn/s]

e quindi risulta evidente che q camera-bossolo > cfbossolo (M cresce più di quanto V non diminuisca), da questo discende che sarà maggiore l’impulso J ricevuto dal carrelkj: per F C nel tempuscolo t sarà J = J0 F.dt = a q [Newton• secondo] essendo F = d-q per la II legge di Newton. d t

Dopo un tempuscolo brevissimo la camera flottante si arresta contro l’apposito risalto ed il bossolo, la cui quota di deformazione ela­stica è nel frattempo rientrata per l’abbassa­mento della pressione in canna, continua la sua corsa retrograda che si conclude con estrazione ed espulsione.

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.22 Conversion Unit: un accessorio utilissimo che permette di sparare motto senza svenarsi economicamente.

divertimento e piccola caccia, ma senza alcu­na ambizione agonistica) è tale che la ACE esce di produzione nel 1940, la Service Mo­del dura fino al 1942 ma deve poi soccombe­re di fronte alle esigenze belliche (il concetto verrà poi ripreso dalla Colt con la «New Ser­vice Model Ace» e, nel frattempo, l’ idea della camera flottante dà origine alla .22 Conver­sion Unit).

Gli studi sulla Camera flottante consento­no alla Colt di mettere in commercio, sempre nel 1938, un Kit di conversione (originariamen­te destinato alle sole 1911 A1 e Government .45, è stato esteso agli altri calibri solo dopo la fine della guerra: .38 S.A. nel 1946, 9 Pa­rabellum nel 1970 con la nascita della Serie 70) che consente l’uso delle munizioni rimfi- re sulle centerfire .45. Contemporaneamen­te al Kit .22-,45, viene commercializzato an­che quello .45-,22 che permette l’uso del .45 ai possessori di Ace e S.M. Ace. Sia la con­versione .22-.45 che la .45-,22 vengono tolte di produzione, insieme a tutte le altre Colt commerciali, nel 1942 a causa del conflitto in atto con le Potenze dell’Asse.

Dopo la fine della II Guerra Mondiale la Colt inizia nuovamente, nel 1946, la produzione di

armi corte destinate al mercato civile; di quelle fin qui trattate ritornano in commercio solo le Government Model nei calibri .45 e .38 con le relative conversioni al .22 (la conversione è unica e va bene su tutti i castelli Government perché l’espulsore è un lamierino stampato, a forma di L, collegato alla canna, che scorre (con la sua parte posteriore) entro guide nel carrello.

Con il ritorno in Patria dei G.l. inizia la dif­fusione, negli S.U., del calibro 9 Parabellum (presente, con scarso successo, già da molti anni) e questa diffusione è contemporanea ad una sempre crescente richiesta di semiauto­matiche potenti ma con dimensioni e pesi in­feriori a quelli delle classiche Government. È per far fronte alle nuove richieste del merca­to (non come erroneamente creduto in rispo­sta alla specifica Governativa per una nuova pistola di ordinanza; questo è vero per la S&W 39 ma non per la Commander) che la Colt ini­zia nel 1947/48 gli studi su una pistola, più compatta e leggera della Government, came­rata in 9 Parabellum. Gli sforzi della casa di Hartford si concretizzano nel 1949 quando la prima Commander esce dalle linee di produ­zione (la Commander è la prima pistola ame-

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ricana originariamente camerata in 9 Parabel- ACP) e prende la denominazione Llghtweightlum). Pur essendo una versione compattizzata Commander. È strano notare come, mentredella Government, la nuova arma è metallur- la Combat Commander viene, ancora oggigicamente molto diversa dalla progenitrice prodotta nei 3 calibri, la versione Lightweightperché adotta il fusto in lega di alluminio (la sia camerata, a partire dal 1979, solo per il .45Commander, oltre ad essere la prima 9 Para ACP che, dei tre calibri, è quello con maggioramericana, è la prima arma, prodotta In se- energia di rinculo. La Combat Commander èrie, ad abbinare: munizionamento potente, molto più venduta della Commander e, unochiusura stabile e fusto in lega leggera). Se del motivi della preferenza accordata al mo-i cambiamenti meccanici sono, relativamen- dello con fusto in acciaio risulta essere il mi­te, di poco conto (fusto, canna e carrello più nore rinculo che questa ha rispetto alla Light-corti; bushing, tappo di tenuta molla e guida- weight. La Commander no ha rinculo supe-molla di minori dimensioni; diverso profilo riore a quello della S&W 39 e non si capisceesterno del cane; sicura dorsale tipo 1911, con perché quest’ultima venga sempre definita co-coda più corta) ed intesi ad aumentare l’oc- me arma con rinculo più che accettabile men-cultabilità e le caratteristiche di porto della pi- tre la Colt è paragonata ad un cavallo che scal-stola, quelli metallurgici sono enormi e si può eia. In questa ottica è quindi strano che siaben dire che Colt ed Alcoa (la «Coltalloy» con cessata la produzione delle Commander ca-cul è realizzato il fusto è una lega di allumi- merate per i calibri con minor energia di rin-nio, ad alta resistenza meccanica, del tipo T6, culo mentre viene sempre venduta la versio-prodotta dalla Alcoa) hanno aperto una nuo- ne .45 che, questa si, scalcia come un mulo,va strada nello sviluppo delle armi corte. Do- Dopo l’introduzione della Commander la po la versione 9 Para, la Commander viene Colt si concede una «pausa di riflessione» fi- camerata per il .45 ACP ed il .38 Super Auto, no al 1957, anno in cui ha inizio la produzio- oltre a 1.000 esemplari (In due lotti di 500) in ne della Gold Cup National Match .45 (erede cal. 7,65 Parabellum destinati all’ Italia. Nel della National Match), arma dedicata al tiro 1970 la Commander è affiancata dalla Com- agonistico che, negli S.U., è consentito anche bat Commander con fusto in acciaio (anche con il .45. La Gold Cup è una splendida pi­questa camerata per 9 Para, .38 S.A., .45 stola da tiro che si discosta dalla Government

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per molti particolari: oltre alla canna match, a ll’azione finita a mano, alle contenutissime tolleranze ed al mainspring-housing piatto co­me quello della 1911, sono stati modificati bu­shing (aggiustato manualmente su ogni arma), carrello (più leggero, con finestra di eiezione diversamente sagomata, bindella trattata an- tirlflesso, mire micrometriche) e grilletto (più largo, zigrinato e con regolazione della corsa di retroscatto). Nel 1961 alla Gold Cup .45 si affianca la Gold Cup Mark III National Match .38 Special; camerata per il .38 Special WC, dotata di chiusura labile e con caricatore da 5 colpi, la nuova arma è destinata alle gare di P.G.C. nelle quali non è ammesso il .45 ACP.

Il 1970, con l’introduzione delle Government MKIV Series 70 e della Combat Commander, è una pietra miliare nella storia recente della Colt e vede la scomparsa di tutti i modelli al­lora in produzione con l’eccezione della LW Commander, della .22 conversion unit e del­la MK III National Match .38 Special WC; Le

Commander e le unità di conversione sono ri­maste in produzione, nella loro forma origina­le, fino all’avvento della serie 80; la MK III .38 Special si è trascinata stancamente fino al 1974, anno in cui scompare senza troppi rim­pianti dalla scena. A partire dal 1970 e fino al 1978, la produzione Colt, basata sull’orlgina- le progetto Colt-Brownlng, è così articolata:— Government Model MK IV Series 70 cal.

.45ACP/.38S.A./9 Parabellum;— Gold Cup MK IV Series 70 cal .45 ACP;— Commander (LW) cal. .45ACP/.38S.A./9

Parabellum;— Combat Commander negli stessi calibri;— .22 conversion unit destinate a Govern­

ment e Gold Cup.Se le Commander (LW) sono identiche a

quelle prodotte fino al 1949 (solo la sicura, così come per gli altri 0 trame, è dotata di supera­ci maggiorate per renderne più comodo l’u­so) e le Combat Commander ne sono la ver­sione con fusto in acciaio, Government e Gold Cup presentano alcuni cambiamenti rilevan-

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Government Model 9 Luger. Contrariamente a quanto si crede non sono pochi coloro che. anche negli Stati Uniti, vogliono il 9 Parabel­lum pur apprezzando il disegno Colt Govern­ment.

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Collet bushing (di una .45 HP) a confronto con bushing monopezzo (di una 9 Steyr).

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1911 A1 commemorativa della II Guerra Mondiale — Teatro Europeo.

ti: introduzione del cal. 9 Parabellum, bushing di nuovo disegno e modifiche alla canna. Sem­brano piccolezze e invece sono cambiamenti che hanno richiesto anni di studio. Verso la fine degli anni 60 alla Colt si pongono il pro­blema di incrementare significativamente la precisione della Government senza penaliz­zazioni alla sicurezza di funzionamento in con­dizioni limite. Scartate a priori le possibilità di variare sostanzialmente il disegno dell’arma o di ridurre le tolleranze costruttive mantenen­do inalterata la meccanica (l’arma ottenuta sa­rebbe, come la Gold Cup, più precisa ma an­che più sensibile all'ingresso di corpi estra­nei o all’accumulo di residui della combustio­ne), gli ingegneri della Colt si indirizzano su una soluzione che mantenga il maggior nu­mero possibile di parti in comune con le armi già in produzione. Partendo dalla constatazio­ne che un arma con canna mobile è tanto più precisa quanto più la canna riassume la stessa posizione dopo ogni colpo, si decide di inter­venire sui maggiori responsabili del corretto riallineamento della canna: la canna stessa,

il bushing e la chiusura. Dopo un congruo pe­riodo di studi e sperimentazioni si giunge, nel 1970, alla produzione di una nuova arma in cui il bushing è radicalmente diverso dal pre­cedente. Il nuovo bushing è costituito da una corona circolare dotata di 4 appendici elasti­che in acciaio temperato (disposte a 60° — 120° — 240° — 300° lungo la circonferenza del bushing stesso) che hanno il compito di «centrare» esattamente la canna dopo ogni colpo. Nella sua metà posteriore, ogni appen­dice ha (vedi foto) una curvatura verso l’interno che riduce il diametro del cerchio inscritto fra le 4 appendici. La canna è sostanzialmente identica a quella della 1911 A1 con l’eccezio­ne del tenone posteriore di dimensioni mag­giori (è parimenti maggiore anche la relativa sede nel carrello) e del profilo della parte com­presa tra risalto anteriore di chiusura e vola­ta. Il diametro esterno della canna è pari a 14,351 mm. dal risalto anteriore fino a 16,51 mm. dalla volata dove il diametro aumenta fi­no a 14,732 mm. per restare poi costante. In posizione di riposo, il cerchio più stretto inscrit-

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1911 A1 commemorativa della II Guerra Mondiale — Teatro del Pacifico.

to fra le appendici ha diametro di 14,478 mm. e quindi il bushing è libero di scorrere lungo la canna, anche quando questa è basculata, ma la Impegna saldamente, in vicinanza del­la volata, quando l'arma è In chiusura ed an­che nel tratto Iniziale (finale) della corsa re­trograda (in avanti) del carrello, quando la pal­la non ha ancora lasciato la canna. La canna non è trattenuta solo dalla forza delle appendi­ci elastiche ma anche dall’interazione fra can­na-appendici e pareti del carrello. Con l'arma in chiusura, le appendici, allargandosi, contra­stano con le pareti del carrello rimanendo im­prigionate tra le stesse ed il profilo esterno del­la canna e formando così un vincolo estrema- mente saldo. Il sistema fornisce un corretto posizionamento della volata, ma, quando l’ar­ma va in chiusura — e la culatta si alza, — non basterebbe da solo per consentire un per­fetto allineamento; basta considerare il van­taggio meccanico della canna dalla parte della culatta (braccio di leva = 127 mm.) contro la forza esercitata dalle appendici del bushing il cui braccio di leva è pari a 16,51 mm.. Per

questo motivo, oltre ad aumentare le dimen­sioni del tenone in culatta, le tolleranze tra ri­salti di chiusura e sedi nel carrello sono ridot­te al minimo, così come è ridotta al minimo la tolleranza sulla lunghezza della blelletta di svincolo. Le modifiche e le differenti tolleran­ze studiate per la MK IV non inficiano mini­mamente la «realiability» della pistola Colt e consentono un certo incremento della preci­sione rispetto alle precedenti Government Mo­del (per la Gold Cup non c ’è stato alcun in­cremento poiché questa pistola è sempre stata costruita con tolleranze contenutissime e te­nendo conto solo della necessità di fornire al­tissima precisione). Pur non compromettan- do l’affidabilità dell’arma, i vari cambiamenti richiedono una maggior cura da parte del fab­bricante, pena uno scadimento generale del­le prestazioni. Per il collet bushing, in parti­colare, è necessario uno stretto controllo di qualità (con particolare riguardo al trattamenti termici), le appendici non si devono assolu­tamente piegare, deformare, snervare o usu­rare per non creare problemi di funzionamento

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New Service Model Ace. La produzione di questa arma è iniziata nel 1977 abbinando fu­sti di Government a Carrelli identici a quelli della .22 Conversion Unii. Viene importata in Italia ed è stata la prima •<Government» dispo­nibile dopo le famose circolari che avevano tolto di circolazione anche le poche Comman- der originali e 1911/1911 A1 ritubate allora cir­colanti nel nostro Paese.

Government Model 9 Steyr, prodotta specifi­catamente per il mercato italiano potrebbe es­sere una valida alternativa al .38 Super Auto disponendo di bossoli più robusti a caricamen­ti adeguati.

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Prima arma della Serie 80 è stata la Govern­ment Model .380; simile ad una Government .45 ma in scala ridotta ha però catena di scatto nuova e chiusura modificata.

e, al limite, l’inoperabilità deN’arma. In una ot­tica militare è ancora preferibile il bushing con­venzionale, più facile da fabbricarsi, meno soggetto ad usura e quasi indistruttibile.

Fino al 1978, con l’eccezione di particolari serie commemorative (serie che la Colt ha da sempre sfornato con regolarità e che, ancora oggi, continua a proporre periodicamente), non ci sono state altre novità: in quell’anno entra in commercio la New Service Model Ace, rivistazione della S.M. Ace con fusto della Go­vernment .45 e carrello esteticamente identi­co alla Gold Cup (nei primi anni '70 sono sta­te prodotte diverse centinaia di Gold Cup .22, alcune delle quali importate in Italia) ma con finiture e catena di scatto assolutamente di se­rie.

Ultime nate della serie 70 sono state (1983) le Combat Government .45 ACP (in pratica Government Model accuratizzate, con scatti alleggeriti, dotate di mire fisse tipo combat, si­cura dorsale con coda lunga e sagomata in modo da proteggere la mano, mainspring hou- sing piatto come quello della 1911 ma zigri­nato, guancette Pachmayr tipo combat) e la versione 9 Steyr, destinata al mercato italia­no, della Government MK IV; la Government 9 Steyr, come alcune delle prime 9 Parabel­

lum, manca del collet bushing sostituito da un bushing «solido» come quello montato sulle ar­mi ante serie 70 e sulle Commander.

Intorno al 1938 la Colt ha studiato e breve­mente prodotto una variante della Government dotata di una sicura automatica al percusso­re che però, contrariamente a quella della con­temporanea P38, impediva solo l’avanzamen­to del percussore ma non lo bloccava solida­mente. Scomparse entro breve tempo e mai più riesumate le Government con arresto del percussore sono ormai solo prelibati pezzi da collezione e solo nel 1980 la Colt ha iniziato la produzione di una sua pistola dotata di bloc­co al percussore. Si tratta della Government Model .380, pistola che si richiama formalmen­te alla Government ma se ne differenzia, ol­tre che per le dimensioni molto più compatte, per pesanti variazioni della meccanica. La chiusura ha un solo risalto e la bielletta è sta­ta sostituita con uno zoccolo dotato di profilo a camme tipo SIG 210; la catena di scatto ri­corda molto quella della Beretta 70; manca la sicura dorsale ma è stata aggiunta quella al percussore. Quest’ultima ha la strana carat­teristica di funzionare solo a cane armato e quindi, a cane abbassato, la pistola ha solo un banale percussore inerziale.

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Schema di funzionamento del blocco al per­cussore adottato sulle Colt M K IV Serie 80. Nel suo movimento retrogrado l ’appendice del grilletto entra in contatto con la «Trigger bar lever» (I) spingendo indietro il braccio inferio­re di questa ne provoca il sollevamento di quel­lo superiore che, impegnando la camma nel­la «Plunger lever» (II) fa si che l ’appendice di

questa sollevi il fermo del percussore che è normalmente trattenuto in basso dalla spinta della molla antagonista. Una volta sollevato il piolo di blocco, il percussore è libero di avan­zare a va a colpire l ’innesco sotto la spinta del cane che viene liberato quando l'appendice del grilletto incontra la leva di scatto.

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Gold Cup Serie 80, al pari della Government, differisce dalla Serie 70 per l'aggiunta del bloc­co al percussore. In .45 HP è la prima Gold Cup disponibile sul mercato civile italiano.

A partire dal 1983 la Colt ha Iniziato la pro­duzione, inizialmente solo in calibro .45 ACP, della Government Model Serie 80 prima pisto­la in assoluto, fra quelle prodotte ad Hartford, dotata di una sicura automatica che blocca completamente il percussore, indipendente­mente dalla posizione del cane, se il grilletto non è completamente premuto. Volendo man­tenere al massimo la comunanza di parti e quella concettuale con la precedente produ­zione, la catena di scatto è rimasta sostanzial­mente invariata salvo l’aggiunta di due levet­te imperniate una sul perno della leva di scatto e l’altra su quello del cane. Premendo il gril­letto, l’appendice posteriore dello stesso agi­sce sulla prima levetta (quella imperniata sul perno della leva di scatto) che a sua volta fa sollevare la seconda in modo da spingere in alto il pistoncino di blocco alloggiato nel car­rello. È un sistema semplice ma richiede tol­leranze molto contenute e genera attriti paras­siti che possono però essere quasi totalmen­te eliminati lucidando le parti in contatto, co­sa questa mai fatta di fabbrica e così le Serie 80 hanno uno scatto non pesante ma abba­stanza spugnoso. Oltre alla sicura automati­ca sul percussore, la Serie 80 è caratterizza­

ta dal cane in cui la tacca della mezza monta (quella che serve per intercettare il cane se sfugge dalla tacca di armamento a grilletto non premuto) viene sostituita con un robusto gra­dino in modo da eliminare i rischi di rottura della monta di sicurezza. Oltre alla presenza delle nuove parti, la sicura al percussore ha richiesto la modifica di alcuni elementi e così cane, percussore ed estrattore non sono in­tercambiabili con quelli della Serie 70. A par­te quanto visto le armi della Serie 80 sono identiche alle omonime della Serie 70.

Dopo la Government .45, tutte le altre pisto­le basate sullo O trame (designazione Colt per le Government Model) sono state aggiornate alla Serie 80 (in pratica Government, Gold Cup, Commander e Combat Commander nei vari calibri oltre a SM ACE e .22 Conversion Unit) che comprende oggi anche altri modelli sviluppati nel quadro della Serie 80. Prima fra le nuove pistole è stata la Officer ACP, ver­sione compatizzata della Government lunga 180 mm e alta solo 125 con capacità del cari­catore ridotta a 6 colpi .45 ACP (non sono pre­visti altri calibri ad eccezione del .45 HP per il mercato italiano). Sulla Officer è stato pos­sibile ridurre sostanzialmente la lunghezza

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La Officer’s Model è nata quale risposta del­la Colt alla Detonics e a tutte quelle Govern­ment «rimpiccolite» dai vari artigiani. Arma re­lativamente piccola mantiene il calibro .45 ed è disponibile anche in Italia come .45 HP.

Offlcer s ACP parzialmente smontata, si nota la forma particolare della canna necessaria per assicurare il ritorno costante nella stessa posizione in modo da non compromettere la rosata.

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Con la Serie 80 la Colt ha introdotto anche l'acciaio inossidabile, sono così disponibili Go­vernment e Gold Cup completamente realiz­zate con questo materiale. Sono entrambe im­portate in Italia nel calibro .45 HP

Alla prima Officer's Model sono state poi af­fiancate la Officer's Lightweitght con fusto in lega e quella Stainless (visibile nella foto) in acciaio inox, tutte in .45 ACP. (45 HP per l ’I­talia)

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la Combat Elite la Colt offre di serie una pistola dotata di quasi tutti gli optional nor­malmente installati dagli artigiani, il tutto ad un prezzo non ridottissimo in assoluto ma inferiore rispetto all’acquisto di una Go­vernment ed alla sua successiva modifi­ca. La Combat Elite è caratterizzata da: fu­sto in acciaio inox, sicura dorsale d i mag­giori dimensioni, catena di scatto accura- tizzata, mire combat con riferimenti bian­chi, finestra di espulsione maggiorata, ca­mera e rampa lucidate in modo da consen­tire la perfetta alimentazione con qualsia­si tipo di palla. In .45 HP è ora disponibile anche sul mercato nazionale.

9 mm. conversion unit: viene prodotta dalla Colt a partire dal 1986 per coloro che, già di­sponendo di una M KIV Serie 80 in altro cali­bro vogliono usare anche il 9 Parabellum. Se l ’arma è in .45 sarà necessario sostituire l ’e­spulsore per avere una totale affidabilità nel­l'eiezione del bossolo.

ÌOLT'MK ¡V,

grazie all’adozione di una nuova canna con profilo terminale esterno a sezione conica in modo da centrarsi nel ridotto bushing monta­to sulla pistola; oltre alla canna sono stati mo­dificati bushing e tappo per la molla di recu­pero, quest’ultima è ora costituita da due molle una dentro all’altra.

Un altra novità della Serie 80 è stata l’ado-

prodotta solo in 5.000 esemplari su richiesta di un grosso distributore statunitense (Lew Horton) è nata la General Officer che accop­pia un carrello Officer al fusto della Comman­der in lega di alluminio; l’idea deve essere pia­ciuta perché alla General Officer hanno fatto seguito la Officer Lightweight, una Officer ACP (termine intercambiabile con Officer Model) con fusto in lega, e la già menzionata Stain-

zione dell’acciaio inossidabile, dopo la Go- less Steel Officer Model.vernment .45 Stainless sono state immesse sul mercato anche Gold Cup e Officer Model fabbricate con acciaio inox. Le armi inossida­bili non sostituiscono gli analoghi modelli in acciaio al Cr Mo ma gli si affiancano.

La Officer Model ha dato vita ad una ulte­riore estensione della famiglia Government;

Ultime novità, in ordine di tempo, la Com­bat Elite (una Combat Government Serie 80 con fusto in acciaio inox), le unità di conver­sione al calibro 9 Parabellum per le Govern­ment Serie 80 e le versioni «ultimate» (con fi­nitura particolarmente curata) Government e Officer Inox.

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Con un processo simile a quello che dalla Commander ha portato alla Officer’s, la Colt ha derivato, dalla Government .380, la picco­lissima Mustang: una 9 corto a chiusura sta­bile più compatta di molte 6,35 Browning. Spe­riamo di vederla prima o poi anche in Italia, se tecnicamente possibile in 9 Ultra ma sa­rebbe interessante anche nel più debole 7,65 Browning.

con la Serie 80 la Colt ha iniziato a produrre le sue canne .38 Super Auto in modo che la cartuccia faccia head-space sull’orlo del bos­solo e non più sul minuscolo risalto (rosata e sicurezza di funzionamento ne risultano dra­sticamente migliorate); sono in commercio del­le Combat Commander in calibro 9 Steyr ma­tricolate come armi della Serie 80 ma mancan­ti della sicura al percussore e quindi Serie 70 a tutti gli effetti.

Dopo lunghi anni di forzato digiuno final­mente anche gli appassionati italiani posso­no disporre di quasi tutti i modelli basati sulla O trame. Sono infatti disponibili: Government brunita, inossidabile e ultimate; Combat Eli­te; Officer’s brunita, inossidabile, «ultimate» e «lightweight»; Gold Cup brunita e inossida-

lia sono camerate per la .45 HP, cartuccia ad hoc per il nostro Paese dove il .45 ACP viene ancora considerato «cattivo» e se ne differen­zia per il bossolo più corto di un millimetro, sovrapponibile alla hardball del .45 ACP (FMJRN da 230 grani) non è però intercam­biabile con questa.

Per completare il quadro sulla Serie 80, si deve ricordare la Mustang, minuscola pistola calibro 9 corto a chiusura stabile derivata dalla Government .380 con procedura identica a quella che ha portato dalla Government 45 ACP alla Officer ACP.

È forse pleonastico ma giova aggiungere che i carrelli dellaSerie 80 non sono intercam­biabili con quelli della Serie 70 a meno di im­portanti modifiche.

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LA MECCANICA COLT-BROWNING

Cuore di ogni arma è la chiusura e quella Colt-Browning rappresenta una pietra milia­re nell’evoluzione delle armi corte, oltre ad es­sere, ancora oggi, una delle più usate (nella forma originale, perché se si considerano an­che quelle derivate, la chiusura Browning è stata ed è la più usata, in assoluto, su pistole con chiusura geometrica).

Tipologicamente, quella della Government è una chiusura stabile a corto rinculo e cioè, sia prima che dopo lo sparo, canna e carrello sono saldamente collegati da un vincolo mec­canico che si interrompe solo dopo una cor­sa iniziale di lunghezza inferiore a quella del bossolo (max. 0,5 I. bossolo), quando le pres­sioni in canna sono ormai scese a livello di si­curezza.

Nella pistola Colt, otturatore e carrello for­mano un solo pezzo, nella parte superiore del carrello (davanti alla finestrella di espulsione) sono ricavati due intagli semilunari nei quali, ad arma chiusa, alloggiano i corrispondenti ri­salti della canna; questa è articolata su una bielletta (posta sotto la camera di scoppio) col­legata al castello da un perno intorno al qua­le può ruotare (il perno è quello dell’hold- open). Alla partenza del colpo canna e carrello rinculano, per un primo tratto, solidamente col­legati; durante questo primo tratto la canna inizia ad abbassare la culatta che compie una rotazione di un arco di cerchio (la canna è il raggio e la volata il centro) al cui termine i ri­salti escono completamente dalle sedi (l’ab­bassamento della culatta avviene sotto l’azio­ne della bielletta) svincolando canna e carrello. A svincolo avvenuto, la canna si arresta men­tre il carrello continua la sua corsa retrogra­da vincendo la forza della molla di recupero,

molla che, distendendosi, riporterà il carrello in batteria provocando la cameratura di una nuova cartuccia e l’attuazione della chiusura.

Con la cameratura del colpo entra in gioco un aspetto importantissimo, ma ai più scono­sciuto, della meccanica Colt-Browning: l’ali­mentazione controllata. Chiunque abbia os­servato, anche solo fuggevolmente, la relazio­ne tra canna e fusto esistente sulle semiau­tomatiche Colt, non può non essersi chiesto come è possibile che queste pistole digerisca-

Contrariamente a quello che accade su mol­te pistole (che camerario il colpo e poi lo ag­ganciano con l'estrattore), sulle armi di tipo Colt-Browning la gola sul bossolo viene impe­gnata dall'estrattore già quando la cartuccia sta fuoriuscendo dal caricatore. Questa carat­teristica, riscontrabile anche sul K 98, contri­buisce non poco alla leggendaria affidabilità della pistola in esame.

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no cartuccia su cartuccia con monotona re­golarità. È pur vero che la .45 ACP con palla FM-J è munizione ideale per quanto riguardal’alimentazione, quale che sia l’arma per es­sa camerata (massa notevole, indovinato rap­porto lunghezza diametro, bossolo rimless a pareti diritte, profilo esterno della palla), ma per le .45 con altra palla e per le munizioni adottate, di volta in volta, sullo «old warhor se»? La risposta ad una domanda del genere investe più fattori (lucidatura ed angolo della rampa di alimentazione, raccordo degli spigoli vivi suila faccia posteriore della canna, finitu­ra della camera di cartuccia, ecc.) ma, fra que­sti, quello di gran lunga più importante è l’ali­mentazione controllata.

Alimentazione controllata significa che la cartuccia viene estratta dal caricatore ed im­pegnata dall’unghia estrattrice (in verità l ’un­ghia estrattrice inizia ad impegnare la gola nel bossolo già prima che questo lasci le labbra del caricatore) prima di essere del tutto came­rata (come avviene nelle azioni K 98); in que­sto modo la pistola può sparare da qualunque posizione (anche rovesciata) senza che la car­tuccia assuma angolazioni tali da prevenirne la cameratura. Con la normale cartuccia a pal­la la parte anteriore della stessa inizia a scor­rere suila rampa (al limite urta contro il «cie­lo» della camera di cartuccia se ia munizione è molto lunga) prima che il bossolo abbia ab­bandonato completamente il caricatore ma,

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con l’alimentazione controllata, accade che contemporaneamente l’unghia estrattrice im­pegni la gola e quindi controlli la parte poste­riore della cartuccia. In fase di alimentazione, la cartuccia è trattenuta sia davanti (rampa) che dietro (unghia estrattrice) durante tutto il ciclo di alimentazione e pertanto, anche quan­do ha lasciato le labbra del caricatore, non può presentarsi disassata rispetto alla camera. Con munizioni più corte rispetto al .45 ACP standard (.45 ACP con altra palla, 9 parabel­lum, altri calibri con palle leggere) è neces­saria una modifica ai caricatori (attuata da di­versi anni sulle Colt commerciali) in modo che le labbra degli stessi liberino il bossolo prima di quanto non accada con i normali caricatori militari; così facendo la gola sul bossolo vie­ne impegnata anticipatamente dall’unghia estrattrice e la cartuccia è inserita in camera sufficientemente allineata con l’asse della stessa e non molto disassata, come normal­mente avverrebbe usando munizioni di lun­ghezza inferiore alla standard (questo riduce anche la possibilità che la bocca del bossolo e/o la testa della palla si impuntino sulla ram­pa o sui bordi della camera). Naturalmente, per l’alimentazione controllata risultano criti­

che la distanza tra unghia estrattrice e faccia otturatore nonché le condizioni della faccia e dell’unghia. Una distanza eccessiva o insuf­ficiente provoca inceppamenti, così come li provocano eventuali scabrosità sulla faccia dell’otturatore o sulla superficie dell’unghia estrattrice (lo spigolo inferiore della stessa de­ve sempre essere raccordato e mai vivo).

Tutta la meccanica della Government è im­prontata alia massima semplicità ed anche la catena di scatto non fa eccezione. Premen­do il grilletto questo, con il suo prolungamen­to, agisce sulla leva di scatto sottraendola al cane il quale sotto l’azione della molla cineti­ca, percuote ¡1 percussore inerziale alloggia­to nel carrello. L’arma non funziona a raffica per la presenza di un disconnettore che vie­ne attivato dal carrello, infatti la testa del di­sconnettore protrude dal fusto (sulla mezze­ria davanti al cane) e non viene premuta ver­so il basso (interrompendo la catena di scat­to) solo quando l’arma è in chiusura perché allora coincide con una apposita sede ricavata nella parte inferiore dell’otturatore. La pisto­la è dotata di una sicura manuale, posta sul­la sinistra del fusto, che blocca la leva di scatto ed è inseribile solo con cane armato; è pre-

Coonan e L.A.R. Grizzly (pagina accanto) so­no, calibri a parte, solamente l'ennesima rivi­sitazione del progetto Colt-Browning e diver­se parti di queste armi sono intercambiabili (talvolta con qualche aggiustaggio) con le ana­loghe delle Government.

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sente anche una sicura dorsale che impedi­sce la partenza del colpo se l’arma non è sal­damente impugnata. Unici potenziali punti de­boli della catena di scatto sono la molla a la­mina multifunzionale e l’indebolimento della leva di scatto provocato dalla necessità di la­sciare spazio per il passaggio del disconnet­tore (questo passa attraverso la leva di scat­to). La molla a lamina multifunzionale è dota­ta di tre branche che caricano: grilletto (fun­ge da molla antagonista), leva di scatto, di­sconnettore e sicura dorsale. Dopo un lungo uso la molla a lamina può indebolirsi (sopra­tutto la branca all’estrema destra che carica la sicura dorsale) ma, quasi mai, rompersi. È possibile ridare forma alla branca indebolita ma è più semplice sostituire l’intera molla per­ché facilmente disponibile ed a un prezzo con-

tenuto.Per anni praticamente invariata a meno del

collet bushing, la meccanica Government ha visto solo recentemente una aggiunta signifi­cativa costituita dal bloccaggio del percusso­re. È degno di nota come, con relativamente poche modifiche sia stato così possibile eli­minare un vero tallone di Achille proprio di tut­te le pistole con percussore inerziale: la par­tenza accidentale di colpi in seguito a caduta dell’arma, sia a cane alzato che abbassato.

Con la meccanica Government è stato fat­to praticamente di tutto e così pistole «nuove» come la L.A.R. Grizzly ’45 Magnum e la Coo- nan .357 Model A sono solo Government ri­vedute e corrette. Rivedute e corrette fino ad un certo punto visto che diverse parti risulta­no intercambiabili o quasi.

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Colt Government e automatica .45 ACP so­no quasi sinonimi; la pistola di Browning è sta­ta inizialmente dimensionata intorno al .45 ACP ed è stato questo uno dei motivi di suc­cesso (è valido anche il contrario) viste le no­tevoli prestazioni della cartuccia e la sua mor­fologia che, insieme alla notevole massa del­la palla ed alle basse pressioni erogate, faci­litano non poco il corretto funzionamento di una pistola semiautomatica anche in condi­zioni limite. L’originale cameratura in .45 ACP ha poi consentito anche un vasto potenziale di sviluppo perché, progettata intorno ad una grossa cartuccia, la Government non ha po­sto problemi eccessivi quando si è trattato di passare a munizioni più rispondenti ad altre esigenze ma dimensionalmente più piccole.

Tecnicamente, storicamente e quantitativa­mente, la .45 ACP risulta più importante di qualsiasi altra cartuccia adottata per la Go­vernment e non sono poche le cartucce via via camerate nella grossa Colt, come la .455 Webley Auto, .38 Super Auto, 9 Parabellum .22 L.R., .38 Special Wad Cutter, 7,65 Para­bellum, 9 Steyr e .45 HP (le ultime tre esclu­sivamente per il mercato italiano) sono le car­tucce per le quali la Government e i suoi deri­vati sono stati camerati dalla Colt. Non è pro­ponibile trattare tutte le munizioni che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con Government e derivati; per questo motivo li­miteremo l’analisi al .45 ACP ed alla .38 Su­per Auto, quest’ultima perché ha segnato una svolta essendo stata la prima cartuccia ad al­ta intensità camerata nella Government.

.45 ACPSviluppata da John Moses Browning nel

1905 ed adottata nel 1911 daH’U.S. Army in­sieme alla Colt Government è, insieme al 9 Pa­rabellum, la più diffusa munizione miltiare per armi corte e pistole mitragliatrici al di fuori del blocco comunista.

Dotata di indubbie qualità per quanto riguar­da l’alimentazione, la sicurezza di funziona­mento e le prestazioni di balistica terminale, è però una cartuccia a bassa intensità (press. max ammissibili inferiori a 1.350 atmosfere) e come tale dotata di relativamente bassa Vo con conseguente scarso potere perforante e traiettoria curva. L’essere una munizione a bassa intensità è però anche un vantaggio per il modo in cui si sviluppa la curva pressoria e per la contenuta pressione unitaria, con con­seguenti minime sollecitazioni impartite all’ar­ma (N.B.: non ci riferiamo all’energia di rin­culo, decisamente notevole, ma alle pressio­ni di esercizio ed alla temperatura dei gas).

Originariamente il .45 ACP montava una palla da 200 grani con V0 = 900 f/p.s. ma i militari preferirono adottare una palla da 230 grani (disegnata dal Frankford Arsenal) per In­crementare potere di arresto e sicurezza di funzionamento. Per molti anni (fino alla fine degli anni 30) sono coesistite entrambe le ver­sioni, attualmente le munizioni militari sono quelle sotto elencate.— Cartridge, callber .45, Ball, M 1911

palla FMJRN pesante 234 grani con rive­stimento in lega di rame oppure 231 gra­ni con rivestimento in acciaio decarbura­to placcato con gildlng.Vm = 855 f/p.s. a 25,5 piedi dalla bocca — P. max = 19.000 P.S.I. bossolo in ottone.

— Cartridge, caiiber .45, Ball, M 1911, Steel Case, c.s. ma con bossolo in acciaio.

— Cartridge, caiiber .45, Ball, M 1911, Match Grade palla FMJRN da 234 grani rivestita in lega di rameVm = 855 ± 25 f/p.s. a 25,5 piedi dalla boc­ca — P. max 19.000 P.S.I.Bossolo in ottone — dispersione media max. ammissibile = 3” a 50 yds

— Cartridge, caiiber .45, Test, High Pressu­re, M1

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munizionamento di prova da non usarsi normalmente nell’arma, sviluppa una P. max = 22.000 P.S.I.

— Cartridge, caliber .45, Blank, M9 cartuccia a salve, è ammessa una perfo­razione max. con 0 0,1” su schermo di carta a 15 piedi dalla volata. Ne esiste an­che la versione con bossolo in acciaio: M9 Steel case.

— Cartridge, caliber .45, Tracer, M26dati balistici come .45 Ball, M1911, il trac­ciate deve essere visibile da 15 yards dal­la volata fino alla distanza minima ammis­sibile di 150 yards. Ne esiste anche la ver­sione con bossolo in acciaio: M 26 Steel case.

— Cartridge, caliber .45, Match, Wad cutter Munizioni commerciali acquistate di volta in volta per l’uso di gara, devono posse­dere i seguenti requisiti (riferiti ad una se­rie di 10 colpi):

— palla da 185 grani FMJSWC rivestita in gil- ding; a 15 piedi dalla volata, la variazione max. ammessa di velocità è 45 piedi su una Vm = 765 f/p.s.; la pressione media max. ammessa deve essere pari od infe­riore a 18.000 P.S.I. con una escursione massima (tra il colpo con pressione più alta e quello con pressione più bassa) inferio­re ai 6.200 P.S.I..

— Dummy cartridge, caliber .45, M 1921

false cartucce per familiarizzazione al ma­neggio dell’arma, si identificano esterna­mente per la presenza di un foro sul bos­solo. Ne esiste anche la versione con bos­solo in acciaio: M 1921 Steel case.

— Munizioni .45 a pallini destinate alte FF.AA.

Negli anni '30 la fabbrica Peters vendeva una cartuccia cal. .45 ACP con la palla sosti­tuita da un contenitore in carta pieno di palli­ni; questa munizione era destinata ad essere usata nei Thompson per il controllo delle ri­volte all’ interno dei carceri. Nel 1942 la Re­mington ricevette un contratto, da parte del- l’Army, per la produzione di una cartuccia si­mile a quella della Peters ma destinata alla sopravvivenza dei piloti abbattuti (in quel­l’epoca, l’Aviazione militare degli S.U. era una branca dell’Esercito e si chiamava U.S.A.A.F.). Le cartucce Remington, denomi­nate M 12, rimasero poco in servizio perché il contenitore di carta assorbiva facilmente umidità deformandosi e/o lacerandosi. Nel 1944 la M12 fu sostituita dalla M 15 con bos­solo più lungo e senza contenitore in carta. Sia la M12 che la M15 venivano incluse nei kits di sopravvivenza, spesso insieme ad una canna liscia per la 1911 A1, ma non erano completamente soddisfacenti perché risulta­va impossibile usarle con i caricatori e la pi­stola poteva sparare solo un colpo per volta. L’uso della M15 è continuato fino alla Guerra

Una cartuccia calibro .45 ACP con palla incamiciata FMJ FIN, una cartuccia .45 ACP commer­ciale della Frontier con palla Sl/I/C da 185 grani, ed a destra una cartuccia commerciale cali­bro .45 HP della Hirtenberg.

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di Corea per poi scomparire, durante la Guerra del Vietnam si ripresentò la necessità di una munizione cal. .45 ACP con caricamento a pal­lini; questa volta era però «conditio si ne qua non» che la cartuccia a pallini permettesse il funzionamento degli automatismi nelle 1911A1 e negli M 3 Grease Guns e non pre­sentasse il minimo problema di alimentazio­ne dai caricatori; infatti, la cartuccia richiesta non era destinata solo alla sopravvivenza in ambiente ostile, ma anche a imprecisate «ope­razioni speciali». La nuova munizione impie­gava un bossolo convenzionale ed un conte­nitore in plastica e conteneva 28 pallini n. 4 ed un panettone 00 (l’accento era evidente­mente posto sulle «operazioni speciali»). La cartuccia cal. 45 a pallini non ha mai ricevuto una denominazione ufficiale, né se ne cono­sce il fabbricante; scarsamente diffusa e me­no usata è, ai più, quasi sconosciuta e ne so­pravvivono pochissimi esemplari appartenenti a collezionisti. Alcune confezioni originali (pro­venienza CIA?) esistono oggi solo nella rac­colta dei laboratori balistici dello FBI; le car­tucce (bossolo marcato Sako!) sono impac­chettate in contenitori «sterili» da 20 colpi, ogni contenitore reca solo una etichetta su cui è scritto: 20 cartridges, cal. .45 Special Purpo- se.

KTW e Arcane, due tipi d i munizioni che han­no portato del nuovo nel campo delle cartuc­ce per pistola dando anche una nuova perso­nalità a calibri come il .45 ACP che, soprat­tutto con le Arcane, vede accrescere le sue possibilità d i impiego.

— Munizioni Metal penetrating ed armour piercing

Uno dei difetti del .45 ACP è la scarsa pe­netrazione, a questo si è cercato di porre ri­medio in vari modi; malgrado non esista una cartuccia .45 perforante standardizzata per uso militare, diversi arsenali governativi e fab­briche civili hanno prodotto munizioni «metal penetrating» ed anche «armour piercing» de­stinate all’uso militare e di polizia. Le strade battute sono state di tre tipi: palla di peso stan­dard con camiciatura, in acciaio, molto spes­sa e spinta fino a più di 900 f/p.s. (una bella sventola); palla più leggera (in genere 185 gra­ni) con nucleo perforante in acciaio (es. le Re- mington Highway Master) a velocità intorno ai 1.000 piedi al secondo; palla leggerissima con nucleo in acciaio temperato o in tungsteno e rivestimento in teflon, spinta a velocità impen­sabili per il .45 ACP (fino a 1.200-1.300 f/p.s.). La prima soluzione sollecita troppo l’arma ed ha valore solo come «metal penetrating», è sta­

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ta, per lungo tempo, la preferita dai militari per­ché, anche se il potere perforante è ben lon­tano dalla semplice munizione a palla 9 Pa­rabellum NATO, conserva un altissimo stop­ping power; la seconda è ormai da tempo in disuso (le Highway Master non vengono più prodotte dai primi anni 70 e non ci risulta che fabbriche civili o stabilimenti governativi pro­ducano, attualmente, un qualche cosa di equi­valente) ma la terza si è dimostrata quella vin­cente, dando nuove ed insperate possibilità al .45 ACP. La munizione perforante con nu­cleo in acciaio temperato (il tungsteno è sta­to abbandonato per motivi di costo) è stata messa a punto dalla KTW e la sua realizza­zione ha richiesto l’uso di tecnologie moder­nissime, infatti, solo la camiciatura In teflon (un lubrificante solido polimerico) ha consen­tito di raggiungere velocità iperboliche (per il .45) senza un eccessivo innalzamento del tetto pressorio (incompatibile con la strutturazione del binomio arma — cartuccia); la .45 perfo­rante della KTW ha, più o meno, le stesse ca­pacità penetrative di un 9 Para Armour Pier­cing di foggia convenzionale; chiaramente, quando la stessa tecnologia viene applicata alla 9 Parabellum i risultati sono ancora su­periori. Un altra munizione che fa uso di pal­la leggerissima spinta a velocità folli è l’Arca-

ne Francese questa cartuccia dà risultati no­tevoli in tutti i calibri ed eclatanti nel .45 ACP. Per una sua analisi rimando i lettori al n. 2/86 della rivista.

— Nuova palla a testa piattaUltima evoluzione nello sviluppo del .45

ACP, come cartuccia militare, è la nuova pal­la da 230 grani studiata dai tecnici dei- l’A.F.A.L. (io stesso del programma XM 9). La palla messa a punto nei laboratori dell’Air For­ce è a testa piatta (incrementando così il po­tere di arresto senza dover ricorrere a muni­zionamento espansivo, proibito, per uso mili­tare, dalle convenzioni internazionali) ma non presenta problemi di alimentazione grazie al particolare profilo esterno, studiato in modo tale che, quando incontra la rampa o la ca­mera, la palla presenti sempre una superficie convessa. Tests esaurienti hanno dimostrato che la nuova palla offre sicurezza di alimen­tazione uguale o superiore rispetto alla clas­sica round nose. le FF.AA. Statunitensi non hanno adottato la nuova palla ma, nel contem­po, è stata sviluppata anche una palla analo­ga per il 9 parabellum (peso 124 grani); è quin­di probabile che, anche col passaggio alla 92 F, le cartucce destinate a pistole e mitra in uso nei Servizi U.S.A. non adotteranno più la clas­sica palla round nose, sostituendola con quella a testa piatta.

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Anche se la carriera marziale della nuova palla sviluppata dall’A.F.A.L. è rimandata ad un incerto futuro e ad un altro calibro, la stessa palla è stata molto ben accettata sul mercato civile e viene venduta come componente per la ricarica (dalla Hornady nel cal. .45ACP e 9 Para) ma anche montata su munizioni di fab­brica (cartucce Frontier, una fabbrica di pro­prietà della Hornady). Con la palla della Hor­nady lasciamo il campo delle munizioni con

Cartuccia .45 ACP brasiliana prodotta dalla D.T.P.E.

uso totalmente o prevalentemente marziale per quello delle cartucce destinate al merca­to civile. Limiti di spazio ci impediscono di af­frontare l’argomento, se non per sommi capi. Attualmente sono disponibili, sul mercato ci­vile U.S.A., diverse decine di caricamenti per il .45 ACP e, anche trascurando i caricamen­ti speciali (e ce ne sono molti come Glaser Sa- fety Slug, Hard Cap a pallini, ...), le cartucce di fabbrica (non accenniamo neanche alle pos­sibilità offerte ai ricaricatori) sono tantissime e tali da soddisfare qualsiasi esigenza (a so­lo titolo di esempio ricordiamo che il .45 ACP viene caricato commercialmente con palle di tutte le fogge aventi peso compreso tra 180 e 230 grani e velocità più elevate sono riser­vate per le palle di peso minore). L’unico li­mite del .45 ACP e della Government è nel tet­to pressorio, che non può superare le 19.000 P.S.I. a meno di gravi rischi (il bossolo del .45 ACP ha pareti sottili ed inoltre la camera di cartuccia, per lasciare spazio alla rampa di ali­mentazione, è conformata in modo da non supportare completamente le pareti del bos­solo); queto fatto, insieme allo sviluppo di wild- cat basati sul .45 ACP (.41 Avenger, .38/.45) ha portato alla nascita di nuove cartucce de­rivate dal .45 ACP ma che, rispetto alla pro­genitrice, hanno maggior lunghezza e pareti più spesse. Sono così apparse le .45 Wildey Magnum e la .451 Detonics Magnum che ven­gono impiegate in armi radicalmente nuove, come la Wildey a presa di gas, oppure in ver­sioni pesantemente modificate della Colt- Browning (.451 Detonics Magnum e kits di conversione per Government e Commander) o anche in armi ispirate alla Colt ma diversa- mente strutturate (Grizzly).

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Introdotta nel 1929, come versione poten­ziata della vecchia .38 Auto, quale munizio­ne sportiva e per uso da parte delle forze di Polizia (sembra per la capacità di penetrare i giubbotti antiproiettile allora piuttosto In uso da parte della Mafia) la .38 S.A. è stata, fino a poco tempo fa, la più veloce e potente mu­nizione per pistola semiautomatica prodotta negli U.S.A. (nella Government, che ha la can­na da 5” , la palla FMJ da 130 grani viaggia ad una media di 1.275 f/p.s.). Malgrado lo scarso rinculo (rispetto al .45 ACP) e le otti­me prestazioni velocistiche (in media, a pari­tà di peso di palla, la .38 sviluppa 200 piedi al secondo più del 9 Parabellum) non ha mai avuto un grande successo; questo fatto è do­vuto a diversi fattori come la presenza di altri calibri più affermati (.45 ed i vari 9 mm.) e la mancanza, fino ad epoca recente, di carica­menti commerciali con palla diversa dalla FMJ da 130 grani; comunque, quello che più ha In­fluenzato lo scarso successo del .38 S.A. è si­curamente la scarsa precisione dimostrata nel­le Government fino alla serie 70. Così come usciva dalla fabbrica, una Colt .38 S.A., era raramente in grado di competere, come pre­cisione, anche con una 1911 A1. Il bossolo del Super Auto è del tipo semirimmed e l’head- space dipende dalla piccola corona circolare formata dal rim (larghezza massima 0,022” ) invece che dalla lunghezza del bossolo come avviene nello ACP e nel 9 Para (quest’ultimo aiutato anche dalla conicità del bossolo); se si considera che spessore e larghezza del rim possono variare da lotto a lotto e da fabbri­cante a fabbricante, si capisce come può ac­cadere che il bossolo entri troppo a fondo in camera e venga trattenuto dal solo estrattore

oppure, al contrario (se ha rim troppo spes­so) abbia una headspace troppo corto. Le va­riazioni nello headspace portano a variazioni dell’accensione nell’innesco e quindi a varia­zioni del punto di impatto (ferma restando qualsiasi altra variante). L’unico mezzo per fa­re si che il .38 S.A. eroghi tutta la precisione di cui è potenzialmente capace consiste nel cambiare headspace e farlo avvenire sull’or­lo del bossolo; a questo scopo si può ricorre-

Tre cartucce calibro .38 Super Auto con pal­la FMJ.

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re a modifiche della canna originale (brasa­tura di una boccola e successiva rialesatura con un reamer opportuno), oppure alla sua so­stituzione con una della Bar-Sto (o le nuove Colt) dove l’headspace avviene già sull’orlo del bossolo.

La .38 S.A. risulta molto importante nella evoluzione della Government perché rappre­senta la prima munizione ad alta intensità per

cui l’arma è stata camerata (circa 35.000 P.S.I. contro i 19.000 della ACP), ed è un vero pec­cato che non sia stata apprezzata come avreb­be dovuto perché, se opportunamente came­rata e caricata, potrebbe essere quasi l’equi­valente di un .357 Magnum, con palla legge­ra sono tranquillamente raggiungibili energie cinetiche dell’ordine dei 70 Kgm. accoppiate con precisione adeguata).

Stampa: Grafiche Consolini (Bo) Allegato alla rivista Diana Armi

Tutti i diritti sono riservati

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A cura di:

VITTORIO BALZI

1 - NASCITA DELLA P 38

Con la sua P 88, da pochi mesi presentata commercialmente negli anni 1915-1917. L’i- in veste definitiva sui mercati mondiali, la Wal- nizio della Grande Guerra e la disponibilità di ther propone un ulteriore modello di pistola mi- disegni più validi preclusero ogni possibilità litare a doppia azione dotata di notevoli carat- alla Walther 9 Para con chiusura labile e fu teristiche tecniche e funzionali. Per la Walther solo nel periodo a cavallo tra la fine degli an- e per tutti gli appassionati dì armi, il 1988 non ni ’20 e l’inizio dei ’30 che apparvero ben dueè solo l’anno che ha visto l’ introduzione di un nuove Walther 9 Parabellum. Denominate en-nuovo modello; è anche l’anno del giubileo trame Mod. MP (Militär Pistole), le due pisto- della P 38: la prima pistola militare a doppia le erano esteticamente molto simili ma utiliz- azione del mondo intero, avveniristica al mo­mento della sua introduzione in servizio ed an­cora oggi attuale sia nella concezione che nel­le possibilità operative.

La prima pistola Walther in calibro 9 Para­bellum fu un semplice ingrandimento della P. 38 e P88: la sintesi di cinquanta anni di pi- Mod. 4 calibro 7,65 Browning e venne offerta stole Walther a chiusura stabile.

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Il 1988 è l ’anno del giubileo della P. 38 che la Walther ha voluto celebrare con una ver­sione ad hoc della sua P. 38 post bellica ; ol­tre alla favolosa tiratura delle superfici, alle do­rature ed alle speciali guancette in legno, que­sta P. 38 ha, per la gioia di collezionisti ed ap­passionati, il fusto in acciaio invece che il le­ga leggera.

Primo tentativo di realizzare una pistola Wal­ther calibro 9 Parabellum fu quello concretiz­zatosi in una versione pantografata della Mod. 4.

zavano un diverso tipo di chiusura. Una delle MP era semplicemente una PP pantografata e manteneva quindi la chiusura labile, l’altra faceva uso di una chiusura metastabile simi­le a quella della Remington 51. Riprodotte in numero limitatissimo di esemplari, soprattut­to la seconda che è praticamente sconosciu­ta, la due MP scomparvero ben presto per fa­re posto ad un nuovo radicale disegno che sta­va prendendo forma sotto la matita di Herr Fritz Walther e che ricevette anch’esso la de­

nominazione MP. Fu questa terza MP ad ori­ginare tutta la successiva famiglia delle Wal­ther a chiusura stabile, e non, come comune­mente affermato, la derivata Armee Pistole. La MP «terza serie» (definizione personale ed impropria adottata solo per non ingenerare confusione) era dotata di una catena di scat­to derivata da quella delle PP ma con l’aggiun­ta di una sicurezza automatica nel fusto che impegnava il cane impedendogli di raggiun­gere il percussore anche in caso di urto sulla volata; aveva inoltre il cane coperto da una ca­renatura del carrello ed il primo colpo poteva quindi essere esploso solo in doppia azione. Sulla MP «terza serie» comparve una nuova chiusura stabile costituita da due blocchetti scorrevoli verticalmente, situati sui fianchi del­la canna quasi in corrispondenza della camera di scoppio e dotati ciascuno di due risalti: uno antera-superiore ed uno infero-posteriore. Con la pistola in batteria pronta al fuoco i blocchetti, sotto la spinta di risalti del fusto, sono nella posizione superiore e rendono solidali canna e carrello che iniziano a rinculare insieme do­po la partenza del colpo fino a quando la can­na non viene arrestata da un apposito risalto. In corrispondenza all’arresto della canna i blocchetti di chiusura vengono a mancare del­l’appoggio inferiore e possono così scendere a questo forzati dal movimento retrogrado del carrello, carrello che agisce sui risalti poste­riori. La discesa dei blocchetti libera comple­tamente il carrello che può continuare la sua corsa retrograda completando estrazione ed espulsione e comprimendo le due molle di re­cupero simmetriche.

Ulteriore stadio nello sviluppo delle Walther a chiusura stabile fu la AP (Armee Pistole, Pi­stola per l’Esercito) che corresse molti dei di­fetti della precedente MP. Fu aggiunto un pon­ticello di rinforzo nella parte anteriore del car­rello prima completamente aperta; lo slide- stop ed il chiavistello di smontaggio non furo­no più concentrati in un unico comando ma in due separati e con forma molto simile a quella definitiva; catena di scatto e tutte le parti interne ricevettero delle modifiche ma la mo­difica più importante fu quella relativa alla chiusura: abbandonati i due chiavistelli ven­ne adottato un unico chiavistello oscillante svincolato da un pistoncino e dotato di due

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PP (a sinistra) e PPK sono sulla breccia dal 1929 ma conservano intatta la loro validità-, col loro successo contribuirono a creare la base industriale sulla quale si è poi sviluppata la P. 38.

La prima delie Walther Mod. MP fu una PP ingrandita e camerata in 9 Parabellum.

alette laterali. Quest’ultimo sistema fu quello definitivo mantenuto inalterato sulle succes­sive P. 38.

A questo punto si potrebbe supporre che il prossimo stadio evolutivo sia stata la Heere- spistole mentre in realtà ci furono delle varia­zioni caratterizzate dal ritorno alla denomina­zione MP e facilmente riconoscibili esterna­mente perché per la prima volta i fianchi del carrello vennero lasciati completamente lisci senza i due risalti delle MP precedenti ed il

Questa Mod. MP può apparire semplicemen­te come un altra PP pantografata e soggetta ad alcune modifiche di dettaglio, in realtà su questa arma venne adottato un ritardo di aper­tura concettualmente simile a quello della Re­mington 51.

Si crede comunemente che «mamma» della P. 38 sia stata la Mod. AP\ in realtà l ’origine della famiglia deve essere fatta risalire ad una ennesima Mod. MP, arma che già conteneva «in nuce» molte delle caratteristiche proprie della P. 38.

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La MP «terza serie» (definizione inventata dal­l ’autore per distinguerla dalle precedenti) adot­tava una chiusura concettualmente assimila­bile a quella della P. 38 ma realizzata attra­verso due blocchetti scorrevoli verticalmente ed alloggiati sui fianchi della canna.

Anche se non è proprio la «mamma» della P. 38, la Mod. AP (Armee Pistole) può comun­que aspirare a questo titolo visto che fu su questa che venne adottato per la prima volta il chiavistello di chiusura oscillante.

singolo della AP. Le MP furono le ultime Wal­ther calibro 9 Para con canne coperto ed II loro quarto sviluppo sperimentale (verso la fine del1937 visto che I relativi brevetti sono del gen­naio 1938 mentre quelli delle MP con cane in­terno sono del 1936 e l’attività di ricerca con­tinuò nel ’36-’37 sulle AP ed MP della terza serie sperimentale) vide finalmente II cane sco­perto anche se con forma non definitiva e cre­sta slmile a quella della successiva Tokarev. Se le prime MP IV serie furono semplicemente delle AP con cane esterno, le ultime incorpo­rarono una caratteristica unica che ha poi co­stituito uno dei tratti peculiari delle P. 38 ed è oggi ritenuta indispensabile su tutte le pi­stole: la sicura automatica al percussore.

Il brevetto tedesco n. 715.716 del 2 aprile1938 è quello relativo alla Walther Mod. HP (Heeresplstole) e fu questa pistola, ulteriore affinamento della MP, ad essere presentata alla gara indetta dalla Wehrmacht per l’ado­zione di una nuova arma da fianco (anche se probabilmente le prime armi presentate furo-

Versione sperimentale a canna lunga della Mod. AP\ così come era molto di moda in que­gli anni, questa pistola poteva essere dotata di calciolo amovibile.

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no delle MP IV serie) ed a diventare poi P. 38 dopo l’adozione ufficiale. È interessante no­tare come durante tutto lo sviluppo delle Wal­ther a chiusura stabile l’attività di ricerca e spe­rimentazione non sia mai stata interrotta fino al 1940 e sla continuata, sia pure su scala ri­dotta anche in epoca successiva.

La stessa HP è stata sotto sottoposta ad un numero infinito di sperimentazioni e modifiche, spesso insignificanti ma continue. Il passag­gio dalla MP IV serie alia HP comportò un nuo­vo disegno dell’impugnatura e di altri partico­lari; vide inoltre l’adozione di un nuovo estrat­tore, dell’avviso di colpo in camera e del car­rello aperto superiormente chiuso da un ele­mento rettilineo dotato di appendici elastiche che serve anche per trattenere la tacca di mi­ra. La Mod. HP mantenne la sicura automati­ca al percussore già sperimentata sulla MP

ma venne sperimentato anche un diverso si­stema di sicura che prevedeva, oltre al bloc­caggio, l'avanzamento del percussore in mo­do da sottrarlo all’ impatto del cane che anda­va così ad urtare direttamente sul carrello; da notare che tutte le Mod. HP con sicura che sposta in avanti il percussore hanno la testa di questo particolare a sezione quadrata men­tre, al contrario, non tutte le pistole con per­cussore a testa quadra hanno la sicura che sposta il percussore In avanti e mantengono invece la sicura automatica e quella abbatti­cene Il cui barilotto sblocca II percussore pri­ma dell’impatto.

Come già detto l’attività sperimentale fu no­tevole e cosi vi furono Mod. HP con fusto In lega leggera, altre In calibro 7,65 Parabellum a singola o doppia azione, altre ancora con mire per il tiro notturno o con riferimenti colo-

Se seguiamo l ’albero geneologlco della P. 38, dopo la Mod. AP ritroviamo un altra Mod. MP\ per la verità ne troviamo diverse, una delle quali è qui raffigurata montata e parzialmen­te scomposta.

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Fig. 8

rati, eco.. Le Mod. HP passarono attraverso ben tre diversi stadi di sviluppo e la terza se­rie fu quella definitiva che vide, oltre a modi­fiche di dettaglio, l’abbandono del percusso­re a testa quadra in favore di quello con testa circolare.

Malgrado la sigla P. 38 stia a significare Pi­stola adottata nell’anno 1938, l’adozione for-

Richiesti nel 1937, i brevetti per la meccani­ca della Mod. AP vennero concessi sul finire del 1938 e portano le firme di Fritz Walther e Fritz Barthelmes.

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Nov. 8, 1938. 2,135,992AUTOMATI C F I S T O L

F. WALTHER ET AL

Filed May 29, 1937 - 2 Sheets-Sheet 1

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La Mod. HP (Heeres Pistole) destinata al mer­cato civile, si differenziava dalle armi destinate ai militari per la splendida finitura delle su per­fid.

male della P. 38 porta la data del 26 aprile 1940 mentre l’inizio della produzione, avve­nuta in una fabbrica costruita ad hoc per pro­durre le pistole destinate alla Wehrmacht, è de! tardo ’39 con la c.d. serie Zero (così chia­mata perché le matricole iniziavano col nume­ro zero) all’ interno della quale si riscontrano ben quattro varianti sperimentali (vennero spe­rimentate molte modifiche di dettaglio o an­che di una qualche sostanza, alcune delle quali già sperimentate in passato come la si­cura che blocca il percussore e lo sottrae al cane spostandolo in avanti).

Nel frattempo la Walther commercializzò le praticamente identiche Mod. HP, sia per i mer­cati civili che per quelli militari (pratica dura-

Mod. Hp calibro 7,65 Parabellum.

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Vari tipi di sicura automatica al percussore sperimentati dalla Walther, l ’ultimo a destra è quello definitivo usato ancora oggi.

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FIGI RE 3-37A

Alcune Mod. HP montavano un percussore a testa quadra, parte di questi percussori sono del tipo che viene spostato in avanti a ll’inse­rimento della sicura.

la fino alla fine della guerra; la RSI, ad esem­pio, acquistò delle Mod. HP in tutto identiche alle P. 38 dello stesso periodo) ma la direzio­ne della Walther non tardò a comprendere quanto sarebbe stato utile poter commercia­lizzare l’arma con un nome che facesse Im­mediato riferimento alla adozione marziale. Impossibilitati per Legge a commercializzare pistole col marchio governativo ufficiale (la si­gla P. 38 Indicava anche che l’arma era pro­prietà del governo) I responsabili della Wal­ther trovarono un geniale escamotage inven­tando Ipso facto le Mod. P. 38, definizione usa­ta su tutte le pistole «commerciali» non mar­cate come Mod. HP.

P. 38 serie Zero.

Uno dei primissimi esemplari di P. 38 di se­rie, reca il n. 480 come sigla di identificazio­ne della Walther.

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Walther Mod. P. 38. Questa pistola altro non è che una comunissima P. 38 ribattezzata Mod. P. 38 per aggirare il divieto di vendere pistole con una denominazione ufficiale.

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2 - L’ADOZIONE MARZIALE DELLA P. 38

Anche se mitizzata da stampa, cinema e let­teratura, la Parabellum (alias Luger) non è mai stata una eccellente arma militare e negli an­ni '30 era ormai obsoleta da un pezzo.

Desideroso di sostituirla il Comando della Wehrmacht indisse, nel 1937, una gara uffi­ciale (i contatti informali erano già iniziati nel

Per quanto fosse un vero capolavoro di mec­canica fine la Pistola 08 era, negli anni '30, ormai superata quale arma militare.

1934) per la scelta di un nuovo modello rego­lamentare e, come noto anche ai sassi, que­sta gara fu vinta dalla Walther. La Casa di Zel- la Mehlis potè vantare, oltre all’eccellenza del progetto, tutta la vasta attività sperimentale già condotta ed il notevole livello di sviluppo or­mai raggiunto. Fattori questi ultimi che ebbe­ro un peso decisivo perché con la guerra or­mai alle porte i tedeschi non potevano perde­re molto tempo nello sviluppo delle nuove ar­mi; col senno di poi possiamo dire che que­sta volta la fretta non fu cattiva consigliera ed il progetto Walther, oltre ad essere quello al più avanzato stadio di sviluppo, era effettiva-

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Al concorso per la sostituzione della Parabel­lum la Sauer & Sohn presentò una versione ingrandita e dotata di una qualche forma di chiusura stabile della sua 38 (H).

Concorrente sfortunata della Walther fu la Mauser con la sua HSv.

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La Mauser HSv parzialmente smontata: no­tare il chiavistello oscillante fulcrato posterior­mente e le molle di recupero alloggiate sui fianchi del calcio.

mente anche il migliore in assoluto. Tutto que­sto non ci esime comunque da un esame pur rapidissimo dei concorrenti sfortunati che fu­rono la Mauser HSv, un prototipo Sauer & Sohn e la BSW della Berlin-Suhler Waffen Fahrzeugwerke. Per quanto riguarda il model­lo Sauer & Sohn non sono rimasti né prototi­pi, né disegni, né fotografie; stando ai «si di­ce» avrebbe dovuto trattarsi di una versione pantografata della 38(H) a doppia azione ma con una qualche sorta di chiusura stabile.

La Mauser HSv (Hahn-Selbstspannung, versuchung = Cane-caricamento automatico,

sperimentale) riprendeva alcune soluzioni mu­tuate dalla HSc ma faceva uso di una chiusu­ra stabile con blocco oscillante che però, a dif­ferenza di quello della Walther, era impernia­to posteriormente ed azionato da profili a cam­me del fusto. Abbastanza inusuale, anche se non originale in assoluto essendo stata adot­tata in precedenza dalle Le Français e dalle Webley & Scott, era la disposizione delle due molle di recupero: alloggiate sui fianchi del­l’impugnatura ed agenti sul carrello a mezzo di apposite leve (una disposizione identica vie­ne oggi usata sulle Beretta 950 e derivate). Ri­prodotta in pochissimi esemplari la HSv fu co­munque oggetto di attività sperimentale fino al 1944 ed è interessante notare come la molto più tarda (anni 70) e parimenti sfortunata HSp abbia adottato una chiusura con blocco oscil­lante azionato da profili a camme.

Nel 1933 i tecnici della BSW (la BSW era la continuazione della Simpson e le autorità naziste la avevano inglobata dal 1935 nella

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Al concorso per la sostituzione della Parabel­lum partecipò anche la BSW con una interes­sante pistola a doppia azione dotata di chiu­sura stabile a sottrazione di gas. La pistola BSW smontata.

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Le prime P. 38 prodotte dalla Walther ebbero il codice 480.

fondazione Wilhelm Gustloff) avevano ottenuto il brevetto per una pistola a doppia azione e chiusura stabile a sottrazione di gas che ven­ne sottoposta alla Wehrmacht nel 1937 dopo aver subito tutta una serie di modifiche ed ag­giornamenti; sia il fabbricante che l’Esercito tedesco manifestarono un interesse abbastan­za tiepido e sono rimasti solo due prototipi a testimonianza di un progetto che poteva ave­re risvolti interessanti. La chiusura della pistola BSW è attuata da un elemento assimilabile ad una leva di secondo genere infulcrata subito davanti alla guardia del grilletto e che arriva fino in prossimità della volata, zona dove si tro­va il foro di presa gas. Circa al termine del ter­zo anteriore della leva è ricavato un risalto che va ad impegnare una sede corrispondente nel carrello. Dopo lo sparo i gas spillati in prossi­mità della volata premono sulla leva abbas­sandola e liberando il carrello.

Eccellenza del disegno, stadio di appron­tamento molto avanzato, notevole esperien­za commerciale e di industrializzazione nello specifico settore, sono i fattori che hanno con­sentito alla Walther Mod. HP di diventare la P. 38 trionfando su progetti più «acerbi» sul piano dell’evoluzione e della industrializzazio­ne ma tecnicamente molto interessanti.

La sanzione formale dell’adozione della P. 38 come pistola di ordinanza è del 26 aprile 1940 e a quella data già si respiravano venti di guerra, venne quindi deciso di far produr­re la pistola anche dalia Mauser e, per non da­re informazioni utili ai futuri nemici, ciascun fabbricante marcò con un particolare codice le pistole di sua produzione destinate alla Wehrmacht. La Walther usò il codice 480 dal luglio al settembre 1940; dopo quel mese il co­dice divenne ac senza indicazione di anno, pratica che durò fino al mese di novembre. A partire dal dicembre 1940 le P. 38 di produ­zione Walther ricevettero il codice ac seguito dagli ultimi due numeri dell’anno di fabbrica­zione (ac40 - ac41...).

Le P.38 di fabbricazione Mauser ricevette­ro il codice byf seguito dagli ultimi due nume­ri dell’anno di fabbricazione dal 1940 al 1944 mentre II codice divenne svw, sempre segui­to dall’anno di fabbricazione, nel 1945. Chi tro­vi delle P. 38 con il codice svw46 non pensi ad un errore: la Mauser continuò a fabbrica­re P. 38 per conto delle truppe di occupazio­ne francesi in conto danni di guerra e tale fab­bricazione durò per tutto il 1946. Si trovano talvolta delle P. 38 con guancette In lamiera imbutita e fosfatata, a quanto mi risulta sono tutte di fabbricazione Mauser e con il codice s v w .

Col progredire della Guerra aumentava sempre più il numero delle pistole necessa­rie, fu quindi deciso di affidare la produzione alla Spreewerke di Spandau, un sobborgo di Berlino, ditta specializzata nella produzione di pezzi d’artiglieria e loro componenti. La pro­duzione Spreewerke iniziò nel 1944 e ricevette il codice cyq senza alcuna indicazione dell’an­no di fabbricazione.

Walther, Mauser e Spreewerke furono i so­li fabbricanti di P. 38 complete ma parti di que­ste pistole vennero prodotte anche da Fabri- que Natlonale (codice Ch), CZ e Brno sotto la

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Abbandonato it codice 480, le pistole Walther furono contraddistinte da quello ac dal settem­bre al novembre 1940 e da quello ac seguito dall’anno di fabbricazione a partire dal dicem­bre 1940.

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Marcate con la sigla byf seguita dall’anno di fabbricazione, le P. 38 prodotte dalla Mauser ricevettero invece la sigla svw (sempre seguita dall’anno di fabbricazione) a partire dal '45 e fino ai '46 (pistole prodotte per il governo fran­cese).

Cyq è il marchio che distingue la P. 38 pro­dotte dalla Spreewerke di Spandau, queste pi­stole non hanno l ’indicazione dell’anno di fab­bricazione.

denominazione di Brun A.G. (codice Dov) e dalla E.N.M. di Niedereinsiedel (codice Jvd).

Organo tecnico della Wehrmacht preposto al controllo qualitativo delle armi e loro parti era lo Heeres Waffenamt i cui punzoni certifi­cavano l’approvazione ufficiale del prodotto. Oltre al classico punzone con aquila sovra­stante svastica usato su tutte le armi tedesche antecedenti al 1940, le P. 38 possono porta­re uno dei seguenti punzoni. Aquila sovrastan­te la cifra 359 per le pistole prodotte dalla Wal­ther ed alcune di quelle di realizzazione Mau­ser; aquila sovrastante il codice alfanumeri­co waA135 oppure solo il numero 135 per le armi Mauser di tutti i tipi; aquila sovrastante il numero 88 è il Waffenamt della Spreewer­ke e lo si trova anche in congiunzione con i codici Ch e Dov sulle parti di pistole fabbrica­te nei territori occupati ed assemblate alla Spreewerke; aquila sovrastante il numero 140 è il codice della Fabrique Nationale, usato su tutte le armi e parti di arma usciti dagli stabi­limenti di Herstal e quindi anche sulle parti di P. 38. Sulle P. 38 sono apparsi anche i pun­zoni di altre FF.AA. e più precisamente quel­le francesi ed i corpi di Polizia della DDR: stella a cinque punte è il punzone di accettazione francese sulle svw 45 e svw 46; la margherita * è invece il punzone Impresso sulle P. 38 messe in servizio nella DDR dopo il 1945.

Dal 1938 al 1945 furono prodotte circa 1.300.000 pistole fra P. 38, Mod. P. 38 e Mod. HP, la grande maggioranza di queste armi an­dò alle FF.AA. e di Polizia tedesche o di Pae­si alleati (è ad es. il caso delle Mod. HP ac­quistate nel 1944 dalla RSI) e solo quantitati­vi abbastanza trascurabili vennero esportati verso Paesi neutrali (Svezia e Portogallo) o venduti sui mercati civili esteri ed interni (in­tendendo per mercati civili interni quelli del Reich e dei Paesi Occupati). Col finire della guerra anche le P. 38 iniziarono, al pari di al­tre armi tedesche, una loro diaspora quali pre­de belliche o come lasciti delle disciolte FF.AA. germaniche alle Polizie ed Eserciti delle nuo­ve entità politiche sorte dallo smembramento del Reich; Austria, Germania Est e varie Poli­zie della RFT rientrano in questa categoria mentre nell’altra troviamo: Jugoslavia, Cina, Francia, Cile, Corea del Nord, Grecia, Indo­nesia, Israele, Libia, Mozambico, Nicaragua,

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Oltre che con la guance in materiale sinteti­co le P. 38 furono prodotte anche con guan­ce in lamiera stampata ed in alluminio fuso, queste ultime sono quelle in fotografia.

L'aquila sovrastante il numero 359 o il codi­ce WaA359 è il WaffenAmt assegnato alle ar­mi Walther.

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Walther Mod. HP destinata a ll’Esercito sve­dese.

La fabbricazione della P. 38 è continuata an­che nell’Immediato dopoguerra ad opera del­la francese Manurhin della quale è qui ripro­dotta una P1.

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La Manurhin ha prodotto anche le varianti suc­cessive della P. 38: P. 38 IV (P1-M) e P. 38 Kurz (P1-K).

Walther P. 38: attenzione; dopo la guerra è stato tolto il punto dalla denominazione della pistola.

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Norvegia, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Viet Nam del Nord. Il lettore non si stupisca dell’inclusione nella lista di Paesi che non han­no avuto niente a che fare con il III Reich, ad essi le pistole furono cedute da quei Paesi che le avevano ricevute in conto danni di guerra o catturate tout-court.

Dopo il 1945 la Walther dovette abbando- nae i suoi stabilimenti di Zella Mehlis in Tu- ringia (zona di occupazione sovietica) e ces­sare ogni produzione militare, tanto che nel­la nuova sede di Ulm venne ripresa la fabbri­cazione di registratori di cassa che costituiva una importante branca di attività già prima del­la guerra. La forzata uscita di scena della Wal­ther non segnò però la fine della P. 38 la cui licenza di produzione venne concessa alla

francese Manurhin insieme a quelle delle PP e PPK e, nel 1951, alla turca Kirikale che ha fabbricato P. 38 per l’esercito ottomano (la stessa Kirikale è la ditta che ha riprodotto sen­za licenza le PP sempre per fornirle all’Eser­cito turco e per la vendita sui mercati civili). Nel 1957 la Walther potè riprendere la fabbri­cazione della P. 38, questa volta col fusto in lega leggera che, con la designazione di P 1 è tuttora l’arma d’ordinanza dell’Esercito della RFT mentre viene commercializzata sui mer­cati civili come P38 (senza il punto dopo la P). Walther e Manurhin hanno venduto le loro pi­stole a diverse polizie e FF.AA., fra queste quelle norvegesi e quelle cilene (armi Walther) mentre fra le polizie è interessante notare che quella di Berlino Ovest è armata con P 38 di fabbricazione Manurhin.

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Esploso della P. 38, notare come il fusto non abbia al suo interno che poche parti della mec­canica.

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3 - LA TECNICA DELLA P. 38

Basta un confronto superficiale tra la P. 38 e le pistole antecedenti o coeve per rendersi conto che la pistola della Walther appartiene ad una nuova generazione e questo non solo per le caratteristiche proprie deH'arma ma an­che per la sua concezione e le sue modalità costruttive. Contrariamente a tutte le altre pi­stole di quel periodo, la P. 38 fu concepita ab

ovo secondo tecniche per la rapida produzio­ne di massa che, nello specifico settore, avreb­be trovato applicazione compiuta su altri mo­delli solo molti anni dopo. Un esempio per tutti è il fusto: contrariamente alie varie Luger, Colt, Mauser e Browning, tutta la catena di scatto della P. 38 è esterna al fusto o passa attra­verso aperture passanti dello stesso, il tutto

Sezione della P. 38 a percussione centrale.

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con ovvio vantaggio sul numero e la comples­sità delle operazioni di lavorazione all’utensi­le che sono in buona parte costituite da fre­sature rettilinee e forature passanti. Col dif­fondersi deN’imbutitura pesante applicata al­le armi corte è sembrato, nei primi anni ’70, che tecniche di fabbricazione del fusto come quelle adottate sulal P. 38 fossero ormai di­venute obsolete; l’affermazione del controllo numerico ha rivalutato notevolmente tutte le metodologie di lavorazione all’utensile e, fer­me restando le migliori proprietà meccaniche dei pezzi forgiati e fresati, si può tranquilla­mente affermare che sotto l’aspetto produtti­vo il fusto della P. 38 è oggi più moderno che mai. Per chi voglia pensare alla microfusione faccio notare che questa metodologia di fab­bricazione trova applicazione vantaggiosa solo su serie quantitativamente importanti (anche se non richiede i grandissimi numeri degli stampaggi), difetta di flessibilità ed offre ma­nufatti con caratteristiche meccaniche inferiori a quelle delle parti forgiate e fresate.

Dopo il brevissimo accenno alle metodiche di fabbricazione vediamo ora insieme quali so­no le parti costituenti una P. 38 e le relative funzioni. Iniziamo dalla chiusura che offre il tratto più caratteristico di tutta l’arma, ne con­diziona l’estetica e, cosa ben più importante, si è rivelata come l’unica chiusura stabile in grado di fare concorrenza a quella Colt Brow­ning.

Come tipologia, quella della P. 38 è una chiusura stabile a corto rinculo e si tratta quin­di di una chiusura che anche in quiete pone un vincolo meccanico tra canna e carrello, vin­colo che viene a cessare dopo un breve trat­to di corsa retrograda del carrello (in questo caso circa 4 mm.). Per porre in essere il vin­colo meccanico si fa ricorso ad un blocchetto oscillante posto tra i due tenoni sotto la can­na (approssimativamente nella zona della ca­mera cartuccia) ed imperniato sul tenone an­teriore; il blocchetto oscillante ha due alette nella parte supero-posteriore e queste alette, ad arma in chiusura, entrano in apposite sedi nei fianchi dei carrello perché la parte poste­riore del blocchetto si sposta verso l’alto sot­to la spinta di un profilo a camme nel fusto. Appena partito il colpo, canna e carrello ini­ziano a rinculare solidali, dopo che hanno per­

corso 4 mm. il pistone alloggiato nel tenone posteriore agisce sul chiavistello abbassando­lo perché la sua faccia posteriore contrasta con la parete che delimita l’alloggio del cari­catore. L’abbassamento del blocchetto provo­ca la fuoriuscita delle alette dalle relative se­di ed il carrello, ora completamente libero, può continuare la sua corsa retrograda mentre la canna si arresta perché l’intero tenone poste­riore contrasta con la parete prima menziona­ta.

La forma segue la funzione e questo è più che mai valido per una pistola come la P. 38 che vede la sua estetica «cattiva» e «grinto­sa» fortemente condizionata dalle caratteristi­che tecnico-operative e dalle scelte fatte per quanto riguarda le modalità di fabbricazione. Per esigenze di spazio non possiamo purtrop­po soffemàrci sul secondo aspetto e dobbia­mo quindi ritornare sul primo prendendo in esame tutto il gruppo di scatto e le sicure.

Derivate concettualmente da quelle della precedente PP, la catena di scatto e le sicure della P. 38 sono state per molti anni quanto di più moderno ci fosse nello specifico setto­re: solo con la P 220 degli anni ’70 si è vista una pistola militare con doppia azione e sicu­ra al percussore mentre le due caratteristiche separate erano state impiegate sulla S&W 39, la prima pistola a doppia azione con destina­zione militare dopo la P. 38, e sulla CZ 52 che fu la prima pistola del dopo guerra ad avere una sicura automatica al percussore. Doppia azione, sicura automatica al percussore, ab- batticane sono oggi caratteristiche che diamo per scontate ma quando apparvero sulla P. 38 erano veramente rivoluzionare e si deve all’ec­cellente curriculum operativo della pistola te­desca se sono state accettate da tutti.

Se si considera solo la catena di scatto ve­ra e propria le componenti principali sono quattro: grilletto, barra di trazione-discon- nettore, leva di scatto, cane. Una normale ca­tena di scatto a singola azione ha più o meno le stesse componenti (a volte di più, se il di­sconnettore è pezzo a se stante), quello che qui cambia radicalmente è però la comples­sità della leva di scatto e del cane. Vista in pianta la leva di scatto appare come un soli­do di forma complessa assimilabile ad un ret­tangolo privato di uno dei lati maggiori; il lato

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Il chiavistello di chiusura della P. 38. Sotto, relazione tra chiavistello di chiusura e carrel­lo.

maggiore rimanente è costituito da un elemen­to rettilineo con superficie superiore conves­sa e superficie inferiore piana ma attraversa­ta trasversalmente da una fresatura a sezio­ne triangolare. La superficie convessa è quella che impegna il cane in doppia azione mentre quella piana trattiene il dente di scatto in sin­gola azione. I «lati minori del rettangolo» so­no i bracci alle cui estremità libere è imper­niata la leva di scatto. Il braccio destro è an­che un elemento multifunzionale, ha forma ap­prossimativamente di un triangolo rettangolo ed è imperniato in corrispondenza dell’ango­lo retto.

Il «lato anteriore», curvo, funge da camma e spinge in avanti la barra di trazione quando il cane viene armato manualmente.

All’Interno del «triangolo» è ricavata una fre­satura di forma vagamente quadrangolare con gli angoli sostituiti da curve ad eccezione di quello antera-superiore nel quale viene rica­vato un dente che, unitamente col dente del­la leva di scatto, forma un arpionismo che vie­ne impegnato premendo il grilletto e spostan­do quindi in avanti la barra di trazione- disconnettore. Il cane assomiglia più a quello di un revolver a doppia azione che a quello di una automatica: manca la monta di sicu­rezza, il dente della singola azione si trova al di sotto del fulcro a cane abbattuto, sulla fac­cia anteriore del cane è imperniata una tavo­la mobile caricata a molla che viene impegnata dalla superficie convessa della leva di scatto durante il tiro in doppia azione. A cane abbat-

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I u

La catena di scatto della P. 38, a sinistra con cane abbassato, a destra con cane armato.

\

Vista inferiore del carrello della P. 38, il piston- cino sulla destra è quello della sicura automa­tica al percussore.

Sotto, fianco destro della P. 38 con cane ab­battuto, si noti la forma della leva di scatto eo il suo rapporto con la barra di trazione- disconnettore.

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Relazione tra leva di scatto e dente della sin­gola azione a cane armato.

tuto, premendo a fondo sul grilletto provoco lo spostamento In avanti della barra di trazio­ne che aggancia, col suo dente posteriore, la leva di scatto e la fa basculare, cosi che la su­perficie convessa dell’elemento posteriore si solleva ed Impegna la tavola del cane arman­dolo; al progredire della pressione sul grillet­to la leva di scatto raggiunge la sua massima elevazione ed il becco della tavola del cane sfugge alla superficie concava provocando l'abbattimento del cane. Se armo manualmen­te ¡I cane, il dente di scatto della singola azio­ne va ad appoggiarsi nella fresatura a sezio­ne triangolare praticata sulla superficie infe­riore dell’elemento posteriore della leva di scatto. La pressione sul grilletto sposta in avanti la barra di trazione che fa così solleva­re la leva di scatto sottraendola al dente del cane. La barra di trazione ha, nel suo terzo posteriore, un ingrossamento che, ad arma in chiusura, coincide con una fresatura nella pa­rete sinistra del carrello; se ingrossamento e fresatura non coincidono perfettamente la bar­

ra di trazione viene spinta verso il basso dal carrello, svincolando così l’arpionismo, svol­gendo quindi la funzione di disconnettore ed inibendo la possibilità che venga fatto partire un colpo premendo II grilletto ad arma non per­fettamente chiusa.

Oltre a quella che Impedisce la partenza del colpo ad arma non in chiusura la P. 38 dispo­ne di altre due sicure, automatica al percus­sore ed abbatticane, e di un indicatore di col­po in camera. La sicura automatica al percus­sore è costituita da un plstoncino dotato, nel suo terzo superiore, di appendice prismatica e parzialmente cavo per ospitare parte di una molla che lo spinge verso il basso. Quando Il pistone è al suo punto morto inferiore l’ap­pendice entra In uno scasso sul fianco del per­cussore ed Impedisce allo stesso ogni movi­mento; col pistonclno al punto morto superiore il percussore è libero di muoversi.

L’innalzamento del pistoncino avviene ad opera di una camma piatta spinta dalla leva di scatto che a sua volta viene messa in mo­vimento dal cane, nel caso della singola azio­ne, o dalla barra di trazione durante lo scatto In doppia azione. Ne consegue che il percus­sore rimarrà libero alla fine della corsa del gril­letto nel tiro In doppia azione e tutte le volte che il cane è completamente armato.

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Percussore di P 38 (diverso nella forma da quello della P. 38) e relativa sicura automati­ca.

Vista inferiore della sicura manuale notare la complessità della forma e le ridotte sezioni re­sistenti. Sotto: una volta inserita, la sicura ma­nuale blocca fisicamente il percussore.

percussore della P. 38 ha una forma piutto­sto complessa che deriva, fra l’altro, dalla pre­senza della sicura automatica e di quella ma­nuale abbatticane. Quest’ultlma è costituita da un barilotto cilindrico inserito trasversalmen­te nel carrello e comandato da una leva late­rale. La leva laterale (e quindi II barilotto del­la sicura) può compiere una rotazione di cir­ca 55°; quando è in posizione sul grilletto, se la leva viene ruotata verso il basso la pistola risulta in sicura con cane abbattuto e percus­sore bloccato dal barilotto oltre che dalla si­cura automatica. La sicura non può cambia­re posizione (a meno che non si agisca sulla

leva laterale) perché Impeditane da un piston- clno Inserito In un canale all’Interno del car­rello e caricato dalla stessa molla che, all’al­tra estremità carica il pistoncino che trattiene l’estrattore.

L’inserimento della sicura blocca fisicamen­te il percussore e causa l’abbattimento del ca­ne perché, ad arma in sicura, il barilotto pre­me su una leva sulla sinistra del fusto, leva che agisce su quella di scatto sollevandola e sottraendola al cane che si abbatte urtando la testa del percussore II quale non può però muoversi perché saldamente bloccato dal ba­rilotto della sicura (non da quella automatica,

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A cane armato entrambe le leve si sollevano, quella di sinistra appoggia sulla leva di scat­to e la spingerà in basso quando sarà inseri­ta la sicura.

disinserita dall’armamento del cane e non reinserita dall’inserimento della sicura manua­le, inserimento che, al contrario, fa alzare an­cora di più la leva di scatto).

Il sistema di sicure della P. 38 è ancora og­gi valido anche se non completamente esen­te da difetti. Il percussore libero a cane arma­to non viene più ritenuto accettabile sulle pi­stole con sicura automatica al percussore di moderna progettazione; quando questo tipo di sicura venne introdotto sulla P. 38 era sem­plicemente futuristico per la sua epoca, non

Particolare delle due leve fulcrate insieme al cane, quella di destra provoca l'innalzamen­to del pistoncino che costituisce la sicura au­tomatica al percussore, quella di sinistra vie­ne spinta in basso inserendo la sicura e va a premere sulla leva di scatto sottraendola al ca­ne.

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ci dimentichiamo poi che le pistole con per­cussore inerziale e senza alcuna sicura auto­matica sono ancora oggi la grande maggio­ranza di quelle in circolazione senza causare inconvenienti degni di nota. Il barilotto della sicura manuale presenta sezioni resistenti ab­bastanza esigue a causa delle numerose fre­sature praticate sullo stesso; nelle normali condizioni di impiego tutto questo non crea al­cun problema ma sussiste però il rischio del­la cristallizzazione del metallo come conse­guenza dei ripetuti impatti causati dall’abbat­timento del cane ogni volta che si inserisce la sicura (il cane picchia sul percussore che è trattenuto dalla sicura e quindi trasmette l'e­nergia deH’ impatto al barilotto). Se il metallo del barilotto si cristallizza può accadere che, inserendo la sicura, l’impatto del cane sia suf­ficiente a provocarne la rottura spingendo in avanti il percussore che, dopo aver fatto esplo­dere il primo colpo, rimane bloccato in quella posizione e fa partire a raffica tutti gli altri colpi del caricatore perché la pistola si comporta co­me un’arma a raffica con percussore fisso e massa battente.

L’inconveniente ora descritto può avere gra­vi conseguenze ma il suo verificarsi risulta ab­

La tacca di mira è trattenuta in sede dall’ele­mento elastico superiore d i chiusura del car­rello.

Due diverse forme delle appendici elastiche dell'elemento di chiusura.

bastanza improbabile se non dopo un lunghis­simo uso e può essere completamente scon­giurato avendo l’accortezza di accompagna­re il cane inserendo la sicura.

Alcuni possessori di P. 38 hanno sperimen­tato un antipatico inconveniente consistente nella «partenza» dell’elemento elastico supe­riore che chiude il carrello; «partenza» in ge­nere accompagnata da quella di varie minu­taglie come estrattore e relativo pistoncino, tacca di mira e sicura del percussore. Que­sto inconveniente può verificarsi per due mo­tivi: rottura di un bossolo con proiezione dei gas all’interno del carrello o indebolimento del­le appendici elastiche che trattengono in se­de il «coperchio» del carrello. Alcuni autori sug­geriscono di flettere in fuori le appendici ela­stiche del «coperchio» ed eventualmente di au­mentare la profondità dei ritegni nel carrello impegnati dalle appendici. Quest’ultima solu­zione rende assai difficoltoso un futuro smon­taggio e per mio conto ho potuto constatare che ogni qualvolta ho incontrato casi di «aper­tura del carrello» le armi in gioco erano alquan­to vecchiotte e la causa si poteva ricondurre ad appendici che avevano perso elasticità e forza se addirittura non presentavano rotture.

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4 - P. 38: L’EVOLUZIONE

Durante ¡I passaggio da Mod. MP a P. 38 ed anche nel corso della produzione, si è as­sistito ad una continua attività sperimentale rivolta sia all’aggiornamento di piccoli parti­colari che alla preparazione di versioni com­pletamente nuove.

Tralasciando tutti quei modelli che della meccanica originale conservavano ben poco (ad es. la pistola in 9 Ultra o la c.d. High Po­wer; no, non è un errore!) penso che delle esperienze prebelliche e del periodo bellico sia interessante ricordare il prototipo della P. 38 rimfire, quello «solid top» che eliminava l’e­

lemento elastico superiore di chiusura del car­rello, i fusti in lega leggera, le versioni solo a singola azione (molte delle quali Mod. HP in .30 Luger, peraltro normalmente disponibile con catena di scatto a doppia azione), le mi­re con i riferimenti colorati e quelle lumine­scenti per il tiro notturno, le versioni .38 Su­per Auto e .45 ACP (approntate allo stadio pro­totipico prima dello scoppio della guerra co­me Mod. HP o Mod. P. 38, non come P. 38). Non corrisponde invece al vero, almeno per quanto mi risulta, tutto il gran parlare che è stato fatto su versioni della P. 38 con canna

Pur con la P. 38 ancora alla serie Zero i tec­nici della Walther continuarono nella speri­mentazione di nuove soluzioni, un esempio è la «High Power» (come la definisce l ’autore di «The P. 38 Pistol») prodotta allo stadio di pro­totipo in epoca incerta ma comunque situabi­le a cavallo dell’inizio della Guerra. La High Power aveva una catena di scatto mutuata da quella della P. 38 mentre la chiusura era di tipo Krnka con canna rotante.

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Prototipo sperimentale prebellico di P. 38 cal. .22 L.R. .

Lato destro della P. 38 con carrello chiuso su­periormente sviluppata come prototipo.

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Dalla fine della Guerra ad oggi, la francese Manurhin ha prodotto su licenza tutti i tipi di P. 38 postbellica, un esempio è questa P1-M ovvero la versione francese della P. 38 IV (o anche P4).

più lunga (si dice 6” 7,5” ed 8” ), a similitudi­ne delle Mod. MP sperimentali con tanto di at­tacco per il calciolo, o con canna cortissima, quest’ultima approntata per la Gestapo.

Col finire della guerra poteva accadere che fosse messa fine alla vita della P. 38 invece fu grazie ai Francesi se questo non accadde. Iniziò proprio il Governo transalpino che, in conto danni di guerra, si fece produrre dalla Mauser P. 38 fino al 1946 ma la continuità nel­la produzione della pistola Walther fu opera della Manurhin di Mulhouse. Quando Herr Walther dovette abbandonare i suoi stabili- menti di Zella Mehlis nella Turingia occupata dai Sovietici, insieme a molti tecnici, ma col corredo di ben pochi disegni e l’assenza di at­trezzature, si trasferì a Ulm dove fondò una nuova Cari Walther che però, a causa di re­strizioni imposte dal Trattato di Pace, non po­tè, al pari di tutte le altre industrie tedesche, riprendere la produzione di armi. Walther po­tè cedere la licenza di fabbricazione delle sue PP, PPK e P. 38 alla Manurhin che ancora og­gi produce queste armi con tutti gli aggiorna­menti succedutisi nel tempo. Mancando la maggioranza dei progetti originali, anche se è presumibile che per le P. 38 si sia potuto ricorrere ai disegni delia Mauser (che era in zona di occupazione francese), si può suppor­re che, con PP, PPK e P. 38 sia stato appli­cato quel processo di «reverse engeneering»

(ricostruzione del progetto partendo da esem­plari già prodotti) già adottato pochi anni pri­ma sulle High Power di produzione Inglis.

Finalmente, nel 1957, con l’adesione della RFT alla NATO, vennero a cadere buona parte dei limiti imposti dal Trattato di Pace e le in­dustrie tedesche poterono iniziare nuovamen­te a produrre armi. Fu in quell’anno che la Walther ricominciò a produrre P. 38 che però cambiarono denominazione divenendo P1, le pistole fornite alla neonata Bundeswehr ed alle Polizie tedesche, e P38 (senza il punto dopo la P) le armi commerciali, A parte alcune dif­ferenze di dettaglio, riscontrabili talvolta an­che tra lotto e lotto di uno stesso modello, le P1-P38 differivano dalle P. 38 per avere il fu­sto in lega invece che di acciaio ma rimane­va un elevato grado di intercambiabilità delle parti tra le armi prodotte fino al 1946 e quelle post ’57. Accanto alla versione in 9 Parabel­lum venne proposta anche quella in 7,65 Pa­rabellum ma la vera novità postbellica furono le P38 in .22 L.R. e le conversioni al rimfire per le centerfire che, nel caso del 9 Parabel­lum, fanno uso di una Einstecklauf calibro .22.

LA P 38 rimfire usa lo stesso fusto della cen­terfire mentre le differenze tra i carrelli sono riconducibili a percussore, estrattore, faccia dell’otturatore, alla presenza di numerose fre­sature d’alleggerimento sul carrello della rim­fire ed all’uso, da parte dello stesso, della so-

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Con l ’adesione della RFT alla NATO (1957) vennero a cadere molti vincoli imposti dal Trat­tato di Pace e la Walther potè iniziare nuova­mente a produrre armi come questa P. 38 cal. 7,65 Parabellum.

La più importante delle varianti post belliche che usano la meccanica P. 38 sostanzialmen­te inalterata è probabilmente la P. 38 cal. .22 L.Ft. .

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la molla di recupero destra lasciando la sini­stra per la canna. Il caricatore .22 non ha nien­te di particolare se non esecuzione eccellen­te, lamiera spessa, fa uso dello stesso fondello dei caricatori centerfire, sul labbro destro è ri­cavato un piccolo risalto che funge da espul­sore. Ovviamente la P38 .22 è una pistola a chiusura labile e quindi la canna non ha il chia­vistello di chiusura, conserva però i due tenoni del tutto identici a quelli della canna centerfl- re con l’esclusione delle lavorazioni relative all’alloggiamento del chiavistello di chiusura In quello anteriore. Misurando le canne cen- terflre e quelle rimfire ci si accorge che la se­conda è più lunga della prima di 7 mm. (132 contro 125) ed ha un risalto sul lato sinistro subito dietro al tenone posteriore. La canna rimfire è fissa invece che ad un grado di libertà come quella centerfire e la maggiore lunghez­za è concentrata nella parte posteriore perché serve per impedire alla canna di muoversi as­sialmente (fornisce anche la rampa per l’ invi­to della cartuccia in camera); la canna rima­ne poi assolutamente ferma senza il minimo gioco assiale perché spinta in avanti dalla mol­

la di recupero sinistra che contrasta col risal­to posto dietro al tenone posteriore sulla sini­stra della canna. La zona intorno al vivo di cu­latta della canna completa in .22 è assoluta- mente identica a quella della Einstecklauf e questo fatto si spiega, oltre che per ragioni di uniformità concettuale, con la constatazione che la canna rimfire completa è in realtà una normale canna centerfire che ha saltato le operazioni relative alla sede del chiavistello, è stata alesata e non rigata ed ha ricevuto una Einstecklauf accoppiata permanentemente. Di fronte alla genialità ed alla semplicità della so­luzione non posso che fare tanto di cappello visto che si sono così coniugate due necessi­tà antitetiche: ¡I massimo delle prestazioni col minimo sforzo economico per ¡I fabbricante che però «ripaga» questo risparmio con una esecuzione superba.

Per oltre dieci anni le P 1-P 38 rimangono In produzione senza modifiche degne di nota poi, nei primi anni ’70 ricevono un inserto di acciaio nel fusto in lega, inserto che funge an­che da camma per sollevare il chiavistello di chiusura quando la pistola torna In batteria.

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Il caricatore della .22 e quello di una cal. 9.

Nell’occasione le P 38 ricevono altre piccole modifiche, alcune delle quali già apportate du­rante la produzione del tipo precedente, così che viene a diminuire ulteriormente l’intercam­biabilità delle parti con le P. 38 come, ad es. nel caso del percussore e della leva di scatto (oltre ad essere di forma leggermente diver­sa questa, sulle P. 38 e le prime P 38 è im­perniata su perni ribattuti mentre sulle P 38 con inserto i perni si estraggono facilmente). Esternamente le P 38 «prima» e «seconda» se­rie si riconoscono a colpo d’occhio perché sul­la seconda serie le mire sono dotate di riporti bianchi per aiutarne l’acquisizione con catti­va illuminazione. È del 1986 la realizzazione di P 38 col fusto in acciaio ma questa ulterio­re versione dovrebbe, almeno per ora, esse­re disponibile solo nel calibro 9 Parabellum; fanno eccezione le armi commemorative ed infatti le P 38 del giubileo importa da Bigna- mi hanno il fusto di acciaio. Le P 38 col fusto in acciaio si possono avere anche con canna da 6” invece dei 5” standard, purtroppo an­che questa variante risulta prodotta solo in 9 Para.

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Nel 1986 cade il centenario della Walther e per commemorarlo viene proposta una versio­ne riccamente incisa della P 38 che, a diffe­renza di quella precedente, ha il fusto in ac­ciaio.

La P 38 con fusto in acciaio viene orrerta an­che in versione «standard» ma con un livello di finitura veramente favoloso.

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Nel 1986 esce dal libro dei sogni e diventa realtà la P. 38 con canna da 6 ” e fusto in ac­ciaio.

La P 38 con canna lunga è uscita dal limbo dei sogni nel 1986 ma dodici anni prima era iniziata la produzione di altre due P 38 con canna diversa da quella standard: si tratta del­le P 38 K (Kurz) e P 38 IV (conosciuta anche come Mod. P 4), con canna da 2,8” la prima e da 4,3” la seconda. Quello che differenzia queste pistole dalle normali P 38 seconda se­rie non è solo la lunghezza di canna: esami­nando il carrello ci si accorge che questo è completamente chiuso e manca quindi il co­perchio elastico superiore. Continuando nel­l’esame risultano evidenti altre peculiarità: tac­ca di mira registrabile lateralmente, mancan­za dell’avvisatore di colpo in camera, sicura

manuale sostituita da un semplice a b b a tta ­ne e, per finire, Il cane ha sul corpo una stra­na cavità ed è dotato di una piccola cresta che non tende ad impigliarsi da tutte le parti co­me quella del cane «normale». Cavità sul cor­po del cane e presenza di un semplice abbat­t a n e al posto della sicura sono i sintomi esterni di un cambiamento interno che ha In­teressato tutto il sistema di sicure dell’arma. Il percussore è oscillante e, se il grilletto non viene premuto completamente, la testa del percussore resta in posizione abbassata sot­to la spinta di una molla. Con la testa In posi­zione abbassata, un dente ricavato sul corpo del percussore impegna una corrispondente sede nel carrello e quindi il percussore non si può spostare in avanti; tanto più che non può essere raggiunto dal cane perché la sua testa coincide con una cavità nel corpo del ca­ne stesso. A cane armato la situazione non muta e solo quando il grilletto è alla fine della sua corsa retrograda (sla in singola che in dop­pia azione) un sistema di leve fa sollevare la testa del percussore che può cosi ricevere

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È sempre usando il fusto in acciaio che viene realizzata la P 38 del giubileo importata in Ita­lia nel calibro 7,65 Parabellum.

Nel 1974 si affianca alla P. 38 la P. 38 IV (o P4) che sfrutta un sistema di sicure comple­tamente diverso e che sarà poi ripreso su P5 e P88.

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Sfruttando la stessa meccanica della P4, la Walther propone la P. 38 K (Kurz) con canna da 2,8” ; anche questa P. 38 è stata riprodot­ta su licenza dalla Manurhin.

l’ impatto del cane mentre II percussore si può muovere perché il suo dente è uscito dalla se­de. Col cane armato ne posso provocare l’ab­battimento in completa sicurezza agendo sulla leva abbatticane posta dove prima stava la normale sicura manuale. La caduta del cane

si arresta contro il carrello e tutta l’operazio­ne avviene in perfetta sicurezza poiché il per­cussore resta sempre bloccato e la sua testa coincide con la cavità sul cane.

Con la P 38 K e P 38 IV finisce la storia del­l’evoluzione della P. 38 ed inizia il capitolo P 5, pistola che utilizza un sistema di sicure mu­tuato da quello della P 38 IV ed è per il resto una ulteriore riuscita interpretazione dei con­cetti che stanno alla base della famiglia P. 38. Famiglia a cui la P 5 appartiene a pieno tito­lo, viene trattata separatamente solo per non allungare a dismisura questo capitolo.

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Walther P5: questa pistola è figlia diretta del­la P. 3 8 IV e si potrebbe quasi considerare una ulteriore evoluzione del modello originale.

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5 - LA P. 5

Fino all’inizio degli anni 70 le polizie dei vari Ländern hanno fatto uso di pistole di piccolo calibro (quasi tutte PP e PPK in 7,65 Brow­ning) e solo le Polizie federali (Bundesgrenz- shutz e Bereitschaftpolizei) disponevano di pi­stole in 9 Parabellum (in maggioranza P 1/P 38). La recrudescenza della criminalità e la strage di Monaco ad opera di terroristi pale­stinesi misero in moto un vasto programma di aggiornamento che comprendeva anche l’a­dozione di nuove armi corte per i tutori del­l’ordine, armi che dovevano essere scelte In base ad un programma di valutazione prepa­rato dal Governo della RFT.

Riassumendo in breve, per le nuove pisto­le di ordinanza erano richiesti: porto sicuro in condizioni di immediata disponibilità operati­va (colpo in camera), assenza di sicure ma­nuali, impiego senza inconvenienti anche da parte di mancini, vita minima di almeno 10.000 colpi, calibro 9 Parabellum con caricatore da almeno 8 colpi, lunghezza max. mm 180, al­tezza max. mm 130, spessore max. mm 34, peso max. kg 1.

Quattro diversi concorrenti (Walther, SIG- Sauer, Heckler & Koch, Mauser) presentaro­no altrettanti modelli di pistola, tutti a doppia azione con eccezione del modello HK dotato di un originale percussore lanciato armato per il primo colpo dalla pressione su una leva pre­sente sul davanti dell’impugnatura, leva sul­la quale la pressione deve continuare se vo­gliamo che il carrello armi il percussore per i colpi successivi; abbandonando la pressio­ne sulla leva si disarma istantaneamente il per­cussore.

La pistola presentata dall HK aveva anche

un altra peculiarità: sfruttava i gas spillati dalla canna per attuare un ritardo di apertura. Tut­te le altre armi usavano una chiusura stabile e corto rinculo: di tipo Browning la SIG-Sauer, con chiavistello oscillante Walther e Mauser. Mentre resta sconosciuta la denominazione prevista dalla Walther per la sua pistola, SIG- Sauer aveva battezzato P 225 la loro, Mau­ser, ricollegandosi alle sue tradizioni, aveva invece scelto il nome HSp mentre HK quello PSP.

Subito dopo l’inizio dei tests la HSp venne ritirata dal fabbricante mentre gli altri modelli superarono le prove previste e ricevettero l’im­primatur ufficiale che ne consentiva l’adozio­ne da parte delle varie Polizie; imprimatur che comportava una denominazione ufficiale: P 5 per la Walther, P 6 per la SIG-Sauer, P 7 per la HK. Walther ha poi commercializzato col no­me P 5 la sua pistola anche sui mercati civili di tutto il mondo (per quanto riguarda le ado­zioni più o meno «ufficiali», la P 5 è stata adot­tata da alcuni organi di Polizia tedeschi, fra questi le Polizie dei Ländern della Renania Pa­latinato e del Baden-Württemberg, e dalle Po­lizie dei Paesi Bassi).

Anche se pleonastico è interessante nota­re come sia possibile fare dei curiosi paralleli tra il programma per le polizie della RFT e quello della Wehrmacht nei 1938. Identico è il numero dei fabbricanti, tre dei quali sono gli stessi mentre quello nuovo (HK) presenta, a similitudine del suo lontano predecessore (BSW) una pistola che sfrutta per la chiusura i gas della combustione (attenzione però: quel­la della BSW era una chiusura stabile a sot­trazione di gas, quello della HK è un ritardo

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Il confronto tra P5 e P.38 mette in evidenza la maggior compattezza della prima.

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La canna dell P5 e quella della P. 38.

d’apertura attuato a mezzo dei gas spillati dal­la canna).

Mauser e Walther presentarono, negli anni ’30 e negli anni 70, pistole con chiavistello oscillante: comandato da camma e da piston- cino quello della Walther, comandato da due camme quello delle Mauser. La Mauser ven­ne sconfitta tutte e due le volte eppure i suoi progetti erano teoricamente molto validi.

Torniamo ora all’oggetto di queste righe e cioè la P 5.

Questa pistola si può considerare come una filiazione della P 38 IV dalla quale mutua la

catena di scatto, con l’unica differenza della leva abbatticane non più alloggiata sul fian­co sinistro del carrello ma su quello sinistro del fusto ed integrata in un unico comando con la leva dell’hold-open. A carrello in apertura, spingendo in basso il comando svincoliamo il carrello (il vincolo in apertura lo si ottiene con un caricatore vuoto); col carrello chiuso ed il cane armato ne provochiamo l’abbatti­mento agendo sul solito comando.

La chiusura della P 5 sfrutta lo stesso prin­cipio del chiavistello oscillante già impiegato sulla P 38; le differenze sono più formali che

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38 o 5 5

La catena di scatto delta P5 con cane a ripo­so.

Col cane armato il percussore della P5 è an­cora bloccato e disassato.

Solo col grilletto a fondo corsa il percussore della P5 è sbloccato ed allineato col cane.

sostanziali e risultano dettate dall’esigenza di compattlzzare al massimo la pistola pur cer­cando di avere linee più filanti della P 38K. In­fatti, contrariamente a quest’ultima, la P 5 non è semplicemente una P 38 con la canna cor­ta, bensì una pistola concepita ab ovo per ri­durre al minimo pesi ed ingombri (è la più leg­gera tra le pistole 9 Parabellum adottate dal­

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le polizie tedesche negli anni 70 mentre co­me ingombro solo la P 7 fa un poco meglio pesando però quasi due etti di più). Pur es­sendo una pistola nata per uso di polizia, la P 5 è arma che si porta molto bene anche sot­to gli abiti civili e questo non solo per pesi ed ingombri contenuti ma anche perché in sede di progetto si è cercato di contenere al mas­simo l’indice di impigliamento e di ridurre od eliminare tutti quei particolari che possono tra­dire la presenza di una pistola sotto gli abiti. Per esempio, l’elsa risulta più corta ed arro­tondata rispetto alla P 38 ma questa differen­za non dà alcun fastidio impugnando l’arma o sparando. Un altro esempio di intelligente progettazione è il caricatore; praticamente identico a quello della P 38 è trattenuto nella sua sede con un ritegno inferiore a bilancere assimilabile a quello usato sull’arma primige­nia ma che invece di trattenere il caricatore dal di sotto, entra dentro una finestrella rica­vata nella parte inferiore: in questo modo, pur mantenendo un caricatore da 8 colpi ed un ri­tegno inferiore, è stato possibile ridurre ulte­riormente l’altezza totale della pistola e si è eliminata una ulteriore possibilità di impiglia­mento negli abiti.

In effetti, tutti gli accorgimenti adottati per facilitare il porto non hanno inficiato maneg­gevolezza e prestazioni dell’arma che sotto l’a­

spetto operativo si colloca ai vertici della sua categoria.

Sicura e comoda da portare, la P 5 è, nella tradizione Walther, un’arma molto ben proget­tata e costruita, con un elevato livello di fini- tura e parimenti elevato livello di resa balisti­ca (sia sotto il profilo delle velocità che delle rosate ottenibili; da notare, a questo proposi­to, la presenza-di una tacca di mira regolabi­le in derivazione e del trigger stop). Dolce al­lo sparo, più che adeguata per il puntamento istintivo, di funzionamento impeccabile, ben controllabile nel tiro rapido (ovviamente que­sti giudizi devono essere commisurati a pesi e dimensioni della pistola), comoda per le ma­ni di più varia taglia, la P 5 è arma particolar­mente indicata per il porto e possiede in som­mo grado tutte quelle caratteristiche proprie delle migliori armi da difesa.

Per niente affaticante nell’uso e capace di fornire rosate di tutto rispetto, la «piccola» Wal­ther a chiusura stabile è anche un arma di­vertente da usare, e questo è un aspetto molto più importante di quanto non possa apparire a prima vista: può essere usata quale «attrezzo da svago» ed invogliando il possessore all’u­so facilita una maggiore confidenza con l’og­getto e nelle proprie capacità; confidenza che può risultare di importanza «vitale» nel caso, Dio non voglia, che la P 5 debba essere usa­ta come arma da difesa.

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Lato sinistro e destro della Walther P. 88, una pistola che, oltre alla tipica chiusura con bloc­co oscillante, abbandona il canoni estetici tra­dizionali delle Walther a chiusura stabile.

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6 - LA P 88

La chiusura geometrica a corto rinculo con blocco oscillante è l’unica chiusura stabile di­versa da quelle di tipo Browning ad avere una sua reale validità non confinata ad armi corte molto particolari e costituisce anzi la sola ve­ra alternativa alle chiusure a corto rinculo con canna oscillante, rispetto alle quali può van­tare la canna con un unico grado di libertà in­vece che con due gradi di libertà.

Walther è sinonimo di chiusura geometrica a blocco oscillante, chiusura che, nonostan­te le numerose sperimentazioni su soluzioni di altro tipo, è sempre stata usata sulle pisto­le con chiusura stabile proposte dalla ditta te­desca e ne è divenuta uno dei tratti caratteri­stici. Inoltre non ci dimentichiamo che questa chiusura ha sempre fornito ottimi risultati, ri­sultati che sono sicuramente una delle cau­se del successo ottenuto da P. 38 e derivate. Non può quindi che destare sorpresa il fatto

che l’ultima pistola prodotta dalla Walther sia dotata di una chiusura stabile a corto rinculo con canna oscillante. Questa pistola è la P 88, arma che rompe radicalmente con alcune del­le caratteristiche tecniche ed estetiche gene­ralmente associate al nome Walther ma de­nuncia comunque la sua paternità. Questo non tanto per la presenza di alcune soluzioni tecniche già presenti sulla P 5 quanto perché conserva due tratti caratteristici propri di tut­ta la produzione Walther. Alla Walther sono capaci di fare del nuovo in assoluto e lo han­no dimostrato più volte, la loro produzione è però generalmente caratterizzata dall’adozio­ne di soluzioni già consolidate ma portate al massimo grado di affinamento concettuale e tecnico. L’altro «filo rosso» che lega idealmen­te tutte le armi Walther è quello di un esecu­zione di alto livello improntata per la maggior parte su pezzi forgiati e macchinati.

La canna della P. 38 e quella della P. 88.

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Vista inferiore dei carrelli P. 88 e P. 38, an­che se entrambi hanno il classico pistoncino che comanda lo sblocco della sicura al per­cussore il sistema adottato dalla P. 88 (mu­tuato dalla P5 e quindi dalla P. 38 IV) è pro­fondamente diverso da quello della P. 38 ed anche molto più efficiente e sicuro.

Il caricatore della P. 38 tiene 8 colpi, quello della P. 88 15. A sinistra, particolare della te­sta del percussore in posizione di quiete: que­sta posizione viene abbandonata solo quan­do il grilletto è giunto a fondo corsa.

Al pari di altre «wonder nines» (bifilari cali­bro 9 a doppia azione) la P 88 fa uso di una chiusura stabile derivata concettualmente da quella della Browning High Power modificata con l’abolizione del risalti superiori della can­na sostituiti da una spalla (in corrispondenza della camera di scoppio) che contrasta con la parte anteriore della finestra di espulsione. Do­po la partenza del colpo, canne e carrello Ini­

ziano a rinculare insieme vincolati fra loro dal­l’interferenza tra spalla sulla camera e fine­stra di espulsione. Percorso un certo tratto, il piano inclinato posto sotto la canna davanti alla rampa di alimentazione incontra una tra­versa nel fusto che funge da camma e la im­pegna spostando in basso la culatta ed arre­stando il moto retrogrado della canna. Lo spo­stamento in basso della culatta provoca l’ab-

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Sul cane della P. 88 è ricavata una cavità che, se il grilletto non è premuto a fondo corsa, coincide con la testa del percussore.

bassamente della spalla che libera la finestra di espulsione svincolando II carrello che può così continuare il suo moto retrogrado estraen­do ed espellendo il bossolo e comprimendo la molla di recupero. L’adozione della chiusura di tipo Browning modificata ha portato come conseguenza l’abbandono del carrello aper­to In favore di uno chiuso che, con l’elimina­zione delle due molle di recupero simmetriche sostituite da una sola con relativo guidamolla posta sotto la canna, ha lo spessore più con­tenuto rispetto a quello di qualsiasi altra ar­ma di pari categoria.

Se la chiusura è Inusitata su una Walther, non altrettanto si può dire della catena di scat- Sezione della P 88.

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a cane armato.

Solo a grilletto premuto il percussore è Ubero ed allineato con la faccia del cane (illustrazio­ne superiore)', anche se si mantiene la pres­sione sul grilletto dopo la partenza del colpo la barra di trazione funge da disconnettore ed impedisce la raffice.

Se, a cane armato, si agisce su una delle le­ve abbatticene si sottrae la leva di scatto al cane che cade e si arresta, in assoluta sicu­rezza, quando la leva di scatto intercetta la monta di sicurezza.

to che risulta concettualmente mutuata da quella della P 5 anche ma può vantare una più accentuata semplicità nel disegno delle singole parti. Rispetto alla P. 38 ed alle altre Walther «tradizionali» il passo in avanti è no­tevole, sia sul piano concettuale che su quel­lo della qualità degli scatti e del loro peso, della durata e della robustezza. La complicata le­va di scatto a «ferro di cavallo» è stata sosti­tuita da un semplice leva imperniata nel fu­sto e caricata a molla. A cane armato la leva impegna la monta sul cane sotto la spinta della sua molla; premendo il grilletto viene portata In avanti la barra di trazione-disconnettore che, con un suo dente posteriore sottrae la leva al cane che si abbatte. In doppia azione è la bar­ra di trazione che col suo dente posteriore ag­gancia il cane in una apposita tacca e lo sol­leva fino a farselo sfuggire; durante tutta l’o­perazione il dente della barra di trazione rima­ne interposto tra cane e leva di scatto. Al pari di quanto avviene su altre pistole la barra di trazione funge anche da disconnettore perché una sua appendice superiore coincide, ad ar­ma in chiusura, con una sede nel fianco de­stro del carrello, quando questo non è in chiu­sura l’appendice della barra contrasta col car­rello e viene spinta in basso interrompendo il contatto col cane. Questo sistema, applicato per la prima volta sulla P. 38, è oggi un clas­sico delle pistole a D.A. e previene la parten­za di colpi, per pressione sul grilletto, con ar­ma non in chiusura, funge inoltre da discon­nettore impedendo il tiro a raffica. Quando il grilletto è premuto a fondo corsa (e solo in que­sto caso) la barra di trazione agisce su una leva che fa sollevare il percussore basculan­te (altra caratteristica mutuata dalla P 5) svin­colandolo dall’arresto nel carrello ed allinean­dolo col cane (a percussore spinto in basso, la testa coincide con una sede nel corpo del cane). A cane armato basta una pressione sul­la leva abbatticane perché il cane sia disar­mato In tutta sicurezza: il percussore resta sempre disassato e bloccato mentre il cane è accompagnato ad appoggiarsi sulla leva di scatto che impegna la monta di sicurezza. P 88 e P 5 sono le sole pistole in cui la monta di sicurezza coincida con la posizione di riposo del cane; se invece che con la leva abbatti­cane disarmo il cane premendo il grilletto e

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lo accompagno a fondo corsa, il cane si arre­sta in posizione più avanzata (a contatto del carrello) perché non intercettato dalla leva di scatto.

Una caratteristica che compare su tutte le Walther progettate dal 74 a oggi è la tacca di mira registrabile in derivazione (ogni scatto corrisponde ad uno spostamento di mm. 22 a mm. 25), tacca che nel caso della P 88 è dotate di due pallini di riferimento bianchi che, insieme ad un terzo pallino sul mirino, aiuta­no nell’acquisizione rapida con cattiva illumi­nazione. Anche in questo caso si tratta di una novità per una pistola Walther visto che fino ad oggi le pistole di Ulm usavano riferimenti di tipo Von Stavenhgen (quadrato sulla tac­ca, pallino sul mirino). Da notare che il mirino della P 88 è innestato a coda di rondine sul carrello e può essere fornito di varie altezze per regolare lo spostamento in verticale del punto di impatto.

A similitudine di quanto già fatto sulla P 5, abbatticane ed hold-open sono riuniti in un unico comando bifunzionale posto sul fusto. Rispetto alla P 5 ci sono però due importanti

differenze: il comando bifunzionale serve an­che per bloccare manualmente il carrello in apertura e, oltre ad essere presente sul fian­co sinistro, lo si trova riportato specularmen­te su quello destro. Infatti con la P 88 la Wal­ther ha voluto tenere ben presenti i mancini e la P 88 è stata la prima pistola al mondo ad avere i comandi abbatticane (attenzione, non sicura abbatticane ma solo abbatticane) du­plicati sui due fianchi ed il doppio pulsante di sgancio del caricatore (un pulsante a destra ed uno a sinistra) invece dell’ormai classico comando invertibile. Purtroppo non si ha nien­te per niente e cosi una pistola con un carrel­lo piacevolmente sottile (il minimo spessore del carrello è un parametro importantissimo ai fini del porto in fondina inside) vede il suo spessore aumentare a dismisura proprio nel­la zona dietro alla guardia del grilletto con con­seguente squilibrio estetico se osserviamo l’ar­ma dall’alto, e forzato aumento dello spesso­re dell’impugnatura. In ogni modo i comandi sono ben posizionati e facilmente azionabili senza sforzo da parte di mani della più varia taglia. L’impugnatura è decisamente buona,

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Particolare del lato sinistro con la leva del chia­vistello di smontagio ruotata verso il basso. Sul lato sinistro dell’arma è presente un coman­do assente su quello destro: il pulsante per bloccare manualmente in apertura il carrello.

per una bifilare, anche per mani di piccola ta­glia, e sarebbe veramente interessante vedere come sarebbe se l’arma disponesse di un solo comando abbatticane montato sul carrello.

L’ipotesi di una P 88 dotata solo di una pic­cola leva abbatticane sul carrello potrà forse far arricciare il naso ai «combat shooters», ma per chi porta la pistola sotto gli abiti potrebbe essere una cosa interessante; tanto più che la P 88 è già allo stato attuale una delle più compatte fra le bifilari non compattizzate e le supera tutte per quanto riguarda lo spessore del carrello. Uno sguardo alla sezione della P 88 ci permette di constatare che questa pi­stola sarebbe candidata ideale ad una opera­zione di «abbassamento»; già ora non è una torre (mm. 142) e potrebbe essere facilmente abbassata di alcuni cm. sacrificando due o tre

colpi nel caricatore. Fra sicura sul carrello e calcio accorciato verrebbe fuori una vera chic­ca; purtroppo non credo che alla Walther sia­no soverchiamente interessati ad una simile idea visto che hanno già in catalogo una fra le migliori 9 «da portare» del Mondo: la P 5. Tanto più che questa pistola ha da poco su­bito alcune modifiche volte a diminuirne ulte­riormente gli ingombri e ad aumentarne la co­modità di uso.

Anche se non potremo averla in versione compattizzata la P 88 resta una delle migliori esponenti della sua categoria: stabile al tiro, adeguatamente precisa, sicura col colpo in canna, affidabile, pronta all’uso, dotata di ele­vato volume di fuoco e caratterizzata da pesi ed ingombri non certo eccessivi per il tipo di arma. Avrà sicuramente un futuro quale arma militare, di polizia e per difesa personale; es­sendo ora prodotta anche in 9 x 21 è disponi­bile nel nostro Paese e si comincia a vedere con una certa regolarità nei poligoni. Insieme alle «sorelle» P 38 (disponibile in 7,65 Para­bellum ed anche .22, sia come conversione che come pistola intera), P 5, PP e PPK, for­ma un gruppo di armi capaci di soddisfare ogni ipotizzabile esigenza ed aventi come comu­ne denominatore l’alta qualità e le prestazio­ni elevate.

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7 - P 38/P 5/P 88: DATI TECNICI

A - WALTHER P 38

Tipo: Pistola semiautomatica con chiusura stabile e corto rinculo e chiavistello oscillan­te; catena di scatto a singola e doppia azio­ne, sicura manuale abbatticane e sicura au­tomatica al percussore mediante bloccaggio fisico dello stesso.

Calibro: 9 Parabellum, 7,65 Parabellum, .22 L.R. .

Dimensioni: mm. 216 x 137 x 37.Canna: mm. 125 con 6 righe destrorse (per

i calibri centerfire).Fusto: in lega leggera; in lega leggera con

inserto di acciaio ed in acciaio a partire dal 1986 ma solo per modelli 9 Parabellum o com­memorativi.

ca non è in alcun modo registrabile mentre si può intervenire sul mirino che è innestato a coda di rondine.

B - WALTHER P 5

Tipo: Pistola semiautomatica con chiusura stabile e corto rinculo e chiavistello oscillan­te; catena di scatto a singola e doppia azio­ne, abbatticane (non funge da sicura manua­le ma ritorna automaticamente in posizione di quiete dopo che il cane è stato abbattuto) e sicura automatica attuata con percussore oscillante.

Calibro: 9 Parabellum, 9 x 21 IMI, 7,65 Pa­rabellum.

A - WALTHER P 38

Caricatore: monofilare da 8 colpi per tutte e tre le cartucce impiegate.

Peso: ad arma scarica gr. 790 versione con fusto in lega e gr. 950 versione con fusto in acciaio; ad arma carica con otto colpi calibro 9 Pb. i pesi salgono a gr. 890 e 1.050 rispetti­vamente.

Finitura: brunitura di tutte le parti in acciaio; anodizzazione per il fusto; guancette in poli­mero o, a richiesta, in legno.

Mire: Tacca quadrata, mirino a rampa, ri­porti bianchi di tipo Von Stavenhagen, latac-

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WALTHER P 5

Dimensioni: mm. 180 x 129 x 32.Canna: mm. 90 con sei righe destrorse.Fusto: in lega leggera con inserto di acciaio.Caricatore: monofilare da 8 colpi.Peso: ad arma scarica gr. 795 che diventa­

no circa 895 con 8 colpi di 9 Pb o 9 x 21.Finitura: brunitura di tutte le parti in acciaio;

anodizzazione per il fusto; guancette in poli­mero ad alta resistenza o, a richiesta, in le­gno.

Mire: mirino a rampa integrale col carrello, tacca di mira quadrata innestata a coda di ron­dine e registrabile in derivazione, riporti bian­chi di tipo Von Stavenhagen.

WALTHER P 88

C - WALTHER P 88

Tipo: Pistola semiautomatica con chiusura stabile a corto rinculo e canna oscillante; ab­batticene (non funge da sicura manuale ma ritorna automaticamente in posizione di quiete dopo che il cane è stato abbattuto) e sicura automatica attuata con percussore oscillan­te.

Calibro: 9 Parabellum e 9 x 21 IMI.Dimensioni: mm. 187 x 142 x 38.Canna: mm. 102 con righe destrorse.Fusto: in lega leggera.Caricatore: bifilare da 15 colpi.Peso: gr. 895 ad arma scarica che diventa­

no circa 1.085 con 15 colpi di 9 Parabellum o 9 x 21.

Finitura: brunitura di tutte le parti in acciaio ad eccezione della canna; fusto anodizzato; guancette in polimero ad alta resistenza.

Mire: mirino a rampa innestato a coda di rondine sul carrello, tacca quadrata innesta­ta a coda di rondine e regolabile in derivazio­ne,due pallini bianchi sulla tacca ed uno sul mirino come ausilii al tiro in cattive condizio­ni di luce; è possibile disporre di mirini di va­ria altezza per variazioni in verticale del pun­to di impatto.

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SMONTAGGIO

ISTRUZIONI RELATIVE AL MODELLO DI PRODUZIONE ATTUALE

PER LE DIFFERENZE CON I MODELLI ANTECEDENTI VEDERE LE NOTE

— Togliere il caricatore dall’arma ed accer­tarsi che non ci sia colpo in camera.

— Appoggiare la volata dell’arma contro una superficie dura ma non abrasiva e pre­mere a fondo. Quando canna e carrello si so­no arrestati girare II chiavistello di smontag­gio (foto 2 - vedere nota n. 1)

— Far scorrere il carrello sulle guide ed estrarlo dalle stesse (foto 3). Il cane deve es­sere disarmato altrimenti II carrello non può scorrere oltre II punto in cui Incontra la leva che comanda l’abbattimento del cane. Non abbattere mal il cane senza carrello per non danneggiare II fusto.

— Premere il pistonclno di sblocco sotto la canna ed estrarre la stessa dal carrello (foto 4 e 5), si è così completato lo smontaggio da campo (foto 6).

— Girare II blocco di chiusura fino a fargli sorpassare la posizione che può raggiunge­re per gravità e rimuoverlo dalla canna (foto 7). La molla di ritegno del blocco può essere rimossa Introducendo un cacciaperni da mm.

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2 attraverso l’anello formato dalla molla stes­sa e tirando verso II tenone che alloggia il pi- stonclno (foto 8). Il plstoncino è bloccato da una punzonatura e non si può rimuovere a me­no di forare il tenone in corrispondenza della punzonatura e di sostituire la stessa con una spina. Questo lavoro è meglio farlo eseguire da un buon armaiolo (nota 4).

— Con un cacciavite di dimensioni appro­priate forzare verso l’alto l’esteremltà del car­rello e far scorrere il coperchio stesso verso l’avantl (foto 9 e 10 - vedere nota n. 2).

— La rimozione della parte superiore del carrello libera la tacca di mira che trattiene in sito il blocco del percussore con relativa mol­la (foto 11 e 12).

— Con un cacciaperni spingere dal basso Il blocco del percussore ed il ritegno del per­cussore stesso (foto 13).

— Usando un piccolo cacciavite sollevare il lobo della molla del percussore che trattie­

ne l’ Indicatore di arma carica (foto 14), que­sto può ora essere rimosso sollevandone la parte anteriore e tirandola In avanti (foto 15). Inserita la sicura si può estrarre il percussore tirandolo dal dietro (foto 16).

— Mettendo la sicura in posizione interme­dia tra F e S è possibile estrarla tirandola ver­so sinistra. Se non viene, rovesciare il carrel­lo e far uscire la sicura con l'aiuto di un pic­colo cacciavite (vedere nota 3).

— Con la punta di un cacciaperni spinge­re l’estrattore verso l’esterno pigiando sulla parte che protrude nell’Interno del carrello (fo­to 17 e 18 - vedere nota 3).

— Tolto II perno che premeva sull’estrat­tore far uscire la molla dell’estrattore aiutan­dosi con il solito cacciaperni (foto 19 - vedere nota 3).

— Il carrello è ora smontato in tutte le sue componenti (foto 20).

— Usando un cacciavite delle giuste dl-

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mensioni togliere le viti delle guancette (foto 21).

— Pigiare verso l’alto II fermo del carica­tore (foto 22) e farlo uscire dalla sede tirando verso l’esterno II guldamolla del cane (foto 23). La rimozione del fermo del caricatore libera guidamolla e molla del cane.

— Usando un cacciavite sottile far uscire dalla sua sede (foto 24) il braccio della molla che comprime la barra che trasmette la tra­zione esercitata dal grilletto e rimuovere la molla dal suo supporto. Sempre con l’aiuto del solito cacciavite alzare l’anello posteriore della molla del grilletto e sganciarla dalla barra (fo­to 25). Sganciare la parte posteriore della bar­ra dalla leva di scatto (foto 30 S) e rimuovere la barra dal castello (foto 26).

— Alzare il braccio posteriore della molla che carica hold-open e leva di scatto (foto 27) quindi alzare la molla e tirarla verso il dietro facendone così uscire il braccio anteriore dalla sede dell’hold-open. Far uscire l’hold-open ti­randolo verso sinistra; la sua rimozione libe­ra il grilletto con relativa molla e boccola del­la stessa. Il grilletto si estrae dall’alto. Per li­berare la molla basta far uscire la boccola dal­la sede.

— Con un cacciapeni appropriato far uscire I perni del cane e quello della leva di scatto (foto 28 e 29).

— Quando è stato rimosso il cane (tirandolo verso l’alto) si sono liberate anche la leva di abbattimento del cane che è situata sulla si­nistra del fusto (30 HD) e la leva che coman­da Il blocco del percussore (30 PL). L’espul­sore si libera togliendo il perno della leva di scatto. A questo punto sono rimasti sul fusto solo molle e guidamolle. Usando un caccia­vite di piccole dimensioni se ne inserisce la lama dopo alcune spire dall’inizio della molla e poi si comprime la molla stessa fino a quan­do non sla libero il guidamolla, allora si può estrarre II guldamolla stesso prima sollevan­dolo leggermente e tirandolo poi in avanti (foto 31).

Nel rimontare l’arma, oltre ad Invertire le procedure descritte è bene seguire alcuni ac­corgimenti:

a) il coperchio della parte superiore del car­rello viene normalmente rimesso a posto con la semplice pressione manuale, qualora ciò

non sia possibile metterlo nella posizione in­dicata nella foto 10 e percuoterlo leggermen­te con un martello con testa di nylon, percus­sione e verso della stessa sono Indicati dalla lettera P sempre nella foto 10.

b) Quando si rimonta la barra di trasmis­sione della trazione esercitata dal grilletto ri­cordarsi di alzare l’anello posteriore della mol­la del grilletto e riabbassandolo fare attenzio­ne che entri nella gola ricavata sul perno che fa pare della barra.

c) Reinserendo il carrello sulle guide fare attenzione che il cane sia disarmato e che il blocco di chiusura collegante canna e carrel­lo sia in posizione tale da non contrastare con­tro lo spigolo del fusto. L’espulsore deve es­sere basculato in avanti in modo da scompa­rire nel vano di alloggio del caricatore e non contrastare con il martello, quando il carrello è reinserito sulle guide, farlo scorrere fino a poterlo bloccare con l’hold-open e poi rimet­tere in posizione di chiusura (parallelo al fu­sto) il chiavistello di smontaggio.

d) Non tutte le parti delle P 38 di produzio­ne attuale sono intercambiabili con le analo­ghe degli esemplari precedenti, quindi, ordi­nando un pezzo di ricambio, specificare sem­pre l’epoca di costruzione dell’arma.

Caricatore: Il caricatore è chiuso inferior­mente da una piastrina che scorre su guide ricavate per piegatura della lamiera delle pa­reti. La piastrina è trattenuta da un ritegno in­terno al caricatore e caricato dalla molla del­l’elevatore. Il ritegno è dotato di un risalto ci­lindrico che si impegna in un foro ricavato nel centro della piastrina.

Per smontare II caricatore si inserisce nel foro un cacclaperni (preferibilmente di ottone o di altro materiale che non righi l’acciaio) e si preme fino a far uscire il risalto dal foro stes­so. Facendo leva con il cacclaperni si fa scor­rere la piastrina verso Lavanti (foto 33). Si com­pleta l’operazione manualmente facendo at­tenzione a trattenere molla e ritegno con una mano. Scaricare lentamente la molla ed estrar­la dal corpo del caricatore (foto 34). Rovescia­re il caricatore e far uscire l’elevatore.

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Note

(') Differenza nello smontaggio da campo di esemplari bellici e prebellici: a) arretrare il carrello e bloccarlo con l’hold-open; b) girare il chiavistello di smontaggio; c) svincolare il carrello e farlo avan­zare fino a quando non sia possibile abbassare il ca­ne (lentamente), dopo aver abbassato ¡1 cane estrar­re il carrello dalle guide.

(2) La parte superiore del carrello è chiusa da un coperchio in lamiera stampata dotato di due appen­dici elastiche (A foto 2) che lo trattengono in sede, la mancanza di tensione sulle appendici può rende­re instabile il bloccaggio che queste assicurano, per­tanto è possibile perdere il pezzo sparando. La fuo­riuscita del coperchio (può essere provocata anche

da fuga di gas dal fondello del bossolo o dall’uso di munizioni troppo potenti) causa la perdita della tac­ca di mira, del blocco del percussore (con relativa molla) e del ritegno dello stesso (N foto 20). Per ov­viare a questo inconveniente è possibile piegare leg­germente verso l’esterno le appendici elastiche, ma la cosa migliore è acquistare un nuovo pezzo di ri­cambio. Frequenti smontaggi non sono consigliabili anche per non sciupare le guide per le appendici ri­cavate nel carrello; un buon armaiolo può rendere queste guide più profonde ma ciò causa notevoli dif­ficoltà negli ulteriori smontaggi del carrello.

(3) Per coloro che sono in possesso d i esemplari del periodo bellico e prebellico oppure dei primi

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esemplari con fusto in lega (quelli senza inserto in acciaio) lo smontaggio dell’estrattore e della sicura avviene in modo differente da quanto già descritto: a) mettere la sicura in posizione intermedia tra F ed S, rovesciare il carrello e forzare la sicura verso si­nistra con l’ausilio di un cacciavite di dimensioni ap­propriate (foto 32); b) la fuoriuscita della sicura libe­ra la molla dell’estrattore, molla che serve anche per la sicura, è bene fare attenzione e non perdere il pic­colo perno che esce insieme alle spire della molla; c) una volta scaricata la molla, estrarre l’estrattore tirandolo verso l’esterno, togliere il perno che pre­me sul percussore e far uscire la molla dalla sua se­de.

Per rimontare sicura ed estrattore: a) introdurre la molla nella sua sede ed inserire i due perni alle estre­mità della stessa (attenzione perché il perno che pre­me contro la sicura è diverso da quello che carica l’estrattore); b) rimettere a posto l’estrattore; c) spin­gere nella sua sede la molla con il perno (aiutandosi con un cacciaperni da mm. 2 o un cacciavite di pic­

cole dimensioni) e introdurre la sicura tenendola in posizione intermedia tra F ed S, quando la sicura è davanti alla sede della molla si deve premerla con forza e nel contempo togliere il cacciaperni.

Attenzione: quando, durante l’uso dell’arma, si in­serisce la sicura si blocca il percussore e due spalle circolari ricavate sulla sicura stessa ricevono l’impat­to del cane che cade. È consigliabile accompagna­re il cane con il pollice e non farlo urtare contro la sicura perché ripetuti impatti possono causarne la «cristallizzazione» con conseguente rottura, rottura che provoca la partenza dell’eventuale colpo in ca­mera e nel caso vi siano colpi nel caricatore l’arma spara a raffica fino ad esaurimento delle cartucce.

(4) Sempre per le armi belliche e prebelliche è da notare che il bloccaggio in sede del plstoncino at­tuato dal blocco di chiusura avviene anche median­te una spina passante ribadita alle estremità e per­tanto anche in queste armi lo smontaggio del piston- cino deve avvenire solo in caso di necessità e sem­pre avendo pistoncini e spina di ricambio.

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Stampa: Grafiche Consolini (Bo) Allegato alla rivista Diana Armi

Tutti i diritti sono riservati

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A cura di:

VITTORIO BALZI

LA COLLABORAZIONE TRA BROWNING E FABRIQUE NATIONALE

Volendo adottare quale ordinanza il Mauser 1889, il Belgio si trovò di fronte all’alternativa se acquistare il fucile direttamente dalla Ger­mania oppure produrlo su licenza. Vista l’im­portanza della commessa (150.000 pezzi), pur trascurando le implicazioni di ordine politico e strategico, era logico optare per la produ­zione su licenza; anche a costo di dover im­piantare ex novo una fabbrica destinata a que­sto scopo. Sotto la spinta di questo fatto con­tingente nacque cosi, proprio nel 1889, una società fondata da dieci artigiani armieri di Lie­gi e chiamata Fabrique Nationale d ’Armes de Guerre; sede della neonata società una citta­dina vicina a Liegi: Herstal.

In pochi anni la F.N. divenne una realtà in­dustriale di tutto rispetto sempre alla ricerca di ulteriori nuovi sbocchi commerciali e di idee nuove. Fu durante uno dei suoi continui viag­gi che nel 1897 Hart O. Berg, un dirigente «iti­nerante» della F.N. sempre in viaggio per ot­tenere contratti e esaminare progetti merite-

Mauser 1888: è stata la necessità d i riprodur­re questo fucile su licenza che ha portato alla fondazione della Fabrique Nationale.

voli di interesse, incontro, durante una visita alla Colt, i fratelli Browning (John e Matthew) dai quali ottenne l’esclusiva per una nuova pi­stola a chiusa labile progettata da John Mo­ses Browning. In quell’anno Browning aveva ottenuto diversi brevetti relativi ad armi e mu­nizioni; alla Colt ritenevano che il più interes­sante fosse quello del 20 aprile 1897 per un arma a chiusura stabile e concentrarono tutti i loro sforzi sullo sviluppo di quella che sareb­be poi divenuta la Colt 1960, ovvero la «non­na» della 1911. Fra i brevetti trascurati da Colt, Browning aveva quelli relativi ad una pistola a chiusura labile (derivata da quella calibro 9 a sottrazione di gas che era stato il primo pro­getto di arma corta del Genio Mormone) e del­la relativa cartuccia 7,65 x 17 destinata a di­ventare famosa come 7,65 Browning o .32 ACP. Questi brevetti non mancarono di atti­rare l’attenzione di Berg che se li aggiudico offrendo una royalty imnprecisata su ogni pi­stola prodotta e versando un anticipo di 2.000 dollari (dollari del 18971). La pistola venne messa in produzione nel 1899 come F.N. Browning Mod. 1899; l’anno successivo rice­vette alcune modifiche di dettaglio e divenne la Mod. 1900 che venne replicata in oltre un milione di esemplari.

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Col Mod. 1886 la Winchester usci da una si­tuazione di crisi causata dall’impossibilità dei modelli precedenti di camerare la potente .45/70 Government: uno dei primi successi del giovane Browning, è adesso riprodotto in soli 12.000 esemplari identici a ll’originale.

«Scoperto» da Bennet, il genero di Winche­ster, Browning ebbe una lunga e fruttuosa col­laborazione con la casa di New Heaven (per citare solo i fucili più importanti basterà ricor­dare il monocolpo Hi Wall ed i lever action 1886,1894 e 1895). Questa collaborazione du-

gni con Winchester, Browning potè dedicarsi a collaborazioni con altri fabbricanti (Reming- ton e Stevens sono i più importanti) ma, a par­tire dal 1897, il grosso del suo lavoro andò al­la Colt ed alla F.N. Quest’ultima in particola­re è quella che ha legato indissolubilmente il suo nome a Browning: le Colt di progettazio­ne (totale o parziale) Browning erano vendu­te come Colt tout court mentre le armi della F.N. hanno sempre portato il nome di Brow­ning. Anche se gestite in maniera diversa e avendo, almeno allo stadio iniziale, differenti «filoni principali» (pistole di grosso calibro e chiusura stabile alla Colt, pistole di piccolo ca­libro e chiusura labile alla F.N.) le collabora­zioni Colt-Browning e F.N.-Browning si inter­secarono spesso tra di loro, tanto che non è raro vedere modelli identici o analoghi nelle rispettive linee produttive. Per ovviare a que­sto fatto e per poter continuare a sfruttare al meglio la loro «gallina dalle uova d ’oro» Colt ed F.N. giunsero a stipulare un contratto col quale dividevano il Mondo in rispettive zone di interesse per la commercializzazione di armi basate sui brevetti Browning.

In tema di disegni analoghi giova ricordare la Mod. 1903 o Grand Modèle calibro 9 Brow­ning Long; si tratta in effetti di una copia pan- tografata della quasi coetanea Colt Pocket Pi- stol camerata in 7,65 Browning e in 9 Corto. Riprodotta in circa 160.000 esemplari (di cui100.000 su licenza dalla svedese Husqvarna) la 1903 venne adottata quale arma militare da Belgio, Danimarca, Svezia, Olanda, Turchia, Russia e Paraguay; la sua importanza trascen-

rò dal 1879 al 1897 e fu interrotta dai fratelli Browning (John era il genio di famiglia ma chi si occupava di tutti gli aspetti pratici, sia tec­nici che legali, erano gli altri fratelli Browning, in primo luogoi Matthew) perché insoddisfatti per il tipo di pagamento: Winchester acquista­va tutti i diritti sul brevetto e pagava una cifra una tantum; i Browning volevano delle royal-Hoc* pi ilio ormi nrnrlntio I ihorn r i a ì Olirti imrto_ i -tarn

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F.N. Mod. 1900: prima arma nata dalla colla­borazione tra Browning ed F.N. è stata anche la prima semiautomatica a chiusura labile di grande successo in tutto il mondo.

La Colt Pocket Auto.

F.N. 1903 (Grand Modele) completa di calciolo e caricatore prolungato, la similitudine con la quasi coeva Colt Pocket Auto non fu casua-

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de il quantitativo, peraltro non trascurabile, di armi prodotte: fece entrare la F.N. sui merca­ti militari, servì da base per lo sviluppo delle 1910 e 1922, ebbe una parte non trascurabi­le (come vedremo oltre) nella genesi della HP,

Derivata dalla 1903, la 1910 è un’altra del­le pistole «milionarie» nate dalla collaborazione tra F.N. e Browning ed ha passato la boa del milione di pezzi nel lontano 1935 rimanendo poi in produzione fino ad anni ’70 inoltrati. La 1910 (o 10 tout court) è una versione rimpic­colita e semplificata della 1903 a differenza della quale non monta un cane interno ma un percussore lanciato. Semplice, robusta, leg­gera, piccola ed affidabile la 10 ha avuto suc­cesso sui mercati civili ed è stata venduta ad un buon numero di Polizie o Enti Governati­vi. Proprio nell’ottica di un uso da parte di Po­lizie ed Eserciti venne sviluppata la Mod. 1922, In pratica una 1910 con caricatore più capiente (8 colpi in 9 corto e 9 in 7,65 Browning contro 6 e 7 rispettivamente per la Mod. 1910) e can­na più lunga. Anche la 1922 ha avuto una car­riera lunga e proficua venendo adottata, fra gli altri, da Olanda, Iugoslavia e Belgio oltre che dalla Wermacht durante l’occupazione te­desca del Belgio; è rimasta in produzione dal 1922 fino ai giorni nostri ed ha cambiato no­me dopo la 11 Guerra Mondiale quando diven­ne la Mod. 10/22 per divenire infine Mod. 125.

Parlando di disegni milionari non si può di­menticare la Baby Browning, per decenni si-

ning (alias .25 ACP) che è stata riprodotta in oltre 4.000.000 di esemplari ed è oggi, insie­me alla HP, una delle tre pistole di progetto Browning ancora sul catalogo F.N. Ad onor del vero la Baby Browning di oggi non è proprio la stessa arma progettata da John Moses ma d’altro canto neanche la Grande Puissance o High Power è veramente un’arma tutta di Browning. Prima però di affrontare l’argomen­to genesi della Grande Puissance mi preme sottolineare che, se le cose fossero andate un poco diversamente, forse oggi non avremmo la High Power perché la F.N. avrebbe prodotto una ennesima variante della 1911.

Nelle more delle interminabili prove volute dall’U.S. Army per la scelta di una nuova pi­stola, Colt era sempre alla ricerca di idee per accaparrarsi nuovi mercati, sopratutto in quei Paesi che, In base all’accordo con la F.N., co­stituivano terreno libero per entrambe i con­tendenti. A quel tempi i Balcani erano la pol­veriera d ’Europa e la Colt pensò ad una pi­stola che potesse essere particolarmente in­dicata per i gusti di quei posti: mentre Brow­ning dava gli ultimi tocchi a quella che sareb­be poi divenuta la Government Model of 1911 ed alla relativa .45 ACP, Colt chiese a Win­chester lo svllupo di una nuova cartuccia ca­libro 9,8 mm. con bossolo rimless e la cartuc­cia venne camerata in una apposita variante della pistola Colt-Browning, la Colt Model of 1910. Nel frattempo, per non restare indietro

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F.N. 1922 in versione con mire registrabili. Baby Browning: progettata da Browning e re­visionata da Saive negli anni '50, ha raggiun­to i quattro milioni di esemplari prodotti.

F.N. Grand Browning cal. 9,65: ad eccezione del calibro e del sistema di fissaggio delle guancette è la copia conforme della Colt 1911.

eventuali richieste provenienti da Paesi all'in­terno della sua «sfera di influenza», la Fabri- que Nationale approntò tre prototipi della «mo- dele 1910» ovvero una copia carbone della COIt 1910 ma in .45 ACP. I tre prototipi furo­no poi portati a venti per avere materiale da

commerciale che Colt stava Iniziando con la sua 1910. Il 29 marzo 1911 la versione miglio­rata della Colt 1910 camerata in .45 ACP ven­ne scelta ufficialmente quale nuova pistola marziale statunitense con la denominazione ufficiale «Pistol, Automatic, Caliber .45, Mo-

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aperte dall’adozione dell’US Army Colt abban­donò ogni altro progetto di pistola militare per soddisfare I desideri del ricchissimo mercato costituito dalle FF.AA. U.S.A. e di tutti quei Paesi che avrebbero ben presto seguito l’e­sempio Yankee. La F.N. si trovò così senza la concorrenza della Colt ed I tecnici belgi pen­sarono di abbandonare il calibro .45 ACP per seguire la strada, da loro giudicata molto pro­mettente, di una cartuccia con calibro inferiore

ma velocità superiore; nacque così la cartuc­cia 9 ,65x23. Da molti ritenuta come la car­tuccia per la quale doveva essere camerata la High Power, la 9,65 venne invece adottata su una annesima variante del disegno Colt- Browning che la F.N. denominò Grand Brow­ning e che doveva essere riprodotta industrial­mente. Solo l’Invasione del Belgio da parte dei Tedeschi impedì l’inizio della produzione in se­rie della Grand Browning.

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GENESI DEL DISEGNO

Si è sempre affermato che la High Power (o Grande Puissance) è stato l’ultimo proget­to di John Moses Browning e che questo pro­getto ha avuto concretizzazione dopo la mor­te dell’inventore ma con solo poche modifiche non sostanziali; si è del pari sempre afferma­to che il caricatore bifilare della HP è opera di Browning. La realtà risulta diversa e la Mod. 35 è in massima parte frutto dell’opera di un altro grande progettista: Dieudonné Joseph Saive. Questi è stato il papa di armi come lo FN 49 ed il FAL ed ha al suo attivo anche mol­te altre operazioni di successo; solo per la vo­lontà di identificare i prodotti F.N. col nome Browning Saive è rimasto a lungo nell’ombra

ed anche oggi il suo lavoro rimane conosciu­to per lo più tra gli adetti ai lavori.

Pochi anni dopo la fine della Grande Guer­ra (per l’esattezza il 9 Maggio 1921) lo Stato Maggiore francese emise la prima di diverse specifiche per la scelta di una nuova pistola di ordinanza. Tale pistola doveva avere cali­bro 9, canna di 20 cm., capacità del caricato­re pari ad almeno 15 colpi, alzo graduato fino a 600 metri, peso non superiore al kg., possi­bilità di applicare un calciolo amovibile. In que­gli anni di magra la prospettiva di un grosso contratto militare non poteva lasciare indiffe­renti i solerti amministratori della F.N. e così si decise di avviare subito un programma per

Fianco sinistro del prototipo a chiusura labile sviluppato da Browning, unitamente ad un mo­dello con chiusura stabile, in risposta alle ri­chieste F.N. del 1921 per lo sviluppo di una

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Fianco destro del prototipo a chiusura stabile sviluppato insieme a quello con chiusura la­bile della foto precedente; la chiusura stabile sembra sia stata aggiunta dopo il completa­mento dell’arma; notare la posizione dei risalti di chiusura in corrispondenza della camera di cartuccia.

un arma capace di soddisfare le richieste fran­cesi. Con l’eccezione della piccola Savage a ritardo di apertura, a quell’epoca nessuna pi­stola montava un vero caricatore bifilare al­loggiato nell’impugnatura (il bifilare era l’uni­co mezzo per consentire la capienza di 15 col­pi senza andare a scapito delle dimensioni del­l’arma) e la prima cosa da fare era quindi svi­luppare un caricatore adatta alla bisogna. Questo incarico venne affidato a Saive che lo portò a termine modificando una Modello 1903 (Grand Modèle) che ricevette un caricatore da 15 colpi nel calibro 9 Browning Long. Da no­tare che l’impresa non deve essere stata del­le più facili visto che la cartuccia Browning Long ha bossolo semirimmed con tutti i pro­blemi che questo comporta. Immediatamen­te dopo il completamento del lavoro di Saive la F.N. si mise in contatto con Browning per sottomettergli le specifiche francesi e fargli prendere visione della 1903 modificata.

Tornato a casa nella sua Ogden Browning si prese alcuni giorni di riflessione per poi rea­lizzare, nell’arco di poche settimane, insieme al fratello Ed (quello che fece quasi tutte le la-

ses) non uno ma due diversi modelli di pisto­la calibro 9 Parabellum con caricatore bifila­re da 15 colpi, li primo modello aveva chiusu­ra labile ma canna con un grado di libertà e che quindi poteva rinculare per un tratto. Il se­condo modello aveva chiusura stabile a cor­to rinculo concettualmente identica a quella della Col-Browning ma con la bielletta sosti­tuita da una rampa che contrasta con un tra­versino nel fusto. Esaminando le fotografie sembra quasi che il secondo modello sia una elaborazione concettuale del primo che dove­va probabilmente essere riprodotto in due esemplari. In effetti i risalti di chiusura sul cielo della canna sono in corrispondenza della fi­nestra di espulsione ed il traversino nel fusto pare sia stato aggiunto dopo che la pistola era stata completata. Entrambe le pistole faceva­no uso di un «chiavistello di culatta» con filet­tatura interrotta come i vitoni degli otturatori nei pezzi di artiglieria; il chiavistello di culatta alloggiava il percussore lanciato e la relativa sicura, svolgeva altresì diverse funzioni fra cui quelle di consentire montaggio e smontaggio.

Appena in possesso dei due modelli i tee-

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Teb. 22, 1927.J. M. B R O W N IN G

AUTOMATIC FIREARM filed June 23, 1923

1,618,510

Sheet3—Sheet 1

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Feb. 22, 1927. 1,618,510J. M. B R O W N IN G

AUTOMATIC FIREARMKlioa June 28, 1923 2 Sheeta-Sheet 2

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sul secondo che, con poche modifiche di det­taglio (fra cui lo spostamento dei risalti di chiu­sura) divenne il Mod. 1922 Grand Rendement del quale vennero approntati un certo nume­ro di prototipi per presentarli alla Commissio­ne di Versailles ine ancata di scegliere la nuo­va ordinanza francese. Nel frattempo Brow­ning chiese il rilascio di un brevetto a coper­tura della sua nuova pistola (28 giugno 1923): questo brevetto venne concesso il 22 febbraio 1927, tre mesi dopo la morte del progettista. Si noti che, a conferma dell’attribuzione al Sai- ve della paternità del caricatore bifilare, sul brevetto Browning non viene fatto alcun rife­rimento al nuovo caricatore.

Le Mod. 1922 sottoposte a prove dalla Com­missione dell’Armée (presentate materialmen­te da Val Browning, il figlio di John Moses, e da Capitano Chevalier della F.N.) furono di due tipi diversi: Mod. 1922 «corto» e 1922 «lun­go» con lunghezze di canna rispettive pari a 121 mm. e 200 mm. cui corrispondevano pe­si di 950 e 1.130 grammi. Si comportarono molto bene tanto che i risultati ufficiali furono piuttosto incoraggianti. La pistola venne defi­nita potente, ben disegnata, precisa, confor­tevole da usare. Furono richiesti una riduzio­ne ponderale per il modello lungo e l’aggiun­

ta di indicatori di colpo In camera e di percus­sore armato. Notevoli critiche furono invece mosse al sistema di smontaggio ed alla faci­lità di fabbricazione industriale di alcune par­ti; si suggerì quindi l’ incorporazione di alcuni concetti mutuati dalla Colt-Brownlng, In par­ticolare riguardo allo smontaggio. Da notare che il parziale successo della Mod. 1922 se­gnò la fine definitiva della risorta Grand Brow­ning in calibro 9,65 che era stata fabbricata, a scopo sperimentale, in 12 esemplari corre­dati di 100.000 cartucce nel 1921 e che la F.N. intendeva riprodurre in serie entro breve tem­po tanto che la linea di produzione era ormai quasi completa quando venne deciso il tota­le abbandono del programma.

Dopo i risultati delle prove di Versailles Browning ed i tecnici della Fabrlque Nationa- le intrapresero un programma urgentissimo per adeguare la Grand Rendement alle rac­comandazioni della commissione tecnica fran­cese. Come base di lavoro venne scelta la1922 «corta» perché più adatta alle mutate specifiche dell’Armée. Ad eccezione di piccole modifiche di dettaglio e di un certo alleggeri­mento (circa 80 grammi) la vera differenza tra la Mod. 1922 «corta» e la successiva Mod.1923 (che mantenne il nome Grand Rende-

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La Mod. 1923 o Grand Rendement.

ment) consisteva nella sostituzione (avvenu­ta ad opera di Saive) del percussore lanciato con uno inerziale ed il relativo cane esterno; rimaneva il chaivistello di culatta al cui inter­no scorreva il percussore ed era ospitata la leva di scatto. Le prove della Mod. 1923 av­vennero il 23 Marzo 1925 e questa volta i ri­

sultati furono ancora più incoraggianti che non nella prima prova. Il responso della Commis­sione di Versailles si può così sintetizzare: po­tente, confortevole, precisa, ben disegnata con particolari note di merito per la sicura ma­nuale e la semplicità nello smontaggio da cam­po. La Mod. 1923 Grand Rendement venne

La Grand Rendement subì diversi interventi ad opera di Saive, interventi che portarono in­fine alla versione qui riprodotta dotata di ca-

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Prototipo della Browning 1928.

ritenuta come la migliore e più perfezionata fra tutte le pistole sottoposte alla commissio­ne.

Con la morte di Browning, awenuta ad Her- stal nel Novembre 1926, e malgrado la pre­senza del figlio di John, Val, tutte le attività di ricerca e sviluppo furono passate a Dieu-

La «Salve Mod. 1929», evoluzione della 1928

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Prototipo del 1931: con l ’abbandono del barrel-bushing di tipo Colt è ormai stata rag­giunta una configurazione definitiva.

donné Saive; Val Browning rimase alla F.N. solo per curare gli interessi di famiglia. Saive iniziò immediatamente a lavorare sulla Grand Rendement avendo davanti agli occhi la «ca­rota» del contratto militare francese. Gli sfor­zi erano rivolti soprattutto al contenimento ponderale (i Francesi sembravano annettere la massima importanza al parametro peso): a questo scopo si giunse anche alla riduzione della capacità del caricatore, portata a 13 col­pi, e a un successivo accorciamento del car­rello. Per farla breve, nel corso degli anni dal 1923 al 1927 la F.N. propose anche contem­poraneamente almeno due diverse versioni base della 1923 o Grand Rendement: quella a 15 colpi e quella a 13 e con carrello accor­ciato.

Nel 1928 scadono I brevetti del 14 febbraio 1911 rilasciati alla Colt per la sua Government Model e la dirigenza della F.N. ordina imme­diatamente a Saive di portare a termine una operazione da più parti auspicata: combina­re le migliori caratteristiche della Gran Ren­dement con quelle della 1911. La nuova pi­stola che nasce da questa operazione (si tratta della terza modifica importante che Saive at­tua sul disegno originale di Browning) e in pra-

13 colpi alla quale è stato abbinato il sistema di smontaggio della Colt. Viene così abban­donato il chiavistello di culatta e l’otturatore ospita ora solo il percussore inerziale ed una lunga leva che trasmette il moto del grilletto alla leva di scatto. Anche se Browning è or­mai morto da due anni motivi di contratto ed anche di immagine impongono il mantenimen­to del suo nome e così la nuova arma viene denominata Browning Mod. 1928. L’anno suc­cessivo la Mod. 1928 riceve una ulteriore mo­difica con la parte posteriore del telaio dell’im­pugnatura che da diritta diviene curva; il nuovo prototipo non riceve denominazione ufficiale ma viene comunque definito come Mod. 1929 tout court. L’ultimo stadio evolutivo è raggiunto nel 1931 quando Saive abbandona la bocco­la in volata tipo Colt per passare ad un siste­ma identico a quello delle HP attuali. La gra­ve congiuntura mondiale che segue al crollo di Wall Street ed il tentativo di tenere dietro alle mutevoll e forse pretestuose (può anche darsi che tutte le prove volute dai francesi sia­no state solo un mezzo per spillare gratuita­mente idee agli altri; forse non è un caso se molte delle soluzioni che si trovano su modelli F.N. disegnati da Saive e presentati alle gare

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High Power del primo tipo destinato al mer­cato civile e caratterizzato da alzo tangente graduato fino a 1.000 metri.

pari sulle 1935 A ed S) richieste francesi por­tano ad un rallentamento nel programma della pistola bifilare F.N. GII studi comunque con­tinuano, sia pure a passo ridotto, e finalmen­te si giunge, nel 1934, al congelamento della configurazione definitiva; configurazione che, lo si badi bene, non differisce sostanzialmen­te da quella odierna ormai riprodotta in oltre

1.500.000 esemplari dalla sola F.N. La vita «pubblica» della nuova pistola denominata uf­ficialmente Grande Puissance (sottointeso «di fuoco») mod. 1935 ma conosciuta ai più col nome anglosassone di High Power, inizia uf­ficialmente il 23 maggio 1935 quando il pri­mo lotto di mille pezzi viene consegnato al­l’Esercito belga.

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Sezione fantasma della HP ripresa dal primo

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LA MECCANICA: DESCRIZIONE ED EVOLUZIONE

Anche se la High Power dovrebbe essere definita, quanto meno, come Browning-Saive resta indubbia la matrice iniziale del Genio Mormone, tanto più che parte delle modifiche di Saive sfruttano altri brevetti di Browning e cioè quelli della 1911. La Grande Puissance è spesso considerata come una evoluzione della Government, almeno per quanto riguar­da la chiusura, un esame della sua meccani­ca non può quindi prescindere da un confron­

Schema di funzionamento della catena di scat­to ripreso da un manuale canadese.

to, pur fatto en passant, con l’altra illustre crea­tura di Browning. Quella di seguito descritta è la meccanica «primigenia» usata sulle High Power dal 1934 al 1961, le successive varianti sono poi esaminate separatamente sempre in questo capitolo.

Così come la 1911, la HP è una pistola con chiusura stabile a corto rinculo e canna a due gradi di libertà; il vincolo meccanico è assi­curato da due risalti anulari sulla canna, su-

lllustrazione del principio di funzionamento della sicura al caricatore; anche questa illu­strazione è stata ripresa da un manuale ca-

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In questa foto è visibile, indicato dalla freccia, il piede della sicura al caricatore che p ro lu ­de nella sede del caricatore; quando questo sarà inserito, il piede verrà spinto in avanti abi­litando il grilletto al tiro.

Confronto tra i profili a camme del primo e del secondo tipo (parte posteriore del tenone ret­ta e non curva).

bito davanti alla camera di scoppio, che en­trano in corrispondenti risalti sul cielo del car­rello. Dove le due chiusure si differenziano è nel sistema di svincolo; sulla Browning la biel- letta è stata sostituita con uno zoccolo nella cui parte inferiore è ricavata una guida incli­nata di circa 45° che va a contrastare con un robusto traversino passante attraverso il ca­stello. Alla partenza del colpo canna e carrel­lo iniziano a rinculare solidamente, collegati dal vincolo meccanico attuato dai risalti che impegnano le sedi nel carrello. Nel primo tratto di rinculo la canna ha movimento retrogrado lineare, solo quando la guida incontra il tra­versino avviene l’abbassamento della culat­ta che provoca l’ interruzione del vincolo mec­canico con la fuoriuscita dei risalti dalle sedi;

carrello continua la sua corsa retrograda vin­cendo la forza della molla di recupero. Nella Colt-Browning la bielletta fa iniziare la rotazio­ne della culatta all’inizio del moto retrogrado e quindi, presumibilmente, quando la pallot­tola è ancora in canna. Nella HP il moto della canna si divide in due fasi, una iniziale di tipo traslatorio ed una seguente di tipo roto- traslatorio e la pallottola lascia la canna du­rante la prima parte di corsa. A questo punto già un primo vantaggio, della chiusura usata sulla HP rispetto alla classica Colt-Browning, risulta evidente: la maggior precisione a pari­tà di qualsiasi altra condizione e la minor in­fluenza delle tolleranze di lavorazione e di eventuali giochi. Un altro vantaggio abbastan­za intuitivo è quello di una maggiore robustez­za dell’insieme con conseguente minor in­fluenza dell’usura e chiusure che lavorano a tempo e continuano a farlo anche dopo un cer­to uso.

Oltre ai vantaggi sopra accennati la modifi­ca del sistema di chiusura e la scelta fatta da Saive di un nuovo sistema di smontaggio ne hanno consentiti diversi altri ai quali accen-

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Mod A

f.,75

Sfruttando studi Inglis, nel 1947, venne mo­dificato il puntone del cane (da tipo A a tipoB); questo obbligò a modificare anche il cane ma solo per quanto riguarda il punto di fissag­gio del puntone.

po risulta notevolmente semplificato, si è avuta una riduzione nel numero delle parti (sono spariti barrell-bushing e recoil spring plug) che sono inoltre più robuste. Particolarmente be­nefica l’eliminazione del barrel-bushing che richiede un aggiustaggio laborioso quando si voglia garantire una certa precisione dell’ar­ma ed è più soggetto ad usura e/o rotture (so­prattutto nel caso del collet-bushing con ap­pendici elastiche tipo serie 70 ed 80) che non la boccola brasata della HP. L’eliminazione della bielletta e la sua sostituzione con lo zoc­colo dotato di rampa ha reso meno importan­te, ai fini dell’allineamento della canna, il te­none in culatta che è stato così ridotto dimen­sionalmente (consentendo una minore distan­za tra vivo di culatta e faccia otturatore) e ri­chiede minor cura esecutiva. È stato possibi­le disporre di una vera rampa di alimentazio­ne e così, grazie anche alla minor distanza tra faccia otturatore e vivo di culatta, le pareti della camera sopportano il bossolo in maniera mag­giore di quanto non avvenga sulla Colt; inol­tre la presenza di una vera rampa di alimen­tazione facilita l’introduzione in camera della

Se la chiusura è stata pesantemente modi­ficata, le altre componenti contenute nel car­rello (estrattore e percussore) rimangono so­stanzialmente inalterate sotto l’aspetto mor­fologico e quello funzionale. Percussore iner­ziale ed estrattore sono trattenuti dalla piastri­na reggipercussore, con i vantaggi e gli svan­taggi che questo comporta: facilita nello smon­taggio, alimentazione controllata ma anche possibilità che parta accidentalmente il colpo in canna, e comunque difetti di funzionamen­to, qualora la piastrina abbia gioco nella se­de; problemi di alimentazione ed estrazione se invece c ’è gioco tra piastrina e gambo del­l’estrattore.

Una parte della P 35 che non ha niente a comune con la 1911 è la catena di scatto. Il grilletto è caricato da una molla a filo di for­ma complessa (trattenuta dallo stesso perno del grilletto) dotata di due bracci, l’anteriore serve da molla antagonista per il grilletto, il po­steriore trattiene e carica una leva verticale articolata sul corpo del grilletto. Quando si ti­ra il grilletto la leva vien spinta verso l’alto agendo su una seconda leva, normale alla pri-

o l l ’ i n t o r n n r i a l r o r r a l l n I a c o o n n .

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Comparazione Ira le quote del traversino e del­la fresatura a camme su armi antecedenti al 1950 (A) e pistole costruite a partire da quel­la data (B).

Il vecchio (A) ed il nuovo (B) piede della sicu­ra introdotto nel 1950.

Esploso del grilletto con sicura al caricatore.

da leva è imperniata circa a metà della sua lunghezza (il perno della leva si può rimuove­re solo dopo aver tolto percussore ed estrat­tore e forma un unico pezzo con la caratteri­stica piastrina presente sulla destra del car­rello) e, con l’estremità opposta a quella in contatto con la leva verticale va a spingere la leva di scatto che si sottrae al cane provocan­done la caduta. La leva verticale articolata sul corpo del grilletto svolge anche altre funzioni accessorie ma importantissime: impedisce la partenza del colpo se l’arma non è perfetta­mente in chiusura perché, in questo caso, non entra in contatto con la leva nel carrello; agi­sce da disconnettore poiché, anche se dopo la partenza del colpo il grilletto viene mante­nuto premuto a fondo corsa, non si avrà raffi-r a n o r r h à la lo\/Q à r im o o f a in alt/-» a w ia n a f a i

ta ruotare In avanti fuori dal contatto con la leva nel carrello al ritorno di questo In batte­ria; se il caricatore è sfilato dall’arma è impos­sibile sparare perché un pistoncino, potendo arretrare nell’interno dell’alloggiamento del ca­ricatore, sposta in avanti la leva verticale im­pedendole di entrare In contatto (quanto me­no questo contatto sarà insufficiente) con la leva nel carrello.

Tutti i progetti, anche quelli più riusciti, su­biscono continue modifiche ed aggiornamenti dettati dall’esperienza o per adeguare le ca­ratteristiche del prodotto a mutate esigenze o anche, più semplicemente per ridurre i co­sti di fabbricazione. Anche la Grande Puissan- ce ha subito, nel corso della sua lunga vita, diversi aggiornamenti. Tralasciando quelli di

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Comparazione tra estrattore pre '62 (A) e post '62 (B).

La vecchia leva del carrello (A) a confronto con la nuova (B) ed i relativi perni di rotazione; ogni commento è superfluo per quanto riguarda la comparazione dei costi delle due soluzioni.

zione diversa o un tipo particolare di portacor- reggiolo come nel caso delle HP Lituane) esa­mineremo qui di seguito ie modifiche appor­tate alla meccanica ed alle tecnologie di fab­bricazione delle pistole F.N.; le Inglis saran­no trattate a parte e, in questa sede, vi farò riferimento solo nei casi strettamente neces­sari.

Dopo avere venduto ormai diverse decine di migliaia di pistole, i tecnici della F.N. si ac­corsero con comprensibile orrore che il teno­ne, nel quale è ricavato il profilo a camme che causa lo svincolo delle chiusure per contra­sto col traversino nel fusto, tendeva a frattu­rarsi, nella sua zona di minor sezione, dopo qualche migliaio di colpi sparati. La causa ven­ne identificata nella forma della fresatura che fungeva da camma: il profilo terminale, di ti­po semi-circolare, nel lungo periodo induce- va dei fenomeni di cristallizzazione del metal­lo. Il problema fu risolto definitivamente con una fresatura di nuovo profilo che lasciava di­ritta la parte posteriore del tenore.

Passò la bufera della guerra e, per tutta la

durata del conflitto, le uniche modifiche ap­portate dall’occupante tedesco furono solo vol­te a semplificare la costruzione con l’abolizio­ne degli alzi tangenti e della sicura al carica­tore. Riporto questo particolare perché le High Power prodotte dal settembre '44 (quando la F.N. tornò nelle mani dei legittimi proprietari) al 1946 sono prive della sicura al caricatore: per risparmiare tempo si continuò tout court la produzione delle pistole già iniziata sotto i Tedeschi. Queste pistole sono facilmente identificabili per la presenza della lettera A nel­la loro matricola.

Un problema riscontrato già prima della Guerra ed anche nei primi esemplari di fab­bricazione Inglis era quello relativo alla boc­cola inserita nella faccia dell’otturatore e che fungeva da arresto della corsa in avanti del percussore oltre che da guida dello stesso. Si era infatti scoperto che un semplice foro nel­l’otturatore non dava garanzie di affidabilità a causa del metallo troppo tenero usato per la slitta; la soluzione adottata consisteva nel­l’inserimento di un cilindretto forato, in acciaio

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La sostituzione di estrattore e leva del carrel­lo con relativo fermo portò a variare alcune operazioni all'utensile con un ulteriore riduzio­ne dei costi di fabbricazione.

Nel 1962 anche le canne della HP subiscono una modifica sostanziale: non sono più rea­lizzate partendo da forgiato ma vengono ot­tenute secondo un sistema assimilabile al mo- nobloc di culatta dei fucili a due canne.

temperalo, accoppiato ad interferenza e cian­frinato. Non sempre i risultati dell’operazione erano perfetti con spostamenti del cilindretto ovviabili solo presso officine ben attrezzate. Ogni problema venne risolto nel 1947 con l’a­dozione di trattamenti termici selettivi che per­mettevano di temperare la faccia dell’ottura­tore ed il canale di passaggio del percussore senza interessare il resto del carrello. L’inter­vento ora descritto faceva parte di un program­ma di revisione del disegno iniziato nel 1947 e che sfruttava anche accorgimenti messi a punto dalla Inglis: è ad esempio il caso del puntone del cane che venne modificato, que­sta modifica costrinse ad una parallela modi­fica del cane ma solo per quello che riguar­dava il punto di ancoraggio del puntone al ca­ne (cane e puntone sono intercambiabili solo come insieme nel senso che un puntone pre­bellico non va bene con un cane destinato al nuovo puntone e viceversa).

Quando si effettua una modifica su un ar­ma già in produzione si cerca sempre di man­tenere la massima intercambiabilità fra le nuo­

ve parti e le pistole preesistenti; può però ac­cadere che il fabbricante sia forzato a realiz­zare una modifica che rende impossibile l’In­tercambiabilità di una certa parte con armi preesistenti. È questo il caso delle modifiche che fanno parte del programma di aggiorna­mento del 1950. Venne deciso di ridurre leg­germente le dimensioni del profilo a camme sotto la canna e del relativo traversino nel fu­sto. Questo cambiamento si rese necessario per prevenire rotture di parti nel lungo perio­do ma la decisione di adottarlo non deve es­sere stata delle più facili. Ogni canna prodot­ta a partire dal 1950 non può essere montata su armi antecedenti (siano esse F.N. o Inglis); viceversa, le canne antecedenti al 1950 pos­sono essere montate sui nuovi fusti ma han­no un notevole gioco, tanto che precisione e funzionamento ne risultano sensibilmente handicappati. Dopo aver prodotto poche pisto­le con camma e traversino di nuove dimen­sioni i tecnici della F.N. decisero di aggiun­gere una modifica che riguardava la sicura al caricatore; trattandosi di dover aumentare le

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dimensioni del «piede» fu necessario fresare il fusto per consentire il passaggio del piede di maggiori dimensioni; ovviamente le sicure al caricatore post-1950 non possono essere montate su armi antecedenti.

Anche dopo i cambiamenti del 1950 le atti­vità di ricerca continuarono e si concretizza­rono (1958) in una modifica alla leva di scat­to, ed alla relativa leva nel carrello, per miglio­rare la qualità dello scatto diminuendo anche la corsa iniziale a vuoto. Leve di scatto e leve nel carrello sono intercambiabili come insie­me e leve di scatto ante 1958 non possono es­sere accoppiate con leve del carrello post 1958 (ovviamente è vero anche l’inverso). È però nel 1962 che l’attività di ricerca riceve un impulso notevole con la creazione di un gruppo incaricato di studiare modifiche capaci di ridurre i costi di fabbricazione senza sacri­fici nella qualità del prodotto finito che, anzi, deve essere migliore che in precedenza.

Il lavoro del gruppo di studio non tarda a da­re i suoi effetti. Il diverso profilo della parte an­tera Inferiore del carrello e l’abolizione dello sguscio semicircolare in corrispondenza del- l’alberino dello slide-stop sono due provvedi­menti presi per ridurre i costi riducendo il tem­po macchina necessario per ogni carrello. La riduzione delle operazioni di fresatura ha so­lo un effetto cosmetico, ben diverso è il discor­so per altre tre modifiche nate dalle raccoman­dazioni del gruppo di lavoro. Le High Power prodotte fino al 1962 montavano un estratto­re di tipo Colt 1911, estrattore non dei peg­giori ma comunque non privo di difetti (prin­cipalmente connessi con l’accoppiamento alla piastrina reggipercussore ed alla tendenza a snervarsi del corpo che funge anche da mol­la a lamina) e soprattutto alquanto costoso da realizzare e montare correttamente. Dopo il 1962, l’estrattore di vecchio tipo è stato sosti­tuito con uno esterno, caricato da molla a spi­rale e imperniato su una semplice spina ela­stica. Rispetto al vecchio, il nuovo estrattore è più robusto, più duraturo nel tempo, aggan­cia meglio i bossoli e costa meno nella realiz­zazione. Avere modificato l’estrattore aveva privato di fermo il perno di rotazione della le­va nel carrello, la soluzione più semplice e lo­gica era quindi la sostituzione dell’elegante ma

grante della piastrina visibile sulla destra del carrello) con una economica ed efficace spi­na elastica.

Ultima modifica del 1962 fu l’adozione di un nuova tecnologia di fabbricazione della can­na; fino ad allora si era fatto uso di canne ri­cavate partendo da forgiato, dopo il 1962 le canne sono state tutte realizzate con una tec­nica assimilabile a quella del monobloc di cu­latta. Si parte da un tubo rigato che viene ca­merata e lavorato esternamente in modo da ottenere il profilo esterno della canna finita nel­la parte che va dalla volata al risalto posterio­re (i risalti sono già macchinati in questa fa­se); la restante parte posteriore della canna (in pratica quella corrispondente alla camera) è ridotta in diametro in modo da poter entra­re dentro un manicotto realizzato separata- mente che comprende rampa di invito e tenore inferiore. Tubo e manicotto sono poi brasati insieme ottenendo la canna finita. Anche se può far storcere il naso ai puristi questo tipo di fabbricazione non ha mai dato problemi gra­zie all’alto standard qualitativo di tutte le ope­razioni ed ai severi controlli di qualità cui so­no sottoposti i pezzi.

Tutte le HP prodotte prima del 1964 hanno guancette in legno, a partire da quell’anno di­ventano disponibili anche quelle in «Cycolac» che vengono all’inizio proposte solo per le ar­mi destinate al mercato militare; armi parke- rizzate o verniciate, molto spesso con anello portacorreggiolo identico a quello delle vec­chie Inglis. Non ci sono modifiche degne di nota fino al 1973; in quell’anno la Fabrlque Na- tionale abbandona la dizione «.. d ’Armes de Guerre» per diventare semplicemente «Fabri- que Nationale». La nuova ragione sociale com­pare ovviamente su tutte le pistole prodotte da quell’anno che sono contraddistinte da al­cuni particolari: finitura sabbiata in alternati­va a quella lucida anche sulle armi civili, bu- shing brasato di nuovo disegno che proteg­ge meglio la volata della canna, viene adotta­to un cane di nuovo disegno che sembra sia richiesto dal mercato civile americano: è una delle sostituzioni più infelici in tutta la storia della HP; brutto, impaccioso e scomodo nel­l’armamento il nuovo cane ha scatenato la ri­cerca di cani di vecchio tipo (burr hammers

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Fianco destro di una pre ’62 ed una post ’62 a confronto.

ricambi. Il 1973 è anche l’anno in cui viene offerta commercialmente la versione della HP con fusto in lega leggera; dopo gli esperimenti canadesi del 1946 e gli studi di Saive dei pri­mi anni ’50 diviene finalmente realtà la Gran­de Puissance del peso di 700 grammi invece dei normali 900. Non mi pare comunque che il fusto in lega sia stato un grande successo visto che questa opzione è poco ricordata an­che nei documenti ufficiali della casa, viene quasi sistematicamente ignorata da tutta la pubblicistica (sia nazionale che straniera) e sembra quasi impossibile riuscire a vedere una HP fusto in lega dal vero.

Alcune fonti citano il 1973 come anno di na­scita delle versioni ad hoc in 7,65 parabellum per quei Paesi, Italia in testa, nei quali il 9 Pa­rabellum è vietato. Una tale affermazione de­ve essere presa con un grosso granello di sale visto che le High Power più apprezzate sul

la lettera di inizio delle matricole) e cioè le ver­sioni civili brunite lucide delle Modello 1965. Queste armi hanno canne sicuramente non fabbricate in Italia visto che, al pari delle ar­mi, recano i Banchi di Liegi e riportano, oltre all’indicazione del calibro (nei tipici caratteri usati allo scopo dalla F.N.) anche la matrico­la dell’arma di appartenenza. Sotto il profilo strettamente tecnico da notare che le canne in 7,65 Parabellum (almeno quelle che ho po­tuto esaminare) vengono realizzate in un so­lo pezzo al contrario delle contemporanee 9 Parabellum. È inoltre da rimarcare che tutte le pistole prodotte dalla F.N. a partire dal 1973 hanno un codice alfanumerico riportato sulla parte anteriore dell'Impugnatura, codice che può coincidere con la matricola ufficiale ma che serve principalmente per uso interno ed anche per indicare l’anno di fabbricazione. A parere di chi scrive, gli autori che indicano nel 1973 l’anno di nascita delle versioni in .30 Lu- ger si riferiscono ad armi «strettamente di se­rie» come probabilmente non sono le T italia­ne forse realizzate in numero non elevato su specifica richiesta dell’importatore. Sono in­vece armi di serie, proposte anche in altri Pae­si oltre all’ Italia, quelle HP «Modello 1973» con

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High Power mod. «T»; così sono conosciute in Italia quelle poche HP 7,65 Parabellum im­portate negli anni '60 inizio anni ’70; la deno­minazione autoctona deriva dalla presenza della lettera T nelle matricole, si tratta in real­tà del «Modello standard del 1965» in versio­ne civile.

riore apparse sul mercato italiano nel ’77/’78e cioè subito dopo le prime catalogazioni.

Ultima evoluzione della High Power a sin­gola azione è la Mark II introdotta nel 1982 e caratterizzata esclusivamente per la sicura

ambidestra maggiorata, mire e guancette di nuovo disegno e una nuova rampa di invito delle cartucce in camera che dovrebbe con­sentire il funzionamento corretto anche con

Nel 1973 la Fabrique Nationale d ’armes de Guerre diventa semplicemente Fabrique Na tionale e la High Power civile con mire fìsse prende il nome di «Vigilante». Le armi costruite dal ’73 in avanti sono caratterizzate dal cane

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Hig Power Mark II: introdotta nel 1982 è la ver­sione attuale della Grande Puissance, al pari di tutte le HP precedenti viene venduta con o senza anello portacorreggiolo.

palle di peso inferiore allo standard e confor­mazione particolare (es. i caricamenti con pal­la JHP da 90-100 grani o la Glaser Safety Slug). L’evoluzione della High Power continua

ancora ma Fast Action e Doppia azione sa­ranno trattati nel capitolo dedicato a «Copie e derivati».

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UN POCO DI STORIA

Subito dopo il congelamento definitivo del disegno, avvenuto nel 1934, iniziò la commer­cializzazione della High Power sui mercati ci­vili e militari; la prima commessa militare fu quella dell’Esercito Belga che adottò la pistola F.N. con la denominazione di P 35 e ne rice­vette il primo lotto di 1.000 pezzi il 23 maggio 1935; queste armi erano della versione con alzo tangente graduato fino a 500 metri, con incrementi di 50 metri, e calciolo fondina (i pri­mi esemplari destinati ai mercati civili aveva­no alzo graduato fino a 1.000 metri). Il primo ordine per l’esportazione non tardò a giunge­re e fu probabilmente quello cinese per 5.000 pezzi con alzo tangente e calciolo amovibile. Come vedremo da qui a poco, questo ordine rivestì enorme importanza perché l’arma piac­que molto ed i Cinesi, a guerra iniziata, volle­ro procurarsene altre 200.000; fu la loro richie­sta a far nascere la HP Inglis. Altri ordini giun­sero alla F.N. negli anni dal 1935 al 1940: quantitativi imprecisati di HP furono acquistati dal Perù (versione con mire fisse) e dall’Esto­nia che ne equipaggiò Esercito e Polizia, 5.000 pezzi con alzoi tangente vennero ordinati dalla Lituania. Nel settembre 1939 la Manufacture d ’armes de l’Etat (di proprietà dello Stato fran­cese) ordinò 1.000 HP e nel 1940 Svezia e Fin­landia ordinarono rispettivamente 1.000 e 1.500 pezzi. Questi ultimi ordini non andaro­no a buon fine perché il 12 maggio 1940 le truppe tedesche occuparono Liegi.

PISTOLE 640 (b) - LE HP CON LA SVASTICA

Immediatamente dopo l’occupazione della fabbrica i Tedeschi cercarono di iniziare lo sfruttamento della produzione ai loro fini. La direzione passò sotto il controllo della DWM (DWM Werk Luttich - Fabbrica DWM di Lie­gi): venne continuata ed incrementata (sia per quantità che per tipologia) la produzione di munizioni, si iniziò la fabbricazione di parti di armi (ad es. P 38) di progettazione tedesca ma fu continuata anche quella di alcune armi F.N., in particolare delle pistole HP, 1910 e 1922. Nel contempo si installò a Bruxelles uno de­gli uffici regionali Waffenamt con a capo il Ca­pitano Kuntze il cui codice era WaA613. No­nostante che la grande maggioranza dei tec­nici e delle maestranze avesse abbandonato il posto di lavoro (molti tecnici scelsero la via dell’esilio, fra questi tutta la dirigenza e Sai- ve) i Tedeschi non tardarono, perfas o nefas, a riavviare la produzione e ad «incrementare» l’occupazione. 3.433 HP prodotte prima del­l’occupazione furono immediatamente seque­strate ed inviate ai reparti. Continuando le la­vorazioni interrotte e sfruttando parti a magaz­zino furono assemblate, nel 1940, 8.500 Pi­stole 640 (b) (questo il codice assegnato alle HP) che recano tutte il Waffenamt WaA613. In guerra non c ’è tempo per le frivolezze e co­sì, una volta terminate le parti a magazzino furono completamente abbandonati l’alzo tan­gente, la sicura al caricatore ed il calciolo amo­vibile; parte della WaA640 e tutte le Pistole 640 (b) successive sono quindi dotate di mire fis­se, non hanno sicura al caricatore né fresa-

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Una HP prebellica destinata al mercato civi­le; notare la profusione di punzonature su fu-

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Particolare dei B anchi apposti sulla H P pre­bellica.

de 63.000 P 640 (b) consegnate alla Wer- macht. Le HP consegnate ai tedeschi furono quindi la bellezza di 319.000 in poco più di tre anni.

ci di lavorare per gli occupanti i dipendenti F.N. segnarono alquanto il passo nella produ­zione di armi. A fronte di questo atteggiamento gli organi competenti della Wermacht rispo­sero con un giro di vite ed il lavoro coatto. Pri­mo sintomo del giro di vite fu il trasferimento in Polonia del Capitano Kuntze (forse giudi­cato troppo di manica larga?) e così solo po­che (6.500) delle 65.700 P 640 (b) prodotte nel 1941 portano il codice WaA613; 25.000 han­no il codice WaA103 e le restanti quello WaA140. Quest’ultimo codice è rimasto in vi­gore fino al 6 settembre 1944 quando i Tede­schi lasciarono la F.N. Il lavoro coatto non fa certo miracoli per la qualità ma li può fare per la quantità: nel 1942 80.600 P 640 (b) lascia­rono i DWM Werk Luttich, nel 1943 il totale passò a 101.000 ed il 1944, nonostante i bom-

JOHN INGLIS Co. LIMITED

Chiusa dopo la morte del proprietario, Mr. John Inglis, la «John Inglis Company», ditta con esperienze nella produzione di caldaie e di carpenteria pesante, era stata rilevata da un gruppo finanziario e denominata prima «British Canadian Engineering Limited» e poi «John Inglis Company Limited». La «nuova» società manteneva gli impianti della vecchia che erano chiusi ed impiegavano solo il per­sonale per la manutenzione dei macchinari. Attraverso una serie di «connections» non pro­prio trasparenti, il Maggiore Hahn, amministra­tore della società, riuscì a concludere un con­tratto col Governo britannico per la fabbrica­zione in Canada degli allora (1938) nuovissi­mi Bren. Nonostante tutti i dubbi sulla corret­tezza dell’appalto (ci fu anche una inchiesta ufficiale che si concluse però con un verdet-

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Pistole 640 (b) con alzo tangente (o a quadran­te che dir si voglia); il W affenamt W aA 140 in­dica com e data d i produzione gli ultimi m esi del ’41. Strana una H P con alzo a quadrante costruita in questo periodo: tutti asseriscono che i tedeschi non fecero fabbricare carrelli con alzo tangente m a usarono solo quelli già disponibili in m agazzino prima dell'occupazio­ne.

° 640 (b) con mire fisse.

nufatti che uscirono dalla Inglis si rivelarono di qualità eccellente. Tanto eccellente da im­pressionare molto favorevolmente l’Esercito Cinese (al quale erano andati parte dei primi Bren Inglis) che pensò di far produrre alla In- glis 200.000 High Power, pistole alle quali era interessato ma che, per ovvi motivi (era l’ini­zio del 1943), la F.N. non poteva fornire.

Dopo l’occupazione del Belgio molti dirigen-

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Inglis No. 1 M k 1* con ideogrammi cinesi; que­sti sem brano apposti di fabbrica m a la cosa è piuttosto strana perché secondo fonti uffi­ciali la rullatura degli ideogram m i è stata ab­bandonata col passaggio da M k 1 a M k 1 *.

tagna, fra questi Saive che era stato immedia­tamene messo al lavoro con due diversi inca­richi: perfezionare il suo progetto di fucile con otturatore oscillante (che avrebbe poi dato ori­gine allo FN 49 ed al FAL), riprodurre ed in­dustrializzare il progetto della HP. Saive e tutti i dirigenti F.N. in esilio si rendevano benissi­mo conto che se la Gran Bretagna avesse messo in produzione la High Power il danno

to grande da risultare fatale anche dopo la fi­ne dell’occupazione nazista; per questo mo­tivo il suo lavoro sulla HP «albionica» proce­deva abbastanza a rilento.

L’abilità con cui Joassart, Laloux, Saive ed altri riuscirono a condurre l’operazione HP- Inglis e a «sabotare» i piani di fabbricazione della HP in Gran Bretagna meriterebbe un li­bro a parte. Purtroppo lo spazio è tiranno e dovremo accontentarci di ricordare che, una volta ottenuto l’appoggio di Val Browning, pre­sidente della J.M. & M.S. Browning Compa­ny (Soc. nata per commercializzare le armi di progetto Browning) e titolare dei diritti connes­si all’uso del nome Browning, gli esuli belgi riuscirono a far approvare un piano per la fab­bricazione di 200.000 HP negli stabilimenti In-

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dei programmi britannici. In cambio dell’as­sistenza nella nuova stesura ed industrializ­zazione del progetto la F.N. e Val Browning ottennero che, alla fine della guerra, la Inglis avrebbe cessato ogni attività connessa con la fabbricazione della HP ed avrebbe ceduto i re­lativi macchinari alla F.N. Fu inoltre accorda­ta una royalty del 5% su ogni esemplare pro­dotto in eccesso dei 200.000 previsti per il con­tratto cinese; per questi la royalty doveva es­sere solo dello 1,5%.

Una volta sistemata la parte «burocratica» il lavoro iniziò con ritme febbrile. Per la verità il lavoro di riprogettazione era già iniziato da tempo usando diversi esemplari di HP prebel­liche (alcuni forniti direttamente dai cinesi) per rilevare le quote. Pur essendo abbastanza di­giuni della progettazione ed industrializzazio-

vano svolto un lavoro egregio (problemi signi­ficativi erano venuti solo dalla geometria del caricatore) e, con l’aiuto di Saive e Laloux, le prime Inglis teste di serie iniziarono i collaudi nel gennaio 1944. Il lavoro di riprogettazione fu compiuto a tempo di record e lo stesso l’o­pera di industrializzazione e la preparazione delle linee produttive. I tecnici della Inglis ave­vano iniziato il loro lavoro su HP prebelliche col primo tipo di profilo a camme per il disim­pegno della chiusura; inoltre l’opera di con­versione delle misure da millimetri a frazioni di pollici e l’uso di acciai diversi avevano por­tato a leggere differenze su alcune quote con conseguente incompleta intercambiabilità del­le parti fra HP di produzione F.N. ed HP In­glis. Abbastanza insignificante sul piano pra­tico e tutto sommato comoda per la F.N. dal

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N o. 1 e N o. 2 a confronto, entram be le pisto­le sono della serie M k 1 *.

chiamo che inglis avrebbe cessato la produ­zione di HP con la fine della guerra) la non completa intercambiabilità venne considera­ta come ininfluente (e forse anche benvenu­ta!). Ben diverso il discorso per quanto riguar­dava il profilo a camme nel tenone: anche se non nell’immediato, poteva esser fonte di gravi inconvenienti; le esigenze belliche obbligava­no ad iniziare la produzione senza por tempo in mezzo e così fino a tutta l’estate del 1944 le Inglis montavano canna di vecchio tipo. So­luzione definitiva a questo e ad altri problemi

estrattore e caricatore) venne con la modifi­ca Mk I* apportata su tutte le Inglis prodotte dal settembre 1944 e come retrofit anche su parte degli esemplari antecedenti mediante sostituzione di canna, carrello ed espulsore. Da notare che le parti costituenti la modifica Mk I* sono definite ufficialmente come Mk II anche se le pistole complete allo standard de­finitivo sono denominate solo Mk 1 *. Destinate all’Esercito cinese, le prime Inglis prodotte fu­rono del tipo con alzo tangente e calciolo amo­vibile, come richiesto appunto da quell’eser­cito; ricevettero la denominazione No. 1 Mk I mentre per quelle con mire fisse la denomi­nazione assegnata fu NJo. 2 Mk I. Dopo l’in­troduzione della modifica Mk I* le denomina­zioni, per le armi di nuova produzione e per quelle sottoposte a retrofit, divennero No. 1

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Le scritte sul carrello di una N o. 2 M k 1*.

Punzoni di accettazione canadesi costituiti da D C P (Dom inion of Canada Proof) con bandie­re incrociate su fusto e carrello; C m aiuscola

tro al D C P ; sulla camera di scoppio erano inol­tre presenti due bandierine incrociate (l ’esem ­plare riprodotto in foto monta una canna 7,65

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G li ultimi lotti di H P Inglis prodotte avevano matricole (su canna, fusto e carrello), bandie­rine incrociate sulla cam era di scoppio e «dia­m ante» pantografati invece che rullati. Il «dia­m ante», ovvero il m archio Inglis iscritto den­tro un rom bo è peculiare di queste armi.

Nonostante che fosse intenzione dell’Eser­cito Cinese procurarsi prima 200.000 e poi ben300.000 Inglis, solo un numero relativamen­te limitato di pistole fu consegnato alle trup­pe del Celeste Impero. Non dispongo di dati precisi al riguardo ma, poiché sono state pro­dotte in totale circa 50.000 No.1 (fra Mk I e Mk T) e l’Esercito Cinese non ha ricevuto No. 2 ma solo pistole con alzo tangente, si può so­lo concludere che il totale delle Inglis cinesi è considerevolmente inferiore a 50.000 pezzi poiché una parte imprecisata di No. 1 è an­data alle truppe canadesi e britanniche. Del­le No. 1 andate all’Esercito Cinese, solo le Mk I sono state marcate di fabbrica con gli ideo­grammi sul carrello. Tutte le pistole prodotte dalla Inglis furono consegnate alle FF.AA. ca­nadesi che dovevano provvedere all’accetta­zione ed al successivo smistamento agli utenti finali: le stesse FF.AA. Canadesi, quelle Bri­tanniche e quelle Cinesi. Le pistole destinate fin dall’inizio alle FF.AA. Canadesi ed a quel­le Britanniche avevano una T nella matrico­la; sia fra le pistole britanniche che fra quelle canadesi si trovano però esemplari con le let­tere CH nelle matricole, lettere che stavano a significare la destinazione «cinese».

La storia delle HP Inglis sarebbe lunga ed

di spazio impediscono di dilungarsi oltre (non posso però non ricordare come i tecnici Inglis svilupparono un sistema per il quale, invece che da forgiato, i fusti delle HP canadesi ini­ziavano la loro vita come sagome ritagliate da lastre di acciaio dei corretto spessore attra­verso l’ossitaglio; del pari è da ricordare che diverse modifiche di dettaglio studiate dai tec­nici Inglis furono poi incorporate anche nella produzione F.N. postbellica). Terminata defi­nitivamente con la resa del Giappone la II Guerra Mondiale, la John Inglis cessò di pro­durre HP nel settembre 1945 dopo un totale di 151.000 pezzi realizzati.

Con l’abbandono delle produzione di HP la John Inglis uscì dal settore delle armi da fuo­co (negli anni ’50 fu fatto un tentativo per di­stribuire in Canada i prodotti F.N. ma questa impresa fu di tipo commerciale e non produt­tivo); come da accordi presi nel 1943 tutti i macchinari furono messi a disposizione della F.N. che però non li portò in Belgio giudican­do antieconomico l’impegno finanziario neces­sario anche perché si trattava di macchine non standardizzate col restante parco F.N. Con l’u­scita di scena della John Inglis non cessa pe­rò la storia delle HP canadesi; i macchinari de­stinati alla F.N. e da questa rifiutati furono de-

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Da più fonti definite com e prototipi di conce- none Inglis, le «Lightw eight» H P furono inve­ce opera della Canadian Arsenals. R im ase la scritta Inglis perché mentre i fusti vennero rea­izzati ad hoc i carrelli usati furono prelevati tal m agazzino ricambi. Notare il particolare Ielle fresature di alleggerimento.

Xbbandonata nel 1979, la «C apitan» è stata 'enduta p e r m olti anni quale contraltare civi-

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La Capitan col calciolo fondina ed il caricato­re m aggiorato da 20 colpi. Capitan e « T » a confronto.

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una impresa governativa) dove vennero im- liegati per produrre un numero imprecisato li esemplari completi di No. 2 Mk I* ma so- iratutto per realizzare ricambi da impiegare ulle pistole delle FF.AA. Canadesi; i Cana- lian Arsenal hanno svolto una discreta mole li lavoro in questo settore e nel 1971 misero i punto una procedura standard per conver- re le No. 1 in No. 2 attraverso la fresatura lell’alzo tangente e la sua sostituzione con un ilocchetto, brasato in loco, incorporante una acca fissa. L’attività del Canadian Arsenal on si è limitata solo a questo ma ha conti- uato a svolgere opera di ricerca con la pro- ettazione e realizzazione di prototipi «Light­weight» che avevano fusto in lega e carrello lleggerito (alcuni anche accorciato a simili- jdine di quanto fatto, in quegli anni, dalla Colt on la Commander). Le «Inglis» alleggerite (fu- jno usati carrelli Inglis opportunamente fre- ati mentre i fusti vennero realizzati ex noto) aggiunsero lo stadio prototipico e vennero primentate anche dall’Esercito di Sua Mae- tà Britannica, non andò invece oltre la pro- ettazione una proposta High Power a dop- ia azione.

FABRIQUE NATIONALE DOPO LA GUERRA

L’accorta opera di protezione dei diritti di proprietà svolta dagli esuli dirigenti della F.N. fornì uno dei pilastri su cui si è basata la rina­scita della fabbrica belga. Dalla fine della guer­ra ad oggi la High Power è stata la pistola mi­litare più diffusa (come numero di Paesi che la hanno adottata) del mondo occidentale e la 1911/1911 A1 può vantare una maggiore quantità di pezzi prodotti grazie alle imponenti commesse statunitensi del periodo bellico; dal ’46 ad oggi sono però di più le HP prodotte e vendute che non le Colt (solo la F.N. oltre1.500.000 esemplari). Qui di seguito sono elencati alcuni dei Paesi acquirenti (per i ri­spettivi eserciti o comunque per agenzie go­vernative o corpi di polizia) di grande Puissan- ce a partire dal 1944: Austria, Belgio, Cam­bogia, Colombia, Danimarca, El Salvador, Olanda, Indonesia, Libano, Paraguay, Porto­gallo, Siria, Regno Unito (che ha agito anch per conto di diversi Paesi del Commonwealth i quali hanno ordinato le L9A1 ; queste altro non sono che F.N. modello standard del 1965

P con i m archi B row ning del prim o tipo; di /andò cioè la Società aveva sede a Saint

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I m archi della Brow ning am ericana sono stati di a lm eno 6 tipi diversi contando anche quel­lo del centenario; qui riprodotto un disegno F .N . con le indicazioni del V tipo di m archio com m erciale.

H P con i m archi Brow ning del secondo tipo apposti da quando è stata aperta anche la B row ning Arm s. C o o f Canada con sede a

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on appositi marchi), Venezuela, Germania vest, Jugoslavia, Congo belga, Taiwan, Iraq, liappone, Lussemburgo, Nicaragua, Perù. Capitan (la versione civile con alzo tangen-

ì), Vigilante, Sport; sono alcuni dei nomi con ui sono state o vengono vendute nel Mondo i diverse versioni civili delle HP, pistole che ano avuto ed hanno una importanza premi­ente nel panorama mondiale del commercio i armi corte civili. Nel panorama delle HP «ci- ili», diverse da quelle militari solo e non sem- re per le finiture, uno spazio speciale merita nome Browning. Come abbiamo visto poco t, titolare dei diritti connessi con l’uso del no­ie Browning era la J.M. & M.S. Browning Co. Ila quale venivano pagate royalties per ogni rma prodotta dalla F.N. recante il nome Brow- ing; liquidata nel 1951 questa società fu so­

stituita dalla Browning Arms Co. che, verso la metà degli anni '50, iniziò la commercializ­zazione di prodotti F.N., fra i quali anche la HP, sul mercato americano. Nel 1958 fu creata anche la Browning Arms Co. of Canada con sede a Montreal, la cui proprietà era divisa tra Browning (70%) e F.N. (30%). Fino al 1977 le HP vendute ad enti governativi e corpi di polizia erano responsabilità del Bureau de De- fence et Securité (BDS) mentre le HP «civili» venivano commercializzate sotto il marchio F.N. (F.N. Sport) oppure, in Gran Bretagna e Canada, con quello Browning. Nel 1977 la F.N. ha acquistato la Browning ed oggi usa questo nome (Browning Division) per tutte le vendite sui mercati civili; quelle militari resta­no responsabilità del BDS.

Salvatore Giuliano con al

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DERIVATI E COPIE

COMPET1TION

Nata quale arma militare e da polizia, la HP ha una precisione più che adeguata per i pre­vedibili impieghi fra i quali non figurano però le competizioni di tiro accademico. Non ba­stava certo l’aggiunta di una tacca di mira re­gistrabile (mod. Sport del 1971) per fare della HP una pistola da tiro e, solo col Mod. Com- petition, si è cercato di spremere a fondo ciò che il disegno dell’arma poteva dare in termi­ni di precisione. Sulla Competition le tolleranze sono considerevolmente più contenute che non sugli altri modelli civili e questo aiuta non poco ma par ottenere le prestazioni richieste è stato necessario sviluppare una canna nuo­va («stretta» di camera, con free bore conte­

nuto, più lunga e dotata di contrappeso che tende a caricare dall’alto in basso aiutando nella precisa ripetizione del posizionamento tra un colpo e l'altro) e migliorare drasticamen­te le caratteristiche dello scatto. A questo sco­po la catena di scatto è finita a mano, ha tol­leranza ancora più ridotte e sono stati appron­tati un nuovo tipo di sicura al caricatore non­ché un cane ed una leva di scatto di nuovo disegno. Per completare l’opera la Competi­tion è corredata di mire micrometriche conce­pite in modo da offrire definizione ed allinea­mento quanto più possibile elevati. Per la pri­ma volta su una pistola F.N. le guancette so­no di serie Pachmayr in neoprene.

Nonostante la denominazione, il Mod. «Sport» è sem plicem ente una norm ale H P alla quale

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S e la Sport è solo una H P standard (V igilan­te) con m ire registrabili, ben diverso il discor­so riguardo alla G P Competition; quest’ultima, nonostante la notevole som iglianza con la Vi­gilante, è un'arm a da tiro a tutti gli effetti.

F.N. FAST ACTION

All’ inizio degli anni 7 0 iniziarono alla F.N. gli studi per una nuova famiglia di pistole de­stinata a soppiantare la High Power; si pen­sò in principio di usare quante più componenti fella HP fosse possibile. Intenzione dei pro­gettisti era quella di mantenere una elevata somunanza di parti tra le armi appartenenti alla stessa famiglia (l’obiettivo ideale sareb­be stato quello di poter ottenere le varie pi­stole solo sostituendo alcune delle parti), que­sto fatto ed il perfezionamento delle tecniche fi pressofusione portarono in breve all’abban- Jono dell’idea di usare alcune parti della HP ; ad usare invece fusti e carrelli concepiti ex- ìovo e pressofusi (rimaneva solo una simili- udine formale con la vecchia HP). La fami­glia di pistole avrebbe dovuto comprendere tre fiverse versioni tra loro differenti per le dimen­sioni (standard, media, compatta) ed ognuna felle tre versioni poteva essere richiesta co- ne: singola azione, doppia azione e «Fast Ac- ion». Quest’ultimo termine descrive una ca- ena di scatto messa a punto dalla F.N. ed in ¡rado di ovviare ai difetti della doppia e della

Cuore della Fast Action era un cane di par­ticolare concezione composto da due parti di­stinte che potevano essere mantenute sepa­rate o unite a seconda del bisogno. Una volta camerato il colpo, col cane, inteso come com­plesso, armato bastava una pressione in avan­ti per portare il cane vero e proprio a riposo dove veniva bloccato da un arresto; la molla cinetica rimaneva però compressa e carica­va un elemento anulare (l’altra parte del com­plesso «cane») tenuto separato dal cane tra­mite una molla. Iniziando la pressione sul gril­letto il cane era liberato dall'arresto e torna­va indietro richiamato dalla molla che lo teneva separato dall’elemento anulare al quale rima­neva solidale dopo essere ritornato in posizio­ne di fuoco. Continuando la pressione sul gril­letto veniva sbloccato il percussore e sgancia­ta la leva di scatto liberando il «complesso ca­ne» nel suo insieme che andava a percuote­re il percussore sotto la spinta della molla ci­netica. Sembrava l’uovo di Colombo ma la Fast Action aveva dei difetti capitali quale ar­ma militare: troppi pezzi, troppo complessi, troppo piccoli, troppo fragili, troppo soggetti all’influenza di corpi esterni. Fu un fiasco eia-

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dell’U.S. Air Force prima e dell’U.S. Army do­po venne ben presto abbandonata (sono sta­ti realizzati solo 11 prototipi) prima ancora del­la fine dei trials statunitensi conclusi, come tut­ti sanno con la vittoria della Beretta 92F.

Esploso della F .N . Com petition.

F.N. DOPPIA AZIONE

Fin dal 1952 la F.N. disponeva già di una versione a doppia azione della HP. Questa era stata progettata da Saive che, partendo da un fusto standard, sviluppò un’arma con pochi punti di contatto coll’originale. Doppia azone con barra esterna tipo P 38, pacchetto di scat­to estraibile, canna con sistema di svincolo completamente nuovo raggruppante in un uni­co pezzo rampa di invito e camma per abbas­samento ed innalzamento della culatta. Un ve-

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ro capolavoro, funzionale e piacevole da ve­dersi; poiché però a quei tempi le HP si ven­devano come panini caldi la dirigenza F.N. (che pure aveva commissionato il lavoro a Sai- ve) decise di lasciare le cose come stavano e la doppia azione finì nel limbo delle cose che potevano essere.

Passati venti anni dalla doppia azione di Sai- ve troviamo la F.N. al lavoro sul programma per la famiglia di pistole destinate a soppian­tare la HP. Come scritto in precedenza una delle appartenenti a questa famiglia doveva essere la nuova HP a doppia azione, pistola che è oggi giunta alla sua terza e definitiva riconfigurazione. La prima HP DA faceva uso, come l’antenata di Saive, di un fusto della HP «standard» modificato; abbandonata l’ idea di usare componenti della HP «standard» si pas­sò alla prima serie con fusto e carrello gettati (sia la prima che la seconda serie di pistole avrebbero dovuto comprendere anche i mo­delli Fast Action); da notare che nei fusti get­tati la metà inferiore del telaio dell’impugna­tura non contiene parti in movimento ed è quindi facilmente «accorciabile» per dare ori­gine ai modelli compatti. L’eliminazione del­

la manuale con un semplice abbatticane am­bidestro ed una modifica all’estrattore hanno porato alla HP Doppia Azione Terzo Modello.

Piuttosto classica concettualmente, la HP DA è caratterizzata da una originale soluzio­ne per quanto riguarda il fermo del percusso­re (soluzione adottata anche sulla defunta Fast Action). Invece del solito pistoncino o di un blocco prismatico, sulla DA si fa uso della pia­strina reggipercussore per arrestare ogni mo­vimento del percussore e per schermarlo dal cane se il grilletto non è premuto a fondo cor­sa. Caricata a molla la piastrina è normalmen­te spinta verso il basso bloccando il percus­sore (per interazione tra una spallatura rica­vata nella piastrina e la testa del percussore stesso opportunamente sagomata) e scher­mandolo dall’impatto del cane (la piastrina è piuttosto spessa e quando arresta il percus­sore ne contiene anche tutta la testa).

Esploso della Fast Action che avrebbe do vu­to utilizzare un fusto d i H P con m odifiche ri-

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& 185

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Concettualmente semplice, non molto co­stosa nella realizzazione ma valida per dise­gno ed esecuzione (è pur sempre una F.N.) la Doppia Azione dovrebbe segnare la fine de­finitiva della normale HP; per i patiti della sin­gola azione è poi prevista una versione così modificata della DA.

LE COPIE

Adottata da molti Paesi la HP è stata pro­dotta su licenza solo in quattro di questi; ol­tre al Canada (produzione autorizzata solo per la durata della guerra) hanno ottenuto la licen­za di fabbricare HP: Argentina Venezuela e Nigeria. Tenace nemico della concessione di licenze di fabbricazione Laloux (Direttore Ge­nerale della F.N. dal dopoguerar alla fine de­gli anni ’60) considerava questo tipo di affare

Due viste del prototipo, preparato da Saive nel 1952, p e r una versione «doppia azione» della H P.

La «doppia azione» di Saive smontata nelle

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come il classico allevamento della serpe in se­no ed aveva inoltre paura di affiancare il no­me F.N. a produzione non qualificata. Cana­da a parte gli altri Paesi che hanno ottenuto la licenza a produrre HP sono stati costretti a pagare cifre notevoli (comunque sempre più economiche nel lungo periodo che non l’ac­quisto delle armi direttamente dal fabbrican-

Esploso della «doppia azione» prim o tipo che, al pari della Fast Action, avrebbe dovuto usa­re un fusto H P con m odifiche ridotte al mini­mo.

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te) ed a seguire una lunga trafila che iniziava con l’assistenza della F.N. per il montaggio in loco di pistole con parti provenienti dal Bel­gio. Le paure di Laloux non erano certo de­stituite di fondamento, basti pensare al caso dell’Argentina che produce HP presso la Fab­brica Armas Portátiles Domingo F. Matheu di Rosario: sono attualmente offerte sui merca­

ti internazionali (in primo luogo quelli Sud Americani) sia una versione militare con mire fisse che una civile con mire registrabili di di­segno argentino.

Se le copie argentine sono autorizzate lo stesso non è vero per quelle indonesiane ed ungheresi. Per lo meno le Pindad, cosi si chia­mano le copie indonesiane delle HP degli anni

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Sezione illustrante il funzionam ento della «doppia azione» e della sicura al percussore.

La «doppia azione» terzo tipo (la seconda ad usare fusto e carrello pressofusi), deriva dal­la prim a p e r semplificazione di alcune parti e l ’abbandono della sicura manuale sostituita da

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’50, sono state prodotte per uso interno (cir­ca 30.000 esemplari alle FF.AA. indonesiane). Ben diverso il discorso riguardo alle FEG FP9: copie non autorizzate delle HP post '62 che, quale unica differenza, possono vantare una bindellina ventilata in più. Si tratta di armi po­co costose ma fabbricate con metodologie tra­dizionali che, a partire dal 1982, vengono of-

civile americano, proprio come alternativa eco­nomica alla HIP. Non contenti delle FP9 alla FERUNION ne hanno sviluppato anche dei derivati a doppia azione con caricatore da 14 colpi e sicura di tipo Walther sul carrello: le P9R con fusto in acciaio e le identiche P9RA che hanno però il fusto in lega.

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Versione civile della H P prodotta su licenza

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•>

ZE G FP 9 , copia m agiara della H P dalla qua- e si differenzia solo p e r la presenza di una Piccola bindella ventilata.

LA NAACO BRIGADIER

Copia per certi aspetti, concettualmente ori­ginale per altri la pistola della North American Arms company di Torono fu un tentativo per combinare alcune caratteristiche dell’HP con una megacartuccia .45 NAACO (del tutto iden­tica alla odierna .45 Winchester Magnum) ed una interessante catena di scatto a doppia azione completamente estraibile come sottoin­sieme completo dall'arma, il tutto montato su un fusto in lega. Realizzata solo allo stadio pro-

ferivata formalmente dalla H P , la sfortunata totipico (un solo esemplare costruito a mano)M A C O Brigadier fu però una pistola in cui ¡a Brigadier mancò di attirare interesse da par-

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La N A A C O Brigadier smontata nelle sue com - nata (stranamente per il calibro); il suo man- ponenti essenziali. cato immediato successo portò alla bancarotta

della NAACO che sparì dalla scena facendo «morire» il progetto della Brigadier e quello del­la derivata pistola mitragliatrice Borealis che-----------u i — ~ i : i f.

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SMONTAGGIO H.P.

A) Togliere il caricatore ed accertarsi, con­trollando più volte, che non ci sia colpo in ca­mera.

B) Arretrare il carrello e bloccarlo usando la sicura (foto 1). Premere, da destra verso si­nistra, sulla testa del perno dell’hold-open ed estrarre il tutto dal fusto (foto 2). Trattenendo saldamente il carrello (la molla di recupero è alla massima comprensione) lo si libera dal vincolo della sicura facendolo, successiva­mente, scorrere sulle guide fino a separarlo dal fusto. Con II carrello capovolto (osservate bene la posizione del guidamolla perché que­sto deve essere rimontato nello stesso modo per poter riassemblare carrello e fusto) pre­mere, verso la volata, sulla testa del guidamol-

3

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la (foto 3), sollevarla ed estrarre molla e gui- damolla. La canna esce dalla parte inferiore del carrello (foto 4) completando così lo smon­taggio da campo (foto 5).

C) Lo smontaggio del carrello si inizia pre­mendo, con un cacciaperni 0 3, sulla testa del percussore fino a quando la stessa non disimpegna la piastrina reggipercussore che è così possibile far scorrere verso il basso (foto6) . Nel togliere la piastrina fate attenzione che il percussore non schizzi via sotto l’azione del­la sua molla antagonista. Tolta la piastrina si estraggono percussore e relativa molla (foto7) .

L’ulteriore smontaggio del carrello si diffe­renzia a seconda del periodo di produzione dell’arma.

C,) HP prodotte dal 1935 al 1962.L’estrattore è simile a quello della Govern­

ment Model e viene smontato nello stessoi modo: si fa entrare l’unghia nel canale (foto8) e si estrae l’estrattore dalla parte posterio­re del carrello. Tolti percussore ed estrattore, fi

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perno che collega la leva di rinvio al carrello (foto 9) e se ne completa l’estrazione tirando la piastrina che fuoriesce dal fianco del car­rello. Basta capovolgere il carrello e la leva di rinvio esce, per gravità, dal carrello (foto 10).

C2) HP post-belliche del 1961.L’estrattore è una leva caricata da molla eli­

coidale e si separa dal carrello dopo aver tol­to la spina elastica di collegamento (foto 11).

Anche la leva di rinvio è collegata al carrel­lo da una spina elastica visibile subito sotto l’estrattore (foto 12).

D) Prima di poter lavorare sulla meccani­ca del fusto è necessario togliere le guancet- te (foto 13). La leva di scatto è bloccata da una spina (foto 14) che serve anche per stabiliz­zare l’espulsore (altrimenti pivottante sulla si­cura). Tolta la spina (operazione da eseguire a cane abbassato) si estrae la leva di scatto dalla parte superiore dei fusto (foto 15).

Trattenendo il cane in posizione di armna- mento si comprime la molla cinetica ed è co­sì possibile rimuovere la molla a lamina della leva di scatto (foto 16).

Con l’espulsore ruotato verso il basso (vie­ne a trovarsi in posizione normale rispetto a quella corretta) si può estrarre, verso sinistra, la sicura (foto 17). La rimozione della sicura libera il cane che si pu così estrarre, dalla parte superiore del fusto, insieme a molla e guida- molla (foto 18).

Il guidamolla è collegato al cane da un per­no e la molla è trattenuta da una corona cir­colare internamente filettata (foto 19) e bloc­cata da una spina di sicurezza che ne impe­disce l’allentamento accidentale. Per separare molla e guidamolla è necessario avvitare la co­rona circolare fino a quando questa non è più in contatto con la spina di sicurezza; una vol­ta tolta la spina si svita la corona circolare fi­no a liberare la molla (attenzione: la molla è ancora compressa e può schizzare via).

Per rimontare il tutto la cosa più semplice è disporre di una morsa nelle cui ganasce stringere il guidamolla. Dopo aver tolto il ca­ne con molla e guidamolla anche l’espulsore è libero e può essere separato dal fusto (foto 20) .

E) Il ritegno caricatore è morfologicamen­te identico a quello della Colt e si smonta nel­lo stesso modo: basta premere a fondo II pul-

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E

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19 20

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sante e far ruotare verso sinistra la testa del pezzo che collega il ritegno al fusto (foto 21), tutto l’ insieme si estrae ora verso destra. La separazione delle componenti del ritegno è possibile facendo ruotare, verso destra, il pez­zo che prima è stato ruotato a sinistra. Atten­zione alla molla che è sempre compressa (foto 22).

F) Il grilletto è imperniato su una spina pas­sante (foto 23) nella quale è ricavata una go­la dove entra un braccio della molla del gril­letto (foto 24).

Per smontare il grilletto si dovrà, per prima cosa, disimpegnare la molla dalla gola e suc­cessivamente, con un appropriato cacciaper- ni, far uscire la spina dal fusto. Una volta li­bero, il grilletto deve essere traslato in avanti e fatto ruotare (all’interno della guardia) ver­so il basso in modo che fuoriesca dal fusto. Sul grilletto sono presenti due spine: la ante­riore che blocca la molla e la posteriore che trattiene la sicura al caricatore (costituita da un piedino a forma di T e da una piccola mol­la a spirale). La leva del grilletto è trattenuta dal braccio della molla che blocca anche la spina passante e dalla opportuna sagomatu­ra della parte inferiore della leva e della sua sede nel corpo del grilletto.

RIMONTAGGIO: oltre a rovesciare le pro­cedure descritte ed a tenere conto degli av­vertimenti già fatti è bene tenere presenti al­cuni punti.

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?4a) Dopo aver bloccato in morsa ¡1 guidamol-

la della molla cinetica si inserisce la stessa e la si tiene compressa al massimo (attenzione, se schizza via è pericolosa) avvitando la co­rona circolare di fermo fino a passare il foro, nel codolo del guidamolla, entro cui deve es­sere inserita la spina di sicurezza. Una volta inserita la spina si svita la corona circolare fi­no a quando non contrasta con la spina stes­sa. La spina impedisce l’allentamento della co­rona e questa blocca, a sua volta, l’eventua­le fuoriuscita della spina dal foro.

b) Nel rimontare la leva del grilletto ci si assicuri, sempre, che la sede sulla stessa venga correttamente impegnata dal braccio della molla.

c) Non avendo a disposizione 4 mani (an­che 3 sarebbero bene accette) il rimontaggio della leva di scatto è alquanto difficoltoso. Per­sonalmente seguo una procedura alquanto ri­dicola a vedersi, che forse farà rivoltare Brow­ning nella tomba a storcere il naso a molta gente; c ’è però un piccolo particolare: per me ha sempre funzionato bene! Una volta rein­stallata la molla a lamina (tenendo il cane a tutta monta in modo che la molla cinetica la­sci spazio al piede di quella a lamina) la bloc­co con una molletta per panni; con la mano sinistra tengo il cane armato e con la destra metto nella giusta posizione espulsore e leva di scatto; quando i fori del fusto, della leva di scatto e dell’espulsore sono allineati inserisco (con la bocca!!) un cacciaperni 0 2 che mi tiene così a posto i vari pezzi. Usando una grip, fra le cui ganasce inserisco due spessi pezzi di cuoio, comprimo al massimo la parte superiore della leva di scatto, basta ora inse­rire la spina togliendo, nel contempo, il cac­ciaperni; naturalmente il cane deve essere trattenuto, nella sua estrema posizione retro­grada, perché non prema sulla leva di scatto.

Stampa: Grafiche Consolini (Bo) Allegato alla rivista Diana Armi

' T u t t i i H i n t t i c n n n r i c p r v t i t i

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A cura di:

VITTORIO BALZI

IIL FUCILE D’ASSALTO

Graecia capta ferum vìctorem cepit\ al pari della Grecia, sconfitta ed occupata dai roma­ni, la Germania del 1945, sconfitta ed occu­pata anch’essa, «conquistò» i suoi ex-nemici. Se l’influenza greca sulla vita dei romani si manifestò nel campo della cultura e del co­stumi sociali, quella dei tedeschi interessò pe­santemente tutta la ricerca scientifica (con l’eccezione, visto che stiamo parlando degli scienziati del III Reich, della fisica relativisti­ca) e tutte le tecnologie suscettibili di un qual­che impiego bellico nonché il pensiero milita­re vero e proprio.

I frutti dell’influsso germanico furono note­voli anche nello sviluppo delle armi leggere e delle relative tattiche di impiego; l'arma di cui ci occuperemo in queste note ne è un esempio tra i più significativi visto che è stata sviluppata tenendo ben presenti gli insegna- menti della II Guerra Mondiale ed avendo co­me ispiratore quello Stg. 44 che è l’archetipo di tutti i fucili di assalto.

L’origine storica del termine «fucile d ’assal­to» trova le sue radici nella Germania nazista dove, a guerra già Iniziata da un pezzo, nac­que questa denominazione onde indicare un arma lunga da fanteria camerata per munizio­namento intermedio (quello da pistola risultava troppo poco potente e con scarsa gittata, quel­lo da fucile balisticamente esuberante e po­co controllabile nel tiro a raffica), leggera, pre­cisa (anche se su leggerezza e precisione del­lo Stg. 44 si potrebbero avanzare diversi com­menti assai malevoli), di costruzione sempli­ce, dotata di caricatore amovibile a grande ca­pacità e della possibilità di tiro selettivo.

Se è vero che i tedeschi sono stati i primi a «congelare» il concetto di fucile d ’assalto ed a materializzarlo In un arma operativa, è al­trettanto vero che già altri Paesi avevano svi­luppato o stavano sviluppando armi ricondu­cibili, in qualche modo, al comune denomina­tore dell'arma di assalto; che poi queste armi venissero sviluppate come carabine, fucili o

mitra e come tali si cercasse di impiegarle, stà solo a dimostrare una grande confusione dot­trinaria ed a livello Industriale, confusione che impedi, prima dello Sturmgewehr, di riunire in un unico disegno tutte quelle caratteristi­che che fanno un vero fucile d’assalto, ma so­prattutto impedì di concretizzare le reali esi­genze tattiche (esigenze da molti non compre­se anche dopo la guerra), la cui attenta con­siderazione avrebbe da sola, come accadde poi in Germania, portato allo sviluppo del fu­cile d ’assalto.

Fin dall’inizio del 900 sono stati studiati e prodotti fucili capaci di tiro selettivo (primo fra tutti fu il Cei-Rigottl progettato dall’omonimo Capitano dei Bersaglieri; quest’arma rappre­senta una pietra miliare nello sviluppo del fu­cili automatici visto l’allora rivoluzionario siste­ma di sfruttamento diretto dei gas di sparo; non aveva difetti sostanziali ma venne condan­nata dalla mentalità del tempo che conside­rava pienamente adeguato alla bisogna II co­mune bolt-action e paventava l’enorme quan­tità di munizioni necessaria dotando le trup­pe combattenti di un arma automatica indivi­duale) ma nonostante alcune limitate adozio­ni queste armi, quando non davano grattaca­pi a causa della meccanica, risultavano con­dannate fin dall’ inizio dal fatto di essere ca­merate per munizioni balisticamente esube­ranti. Due sole armi preconizzarono, almeno parzialmente, il fucile d’assalto e non è un ca­so se entrambe usavano munizionamento di­verso da quello dei fucili della fanteria (la chia­ve per realizzare un vero fucile d ’assalto stà proprio nel munizionamento). Queste due ar­mi sono: il MAB 38 e la carabina M1/M2 (M2 è la versione con tiro selettivo); il MAB, vista l’impostazione generale, la lunga canna, la ca­pacità di tiro selettivo, la bassa cadenza nel tiro a raffica (600 colpi al primo) e la munizio­ne impiegata (quella 9 M 38 prodotta dalla Fiocchi capace di surclassare qualsiasi altra

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( >

MP43 smontato.

cartuccia usata sui mitra, altro non era che una 9 Parabellum particolarmente esasperata) aveva una portata utile molto superiore a quel­la di qualsiasi mitra coevo (anche se i 500 me­tri dell’alzo erano un tantino ottimistici) il che gli consentiva di colmare, almeno parzialmen­te, quel gap esistente tra le p.m. ed i fucili della fanteria ma non di ricoprire il ruolo di tutte e due queste armi (in verità, neanche oggi il fu­cile d’assalto può completamente sostituire la p.m.)- La carabina M1 venne sviluppata per prendere il posto (a livello di serventi, sottuf­ficiali e ufficiali inferiori) della pistola 1911 A1 ma finì con l’affiancarsi alle altre armi già esi­stenti ponendosi, al pari del MAB, in posizio­ne intermedia tra mitra cal. 45 ACP e Garand. La M1 e soprattutto la M2 avrebbero potuto essere dei fucili d ’assalto, almeno in nuce, se non fossero state handicappate dalla cartuc­cia che, nonostante sia stata sviluppata ad hoc, era balisticamente troppo vicina a quel­le da pistola. In ogni caso sia il MAB che la M1/M2 trovarono utile impiego su tutti i fronti e fino all’avvento dello Stg. 44 furono le armi più «polivalenti» impiegate dai contendenti nel­la Seconda Guerra Mondiale (ad onor del ve­ro anche il PPSh sovietico può essere assi­milato, come polivalenza, al MAB).

Già dopo la Prima Guerra Mondiale i tede­schi cominciarono a ritenere balisticamente

esuberante la loro 8 x 57 e pensarono quindi di sostituirla con una munizione meno poten­te conseguendo così grossi vantaggi sia tatti­ci che strategici. La logica seguita dai gruppi militari ed industriali favorevoli al calibro in­termedio è ineccepibile e si può riassumere con poche parole. Difficilmente un combatti­mento comporta scambio di fuoco di fucil e- ria a distanze eccedenti i 300/400 metri ed è parimenti difficile che un normale fante (non un tiratore scelto) possa impegnare, con spe­ranza di successo, bersagli puntiformi a di­stanze superiori: è quindi sufficiente una mu­nizione con una gittata utile inferiore a quella delle normali munizioni, questa cartuccia sa­rà più piccola e leggera, se ne potranno por­tare maggiori quantità a parità di peso, dimi­nuendo il carico del supporto logistico e/o au­mentando il volume di fuoco del singolo com­battente. Su un piano strategico la cartuccia intermedia costa di meno e necessita di una minore quantità di materiali pregiati per la sua fabbricazione. In questa ottica, già nel 1934 l’Heereswaffenamt (organismo preposto agli armamenti) aveva incaricato diverse ditte di studiare una cartuccia che potesse soppian­tare la 8 x 57 JS nell’uso con i normali fucili (per le MG si considerava, giustamente, ne­cessario mantenere in servizio l’8 Mauser). RWS (Rheinishe Westfalische Sprengstoff),

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Winter, GECO (Gustav Genshow & Co.) e Pol­te sottomisero vari progetti di munizioni inter­medie; la cartuccia della Polte (7,9 x 30) ven­ne considerata la migliore fra quelle presen­tate e, nel 1941, la sua versione migliorata 7,9 x 33 fu adottata come 7,9 Infanterie Kurz Patrone; nel 1942 ricevette la denominazio­ne Maschinekarbiner Patrone S, nel 1943 quella di Pistolen Patrone 43 m E e, ancora nello stesso anno, divenne definitivamente In­fanterie Kurz Patrone 43.

Le varie denominazioni della cartuccia 7,92x33 riflettono le peripezie dell’arma desti­nata ad usarla: lo Stg. 44. Già nel 1940 ven­nero stipulati contratti con Haenel e Walther per lo sviluppo di un fucile capace di tiro se­lettivo e camerato per la nuova munizione in­termedia; i primi prototipi furono approntati in breve tempo e già nel 1942 circa 7.800 esem­plari di ognuna delle due armi vennero distri­buiti, a scopo valutativo, alle truppe operanti sul fronte orientale; le armi ricevettero le de­nominazioni MKb42 (W) quella della Walther e MKb42(H) quella della Haenel (MKb = Ma­schinenkarabiner). Nel frattem po la Rheinmetall-Borsig (ma c ’è chi dice la Krie­ghoff) aveva sviluppato lo FG42 (Fallschirm­jäger Gewehr 42), arma interessantissima e per certi versi forse più moderna delle MKb42 ma pesantemente handicappata dal fatto di

US Carbi ne M1.

essere camerata per la 8 x5 7 e che proprio In questo trovò la sua fine nonostante venis­se «spinta» dal potentissimo Hermann Goerlng che ne voleva dotare I suoi paracadutisti. Sia la MKb42(W) che lo FG 42 si dimostrarono complessivamente inferiori alla MKb42(H), da questa venne sviluppata, attraverso l’opera di Hugo Schmeisser che già l’aveva disegnata, la MP 43 che fu adottata dal Waffenamt co­me arma d’ordinanza per tutti i componenti della squadra fucileri. La MP 43 divenne suc­cessivamente MP43/1, MP 44 e, finalmente, Stg. 44 (Sturmgewehr 44); sembra che que­sta sorta di odissea sla dovuta al fatto che Hi­tler fosse contrarlo al concetto stesso di mu­nizione intermedia e di arma ad hoc a questa destinata (si dice che il «furbone» considerasse queste armi valide solo per operazioni difen­sive mentre la Wehrmacht doveva sempre e solo attaccare!), è quindi ipotizzabile che la nascita formale (sostanzialmente esso era già nato con la MKb42) del fucile d’assalto sia do­vuta alle ubbie del folle dittatore nazista.

Vediamo ora, almeno brevemente, come era fatto lo Stg. 44; questa arma merita un cenno ogni volta che si parla di fucili d’assal­to e lo merita ancora di più quando oggetto d ’esame è II Kalashnikov, primo e più illustre esponente di tutta una «progenie» che ha nello Stg. il capostlpite.

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Già ad una prima occhiata superficiale lo Stg. 44 risulta quasi futuribile rispetto alle ar­mi coeve o antecedenti anche solo di pochi anni; l’esteso uso di lamiere stampate e la di­visione del fusto in scatola di scatto e scatola di culatta fra loro Incernierate e collegate da un perno sono gli elementi più caratterizzanti dello Stg. 44; più caratterizzanti anche del lun­go caricatore curvo, allora mai visto su armi che non fossero mitra o fucili mitragliatori, e dell’angolo di calcio contenutissimo, anche questa era all’epoca una caratteristica sem­plicemente inusitata per un fucile, per mini­mizzare il rilevamento nel tiro a raffica. Solo il principio scelto per attuare la chiusura era, tutto sommato, abbastanza convenzionale ma non convenzionale ne era la realizzazione. Lo Stg. 44 ha una chiusura stabile che viene sbloccata usando una piccola quantità di gas spillata dalla canna. Quando la pallottola su­pera il foro di passaggio dei gas, una parte di questi passa attraverso il foro e va a premere sulla testa del pistone che retrocedendo fa re­trocedere il portaotturatore, questo dispone di un «gancio» che ne impegna uno corrispon­dente nella parte posteriore dell'otturatore rea­lizzando così un arpionismo che è in presa quando il portaotturatore va Indietro. Dopo una breve corsa a vuoto il portaotturatore (che in realtà portaotturatore non è visto che ha solo funzioni di spinta e non di guida dell’otturato­re che viene guidato dalle pareti interne della scatola di otturazione all’uopo opportunamen­te sagomata) incontra l’otturatore e ne solle­va la parte posteriore liberandone così il risalto inferiore dalla spalla di arresto; una volta li­bero l’otturatore inizia la sua corsa retrogra­da sia perché trascinato dal portaotturatore che sotto la spinta del fondello. L’otturatore oscillante dello Stg. 44 è una soluzione sem­plice e razionale perché permette di contenere al massimo il numero totale delle parti (con un accorto disegno è stato possibile realizza­re in un unico pezzo pistone, guidamolla, asta d'armamento, e portaotturatore, una simile molteplicità di funzioni si trova solo In armi di ben più tarda progettazione) a tutto vantag­gio della robustezza e della economia di rea­lizzazione (facilità ed economia di realizzazio­ne dovrebbero essere uno dei punti salienti di tutti i fucili d ’assalto). L’accorta progetta­zione e l’altrettanto accorta Industrializzazio­ne hanno permesso di raggiungere dei livelli di robustezza e contenuto costo di fabbrica­zione (ovviamente per grandi serie visto che la lamiera stampata ha un suo notevolissimo costo ammortizzabile solo su serie importan­ti) che nessuna arma successiva è stata, fino ad epoca recente, capace di eguagliare. Im- SKS cal. 7,62x39 mm.

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piegando munizioni relativamente corte, co­me la Kurz Patrone 43, l’otturatore oscillante (che nel caso dello Stg. 44 è veramente poco più di un «pezzo di ferro» con ovvi vantaggi di costo) non presenta neanche quegli svan­taggi teorici che potrebbe avere un otturato­re con i risalti di chiusura posteriori quando usato con munizioni abbastanza lunghe a cau­sa del corrispondente eccessivo braccio di le­va che si crea tra faccia dell’otturatore (pun­to di applicazione dell’energia di rinculo) e ri­salti di chiusura. Grazie alla relativa facilità di costruzione in serie lo Stg. 44 raggiunse vet­te produttive altissime se si considera lo sta­to della macchina bellica tedesca (più di 5.000 esemplari al mese già nel febbraio 1944 per arrivare a 55.000 nel novembre dello stesso anno) e solo il collasso del Terzo Reich pose fine alla produzione di questo fucile, produ­zione che stranamente non venne ripresa da nessuno degli occupanti (come invece venne fatto per molti altri strumenti bellici tedeschi compresi aerei e sottomarini ma anche, più semplicemente, pistole e cannoni) che proba­bilmente, ad eccezione dei russi, non aveva­no recepito l’importanza degli insegnamenti offerti, dalla guerra appena conclusa, riguar­do all’impiego delle armi leggere.

I sovietici, a differenza dei loro ex alleati e già nemici in pectore, compresa pienamente la validità del concetto di munizione interme­dia, fin dal 1943 ne avevano sviluppata una di loro concezione (anche se diversi autori af­fermano che la cartuccia intermedia sovieti­ca era stata studiata in Germania, in concor­renza con la 7 ,92x33 da alcuni ritenuta in­soddisfacente, e sarebbe quindi anch’essa frutto di preda bellica mancano al riguardo pro­ve conclusive) la 7,62 x 39 M 43 che venne im­piegata, già dal 1946, nella carabina SKS; questa arma, di impiego assimilabile alla M1 americana, era parzialmente derivata (princi­pio di funzionamento e disegno dell’otturato­re) da un fucile anticarro e per quanto robu­sta e semplice da usare non era certo un ve­ro fucile d'assalto, fucile che non tardò a ma­terializzarsi con lo Avtomat Kalashnikov.

SKS Sezione Schematica.

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SKS smontata.

SKS di fabbricazione yugoslava, disegno da un manuale originale.

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IlNASCITA DELLO AK 47

Al termine del II conflitto mondiale i vinci­tori si trovarono In mano una quantità impres­sionante di armi leggere, sia di produzione propria che di preda bellica, tutte con un co­mune denominatore: l’obsolescenza.

La riconslderazione del ruolo dell’arma in­dividuale, iniziata già durante la guerra e por­tata a compimento dal mutare delle tattiche di impiego di fanteria e corazzati, rendeva di colpo sorpassati sia i vecchi bolt action che I più nuovi fucili semiautomatici. Se gli occi­dentali non seppero e non vollero adeguarsi alla nuova concezione dell’arma individuale, ben diverso fu il comportamento dei sovieti­ci. Questi avevano proficuamente impiegato a massa i vari PPS, PPSh e PPD ih un ruolo che anticipava quello del fucile d ’assalto ed i generali dell’Armata Rossa richiedevano un arma che conservasse I pregi dei loro mo­schetti automatici (rusticità, robustezza, affi­dabilità, volume di fuoco) aumentando porta­ta utile e capacità di penetrazione. Non facen­dosi soverchie illusioni sul materiale umano a disposizione (e molto probabilmente anche con un occhio alle future cessioni di armi a movimenti di guerriglia e di pseudo liberazio­ne), fin dall’inizio venne abbandonata ogni vel­leità di impiego del fucile sulle lunghe distan­ze per privilegiare robustezza da carro arma­to, affidabilità totale e facilità di manutenzio­ne. In una sola parola quello che i capi sovie­tici volevano era un supermltra facilmente ri- producibile in grandi quantità, poco bisogno­so di manutenzione, proficuamente impiega­bile anche da parte di personale scarsamen­te addestrato e capace di sostituire tutte le ar­mi individuali ad eccezione di quelle per tira­tori scelti.

Per realizzare l'arma desiderata i sovietici disponevano già della cartuccia, quella 7,62 x 39 sviluppata nel 1943 da Ellzarov e Se- min (se si vuole prendere per buona la tesi del­lo sviluppo autonomo) e della cui bontà I capi militari erano tanto convinti da accettarla an­

che se camerata nella SKS, arma già obsole­ta al momento della sua distribuzione ai re­parti. Se la cartuccia c ’era mancava l’arma de­stinata ad usarla ed a questo pensò l’allora sconosciuto sergente Kalashnikov. Mikhail Ti- mofeyevich Kalashnikov venne seriamente fe­rito durante la battaglia di Brausk e nel corso della sua convalescenza iniziò ad interessar­si di armi individuali. Cominciò con un dise­gno di moschetto automatico a cui venne pe­rò preferito quello di Sudayev che divenne il PPS43, volse poi la sua attenzione verso la allora neonata cartuccia intermedia per la qua­le camerò una piccola carabina ad otturatore rotante, anche questa arma non riscosse suc­cesso e non se ne conservano tracce. Final­mente, aH'inlzio del 1946, Kalashnikov imboc­cò la strada giusta, quella strada che dopo non poche tribolazioni avrebbe portato allo AK 47 in versione definitiva. Fin dall’Inizio Kalashni­kov ebbe le idee molto chiare sul tipo di mec­canica, sull’Impostazione generale dell’arma e sulle prestazioni richieste ma la sua opera si scontrò con lo stato di arretratezza in cui versava l’Industria sovietica. Nell’ottica di una produzione in grandi serie niente può egua­gliare la lamiera stampata, materiale che, co­me ampiamente dimostrato dal tedeschi (fra l'altro con quegli splendidi esempi che sono MG 42 e Stg. 44) si prestava ottimamente al­l’impiego sulle armi. Dal 1947 al 1950 I sovie­tici tentarono senza successo di fabbricare lo AK 47 usando un fusto composto da parti mac­chinate e stampate; se disegnare un arma e realizzarne dei prototipi è relativamente faci­le, ben diverso risulta il discorso quando si af­fronta l’opera di industrializzazione e la suc­cessiva produzione in serie. La produzione di parti strutturali (per un arma da fuoco) In la­miera stampata non è operazione che si pos­sa Improvvisare da mattina a sera; nella se­conda metà degli anni 40 i sovietici erano pra­ticamente digiuni di stampaggi e non riusci­rono ad assimilare rapidamente le tecnologie

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sottratte ai tedeschi; nonostante i molti tenta­tivi fatti la prima versione del Kalashnikov fu un fiasco clamoroso perché non si riuscì a su­perare i problemi posti dal collegamento fra le parti stampate e quelle macchinate, i rivet­ti usati a questo scopo cedevano miseramente dopo un certo uso deH’arma ed anche una loro sostituzione con saldature era al di là delle possibilità tecnologiche sovietiche dell’epoca. Vista la non praticabilità della produzione in serie mediante stampaggi fu deciso di ricor­rere a tecniche più sperimentate e padroneg­giate: asportazione di truciolo partendo da un forgiato. Se oggi, grazie alle macchine ope­ratrici a controllo numerico, questo tipo di fab­bricazione può essere favorevolmente com­parabile, almeno entro certi limiti, anche con lo stampaggio delle lamiere, all’epoca ha com­

portato un aggravio non indifferente dei costi di fabbricazione ed un allungamento dei tempi necessari; per contro, sempre in riferimento alle tecnologie disponibili nei tardi anni ’40, l’arma ottenuta è risultata più robusta e dure­vole nel tempo. Una seconda versione del Ka­lashnikov vide la luce all’inizio degli anni ’50, questa versione fece ricorso alla fresatura del fusto ma probabilmente l’aggravio di costi e tempi necessario per la sua fabbricazione ven­ne ritenuto eccessivo, tanto che, entro pochis­simo tempo, venne messa in produzione una terza versione, anch’essa col fusto ottenuto per macchinatura di un forgiato, che si diffe­renzia per diversi particolari tendenti a dimi­nuire il tempo necessario per la costruzione deH’arma. La terza versione del Kalashnikov è quella definitiva ed ha ricevuto la denomi-

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Foto ed esploso della prima versione prodot­ta in serie dall'AK47 con castello in acciaio for­giato.

nazione AK 47; se 47 indica l’anno di adozio­ne risulta chiaro che quella assegnata è una denominazione di comodo visto che l’arma ha iniziato a pervenire, in grande quantità, ai re­parti solo nel 1956. In ogni modo lo AK 47 è la versione su cui è nata la fama del Kalashni­kov, tanto che anche I più tardi AKM vengo­no chiamati spesso, per quanto erroneamen­te, AK 47.

Nonostante il costo di fabbricazione eleva­to ed i tempi relativamente lunghi che questa fabbricazione richiede lo AK 47 è stato ripro­dotto in decine di milioni di esemplari, sia in Russia che in molti stati legati a Mosca (Ci­na, Germania Est, Polonia, Bulgaria, Roma­nia, Corea del Nord, Ungheria, Yugoslavla) e praticamente tutti gli eserciti dei Paesi nell’or­bita sovietica ne fanno uso. Solo sul finire degli

anni 50 i sovietici sono riusciti a realizzare un Kalashnikov col fusto in lamiera stampata (1959), questa versione è denominata AKM e meccanicamente non si discosta dal sue pre­decessore (l’unica differenza è data dalla pre­senza di un riduttore di cadenza sullo AKM) ma la diversa tecnica di fabbricazione ha com­portato notevolissimi vantaggi che possono ve­nire riassunti con pochissime parole: maggior velocità di fabbricazione, costo più contenu­to, peso inferiore (un AKM pesa i 2/3 di un AK 47). Nonostante lo AK 47 sia considerato il fu­cile d ’assalto per antonomasia ritengo che questa palma spetti allo AKM perché, pur con una meccanica sostanzialmente identica, adempie a tutti i requisiti base di un fucile d ’as­salto, non ultimo quello della fabbricabiliià in grande serie a prezzo contenuto.

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AK47 Standard, calcio metallico pieghevole.AK47 Standard, calcio in legno.

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AKM, calcio in legno. AKMS, calcio metallico pieghevole.

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Un 'esercitazione delle truppe del Patto di Var­savia: si spara, data la posizione, contro ipo­tetici paracadutisti nemici.

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IllLA MECCANICA KALASHNIKOV

DESCRIZIONE GENERALE DELL’ARMA

Prima di iniziare un discorso sulla mecca­nica dello AK è bene puntualizzare che, con­trariamente a quanto possono credere ed as­serire gli esperti della mutua, la sorprenden­te «reliability» dello AK 47 è dovuta non a gran­di tolleranze o a scarsa accuratezza di lavo­razione ma, al contrario, alia splendida ese­cuzione di tutta l'arma: parti assemblate be­nissimo, giochi modesti, particolari molto ben macchinati e rifiniti a mano con cura (cura tan­to elevata che una lavorazione come quella dello AK 47 si può riscontrare solo su armi ci­vili di grande pregio); ad ulteriore dimostrazio­ne della cura posta nella fabbricazione degli AK basti pensare che tutte le parti smontabili a mano sono matricolate.

Come non mi stanco mai di ripetere il cuo­re di una qualsiasi arma è la chiusura e quel­la del Kalashnikov è, ancora oggi, una delle migliori in assoluto. Costituita da pochi pezzi è robusta, affidabile, progettata bene e rea­lizzata meglio. Lo AK è dotato di chiusura ad otturatore rotante che viene sbloccato dai gas spillati dalla canna; se il principio è quanto di più classico si potesse utilizzare all’epoca del­la progettazione, la concezione e l’esecuzio­ne di tutto l’insieme si discostano non poco da quelli della maggioranza delle armi coeve e l’unico fucile che all'epoca poteva vantare un sistema di chiusura più semplice (mi rife­risco ovviamente alle armi a sottrazione di gas) era lo Stg. 44 dal quale è pensabile che Kala­shnikov abbia mutuato l’idea della multifun- zionalità di alcune componenti. Nello AK pi­stone di presa gas, asta d’armamento e por­taotturatore sono un unico pezzo (in realtà il pistone e la slitta portaotturatore sono due pezzi separati uniti tra loro da una spina ma questa separazione è stata adottata solo per facilitare la produzione di un pezzo già com­plesso e, nel normale smontaggio da campo, è totalmente inutile separare il pistone dalla slitta) al quale è collegato l’otturatore rotante

dotato di due robuste alette di chiusura ed at­tuato da una pista a camme ricavata nel por­taotturatore. E interessante notare che, con­trariamente a quanto avviene sulla maggioran­za delle armi con otturatore rotante, la rota­zione dell’otturatore non è continua lungo tutta la corsa ma si arresta dall’ istante in cui l’ot­turatore fa uscire una cartuccia dal caricato­re fino a quando questa non è completamen­te camerata; una volta che la cartuccia è ca­merata l’otturatore riprende il suo movimen­to rotatorio per assicurare la chiusura; è in­tuitivo quanto importante risulti questo accor­gimento per garantire sicurezza di funziona­mento. La molla di recupero è posta dietro l’ot­turatore, vincolata al guidamolla (in questo mo­do, smontando l’arma si evitano i rischi asso­ciati alle molle «impazzite» tipici delle armi in cui questi elementi dalla personalità schizo­frenica non sono vincolati) che serve anche da blocco del coperchio in lamiera stampata che copre il fusto. Il coperchio bloccato dalla molla di recupero consente un facilissimo e rapido smontaggio dell’arma ma non può ser­vire da base per la tacca di mira (che è spo­stata in avanti sul tubo di passaggio del pisto­ne p.g.) né per ottiche di mira o strumenti per il tiro notturno; questo perché il sistema non è rigido ed inoltre non riassume sempre la stessa esatta posizione ogni volta che viene rimontato (una differenza di pochi decimi man­da completamente a pallino la taratura delle mire ottiche).

Se la chiusura dello AK è molto ben con­gegnata la catena di scatto risulta un piccolo capolavoro di semplicità e robustezza. Anche qui si è scelto il principio della multifunziona- lità e della massima robustezza e sicurezza di funzionamento, anche a scapito dello scatto che non è proprio da match; si deve peraltro sottolineare che, sul tipo di arma considerata e con le limitazioni imposte dalla munizione, uno scatto leggero sarebbe stato inutile e con-

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Gruppo otturatore de ll’AK47. Portaotturatore (A), otturatore (B) e g li stessi assemblati (C).

troproducente ai fini della sicurezza. Per una descrizione delle parti rimando il lettore ai di­segni che accompagnano queste note e mi li­mito a spiegare il funzionamento. Il grilletto è dotato di una appendice anteriore che funge da leva di scatto ed ospita, al suo interno, il disconnettore per il tiro semiautomatico; il di­sconnettore è caricato a molla e, sulla sua ap­pendice posteriore, agisce il braccio del selettore-sicura. Il cane, di forma complessa ha due diversi punti di aggancio per le due le­ve di scatto: sulla testa quello per la leva di scatto del tiro semiautomatico, vicino al per­no di rotazione per la leva di scatto del tiro a raffica libera. La leva di scatto per il tiro a raf­fica, costituita da due braccia di diversa lun­ghezza, funge anche da sicura automatica che impedisca lo sparo quando l’otturatore non è completamente in chiusura. Quando il selet­tore è nella posizione di tiro semiautomatico il braccio di questo non agisce sulla coda del

disconnettore e quindi, a cane armato dal mo­vimento retrogrado dell’otturatore (in realtà è il portaotturatore che contrasta con il cane), il dente del disconnettore impegna la testa del cane mentre il grilletto è premuto e lo rilascia, facendolo così agganciare dalla leva di scat­to del tiro semiautomatico, quando viene me­no la pressione sul grilletto. La leva di scatto per il tiro a raffica funge, nel tiro semiautoma­tico, solo da sicura automatica perché la te­sta del braccio più corto non contrasta con il dente sul cane solo quando l’otturatore è com­pletamente in chiusura e quindi il braccio più lungo della leva può spostarsi in avanti sot­traendo così quello più corto al dente sul ca­ne. Spostando il selettore nella posizione per il tiro a raffica libera si neutralizza il discon­nettore (il braccio del selettore preme sulla co­da del disconnettore impedendo a questo di agganciare la testa del cane) e così, tenendo il grilletto premuto, funziona solamente la le-

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1) Cane2) Otturatore3) Percussore4) Portaotturatore5) Molla di recupero6) Pistone7) Gruppo presa gas8) Caricatore9) Ritegno caricatore

10) Leva di scatto per raffica - sicura automa­tica

11) Molla del cane e del grilletto12) Grilletto

va di scatto per il tiro a raffica che garantisce il necessario ritardo tra chiusura dell’ottura­tore e caduta del cane (se il cane si abbattes­se in concomitanza alla chiusura dell’ottura­tore difficilmente partirebbe il colpo perché es­sendo in movimento sia cane che percusso­re, alloggiato nell’otturatore, la differenza di velocità relativa raramente sarebbe bastante ad originare una sufficiente energia cinetica del cane) sottraendo il braccio più corto al den­te ricavato vicino al perno di rotazione quan­do quello più lungo si sposta in avanti non es­sendo più contrastato dal portaotturatore al momento In cui l’otturatore va in chiusura. Con l'arma in sicura il braccio del selettore bloc­ca completamente dlsconnettore e grilletto (vedi disegno) impedendo ogni movimento della catena di scatto mentre la leva di coman­do del selettore (che è nella posizione di mas­sima elevazione) chiude ogni possibile acces­so ad eventuali corpi estranei ed impedisce

parzialmente il movimento retrogrado dell’ot­turatore. La sicura può essere inserita anche a cane disarmato, caratteristica resa neces­saria dalla duplice funzione di sicura e spor­tello antlpolvere (è previsto espressamente dal manuale sovietico dello AK 47 che l’arma, quando non sia necessaria una pronta aper­tura del fuoco, venga tenuta con cane abbat­tuto su camera vuota e sicura inserita per pro­teggere la meccanica da eventuali corpi estra­nei), quando la leva è nella posizione di mas­sima elevazione l’arma è in sicura, scenden­do si incontra prima la posizione per il fuoco a raffica e poi quella per il tiro semiautomati­co. Un particolare degno di nota della catena di scatto è che cane e grilletto sono caricati da un unica molla multifunzionale ricavata da più fili ritorti invece che da un unico filo di ac­ciaio armonico di robusto spessore. Questo tipo di molla era già stato usato sullo Stg. 44 e dopo molti anni in cui è stato impiegato so-

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GRUPPO DI SCATTO DELLO AK 47 CON SELETTORE IN POSIZIONE DI RAFFICA

A) Con grilletto in posizione di riposoB) Con grilletto premuto

1) Braccio del selettore2) Disconnettore3) Grilletto4) Cane5) Leva di scatto per il tiro semiautomatico (è di pezzo col grilletto)6) Leva di scatto per il tiro a raffica - sicura automatica che impedisce lo sparo se l'otturatore

non è completamente in chiusura.

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ASSONOMETRIA DEL GRUPPO DI SCATTO CON SELETTORE IN POSIZIONE DI SICURA

1) Selettore2) Disconnettore3) Grilletto4) Cane5) Leva di scatto per il tiro semiautomatico6) Leva di scatto per il tiro a raffica - sicura automatica

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Levetta a bitancere di fermo del caricatore de ll’AK47 e derivati.

10 sulle armi sovietiche o a queste ispirate ve­de ora un utilizzo massiccio da parte di diver­si fabbricanti; fino a poco tempo fa si ritene­va che l’unico vantaggio di una molla ricava­ta da fili ritorti fosse il minor costo di fabbri­cazione mentre da alcuni anni diversi tecnici sembrano convinti che il filo di questo tipo dia maggiori garanzie di resistenza allo snerva­mento.

Un particolare di importanza apparentemen­te limitata ma che invece dovrebbe essere sempre tenuto nella massima considerazione è il ritegno del caricatore, quello dello AK è ancora oggi tra i migliori In assoluto (robusto, sicuro e facile da usare anche per i mancini) ed all’epoca della sua realizzazione era sicu­ramente il migliore In assoluto. La semplice levetta a bilancere offre molte caratteristiche positive (non ultima quella di essere facilmente realizzabile per stampaggio ad un costo ve­ramente infimo) ed ha un solo aspetto nega­tivo, aspetto che dipende più dalla stupidità umana che da altro: il caricatore, quando vie­ne inserito, deve prima essere impegnato dalla parte anteriore e poi fatto rotare verso il gril­letto fino a quando il ritegno non entra nella sua sede sul caricatore; può accadere che qualche «tacchino» cerchi di inserire a forza11 caricatore senza rispettare la procedura cor­

retta, il risultato è quello di bloccare l’arma fi­no a quando qualche anima buona non rie­sce a togliere il caricatore forzato in posizio­ne innaturale.

Le mire dello AK 47 sono costituite da una tacca di mira di sezione quadrata montata su un braccio dotato di un cursore che può es­sere regolato per distanze da 100 a 800 metri oppure, quando l’alzo è nella sua posizione più bassa, per il tiro da combattimento con­trassegnato dal simbolo n (P in cirillico). Com­pleta il sistema di mira un mirino montato su rampa sopra la volata e protetto da orecchie; le mire dello AK 47 non sono regolabili sul campo, normalmente questa operazione vie­ne effettuata in fabbrica agendo sul mirino che può essere regolato in elevazione ed azimuth. Il mirino è montato su un barilotto che può ve­nire spostato lateralmente e la sua parte in­feriore è costituita da un cilindro filettato e aperto lungo un diametro per i 3/4 della sua altezza; in questo modo la metà inferiore del cilindro risulta elastica e forza leggermente nella filettatura sul barilotto in .modo da non potersi allentare con le vibrazioni. Per il tiro in condizioni di scarsa illuminazione lo AK può essere dotato di un sistema di mire fosfore­scenti costituito da due dischetti; il mirino vie­ne montato su una rampa modificata, è ribal-

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La tacca di mira per gli AK, qui riprodotta as­semblata e scomposta nelle sue componen­ti, ha una base di forma complessa che viene saldamente collegata a ll’arma essendo inve­stita sulla canna (e spinata) ed entrando nel­la fresatura apposita sulla parte anteriore del fusto nello AK 47 (sull’interno nello AKM). La levetta sulla destra della base per la tacca ser­ve da ritegno alla parte superiore dell’astina

I

guardamano. La tacca è graduata fino ad 800 metri per gli AK 47 e fino a 1.000 per gli AKM. Su entrambe le armi il simbolo indica la po­sizione per i tiro di «combattimento» daO a cir­ca 300 metri; questa posizione serve per una mira approssimativa quale quella che viene usata nei combattimenti reali su distanze re­lativamente contenute.

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Mirino perAK 47 (ed AKM) assemblato e par­ticolari del mirino vero e proprio e del barilot­to sul quale lo stesso viene avvitato. Il barilot­to può essere spostato lateralmente (regola­zione in azimuth) mentre avvitando e svitan­do il mirino si regola il punto di impatto in ele­vazione. La rampa per il mirino viene investi­ta e spinata sulla canna; una boccola in vola­ta la trattiene saldamente in posizione.

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Il fusto dello AKM è un semplice scatolato ad U al quale vengono fissate tutte le parti necessa­rie (inserto - guardia grilletto - ritegno caricatore - chiusura posteriore) mediante ribattini. La chiusura posteriore serve anche da interfaccia col calcio e ve ne sono di due tipi diversi: per la versione a calcio fisso (A) e per quella a calcio ribaltabile (B).

tabile e quando non viene usato stà in posi­zione abbattuta lungo la canna; la tacca vie­ne agganciata alla normale tacca per il tiro diurno mediante una linguetta elastica; quan­do sono in opera, le mire per il tiro notturno coprono completamente le altre.

Ad eccezione delle mire per il tiro in condi­zioni di scarsa illuminazione lo AK 47 non ha altri accessori, mancano completamente bi- piede, attacchi per ottiche, compensatore, spegnifiamma, lanciagranate e, in generale, tutti quegli accessori che accompagnano i fu­cili d ’assalto di produzione occidentale; addi­rittura manca l’attacco per la baionetta che è sempre stato un feticcio intoccabile per tutti gli eserciti (l’attacco è stato introdotto con lo AKM ma in questo caso la baionetta serve an­che come tagliatili), l’unica concessione fatta alla adattabilità dell’arma per diversi usi è stato il calciolo ribaltabile che ricorda molto quello delle MP 38/40.

Lo AK 47 è un arma splendidamente costrui­ta ed in questo trova la sua forza ma anche molti dei suoi limiti (proprio come il nostro MAB; era il migliore fra tutti i mitra coevi, re­sistente a tutto durava una vita ma costava un pozzo di soldi) e per questo motivo i sovietici decidevano, nel 1959, di ritentare la carta del fusto in lamiera stampata con lo AKM (Moder- nizirovannyi Avtomat Kalashnikova) ma que­sta volta avevano ormai padroneggiato le tec­

niche di stampaggio delle lamiere e l’arma ri­sultante è stata un successo enorme la cui evoluzione continua ancora oggi.

Convinto, giustamente, che è stupido cam­biare un cavallo vincente, Kalashnikov deci­se di adottare, per lo AKM, una meccanica so­stanzialmente invariata rispetto a quella del­lo AK 47; infatti, con l’eccezione di alcune va­rianti di dettaglio su parte dei pezzi compo­nenti la catena di scatto e l’aggiunta di un ri­duttore di cadenza, la meccanica dello AKM è identica a quella dello AK 47.

Anche se qualche «esperto» dice che i fu­sti in lamiera stampata non assicurano il mas­simo della robustezza questa asserzione è sol­tanto meteorismo verbale ed inoltre la scato­la di culatta (nelle armi in cui il fusto è diviso in scatola di culatta e scatola di scatto) o il fu­sto nel suo insieme non devono sopportare nessuno stress derivante dalle chiusure (l’e­ventuale problema potrebbe essere casomai quello della usura, problema che si può pre­sentare anche con fusti macchinati, per non parlare di quelli gettati, se è stata fatta una scelta errata per i materiali e/o i trattamenti termici) ad eccezione del punto dove queste lavorano, per questo motivo gli otturatori ro­tanti vanno in chiusura o in un prolungamen­to della canna oppure in un manicotto molto robusto collegato al fusto. Nello AKM è stata scelta la seconda soluzione e così il fusto è

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4L'inserto macchinato e trattato termicamente è la parte del fusto che subisce gli stress delle chiusure; sarebbe stato possibile (meglio dire sarebbe oggi possibile, visto lo stato di arretra­tezza in cui versava a ll’epoca l ’industria sovietica) fare a meno dell’inserto guadagnando in peso ma perdendo in durata dell'arma. Anche oggi, nonostante i progressi della tecnica, una soluzione del genere è preferibile quando si voglia privilegiare la durata dell’arma.

un semplice scatolato a forma di U, formato con lamiere spesse 1 millimetro, al quale ven­gono poi fissati (mediante ribattini) il pezzo stampato che chiude posteriormente il fusto e serve da interfaccia col calcio, guardia del grilletto e ritegno caricatore, inserto macchi­nato e trattato termicamente. L’inserto allog­gia i recessi per le alette di chiusura dell’ot­turatore e di fronte a questi è ricavato un ma­nicotto filettato al quale viene avvitata la can­na; nella parte superiore dell’inserto viene macchinato uno zoccolo per la tacca di mira, quest’ultima è la stessa della RPK ed è quin­di graduata da 100 a 1.000 metri oltre ad avere la posizione per il tiro di combattimento indi­cata col simbolo n

L’adozione del fusto in lamiera stampata ha comportato la modifica di alcune componenti della catena di scatto, modifica che è stata so­lo di dettaglio ad eccezione della soppressio­ne del disconnettore sostituito da un ridutto­re di cadenza (che ovviamente svolge anche la funzione di disconnettore); questo è stato un passo sulla cui utilità e saggezza mi per­metto di esprimere qualche dubbio: un unico pezzo virtualmente indistruttibile è stato so­stituito con una combinazione di 5 parti, tutte singolarmente più piccole e fragili del discon­nettore originale, che costano di più e non ser­vono assolutamente a niente visto che la ca­

denza al ritmometro è risultata identica sia per AK47 che per AKM (non 600 colpi al primo co­me molti asseriscono ma 800). Oltre alle dif­ferenze già viste (fusto - catena di scatto - tac­ca di mira) lo AKM si discosta dallo AK 47 per l’uso di calciatura in legno laminato invece che di massello, l’introduzione dell’attacco per la baionetta, i fori di sfiato del gruppo presa gas, le nervature di irrigidimento sul coperchio del fusto, e la finitura superficiale della quasi to­talità deH'arma. La sostituzione del massello di faggio con una calciatura realizzata in la­minato porta tre vantaggi: minor costo, mag­gior stabilità agli elementi atmosferici, peso in­feriore. La finitura esterna dello AKM è data da fosfatazione, parimenti tostatati sono por­taotturatore ed otturatore; sullo AK 47 l'esterno era brunito mentre otturatore e portaotturato­re erano lasciati in bianco; sia sullo AK 47 che sullo AKM, l’anima e la camera di cartuccia sono cromati a spessore. Esternamente lo AKM si distingue a colpo d’occhio dallo AK 47 per il fusto in lamiera stampata caratterizzato dalla profusione di rivetti e dalla presenza di due piccoli infossamenti di forma ellissoidale (una ellisse molto schiacciata) proprio nel pun­to (sopra il caricatore) in cui nello AK 47 com­paiono due rilievi di forma rettangolare; un al­tra caratteristica di immediata acquisizione è la presenza (sullo AKM) di due nervature sul-

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la astina, nervature destinate a migliorare la presa della mano per meglio contrastare il ri­levamento durante il tiro a raffica. Sempre per meglio contrastare il rilevamento nel tiro a raf­fica e per diminuirne la dispersione (in verità la distorsione nel tiro a raffica è una delle ca­ratteristiche meno entusiasmanti dello AK 47 / AKM a causa dell’angolo di calcio troppo ac­centuato, delle non indifferenti masse in mo­vimento e della mancanza di un compensa­tore-freno di bocca) sugli AKM delle ultime se­rie viene montato un compensatore dalla for­ma caratteristica (vedi foto) che dovrebbe ser­vire a contrastare la tendenza a spostare il ti­ro in alto e verso destra tipica degli AK.

AK 47 ed AKM sono stati riprodotti in enor­me quantità (fra «originali» e «copie» intorno ai 50.000.000 di esemplari) ed hanno una dif­fusione vastissima accompagnata da una fa­ma di affidabilità a prova di bomba. Che il di­segno di Kalashnikov abbia non pochi pregi è indiscutibile ma gli AK sono stati alquanto mitizzati e, pur essendo fra i migliori fucili d’as­salto in assoluto, anche quando vengono pa­ragonati ad armi di concezione molto più re­cente, non possono certo venire considerati privi di difetti.

Nessuno può mettere in dubbio gli eccel­lenti standards costruttivi delle armi di Kala­shnikov, l’intelligenza di molti accorgimenti particolari (canna e camera cromate, molla del cane e del grilletto, smontaggio da campo sen­za attrezzi, ritegno del caricatore, durata e ro­bustezza di tutte le componenti, espulsione angolata di 45° in avanti, ecc.) e la ormai più che accertata sicurezza di funzionamento in ogni condizione, sicurezza che non può pre­scindere dalla pulizia dell’arma come molti er­roneamente credono; un AK è più tollerante, all’accumulo di depositi ed all’ingresso di corpi estranei, rispetto a molte armi della sua cate­goria ma esiste un limite a tutto e la mancan­za di pulizia e lubrificazione manda a pallino anche la meccanica dei Kalashnikov.

Su nessuno degli AK, delle loro copie o delle armi derivate (ad eccezione degli M70 yugo- slavi) è presente un hold open per l’otturato­re a caricatore vuoto, questa mancanza può risultare disastrosa in combattimento (che gaudio puntare il fucile su un bersaglio e sen­tire lo scatto a vuoto!) ed è scomoda (manca un qualsiasi marchingegno che tenga l’ottu­ratore in apertura) quando si voglia dare so­lamente una scovolata di emergenza alla can­na (ad es. per eliminare corpi estranei o ac­qua) senza smontare l’arma oppure sempli­cemente controllare lo stato della canna. La leva della sicura-selettore è scomoda da azio­nare a mani nude e quasi impossibile con ma­ni guantate oppure sulle versioni con calcio ribaltabile quando questo non è esteso. Il mo­vimento del selettore provoca un rumore ben avvertibile che può mettere sull’avviso il ne­mico; un poco come il «ping» del Garand quan­do espelle la clip vuota avvertendo così tutti che il fucile è scarico.

AK ed AKM non possono montare alcun ti­

rreno di bocca dell'AKM.

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Il Kalashnikov è indissolubilmente legato al­l'immagine del guerrigliero: nella foto un vec-

po di ottica di mira o di apparati per il tiro not­turno e l’osservazione; se una volta questo era un difetto veniale, oggi con l’importanza data da tutti i principali eserciti al combattimento notturno (l’Armata Rossa è, fra tutti, uno di quelli che più cura il problema e risulta molto strano che non abbia provveduto a mettere in linea un attacco standardizzato per le sue ar­mi) ed il progresso nello sviluppo di apparati ad intensificazione di luminescenza, infrarosso passivo ed immagine termica (apparecchia­ture ormai molto diffuse e la cui diffusione è destinata ad aumentare progressivamente vi­sto l’abbassamento dei costi in rapporto alle prestazioni) l’indisponibilità di un’interfaccia standard tra ottiche (intendendo con questo termine anche le apparecchiature optroniche per il combattimento notturno) ed AK è vera­mente un grosso problema.

AK 47 ed AKM hanno una cadenza dichia­rata di 600 colpi al primo nel tiro a raffica, spa­rano una cartuccia con relativamente scarsa energia di rinculo e sono alquanto pesanti (so­pratutto lo AK 47 che pesa più di 4.600 gram­mi scarico) rispetto alla munizione impiegata. Sembrerebbero condizioni ideali per riuscire a contenere la dispersione della raffica, in real­tà l'angolo di calcio abbastanza accentuato (che peraltro risulta utilissimo nel tiro istinti­vo dalla spalla), le notevoli masse in movimen-

chio manifesto dell'Organizzazione per la Li­berazione della Palestina.

to, la mancanza di una qualsiasi forma di com­pensatore in volata (presente solo sugli AKM delle ultime serie produttive e sulla cui reale efficacia è lecito avanzare qualche dubbio vi­sto anche il fatto che lo AKM è più leggero del­lo AK 47 pur avendo le stesse masse in movi­mento) ed il condotto dei gas privo di ogni pos­sibilità di regolazione della portata (se il flus­so dei gas deve essere sufficiente ad assicu­rare un corretto funzionamento anche in con­dizioni limite, quando l’arma è ben pulita e lu­brificata il flusso risulta eccessivo ed il funzio­namento sarà più violento del necessario) por­tano ad una dispersione della raffica superio­re a quanto ci si potrebbe attendere dal con­nubio arma cartuccia, dispersione che per lo AK 47 (più stabile dello AKM senza compen­satore) si situa sui livelli, non proprio entusia­smanti, dei fucili d’assalto in 7,62 NATO. La mancanza di un freno di bocca si fa ulterior­mente sentire se si considera che sulle armi occidentali questi «aggeggi» sono usati anche per il lancio delle granate, cosa questa pre­clusa a tutti gli AK con l’eccezione di una spe­ciale versione polacca (e di alcune armi deri­vate dagli AK ma prodotte al di fuori dei pae­si del Patto di Varsavia).

Anche se non immuni da difetti i fucili di Ka­lashnikov sono comunque ottime armi (all’e­poca in cui sono entrate in servizio erano si-

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AK47 Smontato.

diramente il miglior armamento che si pote­va dare ad un fante) facilmente riproducibili da chi disponga di una sia pur modesta orga­nizzazione industriale (ovviamente il grado di abilità del fabbricante conta molto e le armi sovietiche sono superiori a molte delle loro co­pie su licenza), se a questo si aggiungono le particolari condizioni che stanno talvolta alla base dello loro adozione (obbligo virtuale per i Paesi appartenenti al Patto di Varsavia o co­munque nell’orbita di Mosca, cessione a «con­dizioni di estremo favore», non disponibilità di altre fonti) si comprende come queste armi ab­biano una diffusione irrepetibile che da sola basterebbe per fare degli AK un fenomeno uni­co nel settore delle armi individuali. AK 47 e derivati autoctoni sono stati o vengono prodotti in: U.R.S.S., Cina, Finlandia, Germania est, Ungheria, Corea del Nord, Polonia, Romania, Yugoslavia. Gli AKM, la cui produzione richie­de una più sviluppata organizzazione indu­striale, vengono prodotti in: U.R.S.S., Germa­nia Est, Polonia, Ungheria, Romania, Egitto, Corea del Nord. Se la lista dei produttori è im­pressionante, ancora più impressionante è quella degli utilizzatori maggiori che non ne sono produttori (un elenco completo degli uti­lizzatori non produttori, anche trascurando i vari movimenti di guerriglia, è virtualmente im­possibile) e vede Paesi che dispongono an­

che di altre fonti di approvigionamento: Ango­la, Afghanistan, Albania, Bulgaria, Cambogia, Cile, Congo, Cuba, Indonesia, Iraq, Laos, Mongolia, Marocco, Nicaragua, Pakistan, Si­ria, Vietnam, Yemen (per alcuni di questi Paesi gli AK sono uno dei risultati di un passato flirt con Mosca; a riprova della qualità dell’arma è da notare che i fucili sovietici sono mante­nuti in servizio anche quando l’attuale Gover­no è ferocemente antisovietico e dispone di altre ottime armi). Un caso a parte è Israele, dispone di ingenti quantità di AK 47 ed AKM che hanno il grandissimo pregio di non esse­re costati una lira essendo preda bellica; gli Israeliani sono rimasti tanto soddisfatti degli AK che li hanno adottati per le loro FF.AA. e ne hanno fatto la base per lo sviluppo del Ga­li!.

L’evoluzione delle armi di Kalashnikov non si è fermata con lo AKM (AKMS nella versio­ne con calciolo ribaltabile), da questo sono sta­ti derivati RPK ed SVD; quando si è deciso di mutare il calibro per adeguarsi ai progressi del munizionamento lo AKM è servito come ba­se per lo AK 74 (AKS 74 con calciolo ribalta­bile) e per la relativa arma di squadra, lo RPK 74. Vedremo di seguito, in maniera dettaglia­ta, gli sviluppi sovietici e, più en passant, quel­lo che è stato fatto all’estero prendendo a mo­dello AK 47 ed AKM.

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GLI SVILUPPI IN UNIONE SOVIETICAIV

RPK.

Kalashnikov è un grande progettista, tanto grande che, a partire dallo AK 47, tutti i fucili d ’assalto, le armi di squadra e le GPMG cal. 7,62 x 54 introdotti in servizio nell’Armata Ros­sa sono stati progettati da lui. Sicuramente, oltre alla bontà del disegno, ha giocato anche la comunanza di parti e l’uniformità di adde­stramento (quella politica dei piccoli passi che i sovietici seguono fin dal 1945 per tutto ciò che riguarda gli armamenti terrestri e, in mi­sura minore, anche gli altri) ma questo non to­glie niente (anzi aggiunge) alla abilità di quello che è sicuramente uno dei più grandi tecnici del settore armiero.

Anche se la sua comparsa ufficiale è del 1966 (parata del I maggio sulla Piazza Ros­sa) la Mitragliatrice Leggera Kalashnikov (Ruchnoi Pulemet Kalashnikov - RPK) è sicu­ramente di progettazione ben anteriore. Tutti sono concordi nello affermare che lo AKM monta la stessa tacca di mira della RPK, ma se la progettazione dello AKM viene fatta ri­salire al 1959 e la sua produzione in serie è immediatamente successiva, come è possibile che sia stata adottata la tacca di mira di un arma ancora a venire? Visto il fatto che RPK ed AKM differiscono praticamente solo per il fusto rinforzato della RPK, la lunghezza della

canna (che è anche di maggior diametro), il diverso calcio e la presenza del bipiede sulla RPK, avanzerei l’ipotesi che le due armi sia­no state sviluppate contemporaneamente co­me un vero sistema d ’arma nel quale si è fat­to il maggior uso possibile delle stesse com­ponenti, anche a scapito delle prestazioni del­l’arma di squadra.

La denominazione ufficiale della RPK è di mitragliatrice leggera ma in realtà l’arma di Ka­lashnikov è un fucile mitragliatore fra i meno capaci di erogare fuoco a raffica sostenuto sparando ad otturatore chiuso e non essen­do niente di più che un fucile d’assalto a can­na pesante. Pur disponendo di caricatori pri­smatici da 40 colpi o a tamburo da 75 (ovvia­mente può essere usato anche il caricatore standard da 30 colpi degli AK) e sparando con una cadenza teorica di 660 colpi al primo lo RPK (uso il maschile perché è un fucile mi­tragliatore) non è capace di sparare a raffica più di 80 colpi al primo, questo per i problemi di autoaccensione derivanti dal surriscalda­mento della camera di cartuccia, surriscalda­mento al quale non si può ovviare (se non con stracci imbevuti d'acqua) in alcun modo visto che lo RPK spara ad otturatore chiuso, non ha canna intercambiabile e, fra una serie e l’al-

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RPK Smontato.

tra, è impossibile tenere l'otturatore in aper­tura per la mancanza di un qualsiasi hold- open. La canna dello RPK è più lunga di quella dello AKM e questo fatto ha richiesto lo spo­stamento in avanti del gruppo di presa gas ed il conseguente allungamento del pistone; stu­pisce che non si sia provveduto all’aggiunta di un sistema di regolazione del flusso dei gas perché con un unica regolazione si è obbli­gati ad avere un flusso dei gas eccedente le necessità deH’arma pulita (eccedenza neces­saria per consentire il corretto funzionamen­to ad arma molto sporca e/o in climi rigidi) con un conseguente funzionamento alquanto vio­lento, violenza che diminuisce solo con il pro­gressivo accumulo di residui della combustio­ne. La violenza del funzionamento ad arma pulita porta ad un aumento della dispersione nel tiro a raffica, dispersione che non avreb­be alcun bisogno di ulteriori aggiunte visto che già le masse in movimento sono aumentate rispetto a quelle dello AKM (pistone più lun­go) e lo RPK è un arma relativamente legge­ra per il suo ruolo oltre a mancare compieta- mente di un qualsiasi compensatore — freno di bocca (non adottato forse per la già ecces­siva lunghezza deH’arma). Il bipiede dello RPK non è dei più riusciti: manca ogni possibilità

di regolazione e la sua posizione, in prossi­mità della volata, interferisce col regime vibra­torio della canna oltre a limitare severamen­te il campo di tiro orizzontale. Molto meglio sa­rebbe stato applicare il bipiede in posizione baricentrica eventualmente su un prolunga­mento ad hoc del fusto o almeno in corrispon­denza del gruppo presa gas dove maggiore è la rigidità dell’insieme; purtroppo la posizio­ne del bipiede è vincolata dalla geometria del­l’arma e dalla lunghezza dei caricatori prisma­tici da 40 colpi che, già così, limitano l’eleva­zione della volata; più comodo da usare (e più capiente) è il caricatore a tamburo da 75 col­pi che è però più soggetto a rotture e malfun­zionamenti oltre ad essere di lungo e difficol­toso riempimento (si deve anche tener presen­te che ogni arma ha solo un caricatore a tam­buro di dotazione). Un ulteriore difetto del bi­piede montato sullo RPK è che la sua ecces­siva altezza (lo ripeto, necessaria per poter usare i caricatori da 40 colpi) costringe il sol­dato ad una posizione di tiro innaturale e sco­moda (la testa deve stare troppo in alto) che inoltre aumenta l'esposizione del tiratore al fuoco nemico ed impedisce il corretto controllo del calcio con la mano che non impugna l’ar­ma. Nonostante i manuali dell’Armata Rossa

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prevedano, per le armi di squadra e per quel­le di appoggio, che durante II fuoco si debba tenere la sinistra (la destra per un mancino) sul calcio e nonostante la conformazione del calcio sullo RPK (conformazione voluta pro­prio per offrire alla mano un punto dove affer­rare Il calcio), l’alto blpiede ed il lungo carica­tore rendono quasi impossibile questo tipo di impugnatura su terreno completamente piat­to; in questo caso lo RPK deve essere Impu­gnato come un normale fucile in modo da po­ter appoggiare I gomiti sul suolo per poter te­nere la testa e la parte superiore del busto sol­levati a sufficienza. Per completare le dolenti note sui perversi effetti del blpiede si deve ri­cordare che la possibilità di trattenere il cal­cio durante il tiro a raffica è particolarmente utile su quelle armi che, come lo RPK, hanno la parte posteriore del calcio diritta e con cal­ciolo metallico; in questo modo diventa neces­sario riaggiustare il calcio alla spalla tra una raffica e l’altra vista la mancanza di un qua­lunque accorgimento che permetta un più sta­bile accoppiamento tra calcio e spalla.

Le mire dello RPK sono identiche a quelle dello AKM; vista la portata pratica di circa 500/600 metri, la tacca di mira regolabile da 100 a 1.000 metri è alquanto ottimistica ed inoltre, considerate le prevedibili distanze di combattimento, è probabile che verrà fatto lar­go uso della posizione di «combattimento», contrassegnata dal simbolo fi e buona per un

puntamento approssimativo da 0 a 300 me­tri; oltre alla posizione di «combattimento» le mire dello RPK hanno un altro accorgimento molto utile: un sistema di mire ribaltabili, per il tiro in condizioni di scarsa illuminazione, co­stituito da due dischetti fosforescenti. È un si­stema semplice e robusto che permette solo un puntamento approssimativo ma la sua uti­lità di notte o comunque quando c ’è poca lu­ce risulta inestimabile. Oltre alle mire fosfo­rescenti i sovietici hanno sviluppato, In que­sti ultimi anni, un attacco che consente l’uso, sullo RPK, degli apparati a ll’infrarosso attivo NSP-2 e PPN-2 oltre a quelli ad intensificazio­ne di luminescenza che l’Armata Rossa sta iniziando a mettere in servizio. Per quanto pos­sa sembrare strano i sovietici hanno svilup­pato una versione con calciolo ribaltabile dello RPK, lo RPKS; questa arma è nata per le esi­genze dei reparti paracadutisti e per II tiro dal­l’interno dei BMP, infatti su tutti i BMP dovreb­be essere presente una postazione riservata allo RPKS mentre le altre sono per gli AKMS.

Al pari del suo «fratello minore» AKM, lo RPK è un arma di robustezza a tutta prova, capace di funzionare in condizioni che man­derebbero In tilt molti altri fucili mitragliatori e gli aspetti negativi che lo RPK presenta so­no il frutto di una scelta precisa: armi robu­ste, con elevata sicurezza di funzionamento e che possono essere fatte funzionare da chiunque sappia usare lo AK 47 o lo AKM. La

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scelta sovietica è molto logica se si tiene conto che, nell’Armata Rossa sono a disposizione miriadi di GPMG e di mitragliatrici pesanti de­stinate ad appoggiare la fanteria, fanteria che inoltre combatte sempre (fin quando è uma­namente possibile) con l'appoggio dei BMP dai quali è sbarcata e i VCI sovietici dispon­gono di armamento pesante ed articolato che, fino a poco temffc) fa era ben superiore alle classiche 12,7 o 7,62 NATO montate sui VTT occidentali (oggi, anche in occidente i VTT

vengono sostituiti, fondi permettendo, da VCI dotati di robusto armamento).

In conclusione lo RPK è un arma che non andrebbe bene per gli eserciti occidentali (di­versamente strutturati rispetto all’Armata Ros­sa) ma risponde appieno alle esigenze di quelli orientali e dei movimenti di guerriglia forag­giati da Mosca (in questo caso la rusticità, la facilità di manutenzione e l'uniformità con gli AK fanno premio su qualsiasi altra conside­razione).

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SVD

I sovietici hanno sempre avuto una grande tradizione nell’uso dei tiratori scelti e durante la II Guerra Mondiale hanno impiegato interi reparti di questi specialisti (alcuni di questi re­parti erano composti interamente da donne) con risultati eccellenti. I tiratori scelti sovieti­ci degli anni 40/45 erano armati con una spe­ciale versione del Mosin-Nagant denominata M1891/30 e camerata, come il normale M 1891, per la cartuccia 7 ,62x54 R balistica- mente simile al 7,62 NATO e quindi capace di impegnare, in mano a personale altamen­te addestrato, bersagli fino al limite dei 1.000 metri. Per circa 25 anni l’Armata Rossa ha te­nuto in servizio gli M 1891/30 e solo sul finire degli anni 60 sono pervenute in occidente al­cune informazioni su un nuovo fucile destinato a sostituirli. L’arma che ha rilevato l’eredità del 1891/30 è lo SVD (iniziali delle parole russe che significano «fucile semiautomatico Dragu- nov») meglio conosciuto come Dragunov tout court; lo SVD mantiene la munizione del 1891/30 ed è questa una scelta logica consi­derando le buone caratteristiche balistiche del­la 7,62 x 54 R ed il fatto che, meno logicamen­te avendo bossolo rimmed, la stessa viene im­piegata sulle GPMG dell’Armata Rossa (attual­mente la serie PK, ennesimo disegno di Ka­lashnikov). Bisogna dire che per progettare il Dragunov non si sono spremuti troppo il cer­vello essendo questo fucile una copia panto- grafata dello AKM con incorporate tutte le mo­difiche del caso. La 7,62 x 54 R è considere­volmente più prestante della 7 ,62x39 e di conseguenza ha maggior energia di rinculo ol­tre a lavorare con una pressione massima su­periore e ad avere più spostata in avanti l’or­dinata massima della curva di erogazione del­le pressioni. A causa del cambiamento di mu­nizione e della canna più lunga è stato neces­sario rivedere l’otturatore ed il portaotturato­re (simili ma non identici a quelli dello AKM) e spostare in avanti il gruppo di presa gas. La revisione del gruppo di otturazione e l’allun­gamento del pistone (resi necessari anche dal­la maggior lunghezza della cartuccia) avreb­bero comportato un ulteriore aumento delle già elevate masse in movimento con un con­seguente importante spostamento del centro di gravità durante il tiro (lo SVD pesa 4,385 grammi con ottica e caricatore vuoto, pochini in assoluto per uno sniper semiautomatico di­ventano insufficienti con masse in movimen­to come quelle che ci sarebbero usando un pistone a corsa lunga), spostamento assolu­tamente deleterio per il tiro di precisione. Per ridurre le masse in movimento si è abbando-

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Fucile da tiratore scelto SVD (Dragunov).

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I!

Regolazione della valvola che controlla il passaggio dei gas sullo SVD. È sufficiente il rim di un bossolo per spostare il regolatore liberando o chiudendo un foro di sfiato; a foro aperto è minore la pressione del gas che agiscono sul pistone.

nato ¡1 pistone a corsa lunga che è stato so­stituito da uno a corsa breve di peso conte­nuto. Il pistone a corsa breve riceve un forte impulso dai gas, spillati attraverso la valvola di passaggio, e va a colpire con forza il por­taotturatore facendolo retrocedere e ritornan­do poi In avanti sotto la spinta di una molla antagonista. Il portaotturatore, durante il suo movimento retrogrado provoca, attraverso una pista a camme, lo sblocco dell’otturatore che retrocede solidalmente col portaotturatore fi­no a fondo corsa comprimendo la molla di re­cupero, questa, quando si distende, spinge in avanti il gruppo portaotturatore otturatore che estrae una cartuccia dal caricatore, la Intro­duce in camera e va in chiusura. L’otturatore compie la rotazione che assicura la chiusura solo dopo aver camerato la cartuccia ed il por­taotturatore termina la sua corsa in avanti so­lamente dopo che l’otturatore è andato In chiu­sura. Questo schema di funzionamento, ripre­so da quello degli AK, assicura l’assenza di inconvenienti durante la cameratura della car­tuccia e garantisce contro la partenza di col­pi se l’otturatore non è saldamente in chiusu­ra; infatti, pur se morfologicamente diversa da quella degli AK (dove serve anche come leva di scatto per il tiro a raffica) è presente una sicura automatica che sblocca il cane solo quando il portaotturatore è arrivato a fondo

corsa. Oltre alla sicura automatica, tutta la ca­tena di scatto, per quanto mutuata concettual­mente da quella dello AK 47, è stata rivisitata tenendo a mente la necessità di uno scatto pri­vo di grattamenti, filature e corse a vuoto e che parta con pressione non eccessiva: il cane è stato modificato nella zona dove viene aggan­ciato dalla leva di scatto, parimenti modificati sono disconnettore, leva di scatto (ora artico­lata sul grilletto e non più di pezzo con que­sto) e grilletto, non c'è più un unica molla che carica cane e grilletto, è stata sostituita con due separate per poter diminuire la forza eser­citata sul grilletto. Per la prima volta su un ar­ma individuale sovietica è presente un siste­ma di regolazione dei gas; il regolatore ha due diverse posizioni (che possono essere sele­zionate usando il rim di una cartuccia): una per il tiro ad arma pulita (in modo da evitare il funzionamento violento che caratterizza, con la meccanica non imbrattata, le armi senza possibilità di regolazione del flusso) e l’altra da usare in presenza di un forte accumulo di depositi e/o con clima molto rigido.

Ad una prima occhiata il Dragunov può sem­brare come un accozaglia di parti messe in­sieme senza molto riguardo per il risultato fi­nale; la realtà è ben diversa ed il fucile è sta­to oggetto di un attento studio ergonomico vol­to però anche al contenimento del numero to-

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Spegnifiamma dello SVD Dragunov, questo spegnifiamma agisce anche come compensatore perché delle cinque aperture, praticate lungo il corpo dello spegnifiamma, tre sono rivolte ver­so l ’alto e quindi risulta maggiore la quantità di gas proiettata in alto di quella proiettata in direzione infero-laterale. Notare l ’assurdità del ritegno per la baionetta.

tale di parti e della loro complessità. Un esem­pio è ¡I calcio: non completamente regolabile come quelli di alcuni snipers occidentali, ri­sulta però molto comodo per la stragrande maggioranza degli utenti (in realtà l’unica for­ma di regolazione è quella relativa al poggia- guancla che può anche essere completamen­te eliminato) e la combinazione impugnatura a plstola-grilletto-guardia consente l’uso di guanti Invernali senza eccessivi patemi (a chi obietta che non si usano i guanti con un ar­ma da cecchinagglo rispondo di provare a far­lo con 20 gradi sotto zero!). Complemento in­dispensabile per uno sniper semiautomatico è un compensatore, quello del Dragunov ser­ve anche come spegnifiamma ed è caratteriz­zato dalle 5 lunghe aperture longitudinali at­traverso le quali escono parte del gas che spingono la palla; due aperture sono orienta­te verso il basso e tre verso l’alto in modo che i gas esercitino una spinta maggiore dall’alto verso il basso contrastando il movimento a sa­lire della volata. Lo spegnifiamma del Dragu­nov è particolarmente riuscito essendo uno dei pochi che riescono a fungere anche da com­pensatore senza alterare la traiettoria della palla e non avendo sfiato dei gas normale ri­

spetto al suolo (su terreno sabbioso i gas che escono verso il basso tendono a sollevare pol­vere e sabbia ostruendo la linea di mira e ren­dendo più visibile la posizione del tiratore, la mancanza di uno sfiato normale al suolo di­minuisce la quantità di polvere sollevata e fa si che questa non sia immediatamente sotto la canna ottenendo perciò un minor disturbo della linea di mira). Lascia perplessi che, sul­lo spegnifiamma del Dragunov, sia riportato l’attacco per la baionetta, totalmente Inutile ed anche dannoso (sparare con la baionetta ina­stata porta ad un deciso mutamento del regi­me vibratorio della canna e quindi del punto di impatto) su un fucile di precisione.

Un fucile di precisione deve avere come ne­cessario complemento un ottica adeguata, Il cannocchiale PS0-1 montato sul Dragunov, per quanto si discosti dai tipi occidentali (con­siderati i migliori fra tutti) è sicuramente ade­guato all'uso previsto e presenta aspetti mol­to interessanti. L’ingrandimento è stato limi­tato a 4X in modo da consentire anche un Im­piego rapido, su brevi distanze, relativamen­te comodo mentre il campo visivo di 6° è al livello delle realizzazioni occidentali cosi co­me allo stesso livello sono i trattamenti delle

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Windage knob Sun sh'ptd

EyeshieldE leva t io n k n o b

Len^ rao

Ba t te ry h o u s in g /

Sight base

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H p t 'C u ie l a m o

R p f i r l p s ^ v i i r h

Ottica di mira PSO-1 a 4 ingrandimenti montata sul Dragunov.

lenti per diminuire l’assorbimento di luce. Il re­ticolo può essere illuminato, la fonte di ener­gia è costituita da una piccola batteria a sec­co alloggiata nella parte posteriore della ba­se per l’ottica e la lampadina che illumina il reticolo è facilmente sostituibile (basta svita­re il coperchio dell’alloggiamento). Il reticolo è regolabile, a seconda della distanza di tiro, in maniera molto semplice: usando il reticolo distanziometrico ricavato nell'ottica (reticolo tarato sull’altezza media di un uomo, circa m. 1,70) si ricava la distanza del bersaglio (da 100 a 1.000 metri sono le distanze misurabili col reticolo) e si sposta il reticolo di mira agendo sulla rotella che ne comanda l’elevazione fi­no a quando il numero che corrisponde alla distanza misurata (da 1 a 10) non è allineato, sulla scala della rotella, con la tacca di riferi­mento. È possibile (almeno in linea teorica) im­pegnare bersagli anche a distanze eccedenti i 1.000 metri ed inferiori a 1.300: con il retico­lo tarato per i 1.000 metri (10) si usano i riferi­menti (a forma di accento circonflesso) posti sotto al riferimento normalmente usato; sono presenti 3 riferimenti (1.100,1.200, 1.300 me­tri) e si usa la parte superiore del riferimento per mirare alla distanza desiderata. Owiamen-

te le distanze superiori ai 1.000 metri devono essere stimate o misurate con altri strumenti così come devono essere stimate o altrimen­ti misurate quelle distanze non previste dal re­ticolo distanziometrico. Se, ad es., il bersaglio è alla distanza di 850 metri il tiratore sa sola­mente che deve sparare ad un punto compre­so tra gli 800 ed i 900 metri. In questo caso il reticolo di tiro viene regolato sugli 800 me­tri e l’elevazione aggiuntiva è semplicemen­te stimata ad occhio. Siamo lontani dalle raf­finatezze delle ottiche da sniping fabbricate in alcuni paesi occidentali e l’idea di impegna­re bersagli a distanze eccedenti i 1.000 me­tri, per giunta con un ottica 4X, è alquanto pe­regrina, anche senza tener di conto degli ef­fetti del vento che, già avvertibili su distanze ben inferiori, rendono impervio il tiro a 1.000 metri con combinazioni arma cartuccia di ben altra prestanza (nelle gare sulle 1.000 yards che si tengono negli S.U. il .308 Winchester, balisticamente sovrapponibile al 7,62 x 54 R, viene considerato «marginale» proprio a cau­sa dei problemi connessi con il vento). Un ac­corgimento semplice da realizzare ma che contribuisce non poco alla comodità del tira­tore è il manicotto a soffietto, realizzato in

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SVD Smontato.

gomma tenera, al quale si appoggia l’occhio di chi spara: previene disturbi causati da in­terferenze esterne (ad es. un lampo lumino­so di fianco al tiratore) e dà automaticamente (quindi rapidamente) la corretta distanza fo­cale. Un accessorio del PSO-1 era utilissimo quando l’ottica è stata distribuita ai reparti so­vietici ma ha perso oggi molta della sua utili­tà; questo accessorio è un detector di emis­sioni infrarosse che consente di prendere la mira al buio su uno sniper avversario quanto questo usi un sistema all’infrarosso attivo. Og­gi gli eserciti occidentali usano sistemi di mi­ra ad intensificazione di luminescenza (altri, ancora più evoluti, come quelli che sfruttano l’immagine termica, sono pronti per la distri­buzione) ed hanno quasi abbandonato i siste­mi all’infrarosso attivo. Anche la possibilità di usare il PSO-1 in combinazione con un desi­g n a to r all’infrarosso (ventilata da organi di intelligence occidentali ma non accertata si­curamente) è oggi di utilità limitata in un even­tuale conflitto contro eserciti dotati di mate­riali moderni: il designatore sarebbe subito esposto al fuoco nemico!

Il Dragunov ha sempre goduto di una gran­de fama in buona parte meritata: l’arma è co­

moda da usare, di facile manutenzione, robu­sta e tollerante, ma le sue vere prestazioni nel­lo snlping devono essere ridimensionate; esperimenti condotti con armi catturate (dal Vietnam al Libano) hanno dimostrato che, sul­le lunghe distanze, le capacità della combi­nazione SVD / PSO-1 sono inferiori a quelle dei pariclasse occidentali (ad es. gli sniper HK basati sul G3 o il sistema americano M 21 co­stituito da uno M14 opportunamente modifi­cato e dall’ottica ART) ed ancora di più lo so­no nel confronto con gli sniping rifles ad ottu­ratore girevole scorrevole dell’ultima genera­zione. Resta però il fatto che lo SVD è entra­to In servizio prima di parecchi dei suoi con­correnti occidentali e fa parte di un completo sistema d’arma comprendente AKM ed RPK con ovvi vantaggi sul piano della standardiz­zazione e dell’addestramento; ha poi un so­stanziale vantaggio su qualsiasi sniping rifle occidentale: è distribuito in grandi quantità ai reparti dei Paesi orientali e viene inoltre usa­to praticamente da tutti coloro che hanno adot­tato AK 47 ed AKM (esemplari di fabbricazio­ne sovietica oppure riprodotti in loco, magari con qualche modifica).

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AK 74

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In occidente solo ora ci stiamo faticosamen­te avvicinando all’adozione comune di una ve­ra munizione intermedia mentre i Paesi orien­tali sono già standardizzati da molti anni sul­la 7,62 x 39; il bello della situazione è che da noi l’adozione di una cartuccia intermedia di piccolo calibro è stata e viene ferocemente osteggiata mentre i sovietici, quatti quatti, han­no sviluppato ed iniziato a distribuire una nuo­va arma d’assalto basata sulla cartuccia5.45 x 39. Le prime notizie sul nuovo munizio­namento hanno iniziato ad arrivare al di qua della Cortina di Ferro verso la metà degli an­ni 70. In principio gli analisti dei Servizi di In­telligence occidentali hanno ritenuto che la5.45 fosse una munizione a carattere poco più che sperimentale e, al più, destinata a fucili d ’assalto da dare in dotazione solamente ai paracadutisti e ad altre truppe speciali. Pren­dendo a metro le vicissitudini occidentali ci si chiedeva perché i sovietici dovessero disfar­si di milioni e milioni di ottimi fucili d ’assalto già camerati per una vera munizione interme­dia che, per quanto inferiore al .223 (all’epo­ca M 193 ed oggi, dopo una leggera cura ri- costituente, 5,56 NATO STANAG 4172) era tatticamente superiore, come munizione per fucile d’assalto, al pur balisticamente ottimo 7,62 NATO (cartuccia splendida per una GPMG o un arma da cecchinaggio ma incom­patibile con un vero fucile d’assalto per la trop­po elevata energia di rinculo, il peso e le di­mensioni delle armi che la devono impiega­re) che costituiva allora la munizione più im­piegata sui fucili d ’assalto dell’Alleanza Atlan­tica. Contrariamente alle previsioni degli esperti occidentali i sovietici hanno iniziato ad immettere in servizio grosse quantità dello AK 74 (questa è la denominazione della nuova ar­ma) con il preciso scopo di sostituire gradual­mente tutti gli AKM dei reparti di prima linea, ovviamente gli alleati dell’U.R.S.S. non potran­no che uniformarsi al comportamento del «Grande Fratello» ed è quindi prevedibile, per il binomio AK 74 - 5,45 x 39 un successo ana­logo a quello degli AK e della 7,62 x 39; suc­cesso che sarà dettato da considerazioni po­litiche prima che tecniche e prescinderà dal­le pur elevate qualità della combinazione ar­ma cartuccia.

Definire nuovo lo AK 74 è forse una esage­razione perché, nell’ottica della continua evo­luzione del materiale in dotazione, sempre se­guita dall’Armata Rossa, il fucile di cui ci oc­cupiamo è un derivato dello AKM e si diffe­renzia da questo solo per quelle modifiche che sono state necessarie nel passare al calibro

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minore e la presenza di un voluminoso com­pensatore freno di bocca. All’esterno le due armi si differenziano solamente per il compen­satore, il caricatore ed una fresatura longitu­dinale nel calcio, fresatura di cui sfugge la ra­gione e si può ipotizzare che sia stata aggiunta per aumentare la riconoscibilità dello AK 74 rispetto allo AKM. Il caricatore dello AK 74 è realizzato in materiale sintetico, molto robu­sto, sicu nell’alimentazione, leggero ed ov­viamente , on può arrugginire; è di uno scon­certante colore rosso ruggine che non contri­buisce certo alla mimetizzazione e risulta un ottimo punto di riferimento per sparare addos­so ad un soldato armato di AK74. Non com­prendo il motivo della strana colorazione da­ta al caricatore e l'Ipotesi, avanzata da più par­ti, che il caricatore sia stato colorato in rosso per impedire che venga confuso con quello dello AKM mi lascia alquanto perplesso per­ché non credo proprio che i militari sovietici siano tutti dei mongoloidi (oltre al fatto che un caricatore identico e disponibile da qualche anno, anche per gli AKM. Secondo chi ha po­tuto provare a fondo lo AK 74, Il compensatore- freno di bocca che viene montato su questo fucile è uno dei più riusciti e permette un fuo­co a raffica sostenuto senza eccessive disper­sioni della stessa. Il freno di bocca funziona

facendo urtare i gas in fase di espansione con­tro una superficie plana posta nella parte an­teriore, In questo modo i gas vengono defles­si all’indietro e spingono l'Insieme in avanti rl- ducendo così il rinculo del fucile. Per ridurre il rilevamento viene fatto uso di tre aperture circolari poste nella metà anteriore del freno e ricavate su un arco di circa 180° con l’aper­tura centrale In corrispondenza del piano pas­sante per l’asse di simmetria. Un inconvenien­te dei freni di bocca è che i gas deflessi van­no a finire in direzione del tiratore, questo pro­blema è stato in gran parte risolto attraverso l’apertura di alcune piccole fessure attraver­so le quali escono gas ad alta pressione che vanno ad interferire con quelli deflessi verso il tiratore. Il freno di bocca-compensatore dello AK 74 sembrerebbe praticamente perfetto ma in realtà presenta tre inconvenienti: non con­sente il lancio di granate, da una vampata ter­rificante e, cosa ben più grave, è rumorisissi- mo per quelli che stanno sui lati del tiratore e proietta, verso gli stessi, eventuali residui della combustione. Considerando lo scarso peso che i sovietici hanno sempre annesso al fattore uomo, è illuminante il fatto che su rivi­ste specializzate, dove vengono trattati i pro­blemi della sanità militare, alcuni autori han­no espresso la loro preoccupazione per la pos-

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Guerrigliero afgano munito di AK 74 con installata un’ottica di mira.

sibilità che continue sedute di tiro con lo AK 74 possano provocare sordità o comunque danni all’udito di coloro che risultino esposti prolungatamente alle onde d ’urto causate la­teralmente dallo AK 74 e che stiano in un rag­gio di 2/3 metri dal compensatore. Infatti il compensatore dello AK 74 è fonte di estremo disturbo per i vicini mentre non dà alcuna noia al tiratore. In ogni caso, pur se il problema dal­la troppo marcata segnatura acustica può es­sere fonte di gravi inconvenienti anche in com­battimento perché indica chiaramente la po­sizione del tiratore (oltre al baccano non in­differente, lo AK 74 si segnala per la sostan­ziosa vampa globulare in volata, vampa che viene stimata come tripla rispetto allo AKM), i sovietici hanno fatto un deciso passo in avanti visto che lo AK 74 viene accreditato di rincu­lo e rilevamento al livello di un .22 L.R. e que­sto risulta particolarmente utile sia in combat­timento che in fase di addestramento delle re­clute. La conversione di personale già adde­strato sugli AKM non crea il minimo proble­ma perché le due armi sono virtualmente iden­tiche per quanto riguarda la meccanica e, can­na a parte, l'unica differenza sta nell’ottura-

tore più leggero e leggermente modificato (con una corrispondente modifica nel portaottura­tore) per impedire che, in sede di smontag­gio, l’otturatore possa cadere separandosi in­volontariamente dal portaotturatore quando l’intero complesso viene separato dal fusto. Un altra piccola modifica sullo AK 74 è costi­tuita dall’estrattore che, rispetto a quello del­lo AKM (che ha sempre goduto fama di relati­va fragilità), è stato considerevolmente ingran­dito ed irrobustito. Al pari dello AKM esiste una versione con calcio ribaltabile anche dello AK 74, questa versione si chiama AKS-74 ed ha un calcio ribaltabile lateralmente realizzato in lamiera stampata; il calcio viene ripiegato sul fianco destro dell’arma e non interferisce col movimento della sicura contrariamente al cal­cio di vecchio modello.

Lo AK 74 è il tipico frutto della politica «evo­lutiva» seguita dai sovietici in molti settori del­l’armamento, con poca spesa si è ottenuta un’arma abbastanza al passo con i tempi sen­za niente perdere delle caratteristiche positi­ve possedute dalle armi di vecchio modello e senza complicare il problema (gravosissimo per un esercito enorme come quello sovieti-

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co) dell’addestramento. Che lo AK 74 sia su­periore a tutti i fucili d ’assalto occidentali at­tualmente in servizio o prossimi ad esserlo, è una fola messa in giro dai soliti «esperti» sempre pronti a dare una patente di eccellen­za assoluta a tutto quello che viene messo in servizio dall’Armata Rossa. La munizione im­piegata è balisticamente inferiore alla ormai obsoleta M193 (V°900 m/s. palla da 53 gra­ni, Energia alla bocca 142 Kgm.) anche se montando una palla concettualmente assimi­labile a quella del 5,56 NATO STANAG 4172 dovrebbe avere migliori effetti terminali (pal­la intrinsecamente instabile per spostamento indietro del centro di massa ma ben stabiliz­zata in volo da una rigatura con passo molto corto, 1/196 m m , dotata di penetratore in ac­ciaio) rispetto alla vecchia cartuccia america­na. Come portata utile la 5,45 x 39 sì colloca sui livelli della M193 ma, rispetto a questo, ha una traiettoria meno radente anche se più te­sa di quella della vecchia 7,62x39; il tiro a distanze fino a 3/400 metri dovrebbe risulta­re più facile con la nuova 5,45 che con la 7,62 ma in ogni caso il comportamento in volo, la capacità di penetrazione in tutti i materiali, la reale portata utile e l’energia cinetica a tutte le distanze sono ben inferiori a quelle della nuova 5,56 NATO. Solo riguardo alla letalità a breve distanza la 5,45 si colloca su livelli as­similabili a quelli della 5,56 NATO ma, all’au- mentare della portata, la munizione occiden­tale (che ha una maggiore velocità alla boc­ca ed una palla con miglior Sd e minor Cx) ri­sulta ben superiore anche riguardo a questo parametro. Per quanto riguarda l’arma vera e propria è indiscutibile che lo AK 74 sia uno tra i migliori fucili d’assalto ma affermare che è superiore alle ultime armi occidentali mi sembra quanto meno esagerato ed impruden­te: manca la raffica limitata, non si possono lanciare bombe da fucile, manca compieta- mente un’ interfaccia standardizzata con otti­che di mira o strumenti di puntamento e ricer­ca al buio, sotto l’aspetto ergonomico lo AK denuncia tutto il peso dei suoi anni (sicura- selettore, calcio, ecc.). Anche sotto l’aspetto costruttivo e, reggetevi forte, della affidabili­tà generale, lo AK 74 comincia a sentire il pe­so degli anni; dalla sua ha indubbiamente il bassissimo costo (sia in termini industriali che di addestramento) che è stato necessario per passare dallo AKM allo AK 74 e non è esclu­dibile che sia possibile riconvertire al nuovo standard anche parte degli AKM già in servi­zio. Ancora una volta lo AK 74 è un arma di ottime caratteristiche generali e costituisce il miglior compromesso a cui poteva arrivare l’Armata Rossa nella cui ottica la scelta dello

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AK 74 è quanto di più felice fosse possibile fare (lo stesso discorso è valido anche per gli alleati di Mosca siano essi stati sovrani o mo­vimenti di guerriglia); da questo a dire che l’ul­timo Klashnikov è quanto di meglio disponi­bile al mondo ne corre parecchio!

R P K 74

Continuando nella logica ferrea che ha sem­pre governato l’evolversi dei loro armamenti i sovietici hanno affiancato allo AK 74 la sua versione fucile mitragliatore: RPK 74 che, co­me lo RPK, è, più che altro, una versione a canna pesante del fucile d’assalto e quindi in­capace di erogare fuoco a raffica sostenuto per lunghi periodi. Al pari dello RPK anche lo RPK 74 spara ad otturatore chiuso e non di­spone neanche del caricatore a tamburo del fratello maggiore, è quindi limitato agli scomo­di caricatori da 40 colpi (gli unici in dotazione allo RPK 74) e può usare quelli da 30 del fu­cile. Tutte le osservazioni fatte sullo RPK so­no valide ad eccezione della controllabilità nel tiro a raffica che risulta sicuramente superio­re grazie alla nuova munizione che ha minor energia di rinculo e richiede inferiori masse in movimento, inoltre il nuovo fucile mitraglia­tore è dotato di freno di bocca (simile a quel­lo degli M16) diverso da quello dello AK 74 per non aumentare a dismisura la già notevole lun­ghezza dell’arma. Particolare interessante del­lo RPK 74 è il calciolo convenzionale che è stato reso ribaltabile sul fianco destro dell’ar- ma; stranamente sembra (i dati sullo RPK 74 sono molto sommari) che esista anche la ver­

sione RPKS 74 con calcio metallico ribaltabi­le; non si capisce l’utilità di questa versione se già il normale calcio è ribaltabile; esiste co­munque la possibilità che questo apparente mistero sia dovuto all’incertezza da parte de­gli analisti occidentali e che una delle due ver­sioni sia stata abbandonata.

Al presente i dati a disposizione sullo RPK 74 sono pochi ed alquanto confusi e non è escluso che i sovietici stiano pensando a qual­che cosa di nuovo come la versione a canna intercambiabile di cui da tempo si parla. Vi­sto il sistema costruttivo del fusto, una versio­ne a canna intercambiabile dello RPK 74 non dovrebbe essere eccessivamente difficile da realizzare con impegno relativamente scarso, altrimenti si può essere sicuri che, conside­rando la linea evolutiva seguita in preceden­za, l’arma verrebbe irrevocabilmente cassa­ta dagli uffici competenti dell’Armata Rossa.

Anche nel caso dello RPK 74 vale quanto detto a proposito dello AK 74, l’arma è valida in assoluto e validissima nell’ottica di impie­go sovietica ma, in un confronto testa a testa, risulta complessivamente inferiore agli analo­ghi modelli occidentali dell’ultima generazio­ne (anche solo restando in Italia il Beretta AS 70/90 è superiore come fucile mitragliatore e, salendo di uno scalino come spettro di impie­go, il Franchi/HK LF 23 E è una vera mitra­gliatrice leggera cosa che lo RPK 74 non sa­rà mai nonostante il nome), resta però il fatto che lo RPK 74 viene distribuito in grosse quan­tità mentre le armi occidentali cominciano solo ora a vedere un timido inizio di impiego su sca­la non ridotta (Minimi).

RPK Smontato.

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A K R

Dalla Seconda Guerra mondiale i sovietici non hanno più costruito nuovi mitra e quelli ancora in dotazione a vari corpi armati del blocco orientale sono reliquie di 40 anni fa.

Una volta tanto sembra che gli errori degli al­tri non abbiano insegnato niente ai sovietici i quali si sono imbarcati nella rischiosa Impre­sa di sviluppare un mitra basato sulla mecca­nica e la cartuccia del fucile d’assalto. Già la vampata dello AK 74 è impressionante e pas­sando da una canna lunga 40 centimetri (AK 74) ad una lunga solo 20 (AKR) i risultati ini­ziali devono essere stati estremamente sod­disfacenti per coloro che vogliono un piccolo lanciafiamme. Poiché non era nell’ Intenzione di Kalashnikov lo sviluppare un lanciafiamme ma, molto più prosaicamente, un mitra, è stato necessario inventare un qualche marchinge­gno per ridurre la vampa di bocca. Il «marchin­gegno» sviluppato per lo AKR è costituito da uno spegnifiamma conico montato al termine di una camera di espansione che dovrebbe produrre due effetti: subitaneo calo pressorio prima che la palla lasci la volata (In realtà la parte terminale dello spegnifiamma) in modo da ridurre la pressione del gas nel gruppo di presa gas (troppo vicino alla camera di car­tuccia) e flemmatizzazione dei gas infiamma­ti in modo da ridurre vampata e segnatura acu­stica. Sia la vampata che la segnatura acu­stica sono già molto rilevanti sullo AK 74 e sul­lo AKR, nonostante lo spegnifiamma, devono essere spettacolari ed anche le prestazioni della 5,45 risultano considerevolmente ridot­te. Sparare una munizione ad alta velocità e piccolo calibro, come la 5,45 sovietica o la M 193, in una canna corta è una cosa priva di senso perché, anche trascurando la vampa­ta ed II botto colossale (cosa inammissibile vi­sto il fastidio che arrecano), le moderne mu­nizioni per fucile d ’assalto fanno conto proprio sulla velocità, velocità che perdono, più di al­tre cartucce con maggior calibro, accorcian­do la canna; la canna dello AKR è stata dra­sticamente accorciata e ci si può tranquilla­mente chiedere a cosa serva tutto quell’ac- crocco rispetto al quale un tranquillo mitra cal. 9 Para costa meno, è meno ingombrante e pe­sante, si controlla meglio (mi riferisco ad un mitra dell’ultima generazione), ha portata pra­tica superiore nel tiro a raffica ed effetti di ba­listica terminale sovrapponibili o forse supe­riori. La logica che ha governato l'adozione dello AKR deve essere ricercata nel deside­rio di portare la standardizzazione al più alto livello possibile. Fusto, catena di scatto, por­taotturatore ed otturatore sono gli stessi del­

lo AK 74 con ovvie economie di scala nella fab­bricazione e nessun problema di addestra­mento per quanto riguarda la meccanica del­l’arma. Oltre alle modifiche rese necessarie dall'accorciamento della canna (gruppo pre­sa gas, pistone, astina, spegnifiamma) sullo AKR la tradizionale tacca di mira degli AK è stata sostituita con due fogliette abbattibili ta­rate per 200 e 400 metri (che ottimisti!), il co­perchio è stato incernierato nella sua parte an­teriore ed il caricatore è stato sostituito con uno che presenta una costolatura di rinforzo anteriore. Il calcio dello AKR, ribaltabile, è lo stesso dello AKS 74.

Indiscutibilmente lo AKR è stato ottenuto con poca spesa, non complica il problema del munizionamento né quello dell’addestramento ma resto convinto che l’Armata Rossa sareb­be stata meglio servita da un vero mitra, ma­gari in 9 Makarov se non si voleva aggiunge­re una nuova munizione. Già altri eserciti (ad es. quello USA) hanno ceduto alla chimera di un mitra derivato in foto dal fucile d ’assalto e sparante la stessa munizione, ogni volta è stato un fiasco ed ormai nessun fabbricante occidentale si balocca più con canne da 20 centimetri (il limite inferiore sembra sia stato scelto intorno ai 30 centimetri per le versioni corte dei fucili d’assalto) pur disponendo di un munizionamento meno sensibile agli accorcia­menti di canna (5,56 NATO). Quando si vuo­le disporre di un arma molto compatta l’uni­ca scelta possibile sembra essere il munizio­namento da pistola (in occidente slamo favo­riti dall’aver scelto l’eccellente 9 Parabellum) ed anche volendo mantenere la più elevata standardizzazione possibile si può sempre ri­correre ad un mitra 9 Para derivato dal fucile d’assalto ma con chiusura labile come il nuo­vo Colt calibro 9 che ha destato non poco in­teresse da parte dell’Army (in altri casi, ad es. HK, i mitra derivati dai fucili d ’assalto ne con­servano addirittura il ritardo di apertura oppor­tunamente tarato).

AKR: lato destro, lato sinistro e smontato. Di quest'arma sono disponibili pochissime imma­gini.

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I DERIVATI DEGLI AK DI ORIGINE NON SOVIETICA

V

Addentrarci nel campo delle armi derivate dagli AK è impresa Improba, tante sono le va­riazioni sul tema: si va da piccole modifiche di dettaglio, come per gli AK 47 cinesi che di­ventano Type 56 solo per minute differenze nelle fresature sul fusto ed i diversi caratteri che indicano le posizioni del selettore (contra­riamente a quanto da molti creduto la baio­netta pieghevole è presente solo su una par­te dei Type 56), fino a vere rielaborazioni del­l’arma (Valmet, M70 yugoslavi, Galil, ecc.). Purtroppo lo spazio è tiranno e in questa se­de è impossibile affrontare compiutamente l'argomento, mi limiterò quindi a dare qualche cenno sulle armi più interessanti premetten­do però alcune osservazioni di carattere ge­nerale. L’arma su cui si è più lavorato, al di fuori deH’Unione Sovietica, è lo AK 47, fatto apparentemente strano ma invece molto lo­gico visto che lo AKM richiede una più svilup­pata capacità industriale. Unica eccezione alla regola è Israele che ha sviluppato il suo Galil partendo dallo AK 47 ma adottando un nuo­vo sistema di fusione che consente di ridurre i costi ed i tempi di fabbricazione senza ricor­rere al fusto in lamiera stampata e senza com­promettere la qualità dell’arma; al contrario il

Galil è la massima espressione a cui si può arrivare partendo dalla meccanica AK. Quasi tutti gli Stati che hanno prodotto lo AKM pro­ducono anche lo RPK (che da questo è deri­vato) mentre ciò non avviene nei Paesi dove è stato riprodotto lo AK 47. Un caso isolato è il Vietnam che, senza produrre AK 47 o AKM, produce lo RPK partendo però da un fusto macchinato come quello dello AK 47; proba­bilmente la fabbricazione degli RPK vietnamiti è iniziata all’epoca dell’amicizia con la Cina che può aver fornito i fusti necessari (la Cina produce solo AK 47) ed è continuata poi au­tonomamente vista la non convenienza di im­piantare una complessa linea di produzione, forse al di sopra delle possibilità tecnologiche del Vietnam e comunque non pagante per fab­bricare solo RPK. Fra tutti i Paesi che produ­cono AKM, solo la Corea del Nord ha mante­nuto la catena di scatto dello AK 47 mentre tutti gli altri hanno optato per quella dello AKM contenente l’inutile riduttore di cadenza; non è un caso se israeliani e finlandesi, i più qua­lificati tecnologicamente fra coloro che han­no rielaborato il disegno Kalashnikov, hanno adottato la catena di scatto dello AK 47 e non quella dello AKM.

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Tipo 56 (Rep. Popolare Cinese) GALIL (Israe le).

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Modello 58 cecoslovaccoQuesto fucile è particolarmente interessante

perché pur richiamandosi formalmente allo AK se ne discosta completamente ed è l'unico esempio di fucile d ’assalto autoctono nei ran­ghi di un esercito del Patto di Varsavia. Cosa ancora più stupefacente il Mod. 58 non è in- teroperabile con lo AK perché, pur sparando la medesima cartuccia, non fa uso degli stes­si caricatori e questi non sono tra loro inter­cambiabili; in realtà non esiste un unico pez­zo del Mod. 58 che possa venire usato su un AK e viceversa, la meccanica delle due armi è profondamente diversa ed un soldato adde­strato con lo AK non sa cosa fare se gli met­tono in mano un Mod. 58. La caratteristica più notevole di questo fucile è il sistema di chiu­sura che viene attuata con un blocchetto oscil­lante simile a quello della P 38. Sotto la spin­ta dei gas, spillati attraverso il g.p.g., il pisto­ne a corsa breve urta il portaotturatore che ini­zia a retrocedere e, dopo una corsa a vuoto di 22 mm. (che fa scendere i valori pressori in canna a livelli di sicurezza), agisce, per il tramite di un piano inclinato, sul blocchetto di chiusura sollevandolo e disimpegnandolo dal­le spalle di arresto nel fusto. Il movimento cir­colare del blocchetto non serve solo a disim­pegnare l’otturatore ma anche ad aiutarlo nel­l’estrazione primaria; la sua faccia anteriore è curva e, contrastando contro una apposita superficie fa spostare leggermente indietro l’otturatore che, ora completamente libero, continua a retrocedere trascinato dal portaot­turatore. Anche la catena di scatto è comple­tamente originale, non è qui possibile esami­narla come meriterebbe, basterà ricordare che a causa della chiusura adottata è stato neces­sario far uso di un percussore lanciato; sono presenti due leve di scatto affiancate e legger­mente sfalsate la destra serve da leva di scatto per il tiro a raffica ed impedisce lo sparo fino a quando il portaotturatore non è in posizio­ne di riposo mentre la sinistra serve solo per il tiro semiautomatico. Nonostante abbia il fu­sto completamente fresato il Mod. 58 è estre­mamente leggero e questo non contribuisce certo alla sua controllabilità nel tiro a raffica visto che manca di un qualsiasi compensato- re ed ha una cadenza di tiro pari ad 800 colpì al primo.

Fucile d ’assalto cecoslovacco Modello 58.

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PMK-DGN-60 polaccoI polacchi hanno riprodotto, pari pari, lo AK

47 (anche per i bulgari) e lo AKM ma l’eserci­to polacco è l’unico, fra quelli del Patto, a di­sporre di una particolare versione dello AK 47 capace di lanciare granate da fucile: il PMK- DGN-60. Rispetto allo AK 47, la versione spe­ciale polacca è stata dotata di una valvola di arresto del fusso dei gas montata sul g.p.g., di un alzo che consente il tiro diretto ed indi­retto delle granate e di un lungo tromboncino per il lancio della granate polacche F1/N60 (antiuomo) e PGN-60 (anticarro) che, strana­mente, hanno un codolo 0 20 invece del 0 22 adottato universalmente. Per la propulsio­ne delle granate il DGN-60 fa uso di speciali cartucce a salve che vengono ospitate in un particolare caricatore da 10 colpi modificato (con l’aggiunta di uno spessore interno) in mo­do da non poter assolutamente ospitare mu­nizioni a palla (se impiegate per errore pro­vocherebbero un disastro facendo esplodere la granata).

PMK-DGN-60.

5 ,6 m m . K K M P Ì6 9

In Germania Est sono stati riprodotti AK 47 ed AKM, denominati in loco MPiK (Maschine- pistole Kalashnikov) e MPiKM oltre alle rela­tive versioni con calciolo ribaltabile che giun­gono una S alla loro denominazione. Ad ec­cezione di particolari secondari, come la man­canza dell’astina di pulizia e del recesso nel calcio fisso per il kit di pulizia oppure dello stra­no calcio ribaltabile dello MPiKMs, i fucili te­deschi sono copie perfette dei corrisponden­ti sovietici. Unico fucile autonomamente svi­luppato in Germania Est è una versione .22 L.R. dello AKM che funziona esattamente co­me l’originale e serve per addestramento al tiro, marce e tutte quelle forme di familiariz- zazione in cui non serva sparare con l’arma vera. Il KKMPÌ69 si distingue a colpo d ’occhio mancando completamente del gruppo presa di gas reso superfluo daN’uso della chiusura labile; altro elemento caratterizzante del trai­ner è il materiale sintetico usato per calcio ed impugnatura a pistola; calcio ed impugnatu­ra in sintetico si trovano anche sugli AKM pro­dotti in loco.

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M62-76 cal. 7,62x39 mm. M60 / M62 / M76 finlandesiPrendendo a base la meccanica dello AK

47 i finlandesi (che pure hanno in dotazione anche AK 47 sovietici e prodotti in loco) han­no fatto di tutto sviluppando pure armi di squa­dra e snipers camerati, al pari dei fucili, an­che per munizioni occidentali come il .223 ed il .308. Tutto iniziò, piuttosto in sordina, con lo M60, studiato ma non prodotto in serie, co­me sostituito degli AK 47; lo M60 ha dato ori­gine, attraverso modifiche di dettaglio a cal­cio, astina e impugnatura oltre all’aggiunta della guardia al grilletto (mancante sullo M60), allo M62 ed è quindi di questa arma che ve­dremo brevemente la descrizione; anche per­ché è dallo M 62 che sono derivati tutti gli al­tri fucili Valmet (parlo solo delle armi militari perchè quelle civili hanno una catena di scat­to simile a quella del Dragunov). Meccanica- mente lo M62 ed i suoi derivati non differisco­no dallo AK 47 ma all’esterno le differenze so­no ovvie. Calcio, pistola ed astina sono in sin­tetico (il calcio può essere anche costituito da un unico tubo metallico ribaltabile sul fianco destro dell’arma); la tacca di mira è spostata sulla parte posteriore del coperchio (questo, nonostante conservi lo stesso sistema di fis­saggio dello AK 47 è più stabile e può essere usato come base per mire metalliche ma non per ottiche a meno di non fissarlo con viti co­me sul Valmet Petra), in volata è presente un freno di bocca a cui si può agganciare la baio­netta. La differenza più notevole tra AK 47 e Valmet sta nelle modalità costruttive e nono­stante si affermi che il fusto del M62 è fresa­to, sarebbe più corretto dire che il fusto viene ottenuto per fusione ed eventualmente mac­chinato ove necessario. I più recenti derivati dello M 62 adottano un fusto in lamiera stam­pata simile ma non uguale a quello dello AKM; è però significativo come per i modelli in .308 si continui a far ricorso al fusto tradizionale. Questa scelta può essere comunque stata det­tata da esigenze di carattere commerciale ol­tre che funzionale.

Come ho già scritto i finlandesi hanno fatto di tutto con la meccanica AK: anche un bull- pup calibro 5,56x45 (cartuccia M 193). No­nostante tutto il rispetto che ho per i finlande­si come fabbricanti d ’armi penso che stavol­ta abbiano clamorosamente «tappato». Agli in­convenienti tipici del disegno bull-pup si de­ve aggiungere il coperchio di chiusura adot­tato su tutti gli AK, appoggiarci la guancia per sparare deve essere un esperienza non pro­prio piacevole ed il tiratore ne viene sicura­mente rintronato oltre ad essere disturbato non poco dai gas che possono fuoriuscire, vi-

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Valmet M 76 P cal. 5 ,56x45 mm.Valmet M82 cal. 5 ,56x45 mm.

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sto che il coperchio non è a tenuta stagna ed i gas che escono dalla camera di cartuccia da qualche parte devono andare. Volendo man­tenere inalterata la meccanica dello AK si ag­giunge anche l’impossibilità di variare l’espul­sione (è pur vero che lo AK espelle in avanti ma un mancino ne resta sicuramente frastor­nato se non viene colpito dai bossoli caldi, nelcaso venga colpito.....) e la sicura, se non èstata modificata internamente come sembra, richiede uno sforzo enorme per essere azio­nata oltre ad essere ancora più scomoda di quella già noiosa dello AK.

Ci sarebbero ancora molte variazioni sul te­ma AK da discutere, come tacere del M 70 e derivati yugoslavi (unici AK che possono lan­ciare granate ed hanno l’hold open), degli AKM ungheresi oppure del famoso Galil.

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Fucile per tiratore scelto Valmet cal. 7,62 NATO.

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M70 (Yugoslavia) cal. 7,62 x 39. M77/82 (Yugoslavia) versione commerciale cal. 308 Win.

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AKM Rumeno, differisce da ll’originale sovie­tico solo per l ’impugnatura anteriore.

Per confronto con la precedente arma, l ’ulti­ma versione dello AKM-S di fabbricazione so­vietica riconoscibile per il rompifiamma.

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LA CARTUCCIA DA 7,62x39 mm. MODELLO 1943VI

A questo punto è necessario dare almeno un brevissimo cenno sulla cartuccia 7,62 x 39 M 43, punto di forza e, nello stesso tempo, li­mite principale del Kalasnikov. All’epoca del­la sua introduzione in servizio la M 43 era pie­namente adeguata ai prevedibili impeghi e la sua traiettoria da arcobaleno, accoppiata ad una dispersione non proprio da manuale, ve­niva ampiamente compensata dal fatto che i sovietici non hanno mai fatto conto sul fuoco mirato da parte delle truppe ordinarie prefe­rendogli il volume di fuoco. Inoltre la bassa energia di rinculo, se paragonata a quella del7,62 NATO, consentiva una minore necessi­tà dì addestramento ed una maggiore control­labilità sia nel tiro a raffica che in quello mira­to. Il contemporaneo 7,62 NATO è una muni­zione superba e tutte le armi che lo impiega­no sono meglio strutturate (angolo di calcio e freno di bocca-compensatore) dello AK per il tiro a raffica ma la cartuccia NATO ha una energia di rinculo notevole che, se non proi­bitiva in assoluto, complica notevolmente i pro­blemi di addestramento e di controllabilità del­l’arma. Pur tacendo dei vantaggi tattici e stra­tegici derivanti dall’uso di una munizione in­termedia è chiaro che, per le normali distan­ze di combattimento ed in presenza di un for­

te fuoco di appoggio (come quello di cui go­dono le truppe del Patto) la M43 è superiore alla 7,62 NATO per un uso su fucili d’assalto. Il tempo passa per tutti e distribuisce insegna- menti che, piano piano, entrano anche nelle teste più dure; con dieci anni di ritardo sui so­vietici anche gli occidentali hanno iniziato a produrre armi camerate per munizioni inter­medie e se la M193 americana non era in to- to superiore alla M 43 questo risultato è stato finalmente raggiunto per la 5,56 NATO a nor­ma STANAG 4172 con l’aggiunta che la car­tuccia occidentale è più leggera e richiede me­no materiali strategici della 7,62x39. Il cer­chio si è chiuso ed ormai la M 43 denuncia i segni di una incipiente obsolescenza; i rus­si sono corsi ai ripari con la loro interpretazio­ne della munizione di piccolo calibro ad alta velocità. I dati teorici paiono confermare la su­periorità della munizione NATO anche nei con­fronti della recente 5,45; sarà la prova sui cam­pi di battaglia (purtroppo non mancano mai su questa tormentata Terra) a dare il responso finale ma sembra che finalmente, dopo qua­ranta anni dalla fine della guerra mondiale, ar­mi e munizioni occidentali siano superiori ai contraltari sovietici.

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7,62x39 M 1943 ordinaria: palla da 122 gra­ni con camiciatura in acciaio decarburato rivestito in tombacco (sulle palle più recenti l’acciaio viene sostituito con gilding). V0720 m/s. - V60 660 m/s. - V100 620 m/s. - V300 450 m/s. - V500 320 m/s.

7,62 x 39 Tracciante: indicata con punta ver-

Nell'ordine, dall’alto: 7,62x25 mm. (7,63 Mau­ser); 9 x 19 mm. (9 Pb); 7,62 x 43 mm. M 43; 7,92x 33 mm. Kurz; 7,62 x 54 mm. R; 8 x 5 7 mm. Js.

de e striscia dello stesso colore sulle cas­se (1 ) — visibilità del tracciante fino ad 800 metri.

7.62 x 39 Perforante incendiaria: impiegabile su distanze non superiori ai 300 metri (ma­nuale russo per AK 47) e dotata di nucleo in acciaio inglobato in quello di piombo — peso della palla e della miscela incendia­ria 118 grani. Strisce rossa e nera sulla pal­la e sulle casse (1) e (2).

7.62 x 39 Incendiaria: la palla, del peso di 102 grani contiene composto incendiario nel­la sua parte anteriore che si frantuma al­l’impatto liberandolo. Palla e casse con­trassegnate con una striscia rossa (1).

7.62 x 39 a salve: serve solo per esercitazio­ni e manifestazioni.

(1) Una cassa in legno contiene 1320 col­pi sfusi suddivisi in due contenitori di lamiera zincata oppure 920 organizzati in clips, anche questi divisi entro due contenitori di lamiera zincata.

(2) Il nucleo in acciaio non è prerogativa as­soluta delle munizioni perforanti incendiarie, anche palle delle munizioni ordinarie sono sta­te fabbricate con nucleo di piombo e acciaio.

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SMONTAGGIO DA CAMPO DELLO AK 47 E DERIVATIVII

Ad arma scarica sì preme (in avanti e verso il basso) sul ritegno del coperchio (foto 1) fino a quando questo non raggiunge una posizione dalla quale il ritorno gli è precluso da un risalto sul fusto.

È così possibile sollevarne il coperchio (foto 2). Continuando la pressione sul ritegno del co­perchio (in realtà la parte posteriore del guidamolla) lo si disimpegna (foto 3) ed è possibile separarlo dal fusto (foto 4).

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Basta ora sollevare e tirare indietro portaotturatore ed otturatore (foto 5) che sono facilmente separabili l ’uno da ll’altro (attenzione a che ciò non accada mentre il gruppo viene estratto dal fusto).

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L ’astina guardamano è divisa in due parti e la superiore contiene il tubo di passaggio del pi­stone (il pistone è spinato al portaotturatore e quindi, a questo punto è già stato rimosso); agendo sulla levetta posta alla base dello zoccolo per la tacca di mira, sulla parte destra, si libera l ’a- stina che può venire separata dalla canna (foto 6). Non conviene andare oltre nello smontag­gio da campo anche se, con l ’ausilio di un cacciaperni, possono essere tolte le spine che bloc­cano percussore (privo della molla antagonista e quindi non cercatela pure rimontando l ’ar­ma) ed estrattore (foto 7).

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TABELLA COMPARATIVA DEI DATI TECNICI ESSENZIALI DELLE ARMI DELLA SERIE AK

A K 4 7 A K M A K 7 4C a lib ro 7 ,6 2 x 3 9 7 ,6 2 x 3 9 5 ,4 5 x 3 9 ,5V o m /s . 7 1 0 7 1 5 9 0 0P e s o p a lla in g ra m m i 7 ,91 7 ,91 3 ,4 1 5P rin c ip io di fu n z io n a m e n to C a d e n z a d i t iro a ra ffic a

o t tu ra to re ro ta n te - s o ttra z io n e di g a s

c o lp i al p r im o 6 0 0 (1 ) 6 0 0 (1) 6 5 0P o rta ta u tile m . C a n n a

3 0 0 (2) 3 0 0 (2) 3 0 0 (2 )

a) L u n g h e z z a m m . 4 1 4 4 1 4 4 0 0b) R ig a tu ra e p a sso 4 d x /2 3 5 m m . 4 d x /2 3 5 m m . 4 d x /1 9 6 m m .L u n g h e z z a to ta le L u n g h e z z a co n c a lc io

8 6 9 m m . 8 7 6 m m . (3) 9 3 0 m m . (3 )

r ib a lta to - v e rs io n e S P e s o

6 9 9 m m . 7 0 6 m m . (3) —

a) A rm a s e n z a c a r ic a to re 4 .3 0 0 g ra m m i 3 .1 5 0 g ra m m i 3 .6 0 0 g ra m m ib) C a r ic a to re v u o to 3 2 2 g ra m m i 3 2 2 g ra m m i —

c) C a r ic a to re p ie n o (3 0 c o lp i) 8 2 7 g ra m m i 8 2 7 g ra m m i —

N O T E

(1 ) E s p e rim e n ti c o n d o tt i n e g li S .U . h a n n o d a to u n a c a d e n z a d i t iro p a ri ad 8 0 0 c o lp i al p rim o .(2 ) La p o rta ta u t ile è u n a q u e s t io n e v a r ia b ile a s e c o n d a di tro p p i fa t to r i, i d a ti in d ic a ti v a n n o p res i so lo c o m e in d ic a z io n i di la rg a m a s s im a .(3 ) C o n s p e g n if ia m m a .

Marchi riscontrabili su armi della serie AK

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INSERTO REDAZIONALE ALLEGATO A DIANA ARMI N° 2 - FEBBRAIO 1986 Direttore Responsabile: Attilio Vallecchi

© 1986 DIANA ARMI Aut. trib. Firenze N° 1870 del 6/11/1967 EDITORIALE OLIMPIA S.p.A. FIRENZE

«LE ARMI DI CUI SI PARLA: AVTOMAT KALASHNIKOV»A cura di: VITTORIO BALZI

Stampe Grafiche Consolini - Villanova di Castenaso

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