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FONDAZIONE GIUSEPPE WHITAKER

Ente Morale sotto il Patrociniodella Accademia Nazionale dei Lincei

La Collezione Whitaker

Direzione scientificadi

VINCENZO TUSA

a cura di

ROSSANA DE SIMONE e MARIA PAMELA TOTI

VOLUME I

PALERMO 2008

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© Fondazione Whitaker 2008web-http: //web.tiscalinet.it/fondazionewhitaker/[email protected]

Fotocomposizione:COMPOSTAMPA di Michele Savasta - Palermo

Stampa:PUNTO GRAFICA - Palermo

Foto in copertina:Giuseppe e Delia Whitaker assistono con amici agli scavi nella necropoli. Anni 1910-1915.

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Per Antonella

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Ad altri più appropriati studiosi è riservata la legittimazione e assegnato il corrispondente compito dipresentare e illustrare la Collezione archeologica Whitaker.

A me, nella veste formale di Presidente dell’Istituzione, compete soltanto di formalizzarne la paterni-tà in capo alla Fondazione, per la migliore conoscenza dell’insieme dei reperti di cui è formata la raccoltache porta e perpetua il nome del suo primo fondatore.

L’unico dato che trascende la sfera formale è costituito dal richiamo della voce “Mozia” contenutanell’Enciclopedia dell’Arte antica classica e orientale curata dalla Treccani. In essa si rende giustizia al ruolodi Giuseppe Whitaker quale il vero iniziatore degli scavi dell’isola e si rende anche giustizia all’importanzadei reperti, pubblicando il torso di una statua in pietra del luogo.

Desidero esprimere in queste righe introduttive la mia gratitudine, alla memoria di Giuseppe Whitakeranzitutto, ed a quanti, a cominciare dall’impareggiabile Vincenzo Tusa, hanno dedicato la loro esperienza ela propria cultura alla valorizzazione di tante ineguagliate testimonianze di un passato già appartenente alpatrimonio fruibile dell’umanità.

PROF. ANGELO FALZEAPresidente della Fondazione Whitaker

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Un’eredità come quella che Giuseppe Whitaker ha consegnato al patrimonio culturale della Sicilia edel mondo intero si celebra sicuramente, più che in iniziative estemporanee e in “eventi” occasionali, in unapubblicazione di alto livello scientifico quale è il catalogo della Collezione archeologica “G. Whitaker” chesi dà alle stampe in questo primo volume.

Si tratta del traguardo di un progetto di grande rilevanza culturale e di notevole ricaduta per la frui-zione del patrimonio archeologico dell’isola di Mozia, elaborato nel corso di decenni di studi da parte diarcheologi specializzati nel settore dell’orientalistica e della classicistica, sotto il sapiente coordinamentoscientifico di Vincenzo Tusa, figura storica dell’archeologia moziese, che tanta parte delle proprie energieintellettuali ha dedicato a questo “frammento d’Oriente gettato nel mare di Sicilia”. Nessuna altra figu-ra di studioso poteva essere più indicata di Vincenzo Tusa quale coordinatore dell’opera omnia dellaCollezione, dato che egli fa parte integrante della storia degli studi e delle ricerche a Mozia; come ebbe adire un giorno Biagio Pace alla signorina Delia in una conversazione sui destini dell’isola di Mozia in unfuturo che entrambi non sentivano tanto lontano: “questo giovane se ne occuperà, e sono certo che faràbene”, indicandolo come continuatore nell’importante opera di valorizzazione del patrimonio archeologi-co dell’isola già intrapresa e consegnandogli il testamento spirituale della costituenda Fondazione.

La pubblicazione della Collezione archeologica, promossa dalla Fondazione Whitaker, era un attonecessario dal punto di vista scientifico e al tempo stesso doveroso in applicazione delle finalità fondamen-tali della Fondazione stessa, e in particolare della promozione dello studio e della conoscenza della civiltàfenicio-punica nel Mediterraneo, menzionata nel secondo articolo del suo statuto. È un modo particolar-mente significativo per rendere merito alla preziosa opera di tutela che Giuseppe Whitaker seppe portare atermine, con mezzi limitati ma con grandi energie intellettuali e spirituali.

La raccolta che questi andò costituendo, a partire dal 1905, fu il frutto di una paziente opera di acqui-sizione e di recupero di reperti che altrimenti sarebbero andati irrimediabilmente dispersi nel mercato clan-

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destino, oltre che di un’appassionata ricerca archeologica che condusse a più riprese sull’isola e a Birgi, sullaprospiciente terraferma, dal 1906 al 1919. Fu dunque un progetto lungimirante e compiuto: dallo scavo allostudio e alla pubblicazione dei risultati della ricerca, senza trascurare la valorizzazione in un contenitoremuseale che, per i tempi in cui venne concepito e realizzato, rispondeva bene alle finalità di dotta antiqua-ria e di illuminato mecenatismo che ispirarono la cultura dei primi del Novecento, agli albori della storiadell’archeologia siciliana.

Sembra doveroso sottolineare che l’opera di tutela che Giuseppe Whitaker intraprese a Mozia non silimitò agli aspetti storico-archeologici, per i quali il più delle volte viene apprezzata e riconosciuta, ma sirivolse anche alla conoscenza e al rispetto per il paesaggio naturale che lo portò ad una accurata ricerca dellespecie botaniche originarie dell’habitat dello Stagnone, al reimpianto di esemplari tipici della flora mediter-ranea, che ancora oggi rendono Mozia un parco archeologico naturale, unico al mondo nel suo genere.

Dunque la difesa del patrimonio di Mozia, per l’anglo siculo Giuseppe Whitaker, era da intendersinella sua originaria interezza di natura e di archeologia, di paesaggio e di storia: ne traiamo un monito allacontinuità, nel rispetto al bene culturale ed ambientale nella sua complessa unitarietà.

Sono certo che la pubblicazione, in sedici volumi, dell’intera collezione Whitaker costituirà un impor-tante passo avanti nella valorizzazione del patrimonio dell’isola di Mozia ed in particolare del suo Museo,per il quale, in una proficua convergenza di interessi e di finalità culturali, Fondazione e Soprintendenzastanno mettendo in cantiere alcuni progetti: dal restauro della statua del Giovane di Mozia, alla realizzazio-ne di un nuovo allestimento espositivo che ne valorizzi a pieno il pregio artistico e il fascino estetico, nel-l’auspicio che il Museo che porta il nome di Giuseppe Whitaker possa rispondere in modo adeguato allemutate esigenze della fruizione.

ARCH. GIUSEPPE GINISoprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani

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VOLUME I

INDICE

VINCENZO TUSA Introduzione ......................................................................................................................... 3

VINCENZO TUSA La Collezione Whitaker. Piano dell’Opera......................................... 5

ROSSELLA GIGLIO Mozia. Una realtà museale................................................................................... 9

VINCENZO TUSA J. Whitaker e Mozia..................................................................................................... 15

PIETRO GIAMMELLARO Biagio Pace, la famiglia Whitaker e i primi passi della

ricerca archeologica a Mozia................................................................................ 21

MARIA PAMELA TOTI Dallo scavo al Museo: la formazione della Collezione

Whitaker .................................................................................................................................. 45

SEBASTIANO TUSA Gli elementi di interesse paletnologico nella Collezione

Whitaker e la preistoria moziese.................................................................... 65

ANTONELLA SPANÒ GIAMMELLARO I vetri preromani.............................................................................................................. 87

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INTRODUZIONE

VINCENZO TUSA

Già dopo l’istituzione della Fondazione Whitaker erano stati più volte avanzati progetti di pubbli-cazione della ‘Collezione Whitaker’, in vista della quale si era avviato un programma di catalogazioneche aveva portato all’edizione di alcuni gruppi di materiali.

In anni recenti, la cura dell’opera era stata affidata alla professoressa Antonella Spanò Giammellaro,docente di Archeologia fenicio-punica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studidi Palermo.

Era già conclusa la stesura del Piano dell’Opera, quando un triste ed ineluttabile destino la strap-pava all’affetto e alla stima degli amici e della comunità scientifica tutta: certamente avrebbe portato atermine l’impresa, non solo in considerazione delle specifiche competenze, che l’avevano portata ad esse-re considerata il referente principale a livello internazionale dell’Archeologia fenicio-punica in Sicilia, maanche tenuto conto dell’impegno e della tenacia profusi in ogni attività intrapresa, ben noti a quanti laconobbero.

L’attività di Antonella nel campo dell’Archeologia fenicio-punica ebbe inizio oltre trent’anni faquando, giovane studentessa universitaria, cominciava a frequentare le lezioni di Antichità Puniche chetenevo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo: in questa disciplina aveva con-seguito la Laurea, presentando una ottima dissertazione finale che lasciava intravedere i segni dell’estre-mo rigore metodologico che avrebbe caratterizzato tanti successivi lavori.

I nostri rapporti sono stati sempre cordiali, assolutamente onesti e sinceri: la Cattedra di AntichitàPunica di quegli anni le fu debitrice di un lavoro assiduo e faticoso, sia per quanto riguarda l’attivitàdidattica, sia in relazione alle ricerche sul campo condotte a Mozia.

Gli anni che seguirono videro i suoi interessi scientifici volgersi a molteplici e variegati aspetti dellaciviltà fenicia, con particolare riferimento alla Sicilia: numerosi lavori sono dedicati a diverse produzio-

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ni artigianali di tradizione fenicio-punica, vetri, gioielli, amuleti, uova di struzzo (in massima parte edi-zioni di materiali inediti); per quanto riguarda la scultura, vari articoli hanno indagato la complessa pro-blematica relativa al “Giovane di Mozia”, ai sarcofagi antropoidi e a produzioni scultoree nordafrica-ne. Si aggiungono studi recenti di carattere storico-topografico sui centri di fondazione fenicia dellaSicilia, con particolare riferimento alle modalità insediamentali, all’urbanistica, alle necropoli (presen-tati nell’ambito di Congressi Internazionali tematici). L’edizione di materiali inediti rientra sovente inCataloghi di Musei o esposizioni temporanee, in Italia e all’estero, delle quali ha curato anche l’appa-rato didattico.

Dicendo ora della pubblicazione della Collezione Whitaker, Antonella, come sopra dicevo, stilavail progetto: profonda conoscitrice dell’archeologia moziese, aveva elaborato una pubblicazione deireperti distinti per classi di materiali, curate da numerosi studiosi, indicati sulla base delle specifichecompetenze.

Per ragioni strettamente connesse ai finanziamenti necessari alla pubblicazione, il programma ini-ziale, che prevedeva l’edizione di due volumi, ha dovuto subire una modifica sostanziale: data la grandequantità e l’altrettanta varietà dei reperti verrà infatti pubblicata una serie di volumi distinti per classi dimateriali, editi in tempi diversi, come da Piano dell’Opera qui di seguito presentato.

Quale responsabile scientifico della pubblicazione designato dalla Fondazione Whitaker, ho incari-cato della cura dell’edizione dei volumi Maria Pamela Toti, allieva di Antonia Ciasca, archeologa respon-sabile, per conto della Fondazione Whitaker, dell’Isola di Mozia e Rossana De Simone, allieva diAntonella, nel segno di una continuità che intende rendere omaggio a due indimenticabili figure didonne e di studiose, protagoniste per lunghi anni dell’archeologia moziese.

Nell’auspicio di un felice raggiungimento dei nostri intenti, fidando nella collaborazione dei nume-rosi studiosi invitati a partecipare all’edizione dei materiali, siamo certi che la pubblicazione dellaCollezione Whitaker costituirà un contributo importante per la conoscenza della civiltà fenicia e punicain Occidente, della quale Mozia costituisce oggi testimonianza intatta, scrigno da salvaguardare per legenerazioni future.

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V. Tusa

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LA COLLEZIONE WHITAKERPIANO DELL’OPERA

VINCENZO TUSA

VOLUME I

Introduzione VINCENZO TUSA

La Collezione Whitaker. Piano dell’Opera VINCENZO TUSA

Mozia. Una realtà museale ROSSELLA GIGLIO

J. Whitaker e Mozia VINCENZO TUSA

Biagio Pace, la famiglia Whitaker e i primi passidella ricerca archeologica a Mozia PIETRO GIAMMELLARO

Dallo scavo al Museo:la formazione della Collezione Whitaker MARIA PAMELA TOTI

Gli elementi di interesse paletnologiconella Collezione Whitaker e la preistoria moziese SEBASTIANO TUSA

I vetri preromani ANTONELLA SPANÒ GIAMMELLARO

VOLUME II

La Collezione Whitaker. Saggio bibliografico ROSSANA DE SIMONE

Il contesto storico (ante 397 a.C.) SANDRO FILIPPO BONDÌ

Il contesto storico (post 397 a.C.) PIETRINA ANELLO

Anfore MARIA PAMELA TOTI

Bolli anforici BRUNO GAROZZO

Elementi architettonici ANTONELLA MEZZOLANI

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VOLUME III

Gioielli ROSSANA DE SIMONE

Amuleti ADRIANA FRESINA

Scarabei e ushabti GABRIELLA MATTHIAE SCANDONE

Oggetti in osso lavorato, uova di struzzo GIOVANNA PISANO

VOLUME IV

Ceramica corinzia, rodia, argiva VALERIA TARDO

Ceramica e coroplastica etrusca ANTONELLA MAGAGNINI

Ceramica figurata MONICA DE CESARE

VOLUME V

Ceramica a v.n. MARIA GRAZIA GRIFFO

Ceramica acroma di età ellenistica ROSSELLA GIGLIO

VOLUME VI

Ceramica a v.n. di età ellenistica CARLA DEL VAIS

Ceramica di età romana MASSIMO DENARO

VOLUME VII

Ceramica di tradizione fenicia MARIA LUISA FAMÀ

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V. Tusa

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VOLUME VIII

Arule ALESSIA TERMINI

Bordi di louteria NUNZIO ALLEGRO

Maschere e protomi MARIA PAMELA TOTI

Pesi da telaio FRANCESCA OLIVERI

VOLUME IX

Coroplastica GIUSEPPE GARBATI

LUANA POMA

VOLUME X

Scultura di tradizione fenicia SERENA CECCHINI

Scultura greca e romana CATERINA GRECO

Ancore GIULIANA SARÀ

Macine e pestelli LORENZA CAMPANELLA

VOLUME XI

Stele, cippi, edicole funerarie MARIA LUISA UBERTI

VOLUME XII

Lucerne MONICA CECI

La Collezione Whitaker. Piano dell’Opera

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VOLUME XIII

Monete ALDINA CUTRONI TUSA

GIUSEPPINA MAMMINA

VOLUME XIV

Metalli MARIA LUISA FAMÀ

ALESSIA TERMINI

VOLUME XV

Iscrizioni greche ANTONIETTA BRUGNONE

Iscrizioni puniche MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

Reperti ossei ROSARIA DI SALVO

Reperti malacologici MARCELLO MANNINO

Varia MARIA PAMELA TOTI

ROSSANA DE SIMONE

VOLUME XVI

Il contributo della Collezione Whitaker alla conoscenzadella civiltà fenicio-punica nel Mediterraneo PIERO BARTOLONI

Il contributo della Collezione Whitaker alla conoscenzadella civiltà greca nel Mediterraneo CARMELA ANGELA DI STEFANO

Conclusioni GIOACCHINO FALSONE

Indici MARIA PAMELA TOTI

ROSSANA DE SIMONE

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V. Tusa

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MOZIA. UNA REALTÀ MUSEALE

ROSSELLA GIGLIO

Il Museo intitolato a Giuseppe Whitaker occupa un’ala del pianterreno della Palazzina, che, dagliinizi del Novecento, fu residenza della famiglia sull’isola di Mozia.

Lo spazio espositivo nasce come “ricovero” immediato del nucleo primigenio dei reperti archeolo-gici rinvenuti in occasione delle prime ricerche promosse dal Whitaker sull’isola e posti all’interno dellegrandi vetrine bianche realizzate da maestranze locali, come risulta dalla documentazione d’archivio.

L’impronta del collezionismo dei primi anni ha naturalmente subito una evoluzione: nel corso dellasua lunga vita il Museo è cresciuto seguendo i cambiamenti avvenuti nella scienza della museologia, for-nendo sempre un’immagine completa ed esaustiva della civiltà fenicio punica sviluppatasi sull’isola.

I mutamenti espositivi che sono stati realizzati nel tempo hanno lasciato traccia di sé e, come in unoscavo archeologico, è possibile individuare oggi nel Museo una “stratigrafia” espositiva, dove ogni attivi-tà, per continuare con la metafora archeologica, è chiaramente identificabile e racconta la propria storia.

La fase più antica, il momento della nascita, è la Collezione Whitaker, raccolta da un grande nonarcheologo che, forse proprio perché spinto dalla passione e non da criteri solamente scientifici, riuscìa trasmettere all’esposizione la capacità di essere senza tempo, quindi attuale anche oggi e forse persempre.

Gli oggetti, non solo archeologici, poiché sono custoditi nelle vetrine anche reperti malacologici efaunistici dello Stagnone, raccontano la storia del territorio e illustrano la figura di studioso a tutto tondodi Giuseppe Whitaker.

Con i materiali di Mozia sono presentati anche reperti provenienti da Birgi, la contrada sita sull’an-tistante terraferma, dove sorge l’area archeologica allora ritenuta la necropoli di Mozia; non mancano iritrovamenti da Lilibeo, costituiti da numerosi reperti di varia cronologia provenienti dalla città che ere-ditò il ruolo di Mozia nella Sicilia punica. Gli oggetti sono disposti per categorie e nella maggioranza deicasi sono rigorosamente integri e ben conservati.

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Forse proprio in questa integrità dei materiali esposti può essere individuata l’unica pecca ascrivi-bile a Whitaker: l’aver privilegiato il vaso intero senza tener conto dell’importanza anche dei singoliframmenti utili per la ricostruzione della vita della città. Tuttavia, si può considerare questo aspetto pret-tamente collezionistico un peccato veniale, riscattato dall’aver creato una delle prime raccolte archeolo-giche museali legate al territorio ed all’ambiente circostante.

Ed è da sottolineare inoltre l’intuizione di Giuseppe Whitaker, avveniristica per i suoi tempi, nel-l’aver consentito da subito l’immediata fruizione degli esiti delle sue ricerche, compiutamente studiate epubblicate nel 1921.

Negli anni intorno al 1960, per volere della figlia Delia, i reperti degli scavi più recenti (Missionedell’Università di Leeds con il Prof. Isserlin e Missione congiunta della Soprintendenza alle Antichitàdella Sicilia Occidentale insieme all’Istituto per la Civiltà Fenicio Punica del CNR e all’Università diRoma ‘La Sapienza’) furono esposti nelle grandi vetrine che avevano ospitato la collezione ornitologicadel Whitaker (ora a Belfast ed a Edimburgo). Venne conservata la vecchia esposizione ma i materialidegli scavi moderni furono presentati per contesti topografici, necropoli e tofet, e fu riproposta, in unavetrina, una sepoltura in cista della necropoli.

Un’ulteriore crescita si ebbe nel 1988 quando, con l’istituzione della Soprintendenza per i BeniCulturali ed Ambientali di Trapani, si procedette ad una revisione scientifica dell’esposizione, nellaquale, pur restando immutato lo spazio espositivo, si dotarono di didascalie gli oggetti e soprattuttovenne esposta la celebre statua del Giovane di Mozia, ritrovata nel 1979 a seguito di scavi condotti dallaSoprintendenza Archeologica della Sicilia Occidentale insieme con l’Università di Palermo.

La maturità espositiva è stata raggiunta con l’allestimento eseguito tra il 1999 e il 2001, grazie ad unprogetto, finanziato dall’Unione Europea, volto al miglioramento della fruizione turistica degli immobi-li storici dell’isola di Mozia, per mezzo del quale si è potuto coniugare il mantenimento dell’identità sto-rica della vecchia collezione con una moderna esposizione dei materiali provenienti dagli scavi recenti.

Infatti lo spazio occupato dal Museo venne ampliato, accorpando tutti gli ambienti del pianoterradella Palazzina, la residenza moziese dei Whitaker, per poter esporre una selezione dei materiali riguar-danti i rinvenimenti effettuati tra il 1960 e il 1996 dalla Soprintendenza e da istituti universitari italianie stranieri che svolgevano sull’isola attività di ricerca scientifica.

L’esposizione comprende la sala didattica con il plastico dell’isola, recante l’indicazione delle zonearcheologiche con la evidenziazione delle strutture messe in luce e numerosi pannelli illustrati riguardan-ti la storia dei Fenici e la loro civiltà.

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R. Giglio

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Dalla sala centrale, il vecchio cortile di servizio della Palazzina Whitaker chiuso con il lucernario,dove è esposto il “Giovane di Mozia”, attraverso due porte si passa alla nuova ala espositiva.

La grande sala dal tetto a capriate, l’antica cucina Whitaker, ospita le vetrine e i pannelli relativi airitrovamenti di epoca preistorica, ai materiali delle fortificazioni e a quelli provenienti dalle diverse zonedell’abitato della città antica.

Le attività industriali svolte sull’isola, consistenti soprattutto nella realizzazione di vasi, sono illustra-te dagli oggetti provenienti dalla ‘Zona Industriale a Sud della necropoli’ e dalla ‘Zona K/K Est’.

La sala posta in fondo è interamente dedicata all’esposizione dei materiali del Tofet, il tipico santua-rio delle città fenicie di Occidente, studiato da Antonia Ciasca. Sono presenti le grandi stele iscritte, leprotomi e la maschera, le numerose statuette greche e puniche, oltre ai molteplici vasi relativi alla lungavita del santuario.

Infine tre vetrine sono riservate all’esposizione dei corredi della necropoli arcaica di Mozia, mate-riali sia fenici che greci datati dalla fine dell’VIII al V sec. a.C. Sono pure presentati alcuni corredi disepolture della necropoli di Birgi, rinvenuti in scavi di emergenza effettuati dalla Soprintendenza diTrapani nel novembre 1996.

Un grande pannello bianco costituisce un divisorio tra la nuova esposizione e l’ala Whitaker, la gran-de sala dove si è mantenuta l’esposizione del nucleo primitivo della Collezione Whitaker, oggi tappa fina-le dell’itinerario nel nuovo museo.

Ma come ogni cosa, anche quest’ultimo percorso museale sarà destinato a mutare, sia per le nuoveesigenze di fruizione da parte del pubblico, sia per le nuove scoperte effettuate nell’isola, che sono sen-z’altro meritevoli di essere conosciute ed apprezzate.

Proprio per questo, alla luce della stretta connessione tra l’essenza di questo museo, nato specifica-tamente per i ritrovamenti moziesi, e la ricerca archeologica sempre vitale e in continuo progresso, si ren-derà presto necessaria una inevitabile e dovuta modifica di ciò che, solo pochi anni fa, sembrava essereun punto fermo nella costituzione del Museo.

Poiché la Collezione è stata e rimarrà sempre il nucleo immutabile di questa realtà museale, inquesto contesto appare opportuno presentare una rapida rassegna dei materiali esposti nelle vetrinestoriche.

Attenzione particolare meritano gli splendidi vetri, con colorazioni blu e decorazioni policrome, inpiccole forme quali alabastra, aryballoi, amphoriskoi, oinochoai; questa produzione iniziò a partire dalVII-VI secolo a.C. nel Mediterraneo orientale e continuò almeno fino al I secolo a.C., cioé fino alla

Mozia. Una realtà museale

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invenzione della soffiatura. Sono presenti anche pendenti di collana configurati a testa umana; un esem-plare, in particolare, riproduce una testa femminile bifronte. Numerosi sono i vaghi di collana, di formaglobulare o cilindrica, con decorazioni diverse; oggi sono esposti riuniti in collane, in alcuni casi rico-struite arbitrariamente agli inizi del Novecento.

Pur se limitata quantitativamente è molto interessante la serie di gioielli esposti, che, insieme a moni-li d’argento, provengono generalmente dalle necropoli di Mozia e Birgi; fra gli altri, un pendente d’oroa disco, orecchini, anelli e pendenti d’argento (VII-VI sec. a.C.).

Particolare importanza rivestono gli amuleti, i cui soggetti trovano riscontro nella cultura egiziana;le iconografie più frequenti sono riconducibili alle figure di Ptah, nano deforme, di Anubis con testa disciacallo, di Horus-Ra con testa di falco, di Khnum con testa di ariete (VII-IV sec. a.C.).

Anche alcuni degli scarabei (in steatite, pasta silicea o diaspro verde) sono in prevalenza di origineegiziana; gli esemplari di Mozia sono incastonati in anelli digitali o utilizzati come pendenti o come ele-menti di collane (VII-VI sec. a.C.).

Fra questi reperti ornamentali, un cenno particolare merita un gruppo di fibule bronzee, importatedall’Italia centro-settentrionale (VII-VI sec. a.C.).

Di diversa tipologia sono i numerosi pesi da telaio, che testimonierebbero la fiorente attività di tes-situra delle stoffe; sono esposti inoltre pesi da rete e oscilla, oggetti di bronzo (punte di freccia), armi diferro (lance, spade), reperti malacologici, ossei e fossili, fra cui anche zanne di elefante.

Per quanto riguarda la ceramica, oltre a quella di importazione corinzia e attica, sono esposti nume-rosi esemplari, per lo più provenienti dalla necropoli, riconducibili ai consueti tipi fenici: brocche bico-niche con orlo trilobato, bottiglie con orlo svasato a fungo, piatti, lucerne.

Merita particolare attenzione la scultura costituita da due grossi blocchi di calcare, che raffigura dueleoni che azzannano un toro; arule fittili decorate e il noto pavimento a ciottoli bianchi e neri attestanoa Mozia lo stesso tema iconografico.

Cronologicamente più recenti sono i numerosi reperti archeologici provenienti dall’antica città diLilibeo, si tratta perlopiù di corredi funerari, purtroppo smembrati, estremamente eterogenei, che offro-no una panoramica varia ed interessante costituita da terracotte figurate e forme vascolari ben attestate.

A conclusione di questo rapido excursus non si può fare a meno di ricordare l’esistenza di una con-sistente raccolta numismatica composta da esemplari di vario metallo e di varie epoche, provenienti daMozia e dal territorio lilibetano; una parte cospicua è costituita da materiale vario, acquistato dalWhitaker nel mercato antiquario. Questo medagliere, recentemente schedato a cura della

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R. Giglio

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Soprintendenza di Trapani e del Centro Regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazio-ne dei beni culturali ed ambientali, con fondi dell’Unione Europea, sarà oggetto di una selezione finaliz-zata ad una prossima esposizione.

La Fondazione Whitaker ha sempre puntato alla valorizzazione di questo particolare ed articolatopatrimonio storico archeologico, la cui tutela è della Soprintendenza di Trapani e a tal proposito si ricor-da che anche Delia Whitaker avvertì l’imprescindibile necessità della salvaguardia della Collezione e del-l’isola intera, volendo fortemente l’inserimento della figura istituzionale del Soprintendente nelConsiglio di Amministrazione della Fondazione.

Infine, non si può fare a meno di aggiungere che la struttura museale non è solo e soltanto l’edifi-cio contenitore della cultura materiale ma è tutta l’isola di Mozia, nella sua interezza storica, archeologi-ca e naturalistica che attrae ed affascina proprio per le sue doti di museo all’aperto.

Mozia. Una realtà museale

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Giuseppe e Delia Whitaker in barca al molo di Mozia.

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J. WHITAKER E MOZIA

VINCENZO TUSA

Già da tempo è nota l’attività della Fondazione Whitaker, creata e voluta da questa famiglia al finedi una continua attenzione e valorizzazione del grande contributo dato all’archeologia siciliana soprat-tutto per quanto attiene alla conoscenza della cultura fenicio-punica nell’isola e nel Mediterraneo.

La Collezione della Fondazione1 è il risultato, in massima parte, degli scavi condotti, tra il 1906 edil 1927, da Joseph Whitaker, la persona più rappresentativa di questa famiglia2.

Nato a Palermo nel 1850, dopo alcuni decenni ritornò dall’Inghilterra, dove aveva trascorso gli annidell’infanzia e della giovinezza, per recarsi a Marsala come collaboratore di Beniamino Ingham, suoparente, che, come è noto, fin dagli inizi dell’800 praticava con molto successo l’industria ed il commer-cio del vino “Marsala”.

Joseph non aveva attitudini specificatamente mercantilistiche come i suoi parenti; era portato aglistudi e alle ricerche nei campi più vari.

Occupandosi, ad esempio, dei suoi affari in Tunisia ne aveva approfittato per organizzare e condur-re spedizioni di studio sugli uccelli di quella regione, il cui frutto più significativo era stato il volume TheBirds of Tunisia, pubblicato a Londra nel 1905, che a giudizio degli esperti ancora oggi conserva intattoil suo valore scientifico.

Quando un contadino cominciò a portargli alcuni reperti archeologici provenienti da un’isoletta neipressi di Marsala, denominata San Pantaleo, rinvenuti dissodando il terreno per la preparazione deivigneti, Whitaker volle recarsi nell’isola, spinto da un interesse che aveva già manifestato in occasione dialtri scavi nel territorio di Marsala. C’è da ritenere che in queste gite fosse accompagnato da un fedelecollaboratore, il cavaliere Giuseppe Lipari Cascio, un vecchio garibaldino, persona molto nota e stima-ta nel Marsalese.

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1 FAMÀ 1990. 2 TUSA 1988.

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Whitaker fu attratto da quest’isola anche per la sua posizione geografica – una zolla di terra emer-gente in quel tratto di mare, non lontano da Marsala, che forma quasi un lago sbarrato ad Occidentedall’Isola Lunga, una sorta di diga naturale. Tra le testimonianze archeologiche qualcuna, come la PortaNord, era ben visibile, per non dire imponente. Decise quindi di dedicare il suo tempo libero all’isola pro-muovendo scavi e facendola conoscere al mondo delle persone colte: vi rimase fino alla fine della sua vita3.

L’isola era già relativamente nota agli specialisti sin dal Cinquecento, grazie al ritrovamento di alcu-ni reperti che gli studiosi locali avevano fatto conoscere ai loro colleghi. Viaggiatori e geografi stranieri,quali Cluverio e Houël, ne avevano descritto alcuni aspetti nelle loro opere, in particolar modo il secon-do, che aveva illustrato la Porta Nord. Qualche scavo regolare era stato eseguito nella seconda metàdell’Ottocento: nel 1875 era venuto nell’isola a condurvi una breve campagna di ricerche lo scopritoredi Troia, Tirinto e Micene, il famoso Schliemann.

Per condurre regolari campagne di scavi era necessario disporre del terreno. Whitaker, dunque, fucostretto ad acquistare tutta l’isola, impresa non facile perché numerosi erano i piccoli proprietari cheda oltre un secolo ne possedevano gli appezzamenti, coltivati a vigneto. Ma Whitaker, aiutato da LipariCascio, vi riuscì.

Un discendente di quest’ultimo, il colonnello Giulio Lipari, persona devota alla famiglia Whitaker,mi raccontava che soltanto uno dei contadini non volle vendere la sua proprietà all’ “inglese” (in realtàWhitaker era nato ed in parte cresciuto a Palermo). Il Lipari Cascio comprò allora a suo nome la pro-prietà contesa e la rivendette poi al “Commendatore” (così era chiamato Whitaker).

Portata a compimento la lunga operazione di acquisto, Whitaker promosse varie campagne di scavoche, iniziate nel 1906, proseguirono con interruzioni, dovute soprattutto alla guerra 1915-18, fino al 1927mettendo in luce vari aspetti del passato dell’isola che, fino ai nostri giorni, hanno costituito la base dellericerche.

Furono scoperte la necropoli arcaica, la casa dei mosaici, abitazione di tipo ellenistico con il pavi-mento del peristilio formato da ciottoli di fiume bianchi e neri levigati dall’acqua, la casa delle anfore einfine alcuni tratti della cinta muraria, lungo il percorso dell’isola. Va menzionato anche un santuario ditipo fenicio-punico, unico in Occidente (che ha riscontro soltanto a Cipro nel tempio di AphroditePaphia), ubicato in una località detta “Cappiddazzu” a causa di un largo cappello che, messo in cima ad

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3 TUSA 1988.

V. Tusa

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un bastone tra le vigne, fungeva da spaventapasseri. Tra i vari saggi, va ricordato anche quello del tophet,il famoso luogo sacro dove si deponevano le ceneri dei bambini consacrati alla divinità: di questo peròWhitaker non comprese la vera natura e poiché, a differenza della necropoli, non vi fu rinvenuto mate-riale interessante, interruppe lo scavo: così mi fu detto dalla figlia Delia, che per un certo periodo hoconosciuto e frequentato. I materiali di questi scavi, insieme a quelli acquistati altrove, provenientisoprattutto da Marsala, si trovano ora nel Museo sito nell’isola, ideato e realizzato dallo stesso Whitaker,Museo che costituisce una delle raccolte più importanti per la conoscenza della civiltà fenicio-punica delMediterraneo.

Whitaker descrisse in un volume, pubblicato a Londra nel 1921, i risultati degli scavi ed i materialiconservati nel Museo, aggiungendo un’ampia introduzione di carattere storico; il volume è consideratoancora oggi il punto di partenza per gli studi su Mozia e sulla civiltà fenicio-punica del Mediterraneo4.In sostanza egli realizzò un’opera che è giudicata come un modello di intervento per una zona archeo-logica, intervento articolato in quattro fasi. In primo luogo l’acquisizione di tutta l’isola, premessa che,nata come si è detto per esigenze di studio, ha potuto rivelare appieno la sua importanza ai nostri gior-ni, quando le zone archeologiche rimaste in mano ai privati sono state oggetto di scempi edilizi che cer-tamente non avrebbero risparmiato l’indifesa isoletta. In secondo luogo la programmazione degli scavifu eseguita “sotto la supervisione dello Stato – come egli dice – nella persona del professor AntoninoSalinas, l’ultimo direttore del Museo Nazionale di Palermo”.

In terzo luogo la costituzione di un Museo sul posto stesso degli scavi perché chiunque potessevederne i reperti nel contesto di provenienza. Infine la pubblicazione dei risultati della ricerca storico-archeologica allo stato compiuto.

L’impresa di Whitaker a Mozia richiamò numerose personalità sia italiane che straniere: il successo-re di Salinas, Ettore Gabrici, Thomas Ashby direttore della Scuola britannica di Archeologia di Roma,G.F. Hill, il noto numismatico del British Museum, sir Flinders Petrie, il famoso egittologo che regalò aWhitaker un amuleto egiziano conservato nel museo di Mozia, e molti altri studiosi.

In conclusione il lavoro archeologico svolto da Whitaker a Mozia permise all’Italia di far sentire lapropria voce nel campo delle ricerche fenicio-puniche nel Mediterraneo; voce che ha aperto e spianatola via alla continuazione di questi studi.

4 WHITAKER 1921.

J. Whitaker e Mozia

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Biagio Pace, che a Mozia dedicò due dei suoi primi studi, parlando di Whitaker diceva che le piùgrandi scoperte in questo campo sono avvenute ad opera di non archeologi.

Naturalmente, prima di ogni altro, si riferiva a Schliemann. Whitaker appartiene certamente aquesta schiera di pionieri (ed oggi penso a Ventris, il giovane architetto inglese che interpretò lalineare B) che con la loro passione e la loro azione illuminata hanno contribuito al progresso deglistudi archeologici.

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V. Tusa

FAMÀ 1990 M.L. FAMÀ, La Collezione Whitaker: storia e prospettive future: AA. VV., Da Mozia aMarsala. Un crocevia della civiltà mediterranea. Atti convegno, Marsala 4-5 aprile 1987,Roma s.d.[1990], pp. 145-148.

TUSA 1988 V. TUSA, Joseph Whitaker e Mozia: R. Trevelyan, La storia dei Whitaker, Palermo 1988,pp. 147-152.

WHITAKER 1921 J.I.S. WHITAKER, Motya. A phoenician colony in Sicily. London 1921.

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Mozia. Biagio Pace e la Famiglia Whitaker ritratti di fronte all’ingresso della Palazzina Whitaker. Sono riconoscibili da sini-stra Giuseppe Lipari Cascio, Giuseppe Whitaker, seduti Antonino Di Giorgio e Tina Whitaker, seduta in terra DeliaWhitaker.

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BIAGIO PACE, LA FAMIGLIA WHITAKER E I PRIMI PASSI DELLA RICERCAARCHEOLOGICA A MOZIA*

PIETRO GIAMMELLARO

La storia della moderna ricerca scientifica su Mozia1 si apre con una breve nota pubblicata nelleNotizie degli Scavi di Antichità, ad opera di un giovane archeologo siciliano, poco più che venticinquen-ne. Si tratta di una prima, embrionale interpretazione dei risultati delle campagne di scavo condotte daJoseph Whitaker tra il 1906 e il 1914, e ne è autore Biagio Pace, destinato a diventare in capo a pochianni una delle figure più rappresentative dell’archeologia italiana nella prima metà del Novecento.

Il primo incontro di Biagio Pace con la famiglia Whitaker va fatto risalire al 1914.Il giovane archeologo era appena rientrato dalla Grecia, dove aveva frequentato per due anni la

Scuola Italiana di Atene sotto la guida di Luigi Pernier e di Roberto Paribeni. Aveva già al suo attivodiverse pubblicazioni2 e una notevole esperienza di scavo, maturata prima in Sicilia (a Camarina con

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* Desidero ringraziare Rossana De Simone e Maria PamelaToti per aver condiviso con me informazioni, materiali e rife-rimenti; il Prof. Vincenzo Tusa per la generosità con cui hamesso a mia disposizione il suo straordinario patrimonio diconoscenze e ricordi; la Prof. ssa Gaetana Maria Rinaldi e ilDott. Matteo Di Figlia per i preziosi suggerimenti e le rigoro-se indicazioni di metodo.

Dedico questo lavoro alla memoria di mia madre, AntonellaSpanò Giammellaro, che ha legato gran parte del suo percorsoumano e professionale a Mozia, trasmettendo a tutta la sua fami-glia e a coloro che l’hanno conosciuta il suo amore sviscerato perquest’isola e per i suoi abitanti, antichi e moderni.

1 Per tutti gli studi precedenti rimando all’ancora validahistory of research di ISSERLIN – DU PLAT TAYLOR 1974,pp. 3-16.

2 Ben due monografie, una del 1908 (Contributi cama-rinesi) e una del 1911 (I Barbari e i Bizantini in Sicilia) epoco più di una decina di articoli; si tratta di saggi su temivari di filologia classica (I gioielli nel nuovo Menandro, inRömisches Mitteilungen XXV, 1910; plastai = trichopla-stai? Plut. Dion., in Bullettino di Filologia Classica 1913)di storia e archeologia siciliana (La poetessa sicilianaElpide, in ASSO 1912; Perillo agrigentino e il toro diFalaride, in Bulletino di Filologia Classica 1913;Archaiologikà. Notizie di scoperte e studi che riguardano laSicilia, in ASSO XXXVIII-XL; Ceramiche ellenistiche sice-liote, in Ausonia 1913), oltreché di numerosi contributirelativi agli scavi effettuati dalla Scuola ArcheologicaItaliana di Atene a Rodi, Gortina, Patmos e in AsiaMinore.

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Paolo Orsi)3, poi a Creta, a Rodi e in Asia Minore (come allievo della Scuola di Atene, al seguito diParibeni)4.

L’incontro avvenne nel corso di una visita a Mozia, organizzata in occasione della presenza in Siciliadell’archeologo Antonio Taramelli e del Direttore della British School di Roma Thomas Ashby e guida-ta da Pip Whitaker che aveva appena portato a termine la sua nona campagna di scavo e si accingeva apubblicare in un volume i risultati delle sue prime ricerche sull’isola5. Tra le ragioni della visita, va cer-tamente individuata la necessità da parte di Whitaker di guadagnare credibilità agli occhi di un gruppodi noti specialisti, in considerazione dei recenti contrasti con il nuovo Direttore del Museo Archeologicodi Palermo nonché Soprintendente agli scavi per la Sicilia Occidentale Ettore Gabrici.L’avvicendamento di Gabrici ad Antonio Salinas, con cui Whitaker aveva sempre intrattenuto rapportidi amicizia e collaborazione scientifica6, aveva costituito una vera e propria iattura per la prosecuzionedelle ricerche sull’isola. Il nuovo Soprintendente infatti, intuite l’importanza e le potenzialità del sito,sosteneva che la responsabilità degli scavi dovesse essere affidata ad archeologi italiani7.

24 3 Nella ricostruzione della formazione scientifica diBiagio Pace, proprio a Paolo Orsi spetta una parte di rilievo,sia come modello e punto di riferimento per lo studio dellaPreistoria siciliana, sia soprattutto come primo maestro di“archeologia militante”. Sull’esperienza camarinese di Pace esui suoi rapporti con Paolo Orsi cfr. CAPUTO 1955, p. 84;ARIAS 1955/56, pp. 5-7; RIZZA 1971, p. 346.

4 Sulla frequenza della Scuola di Specializzazione inArcheologia di Atene e le campagne di scavo in Asia Minorecfr. GIAMMELLARO C.D.S. b.

5 Il volume, preceduto da un breve articolo pubblicatosulla rivista Man nel 1920 (WHITAKER 1920), vedrà la luce nel1921, col titolo Motya, a phoenician colony in Sicily. Nellepagine successive farò riferimento alla traduzione italianadell’opera, edita a Palermo nel 1991 e arricchita da tre inte-ressanti appendici, in una delle quali (GIUFFRIDA 1991) sonopubblicati i carteggi relativi alle campagne di scavo condottea Mozia da una missione dell’Università di Oxford e guidateda J. B. Isserlin nel 1955.

6 Le testimonianze di tali relazioni si trovano nei resocon-ti di molti degli archeologi che a vario titolo lavorarono aMozia in quegli anni; oltre alle voci di B. Pace (cfr. infraAppendice, Documento 2, pp. 35-36) e di V. Tusa (TUSA 1981

b, pp. 15-16), particolarmente interessante appare in questosenso un documento recentemente edito dagli Archivi dellaFondazione G. Whitaker: si tratta di una lettera di G. LipariCascio datata al 27 Giugno del 1908 e indirizzata a PipWhitaker, dalla quale emerge con chiarezza il grado di coin-volgimento del Salinas non solo nella conduzione degli scavidi Mozia ma anche nelle scelte di musealizzazione dei repertipiù significativi. Pare, per esempio, che proprio all’illustrearcheologo si debba il suggerimento di collocare il monumen-tale gruppo dei due leoni che azzannano un toro all’ingressodel Museo dell’isola. Cfr. ACQUARO-SAVIO 2004, pp. 25-27.

7 Sulla questione cfr. TREVELYAN 1977, p. 330 e Doc. 2.Con la campagna del 1914 si concludeva la prima fase dellericerche di Pip Whitaker a Mozia, interrotte a causa dell’or-mai esplicito ostruzionismo di Gabrici e poi cessate in consi-derazione dello scoppio della I Guerra Mondiale. La secon-da fase delle ricerche archeologiche sul campo di Whitaker(anni 1923-1927) è stata illustrata da FALSONE 1995.

È forse possibile riconoscere un documento della visita inquestione nella foto 2, risalente agli anni 1914-1915, cheritrae da destra B. Pace, P. Whitaker, G. Lipari Cascio, T.Ashby e un quinto personaggio, presumibilmente identifica-bile con A. Taramelli.

P. Giammellaro

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Alla visita prese parte anche il giovane Biagio Pace che, in forza delle sue esperienze di scavo inLevante, comprese subito la straordinaria importanza delle scoperte, che avrebbero potuto gettarenuova luce sulla cronologia della prima colonizzazione fenicia in Occidente. Dopo lunghe discussioni,Whitaker e Ashby chiesero a Pace di cimentarsi in un saggio di interpretazione: si tratta di quella brevenota menzionata sopra, che costituisce, a detta dello stesso autore, uno dei suoi lavori migliori8.

La collaborazione scientifica con Pip Whitaker si trasformò in breve tempo in amicizia; Pacecominciò a frequentare la famiglia al di fuori del ristretto ambito archeologico, accompagnandosi alledue figlie di Pip, Delia e Norina, anche in circostanze più mondane9. In Tina (nata Scalia Anichini) potètrovare non solo una valida interlocutrice su temi di storia moderna e contemporanea, ma anche,soprattutto, un rapporto affettivo che egli stesso definisce «di tipo materno»10. Alla moglie di PipWhitaker, una donna dai molti e variegati interessi11, vengono attribuiti da Pace «un ingegno di vigoremaschile, un temperamento politico di prim’ordine»12. E in effetti non è difficile immaginare come laspiccata attitudine alla “politica militante” di Tina dovesse suscitare lo stupore e l’ammirazione del gio-vane archeologo, specie in considerazione delle idee da lei espresse pubblicamente in merito alla figu-ra di Mussolini: mi riferisco al celebre manifesto propagandistico per le elezioni politiche del 1924,destinato Al Popolo Siciliano da un anonimo (che sono io Tina Whitaker), in cui la Whitaker, parago-nando la “rivoluzione fascista” a quella bolscevica, lodava Mussolini per aver «capito subito che distrug-gere il ricco vuol dire distruggere il lavoro» e auspicava dunque che al Duce fosse concesso più tempoper portare a termine il suo progetto politico13.

Questo appoggio iniziale dei Whitaker al fascismo dovette certamente cementare l’amicizia di Pacecon la famiglia inglese: con ogni probabilità proprio Pace svolse il ruolo di trait d’union tra il Gen.Antonino Di Giorgio (che aveva sposato Norina Whitaker nel 1921) e i maggiorenti del partito fascistasiciliano, di cui egli stesso rappresentava un personaggio di spicco, nonostante la decisa estraneità allepiccole faide e alle lotte tra correnti all’interno del partito14.

8 Cfr. infra, Appendice, Documento 2, pp. 35-36.9 Cfr. infra, Appendice, Documento 2, pp. 35-36 e Tusa

1981 a, pp. 9-10.10 Cfr. infra, Appendice, Documento 2, pp. 35-36. Non a

caso fu proprio Biagio Pace a caldeggiare la pubblicazionedella traduzione italiana del volume di Tina Whitaker Sicilyand England, comparsa nel 1948 con una prefazione dellostesso Pace.

Presso l’Archivio della Famiglia Pace è conservataun’interessante serie di lettere di Tina Whitaker, del 1947,

che documentano le discussioni tra l’archeologo e l’aristo-cratica anglo-siciliana a proposito della suddetta pubblica-zione: cfr. fig. 3.

11 Tra l’altro una passione per la musica, e in particolareper il canto, che le valsero l’ammirazione di Richard Wagner.Su questo aspetto della personalità di Tina Whitaker cfr.GIGLIO 1995.

12 Cfr. infra, Appendice, Documento 2, pp. 35-36.13 Cfr. RICCOBONO 1995, pp. 314-315.14 Cfr. DE STEFANI 1995, pp. 107-110.

Biagio Pace, la famiglia Whitaker e i primi passi della ricerca archeologica a Mozia

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La acquisita parentela con Antonino Di Giorgio era destinata a condizionare in maniera determinan-te la posizione dei Whitaker nei confronti della politica di Mussolini; una posizione che continuò a oscil-lare, in concomitanza con le alterne fortune dello stesso Di Giorgio presso le alte sfere dell’apparato mili-tare fascista. Questo mutato atteggiamento dei Whitaker, tuttavia, non influì in alcun modo nei rapporticon Pace, che si mantennero più che amichevoli per tutto il corso della guerra: nelle sue Memorie egliricorda di aver ottenuto da Mussolini che le tre donne – Pip Whitaker era morto nel 1936 – non fosseroin alcun modo disturbate15. A mettere a repentaglio la tranquilità di Tina, Delia e Norina doveva tuttaviaconcorrere, il 19 Novembre del 1941, l’arresto di Manfred Pedicini, figlio di Audrey Whitaker, per sup-posti rapporti con l’antifascismo16. Nel menzionare questo episodio, Pace coglie l’occasione per sottoli-neare la coerenza e la fermezza di Tina Whitaker, che scelse di non incontrare più il giovane Pedicini peril resto della sua vita, convinta che «un gentleman non dovrebbe infrangere le leggi dell’ospitalità di unpaese il cui regime è stato tanto generoso con sua madre e con sua nonna, entrambe inglesi»17.

Le divergenze in materia politica, lungi dal rappresentare un motivo di rancore, sembra che costi-tuissero piuttosto un interessante argomento per appassionate discussioni con Norina; quelle discussio-ni che si concludevano sempre, afferma ancora Pace nelle sue Memorie, «con un accenno ad un attaccod’asma della mia cara interlocutrice»18.

Anche dopo la guerra i rapporti tra Pace e le Whitaker si mantennero frequenti e intensi; dopolunghe insistenze, nel 1948 fu pubblicata la traduzione italiana del libro di Tina Whitaker, Sicilia eInghilterra, e fu proprio Pace a curarne l’edizione. Nelle premesse al volume egli ricorda le ragioni diuna così lunga amicizia, esprimendo tutta la sua ammirazione per una famiglia che aveva saputo coniu-gare la fedeltà all’ideale di appartenenza alla nazionalità britannica con un amore sviscerato per laSicilia:

L’accogliente Villa Malfitano di Palermo parve al mio animo, volto ad un nazionalismo cui non ho mai rinunziato, unesempio ammirabile del come si possa pervenire alla concomitanza delle passioni politiche dei vari paesi. Quella fedel-tà a caratteristiche mentali e formali, tipica degli inglesi, in qualunque parte del mondo essi risiedano, si completa neiWhitaker nel più schietto amore per la nostra terra. L’una e l’altro mostrano la medesima tenacia di ciò che è nutritoda profonde radici19.

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15 Cfr. infra, Appendice, Documento 2, pp. 35-36.16 Su tutta la vicenda cfr. TREVELYAN 1977, pp. 374-377 e

Documento 2, pp. 35-36.17 Dal diario di Tina Whitaker, Roma, 12 Maggio 1942.

TREVELYAN 1977, p. 375.18 Cfr. infra, Appendice, Documento 2, pp. 35-36.19 PACE 1948, pp. 5-6.

P. Giammellaro

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Biagio Pace continuò a frequentare l’isola di Mozia fino alla fine della sua vita. Si ha notizia di unavisita da lui condotta sul sito il 15 Maggio del 1950, con Giulio Quirino Giglioli, Pietro Griffo, Vincenzoe Aldina Tusa e una comitiva di studenti della Scuola Superiore di Archeologia dell’Università di Roma20.

Infine va attribuita proprio a Biagio Pace l’idea della costituzione della Fondazione Whitaker, conlo scopo di raccogliere l’eredità di Pip Whitaker sia dal punto di vista della ricerca archeologica sulcampo sia sul versante della salvaguardia, della conservazione e della valorizzazione del patrimonio natu-rale e storico-artistico conservato a Mozia. Gli interventi in questo senso dell’archeologo siciliano sonodocumentati ampiamente nell’epistolario di Delia Whitaker e soprattutto nei numerosi e appassionatiricordi, orali e scritti, di Vincenzo Tusa21.

BIAGIO PACE, GLI SCAVI DI MOZIA E LA QUESTIONE DELLA PRESENZA FENICIA EPUNICA IN SICILIA

Il saggio del 1915 citato in apertura non è che il primo dei numerosi studi dedicati da Biagio Pacealla civiltà fenicia e punica nel Mediterraneo22. I risultati degli scavi di Whitaker a Mozia aprivano nuoviproblemi e offrivano alla comunità scientifica nuovi dati e nuove prospettive, specie sul terreno dellacomparazione: gli altri siti fenicio punici del Mediterraneo – e in particolare Cartagine – fino ad alloraconsiderati soltanto da un punto di vista “interno” o, peggio, con una prospettiva ellenocentrica, con-sentivano ora, grazie alle importanti scoperte moziesi, uno studio complessivo del fenomeno colonialefenicio e punico e Biagio Pace, forte della sua straordinaria conoscenza di tutto il materiale documenta-rio relativo alla sua esperienza sul campo in contesti di scavo nordafricani, si fece convinto promotore diquesto genere di studi “comparativi”, sottolineando in più di un’occasione la necessità di abbandonareun approccio “classicistico” a favore di un’ottica “panmediterranea”23.

20 Per una cronaca a tinte forti di questa visita cfr.SCARDINO 1976 e TUSA 1981 a, pp. 9-10. La visita è altresìdocumentata dalle foto n. 3-4-5-6.

21 TUSA 1981 a e TUSA 1981 b, passim.22 PACE 1915; PACE 1919; PACE 1921; PACE 1925; PACE

1932; PACE 1935-1949, passim e in particolare vol. I, pp. 222-235 e vol. III, pp. 627-673.

23 Ecco come il nostro autore commenta, per esempio, lo

stato degli studi sulle reciproche influenze tra Africa eSicilia in relazione alle tipologie tombali presenti nellerispettive necropoli: L’indubbia constatazione delle influenzedi tipi sepolcrali punici non ancora rilevata né a Lilibeo né inaltre località siciliane, è di non lieve importanza, perché ciassicura che la ricerca dei rapporti tra la Sicilia e la vicinissimaregione cartaginese e dei reciproci influssi nel campo monu-mentale, non ancora tentata dagli studiosi per amore delle

Biagio Pace, la famiglia Whitaker e i primi passi della ricerca archeologica a Mozia

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Tre sono i nodi attorno ai quali si addensa l’interesse di Biagio Pace in relazione alla civiltà fenicio-punica.

Il primo è costituito dai tempi e dai modi della colonizzazione: un problema, questo, che aveva atti-rato l’attenzione di tutti gli studiosi italiani o stranieri che prima di Pace a vario titolo si erano occupatidella Sicilia antica24. La cronologia dell’espansione coloniale fenicia nel Mediterraneo occidentale avevacostituto tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento una questione centrale per la ricostru-zione della più antica storia d’Europa, una questione non scevra da istanze ideologiche, connesse conogni evidenza all’ascendenza razziale della componente fenicio-punica e alla conseguente necessità diminimizzare l’apporto semitico alla costruzione dell’identità etnica europea.

Se Adolf Holm ed Edward Augustus Freeman, nelle monumentali opere sulla Sicilia antica, aveva-no superato il problema, accettando la priorità cronologica fenicia rispetto alla prima colonizzazioneellenica – come peraltro indicato dalle fonti antiche – e collocando su un altro piano la “superiorità aria-na”, gli studiosi italiani di poco successivi si erano invece sforzati, con argomenti scientifici decisamen-te deboli, di ricostruire un quadro storiografico che vedeva i Greci come i primi veri “civilizzatori” del-l’isola, relegando l’elemento semitico ad una posizione del tutto marginale, sia sul versante cronologicosia dal punto di vista della cultura e della civiltà.

A seguito delle importanti scoperte di Mozia, Biagio Pace può riprendere in mano tutta la proble-matica e, attraverso un attento esame dei materiali rinvenuti da Whitaker e dei loro contesti, formula unanuova ipotesi che concilia il dato testuale fornito dalle fonti antiche con i risultati della ricerca archeolo-gica sul campo in Sicilia e in Nord Africa. Sulla base degli studi di Beloch, Pace rifiuta la teoria di Gsellsecondo cui i Fenici sarebbero arrivati nella Sicilia occidentale percorrendo la costa meridionale dell’iso-la, da Pachino a Lilibeo; si sarebbe trattato in questo caso di una navigazione d’alto mare, impensabile,secondo lo studioso, per un’epoca così arcaica. Egli preferisce pertanto ipotizzare una navigazione di

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abituali e più facili indagini nel campo puramente ellenico,costituisce uno dei problemi più interessanti ed uno studio deipiù proficui per la nostra archeologia. Perché se la potentesuperiorità dell’arte greca livellò molte apparenze, e fecediventare quasi assolutamente greche le città puniche dellaSicilia sovratutto nella loro monetazione, abbiamo nei testimolti documenti della peculiarità della vita antica, nellaSicilia occidentale, paese di specialissime condizioni geografi-che ed etnografiche, che aspettano di essere lumeggiati ed inte-

grati dall’esame di antichi e nuovi materiali archeologici messiin giusta luce. PACE 1919, pp. 85-86 e PACE 1925, coll. 179-180.

24 Mi riferisco in particolare agli studi di Adolf Holm,Edward Augustus Freeman, Ettore Pais, Julius Beloch edEmanuele Ciaceri. Sul problema della presenza fenicia inSicilia nella riflessione di questi autori mi permetto di rinviarea due miei recenti studi: GIAMMELLARO 2005 e GIAMMELLAROc.d.s. a.

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cabotaggio dalla costa nordafricana, con un conseguente, notevole ribassamento della cronologia.Quanto poi alla testimonianza tucididea, che consegna un’immagine della Sicilia come tutta circondatada stabilimenti coloniali fenici, Pace prospetta in proposito una rigida dicotomia nella tipologia colonia-le, tra colonie “commerciali” (quelle fenicie) e colonie “territoriali” (quelle greche e ancor più quelleromane)25.

Questo modello di colonizzazione territoriale si contrapponeva decisamente al coevo modello colonia-le inglese, percepito dalle altre nazioni europee come una mera operazione di sfruttamento, senza alcunintento di civilizzazione. Una considerazione che Pace non manca di sottolineare in più di un’occasione:

«Occorre in proposito notare che i primitivi stabilimenti Fenici d’occidente altro non potevano essere […] che degliscali marittimi lungo la grande traversata, agenzie commerciali, uffici di corrispondenza per acquisto o collocamentodi merci. Poche persone viventi in seno a villaggi indigeni, riunite se mai in quartieri speciali con privilegi di dirittoe di fatto, ma senza sovranità territoriale, simili a coloni moderni, secondo l’accezione che diamo alla parola quandola riferiamo ad un nucleo di cittadini di un paese, stanziati in località straniera […]. Questo tipo di colonia dobbia-mo immaginare che esistesse anche nell’antichità, là dove il fatto coloniale, prescindendo da possessi territoriali, mira-va al puro esercizio del commercio. È facile comprendere come di questi stabilimenti si siano facilmente perdute letracce, non rilevabili per nulla dall’indagine archeologica; […] E si comprende anche come abbiano dovuto cedere eritirarsi, senza resistenza alcuna, davanti al progredire della colonizzazione dei Greci, i quali apparivano desiderosi distabilire un dominio politico e territoriale. I nuovi padroni non erano più, come gli indigeni, dei clienti. Commerciantiessi stessi, i Greci non lasciavano posto all’attività commerciale di altri forestieri. È forse la prima volta che viene docu-mentato nella storia il conflitto tra l’attività coloniale di forma puramente economica e quella di diretto dominio, con-flitto nel quale era ovvio dovesse prevalere quest’ultima.

25 La questione è in realtà più complessa: se già in occa-sione delle avventure coloniali africane dell’Italia liberalenazionalista il mito di Roma aveva sostenuto e legittimatouna politica espansionistica nel Mediterraneo, durante il ven-tennio fascista l’imperialismo romano era diventato una verae propria bandiera ideologica della politica estera diMussolini; la propaganda di regime, sostenuta dagli autore-voli interventi di storici e archeologi anche al di fuori delristretto ambito accademico, aveva così veicolato un’immagi-ne della colonizzazione romana come della più capillareopera di civilizzazione dell’antichità, superiore nelle forme enegli intenti persino al modello delle apoikiai greche. Latipologia coloniale greca rappresentava, in altre parole, unpassaggio intermedio fra l’estremo negativo delle coloniefenicie, basate sul commercio e sullo sfruttamento del terri-torio, e il modello positivo romano, sia in termini di gestione

dei possedimenti sia riguardo ai rapporti più o meno stretticon la madrepatria. Su tutta questa problematica cfr.CAGNETTA 1979, passim. Occorre sottolineare come questarappresentazione della colonizzazione fenicia come un feno-meno di mero sfruttamento economico, seppur sfrondatadalle “scorie ideologiche” della prima metà del Novecento, ègiunta quasi fino a noi, se uno dei padri della modernaarcheologia fenicio-punica, Sabatino Moscati, arriva a defini-re le colonie fenicie in Sicilia «monadi autosufficienti» (cfr.MOSCATI 1984, p. 16). Per una recente riconsiderazione ditutta la questione alla luce degli ultimi apporti dell’archeolo-gia, cfr. SPANÒ GIAMMELLARO 2000, che propende per unavisione più equilibrata attribuendo ai Fenici di Sicilia nonsolo rapporti con le civiltà indigene ma anche un moderatoma significativo interesse per la chora relativa alle propriefondazioni.

Biagio Pace, la famiglia Whitaker e i primi passi della ricerca archeologica a Mozia

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A questi Fenici, agenti di commercio in Sicilia, deve essere avvenuto quel che tante volte in seguito hanno soffertoquei loro affini e discendenti, che tenevano il campo in città dell’Oriente, e da queste hanno dovuto sloggiare alsopraggiungere di un nuovo stato, dominatore e concorrente»26.

Si tratta, con ogni evidenza, di un netto giudizio di valore, che coinvolge, oltre ad istanze di ordineetico-politico, anche la cosiddetta “civiltà artistica”. Giungiamo così al secondo nodo di interessemostrato da Pace nei confronti dell’elemento fenicio punico, e illuminato in maniera determinante dallescoperte di Mozia: mi riferisco al problema delle “attitudini artistiche” dei Fenici, che lo studioso ravvi-sa come tendenzialmente assenti o, nella migliore delle ipotesi, decisamente evanescenti.

Già nel saggio del 1915 l’arte fenicia è definita come «un puro riflesso di quella dei popoli con cuivenivano in contatto»27. Dieci anni più tardi, in una sede altrettanto prestigiosa, Pace approfondisce laquestione, proprio a partire dai materiali della necropoli arcaica di Mozia: essi non presentano, a dettadello studioso, «alcun carattere artistico che possa rilevarne comunque l’origine fenicia»28; la tradizioneorientale sarebbe cioè presente più negli schemi e nel contenuto che nella forma e i segni più tipicamen-te fenici si limiterebbero ai simboli religiosi delle stele:

È vero che tale assenza di caratteri è dovuta anche alla vicinanza di una civiltà artistica di superiorità potente, comela greca, la quale rapidamente si espande anche nel territorio fenicio della Sicilia. Ma questo mirabile processo di con-quista culturale non potrebbe spiegarsi senza una scarsa resistenza delle caratteristiche fenicie. Se queste sono le condizioni dei secoli e dei luoghi nei quali più s’affermava la potenza civile dei Fenici, come Mozia[…], non potremo giudicare altrimenti pei secoli anteriori e, tanto più, in località nelle quali la loro presenza era sol-tanto determinata da ragioni di commerci.È intuitivo che altra cosa è essere commercianti, altra industriali ed artigiani; i Fenici furono ottimi commercianti, epoco o niente industriali e artigiani29.

Gli unici elementi “artistici” presenti in Sicilia e Nord Africa la cui origine andrebbe indubbiamen-te cercata in luoghi di civiltà orientale si riducono a tre soluzioni che oggi definiremmo meramente “tec-nologiche”: il capitello eolico30, il cosiddetto “muro a telaio”31 e l’ingubbiatura rossa di alcune formeceramiche.

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26 PACE 1925, col. 150; PACE s.d., p. 97; PACE 1935-1949,Vol. I, pp. 231-233.

27 PACE 1915, p. 455, n. 1.28 PACE 1925, col. 153.

29 PACE 1925, col. 153; PACE 1935-1949, Vol. I, p.234.

30 PACE 1925, col. 162.31 PACE 1925, coll. 162-163.

P. Giammellaro

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L’ultima questione su cui si concentra l’attenzione di Pace ha a che fare, e non a caso, col celebrequanto discusso rituale semitico del sacrificio dei fanciulli. Anche a questo riguardo, i rinvenimentimoziesi offrono allo studioso buon gioco per istituire una comparazione tra la realtà siciliana e quellacartaginese, affermando tra le righe la «potente superiorità» della civiltà greca non solo dal punto di vistadell’arte ma anche sul piano civile, morale e religioso.

Nel corso di una campagna di scavo condotta da Whitaker nel 1919 a ovest della Necropoli diMozia, erano state rinvenute infatti alcune stele accompagnate da vasi funerari contenenti ossa di uccel-li, piccoli roditori, cani, gatti e anche rarissimi elementi di scheletri umani infantili. Due anni dopo, nel1921, un santuario analogo era stato rinvenuto a Cartagine, presso il villaggio di Salambò; il contenutodei cinerari era stavolta costituito prevalentemente da resti di ossa di bambini appena nati32. Queste dueimportanti scoperte costituivano la conferma dell’esistenza anche in occidente del «vecchio ed orribilerito siro-palestinese del sacrifizio del primo nato, che i Cartaginesi praticavano certamente»33.

Attraverso un confronto incrociato tra la ceramica di Mozia e quella di Cartagine, Pace poté offri-re agli scavatori di Salambò il suo contributo alla datazione degli strati del santuario. E tuttavia restavada spiegare la discrepanza, significativamente definita «sostanziale»34, tra il contenuto dei cinerari mozie-si e quello delle urne cartaginesi35. Un problema a cui Pace tentò di dare soluzione richiamando ancorauna volta l’apporto fondamentale della civiltà ellenica siceliota: basandosi sulla testimonianza delle fontiantiche, lo studioso ipotizzò cioè che a seguito della vittoria siracusana a Imera nel 480 a.C., il sovranoGelone imponesse ai Moziesi l’abolizione di questi sacrifici umani introducendo questa «umanitariaclausola»36 nei trattati di pace.

Come si evince da queste brevi riflessioni, l’approccio di Pace al complesso della civiltà fenicia epunica in Sicilia e nel Mediterraneo non fu scevro da pregiudizi di ordine ideologico e razziale, come delresto era stato per tutti gli studiosi che lo avevano preceduto. Tuttavia spetta proprio a Biagio Pace ilmerito di aver richiamato l’attenzione e l’interesse della comunità scientifica su un patrimonio storico diincalcolabile valore, conferendo ai resti della civiltà fenicia e punica di Sicilia una “dignità scientifica”che tardava ad arrivare e contribuendo in maniera determinante alla formazione dei giovani archeologiche a questo patrimonio avrebbero dedicato tutta la loro attività negli anni successivi.

32 PACE 1925, coll. 155-161.33 PACE 1925, col. 157.34 PACE 1925, col. 160.

35 Una discrepanza che oggi si ravvisa dovuta allo stato anco-ra embrionale delle ricerche di Whitaker nel tofet di Mozia.

36 PACE 1925, col. 160. Cfr. PACE 1921, p. 15.

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P. Giammellaro

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Biagio Pace, la famiglia Whitaker e i primi passi della ricerca archeologica a Mozia

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34

P. Giammellaro

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Documento 1 (Fig. 7)CARTOLINA DI NORINA WHITAKER A BIAGIO PACE

ARCHIVIO PACE, Serie VII, vol. XXIX.

Prof. Biagio PacePresso il Museo delle TermeRoma

Grazie della sua lettera. Penso che coi nuovi avvenimenti lei resterà al suo posto, è vero? La nostra amica ha fattoritorno da Roma alla fine della settimana scorsa e l’indomani, Domenica, è venuta a trovarci. Cordiali saluti da noitutti.

Norina Whitaker

Documento 2ESTRATTO DALLE MEMORIE DI BIAGIO PACE

pp. 69-73.

Bozza dattiloscritta riveduta dall’Autore, che vi apporta di suo pugno numerose correzioni e segnala (anche conannotazioni in margine) la necessità di spostarne alcuni segmenti. Del testo si fornisce la trascrizione, seguendo lecorrezioni e le indicazioni autoriali.

In Italia un interessante argomento nuovo mi si offriva, con lo studio degli scavi di Mozia, il quale mi dava agio di por-tare la mia attenzione su un coefficiente generalmente trascurato dell’antica civiltà siceliota, quello dovuto all’interven-to cartaginese; considerazione che ha costituito un aspetto nuovo della mia interpretazione dell’antica civiltà dell’Isola.La colonia fenicia di Mozia era stata riconosciuta già dal Cluverio nell’isoletta di S. Pantaleo, nel cosiddetto“Stagnone” di Marsala. I suoi avanzi archeologici erano superficialmente noti, quando negli anni del secondo decen-nio del secolo trovavano il loro Schliemann nel comm. Giuseppe Whitaker: questi apparteneva ad una nota famiglia

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APPENDICE*

* Si presentano qui per la prima volta due documentiprovenienti dall’Archivio Pace Gravina, custodito presso laresidenza della Famiglia Pace, a Caltagirone (PA). Desideroringraziare la Famiglia Pace, e in particolare il Prof.

Giacomo Pace, per avere messo a mia disposizione conliberalità le carte personali di Biagio Pace, contenute nellaSerie VII dell’Archivio, ancora pressoché integralmenteinedite.

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inglese, fissata in Sicilia nell’età napoleonica, richiamata da un congiunto, quel Beniamino Ingham, che era stato unodei primi ad avvalorare il vino di Marsala. Giuseppe Whitaker era un tipo classico d’inglese, che aveva saputo conser-vare le caratteristiche nazionali, pur essendo un appassionato siciliano. I suoi primi interessi scientifici furono rivoltialle scienze naturali; raccolse un museo – destinandolo per testamento all’Università di Palermo – compì lunghi viag-gi in Africa, e scrisse un’opera sugli uccelli della Tunisia che fa testo37. Nella sua vecchiaia si volse all’archeologia e,riscattata l’isoletta di S. Pantaleo da una ventina di piccoli proprietari, iniziò la sua esplorazione, creando sul postoun decoroso museo. Quando tornai dalla Grecia egli attendeva al completamento degli scavi e alla loro illustrazione,che diede poi materia ad un suo eccellente volume38. Lo incontrai in occasione di un viaggio a Palermo dell’archeolo-go Antonio Taramelli, il noto esploratore della Sardegna, e venni invitato a visitare le scoperte. M’era compagno ildott. Thomas Ahsby, allora Direttore della Scuola britannica di Roma. La morte del Salinas, amico dell’Whitaker, aveva interrotto una proficua collaborazione; il nuovo Soprintendente agliscavi, prof. Ettore Gabrici, ignaro d’uomini e d’ambiente, dominato da mentalità gretta, aveva concepito ridicolisospetti su “questo inglese che faceva scavi”, ed inaugurato una politica di diffidenza e ostruzionismo.La mia conoscenza degli scavi del Levante, gli insegnamenti di Pernier, mi diedero la possibilità di veder chiaro inquello che pareva un groviglio di avanzi incomprensibili. Lo scavo offriva tutto un complesso di problemi nuovi. Lenecropoli consentivano risultati definitivi per la cronologia della colonizzazione fenicia in Occidente39. Al termine dilunghe discussioni Whitaker ed Ahsby mi chiesero di dare un saggio delle mie interpretazioni e deduzioni. Le pochepagine delle Notizie degli scavi, nelle quali delineai le idee fondamentali suggeritemi dagli scavi di Mozia, sono fra lecose migliori che io abbia prodotto40. Quelle mie idee, accolte subito dallo Gsell, nella sua Storia antica dell’Africadel nord41, sono ormai acquisite nel campo dell’archeologia del Mediterraneo; qualche riserva di Luigi Pareti, in unamediocre rimasticazione dei miei articoli, non è altro che il tentativo di dar un qualche aspetto di novità ad uno scrit-to che, onestamente, avrebbe potuto essere nulla più che una recensione espositiva42. Ma i quattro quinti dell’operadi questo erudito sono di tal natura. Il mio articolo richiamò anche l’attenzione su Mozia del Dir. Gen. delle BelleArti, Corrado Ricci, il quale mi diede mano libera perché le nuove ricerche avessero luogo non ostante Gabrici43. Laconsuetudine con Giuseppe Whitaker per ragioni di studio, si trasformò ben presto in amicizia cordiale con l’interafamiglia. La signora Tina, nata Scalia Anichini, ingegno di vigore maschile, temperamento politico di prim’ordine –ne ho scritto nella prefazione alla edizione italiana del suo libro Sicilia e Inghilterra – con un cuore italiano di figliadi patrioti, divenne per me un sostegno di tipo materno; con le “ragazze”, Norina e Delia, stringemmo un’amicizia

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37 Si tratta del volume The birds of Tunisia, London1905.

38 J. Whitaker, Motya, a phoenician colony in Sicily,London 1921.

39 Questa frase è collocata nel dattiloscritto alcune righepiù sopra. L’autore segnala tuttavia, con un’annotazione amano, di spostarla in questo punto.

40 L’autore si riferisce qui al suo saggio Prime note sugliscavi di Mozia, in NSc (1915), pp. 431-446.

41 Si tratta della monumentale opera di S. GSELL, Histoireancienne de l’Afrique du Nord. Tome IV La civilisation cartha-ginoise, Paris 1920, passim.

42 L’autore si riferisce qui con ogni probabilità al saggio diLuigi Pareti, Sui primi commerci e stanziamenti fenici neipaesi mediterranei e specialmente in Sicilia, in ASSO II SerieX (1934), pp. 3-28.

43 Questo periodo è annotato integralmente a mano.

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calorosa e sincera, che ha resistito al tempo e agli eventi. Le settimane di maggio annualmente trascorse a Mozia, igarden party a Villa Malfitano, gli incontri frequentissimi in riunioni e balli, nei comitati più o meno mondani, e lebelle gite, si colorano nel mio ricordo dei riflessi della più gioiosa giovinezza.Agli amici Whitaker debbo sovratutto la conoscenza dello spirito inglese. Come in ogni luogo e in ogni tempo – forzadi quel popolo maledetto – quella famiglia residente in Sicilia da un secolo e mezzo italiana di sangue, era rimastaintegralmente inglese. Per molto tempo fu facile per essa una sintesi tra il fanatismo per il paese di origine, e l’amo-re per l’Italia, ospite generosa. Con la guerra del ’40-43 la situazione mutò. Ma non ebbi a dolermi d’aver mantenu-to l’amicizia, né di aver ottenuto da Mussolini, per tramite di Buffarini44 e di Bocchini45, che non fossero disturbatele tre donne – il vecchio commendatore era morto nel [spazio vuoto nel dattiloscritto]46 – perché non ascoltai mai daloro una parola che non fosse corretta; magari in ogni casa d’Italia si fosse pensato e parlato come presso i Whitaker!Era in essi come un doloroso stupore per l’amicizia fra i due Paesi infranta; ma un rispetto assoluto del mio fervored’italiano combattente. Quando un loro pronipote, figliuolo di un generale italiano, si macchiò d’intelligenza colnemico, in quella fangosa atmosfera di tradimento creata dall’antifascismo, la signora Tina ne fu indignata: né quan-do, dopo l’infausto armistizio, il giovincello divenne eroe per il suo tradimento, la vecchia signora volle mai vederlo;il suo sangue di figliuola di artieri del Risorgimento italiano, ribolliva di sdegno47. Nondimeno è al contatto con que-sta eccezionale famiglia che ho potuto capire veramente cosa sia la convinzione messianica che ha costruito la politi-ca di grandezza dell’Inghilterra; quel trovar lecito, giusto e nobile tutto ciò che riguarda il proprio paese, illecita, ingiu-sta e indegna la medesima cosa, ove riguardi gli altri; quell’atteggiamento che da lontano sembra ipocrisia, e da vici-no si scorge essere una deformazione mentale, che induce con spontaneità e convinzione gli inglesi a quel loro abo-minevole modo di pensare e di agire. Nessuno vorrà trovar strano che io traessi siffatti insegnamenti da una cara ami-cizia; era questione di temperamento critico. Le mie discussioni in proposito con la signora Norina, la più inglese deiWhitaker nonostante il suo aspetto italiano, finivano sempre con un accenno ad un attacco d’asma della mia carainterlocutrice.

44 Guido Buffarini Guidi fu Sottosegretario agli Internitra il 1933 e il 1943.

45 Arturo Bocchini fu Capo della Polizia dal 1926 al 1940.

46 J. Whitaker era morto nel 1936, all’età di 86 anni.47 L’autore si riferisce qui alla vicenda biografica e politi-

ca di Manfred Pedicini Whitaker. Cfr. supra p. 26, nn. 16-17.

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Fig. 1 - Mozia. Davanti ai Magazzini Enologici. Da destra: B. Pace, J. Whitaker, G. Lipari Cascio, T. Ashby e A. Taramelli (?).Anni 1910-1915.

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Fig. 2 - Lettera di Tina Whitaker a Biagio Pace del 4 Dicembre 1947.

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Fig. 3 - Visita a Mozia di B. Pace con gli studenti della Scuola Superiore di Archeologia dell’Università di Roma (15 Maggio1950). Al centro, Aldina e Vincenzo Tusa; a destra Biagio Pace.

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Fig. 4 - Visita a Mozia di Biagio Pace con gli studenti della Scuola Superiore di Archeologia dell’Università di Roma (15Maggio 1950). Foto di gruppo di fronte all’ingresso del Museo.

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Figg. 5-6 - Mozia. Registro delle presenze sull’isola (15 Maggio 1950).

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Fig. 7 - Cartolina di Norina Whitaker a Biagio Pace.

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Mozia. Backstage del set fotografico.

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DALLO SCAVO AL MUSEO: LA FORMAZIONE DELLA COLLEZIONE WHITAKER

MARIA PAMELA TOTI

La Collezione Whitaker consta di circa settemila pezzi, tra materiali integri e frammenti, conserva-ti nella maggior parte nel Museo di Mozia ma anche esposti nel Museo Archeologico Regionale BaglioAnselmi di Marsala e nella Villa Malfitano, sede della Fondazione Whitaker, a Palermo.

Giuseppe Whitaker, con grande sensibilità archeologica, radunò ed inserì nella sua Collezione tuttigli oggetti provenienti dagli scavi di Mozia, Lilibeo e Birgi. Sono quindi presenti: vasellame fenicio egreco, ornamenti personali, armi, monete, utensili metallici per i più diversi usi, elementi architettonici,frammenti di statuaria greca e fenicia, reperti malacologici, reperti osteologici umani, provenienti dasepolture, ed anche animali, come il cranio di un delfino o le zanne di un elefante.

Un inventario, c.d. “Registro di Entrata”, nel quale sono registrati poco più di quattromila pezzi, furedatto1 (Fig. 1), mano a mano che i materiali entravano a far parte della Collezione, da Giuseppe LipariCascio, notabile marsalese che divenne il primo amministratore di Mozia.

Il “Registro di Entrata” disponeva di diverse voci: il numero di ordine, la data, l’oggetto, la prove-nienza e località e le osservazioni2.

Soprattutto nel caso di acquisizioni di monete o comunque di oggetti appartenenti alla stessa cate-goria tipologica, viene utilizzato un unico numero di inventario per individuare un lotto composto di piùesemplari (“n. 46 monete di bronzo provenienti da scavi nell’isola”). Non è infrequente inoltre che ladescrizione dell’oggetto sia molto generica e si attagli a più di un vaso, come nel caso delle anfore.

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1 È chiaramente distinguibile la grafia di Giuseppe LipariCascio da quella, molto più “calligrafica”, di Whitaker chesolo occasionalmente redige le voci del Registro.

2 Gli oggetti della Collezione possono essere identificatida due numeri; se preceduto dalla sigla N.I.W. il numero si

riferisce a quello del Registro di Entrata, mentre la sigla N.I.fa riferimento al moderno inventario, redatto a partire dal1988, data della risistemazione e riapertura al pubblico delMuseo Whitaker, curata dalla Soprintendenza ai BB.CC.AA.di Trapani. FAMÀ-TOTI 2005 con bibliografia precedente.

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L’inventariazione dei materiali prevedeva l’apposizione di un cartellino sul quale era vergato ilnumero di inventario, ma su buona parte dei vasi questa etichetta si è staccata, impedendo così il rico-noscimento della provenienza dell’oggetto. Altre volte, invece, il numero scritto a matita direttamentesul pezzo si è conservato, consentendo l’utilizzazione dei dati riportati sul Registro di Entrata per unifi-care corredi tombali o comunque individuare contesti di appartenenza.

Nel campo delle Osservazioni si trovano le notizie più interessanti, come i commenti di altri studio-si, ad esempio quello di C. Albizzati riguardo ad un’applique di bronzo proveniente da Lilibeo (N.I.W.3350), per la quale suggerisce l’attribuzione al XVIII secolo e non al periodo romano. O anche la segna-lazione dell’acquisto dell’oggetto su mercato antiquario, vedi il caso del canopo e dell’antefissa (N.I.W.750 e 752), comprati da Antonio Fragola.

Questo campo può inoltre servire a segnalare la presenza di personalità all’atto del ritrovamen-to dell’oggetto, ad esempio l’archeologo sardo Antonio Taramelli, in visita a Mozia, trova il 22marzo 1915 presso Porta Nord due armille di argento (N.I.W. 3345), il Commendator Whitaker nel1911 assiste al rinvenimento della lekythos a figure nere con la lotta tra Eracle ed il leone di Nemea(N.I.W. 2417), proveniente da un sarcofago situato sotto le mura nella zona nord e la signorina DeliaWhitaker nelle sue passeggiate intorno all’isola trova monete di bronzo, vaghi di collana e unalucerna araba.

Non mancano infine le annotazioni di Whitaker su confronti da lui riscontrati o sulla collocazionedegli oggetti all’interno delle vetrine del Museo.

Non è fuori luogo ricordare in questa sede l’esistenza di un ricco Archivio fotografico3, nel qualeoltre ad immagini riguardanti la vita per così dire “mondana” di Mozia (visite di parenti, amici, studio-si) sono presenti immagini della vita archeologica moziese: foto di scavo, oggetti fotografati sul campo(Fig. 2-3) e su improvvisati set (Fig. 4).

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3 Solo recentemente si è proceduto alla catalogazionedelle oltre duemila immagini conservate nel FondoFotografico. AA.VV. 2007. Ugualmente ricco di informazioniè l’archivio cartaceo, della cui sistemazione si sta occupandola prof.ssa Beatrice Gozzo Palmigiano. Tra i vari documenti,alcuni dei quali già editi, riguardanti gli scavi a “Casa dei

Capitelli” (ACQUARO-SAVIO 2004) o nella necropoli (TOTIc.d.s) è da segnalare un promemoria, (C XII, B 17 datato1915), redatto a Fiuggi da Giuseppe Whitaker, nel quale siricorda come gli scavi a Mozia siano iniziati nella primaveradel 1907 e siano stati sempre condotti “sotto la direzione e lasorveglianza delle autorità governative”.

M.P. Toti

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Le fotografie sono scattate da Whitaker con l’aiuto degli archeologi che visitavano Mozia, comeAntonino Salinas “moziese fin dal 1855”4 (Fig. 5), Biagio Pace o Thomas Ashby5. Proprio l’aver ripreso glioggetti al momento del rinvenimento o isolatamente ma con il cartellino recante il numero di inventario appe-na apposto, ha consentito ulteriori identificazioni di vasi singoli e la ricomposizione di corredi tombali.

I primi materiali acquisiti per la Collezione sono quelli ritrovati negli scavi di Lilibeo (Marsala), pro-venienti prevalentemente dall’area della necropoli6, frutto di scavi forse in parte condotti dallo stessoWhitaker7 tra l’ottobre 1902 e il settembre 1903, ai quali sono da aggiungere altri oggetti acquisiti nelcorso di circa un ventennio8, per un totale di oltre duemilatrecento reperti.

Tra questi ultimi ci sono anche rinvenimenti effettuati nel corso di scavi eseguiti dal Comune diMarsala ed in seguito acquistati o donati a Whitaker ed altri provenienti da collezioni private, come laCammareri Scurti o la Clark9.

Oltre ai materiali ceramici e metallici vengono puntualmente inseriti nell’inventario, e fotografati,anche reperti osteologici, crani umani e le cassette litiche utilizzate come urne cinerarie, per le quali vieneannotato che sono in “pietra detta Argentiera”, proveniente dalla zona di Erice.

Dopo i reperti di Lilibeo sono registrati, in ordine cronologico, quelli ritrovati negli scavi dellanecropoli di Birgi, situata sulle rive della laguna dello Stagnone, là dove arrivava un’estremità della stra-da che univa Mozia (Porta Nord) alla terraferma10.

4 Secondo un’annotazione riportata sul “Visitor’s Book”conservato nella Palazzina Whitaker a Mozia. In questolibro, rilegato in pelle con la soprascritta in oro, era usanzafar apporre una firma ai visitatori e gli stessi Whitaker aveva-no l’abitudine di annotare la loro presenza, facendo seguirea volte la firma da un commento.

5 È da sottolineare che questi illustri archeologi, oltre allefoto più strettamente archeologiche, scattarono anche imma-gini al paesaggio dalle quali emana tutto il fascino di Mozia.

6 I rinvenimenti risultano essere in maggior parte prove-nienti da sepolture; è indicata la contrada ed il nome del pro-prietario del terreno dove è avvenuto il ritrovamento. Duesono le zone, ormai completamente assorbite dalla cittàmoderna, interessate: Contrada Cappuccini e Contrada SanCarlo. La prima ricadeva grosso modo nell’area dell’attualeCorso Gramsci, l’altra è situata nella zona nord-est di

Marsala, tra via degli Atleti e Via Dante Alighieri. Per unadisamina sulle necropoli di Marsala CARUSO 2000.

7 Secondo DE GREGORIO 1917, p. 5, “...Lipari Cascio inca-ricato dal commendator Whitaker, da tempo si è interessato atale necropoli, che ha grandi relazioni con quella di Mozia…”.

8 L’ultimo oggetto registrato proveniente da Lilibeo è ilN.I.W. 4052, nel 1925, un lotto di tredici reperti appartenen-ti alla Collezione Clark.

9 Si hanno notizie di altre raccolte private, appartenenti per-lopiù ad inglesi, composte di materiali provenienti e da Lilibeoe da Mozia, vedi DE GREGORIO 1921, p. 5, e GIUFFRIDA 1992,p. 50.

10 Per la storia degli scavi e una presentazione di materia-li provenienti dagli scavi antichi da ultimo GRIFFO 2005, perun inquadramento del sito nell’ambito delle necropoli feni-cio-puniche del Mediterraneo SPANÒ GIAMMELLARO 2004.

Dallo scavo al Museo: la formazione della Collezione Whitaker

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Il primo rinvenimento, settembre 1903, di questa grande e ricca necropoli è una testina muliebre inmarmo bianco (N.I.W. 1372), ma è dall’aprile del 1905 che sembra si proceda a scavi sistematici chefanno confluire nella Collezione materiali ceramici e metallici di qualità eccellente.

In tutto sono indicati come provenienti da Birgi quasi seicento oggetti, acquisiti in varie riprese:aprile 1905, marzo 1906, ottobre 1907 e dal 1908 fino al settembre 1914.

Come nel caso di Lilibeo, anche per i ritrovamenti di Birgi è specificata la proprietà del terreno incui è stato eseguito lo scavo11.

Poiché per sei anni, dal 1907 al 1913 furono effettuati scavi a Birgi e a Mozia in compartecipazionecon il Museo di Palermo, sul Registro di Entrata gli oggetti affidati a Whitaker sono riportati in un set-tore a parte, intitolato: “Copia del Giornale degli oggetti rinvenuti negli scavi di Antichità a Birgi e Motya,negli anni 1907-1908 al 1913 con l’assistenza del personale del Museo Nazionale di Palermo, redatto perordine del Commendator Salinas e firmato dal soprastante A. Damiani. Fatto a Motya il 10 novembre 1913(il verbale trovasi al Museo di Palermo)”. Per questi oggetti è adottata una doppia numerazione: si pro-segue con l’ordine del Registro di Entrata, ma sui pezzi è riportato a matita un numero da 1 a 373. Diquesti poco meno di duecento risultano provenienti da Birgi.

Infine sembra che anche il Comune di Marsala fosse entrato in possesso di materiali rinvenuti aBirgi, poiché nel marzo 1919 un lotto di poco più di venti oggetti viene acquisito e registrato come pro-veniente da Birgi; nelle Osservazioni è riportato: “Dal Comune di Marsala, dalla Collezione Lipari Cascio”o “Dal Comune di Marsala, dalla Collezione Cammareri Scurti”.

Così come per la necropoli di Lilibeo, anche per la necropoli di Birgi sono acquisiti allaCollezione alcuni sarcofagi in calcarenite che sono attualmente posti nello spazio antistante il Museodi Mozia (Fig. 6).

Nell’aprile del 1905 si trova registrato il primo ritrovamento di Mozia, un peso da telaio, rinvenuto“nelle terre di Motya”.

A proposito delle provenienze moziesi è da sottolineare che non sempre è riportata l’indicazione delluogo esatto di ritrovamento, ma si indica genericamente “Terre di Motya” o “Scavi di Motya” o ancora“fra i ruderi”, “fra le pietre dei muri interni”.

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11 Sarebbe interessante, utilizzando il catasto dell’epoca,attraverso i nominativi pervenutici, controllare eventuali

legami con gli scavi effettuati nell’area della necropoli allafine del Ventesimo secolo.

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Questo fatto impedisce l’esatta collocazione del rinvenimento di oggetti di una certa importanzacome ad esempio la statuetta in calcare raffigurante la dea Cibele in trono tra i leoni (N.I.W. 1898).

Nella primavera del 1907 iniziano ufficialmente gli scavi a Mozia12 e sono registrati circa una deci-na di oggetti, ritrovati “nelle terre di Motya”, fra i quali spicca una testina muliebre in marmo, rinvenu-ta sulla spiaggia.

I ritrovamenti del 1908 sono più numerosi: è stata individuata la necropoli, quindi sono registrati iprimi corredi o vasi cinerari, e “nel fare il vigneto nella parte interna del muro di cinta che guarda nord”si trovano una ventina di stele, forse il primo indizio della presenza del Tofet a Mozia.

Inoltre sono inventariati i capitelli dorici provenienti dalla “Casa dei Capitelli” (Casa dei Mosaici).La maggior parte degli oggetti registrati nel 1909 proviene dalla necropoli e dalle sepolture sulle

quali sono state costruite le fortificazioni, come un’olla con coperchio, ritrovata “sotto le mura, lato est”(N.I.W. 1941). Tra i materiali, oltre a quelli dalle “Terre di Motya”, continuano le testimonianze prove-nienti dalla “Casa dei Capitelli”.

Nel 1910 aumentano gli oggetti provenienti dalla necropoli; per quel che riguarda le altre localitàdell’isola, oltre alla “Casa dei Capitelli”, abbiamo un oggetto di bronzo proveniente dalla “Casa dietro lapiccola scala” (la Casermetta), un piatto da pesce rinvenuto “sul pavimento della casa dietro la grandescala” (Torre Orientale), alcuni materiali provenienti da “Casa Nuova” (di incerta localizzazione, forsenella zona nord) ed un anello con candelabro a sette braccia, ritrovato negli“scavi di Motya, sul lato diovest”.

I materiali del 1911 provengono come sempre dalla necropoli ma anche dagli scavi effettuati nellazona di Porta Nord, dalla “Casa del Pollaio” (situata presso gli odierni Magazzini Enologici), ancora dalla“Casa dietro la Grande Scala” e appare nominato per la prima volta “Cappiddazzu” come luogo di pro-venienza di carboni rinvenuti in un pozzo13.

In questi anni i visitatori di Mozia appartengono perlopiù alla cerchia degli amici della famigliaWhitaker e sono spesso fotografati durante la visita agli scavi, accompagnati dal padrone dicasa (Fig. 7).

12 Come ricordato dal promemoria alla nota 3.13 Dai documenti di archivio, CXII B 19, sembra che solo

nell’aprile del 1929 Whitaker abbia fatto domanda alSoprintendente Pirro Marconi per poter effettuare scavi in

un “terreno vicino Porta Nord, per un mese, esteso per circa100 m2”. Nel maggio 1929 il permesso viene concesso e sonocondotti scavi regolari “con mezzi elargiti dal Comm.Whitaker”.

Dallo scavo al Museo: la formazione della Collezione Whitaker

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Nel 1912 la “Casa dei Capitelli” è menzionata per la prima volta con il nome di “Casa dei Mosaici”,anche se nel corso degli anni successivi i due nomi vengono utilizzati indifferentemente. Sono riportatiritrovamenti effettuati nelle acque dello Stagnone e come sempre continuano i rinvenimenti dalla necro-poli, anche se in misura minore.

Gli anni 1914 e 1915 non sono molto ricchi di ritrovamenti, proprio in questo periodo è comunqueeffettuata l’indagine sulla costa davanti Mozia, nella zona della Salina Anfersa (Infersa), nel corso dellaquale sono trovate le testimonianze della frequentazione preistorica del sito. Come prevedibile nulla èinventariato nel 1916 e solo cinque oggetti tra il 1917 e il 1918. Nel marzo 1919 sono acquisiti materia-li provenienti sì da Mozia, ma di proprietà del Comune di Marsala. Nel maggio del 1919 continuano gliscavi alla necropoli e iniziano i ritrovamenti di quella che inizialmente viene definita “nuova necropoli”o “seconda necropoli” e che solo in un secondo tempo fu correttamente interpretata come l’area delTofet14. Gli oggetti registrati nel 1920 e 1921 provengono quasi esclusivamente dalla necropoli e dalTofet. Nel 1922 sono inventariati materiali ritrovati a “Cappiddazzu” e un nutrito lotto di oggetti è dettoproveniente dal “Ventennale Lipari” ovvero un terreno affidato ai fratelli Lipari, figli del primo ammi-nistratore G. Lipari Cascio. Purtroppo non esistono mappe con l’indicazione esatta di questo terreno, siè potuto solo genericamente situarlo nella zona centrale dell’isola. Alcuni dei materiali identificati sonodi ottima qualità come il vaso bronzeo a doppia testa femminile (N.I.W. 4031,4032). Dopo il 1922 le regi-strazioni di ritrovamenti si fanno sempre più sporadiche per terminare del tutto nel 192915.

I materiali sono tutti collocati nel “piccolo museo, istituito dal Comm. Whitaker sull’isola stessa, ondemeglio conservare gli oggetti mobili rinvenuti, il quale Museo già incomincia ad essere interessante, nonforse per il valore intrinseco del contenuto, ma per la sua grande importanza storica”16.

Lo stesso Whitaker, in una lettera del 1932, rispondendo ad una lettera inviata da “L’OspitalitàItaliana”17 con richiesta di informazioni sul Museo, afferma che “il Museo di San Pantaleo è fondato nel1906, è privato, ma può essere liberamente visitato dagli studiosi… è piccolo ma interessante”.

La Collezione è attualmente esposta nelle stesse vetrine di legno verniciate di bianco realizzate aiprimi del ’900 e i materiali sono rimasti, nella maggior parte dei casi, disposti così come erano stati col-

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14 Whitaker lo definisce “a burial-ground for the remainsof sacrificed offerings”, WHITAKER 1921, p. 257.

15 Si ha notizia di scavi condotti da Whitaker a Mozia neldecennio tra il 1920 e il 1930, ma evidentemente non furono

registrati i materiali: FALSONE 1995.16 Vedi nota 3, “promemoria di Fiuggi del 1915”. La sto-

ria edilizia del museo è ricostruita da BIONDO-FANELLI 1993.17 Archivio Whitaker, C XII, B21.

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locati, sotto la supervisione di Antonino Salinas, secondo una lettera del 1908 di Giuseppe LipariCascio18, e come ci testimoniano fotografie dell’epoca (Figg. 8-9).

Sempre dalle fotografie d’epoca, si nota come non fossero state redatte didascalie per ogni oggetto,ma si era preferito porre sopra la vetrina, a volte, solo l’indicazione generica della provenienza: Mozia,Lilibeo, Birgi19 (Fig. 10). Le poche didascalie esistenti, ancora conservate, riguardano oggetti forse con-siderati particolari: la foglia ritrovata da Whitaker dentro una tomba20 e accuratamente riposta in unascatolina di latta di sigarette egiziane (Figg. 11-12), gli oggetti della Collezione Clark (Fig. 13)21, la puntadi freccia dono di Sebastiano Cammareri Scurti, notabile marsalese (Fig. 14), o ancora l’amuleto regala-to a Whitaker dall’egittologo Petrie (Figg. 15-16)22.

Giuseppe Whitaker muore all’età di 86 anni nel novembre del 1936; la sua ultima visita a Mozia risa-le al maggio 1933, come si evince dal Visitor’s Book.

Da allora il suo “piccolo ma interessante museo” è stato ampliato, sono aumentati gli oggetti in esposi-zione, tra i quali spicca un capolavoro della statuaria greca, “Il giovane di Mozia”, ma la sala della Collezionecon le vetrine verniciate di bianco, continua ad emanare un fascino ammaliatore, immutato nel tempo.

18 Archivio Whitaker, C XII, B11, riportata anche inACQUARO-SAVIO 2004.

19 Solo con la risistemazione della Collezione effettuatanel 1988 vennero redatte didascalie per gli oggetti.

20 N.I. 4051, 24 maggio 1924: una foglia di pianta tuttaviaabbastanza conservata per poter distinguere bene le venature.Trovata in un vasetto intorno ad un’urna cineraria nella necro-poli antica di Mozia.

21 “NI. 4052. Sezione Lilibeo 28 maggio 1925. Inventario

27.V.25” 13 oggetti antichi ricevuti in dono dal Sig. EnricoClark di Marsala. Provengono, si dice, dalle terre vicinoall’ospizio di mendicità di Marsala.”

22 “Dono del Prof. Flinders Petrie 1920. Terracotta da unodei templi di Abydos in Egitto, che forse sarà servita come unarappresentazione convenzionale di offerta ad una Divinitàcome per esempio le due gambe anteriori di un montone oqualche altro animale. p.c.f. Prof. F. Petrie/Abydos ii. 9, c.f.Whitaker Motya p. 258”.

Dallo scavo al Museo: la formazione della Collezione Whitaker

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M.P. Toti

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ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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Fig. 1 - Pagina del Registro di Entrata: le prime due voci sono redatte da Lipari Cascio, le altre da G. Whitaker.

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Fig. 2 - Necropoli: tomba con attrezzi di scavo.Fig. 3 - Necropoli: corredo di una sepoltura.Fig. 4 - Un set fotografico davanti al Museo.

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Fig. 5 - A. Salinas a Porta Sud: merlo fenicio e merlo palermitano (la didascalia è vergata da A. Salinas).

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Fig. 6 - Sarcofagi davanti al Museo di Mozia. – Fig. 7 - A Mozia. Sul molo.Fig. 8 - Museo di Mozia: vetrina 42, foto Grignano (primi decenni del Novecento).

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Fig. 9 - Museo di Mozia: vista della parte sud dell’esposizione negli anni Venti del Novecento.

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Fig. 10 - Museo di Mozia: Vetrina “Mozia” (anni Venti del Novecento).

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Fig. 11 - Didascalia della foglia N.I.W. 4051.Fig. 12 - Scatola di latta contenente la foglia N.I.W.4051.

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Fig. 13 - Didascalia dei materiali della Collezione Clark.Fig. 14 - Punta di freccia donata da S. Cammareri Scurti nella sua scatola originale.

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Fig. 15 - Appunto di G. Whitaker sull’amuleto (?) ricevuto da Sir F. Petrie.Fig. 16 - Amuleto (?) in terracotta donato da Sir F. Petrie.

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Mozia. Set fotografico. Materiali preistorici.

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GLI ELEMENTI DI INTERESSE PALETNOLOGICONELLA COLLEZIONE WHITAKER E LA PREISTORIA MOZIESE

SEBASTIANO TUSA

Pochi sono i reperti certamente attribuibili ad epoca preistorica presenti nella Collezione Whitakerdi Mozia. Ciò pregiudica la possibilità di poter trarre utili deduzioni al fine di delineare la più antica sto-ria della piccola isola lagunare. Tale difficoltà viene accresciuta dalla mancanza di contesti preistoricicerti nell’immediato circondario. Tutte le presenze segnalate lungo l’antistante costa siciliana tra Marsalae Trapani si riducono a rinvenimenti sporadici spesso privi di sufficienti notizie. Ad Erice, Paceco,Marsala si attestano rinvenimenti che vanno dal Neolitico all’Eneolitico, ma privi di alcuna contestualiz-zazione o certezza topografica. Anche la vicina Favignana offre interessanti indizi di presenza preistori-ca a partire dal Paleolitico superiore, ma pur sempre privi di completezza.

Tuttavia se colleghiamo quanto conservato nella Collezione Whitaker con quanto desumibile dallericerche che nei decenni hanno accresciuto le conoscenze sulla più antica storia di Mozia, il tentativo didelineare la pre- e protostoria moziese, seppur arduo, diventa possibile. Anzi da tale confronto se nededuce qualcosa di originale che certamente migliora il livello delle nostre conoscenze finora controver-samente interpretate.

Com’è noto Whitaker era convinto che quando i Fenici giunsero su Mozia l’isola fosse già abitata eche indigeni e nuovi venuti realizzarono una pacifica coesistenza1. Anche Pace ipotizza l’esistenza diindigeni a contatto con i coloni fenici, ma li attribuisce al neolitico2 e, pertanto, inconsapevolmente sicontraddice. Anche Whitaker attribuiva ai neolitici le ceramiche fatte a mano comprendenti pentole etegami che oggi sappiamo essere con certezza di epoca punica ed appartenere alla classe della c.d. cera-mica da fuoco o da cucina. Si trattava, pertanto, di una doppia contraddizione poiché, da un lato rife-

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1 WHITAKER 1921, pp. 227-228. 2 PACE 1915; PACE 1935, p. 216.

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rendosi ad una sommaria conoscenza della preistoria, giudicava il neolitico estemporaneamente allunga-to cronologicamente fino alle soglie della storia, dall’altro la presunta prova di tale presenza pre-feniciaera in realtà basata su materiali pienamente punici.

In tempi più recenti la stessa idea del contatto tra Fenici ed indigeni è stata ripresa sia da VincenzoTusa3 che da Bondì4. Entrambi basano la loro convinzione su elementi desunti sia dagli scavi inglesipresso le Porte Sud e Nord, che da quelli del tophet. In effetti tra le tante ceramiche rinvenute ve n’era-no alcune che potevano essere riferibili genericamente all’Età del bronzo. In più dagli scavi inglesi diPorta Sud era pervenuto un frammento inequivocabilmente attribuibile alla facies del Milazzese dellaMedia Età del Bronzo. In maniera alquanto imprecisa e vaga veniva, quindi, ipotizzata una genericapresenza sull’isola di non meglio definiti indigeni dall’Età del Bronzo fino all’epoca della colonizzazio-ne fenicia.

Tale ipotesi, come giustamente metteva in evidenza Falsone5, risultava alquanto vaga ed inaccetta-bile poiché l’effettiva presenza di un livello attribuibile al Milazzese a Porta Sud non poteva presuppor-re l’esistenza ininterrotta di un insediamento da quel periodo (XIII sec. a.C.) fino all’epoca della primapresenza fenicia che, com’è noto, è stata posta tra il 720 ed il 710 a.C. a giudicare dai materiali rinvenu-ti soprattutto nella necropoli arcaica e nell’area industriale. Ed anche se antedatiamo la frequentazionefenicia di circa mezzo secolo o poco più (come proporremo più avanti sulla base di un reperto estrema-mente significativo), tuttavia il margine di distanza tra l’attestata presenza preistorica e l’avvio della colo-nia fenicia è talmente grande che, al momento, non possiamo che registrare l’assenza di alcun contattocon insediamenti preesistenti sull’isola. Sulla base dei dati summenzionati e di quelli che analizzeremoin seguito non possiamo che registrare la presenza di un periodo di circa quattro secoli o poco più ditotale assenza di occupazione su Mozia (dal XIII all’VIII sec. a.C.).

Ma vediamo con ordine quali sono le testimonianze preistoriche verisimilmente presenti sull’isolasia sulla base dei dati della Collezione Whitaker che di ricerche successive. Whitaker, come dicevamo,menziona un gruppo di quattro frammenti considerati neolitici6. La Bovio Marconi li identifica comeappartenenti all’Età del Rame (cultura della Conca d’Oro), ma uno con motivo ad X puntinato lo attri-buisce addirittura alla facies del Bicchiere Campaniforme7. Falsone pur evidenziando larvate somiglian-

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3 TUSA 1973, p. 32; TUSA 1979, p. 148.4 BONDÌ 1979, pp. 173-174.5 FALSONE 1988.

6 WHITAKER 1921, pp. 261-265, fig. 42.7 BOVIO MARCONI 1944, p. 81; BOVIO MARCONI 1963, p.

99, 123.

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ze con elementi di facies stentinelliana, ne giudica due8 pertinenti a tegole puniche del VI-V sec. a.C., ilterzo con scanalature parallele attribuibile ad epoca romano imperiale9, il quarto, già ai tempi dell’arti-colo di Falsone, non era più rintracciabile nel museo di Mozia.

In realtà dal tipo di tecnica decorativa ed impasto mi parrebbe che i primi due frammenti siano per-tinenti a ceramiche c.d. indigene di attribuzione elima databili tra l’VIII ed il VII sec. a.C.

Anche il frammento identificato dal Whitaker come crogiolo preistorico10 è da Falsone identificatocome ceramica punica di V sec. a.C., così come la ceramica da cucina fatta a mano che correttamenteFalsone indica come pertinente la produzione punica moziese11.

Da ciò che Whitaker attribuiva alla preistoria Falsone salva soltanto alcune fuseruole, gli utensili inselce ed ossidiana ed un vaso conservato al Museo di Siracusa indicato come proveniente da Mozia cheè pubblicato dal Tinè come tipico della facies della Conca d’Oro12. Ma la provenienza di tale vasettopotrebbe essere dubbia poiché probabilmente raccolto tra i resti di un insediamento preistorico nell’an-tistante costa nei pressi della Salina Infersa.

La Bovio Marconi, nella sua opera di sintesi sull’Età del rame nella Sicilia occidentale, menzionaalcuni oggetti interpretabili come preistorici. Si tratta di “tre ciotole cilindroidi-tondeggianti” con prese,già illustrate dal Whitaker13, che sono, invece da giudicare come pertinenti la classe di ceramiche d’im-pasto da fuoco di epoca punica. Menziona poi il frammento già ricordato che giudica appartenente adun bicchiere campaniforme, i tre cucchiai fittili che associa a simili manufatti di Villafrati e Castelluccio,varie fuseruole e l’idoletto di terracotta che descriveremo in seguito. Descrive poi oggetti in selce ed ossi-diana tra cui la punta di freccia peduncolata, la cuspide a foglia e la lunga lama in selce a sezione trape-zoidale14.

Nel suo dettagliato saggio Falsone giudica di incerta attribuzione preistorica altri tre oggetti. Si trat-ta della figurina dal contorno a losanga15, giudicata dalla Bovio Marconi come assomigliante a tipi tessa-lici (Dimini) e agli idoletti di Piazza Leoni (Palermo)16, un frammento di orlo di ciotola con bugna17 e laparte inferiore di un vaso a clessidra in argilla grigia18.

8 FALSONE 1988, fig. 2 a-b; Pl. Ib.9 FALSONE 1988, fig. 2 c.10 WHITAKER 1921, fig. 43; FALSONE 1988, fig. 2 d; Pl. I a.11 FALSONE 1988, p. 33.12 TINÈ 1961, p. 131, Pl. VI:3.13 WHITAKER 1921, p. 262, fig. 44.

14 BOVIO MARCONI 1944: coll. 81-82.15 FALSONE 1988, fig. 4 a.16 BOVIO MARCONI 1944, pp. 5-6.17 FALSONE 1988, Fig. 4 b.18 FALSONE 1988, Pl. I d.

Gli elementi di interesse paletnologico nella Collezione Whitaker e la preistoria moziese

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Ovviamente preistorici vengono, come dicevamo, definiti dal Falsone gli utensili in selce19. Eglimenziona la lunga lama a sezione trapezoidale20 (n. 4), un raschiatoio21, una punta di freccia peduncola-ta22 ed una punta foliata23.

Dall’esame dell’evidenza passata e dai risultati di scavi più recenti Falsone arriva alla conclusioneche a Mozia esisteva un insediamento databile tra l’Antica e la Media Età del Bronzo seguito da un perio-do di assenza insediamentale prima della fondazione fenicia.

In realtà le uniche testimonianze effettivamente preistoriche, parzialmente corroborate da evidenzestratigrafiche certe e da contesti sicuri, accertano la presenza di insediamenti databili tra l’Antica e laMedia Età del Bronzo (tra il XVIII ed il XIII sec. a.C.). Tali contesti furono rinvenuti nel corso dellericerche effettuate dalla missione inglese diretta da Isserlin e di quella dell’Università di Palermo direttada Vincenzo Tusa.

Presso la Porta Nord gli scavi inglesi misero in luce sulla riva del mare un preciso contesto consi-stente in un livello nerastro sul suolo vergine, sottostante i livelli fenici. In tale livello furono rinvenutitre travi in legno appartenenti ad una struttura preistorica e una deposizione funeraria in pessime con-dizioni con scarsi resti umani, un vaso frammentario e tracce di una spada in ferro del tipo Naue II24.

Presso la Porta Sud John D. Evans identifica due classi ceramiche fatte a mano interpretate come appar-tenenti “ad una tradizione che va indietro all’età del rame anche se attribuibili cronologicamente ad epocapre-fenicia”25. Si tratta evidentemente di una attribuzione estremamente vaga e, pertanto, discutibile.

Ben identificabile con sicurezza è, invece, il ben noto e menzionato frammento con la tipica deco-razione puntinata in registro su ansa a sezione piano convessa, attribuibile senza ombra di dubbio alMilazzese26.

Ceramiche attribuite ad una fase pre-fenicia sono state menzionate nei resoconti di scavo deltophet27. Tuttavia la loro attribuzione è tutt’altro che chiara. In altre sedi tali ceramiche, seguendo ildiscutibile parere di Evans, vengono classificate come pertinenti la medesima facies di tradizione delMilazzese28.

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19 FALSONE 1988, p. 34, fig. 3 a-d.20 FALSONE 1988, fig. 3d.21 FALSONE 1988, fig. 3c.22 FALSONE 1988, fig. 3a.23 FALSONE 1988, fig. 3b.

24 COLDSTREAM 1964.25 EVANS 1964, p. 123.26 ISSERLIN ET ALII 1964, p. 123, fig. 8,1, Pl.XIV a.27 Mozia I, p. 57; II, pp. 44-45; III, pp. 19-23; IV:33.28 BONDÌ 1979, pp. 173-174.

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La vaga presenza di ceramiche preistoriche viene registrata anche all’interno di una torre delle fortifica-zioni29. A tal proposito Falsone menziona la presenza di parte di una struttura a perimetro circolare al di sottodi una torre della cinta muraria punica che a suo parere, potrebbe essere stata genericamente preistorica30.

Nell’area nord-orientale dell’isola, a Nord dell’edificio di “Cappiddazzu”, poco distante dalle fortifica-zioni, nella zona K, dove Whitaker aveva eseguito scavi rimasti inediti, si è trovata traccia di un insediamen-to dell’Età del Bronzo. Tali tracce sono definite dalla ceramica raccolta fuori contesto, insieme a materialipiù tardi di epoca arcaica, per effetto del taglio di buche per il vigneto. Secondo gli scavatori si tratta di cera-miche della Media Età del Bronzo attribuibili alla facies del Milazzese (decorazione a nervature, coppe sualto piede e tazze attingitoio) e dell’Antica Età del Bronzo, attribuibili alla c.d. facies di Rodì TindariVallelunga (anse piano-convesse, fruttiere), simili a quelle rinvenute in un pozzo nell’area industriale31.

Lo stesso Falsone menziona quella che sembrerebbe essere l’evidenza preistorica più consistentedell’isola di Mozia. Si tratta dei resti di un villaggio con capanne circolari con basamento litico in unlivello con ceramiche attribuibili alla c.d. facies di Rodì Tindari Vallelunga (anse ad orecchie equine)32.

Tale presenza, localizzata nell’area ove insistono le case moderne, appare essere la più consistenteprova dell’esistenza di un insediamento preistorico su Mozia33. Essa, infatti, si collega a quella identifica-ta nell’area dei c.d. magazzini enologici dove è attestato un livello distinto con ceramiche inquadrabili inuna fase antica della cultura di Thapsos – Milazzese34. È, pertanto, plausibile pensare alla presenza di unvasto villaggio capannicolo nella parte più alta dell’isola che visse durante quel lungo processo che vide lacultura castellucciana lentamente trasformarsi in quella thapsiana attraverso quelle metamorfosi tipologi-che che sono state definite di Rodì Tindari Vallelunga con chiari addentellati alla facies di Mursia.

Inequivocabilmente appartenenti alla c.d. facies di Rodì Tindari Vallelunga (che recentementeabbiamo proposto di integrare parzialmente o nella facies di Castelluccio o in quella di Thapsos-Milazzese a seconda delle caratteristiche tipologiche) con elementi di chiara assimilazione con la faciesampiamente evidenziata attraverso gli scavi recenti dell’insediamento di Mursia a Pantelleria35, sono ivasi rinvenuti al fondo di una cisterna nella c.d. area industriale36.

Sintetizzando appare certa la presenza a Mozia di chiare prove della presenza di insediamenti data-bili tra l’Antica e la Media Età del Bronzo (XVIII-XIII sec. a.C.). Tuttavia, proprio nella Collezione

29 CIASCA 1979, p. 217.30 FALSONE 1988, pp. 37-38.31 FALSONE ET ALII 1980-1981.32 FALSONE 1988, p. 38.

33 FRESINA 1990.34 SPATAFORA 2000.35 ARDESIA ET ALII 2006.36 TUSA V. 1978, pp. 84-86, fig. 8; TUSA S. 1999, pp. 419-442.

Gli elementi di interesse paletnologico nella Collezione Whitaker e la preistoria moziese

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Whitaker registriamo la presenza di due piccoli vasetti piriformi (nn. 5-6), dei quali uno con decorazionedipinta policroma, che possono essere, sia per la forma che per la decorazione, attribuibili alla facies diMalpasso-Sant’Ippolito (fine dell’Età del Rame). Tali vasi potrebbero confortare l’ipotetica presenza delcitato vasetto eneolitico conservato a Siracusa. Pertanto dall’esame da noi effettuato risulterebbe l’indiziodi una presenza nell’Età del rame precedente quella ampiamente attestata dell’Antica Età del Bronzo.

Ed anche per il periodo posteriore alla Media Età del Bronzo riscontriamo la presenza di due ele-menti della Collezione Whitaker che contribuiscono a colmare quel presunto periodo di assenza di trac-ce insediamentali asserito da Falsone per la Tarda Età del Bronzo e gli inizi dell’Età del Ferro (anche imateriali summenzionati rinvenuti dagli Inglesi a Porta Nord vanno ridimensionati ed attribuiti allaMedia Età del Bronzo. Cito, a tal proposito, la notizia che anche l’originale attribuzione ad una spada inferro del tipo Naue II sia stata dagli stessi studiosi inglesi messa in dubbio).

Si tratta della fibula ad arco semplice da attribuire alla facies di Pantalica sud (n. 8) e, soprattutto, delframmento di brocca askoide nuragica (n. 10) (purtroppo il secondo frammento ad esso pertinente vistodalla Ferrarese Ceruti non è più riscontrabile) che contribuisce a riproporre il tema della prima frequenta-zione fenicia di Mozia, soprattutto per quanto attiene alla sua connotazione mediterranea ed alla cronolo-gia. Tale approfondimento è possibile poiché disponiamo dell’eccellente saggio della Lo Schiavo che inqua-dra in maniera precisa il frammento in questione37 datandolo tra la metà del IX e la metà dell’VIII sec. a.C.Pur non colmando interamente il vuoto tra il XIII sec. a.C. e la fondazione di Mozia (720-710 a.C. sullabase delle importazioni greche), tuttavia contribuisce da un lato a ipotizzare la presenza di un insediamen-to più antico di quasi un secolo rispetto a quello tradizionalmente indicato e dall’altro a riaprire il dibatti-to sulle frequentazioni fenicie precedenti la colonizzazione greca avvalorando il noto passo tucidideo. Lapresenza del frammento nuragico potrebbe, infatti, insieme a quelli presenti nei contesti ausoni alle Eolie,essere attribuita a frequentazioni fenicie delle coste sarde e delle coste siciliane già nel IX sec. a.C.

A tale evidenza dobbiamo collegare la presenza di alcuni indizi (ceramiche) che potrebbero far pen-sare all’esistenza nella zona delle case moderne (Magazzini enologici) di un insediamento attribuibileall’Età del Bronzo finale38.

Tale possibile frequentazione fenicia dalla metà del IX sec. a.C., ipotizzabile sia grazie al succitato fram-mento che a considerazioni di carattere storico-archeologico generali (si ricordano i materiali d’importazio-ne fenicia a Monte Finestrelle ed in molteplici necropoli dell’Età del ferro della Sicilia centro-orientale),

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37 LO SCHIAVO 2005. 38 SPATAFORA 2000.

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potrebbe trovare conferma anche nella presenza di altri potenziali oggetti di origine nuragica. Tali sono i trecucchiai (nn. 16-18) definiti da Bartoloni “piccole lucerne di matrice nuragica” datati dallo stesso, però,come il frammento di brocca askoide nuragica, al periodo finale dell’VIII sec. a.C. in relazione alla fonda-zione di Mozia39. Tale datazione risulta, a mio avviso, estremamente bassa anche in considerazione dell’otti-mo inquadramento fatto dalla Lo Schiavo sia per la brocca che per i cucchiai tra la fine dell’Età del bronzoe gli inizi del ferro40. Tuttavia oltre alla datazione anche tale “matrice” nuragica risulta opinabile sia per l’as-senza di precisi confronti che di tracce di bruciatura da fuoco sui tre cucchiai. Bartoloni asserisce che a Sulkytali cucchiai-lucerne sono stati trovati nel tophet. È per questo che riteniamo, in linea con una vasta fenome-nologia riscontrabile in molteplici siti siciliani, che si tratta di oggetti rituali collegati con i culti ctoni.

Consultando il catalogo Whitaker abbiamo trovato alcune voci inventariali che potrebbero essere pertinenti ad oggetti di epoca prei-storica o protostorica che elenchiamo di seguito per completezza. Di tali voci inventariali non abbiamo trovato alcun riscontro tragli oggetti analizzati.

N.I.W. 2485, 2486: schegge di selce tra le ossa cremate. Mozia, necropoli 1911.N.I.W. 3338: freccia di selce, Motya, settembre 1914.N.I.W. 3339: coltello di selce e coltelli di ossidiana nei diversi scavi di Motya nello strato neolitico.N.I.W. 3639: scheggia di selce. Porta Nord 1907-1913.Per i due cucchiai in terracotta che si elencano di seguito non si è trovato alcun riscontro. Ma risulta probabile che siano i dueoggetti elencati dai quali è scomparso il numero inventariale originale.N.I.W. 2127: cucchiaio di terracotta. Mozia 1910.N.I.W. 2130: cucchiaio di terracotta. Mozia 1910.Infine è interessante riportare quanto scritto dal Whitaker a proposito di sue ricerche sull’antistante costa nei pressi della SalinaInfersa o Anfersa. Da ciò che si evince risulterebbe certa l’esistenza di un insediamento costiero di tipo lagunare databile tra ilmesolitico ed il neolitico.N.I.W. 3342-3344: Scheggia o raschiatoio in ossidiana e di altra selce con quantità di ossa di animali o avanzi di cucina … un mascel-lare delle ossa rinvenute.Spiaggia di Canale Anfersa, nel canale delle Saline del Senatore D’Alì a metri 15 delle scale che porta ai 3 Pini (forse stazionedi lavorazione delle pietre di epoca neolitica. Si avevano (?) avanzi di mattoni di terra cruda, come nelle capanne che si rinven-gono a Motya, di cui si conservano i campioni. Durante la visita del Prof. Taramelli si è tornati a scavare sul posto e si è trova-to il pavimento delle capanne ed altre schegge di ossidiana ed avanzi di cucina (22 maggio 1915).N.I.W. 3932, 28 maggio 1919. Contrada San Leonardo, spiaggia Infersa, Canale delle Saline del Comm. D’Alì.Esiste uno strato di terra nera friabilissimo che rimane in media 1 m. sotto il livello della Via Comunale.La stratificazione è la seguente:M. 1, terra e pietrame con ceramica greca, a volte con ceramica posteriore.Segue lo strato di terra nera che è in media cm 45, in essa si raccoglie ceramica di impasto primitivo, ossi di animali e frammen-ti di ossidiana.Sotto lo strato nero comincia lo strato naturale della marna. Tale saggio fu fatto alla presenza del Sig. E. Gabrici, Direttore delMuseo Nazionale di Palermo.

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39 BARTOLONI 2005, p. 570. 40 LO SCHIAVO 2003, p. 109-111.

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CATALOGO

1. Schegge di selce (Tav. I)N.I. 3897 (N.I.W. 2484.)

“Diversi avanzi di schegge di selce, pietra focaia e ossi-diana. Mozia 1911”.Numerose schegge di selce (scarti di lavorazione). Nonsi riscontra la presenza di alcuno strumento. La selcerisulta essere di diversa colorazione e, pertanto, di diver-sa origine da varie fonti dell’antistante costa siciliana.Epoca preistorica indefinibile.

2. Schegge di ossidiana (Tav. I)N.I. 3895-3896.Provenienza sconosciuta.

Numerose schegge di ossidiana (scarti di lavorazione).Non si riscontra la presenza di alcuno strumento. Adun’analisi autoptica l’origine delle schegge di ossidianapresenti risulta essere ripartita in parti pressoché ugua-li tra Lipari e Pantelleria.La presenza di ossidiana pantesca ben si accorda con leanalogie tipologiche riscontrate nell’ambito della cera-mica attribuibile all’Antica Età del Bronzo con la faciesdi Mursia. Epoca preistorica indefinibile.

3. Scodellina in terracotta (Tav. I)N.I. 3900 (N.I.W. 4050).Rinvenuta in un saggio di scavo tra Porta Nord e la necropoli anti-ca di Mozia, ad una profondità circa di m 2 il 24 maggio 1924.ø base 6,7; ø orlo 5,5.

Ricomposto da due metà.Modellata a mano e malcotta.Impasto bruno grossolano.Scodellina con base piatta e basse pareti rientranti con

orlo indistinto assottigliato. Quattro prese simmetrichea linguella poco sotto l’orlo.Epoca pre-protostorica indefinibile.

4. Lama in selce (Tav. I)N.I. 3892 (N.I.W. 3870).Scavi di Motya del comune di Marsala. Marzo 1919.Lungh. cons. 20; largh. 3,2; spess. 0,7.

Mancante della parte distale. Scheggiature inframar-ginali.Selce color senape.Lama in selce color senape a sezione trapezoidale consuperfici fortemente patinate ed alterate in color bian-co maculato. Assenza di ritocco. È presente il bulbo dipercussione.Eneolitico.

5. Vasetto piriforme in terracotta (Tav. II)N.I. 3889 (N.I.W. 4056).Nella necropoli il 21 maggio 1927.H. 6,5; ø 4,3, ø orlo 2,6.

Integro.Modellato a mano e cotto.Impasto bruno grossolano.Vasetto di forma ovale allungata con fondo appuntito,pareti con orlo rientrante indistinto e due prese forate alinguella orizzontale poste simmetricamente presso l’orlo.Si tratta della miniaturizzazione dei ben noti orci o picco-li pithoi presenti nella cultura di Malpasso/Sant’Ippolito.Cultura di Malpasso/Sant’Ippolito.

6. Vasetto piriforme in terracotta con decorazione poli-croma (Tav. II)N.I. 6544.Provenienza sconosciuta.H. cm 8; ø 6; ø orlo 3,5.

Mancante di parte dell’orlo. Estese abrasioni superficiali.

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Modellato a mano e dipinto. Cotto.Impasto rossiccio con superfici dipinte.Vasetto di forma ovale allungata con fondo appuntito,orlo distinto ispessito e due prese a lingua forate impo-state obliquamente sulla spalla. Tutta la superficie delcorpo del vasetto è campita da decorazione dipintapolicroma costituita da bande verticali delimitate daelementi lineari in nero. Le bande sono dipinte in rossoe bianco-rosaceo alternate. Il cattivo stato di conserva-zione non permette di stabilire la cadenza dei coloridelle bande nonché la probabile esistenza di elementilineari di marginatura a tremolo. Cultura di Malpasso/Sant’Ippolito.

7. Parte inferiore di vaso su alto piede (Tav. II)N.I. 6021.Provenienza sconosciuta.H. 23,5; ø base 26,5.

Ricomposto, mancante della vasca e dell’ansa.Modellato a mano e cotto.Impasto color nocciola.Parte inferiore di un grande vaso su alto piede, adibitoal convivio ed a cerimonie. È presente l’attaccatura del-l’ansa a sezione piano-convessa che indica la presenzadel relitto. Antica Età del Bronzo.C.d. facies di Rodì-Tindari-Vallelunga.

8. Fibula ad arco semplice (Tav. II)N.I. 6585.Provenienza sconosciuta.Spess. 0,6.

Fortemente ossidata. Mancante dell’ardiglione e dellastaffa.Fusione. Bronzo.Fibula ad arco semplice a sezione circolare.Facies di Pantalica Sud.

9. Idoletto in terracotta (Tav. III)N.I. 3889.Provenienza sconosciuta.H. cons. 4,5; largh. 5,2; spess. 1,8.

Frammentario della parte inferiore del busto e dellaparte distale del braccio sinistro.Modellato a mano e malcotto.Impasto bruno chiaro.Idoletto antropomorfo con torso appiattito, protube-ranza superiore appuntita con globuletto appiattitoapplicato simboleggiante il capo e braccia tubolariassottigliate.L’oggetto imita le statuette corinzie piatte di epocaarcaica.Età del Ferro (VII sec. a.C.).

10. Frammento di bocchetta askoide nuragica (Tav. III)N.I. 4518.Provenienza sconosciuta.H. 6; Largh. 7,2.

Frammentario.Modellato a mano e cotto.Impasto color grigio ferro ben depurato in sezione consuperficie interna marrone rossiccia, esterna nerastralucida.Frammento del corpo globulare di bocchetta askoide,nel punto di massima espansione, con l’attacco inferio-re di un’ansa, spezzata poco sopra. L’oggetto è decora-to da incisioni lineari. Sull’ansa si notano tre fasci di trelinee verticali ciascuno con due file di cerchielli neglispazi intermedi. Alla base del sistema decorativodescritto vi sono quattro cerchielli simili. I cerchiellisono costituiti da tre elementi concentrici. A destradell’ansa si nota un motivo simile costituito da unfascio verticale di quattro linee parallele che si solleva-no da un cerchiello simile ai precedenti. All’interno deicerchielli tracce di pasta bianca. Sul bordo di frattura,in basso a sinistra, si nota un foro praticato in antico.

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Tipo 688 (Bro.AS.33) di F. Campus e V. Leonelli(CAMPUS-LEONELLI 2000, p. 398, tavv. 237-238: 1-9).Presente a Ittireddu – Nuraghe Funtana, Sorso – MonteCao, Alghero – Palmavera, Nuraxinieddu – Su Cungiau‘e Funta, Monte Zuighe, Oliena – Sa Sedda È Sos Carros,Khaniale Tekke presso Cnossos a Creta e Cartagine. Il foro si ritrova anche su altre bocchette, tra cui quel-la da Monte Cau. Età del Bronzo Finale – I Ferro della Sardegna. Protogeometrico Bdi Creta. Metà dell’VIII sec. a Cartagine. Metà del IX – metàdell’VIII sec. a.C. LO SCHIAVO 2005.

11. Fuseruola baccellata (Tav. III)N.I. 3888.Provenienza sconosciuta.ø 2,8.

Integra con lievi abrasioni.Modellata a mano e cotta.Impasto rossiccio ingubbiato in bruno scuro.Fuseruola globulare baccellata lievemente schiacciatalungo l’asse del foro passante. Età del Ferro.

12. Fuseruola globulare schiacciata (Tav. III)N.I. 800.Provenienza sconosciuta.ø 3,1; H. 2,8.

Integra con lievi abrasioni.Modellata a mano e cotta.Impasto bruno.Fuseruola globulare schiacciata lungo l’asse del foropassante.Età del Ferro.

13. Fuseruola globulare schiacciata irregolarmente (Tav. III)N.I. 3887.

Provenienza sconosciuta.ø 2,5; H. 1,7.

Integra con lievi abrasioniModellata a mano e cottaImpasto bruno chiaroFuseruola globulare irregolarmente schiacciata lungol’asse del foro passante. Età del Ferro.

14. Fuseruola globulare schiacciata irregolarmente (Tav. III)N.I. 3685.Provenienza sconosciuta.ø 2,6; H. 1,5.

Integra con lievi abrasioni.Modellata a mano e cotta.Impasto bruno con superfici fiammate.Fuseruola globulare irregolarmente schiacciata lungol’asse del foro passante. Età del Ferro.

15. Fuseruola globulare (Tav. III)N.I. 3896.Provenienza sconosciuta.ø 2,4.

Mancante di circa la metà.Modellata a mano e cotta.Impasto rossiccio con superfici grigiastre.Fuseruola globulare.Età del Ferro.

16. Cucchiaio in terracotta (Tav. III)N.I. 6540 (N.I.W. 4046).Rinvenuto tra Porta Nord e la necropoli antica il 16 maggio1924.Lungh. 8,9; largh. vasca 3,6.

Lievi scheggiature all’orlo.

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Modellato a mano e malcotto.Impasto rossiccio.Cucchiaio con manico cilindrico rastremato e vascacon versatoio con orlo distale abbassato.Età del Ferro.BARTOLONI 2005, p. 570.

17. Cucchiaio in terracotta (Tav. III)N.I. 3894.Provenienza sconosciuta.Lungh. cons. 7; largh. 4,6.

Frammentario del manico e di parte dell’orlo. Modellato a mano e malcotto.Impasto bruno.Cucchiaio con manico cilindrico e vasca con bordiomogenei.Età del Ferro.BARTOLONI 2005, p. 570.

18. Cucchiaio in terracotta (Tav. III)N.I. 3893.Provenienza sconosciuta.Lungh. cons. 8; largh. cons. 4,5.

Mancante di parte del manico e dell’orlo.Modellato a mano e malcotto.Impasto rossiccio.Cucchiaio con manico cilindrico e vasca con bordiomogenei.Età del Ferro.BARTOLONI 2005, p. 570.

19. Anforetta dipinta (Tav. IV)N.I. 4391 (N.I.W. 3997).Necropoli arcaica.H. 15; ø 15,2; ø orlo 5.

Fa parte del corredo di una tomba rinvenuta nel 1921

durante gli scavi della necropoli, composto da un vasocinerario (lasciato in situ), da un unguentario pirifor-me, da una bottiglia con orlo a fungo, da un attingito-io e da una brocchetta con decorazione lineare oltreall’anforetta in questione.Integra. Lievemente abrasa in superficie.Modellata alla ruota lenta.Argilla grigia.Anforetta globulare schiacciata con fondo curveggian-te, spalla lineare, orlo distinto estroflesso ed anse asezione circolare tra l’orlo e la spalla. Decorazionedipinta in bruno consistente in una banda orizzontalecampita da zig-zag poco al di sopra della massimaespansione del corpo, da un elemento orizzontale a zigzag non campito nella parte alta del corpo e da seg-menti paralleli sulle anse e sull’orlo. Età del Ferro.

20. Brocca con orlo trilobato (Tav. IV)N.I. 2218.Provenienza sconosciuta.H. 10.

Lacunosa nell’orlo.Modellata al tornio.Argilla rossa.Brocca globulare schiacciata su base a disco con orlodistinto trilobato con versatoio ed ansa a sezione circolare.Età del Ferro.

21. Coperchio con presa (Tav. V)N.I. 6586 (N.I.W. 4005).Dal tophet.ø 22,5; H. presa 6.

Ricomposto.Modellato a mano.Argilla rossiccia.Coperchio a disco piatto con bordo indistinto squadra-

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to e presa centrale costituita da quattro bastoncelli asezione quadrangolare che sorreggono una piastraorizzontale a perimetro quadrangolare.Età del Ferro.

22. Pentola (Tav. V)N.I. 3711 (N.I.W 4005).Dal tophet.

H. 15,5; ø 18.Lievi scheggiature.Modellata a mano.Argilla rossa.Pentola a calotta con base curveggiante, orlo indistintoe quattro prese simmetriche poste poco sotto l’orlo dalperimetro rettangolare ed inclinate.Età del Ferro.

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Mozia. Foto acquarellata. Vetri policromi.

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I VETRI PREROMANI

ANTONELLA SPANÒ GIAMMELLARO

Nel Museo G. Whitaker di Mozia si conserva una significativa raccolta di vetri provenienti dallanecropoli arcaica dell’Isola, dalla necropoli di Birgi e da quella di Lilibeo. Per quanto pertinenti a cor-redi funerari smembrati, essi vengono ad arricchire il quadro conoscitivo della documentazione vetrariadella Sicilia punica.

Le categorie in cui si esplica sostanzialmente la documentazione qui presentata, sono quelle dei bal-samari in vetro policromo e degli oggetti d’ornamento (pendenti, collane e vaghi di collana) policromi omonocromi che ripropongono tipi e forme ampiamente attestati in contesti culturali diversi dell’interobacino del Mediterraneo.

Essi si inquadrano in una produzione riconducibile ad una tradizione artigianale di origine vicino-orientale1, che affonda le sue radici nel III Millennio a.C., e che si sviluppa nel corso del I Millenniosecondo gli stessi metodi di fabbricazione già noti in Mesopotamia e in Egitto nel II Millennio a.C.2

Si tratta, per quanto riguarda i balsamari, della tecnica c.d. “su nucleo”3: un nucleo costituito da unamalgama di argilla, sabbia e leganti organici di grandezza proporzionale al vaso che si intendeva otte-nere, veniva fissato all’estremità di una verga metallica e ricoperto più volte con vetro fuso prelevato dacrogiolo fino ad ottenere la forma desiderata; tra una fase e l’altra di questa operazione, l’oggetto in fieriveniva introdotto nel forno ad altissima temperatura, per far sì che il vetro si solidificasse, aderendo stra-to su strato. Ottenuta la forma prevista ed eseguiti i necessari ritocchi, si procedeva alla lisciatura su unpiano rigido e quindi alla decorazione, effettuata avvolgendo attorno al piccolo vaso filamenti vitrei dai

1 Per una trattazione compendiaria sul vetro nell’antichi-tà cfr. WEDEPOHL 2003.

2 Sulla produzione vetraria nel Mediterraneo orientale nelcorso del II Millennio cfr., da ultimo, SCHWEIZER 2003.

3 Sulle tecniche di fabbricazione del vetro preromano cfr.STERNINI 1995, passim.

Per una revisione aggiornata dell’intera problematica cfr.SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.

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colori contrastanti rispetto a quello di fondo, che venivano disposti secondo il motivo decorativo desi-derato (zig-zag, festoni, piume) con l’aiuto di un apposito strumento a pettine o a punta. Alla fine veni-vano applicati bocca, anse e piede. Il vasetto veniva allora raffreddato lentamente, la verga metallica sullaquale il nucleo era fissato veniva estratta e il nucleo stesso raschiato via.

Sostanzialmente uguale era il procedimento per la fabbricazione dei pendenti, i quali venivanomodellati direttamente su un’asta metallica, ricoperta tutt’al più da un sottile strato di argilla; per alcu-ni tipi di questi pendenti, poi, era necessario ricorrere all’uso di stampi.

Quanto all’uso di queste due principali classi di oggetti vitrei, i balsamari venivano utilizzati comecontenitori di unguenti, profumi o cosmetici, da sospendere per le piccole anse al braccio o alla cinturao da poggiare su piccoli supporti vitrei o aurei, e non è da escludere che fossero posti in commerciocolmi del loro contenuto prezioso.

Per i pendenti configurati a testa umana, destinati ad essere sospesi al collo, ne è evidente, oltreall’intento ornamentale, la valenza magico-religiosa.

Anche per gli esemplari della Collezione Whitaker si pone una serie di interrogativi - riguardanti laclasse nel suo complesso - relativi alla localizzazione delle officine, all’individuazione dei canali di distri-buzione dei prodotti e dei circuiti mercantili (che sembrano coincidere, in determinati periodi, con quel-li di altri materiali provenienti dal Mediterraneo orientale e dall’area egea), alla funzione e al significatosul piano sociale e culturale di questi oggetti di prestigio.

Non esistono elementi che, specificamente per i centri di Mozia, Birgi e Lilibeo, siano indicatividelle possibili vie di arrivo dei prodotti vetrari, delle modalità di diffusione, dell’identità etnica degliagenti commerciali; e se questi problemi risultano di assai difficile risoluzione in altre regionidell’Occidente punico, ancor più lo sono in un ambiente come quello siciliano dove il quadro storico è“complicato” dalla prevalente presenza greca4.

Quanto a Mozia, una serie di indizi, già segnalati da A. Ciasca5 - frammenti di un quadro di assettie di rapporti ancora non ben delineato - induce a riflettere non solo sul probabile inserimento di Mozianella rotta che collegava i mercati del Mediterraneo orientale con il Tirreno attraverso le coste settentrio-

4 La questione è ampiamente discussa in SPANÒGIAMMELLARO c.d.s.

5 CIASCA 1988-89, pp. 82-83.

A. Spanò Giammellaro

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nali della Sicilia6, ma anche sulla eterogeneità di composizione dei gruppi “fenici” che percorrevano que-sta rotta toccando la Sicilia, e su quelli che in Sicilia si fermarono7, fra i quali non è escluso che potesse-ro annoverarsi anche componenti egee, e rodie in particolare. È stato notato8, inoltre, come alcuni ele-menti di cultura materiale, già a partire dal VII sec. a.C. inducono ad ipotizzare un rapporto privilegia-to con alcune delle realtà culturali indigene della Sicilia centro-meridionale che ricadono nell’orbita cul-turale e politica rodio-cretese e con ogni probabilità con la stessa Gela.

I BALSAMARI

I balsamari conservati nella Collezione Whitaker si inquadrano nell’ambito della produzione medi-terranea, sostanzialmente omogenea dal punto di vista tecnico e funzionale.

Grazie agli studi sistematici di D.B. Harden, M.C. McClellan e D. Grose9 si sono individuati tregrandi “gruppi”, distinti cronologicamente e in relazione alle forme, ai colori e alle decorazioni utilizza-ti, tenendo conto che, sostanzialmente, l’evoluzione morfologica di questi contenitori segue quella dellacoeva produzione ceramica greca, di piccolo o grande modulo.

Soltanto i primi due gruppi sono rappresentati nella Collezione, con una prevalenza degli esempla-ri del I raggruppamento, coerentemente con lo sviluppo e la consistenza numerica verificati nella classe,nel generale ambito di attestazione10.

6 SPANÒ GIAMMELLARO 2001, p. 196. Il recente studiosulla documentazione di ceramica attica dai centri di ambitofenicio e punico siciliano sembra rafforzare tale ipotesi:GRECO-TARDO 2003, pp. 109-110. Del percorso che dovevacollegare Mozia alla costa nord-occidentale della Sicilia, finoad Himera, sembra rimanere, come sottolinea DE VIDO1997, pp. 159-171, un’eco significativa nella “geografia”delle mitiche imprese di Eracle nell’Isola. Il racconto di taliimprese, che secondo la studiosa sarebbe riduttivo conside-rare soltanto come indicatore di una delle vie di ellenizzazio-ne, lascia intravvedere entità etniche “barbare” non meglioqualificate, suggerendone ampie zone di interferenza e/ocommistione con l’ambiente greco. Di queste commistioni,che almeno dal punto di vista mitico-religioso potrebberoessersi delineate già nella prima età coloniale, così come di

un’eventuale precoce identificazione Eracle/Melqart (cfr.BONNET 1988, pp. 267-278), non resta tuttavia concreta trac-cia sul piano monumentale; né, come già segnalato, si eviden-ziano consistenti indizi sul piano della cultura materiale,almeno per l’epoca alto-arcaica. Altrettanto lacunosa e tardi-va è, peraltro, la documentazione relativa al culto di Astartedi Erice. Cfr. DE VIDO 1997, pp. 400-407.

7 CIASCA 1994, p. 373; CIASCA 1988-89, p. 88.8 SPANÒ GIAMMELLARO 2000 b, p. 314.9 HARDEN 1981; MCCLELLAN 1984; GROSE 1989. La clas-

sificazione di Grose sarà quella di riferimento, nel corso dellatrattazione.

10 Va sottolineato come non siano finora documentate,nei centri di fondazione fenicia della Sicilia, le forme checaratterizzano il III Gruppo Mediterraneo; queste, piuttosto,

I vetri preromani

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I Gruppo Mediterraneo

I balsamari afferenti al I Gruppo Mediterraneo, datato tra la seconda metà del VI e la prima metàdel IV sec. a.C., sono stati suddivisi da Grose, che utilizza le sequenze morfologiche elaborate daHarden, in otto classi differenziate dal punto di vista cronologico o per le caratteristiche tecniche, tal-volta indicative di probabili, specifici, centri di produzione11. I vasetti hanno generalmente fondo blu esono decorati con linee, motivi a zig-zag marginati da linee, festoni o motivi a piume di colore turchese,giallo o bianco; ma tra i più antichi del gruppo si distingue una classe caratterizzata da fondo bianco lattee decorazione bruno-violacea, mentre alla fase centrale della produzione è da riferire un’altra classe dibalsamari connotata dal fondo di colore nocciola o bruno-rossastro o verde scuro e da una decorazionecon motivo a zig-zag fitto e continuo giallo e turchese o più raramente lineare. Queste ultime due clas-si, tuttavia, non risultano rappresentate nella Collezione.

Rodi12 viene indicata come il principale centro di produzione di questi vasetti, senza escludere la pos-sibilità che altre fabbriche siano sorte sulle coste della Ionia e della Siria-Palestina. Il recente rinvenimen-to, nell’isola dell’Egeo, di scarti di lavorazione testimonia una produzione locale di vetro nel V sec. a.C.Questa scoperta, unitamente con la considerevole documentazione di balsamari e oggetti d’ornamentovitrei offerta dalle necropoli, avvalora l’ipotesi dell’esistenza di una industria del vetro già dalla fine delVI sec. a.C. : l’atélier tardo-arcaico sarebbe sorto nella zona portuale dell’antica Camiros13, ricca di sab-bia adatta per la vetrificazione.

La dispersione areale dei vetri del I Gruppo Mediterraneo è assai ampia e va dall’estremo Occidentemediterraneo14 fino al Mar Nero15, “accompagnando” - pare ormai chiaro - prodotti ceramici attici, siain aree di cultura greca, sia in centri di fondazione fenicia.

La produzione subisce una battuta d’arresto tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., forse in con-nessione con le vicende politiche del periodo, e solo intorno alla metà del IV sec. nuovi centri di produ-

sono attestate a Cefalù, Erice, Butera, Agrigento, Montagnadi Marzo, centri nei quali l’impegno politico e militare profu-so da Cartagine nell’età dell’eparchia si riflette, sul piano dellacultura materiale, nell’evidenza di elementi di “influenza”punica che la ricerca archeologica va progressivamente met-tendo in luce. Cfr., per esempio, AMATA - GUZZARDI 2005;TULLIO 2005.

11 GROSE 1989, pp. 110-115 (con riferimenti alle classifi-

cazioni Harden e McClellan).12 HARDEN 1981, pp. 52-53, 60; Mc CLELLAN 1984,

pp. 37, 321-322; GROSE 1989, p. 110; STERN 1999, p. 37;SCHLICK-NOLTE 2002 a, pp. 43-44; TRIANTAFYLLIDIS 2003.

13 Ipotesi di G. Weinberg condivisa da TRIANTAFYLLIDIS2003, p. 132.

14 CARRERAS - VIVES 2003.15 Mc CLELLAN 1984, pp. 37-75.

A. Spanò Giammellaro

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zione vengono attivati in aree geografiche e in forme nuove16. Le forme che caratterizzano questo grup-po sono quelle dell’alabastron, dell’amphoriskos, dell’aryballos, dell’oinochoe.

Le necropoli di Mozia e Birgi hanno restituito sei esemplari (quattro balsamari integri o lacunosi edue frammenti) che documentano la forma dell’alabastron; cinque di questi sono conservati nellaCollezione Whitaker17 e attestano alcune delle forme e dei tipi decorativi classificati da Harden e Grose.

Purtroppo la perdita di riferimenti inventariali precisi non consente una esatta attribuzione all’unao all’altra necropoli; tuttavia per due esemplari (nn. 2-3) si può abbastanza verosimilmente ipotizzare laprovenienza dalla necropoli sul litorale siciliano, sulla base del riscontro di precise indicazioni contenu-te nel Registro di entrata del Museo.

Tra gli esemplari più antichi della serie moziese, il n. 1 ripropone una forma e un tipo decorativoabbastanza comuni18: ha corpo a configurazione cilindrica, con lieve rastremazione verso l’alto e deco-razione realizzata con sottili filamenti bianchi e strisce turchese. Un esemplare analogo, di ambito sici-liano, proviene da una tomba di Megara Hyblaea19 contenente due lekythoi attiche a f.n. ed un altro, diprovenienza sconosciuta, è conservato presso il Museo Archeologico Regionale A. Salinas di Palermo20.Per i balsamari di questa classe è stata proposta una datazione generica al V sec. a.C., ma un possibileriferimento alla fine del VI – inizi del V sec. a.C. è confermato dal recente rinvenimento di un esempla-re imerese21 in una tomba della necropoli di Pestavecchia contenente tre lekythoi attiche e una kotyletardo-corinzia a v.n.22

16 SCHLICK-NOLTE 2002 a, pp. 44-45.17 Il sesto, rinvenuto nella necropoli di Birgi, è invece

custodito presso il Museo Archeologico Regionale A. Salinasdi Palermo. Cfr. SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.

18 GROSE 1989, classe I:B, forma I:4, pp. 112-113, 126, 130.19 Si tratta della tomba 209, il cui corredo è conservato

presso il Museo P. Orsi di Siracusa. Un altro esemplare,inquadrabile nell’ambito di questa fase più antica della pro-duzione del I Gruppo Mediterraneo, è stato rinvenuto al disopra della tomba C238 scavata nel 1970 da M. Cebeillac.Devo l’informazione alla cortesia dell’amico Prof. M. Grasche sta curando l’edizione degli scavi della necropoli diMegara.

20 SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 55, pp. 30, 65, tav.XIV. La stessa sintassi decorativa, realizzata con sottili fila-

menti, seppure con l’utilizzo del solo colore bianco, presen-tano due esemplari di forma analoga rinvenuti a Gela (SPANÒGIAMMELLARO 2004 a, n. 29, pp. 31, 60, tav. VII) e adHimera (SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 27, pp. 31, 60, tav.VIII) ed un altro proveniente dalla vecchia Collezione delMuseo di S. Martino, oggi conservata al Museo Salinas(SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 54, pp. 31, 65, tav. XIV).L’esemplare geloo è stato rinvenuto da P. Orsi (ORSI 1906,col. 515) nella tomba 5 della necropoli ad incinerazione incontrada Bentivegna.

21 VASSALLO - VALENTINO 2004, p. 121.22 Esemplari analoghi provengono da Atene ed Eretria:

cfr. MC CLENNAN 1992, nn. 6-7, p. 81. Si segnala, poi, unesemplare da Ampurias: FEUGERE 1989, nn. 9,34, p. 33,fig. 3.

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Allo stesso periodo si ritiene si possa ricondurre il n. 2, per il quale si può ragionevolmente ipotiz-zare una provenienza dalla necropoli di Birgi23, caratterizzato da corpo ovoide fortemente rastrematoverso l’alto e da una accurata decorazione a spina di pesce bianca che ricopre l’intera superficie, produ-cendo un gradevole effetto di profonde pseudo-baccellature. Questo esemplare non trova riscontro pre-ciso nelle serie illustrate da Harden e Grose24, né sui cataloghi delle principali collezioni pubbliche e pri-vate; tuttavia sembra riconoscibile una certa analogia, sia per la forma del corpo (si ricordi che nell’esem-plare moziese la bocca è di restauro), sia per la decorazione, con un esemplare, conservato a Cipro25, conuno da Çandarli26, con un altro rinvenuto nella tomba 38 della necropoli Bonjoan di Ampurias insiemecon due lekythoi attiche datate al 500-475 a.C.27 e, per l’organizzazione dell’apparato decorativo, con unbalsamario che fa parte della Collezione Borowski28.

Agli inizi del V sec. e ad una classe abbastanza comune nei diversi ambiti culturali mediterranei29

appartiene il n. 3 caratterizzato da fondo blu medio e decorazione gialla e turchese, lineare nella partesuperiore e inferiore del corpo, a zig-zag nella zona mediana; in particolare il balsamario, molto verisi-milmente proveniente dalla necropoli di Birgi30, trova riscontro in diversi esemplari di provenienzadiversa: è affine ad un alabastron dalla necropoli di S. Sperate, a Cagliari31, ad uno32 rinvenuto nellatomba 12 della necropoli punica di Sant’Antioco33 e ad altri provenienti dalla necropoli Bonjoan diAmpurias34. La tomba sulcitana, dal contesto piuttosto omogeneo, conteneva, oltre alle tipiche formeceramiche di tradizione fenicia e ad un pendente d’oro, due lekythoi attiche che hanno consentito unapuntuale datazione tra il 500 e il 490 a.C.; i corredi delle sepolture ampuritane constavano di ceramiche

23 Si tratta dell’unico balsamario in vetro blu con decora-zione bianca conservato nel Museo di Mozia e l’unico balsa-mario con le stesse caratteristiche, inventariato sul registro diEntrata dello stesso Museo, è preso in carico al n. 2416 conla seguente annotazione: “Vasetto di pasta vitrea blu condisegni bianchi. Necropoli di Birgi”.

24 L’alabastron non può essere ascritto alla classe I D dellaclassificazione Grose, cui sono pertinenti esemplari caratte-rizzati da fondo blu e decorazione bianca, perché negli esem-plari pertinenti a detta classe l’apparato decorativo è realiz-zato con filamenti molto più sottili e organizzati in manieradiversa rispetto al nostro esemplare. Cfr. GROSE 1989,pp. 114-115.

25 SEEFRIED 1974, n. 2, p. 149.

26 ATIK 1990, n. 4, p. 22, tav. 17.27 CARRERAS 1985, n. 28, p. 273, figg. 1, 6.28 SCHLICH-NOLTE 2002 a, n. V-7, pp. 53-54.29 Classe I B della classificazione Grose: cfr. GROSE 1989,

pp. 112-113, nn. 69-76, pp. 135-137.30 Questo esemplare sembrerebbe riconoscibile nell’ «ala-

bastron di pasta vitrea blu a disegni gialli e verdi. Necropolidi Birgi» menzionato nel Registro d’Entrata del MuseoWhitaker, al n. 2413.

31 UBERTI 1993, n. 4. p. 89, tav. I.32 Ibid., p. 34, fig. 1,4.33 TRONCHETTI 1997, pp. 115-116.34 FEUGERE 1989, nn. 9,50-9,53, pp. 36-37, fig. 4. GROSE

1989, n. 78, p. 137.

A. Spanò Giammellaro

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corinzie e attiche datate tra il 500 e il 450 a.C. circa35. Ancora una decorazione gialla e turchese contrad-distingue un esemplare da Birgi conservato nel Museo Archeologico A. Salinas di Palermo, di poco piùrecente rispetto all’esemplare precedente, caratterizzato dal corpo cilindrico e dalla decorazione cheoccupa senza soluzione di continuità i tre quarti superiori del corpo36.

Nella necropoli di Ampurias si sono rinvenuti diversi alabastra di questa classe, uno dei quali inassociazione con una lekythos attica del secondo quarto del V sec. a.C.37 Tra il secondo e il terzo quartodel V sec. a.C. si data un alabastron dall’ipogeo 26 della necropoli di Ibiza scavato da C. Román Ferrer,contenente anche due lucerne attiche. Una generica datazione al V sec. a.C. è attribuita ad un vasetto diquesto tipo rinvenuto ad Aleria38. Un altro proviene dalla necropoli nord del Ceramico di Atene, da uncontesto datato tra il 450 e il 425 a.C.39 Il tipo in esame è esemplificato, poi, anche nella ricca collezio-ne di vetri preromani del Louvre40.

In ambito siciliano, un puntuale parallelo è offerto da un esemplare, di probabile provenienza cama-rinese, della Collezione Collisani41.

Allo stesso tipo di alabastron è pertinente il frammento n. 4, relativo alla zona centrale del corpo;non si può invece riconoscere la forma originaria dell’alabastron, a fondo blu e decorazione gialla e tur-chese, del quale si conserva il frammento n. 5, comprendente una piccola parte del corpo e un’ansa a Scon occhiello.

Passando agli amphoriskoi, sono numerosi quelli a fondo blu del I gruppo mediterraneo attraversoi quali si può seguire l’evoluzione della forma.

35 In particolare, la tomba 69 conteneva, oltre all’alaba-stron, un anello d’oro, una terracotta figurata, due kotylaicorinzie e vasi attici, alcuni dei quali a f.n., databili al 500a.C. circa: cfr. CARRERAS 1985, n. 30, p. 274, fig. 6. Numerosialabastra analoghi al nostro sono stati censiti da M. Feugère:si segnalano, in particolare tre esemplari uno dei quali prove-nienti dalla tomba 77 della necropoli Marti, rinvenuto insie-me ad una lekythos attica del secondo quarto del V sec. a.C.Cfr. FEUGERE 1989, nn.9, 35-365, 43, pp. 33- 36, fig. 3.

36 Cfr. SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s. La classe cui è perti-nente l’alabastron (Grose 1989, classe I:B, forma I:3A, pp.112-113, 126, 130; nn. 72-73, 75-76, pp. 155-137) contanumerosi esemplari, con un’ampia dispersione areale, macon una sensibile concentrazione a Rodi (HARDEN 1981,

nn. 97-110, pp. 64-66, pl. VIII). Propende per una fabbri-cazione rodia B. Schlick-Nolte (STERN - SCHLICK-NOLTE1994, n. 43, pp. 204-205; SCHLICK-NOLTE 2002 a, n. V-5,pp. 51-52). Un esemplare analogo, conservato nel Museoarcheologico di Bologna, per esempio, offre un preciso rife-rimento cronologico (FERRARI 1990, nn. 1, p. 96, tav. I, fig.I) per la sua provenienza da un contesto chiuso, degli inizidel V sec. a.C.

37 FEUGERE 1989, nn. 35-36, 43-44, pp. 33-35, fig. 3.38 JEHASSE 2001, n. 2886, pp. 167, 383, tav. 94.39 Mc CLELLAN 1992, n. 8, p. 82.40 ARVEILLER - NENNA 2000, nn. 12, 21, pp. 42, 46.41 SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 63, pp. 31, 67,

tav. XVI.

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La varietà più antica, caratterizzata dal corpo ovoidale allungato, dal collo cilindrico piuttosto lungoe dalle anse impostate tra le spalle e la bocca, è documentata nella Collezione dal frammento n. 15 condecorazione gialla. Questa varietà42 trova ampio riscontro in Sicilia, in contesti greci o ellenizzati datatialla fine del VI sec. a.C.43

Nel corso dei primi decenni del V sec. a.C. la forma si evolve: gli esemplari databili al primo quar-to del secolo sono ridotti in altezza rispetto ai precedenti, ma il diametro massimo è maggiore, sicchéalcuni assumono un caratteristico profilo “a trottola”; le anse si fermano sul collo, notevolmente piùcorto. La decorazione copre la zona superiore del corpo e raramente interessa il collo. Rientra in questavarietà l’esemplare n. 6 dalla necropoli di Birgi.

Durante la prima metà del V sec. a.C. la forma si evolve ancora: il corpo va via via assottigliandosifino ad assumere un profilo perfettamente ovoidale, le anse raggiungono la bocca o si fermano sul cortocollo cilindrico assumendo una forma ad occhiello. Di questo gruppo fanno parte gli esemplari nn. 7, 8-14 e 16-18 provenienti da Mozia o Birgi: per tutti questi esemplari, privi di riferimento a contesti certi,non può essere che generico il riferimento cronologico al V sec. a.C.

Quanto poi agli aryballoi, anche di questi balsamari si registra nella Collezione una discreta docu-mentazione (nn. 19-25) che rappresenta le due più comuni varietà della forma44: quella a corpo perfet-tamente globulare e quella con spalle oblique e corpo sferico allungato; ma ancora una volta si dovràlamentare l’impossibilità di precisi inquadramenti cronologici per la mancanza di sicuri dati di contestoe l’articolazione della forma in due varietà non implica necessariamente uno scarto cronologico, come

42 GROSE 1989, forma I:1, pp. 112-113, 126-127, 130; n.106, pp. 147-148.

43 Da Palermo proviene un esemplare rinvenuto entrouna tomba a camera datata alla fine del VI sec. a.C. Cfr.SPANÒ GIAMMELLARO 1998, n. G 84, p. 405, ill. alle pp.391, 395. La medesima datazione è proposta per le attesta-zioni puniche non siciliane fornite di dati contestuali pro-banti. Si segnalano, per esempio, tre esemplari sardi, dueda Tharros, l’altro da Sulcis (UBERTI 1993, n. 16, p. 91, tav.III; nn. 2, 6, p. 34, fig. 2), un esemplare da Cartagine pro-veniente dalla tomba 199 di Dermech datata al 500 ca.(GAUCKLER 1915, tomo I, p. 84, tav. CXLVII), uno dallanecropoli di Gunugus presso Gouraya (GAUCKLER 1915,

tomo II, tav. CCLXVII, n. 1; ARVEILLER - NENNA 2000, n.83, p. 80; FONTAN 2004, scheda n. 84, p. 77; p. 68); nell’am-bito dell’ampia documentazione della forma, anche da con-testi non punici, numerose sono le attestazioni rodie (cfr.,per esempio, HARDEN 1981, n. 170, p. 80, tav. XI;ARVEILLER - NENNA 2000, nn. 82, 85, pp. 80-81); si segna-lano inoltre, a mo’ d’esempio, un amphoriskos dall’anticaPitane (FREYER SCHAUENBURG 1973, nn. 7-8, pp. 145-146,tavv. XI, XIV) e uno da Eretria datati tra il 500 e il 475 (McCLELLAN 1992, n. 14, pp. 84-85) e un esemplare daAmpurias (FEUGERE 1989, n. 75, p. 41, fig. 7).

44 GROSE 1989, classe I:B, forma I:1 e I:2, pp. 112-113,127, 130.

A. Spanò Giammellaro

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dimostra la documentazione certamente datata, da ambiti culturali diversi. La prudenza, dunque sugge-risce una generica datazione al V sec. a.C.45

Le oinochoai del I gruppo mediterraneo sono rappresentate, nella Collezione, da un solo frammento (n.26), riferibile alla forma I:2 della classificazione Grose46. Gli esemplari di questa classe sono caratterizzatidalla bocca trilobata, dal breve collo che s’innesta sulla spalla arrotondata formando un angolo ottuso, dalcorpo ovoidale con piede slargato cavo all’interno, da un’alta ansa flessa sormontante l’orlo. Oltre ad esem-plari analoghi provenienti dalla necropoli di Palermo47, la forma è nota in Sicilia, da contesti di culturagreca48 ed è altresì attestata in Sardegna49 e ad Ibiza50. Si segnala inoltre il rinvenimento, nella necropoli diBirgi, di un frammento di ansa, di vetro blu scuro con un cerchiello giallo alla base conservato al MuseoArcheologico Regionale A. Salinas di Palermo, appartenente a una specifica classe della forma in esame51.

II Gruppo Mediterraneo

Inferiori numericamente rispetto ai vasetti del I Gruppo Mediterraneo, i nuovi balsamari si rinven-gono numerosi nella Penisola Italica, con una spiccata concentrazione al Centro-Sud, ma anche inTessaglia, in Macedonia e in Bulgaria52. Le nuove fabbriche, ipoteticamente localizzate, sulla base dellafrequenza di rinvenimento, sia nella zona centrale della penisola italica sia in area macedone53, introduco-

45 Sono numerosi gli aryballoi rinvenuti in contesti puni-ci, fuori dalla Sicilia: fa fede, per esempio, la serie degli esem-plari del Museo di Cagliari, cui si aggiungono altri cinquetharrensi (UBERTI 1993, pp. 22-23, 34, fig. 3, tavv. IV-V) inparte provenienti dalla necropoli, in parte recuperati nel-l’area del tofet. Altri due esemplari provengono da Ibiza, dacontesti ben datati (FERNÁNDEZ 1992, vol. II, n. 251, p. 140,fig. 68, tav. LXIII; FERNANDEZ-MEZQUIDA 1997, n. 5, p. 44,tav. II).

46 GROSE 1989, p. 127; nn. 114-117, pp. 150-151.47 Uno rivenuto nel corso degli scavi del 1928 in una

tomba a camera datata al 500 a.C. ca. (MARCONI 1928,p. 484, fig. 3; SPANÒ GIAMMELLARO 1998, n. G 86, p. 406);l’altro, entro il sarcofago di un’altra tomba a camera, coevaalla precedente, esplorata nel 1973 (SPANÒ GIAMMELLARO1998, n. G 87, p. 406).

48 Cfr. SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.49 UBERTI 1993, nn. 31-35, pp. 35, 93-94, fig. 4, tav. VI.50 FERNANDEZ 1992, n. 472, pp. 180-182, fig. 102, tav.

LXXXVII.51 SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s. Il cerchiello in questione

che caratterizza diversi vasetti costituirebbe, secondo T. E.Haevernick (HAEVERNICK 1981, pp. 88-89) una sorta di mar-chio di una o più fabbriche rodie e imiterebbe i chiodi ribat-tuti dei recipienti metallici. Cfr. per esempio GROSE 1989,n. 114, p. 149; Mc CLELLAN 1992, n. 22, p. 88; DUNCANJONES 1995, p. 26; STERN - SCHLICK-NOLTE 1994, n. 47,pp. 212-213; SCHLICH-NOLTE 2002 a, n. V-14, pp. 61-62.

52 Cfr. da ultimo SCHLICK-NOLTE 2002 a, p. 45. 53 GROSE 1989, pp. 115-122 (con riferimenti alle classifi-

cazioni Harden e McClellan); UBERTI 1993, p. 38; SCHLICK-NOLTE 2002 a, p. 67. Accanto alle nuove botteghe continua

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no, tra la metà del IV e la fine del III o gli inizi del II sec. a.C., nuove forme quali lo stamnos, l’hydria,l’unguentario e modificano, nei singoli elementi strutturali o nelle dimensioni, le morfologie già note; leforme più attestate sono quelle dell’alabastron e dell’oinochoe, con una tendenza alla miniaturizzazioneper alcune varietà o con un appesantimento del profilo, per altre. Si modifica anche l’apparato decorati-vo e così il motivo a zig-zag, prevalente nella produzione precedente, diventa secondario rispetto al moti-vo a piume o a festoni e si combina spesso con semplici linee, in una resa piuttosto corsiva; il colore difondo varia dal blu scuro al nero, al marrone giallastro, mentre i colori usati per la decorazione sono ilgiallo, il bianco, il turchese.

È con la metà del IV secolo a.C. che coincide l’apparizione anche nella Sicilia punica dei balsamaridel II gruppo mediterraneo dei quali sono documentate le forme dell’alabastron, dell’aryballos, dell’oi-nochoe e dell’unguentario a testimonianza di una vivace e articolata circolazione di vetri policromi anco-ra tra il IV e III sec. a.C.

Alla forma II:3 della classificazione Grose54 appartiene l’alabastron n. 27, caratterizzato da un corpocampanato su base piana, largo collo cilindrico e ampia e spessa bocca discoidale che nell’esemplaremoziese assume una conformazione “a fungo”; le anse, sproporzionatamente ridotte, sono nastriformi,con occhiello e applicate al di sotto delle spalle. La decorazione a piume larghe e regolari si sviluppa sututto il corpo. L’esemplare trova puntuale riscontro, per la forma, in un balsamario da Cartagine55; il tipoè inoltre documentato in area italica56.

Non sono noti, finora, dai centri punici della Sicilia, amphoriskoi di questo gruppo e del resto lascarna attestazione nell’intero ambito isolano57 riflette la generalizzata rarefazione della forma in questaseconda fase della produzione.

È invece ben documentata la forma dell’oinochoe in tre varietà: tra le oinochoai di grande modulola n. 28, proveniente forse da Birgi, è caratterizzata da un’ampia bocca trilobata, collo che s’innesta quasi

l’attività delle vetrerie rodie, che riforniscono i mercatidell’Asia Minore. Cfr. DUNCAN JONES 1995, p. 33.

54 GROSE 1989, pp. 117, 127, 131, figg. 70-71.55 HATTLER 2004.56 Si tratta di un alabastron dalla Tomba Barberini di

Preneste (UBERTI 1988, p. 477) e uno da Capua (HARDEN1981, n. 271, p. 105, tav. XV). Nel Museo archeologico diAtene (MC CLELLAN 1992, n. 29, p. 91) sono poi conservatialtri due vasetti analoghi, di provenienza sconosciuta.

57 SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.

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ad angolo retto sul corpo cilindrico rastremato verso il basso, bassa e ampia base a cuscinetto, ansa anastro costolata sormontante l’orlo58. Una decorazione a fitti motivi piumati regolari scandisce l’interasuperficie del corpo. In ambito punico, la forma è ben nota fuori dalla Sicilia59.

La seconda varietà60 è rappresentata, oltre che dai frammenti n. 30, dall’esemplare n. 29, provenien-te da Birgi, mutilo del collo e della bocca, con corpo ovoidale e decorazione, assai poco accurata, a lineeorizzontali sulla spalla e nella zona inferiore del corpo e stretta fascia a zig-zag nella zona superiore. Unpuntuale raffronto sia per la forma del corpo che per la sintassi decorativa è offerto da un esemplare pur-troppo privo di dati di contesto della collezione Wolf61.

Da Lilibeo e Birgi provengono due esemplari (nn. 31 e 32), in frammenti, di oinochoai miniaturisti-che a corpo ovoide e semplice decorazione lineare sul collo e nelle zone superiore e inferiore del corpo,databili tra la metà del IV e l’inizio del III sec. a.C.62

È ancora Lilibeo che ci fornisce una relativamente discreta documentazione della forma dell’un-guentario a corpo ovoidale, con collo e piede cilindrici, più o meno lunghi, per la quale l’inserimento nelII o nel III gruppo mediterraneo è controversa nel confronto scientifico tra specialisti63.

58 Corrisponde alla forma II:1 della classe II:A di Grose.Cfr. GROSE 1989, pp. 117-119, 127-128, 131; nn. 147-149,pp. 161-162.

59 Per la Sardegna si ricorda un esemplare da Nora(UBERTI 1993, n. 37, pp. 38, 94, tav. VII) e frammenti di unaoinochoe di questo tipo dall’area del Nuraghe Nurdòle(MADAU 1991, pp. 124-125, tav. XVII, 5). Un esemplare daCartagine è conservato nel Museo locale (I FENICI, n. 337, p.240). Intorno al 300 a.C. sono poi datate, sulla base di conte-sti, due oinochoai di questo tipo rinvenute nella necropoli diAleria (JEHASSE 2001, nn. 3983-3984, pp. 82, 395, tav. 200).

60 GROSE 1989, classe II:A, forma II:3, pp. 118-119, 127-128, 131; n. 146, p. 161.

61 STERN - SCHLICK-NOLTE 1994, n. 53, pp. 224-225.Anche di questo tipo si è rinvenuto ad Aleria un esemplare(JEHASSE 2001, n. 3338, pp. 82, 395, tavv. 200-201), i cuiantecedenti, nello stesso sito, sono rappresentati da due oino-choai della stessa forma, ma di modulo maggiore: una hasulla spalla un motivo decorativo continuo a onde e riccioli

(JEHASSE 2001, n. 3338, pp. 82, 395, tavv. 200-201); l’altrapresenta, nella zona centrale del corpo, una inedita (e piutto-sto naif) raffigurazione di due quadrupedi affrontati davantiad un elemento fitomorfo, tardiva attestazione – sembrereb-be - di un ben noto motivo iconografico di tradizione vicino-orientale (Ibid., n. 2666, pp. 82, 395, tav. 201). Entrambe levarietà sono poi attestate a Cuma (GABRICI 1913, coll. 597-598, tav. XCVII, nn. 7-8).

62 GROSE 1989, classe II:A, forma II:8, pp. 117-118, 128, 131.63 HARDEN 1981, p. 124 sostiene che gli unguentari deb-

bano ascriversi al III gruppo mediterraneo; MC CLELLAN1984, pp. 123-126 suggerisce la possibilità di assegnarealcuni unguentari al II gruppo mediterraneo e altri al III;GROSE 1989, p. 116, ritiene che possano rientrare tutti nelII gruppo in quanto databili, nella maggior parte dei casi, alIII sec. a.C.; DUNCAN JONES 1995, pp. 21-22, 29-32, sugge-risce la possibilità di enucleare, grazie alla documentazioneanatolica, un gruppo ellenistico transizionale tra i gruppi IIe III della classificazione Grose.

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Il n. 3364 attesta la variante con lungo collo cilindrico e ampio corpo ovoidale appuntito che poggia suuno stelo cilindrico slargato alla base; le piccole anse sono configurate a dischetto appiattito e applicate abottone sul corpo e la decorazione a zig-zag gialla e bianca si sviluppa nella zona mediana del corpo. Dimodulo ridotto, ma ancora riferibili alla stessa forma sono i nn. 34-35, caratterizzati da presine ad occhiello.

Alla forma II:2 della classificazione Grose65, caratterizzata da piccolo corpo ovoide che poggia suun tozzo stelo cilindrico sono riferibili i frammenti di un altro unguentario (n. 36), forse da Lilibeo. Treesemplari analoghi, di ambito siciliano, databili alla metà del III sec. a.C. provengono da Agrigento66 eda una tomba della necropoli di Piano della Fiera, a Butera67, mentre fuori dalla Sicilia, unguentari diquesto tipo vengono da contesti tombali ibicenchi68 e algerini69.

La serie degli unguentari è completata dai frammenti (n. 37) di un esemplare della forma II:3Grose70, con lungo collo cilindrico, spalle oblique, corpo conico, piccola base discoidale e con decora-zione a festoni rovesciati bianchi e gialli.

GLI OGGETTI D’ORNAMENTO

Pendenti policromi

Più puntualmente inquadrabili dal punto di vista della qualificazione etnica, per quanto attieneall’origine del tipo di manufatto, sono i pendenti configurati a testa umana o demoniaca e quelli zoomor-fi, la cui paternità è tradizionalmente riconosciuta all’artigianato fenicio e punico.

Gli studi sistematici di questa produzione, condotti da T. E. Haevernick71 che ha censito 779 esem-plari e da M. Seefried72 che ne ha presi in esame 850, se hanno evidenziato una capillarità di diffusionein ambito mediterraneo, che in qualche modo coincide con quella dei balsamari, hanno anche dimostra-

64 GROSE 1989, classe II:G, Forma II:1, pp. 121-122,128, 131.

65 Ibid., classe II:G, forma II:2, pp. 121-122, 128, 131.66 Un esemplare agrigentino, inedito, è conservato nel

Museo P. Orsi di Siracusa; per l’altro che fa parte di una col-lezione privata cfr. SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 78, pp.33, 70, tav. XX.

67 SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 33, pp. 33, 61, tav. VIII.68 FERNANDEZ 1992, tomo II, nn. 173, 481, p. 142, figg.

55, 104, tavv. L, LXXXVIII.69 KITOUNI-DAHO 2003, n. 23, p. 42. 70 GROSE 1989, classe II:G, forma II:3, pp. 121-122, 131.71 HAEVERNICK 1977.72 SEEFRIED 1982.

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to come l’articolazione geografica, in senso diacronico, delle due classi della produzione non sempre siaunivoca. Sulla base della mappa di distribuzione dei pendenti elaborata da M. Seefried73, si può verifi-care come i pendenti più antichi databili fra la fine dell’VIII e la fine del VII sec. a.C. siano concentratinel loro alveo d’origine, le coste del Mediterraneo orientale, cioè, con qualche presenza a Cartagine nelcorso del VII sec. a.C.; tra la fine del VI e gli inizi del IV sec. a.C., i pendenti sono ancora numerosi inOriente, di contro ad una più rara attestazione, nella stessa area, di balsamari del I gruppo mediterra-neo, prevalentemente concentrati, invece, come già detto, nell’Egeo e nelle regioni che rientrano nellarete dell’espansione territoriale e commerciale greca74. Una significativa contemporaneità (inizi del Vsec. a.C.) nell’apparizione di balsamari e pendenti è stata di recente segnalata per la regione del MarNero75; inoltre, come è stato giustamente sottolineato, in questo periodo «le coincidenze sono localizza-te solo nei siti fenici e punici»76.

Nella fase centrale della produzione, IV-III sec. a.C., che corrisponde cronologicamente alla dif-fusione dei balsamari del II gruppo mediterraneo, la documentazione più corposa di pendenti pro-viene dal Mediterraneo centrale e fa capo a Cartagine77, dove certamente sorsero fabbriche specia-lizzate nella realizzazione di tipi specifici di mascherine; né si può escludere che officine periferichefossero localizzate in altri centri punici. È questo il periodo in cui, come già detto, si suppone cheatéliers dell’Italia centro-meridionale, della Macedonia, di Alessandria siano deputati alla fabbrica-zione dei balsamari78.

Nella tarda età ellenistica si incrementa di nuovo la presenza di pendenti in area vicino-orientale,sicché le fabbriche attive in questo periodo sembrano doversi localizzare, oltre che a Rodi, in area egi-ziana e cipriota; è questo il periodo (II-I sec. a.C.) in cui alla tardiva produzione di manufatti realizzatisu asta si affianca una nuova serie di pendenti modellati con matrice doppia79 che trovano diffusione sianel Mediterraneo orientale che nelle aree occidentali interessate dalla cultura punica80; contemporanea-mente, il Mediterraneo orientale è pure protagonista della produzione dei tipi più tardi di balsamari sunucleo81.

73 SEEFRIED 1982, fig. 45.74 ARVEILLER - NENNA 2000, pp. 14-15; SCHLICH-NOLTE

2002 a, p. 45.75 GOROKHOSKAIA - TSIRKIN 2005.76 FERRARI 1996, p. 10.

77 SEEFRIED 1982, p. 40, fig. 45.78 SCHLICK-NOLTE 2002 a, p. 45.79 SPAER 2001, p. 162; 80 Cfr. SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.81 NENNA 1999, pp. 31-33.

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Per quanto attiene alla Sicilia, la documentazione nota si scagliona nell’arco cronologico compresotra il VI e il I sec. a.C. (cioè lo stesso coperto dalla serie dei balsamari), con una buona articolazione tipo-logica e con una distribuzione che interessa ambiti geografici e culturali diversi.

La serie siciliana di pendenti modellati su nucleo annovera tutti e sei i tipi principali individuati inambito mediterraneo da M. Seefried82; di questi, solo tre sono rappresentati nella Collezione: mancanoinfatti esemplari riconducibili al tipo A (maschera demoniaca), al tipo D (maschera femminile) e al tipoF, nel quale sono compresi pendenti di forme diverse.

Il n. 3883 rientra nel gruppo delle testine maschili con barba e capelli lisci (tipo B Seefried), nellavariante che presenta una benda ritorta poggiata sulla fronte84. Di forma pressoché cilindrica e di dimen-sioni ridotte rispetto agli altri, questo pendente presenta volto ovale, spesse sopracciglia e ampie arcateorbitali; trova un preciso confronto in un esemplare rinvenuto a Erice85, oltre che in reperti provenien-ti da Siria, Palestina, Cipro, Olbia sul Mar Nero, Cartagine, Sardegna e Abruzzo ed è databile tra il 500e il 400 a.C.86

Il tipo della testa maschile con barba e capelli ricci87, più tardo rispetto ai precedenti, comincia adapparire a Cartagine e nelle altre regioni del Mediterraneo88 a partire dalla metà del IV sec. a.C. ed è pre-sente nelle necropoli puniche fino al III. Si distingue dai tipi precedenti per le accresciute dimensioni edè caratterizzato dai folti riccioli spiraliformi applicati singolarmente sulla calotta cranica e sulla barba. Lesopracciglia ben evidenziate si congiungono sul naso a bulbo, i grandi occhi sono resi come nei tipi pre-cedenti; tre piccole protuberanze sui due lati del volto indicano orecchie e orecchini applicati sia al loboche al padiglione; la bocca è applicata sulla barba. Tre sono gli esemplari siciliani che propongono questaiconografia, uno dei quali appartenente alla Collezione; si tratta del n. 39, da Birgi89, che fa parte di unacollana registrata sul G.E. del Museo Whitaker di Mozia come proveniente da un sarcofago della necro-

82 Nonostante sia stata elaborata da chi scrive una seria-zione tipologica specifica per la Sicilia, si preferisce segui-re la successiva classificazione della Seefried che, dispo-nendo dell’intero repertorio della categoria in esame,supera i confini regionali e costituisce dunque la tipologiadi riferimento univocamente utilizzata nella letteraturaspecifica. Per una disamina completa dell’intero corpus deipendenti policromi rinvenuti in Sicilia cfr. SPANÒGIAMMELLARO c.d.s.

83 SPANÓ GIAMMELLARO 1979, n. 8, p. 33, fig. I, tav. I, 3.

84 SEEFRIED 1982, tipo B III, pp. 94-99.85 SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 86, pp. 36, 72, tav.

XXII.86 SCHLICK-NOLTE 2002 b, nn. P 20-25, pp. 189-191 con

ampia bibliografia.87 SEEFRIED 1982, tipo C III, pp. 105-116.88 SCHLICK-NOLTE 2002 b, nn. P 33-34, pp. 195-197 con

ampia bibliografia. 89 SPANÓ GIAMMELLARO 1979, n. 10, p. 35, fig. I, tav.

I,10.

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poli di Birgi, con la dicitura «ricostruita secondo l’illustrazione di una tale collana nella collezione delLouvre a Parigi, per cui cfr. Pierrot-Chipiez». Della stessa collana fanno parte anche il pendente n. 38, piùantico, e il pendente n. 40, che potrebbe essere coevo o di poco anteriore: non sappiamo se l’arbitrariaricostruzione del monile abbia comportato un’altrettanto arbitraria intrusione di pezzi spurii, ma se ipo-tizziamo che effettivamente i due pendenti facciano parte dello stesso contesto, quello più antico potreb-be costituire un esempio di “tesaurizzazione” di un “gioiello di famiglia”; un caso analogo sembra quellodi due pendenti da una tomba di Penna di Sant’Andrea, in Abruzzo, uno dei quali, con barba e capelli ariccioli è datato al IV sec. a.C., mentre l’altro è di un tipo assegnato al V sec.90 Gli altri due esemplari sici-liani del medesimo tipo provengono dalla contrada Predio Mattina a Gela91 e da Caltagirone92.

Quanto poi ai pendenti zoomorfi, a fronte di un’evidenza documentaria che indica nella testa d’arie-te il tipo più diffuso93, la Collezione conserva un esemplare che raffigura una testa di babbuino (n. 40).Il tipo della scimmia è documentato in Sicilia dalle due versioni note, quella in cui è rappresentata la solatesta e quella che riproduce l’intero animale94. Il nostro pendente, del primo tipo, ha forma cilindrica eriproduce i tratti di un volto con muso rincagnato in cui non si distingue la bocca, grandi occhi, cranioarrotondato; al di sopra degli occhi e ai lati del volto restano tracce di elementi applicati, ora perduti;l’anello per la sospensione, anch’esso mancante, doveva essere fissato sulla sommità del capo. Questotipo di pendente conta pochissime attestazioni, tanto da non essere considerato nella classificazioneSeefried che invece censisce 15 pendenti riproducenti l’intero animale. Genericamente assimilabili alpendente siciliano sono due esemplari, conservati nel Museo archeologico di Cagliari95 e al BritishMuseum96, che comunque differiscono dal nostro per la forma più tondeggiante del cranio e per ledimensioni ridotte. Il pendente siciliano proviene da Birgi ed è associato, nell’esposizione attuale, con idue pendenti nn. 38 e 39 che farebbero parte della stessa collana: abbiamo già detto che i pendenti si

90 SCHLICK-NOLTE 2002 b, pp. 196-197 ritiene che lacontestualità di rinvenimento dei pendenti dovrebbeindurre a rivedere la cronologia del tipo di pendente conbarba e capelli a riccioli, che potrebbe risalire agli inizi delIV sec. a.C.

91 SPANÓ GIAMMELLARO 2004 a, n. 87, pp. 37, 72, tav.XXII.

92 AMATA 1989.93 In Sicilia ne sono stati censiti sette esemplari, due dei

quali provenienti dalla necropoli di Birgi e conservati pressoil Museo Archeologico Regionale A. Salinas di Palermo. Cfr.SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.

94 L’esemplare, di provenienza sconosciuta, è conservatopresso il Museo Archeologico regionale P. Orsi di Siracusa.Cfr. SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.

95 UBERTI 1993, n. 90, pp. 44, 101, tav. XII.96 TATTON-BROWN 1981, n. 444, p. 153, tav. XXIX,

fig. 16.

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datano rispettivamente al V sec. a.C. e al IV-III e ancora al V è forse da datare la testa di scimmia se,come sembra verosimile, è coeva ai pendenti che raffigurano l’intero animale.

Va infine segnalato un pendente di forma circolare con quattro protuberanze lungo la circonferen-za e un umbone centrale (n. 41) per il quale una nuova, suggestiva interpretazione si deve aP. Bartoloni97. Il manufatto, secondo lo studioso, riprodurrebbe, in forma miniaturistica, una “fiasca dapellegrino” e costituirebbe la trasposizione in vetro di analoghi pendenti di ambiente nuragico, a con-ferma di contatti tra l’isola siciliana e la Sardegna.

Il pendente potrebbe, in alternativa, essere interpretato come la rappresentazione stilizzata di una tar-taruga: in questo caso, la divergenza delle due protuberanze superiori rispetto a quelle inferiori potrebbeessere letto come un tentativo di resa naturalistica della posizione delle zampe dell’animale, mentre i centriconcentrici e l’“umbone” centrale potrebbero voler rendere prospetticamente la convessità del carapace98.

Pendenti monocromi

Diversi da quelli fin qui illustrati, sia dal punto di vista tecnico, sia per lo stile e l’iconografia propo-sta, sono due pendenti (nn. 42 e 43) di vetro blu traslucido, monocromi, configurati a testina femminilebifronte. Realizzati su un’asta, solitamente piuttosto sottile (come si evidenzia dal foro residuo, generalmen-te di altezza corrispondente a quella del collo), e con l’utilizzo di due stampi, queste testine presentano duefacce di solito molto simili, ma non identiche, quasi mai perfettamente allineate; i volti sono ovali, con i trat-ti somatici ben evidenziati, incorniciati da una ricca acconciatura a riccioli che si dispongono ordinatamen-te sulla fronte formando un motivo a fiore e ricadono poi ai lati del collo, spesso adorno di una collana;negli esemplari noti del tipo99 è talvolta presente un globetto al centro della fronte. L’appiccagnolo è appli-cato alla sommità di una delle facce, ma alcuni esemplari, come il n. 43, ne sono privi sicché si è ipotizza-to che potessero fungere da testa di spillone100. Generalmente il punto di sutura della due facce è eviden-ziato da un bordo largo 2-3 mm prodotto dal vetro pressato tra le due valve dello stampo.

97 Ringrazio l’amico Piero Bartoloni per avermi fornitoquesti dati interpretativi prima della loro edizione: cfr.BARTOLONI 2005, p. 571, fig. 32.

98 Non si dimentichi che la tartaruga è ben nota nel mondopunico; se ne sono rinvenuti resti nel tofet di Mozia: cfr. CIASCA-

DI SALVO-CASTELLINO-DI PATTI 1996, pp. 329, 345; sono atte-state inoltre raffigurazioni fittili miniaturistiche dell’animale:cfr., per esempio, ALLEGRO 1998, n. T11, pp. 345, 347.

99 SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.100 SPAER 2001, p. 161.

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L’iconografia di questi pendenti riprende modelli attestati in epoca anteriore sia nella produzione dimaschere e protomi fittili sia nella gioielleria; non è escluso anzi che le matrici adoperate derivino daquelle usate per i pendenti in metallo a soggetto analogo.

La presenza di pendenti di questo tipo, oltre che in Oriente, in molti centri di tradizione fenicia,soprattutto in Occidente101, con un’alta concentrazione a Cartagine102, ha generato l’opinione che lametropoli africana ne fosse il principale luogo di produzione; ma secondo un’altra ipotesi, questi manu-fatti potrebbero essere attribuiti ad atéliers del Mediterraneo orientale attivi tra il IV e il III sec. a.C. e,più specificamente, ad Alessandria103. Quanto alla cronologia, gli esemplari rinvenuti a Cartagine e altro-ve sembrano doversi assegnare al IV-III sec. a.C.104, grazie anche al confronto con alcuni anelli d’oro car-taginesi che presentano la stessa iconografia105: una datazione che può essere accettata anche per i nostripendenti.

Il n. 42 proviene con certezza da Birgi e faceva parte della collana n. 52 che si può datare al IV sec.a.C.; per il n. 43 la stessa provenienza sembra assai verosimile. Quest’ultimo presenta una benda sullafronte con una piccola cavità circolare al centro e si discosta dagli altri esemplari siciliani per lo schemapiù chiaramente egittizzante cui è improntato, oltre che per le dimensioni ridotte e potrebbe essere inter-pretato, come già detto, come testa di spillone.

Ancora da Birgi proviene un pendente color miele scuro (n. 44), realizzato a stampo, di forma pri-smatica con una estremità appuntita. Il pendente, che riprende un tipo amuletico ben noto106, con atte-stazioni - o meglio trasposizioni107 - anche nella gioielleria in metallo prezioso o in pietra semipreziosa,trova puntuali riscontri in analoghi manufatti nord-africani108 e sardi109.

101 UBERTI 1993, nn. 74-76, pp. 42, 99-100, tav. XI (conriferimento agli altri esemplari rinvenuti in Sardegna);FERNÁNDEZ 1992, vol. II, nn. 81, 447, pp. 156-157, figg. 42,99, tavv. XXXVII, LXXXIV.

102 HAEVERNICK 1968.103 UBERTI 1993, p. 80.104 Una testina dello stesso tipo, con un solo volto raffigu-

rato, proviene da una tomba di Ibiza dell’ultimo quarto delV sec. a.C., mentre una bifronte manca di un contesto data-bile: cfr. FERNANDEZ 1992, pp. 156-157.

105 QUILLARD 1987, nn. 285-288, pp. 53-55, 211-213106 L’amuleto viene interpretato come obelisco, cippo,

simbolo fallico: cfr. per esempio TORE 1972; ACQUARO 1975,n. C6, p. 75, tav. XXVII.

107 UBERTI 1975, n. D 23, pp. 91, 107, tav. XXXII;QUILLARD 1987, pp. 86-88 con ampia bibliografia di riferi-mento agli esemplari rinvenuti nel Mediterraneo occidentalefenicio e non; BARTOLONI 1990, nn. 128-129.

108 Per alcuni esemplari da Cartagine, cfr. GAUCKLER1915, pp. 21, 50, 56, tavv. XXXIX, XLVIII, CXXXIX, CXL.Un esemplare in vetro blu fa parte di una collana provenien-te da Utica, datata al VI sec. a.C.: cfr. BEN TAHER 2003.

109 BARTOLONI 1990, n. 130; BARNETT-MENDLESON 1987,nn. 6/30, p. 49, tav. 84; 13/17, pp. 112-113, tav. 176.

I vetri preromani

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“Collane” ed elementi di collane

Non è possibile elaborare una rassegna organica delle “collane” conservate nella Collezione: essecostituiscono, nella stragrande maggioranza dei casi, il risultato della combinazione di diversi elementi,spesso eterogenei per tipo, per cronologia, per contesto di pertinenza.

Valga, uno per tutti, l’esempio delle collane nn. 47 e 51 che, come già detto, sono manifestamentefrutto di arbitrarie ricostruzioni110.

Conviene, dunque, passare in rassegna non tanto le “collane” rinvenute in ciascun contesto, quan-to, piuttosto, i tipi cui afferiscono i singoli elementi che le compongono, nel loro complesso.

I vaghi più comuni sono quelli anulari e quelli di forma sferica, più o meno regolare, con superficieliscia o baccellata111, monocromi o ornati da una o più semplici linee che ne sottolineano il diametro112.Prevale comunque il tipo a “occhi” nelle sue varietà di forme, di colori e di organizzazione dello sche-ma decorativo: la forma, infatti, può essere anulare, globulare, globulare schiacciata e si può osservare inalcuni casi un vago “doppio” costituito dalla fusione, forse preterintenzionale, di due vaghi uguali; icolori prevalenti per la superficie sono il blu, il turchese, il giallo, mentre la decorazione è generalmen-te eseguita in bianco e blu, anche se non mancano esemplari realizzati con l’uso del giallo o del biancoe marrone. Quanto al numero di “occhi” impressi, esso varia in relazione alle dimensioni del vago, cosìcome varia il numero di cerchielli che compongono l’ “occhio” stesso.

Nella Collezione sono attestati vaghi con tre o quattro “occhi” disposti su una sola fila, perpendi-colarmente al foro passante, ma più numerosi sono quelli con “occhi” disposti su due file; generalmen-te, i vaghi di questo tipo presentano, dunque, quattro paia di occhi, ma non manca la variante con trepaia di “occhi” associati ad uno, più grande, isolato. Più rari, ma documentati, sono vaghi con cinque“occhi”, tre su una fila, due sull’altra.

La frequenza di rinvenimento nei più disparati contesti geografici, culturali, cronologici consente diaffermare che il tipo a “occhi” è il vago decorato di gran lunga più comune nel mondo antico e gli studispecifici condotti da G. Eisen113, Th.E. Haevernick114, N. Venclova115, K. Kunter116, E. Ruano Ruiz117,

110 Cfr. p. 00000111 RUANO RUIZ 1996, pp. 63- 65.112 RUANO RUIZ 1996, p. 56.113 EISEN 1916.

114 HAEVERNICK 1981.115 VENCLOVA 1983.116 KUNTER 1995.117 RUANO RUIZ 1996.

A. Spanò Giammellaro

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M. Spaer118, attraverso sistematici censimenti di alcuni repertori regionali, confermano come esso, notogià nel XIV sec. in Mesopotamia e in Egitto, conosca, nel corso del I millennio, una diffusione capillaree ad ampio raggio, non solo nelle regioni rivierasche del bacino mediterraneo, ma anche in areedell’Europa interna, in Russia meridionale e perfino in Cina119.

È poi documentato dal frammento n. 67 il tipo di vago cilindrico decorato solitamente con una opiù file di occhi rilevati, nella zona mediana; una o più file parallele di globetti, di colore contrastanterispetto al fondo, applicati a rilievo, sottolineano inoltre gli orifizi del largo foro passante. Questo tipodi vago, generalmente di grandi dimensioni, condivide con quelli prima illustrati un’ampia dispersionemediterranea, con una discreta attestazione nelle aree di cultura punica, da Cartagine alla Sardegna, allapenisola iberica, alle Baleari120; la sua consistente presenza nella regione del Mar Nero ha fatto ipotizza-re l’esistenza, nella zona, di officine specializzate che avrebbero affiancato i centri di produzione vicino-orientali e cartaginesi. Posto in connessione con i vaghi configurati a volto umano121, il tipo viene data-to tra il V e il II sec. a.C.

Assimilabile al tipo definito da Th. E. Haevernick “Filottranoperlen”122, abbastanza noto in conte-sti del Mediterraneo centrale123, è il vago n. 68, rinvenuto a Mozia, biconico, con il diametro massimosottolineato da due linee bianche inframmezzate da una fascetta gialla e grossi punti gialli e bianchi alter-nati che sottolineano gli orifizi del foro passante.

Tra i vaghi cilindrici, oltre ai numerosi tubetti monocromi di piccole dimensioni, alcuni esemplaridi medio modulo presentano una decorazione piumata irregolare124. Sono ben attestati poi i lunghi vaghicilindrici o fusiformi (nn. 69-73) a fondo blu scurissimo o nerastro variegato di bianco, nella zona media-na, con effetto “marmorizzato”, e linee bianche che sottolineano gli orifizi del foro passante: assai comu-ni nei contesti funerari di cultura punica125, questi vaghi cominciano a diffondersi a partire dalla fine del

118 SPAER 2001. 119 MARKOE 2000. 120 Cfr. per esempio VENCLOVA 1983, pp. 12-13, figg. 2,3;

4,1; 4,2; UBERTI 1988, ill. a p. 489; UBERTI 1993, nn. 107-108,p. 64; KUNTER 1995, tavv. 4-7, 19; STERN - SCHLICK-NOLTE1994, n. 39, p. 195; RUANO RUIZ 1996, pp. 40-41, 59-61;SPAER 2001, pp. 86-87; SCHLICK-NOLTE 2002 b, nn. P53-P54, pp. 212-213; CARRERAS-VIVES 2003, n. 42, p. 49. Cfr.inoltre SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s.

121 SCHLICK-NOLTE 2002 b, pp. 212-213.

122 HAEVERNICK 1970.123 Cfr., per esempio, UBERTI 1993, nn. 100, 104, pp. 102-

103, tavv. XIII-XIV; SCHLICK-NOLTE 2002 b, n. P55, p. 214.124 RUANO RUIZ 1996, p. 63; NENNA 1999, nn. 183-188, p.

144, tav. 54: SPAER 2001, pp. 100-103; CARRERAS - VIVES2003, n. 27, p. 42.

125 GAUCKLER 1915, pp. 18-19, tav. CXXVI; UBERTI 1993,nn. 94-98, 109-111, 113, pp. 30, 44, 64, tavv. XII-XIII, XV-XVI; RUANO RUIZ 1996, pp. 65-66; COSTA - FERNANDEZ2004, n. 47, p. 281.

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AVVERTENZA AL CATALOGO

I materiali sono raggruppati nell’ambito della sequenza tipologica e cronologica presentata nel testo; vengono primapresentati gli esemplari integri, poi i frammenti. Le schede comprendono, nell’ordine, i seguenti dati essenziali: luogo di con-servazione, inventari, provenienza, dimensioni espresse in centimetri, stato di conservazione, tecnica e materiale, descrizione,eventuali tipologie di riferimento, datazione, bibliografia relativa alla più recente edizione scientifica.

Per le collane che comprendono elementi di materiali diversi, vengono segnalate soltanto le dimensioni dei vaghi vitrei. Nell’indicazione del materiale, il primo colore riportato è quello di base per la realizzazione sia dei balsamari che dei

pendenti.La terminologia adottata nella descrizione dei reperti è quella di FERRARI ET ALII 1998.I tipi indicati fanno riferimento alle seriazioni elaborate da GROSE 1989 e HARDEN 1981 per i balsamari, da SPANÒ

GIAMMELLARO 1979, SEEFRIED 1982 e UBERTI 1993 per i pendenti.

VI sec. a.C. e restano in uso almeno fino al II126. Meno numerosi sono gli elementi di collana di formabiconica o lenticolare (n. 47), quelli ellissoidali (n. 76), quelli poliedrici: tale tipo, che abbraccia anch’es-so un ampio arco cronologico, perdura pressoché invariato fino alla piena età romana127. Infine un solovago (n. 53) esemplifica il tipo “a fusaiola” conica128.

126 SPAER 2001, pp. 100-101.127 RUANO RUIZ 1996, pp. 67-68.128 Il tipo trova un preciso confronto siciliano in un esem-

plare da Palermo: cfr. SPANÒ GIAMMELLARO c.d.s. Per le atte-

stazioni in altre regioni del Mediterraneo cfr. AUBET –MARTÍN RUIZ 1995, p. 151; RUANO RUIZ 1997, pp. 23-26;CAMPANELLA 2000, n. 206, pp. 122-123, tav. XXXVIII, a;CARRERAS - VIVES 2003, n. 24, p. 39.

A. Spanò Giammellaro

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BALSAMARI

I Gruppo mediterraneo

1. Alabastron (Tav. I)N.I. 803 (N.I.W. 2069).Provenienza sconosciuta. H. 13,2; ø 3,6; ø bocca 1,8.

Frammentario; mancano la bocca e un’ansa; fondoscheggiato.Modellazione su nucleo. Vetro blu, bianco, turchese.Breve collo cilindrico, corpo cilindrico rastrematoverso l’alto, anse ad “S” con occhiello; nella zona supe-riore del corpo, fra le anse, decorazione a filamentibianchi delimitata in basso da una fascetta turchese;nella zona centrale, motivo a zig-zag bianco, marginatoin alto e in basso da fascette turchese; nella zona infe-riore, filamenti bianchi.Grose classe I:B; forma I:4.Fine VI - V sec. a.C.WHITAKER 1921, p. 331, fig. 107.

2. Alabastron (Tav. I)N.I. 802 (N.I.W. 2626).Birgi, necropoli (?).H. 11,3; ø 3,3; ø bocca 2,3.

Ricomposto da due frammenti; bocca in gran parte direstauro; anse lacunose nella parte superiore.Modellazione su nucleo. Vetro blu scuro e bianco.Bocca con ampio orlo imbutiforme che si innesta diret-tamente sul corpo ovoidale allungato; anse ad “S” conocchiello; su tutta la superficie, motivo a spina di pescebianco, marginato in basso da una fascetta dello stessocolore, scandito da pseudo-baccellature. Grose classe I:B; forma I:7.Fine VI - V sec. a.C.

3. Alabastron (Tav. I)N.I. 801.Birgi, necropoli (?).H. 9,1; ø 3,1; ø bocca 2,7.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, brevecollo cilindrico percorso da linee gialle, corpo ovoida-le allungato, decorato in alto da linee gialle e nella zonacentrale da un motivo a zig-zag giallo e turchese, conpseudo-baccellature, delimitato in alto da una lineaturchese e in basso da linee turchese e gialle; anse ad“S” con occhiello.Grose classe I:B; forma I:5.Primo quarto V sec. a. C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 40, pp. 31, 62, tav. X (dove è erro-neamente indicato con il n. 44).

4. Frammento di alabastron (Tav. I)N.I. 821.Birgi, necropoli (?).H. 4,00; largh. 2,1.

Modellazione su nucleo. Vetro blu.Frammento pertinente al settore mediano del corpo ovoi-dale allungato, decorato con un motivo a zig-zag giallo eturchese, con pseudo-baccellature, delimitato in alto dadue linee gialle e in basso da due linee, gialla e turchese.Grose classe I:B; forma I:3A.Prima metà V sec. a.C.

5. Frammento di alabastron (Tav. I)N.I. 2665.Birgi, necropoli (?).H. 3,3; largh. 1,2.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, vetro giallo e turchese.Frammento di corpo e ansa ad “S” con occhiello. Nellazona di attacco dell’ansa, linee gialle e turchese.VI-V sec. a.C.

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6. Amphoriskos (Tav. II)N.I. 806.Birgi, necropoli.H. 7,7; ø 5,7; ø bocca 2, 2.

Manca un’ansa; sulla superficie, lievi abrasioni.Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in turchese, brevecollo cilindrico; corpo ovoidale decorato nella zonacentrale, con un motivo a zig-zag giallo e turchese conpseudo-baccellature, delimitato in alto da linee gialle ein basso da linee gialle e turchese; base a protuberanzaconica, anse verticali a nastro. GROSE classe I:B; forma: I:2. Primo quarto V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 41, pp. 32, 63, tav. X.

7. Amphoriskos (Tav. II)N.I. 816.Birgi, necropoli.H. 8,1; ø 5,3; ø bocca 3,00.

Superficie alterata; lacune diffuse, alcune delle qualireintegrate con frammenti vitrei eterogenei e ceralacca.Modellazione su nucleo. Vetro blu e giallo.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, lungocollo cilindrico, corpo ovoidale decorato nella zonamediana con un motivo a zig-zag giallo marginato inalto e in basso da linee gialle; base a protuberanza coni-ca con filettatura gialla, anse verticali a nastro.Grose classe I:B; forma I:2. V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 43, pp. 32, 63, tav. XI.

8. Amphoriskos (Tav. II)N.I. 805.Birgi, necropoli.H. 7,3; ø 4,4; ø bocca 2,5.

Mancano due frr. della bocca; superficie corrosa; deco-razione in parte scomparsa.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, collocilindrico; corpo ovoidale decorato nella zona centralecon un motivo a zig-zag a colori alternati giallo e tur-chese, delimitato in alto e in basso da linee gialle; basea protuberanza conica, anse verticali a “occhiello”.Grose classe I:B; forma I:2. Intorno alla metà del V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 44, pp. 32, 63, tav. XI.

9. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 835.Mozia o Birgi, necropoli.H. 2, 8; ø bocca 2,1.

Modellazione su nucleo. Vetro blu e giallo.Frammento pertinente alla bocca con orlo imbutifor-me filettato in giallo, al collo e ad un tratto della spalladecorata con linee gialle. V sec. a.C.

10. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 831.Mozia o Birgi, necropoli.H. 2,3; ø bocca 2,2.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, turchese e giallo.Frammento pertinente alla bocca con orlo imbutifor-me filettato in giallo e turchese, al collo e ad un trattodella spalla. V sec. a.C.

11. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 832.Mozia o Birgi, necropoli.H. 1,9; ø bocca 2,9.

Modellazione su nucleo. Vetro blu e giallo.Frammento pertinente alla bocca con orlo imbutifor-me filettato in giallo, al collo e all’attacco delle anse.V sec. a.C.

A. Spanò Giammellaro

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12. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 823.Mozia o Birgi, necropoli.H. 2,2; largh. 2,8.

Modellazione su nucleo. Vetro blu e giallo.Frammento pertinente alla bocca con orlo imbutifor-me filettato in giallo, al collo cilindrico e alle anse aocchiello.V sec. a.C.

13. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 834.Mozia o Birgi, necropoli.ø bocca 2,8.

Modellazione su nucleo. Vetro blu e turchese.Frammento pertinente alla bocca con orlo imbutifor-me filettato in turchese.V sec. a.C.

14. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 836.Mozia o Birgi, necropoli.ø bocca 2,2.

Modellazione su nucleo. Vetro blu e turchese.Frammento pertinente alla bocca con orlo imbutifor-me filettato in turchese.V sec. a.C.

15. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 830.Mozia o Birgi, necropoli.H. 3,1; largh. 2,8.

Modellazione su nucleo. Vetro blu e giallo.Frammento pertinente ad un tratto della spalla, decora-ta con linee gialle, al collo e ad un’ansa verticale anastro.V sec. a.C.

16. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 826.Mozia o Birgi, necropoli.H. 2,6; largh. 3,1.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, bianco.Frammento pertinente a parte della spalla e della zonasuperiore del corpo con decorazione a zig-zag di colo-re giallo e bianco, marginata in alto da una fascetta gial-la che si allarga in una macchia di colore in corrispon-denza di uno dei punti di frattura.V sec. a.C.

17. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 825.Mozia o Birgi, necropoli.H. 2,7; largh. 2,4.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Frammento pertinente alla zona mediana del corpocon decorazione a zig-zag di colore turchese e giallo,marginata in alto e in basso da linee gialle.V sec. a.C.

18. Frammento di amphoriskos (Tav. III)N.I. 820.Mozia o Birgi, necropoli.H. 3,5; largh. 2,6.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Frammento pertinente alla zona inferiore del corpocon decorazione a zig-zag di colore turchese e giallo,marginata in basso da due linee degli stessi colori.V sec. a.C.

19. Aryballos (Tav. IV)N.I. 810 (N.I.W. 2625).Birgi, necropoli (?)H. 5,9; ø 4,5; ø bocca 2,4.

Superficie alterata.

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Modellazione su nucleo. Vetro blu chiaro, giallo, tur-chese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, collocilindrico; corpo globulare con decorazione a zig-zagdi colore giallo e turchese nella zona mediana, margi-nata in alto da linee gialle; sottili anse ad “S” conocchiello.Grose classe I:B; forma I:2.V sec. a.C.WHITAKER 1921, p. 331, fig. 107.

20. Aryballos (Tav. IV)N.I. 808.Birgi, necropoli.H. 6,5; ø 5; ø bocca 2,9.

Lacune alla bocca e sul corpo.Modellazione su nucleo. Vetro blu giallo, turchese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, collocilindrico, corpo globulare lievemente appiattito, deco-rato nella zona mediana con un motivo a zig-zag gialloe turchese marginato in alto e in basso da linee gialle;anse ad “S” con occhiello.Grose classe I:B; forma I:2. Prima metà del V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 45, pp. 32, 63, tav. XI.

21. Aryballos (Tav. IV)N.I. 807.Birgi, necropoli.H. 5,4; ø 4,1; ø bocca 2,8.

Scheggiature sulla bocca, colori abrasi.Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, breve collocilindrico con filamenti gialli, corpo globulare decoratonella zona mediana con un motivo a zig-zag giallo e tur-chese marginato in alto da linee gialle, in basso da lineegialle e turchese; anse ad “S” con occhiello.

Grose classe I:B; forma I:2. Intorno alla metà del V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 46, pp. 32, 64, tav. XII.

22. Aryballos (Tav. IV)N.I. 809.

Birgi, necropoli.

H. 4,6; ø 3,3; ø bocca 2,4.

Manca un frammento dell’orlo; delle anse resta soltan-to un piccolo apice. Modellazione su nucleo. Vetro azzurro carico, giallo,turchese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in turchese,breve collo cilindrico con linee gialle; corpo ovoida-le decorato nella zona mediana con un motivo a zig-zag giallo e turchese, marginato in alto da linee gial-le e in basso da linee turchese; anse a “S” conocchiello. Grose classe I:B; forma I:2. V sec. a.C.

SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 47, pp. 32, 64, tav. XII.

23. Aryballos (Tav. IV)N.I. 829.

Birgi. necropoli (?)

Fr. corpo: H. 4,2; ø 4,9; fr. bocca: ø 2,8.

Frammentario. Superficie alterata.Modellazione su nucleo. Vetro blu chiaro, giallo, tur-chese.Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo, tozzocollo cilindrico; corpo globulare con decorazione a zig-zag di colore giallo e turchese nella zona mediana, mar-ginata in basso da linee turchese; anse ad “S” conocchiello.Grose classe I:B; forma I:2.V sec. a.C.

A. Spanò Giammellaro

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24. Aryballos (Tav. IV)N.I. 819.Birgi, necropoli (?).H. 3,4; largh. 2,8.

Frammentario.Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo, turchese.Corpo globulare decorato nella zona mediana con unmotivo a zig-zag giallo e turchese; nella zona inferioredel corpo, una linea gialla e una turchese; anse ad “S”con occhiello.Grose classe I:B; forma I:1. V sec. a.C.

25. Frammento di aryballos (Tav. IV)N.I. 833.Mozia o Birgi, necropoli.H. 2,2; ø bocca 3,1.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, turchese e giallo.Frammento pertinente alla bocca filettata in turchese,al collo con tracce di linee gialle e ad un breve trattodella spalla.V sec. a.C.

26. Frammento di oinochoe (Tav. IV)N.I. 824.Mozia o Birgi, necropoli.Lungh. 6,00.

Modellazione su nucleo. Vetro blu, turchese e giallo.Frammento di ansa verticale a nastro, soprelevata e di unapiccolissima porzione di corpo, con decorazione gialla eturchese; alla base dell’ansa, bottoncino giallo applicato.Grose classe I:B; forma I:2 A.V sec. a.C.

27. Alabastron (Tav. V) N.I. 811.Lilibeo (?).H. 10,6; ø 6,2; ø bocca 6, 10.

Modellazione su nucleo. Vetro blu chiaro.Bocca con ampio orlo a disco orizzontale, collo cilin-drico; corpo campanato, interamente coperto da unadecorazione piumata bianca; fondo piano, piccole ansenastriformi con occhiello. Grose classe II:A; forma II:3. IV - III sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1990 a, p. 69, tav. II, 3.

28. Oinochoe (Tav. V)N.I. 814 (N.I.W. 2619).Birgi, necropoli.H. 9,4; ø 5,4.

Lievi abrasioni.Modellazione su nucleo. Vetro blu scurissimo, bianco,giallo.Bocca con orlo trilobato filettato in giallo, collo cilin-drico filettato in giallo, corpo ovoidale interamentedecorato con motivo piumato bianco e giallo delimi-tato in alto da una linea bianca; bassa e ampia base acuscinetto filettata in giallo, ansa verticale a nastrocostolata.Grose classe II:A; forma II:1. IV sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1990 a, p. 68, tav. II, 1.

29. Oinochoe (Tav. V)N.I. 812.Birgi, necropoli.H. 7,3; ø 5,4.

Mancano il collo, la bocca e l’ansa; decorazione in granparte scomparsa.Modellazione su nucleo. Vetro nerastro, bianco, giallo.Corpo ovoidale, ampia base a cuscinetto filettata ingiallo; decorazione a zig-zag di colore bianco e giallo,marginata in alto e in basso da filamenti gialli di cuirestano solo i solchi per l’inserzione nella superficie.

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Grose classe II:A; forma II:3. Metà IV – inizi III a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 49, pp. 33, 64, tav. XII.

30. Frammenti di oinochoe (Tav. V)N.I. 822.Birgi, necropoli. a) H. 3,2; largh, 3,2; b) H. 3,1; largh. 3,2.

Distorti per combustione.Modellazione su nucleo. Vetro blu e bianco.Frammenti pertinenti alla bocca e alla zona inferioredel corpo con decorazione a linee bianche.Grose classe II:A; forma II:3.Metà IV – inizi III a.C.

31. Oinochoe (Tav. V)N.I. 813.Birgi, necropoli.H. 4,2; ø 3,7; bocca 2,00 x 2,1.

Parzialmente ricomposta da più frammenti.Modellazione su nucleo. Vetro blu e giallo.Bocca con orlo trilobato filettato in giallo, corto collocilindrico filettato in giallo, corpo ovoidale con sottili fila-menti gialli paralleli applicati a rilievo; bassa e ampia basea cuscinetto con filamenti gialli, ansa verticale a nastro.Harden gruppo II, forma 6; Grose classe II: A; formaII:8. Metà IV - inizi III sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 48, pp. 33, 64, tav. XII.

32. Frammenti di oinochoe (Tav. V)N.I. 827.Lilibeo, necropoli (?).a) bocca 1,8 x 1,8.b) piede largh. 1,7

Modellazione su nucleo. Vetro blu chiaro e giallochiaro.Frammenti pertinenti alla bocca trilobata, al collo,all’ansa verticale a nastro, soprelevata e a piccola partedella spalla, al piede discoidale; la decorazione, costi-tuita da sottili filamenti gialli applicati a rilievo, sottoli-nea l’orlo della bocca, il collo e la costa del piede. Harden gruppo II, forma 6; Grose classe II: A; formaII:8. Metà IV- inizi III sec. a.C.

33. Unguentario (Tav. VI)N.I. 817.Lilibeo (?).H. 11,1; ø 5,2; ø bocca 2,2; ø piede 2,2.

Ricomposto da più frammenti. Superficie corrosa.Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo e bianco. Bocca con orlo a disco orizzontale; alto collo cilindricocon linee bianche, spalle oblique; corpo ovoidaleappuntito decorato con motivo a zig-zag giallo e bian-co, scandito da pseudo-baccellature, marginato in altoe in basso da linee gialle; alto stelo cilindrico che siallarga verso la base a disco, presine configurate a discoappiattito.Grose classe II:G; forma II:1. III – II sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 51, pp. 33, 65, tav. XIII.

34. Unguentario (Tav. VI)N.I. 815 (N.I.W. 2623).Lilibeo, necropoli (?).H. 8,4; ø 4,00; ø bocca 2,1; ø piede 2,4.

Manca un frammento di un’ansa.Modellazione su nucleo. Vetro blu scuro, giallo limone,turchese.Bocca con orlo a disco orizzontale; alto collo cilindricodecorato con linee turchese; spalle oblique con linee

A. Spanò Giammellaro

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gialle; corpo ovoidale decorato nella zona mediana conun motivo a zig-zag giallo e turchese, scandito da pseu-do-baccellature, marginato in basso da linee gialle;stelo cilindrico che si allarga verso la base a disco; pre-sine a occhiello impostate obliquamente sulle spalle.Grose classe II:G; forma II:1. III – II sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1990 a, p. 69, tav. II, 2.

35. Unguentario (Tav. VI)N.I. 816 (N.I.W. 2635).Birgi, necropoli (?).H. 6,4; ø 4,00; ø bocca 1,9.

Mancano il piede e un frammento della bocca; superfi-cie alterata e corrosa; decorazione in parte scrostata.Modellazione su nucleo. Vetro blu, giallo e turchese.Bocca con orlo a disco orizzontale; alto collo cilindri-co; spalle oblique con linee gialle e turchese; corpoovoidale decorato nella zona mediana con un motivoa zig-zag giallo e turchese, scandito da pseudo-baccel-lature, marginato in basso da linee gialle; presine abottoncino appiattito impostate obliquamente sullespalle.Grose classe II:G; forma II:1. III – II sec. a.C.

36. Frammenti di unguentario (Tav. VI)N.I.W. 2950.Lilibeo, necropoli (?).a) H. 2,7; largh. 3,00;b) H. 2,5; largh. 1,6.

Modellazione su nucleo. Vetro blu scuro e giallo.Frammenti del corpo ovoidale decorato nella zonamediana con un motivo a zig-zag giallo, scandito dapseudo-baccellature.Grose classe II:G; forma II:2. III - II sec. a.C.

37. Frammenti di unguentario (Tav. VI)N.I.W. 2950.Lilibeo, necropoli (?).H. 1,8/ 3,5; largh. 1,4/3,00; ø collo 1,8.

Modellazione su nucleo. Vetro blu nerastro, bianco egiallo.Frammenti pertinenti al lungo collo cilindrico, allazona mediana e inferiore del corpo ovoidale decoratonella zona mediana con un motivo a festoni rovesciatibianchi e gialli, al piede a bottoncino.Grose classe II:G; forma II:3. III - II sec. a.C.

PENDENTI

Pendenti policromi

38. Pendente a testa maschile (Tavv. VII, XV)N.I. 1832. Birgi, necropoli.H. 1,7; ø 1,2; spess. 1,1.

Un’ampia lacuna interessa il naso, l’occhio sinistro e laparte inferiore del volto; mancano l’anello per lasospensione e gli occhi; mal conservati le orecchie e gliorecchini; qualche scheggiatura.Modellazione su nucleo. Vetro nero e giallo. Volto ovale giallo con barba e capelli lisci neri; bendaritorta gialla e nera; spesse sopracciglie nere che sidipartono dalle orecchie per congiungersi sul naso;ampie arcate orbitali nere; ai lati del volto, tre piccoleprotuberanze gialle ai lati del volto. Anello per lasospensione applicato sulla testa, perpendicolarmenteal volto. Fa parte della Collana n. 47.

I vetri preromani

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Spanò Giammellaro, tipo C; Seefried tipo B III;Uberti, tipo B,b. V – IV sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1979, n. 8, p. 33, fig. I, tav. I, III.

39. Pendente a testa maschile (Tavv. VII, XV)N.I. 1814.Necropoli di Birgi.H. 4,4; largh. 5,5; spess. 2,1.

Mancano alcuni riccioli dei capelli, le orecchie, lesopracciglia; della barba resta un solo boccolo intero etracce degli altri.Modellazione su nucleo. Vetro blu, turchese, nocciolachiaro, vetro bianco.Volto ovale turchese con barba e capelli a riccioli colornocciola chiaro su base blu, sopracciglia bianche, benevidenziate che si congiungono alla sommità del nasoturchese a bulbo, occhi con contorno e pupille blu,cornea bianca; labbra bianche carnose; tre piccole pro-tuberanze ai lati del volto riproducono le orecchie gial-le e gli orecchini bianchi. Anello per la sospensione bluapplicato sulla testa, perpendicolarmente al volto.Fa parte della Collana n. 47. Spanò Giammellaro, tipo D; Seefried, tipo C III;Uberti, tipo B,d. Fine V - IV sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1979, p. 35, n. 10, fig. I, tavv. I, IV.

40. Pendente a testa di babbuino (Tavv. VII, XV)N.I. 1833.Birgi, necropoli. H. 2,6; largh. 1,6; spess. 1,7.

Mancano il bulbo dell’occhio destro, le orecchie el’anello per la sospensione; tracce di elementi applicatisulla fronte ai lati del volto.Modellazione su asta. Vetro nerastro e bianco.Volto caratterizzato dalla bocca notevolmente incavata

e dal mento alquanto pronunziato; grandi orbite ocula-ri bianche; tracce di elementi applicati ai lati del volto,forse sopracciglia e orecchie.Fa parte della Collana n. 47.Spanò Giammellaro, tipo H; Seefried, tipo E V; Uberti,tipo D,c. V – fine IV sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1979, n. 24, p. 39, fig. IV, tav. VII.

41. Pendente (Tavv. VII, XV)N.I. 6093 (N.I.W. 2261).Birgi, necropoli.ø 4,4; spess. 2,2.

Discreto; manca metà dell’anello per la sospensione;una lacuna, qualche scheggiatura e piccoli fori di cor-rosione; i colori hanno perduto la lucentezza.Modellazione a stampo; vetro blu, bianco e giallo.Pendente a medaglione circolare blu con quattro pro-tuberanze gialle lungo la circonferenza; al centro, pic-colo umbone giallo sottolineato da una fascetta circola-re gialla. Intorno, motivi a spirale bianchi. Anello perla sospensione applicato alla sommità.VI - IV sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 A, n. 96, p. 75, tav. XXV.

Pendenti monocromi

42. Pendente a testa femminile bifronte (Tavv. VIII, XV)N.I. 1829 (N.I.W. 2240).Birgi, necropoli. H. 2,7; largh. 2,4; spess. 1,4.

Lieve scheggiatura sull’orlo; incrostazioni superficiali.Modellazione su asta, con doppio stampo. Vetro blucobalto traslucido. Volti pressoché identici, non allineati, ovali e con trattisomatici ben evidenziati; capelli acconciati con una dop-

A. Spanò Giammellaro

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pia fila di riccioli che formano un motivo a fiore sullafronte e scendono in due bande simmetriche ai lati delcollo adorno di una collana a due fili; anello per la sospen-sione applicato alla sommità di una delle due facce.Sutura delle due facce evidenziata da un bordo largo pro-dotto dal vetro pressato tra le due valve dello stampo.Fa parte della collana n. 52.Spanò Giammellaro, tipo F; Uberti, tipo B, l. IV - III sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 1979, n. 16, p. 37, fig. III, tav. II,V.

43. Pendente a testa femminile bifronte (Tavv. VIII, XV)N.I. 1816.Birgi, necropoli (?).H. 1,5; largh. 1,3; spess. 0,8.

Consunta; ampia scheggiatura in corrispondenza delforo di lavorazione e di parte dell’acconciatura; mancal’anello per la sospensione.Modellazione su asta, con doppio stampo. Vetro blucobalto traslucido. Volti, pressochè identici, ovali e con tratti somatici benevidenziati; capelli acconciati con riccioli che scendonoin due bande simmetriche ai lati del collo; sulla fronte,benda con piccola cavità centrale; anello per la sospen-sione applicato alla sommità di una delle due facce. Spanò Giammellaro, tipo F; Uberti, tipo B, l. IV- III sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 95, pp. 38, 74, tav. XXIV.

44. Pendente a prisma appuntito (Tavv. VIII, XV)N.I. 950 (N.I.W. 3964).Birgi, Necropoli; Terre di Sanges (Collezione Cammareri).H. 4,2; ø 0,7.

Superficie alterata.Modellazione a stampo. Vetro color miele scuro.Pendente a forma di prisma esagonale desinente a punta.VI - V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 106, p. 76, tav.XXVII.

COLLANE ED ELEMENTI DI COLLANE

45. Collana (Tav. IX)Marsala, Museo Archeologico Regionale, N.I. MR 4193.Mozia, necropoli arcaica.Lungh. vaghi di vetro: ø 0,3; spess. 0,1.

Modellazione su asta. Vetro nero e bianco.Collana costituita da minuscoli vaghi cilindrici e anularidi vetro bianco e nero e da un vago globulare d’argento.Whitaker 1921, p. 334, f.

46. Collana (Tav. IX)N.I. 947.Vaghi di vetro: tubetti lungh. 1,1/1,7, diam. 0,5; biconici diam.0,8; globulari: diam. 0,9/1,5.

Modellazione su asta. Vetro nerastro, dorato, perlaceo,turchese, nocciola. Osso. Pasta silicea. Pietra dura.Corallo. Collana composta da quarantadue vaghi di vetro,due cilindretti di pasta silicea turchese, tre anelli e dueastragali d’osso, un lungo osso cilindrico a puntini incisi econ un foro circolare sulla superficie, un anello di pietradura nera, un frammento di rametto di corallo rosso.Vaghi di vetro: nove tubetti di vetro nerastro, un tubet-to di vetro perlaceo, un tubetto di vetro turchese, untubetto di vetro dorato, un frammento di grosso tubet-to nerastro con filamenti bianchi a festone, diciassettebiconici blu-nerastro con patina biancastra, sei irrego-larmente globulari e anulari blu, uno globulare blu confilamenti bianchi che sottolineano il diametro, tre glo-bulari nerastri con decorazione a “occhi” bianca, dueglobulari bianco-verdognoli con costolature saldati.VI – IV sec. a.C.

47. Collana (Tav. IX)N.I. 910 (N.I.W. 2241).Birgi, necropoli (?).

I vetri preromani

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Vaghi di vetro: globulari: ø 0,7/2,2; anulari: ø 0,7/1,4; biconici:ø 1,1/1,9; cordiforme: H. 1,7, largh. 1,5; tubetti: lungh. 0,7/3,1;ø 0,4/0,9.

Modellazione su asta. Vetro blu, nero, bianco, verdechiaro, verde scuro, blu, azzurro, nocciola. Pietra duranerastra. Pasta silicea. Corniola.Collana ricomposta con trentasei vaghi di vetro, seivaghi di pasta silicea smaltata; tre vaghi di corniola; unaconchiglia;un vago in osso; un amuleto in pasta siliceasmaltata; un amuleto in osso; tre pendenti in vetro poli-cromo (nn. 38, 39, 40).Vaghi di vetro: sei vaghi globulari monocromi verdechiaro, blu e neri; dodici vaghi globulari con decorazio-ne impressa a “occhi”; tre vaghi globulari baccellati;quattro vaghi anulari blu, nero, verde scuro traslucido;due vaghi anulari con decorazione a “occhi”, con orifizisottolineati da globetti applicati a rilievo; cinque vaghibiconici di colore marrone chiaro, verde, bianco; unvago cordiforme; un tubetto fusiforme, rotto in dueparti, con decorazione a linee ondulate con effetto divenature marmoree; due piccoli vaghi tubolari nocciola.VI - III sec. a.C.

WHITAKER 1921, fig. 107.

48. Collana (Tav. X)N.I. 950 (N.I.W. 3964).Birgi, necropoli; Terre di Sanges (Collezione Cammareri).Vaghi: lungh. 4,00/5,5; ø 0,8/1,1; Pendente: lungh. 4,2, ø 0,7.

Corrosioni; rotti due vaghi, superficie del pendentealterata.Modellazione su asta; uso di stampo. Vetro nerastro,bianco e miele scuro.Collana composta da sette lunghi vaghi a fondo nera-stro variegato di bianco. Al centro, tra due vaghi anu-lari, pendente n. 44.VI - V sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 106, p. 76, tav. XXVII.

49. Collana (Tav. X)N.I. 907.Birgi. Necropoli (?).Vaghi: ø 0,8/1,4.

Vaghi con superficie a tratti alterata o corrosa.Modellazione su asta. Vetro bianco, nero, blu, turche-se, giallo.Collana ricomposta con trentuno vaghi globularidi vetro: due monocromi, uno turchese, uno blu;ventitré turchese con decorazione a “occhi” bian-ca e blu; tre gialli di cui due con decorazione a“occhi” bianca e blu, uno con decorazione a“occhi” bianchi e blu con contorno marrone; unonero con decorazione a “occhi” gialla; uno blucostolato, con filamenti bianchi nel senso dalla lar-ghezza, uno turchese con due motivi a zig-zagbianchi e pois gialli. VI - IV sec. a.C.SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 107, p. 76, tav. XXVII.

50. Collana (Tav. X)N.I. 909 (N.I.W. 1608, 1653).Vaghi di vetro: globulari ø 0,8/1,1; anulare ø 1,7; bitronco-conico ø 1,1.

Modellazione su asta. Vetro blu, bianco, turchese,nero.Collana ricomposta da nove vaghi d’osso, quattordiciamuleti in corniola, pasta silicea smaltata, osso, otto sca-rabei in diaspro verde, corniola e pasta silicea smaltata,uno scaraboide, cinque vaghi in pasta silicea smaltata,uno in corniola, uno in cristallo di rocca, uno in coral-lo, quattro in bronzo.Vaghi di vetro: due vaghi globulari turchese blu conocchi bianchi e blu, uno anulare nero con decorazionea “occhi” scrostata, tre turchese, uno anulare blu, unobitroncoconico nero.VI - IV sec. a. C.

A. Spanò Giammellaro

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51. Collana (Tav. XI)N.I. 913 (N.I.W. 2505).

Mozia – Sarcofago presso la Porta Nord.

Vaghi di vetro: lungh. 0,2/2,2; ø 0,3/0,7; pendente: H. 1,7; ø 1,4.

Modellazione su asta. Vetro bianco e nero; diasproverde e steatite. Collana ricomposta con centosettantasei vaghi di vetrobianchi e neri a tubetto, a piccole perline pressochécilindriche o sferiche, a goccia; due scarabei, uno indiaspro verde e uno in steatite; pendente costituito dauna piccola brocca miniaturistica. Sul fondo nerastromotivi a zig-zag in rilievo; sull’orlo della bocca filamen-to bianco.V sec. a.C. - V sec. d.C.

SPANÒ GIAMMELLARO 2004 a, n. 108, p. 77, tav.XXVIII.

52. Collana (Tav. XI)N.I. 912 (N.I.W. 2240).

Necropoli di Birgi.

Vaghi di vetro: globulari: ø 0,6/0,9; anulari: ø 0,9/1,4; biconici:

ø 0,7/1,3; bi-tronoconici: H. 0,6, ø1,00; a oliva: H. 1,7 ø 0,9.

Tracce di combustione; vetro blu talora degradato inbianco.Modellazione su asta. Vetro nero, verde chiaro, verdescuro, blu, azzurro, marrone. Pietra dura nerastra.Argento. Bronzo. Pasta silicea. Corniola.Collana ricomposta con ventisette vaghi di vetro, duevaghi di corniola, un vago di bronzo, tre vaghi d’ar-gento, due vaghi di pasta silicea smaltata, due penden-ti d’argento a cestello parallelepipedo sormontato dauna piccola piramide a granulazione, un pendente divetro (n. 42). Vaghi di vetro: tre vaghi globulari monocromi blu eneri; sei vaghi globulari con decorazione impressa a“occhi”; otto vaghi anulari blu, marrone, nero,verde scuro traslucido; un vago anulare con deco-

razione a “occhi”; un vago anulare baccellato; duevaghi biconici marrone chiaro, uno verde chiaro;tre vaghi di vetro nero di forma bi-troncoconicasfaccettati; un vago a oliva con linea impressa chesottolinea il diametro.IV sec. a.C.

WHITAKER 1921, p. 334, c, fig. 107.

53. Collana (Tav. XI)N.I. 908 (N.I.W. 2504).

Mozia, necropoli di Porta Nord (dentro un sarcofago). Scavi

Whitaker 1911.

Vaghi di vetro: globulari ø 0,8/1,5; anulare: ø 0,9;fusaiola: H. 1,4, ø 2,00; tubetti: lungh. 1,5/1,9, ø 0,5/0,7. Vetro turchese degradato in bianco.Modellazione su asta. Vetro nero, blu nerastro,turche-se, giallo e bianco. Ambra. Bronzo. Collana ricomposta con nove vaghi di vetro, un vago dibronzo, quarantatré vaghi d’ambra.Vaghi di vetro: due globulari turchese, due globulari divetro nerastro con decorazione a macchie bianche, unoglobulare nerastro con decorazione impressa a “X” unitia formare losanghe entro le quali campeggiano occhigialli con iride nera, uno a fusaiola nerastro con patinadorata, uno anulare blu/nerastro, due tubetti neri, qua-rantatré vaghi d’ambra sfaccettati, un vago di bronzo.Età tardo-ellenistica.

54. Elementi di collana (Tav. XII)Senza N.I.

ø 0, 9/0,11.

Modellazione su asta; vetro nero e bianco.Quattro vaghi di vetro di forma globulare: tre neri, unobianco.Rinvenuti insieme ad un frammento osseo e ad un vagod’argento.

I vetri preromani

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55. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 938.

H. 1,00; ø cons. 2,2.

Modellazione su asta; vetro blu.Manca la metà.Mezzo vago globulare.

56. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 884.

H. 1,5; ø 1,6.

Superficie corrosa.Modellazione su asta; vetro blu scuro, rosso scuro, bianco.Vago irregolarmente globulare blu scuro con macchiemulticolori poco leggibili.

57. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 926.

ø 1,00.

Modellazione su asta; vetro blu, turchese e bianco.Vago globulare turchese con motivi a “occhi” di colo-re blu e bianco.

58. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 877.

H. 1,00; ø cons. 2,2.

Schiacciato e deformato dal fuoco.Modellazione su asta; vetro blu, bianco e nero.Vago globulare blu con motivi a “occhi” bianchi e neri.

59. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 882.

H. 1,2; ø cons. 1,8.

Modellazione su asta; vetro blu, nero e bianco.Manca la metà.Mezzo vago blu anulare con motivi a “occhi” di colorenero e bianco.

60. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 866.

ø 2,4.

Modellazione su asta; vetro marrone scuro, bianco enero.Vago globulare marrone scuro decorato con tre ampitondelli bianchi, in ciascuno dei quali sono inseritiquattro punti neri.

61. Elemento di collana (Tav. XII)N.I. 936.

H. 1,2; ø 3,4.

Rotto in due parti.Modellazione su asta; vetro blu e bianco.Grosso vago anulare blu con motivo a grandi occhibianchi e blu applicati a rilievo.

62. Elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 949 (N.I.W. 1688).

H. 1,3; ø cons. 2,1.

Modellazione su asta; vetro verde translucido.Vago globulare baccellato.

63. Elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 875.

H. 1,7; ø cons. 1,9.

Manca un frammento.Modellazione su asta; vetro blu translucido.Vago globulare baccellato.

64. Elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 872.

H. 1,3; ø cons. 1,9.

Modellazione su asta; vetro blu translucido.Mezzo vago baccellato.

A. Spanò Giammellaro

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65. Elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 874.

H. 1,5; ø cons. 2,1.

Manca la metà.Modellazione su asta; vetro verde translucido.Vago globulare baccellato.

66. Elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 881.H. 0,4; ø cons. 1,4.

Modellazione su asta; vetro nerastro translucido.Vago anulare.

67. Frammento di elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 932.H. 1,5; largh. 2,3.

Modellazione su asta; vetro blu, bianco, giallo, turchese.Frammento di grosso vago cilindrico blu con orifiziodel foro passante decorato a globetti bianchi, gialli eturchese.

68. Elemento di collana (Tav. XIII)N.I. 906.H. 2,1; ø 2,4.

Deformato dalla combustione su un lato.Modellazione su asta; vetro nero, bianco, giallo.Grosso vago biconico nero con il diametro massimosottolineato da due linee bianche inframmezzate dauna fascetta gialla; grossi punti gialli e bianchi alterna-ti sottolineano gli orifizi del foro passante.

69. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 873.H. 2,2; ø cons. 2,1.

Modellazione su asta; vetro nerastro e bianco.

Frammento di vago cilindrico nerastro con decorazio-ne piumata bianca marginata da linee bianche alleestremità.

70. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 934.H. 3,5; ø cons. 1,1.

Decorazione a tratti scrostata.Modellazione su asta; vetro nerastro e bianco.Vago a tubetto nerastro con decorazione piumata bian-ca marginata da linee bianche alle estremità.

71. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 902.H. 3,5; ø cons. 1,1.

Modellazione su asta; vetrodi colre beige scuro e bianco.Frammento di vago a tubetto decorato con un motivoa linee ondulate irregolari bianche con effetto di vena-ture marmoree.

72. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 883.H. 4,6; ø cons. 1,7.

Modellazione su asta; vetro blu scurissimo ebianco.Frammenti di vago a tubetto fusiforme blu decoratocon un motivo a linee ondulate irregolari bianche;alle estremità, filamenti dello stesso colore.

73. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 935.H. 3,6; ø. 1,7.

Modellazione su asta; vetro nerastro e bianco.Frammento di vago fusiforme nerastro decorato conun motivo piumato bianco.

I vetri preromani

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74. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 898.Lungh. 2,5; ø 1,00.

Modellazione su asta e a stampo. Vetro blu.Lungo vago poliedrico con foro passante nel sensodella lunghezza.

75. Elemento di collana (Tav. XIV)N.I. 1815.H. 1,6; ø cons. 1,1.

Rotto ad una estremità.Modellazione su asta; vetro turchese.Vago ellissoidale schiacciato.

A. Spanò Giammellaro

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CONGRESSI E MOSTRE

ACFP IV Atti del Quarto Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici (Cadice, 2-6 Ottobre1995), Cadice 2000.

ACFP V Atti del Quinto Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici (Palermo - Marsala, 2-8Ottobre 2000), Palermo 2005.

ACISSA VII Atti del Settimo Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia Antica (Palermo, 10-16Aprile 1993) = Kokalos XXXIV-XXXV (1993-1994).

ECHANGES ET COMMERCE D. FOY - D. NENNA (dir.), Échanges et commerce du verre dans le monde antique. Actes ducolloque de l’Association Française pour l’Archéologie du Verre (Aix-en-Provence etMarseille, 7-9 juin 2001), Montagnac 2003.

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A. Spanò Giammellaro

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AVVERTENZA ALLE TAVOLE

Gli esemplari nn. 27-30 e 38-39, illustrati nelle tavv. V e VII, sono riprodotti in scala 2:1.

Foto di:I. GiammellaroA. Spanò Giammellaro

Elaborazione digitale illustrazioni fotografiche: G. Aiello, F. Ciavanni

Disegni di:M. Schiera (nn. 41, 44)A. Spanò Giammellaro (nn. 38-40, 42-43)

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Tav. I

1

4

5

2

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Tav. II

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8

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Tav. III

9 10 11 12

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Tav. IV

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Tav. V

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Tav. VI

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Tav. VII

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Tav. VIII

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Tav. IX

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Tav. X

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Tav. XI

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Tav. XII

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Tav. XIII

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Tav. XIV

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Tav. XV

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Finito di stampare

PALERMO, SETTEMBRE 2008