Weekly Report N°23/2015
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N°23, 6-12 SETTEMBRE 2015
ISSN: 2284-1024
I
Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 13 settembre 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Agnese Carlini Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°23/2015 (6-12 settembre 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: Getty Images; Pavel Golovkin/Associated Press; BBC; Getty Images/AFP/Str; EPA/YILMAZ KAZAN-DIOGLU; Ansa.
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FOCUS
IMMIGRAZIONE ↴
I mesi estivi hanno riportato al centro dell’attenzione mediatica e politica interna-
zionale la crisi legata all’imponente flusso migratorio che sta interessando l’Europa
negli ultimi anni. Il fenomeno ha suscitato reazioni diversificate e alimentato il di-
saccordo tra alcuni Paesi europei in merito alla gestione dell’arrivo e dell’accoglienza
dei migranti. Oltre ai massicci sbarchi sulle coste del Continente dal mar Mediterra-
neo, in tempi recenti si è registrato un crescente afflusso dalla cosiddetta “rotta
balcanica” che segue il tragitto Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria. Il mini-
stro degli Interni serbo Nebojsa Stefanovic ha affermato che dall’inizio dell’anno cir-
ca 130mila migranti e profughi hanno attraversato il territorio del suo Paese diretti
verso l’Ungheria e da lì in Austria, Germania, Svezia e altri Paesi del nord Europa.
Nelle ultime settimane di agosto si sono verificati momenti di tensione alla frontiera
macedone; migliaia di profughi, soprattutto siriani, hanno cercato di attra-
versare il confine di Gevgelija, tra Grecia e Macedonia, chiuso dalle autorità di
Skopje. La polizia li avrebbe respinti facendo uso di lacrimogeni e granate stordenti.
Nei giorni seguenti i profughi sono riusciti a superare il confine, transitando succes-
sivamente in Serbia e giungendo in Ungheria con l’obiettivo di proseguire verso altri
Paesi europei. Le misure adottate dal governo ungherese di Viktor Orbán per tenta-
re di contenere l’ondata di migranti in transito sul territorio magiaro e la decisione
di costruire una barriera di filo spinato alta quattro metri e lunga 175 chi-
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lometri al confine con la Serbia sono state fortemente criticate e ritenute illibe-
rali e violente. Si stima che dall’inizio del 2015 in Ungheria siano entrate 140mila
persone, più del doppio del totale del 2014, con un picco di 3.241 ingressi, di cui
700 bambini, verificatosi il 26 agosto. Al termine di una riunione sull’emergenza
immigrazione tenutasi l’11 settembre a Praga tra i Paesi del gruppo Visegrad (Un-
gheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia), il ministro degli Esteri Peter Szijjarto
ha affermato che «Budapest sarebbe contenta di ospitare una conferenza sulla coo-
perazione fra l’Unione Europea e i Paesi dei Balcani occidentali, la Serbia e la Mace-
donia, sulla crisi migratoria» e ha anche annunciato che a partire dalla settimana
prossima «i migranti illegali che entreranno in Ungheria forzando
l’infrastruttura alla frontiera saranno arrestati o deportati».
In relazione alle forti pressioni ai propri confini delle ultime settimane, Austria e
Ungheria hanno anche accusato la Germania di aver alimentato l’arrivo dei profughi
con l’annuncio della sospensione del regolamento Dublino II e dell’accoglienza di
tutti i richiedenti asilo provenienti dalla Siria. Angela Merkel ha però precisato che
il regolamento non è sospeso, ma che «i cittadini siriani in fuga dalla guerra
civile hanno un’alta probabilità di ottenere lo status di rifugiati».
Il 9 settembre il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha
presentato davanti al Parlamento Europeo a Strasburgo un nuovo piano
per affrontare l’emergenza rifugiati, affermando che «in Europa è arrivato il
momento della sincerità e non dei discorsi vuoti. L’Unione non versa in buone con-
dizioni. Manca l’unione e manca anche l’Europa». La proposta prevede, tra le diver-
se misure, un meccanismo per il ricollocamento di 120mila rifugiati oltre ai
40mila già previsti con il piano di luglio da ripartirsi in quote obbligatorie
tra gli Stati membri. La Commissione auspica la creazione di un sistema di ricol-
locamento permanente che agirebbe automaticamente nel momento in cui si verifi-
cassero aumenti improvvisi e ingenti degli arrivi. Tali regole dovrebbero consentire
di ricollocare parte dei richiedenti asilo in Italia, Grecia e Ungheria negli altri Paesi,
soprattutto in Germania, Francia e Spagna. La quota assegnata a ogni Paese dipen-
derà dal PIL, dal livello di disoccupazione, dal numero di abitanti e dalle domande di
asilo già processate. Le nazioni che si rifiuteranno di accogliere i migranti dovranno
pagare delle sanzioni economiche. Riferendosi alla prossima riunione dei ministri
degli Interni degli Stati membri il 14 settembre in Lussemburgo, Juncker ha affer-
mato: «Mi auguro veramente che lunedì prossimo i ministri degli Interni dei paesi
UE decidano senza esitazioni la ripartizione di 160mila persone, ognuno deve fare la
sua parte. Non parliamo di numeri, ma di esseri umani che vengono da Siria e Libia
e quello che stanno passando potrebbe accadere a chi oggi vive in Ucraina: non si
può fare distinzione di credo, etnia o di altro tipo».
Il premier britannico David Cameron ha ribadito che il Regno Unito non par-
teciperà ai piani della Commissione per la redistribuzione di 160mila rifu-
giati da Italia, Grecia e Ungheria, sostenendo che le azioni nei confronti dei mi-
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granti che già sono in Europa finiranno per attirarne altri. Polonia, Slovacchia,
Repubblica Ceca e Ungheria sono contrari alla ripartizione obbligatoria dei
120mila. Intanto il ministro degli Esteri macedone Nikola Poposki ha reso noto che
la Macedonia sta esaminando la possibilità di erigere una “barriera difensi-
va” alla frontiera con la Grecia sull’esempio di quella ungherese; in alternativa
verrà dispiegato l’esercito al confine.
Nonostante le divergenze e l’opposizione di alcuni Paesi, è molto probabile che la
riunione del 14 settembre dia il via libera al ricollocamento deciso a giugno dei pri-
mi 40mila migranti sbarcati in Italia (24mila) e Grecia (16mila), che partirebbe già
mercoledì 16 settembre. Per la ripartizione di altre 120mila persone e l’adozione
delle altre misure proposte da Bruxelles, tra cui l’emendamento al regolamento di
Dublino che renda possibile l’introduzione di quote vincolanti, saranno verosimil-
mente necessari tempi più lunghi. Nel frattempo il Presidente Barack Obama ha
espresso l’intenzione di accogliere 10mila siriani negli Stati Uniti nel 2016.
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IRAQ/SIRIA ↴
Dopo le indiscrezioni su un marcato intervento armato russo a sostegno di Bashar
al-Assad, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha confermato l’invio di rifor-
nimenti ed esperti militari in Siria. Lavrov ha però precisato che l’assistenza
verso l’alleato arabo è in linea con le precedenti intese bilaterali, smentendo
l’ampliamento della presenza militare nella zona costiera di Latakia, dove a Tartus
la Russia mantiene un’importante base navale. Secondo il diplomatico russo lo
schieramento di uomini sul campo sarebbe infatti motivato dalla manutenzione de-
gli equipaggiamenti inviati e dalla formazione delle truppe siriane già concertata
con la dirigenza alawita. Sia il Presidente statunitense Barack Obama, che il Segre-
tario Generale della NATO Jens Stoltenberg avevano espresso preoccupazione in
merito alle manovre russe, ammonendo il Cremlino di ostacolare il raggiungimento
di una soluzione politica alla crisi siriana. Dietro pressioni americane, l’8 settembre
la Bulgaria aveva interdetto lo spazio aereo ai cargo russi diretti in Siria, che hanno
poi raggiunto destinazione passando attraverso il territorio iraniano. Lavrov ha sot-
tolineato che Mosca continuerà a sorreggere ed armare l’esercito siriano allo
scopo di respingere lo Stato Islamico (IS) poiché i soli bombardamenti aerei
non sono sufficienti a sradicare la minaccia islamista. L’invito di collaborare con il
governo di Damasco, delegittimato dal sanguinoso conflitto civile e incalzato
dall’offensiva dei fronti ribelli e dell’IS, non può tuttavia compiacere le cancellerie
occidentali che, come le potenze sunnite coinvolte nelle operazioni militari contro
il Califfato, non arretrano dalla richiesta di un allontanamento di Bashar al-
Assad - le cui forze sono da tempo fiancheggiate dai miliziani libanesi di Hezbollah
e dai soldati iraniani.
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Non è il solo ingresso russo a muovere la complessa partita siriana. Il Presidente
francese François Hollande ha annunciato l’avvio di operazioni di ricogni-
zione sui cieli siriani in vista di lanciare attacchi contro obiettivi jihadisti.
La Francia ha sinora circoscritto il contributo militare allo scenario iracheno, dove i
caccia francesi hanno condotto raid nell’ambito della missione internazionale patro-
cinata dagli Stati Uniti. Se la proposta è stata rilanciata dal Primo Ministro inglese
David Cameron, il governo tedesco è intervenuto criticamente rispetto alle mosse
dei partner europei. Il Ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ha biasimato il
ricorso alla carta militare, che rischia di pregiudicare, dopo il raggiungimento dello
storico accordo sul nucleare iraniano, l’avvio di nuovi negoziati in seno all’ONU per
perseguire una risoluzione politica del conflitto in Siria.
Intanto, i guerriglieri dell’IS hanno intensificato le azioni nel nord del Paese con
l’obiettivo di strappare alle fazioni ribelli la cittadina di Marea, snodo strategico a ri-
dosso del confine siro-turco, mentre le difese islamiste tengono a Ramadi contro
l’urto delle forze di sicurezza irachene. Continuano invece le incursioni turche
contro le postazioni del PKK nel nord dell’Iraq: in risposta all’intensificarsi de-
gli scontri in Turchia, tra il 6 e il 9 settembre i caccia turchi hanno ripetutamente
attraversato il confine per colpire i rifugi dei militanti curdi.
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A richiamare tuttavia le attenzioni dell’esecutivo di Haider al-Abadi è
l’acutizzarsi del confronto con le milizie sciite, che il disegno di legge per la
costituzione di una Guardia Nazionale irachena intende sottoporre a rigido controllo
governativo. Gli influenti gruppi paramilitari di estrazione sciita, che a lungo hanno
arginato l’offensiva a tratti irresistibile dei combattenti jihadisti, hanno pubblica-
mente rigettato il provvedimento. La recente ondata di proteste di piazza che ha in-
fiammato il Paese anche nelle province meridionali non interessate dal conflitto con
il Califfato ha offerto alle milizie sciite l’occasione per rafforzare la posizione di in-
transigenza nei confronti del governo centrale, che l’8 settembre ha preventiva-
mente vietato una dimostrazione a Basra in virtù degli scontri verificatesi cinque
giorni prima tra alcuni affiliati al gruppo Kata’ib Hezbollah e l’esercito regolare.
Sempre nella giornata dell’8 degli uomini armati non identificati hanno rapito
nella capitale il vice Ministro della Giustizia, Abdul Karim al-Faris, ed un alto
funzionario, assieme ad altre quattro persone poi rilasciate. Si sospetta che dietro
l’atto si nasconda la responsabilità di una milizia sciita. È degli ultimi giorni infatti la
rivendicazione da parte di un gruppo sciita non riconoscibile del sequestro di diciot-
to operai e ingegneri turchi avvenuto lo scorso 18 agosto a Sadr City: i rapitori
hanno indirizzato al governo di Ankara la richiesta di interrompere il flusso di mili-
ziani dalla Turchia e di approvvigionamenti petroliferi dal Kurdistan iracheno. Nella
vicenda è intervenuto il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, che ha richiamato duramen-
te i sequestratori affinché rilascino gli ostaggi.
Nonostante le tensioni interne, il Primo Ministro al-Abadi non depone la ban-
diera delle riforme. Il vertice del governo iracheno ha infatti annunciato la rimo-
zione di 123 funzionari di alto livello. La decisione s’inserisce nella campagna contro
corruzione e clientelismo che al-Abadi ha impugnato con determinazione per ristrut-
turare l’inefficiente pubblica amministrazione.
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YEMEN ↴
Venerdì 4 settembre i ribelli sciiti Houthi hanno condotto un attacco contro
un deposito di armi della coalizione internazionale a guida saudita con un
missile sovietico di tipo Tochka nell’area di Marib nella parte centro-occidentale del-
lo Yemen, uccidendo oltre 60 soldati. Di questi, 45 appartenenti alle forze armate
degli Emirati Arabi Uniti, 10 a quelle saudite, 5 dell’esercito del Bahrein e 4 yemeniti
facenti parte delle truppe rimaste leali al Presidente Abdrabbuh Mansour Hadi, esi-
liato in gennaio.
In ritorsione alla perdita più consistente che l’esercito emiratino abbia mai subito fin
dalla sua istituzione nel 1971, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe
ereditario di Abu Dhabi e comandante supremo delle forze armate, ha condotto, nei
due giorni successivi all’attentato, dei raid aerei tra i più duri che la capitale yeme-
nita abbia subito fin dall’inizio dell’attuale conflitto, colpendo le postazioni degli
Houthi a Sanaa e nelle zone circostanti di Nahdain, Fajj Attan e Ibb. Altri
raid aerei della coalizione internazionale sono stati condotti nel corso di tutta la set-
timana. Nelle giornate di mercoledì 9 e giovedì 10 sono state colpite le postazioni
dei ribelli nella capitale, incluse le abitazioni dei leader politici Houthi, basi di adde-
stramento militare e depositi di armi a nord della città. Martedì 8, nel corso delle
operazioni aeree da parte dei velivoli della coalizione contro trafficanti di armi nella
zona del porto di al-Hodeidah nel est dello Yemen, si è registrata anche l’uccisione
di 22 pescatori indiani.
Inoltre, in seguito all’attentato del 4 settembre, sia il Qatar che l’Egitto hanno
inviato per la prima volta dei contingenti a sostegno della coalizione. Doha
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ha inviato in Yemen circa 1.000 uomini, 200 veicoli corazzati e 30 elicotteri
Apache, che si sono diretti verso le zone di Marib e Jawf, aree di importanza stra-
tegica data la ingente produzione petrolifera. Mentre dal Cairo sono arrivate, nel-
la sera di martedì 8, quattro unità di 150/200 soldati, per un totale di circa
800 uomini. L’arrivo di questi nuovi contingenti, unito all’intensificarsi
dell’offensiva contro i filo-iraniani Houthi, sembra far prevedere una volontà della
coalizione di dare una svolta decisiva al conflitto; in particolare procedendo verso
una ripresa della capitale Sanaa attraverso un più consistente intervento militare
via terra, rimasto finora alquanto esiguo.
L’attuale conflitto in Yemen è sorto con le proteste, inizialmente pacifiche, del grup-
po Houthi nell’estate dello scorso anno. Questo movimento, che prende il nome dal
primo leader Hussein al-Houthi, è in conflitto con il governo centrale dal 2004
con lo scopo di rivendicare una maggiore autonomia per la popolazione di
religione zaydita – una setta musulmana sciita - nell’area settentrionale
del Paese, precisamente nella provincia di Saada. Nell’estate 2014 l’opposizione
Houthi ha potuto godere di un rafforzamento grazie alla nuova alleanza con l’ex
Presidente Ali Abdullah Saleh. Per merito di tale potenziamento i ribelli sciiti hanno
potuto conquistare, nel settembre 2014, la capitale Sanaa e successivamente, in
gennaio 2015, arrestare il Presidente Hadi, accusato di volere ridurre il potere sciita
nel nord del Paese attraverso una riforma per l’istituzione di un sistema federale
composto da sei divisioni territoriali. Successivamente Hadi ha dovuto abbando-
nare lo Yemen recandosi in Arabia Saudita – Paese sunnita - a causa della ca-
duta anche della città portuale di Aden, dove si era rifugiato. In seguito a tali avve-
nimenti è arrivata la decisione di Riyadh di formare una coalizione militare con altri
Paesi arabi per contrastare l’avanzata degli Houthi, presumibilmente supportati
dall’Iran in un conflitto che sembrerebbe pertanto rispecchiare il confronto tra Paesi
sunniti e sciiti nella regione mediorientale. Grazie all’intervento dei raid aerei della
coalizione a guida saudita, nel corso dell’estate gli Houthi sono stati respinti dalle
province meridionali e da Aden, ma mantengono salde le loro posizioni al nord, in
alcune zone del centro e nella capitale.
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BREVI
LIBIA, 10 SETTEMBRE ↴
Il 3 settembre la delegazione del governo di Tripoli ha
deciso di sedersi nuovamente al tavolo negoziale do-
po la pausa di un mese in segno di ritorsione per il
rifiuto di apportare alcune modifiche richieste alla
bozza di accordo presentata a luglio. Tuttavia, nono-
stante questo segnale incoraggiante Tripoli sembra
non avere alcuna intenzione di cedere in riferimento a tali richieste soprattutto per
ciò che concerne la previsione di un unico parlamento. Con queste premesse il 10
settembre sono ripresi a Skhirat, in Marocco, i negoziati fra le varie fazioni libiche
con l’obiettivo di formare un governo di unità nazionale. L’inviato speciale delle Na-
zioni Unite, il diplomatico spagnolo Bernardino León, sotto la cui egida si stanno
svolgendo i negoziati, ha ricordato che il termine ultimo per trovare un’intesa tra le
fazioni in campo resta il 20 settembre. Rimane tuttavia da chiarire cosa potrebbe
accadere qualora non si riuscisse a raggiungere un compromesso sulla bozza di ac-
cordo. Sullo sfondo della nuova tornata di negoziati si fa sempre più preoccupante
la minaccia dello Stato Islamico che ormai controlla Sirte e punta ad allargarsi verso
Tripoli. Il giorno stesso della ripresa dei colloqui in Marocco si è inoltre registrata
l’esplosione di una mina in una scuola di Bengasi; resta da chiarire, tuttavia, se si
sia trattato di un attacco terroristico deliberato o di un ordigno che si trovava già da
tempo nel cortile della scuola. L’unico dato positivo nel difficile contesto libico è la
riapertura il 9 settembre dell’Università di Bengasi chiusa da circa un anno.
TURCHIA, 8 SETTEMBRE ↴
Non ha tardato ad arrivare la risposta turca
all’attentato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan
(PKK) di domenica 6 settembre a Daglica,
nell’estremo sud-est del Paese in prossimità del con-
fine tra Iran e Iraq, in cui hanno perso la vita 16 sol-
dati turchi. Circa 50 caccia turchi, 35 jet F-16 e 18 F-
14 hanno colpito senza tregua per sei ore le basi cur-
de in territorio iracheno, concentrandosi in particolare nelle zone di Qandil, Hakurk,
Zap, Metina, Gare e Basyan e uccidendo circa un centinaio di guerriglieri.
L’escalation di violenza è continuata con una serie di ulteriori azioni di guerriglia da
parte del Pkk contro l’esercito turco ed è sfociata, l’8 settembre, nell’operazione
lampo condotta dalle forze speciali e dalla gendarmeria turca in territorio iracheno
con l’obiettivo dichiarato di estirpare le basi del Pkk nel Nord del Paese. La delicata
situazione militare ha condotto ad un innalzamento della violenza sociale riaccen-
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dendo il nazionalismo turco: dal 7 settembre circa 400 sedi dell’HDP, il partito filo-
curdo che ha superato la soglia di sbarramento del 10% nelle elezioni di luglio, sono
state prese di mira dai nazionalisti turchi. L’escalation di violenza rischia di far de-
generare la situazione prima che si possa arrivare al prossimo appuntamento elet-
torale del 1° novembre, giorno in cui sono state convocate dal Presidente Erdoğan
le nuove elezioni parlamentari.
UCRAINA, 9 SETTEMBRE ↴
Sembra ancora reggere, nonostante alcune limitate
violazioni, il regime di cessate il fuoco previsto dagli
accordi di pace di Minsk del 12 febbraio scorso tra le
autorità ucraine e i separatisti del Donbass in relazio-
ne alle regioni di Donetsk e Lugansk. Con questo se-
gnale incoraggiante il 9 settembre, in una conversa-
zione telefonica, i leader di Russia, Francia, Germania e Ucraina, i Paesi del cosid-
detto “Quartetto di Normandia”, hanno concordato un nuovo vertice per il 2 ottobre
a Parigi nel quale si discuterà in particolare dell’attuazione degli accordi di Minsk e
della pace nella regione del Donbass. In previsione della riunione del 2 ottobre, il 12
settembre i ministri degli Esteri dei quattro Paesi si sono riuniti a Berlino. Sul fronte
interno il 9 settembre è iniziata la campagna di raccolta firme, giunta a quasi
30.000 consensi, per proporre la nomina come premier di Mikheil Saakashvili. L’ex
presidente georgiano, da maggio già governatore della regione di Odessa
nell’Ucraina meridionale, è noto per essere uno dei più forti e tenaci oppositori di
Putin ma si è anche distinto per aver accusato l’attuale premier ucraino, Arseni Ya-
tseniuk, di frenare le riforme economiche e di rispondere soltanto agli interessi degli
oligarchi e non del suo Paese. Infine si registra la decisione del 10 settembre da
parte proprio di Yatseniuk di chiudere lo spazio aereo ai velivoli russi diretti in Siria
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ALTRE DAL MONDO
ARMENIA/AZERBAIGIAN, 3 SETTEMBRE ↴
Soldati dell’esercito azero hanno ucciso un soldato armeno a nordest del tormentato
confine tra i due Stati ex-sovietici. Armenia ed Azerbaigian sono da decenni in con-
flitto a causa del Nagorno-Karabakh, una regione etnicamente armena situata in
territorio azero. Gli scontri tra i due contendenti si sono intensificati a partire dalla
metà di agosto quando un gruppo di soldati armeni ha attaccato alcune postazioni
azere nei pressi dei villaggi di Agdam e Khojavand.
BURUNDI, 7 SETTEMBRE ↴
Sono ancora molti i punti da chiarire in merito all’uccisione del portavoce del partito
Union for Peace and Development (UPD), Patrice Gahungu. L’UPD si era opposto al-
la rielezione del Presidente Nkurunziza, attualmente al suo terzo mandato. È
l’ultimo di una serie di omicidi nella capitale del Burundi. Secondo alcuni, tra cui an-
che la vedova Gahungu, l’omicidio è stato orchestrato dall’attuale governo. Le lotte
politiche e le proteste hanno causato la morte di un centinaio di persone e costretto
alla fuga molte migliaia.
COLOMBIA, 5 SETTEMBRE ↴
Quattro membri del Fronte 27 delle FARC-EP sono stati uccisi in uno scontro a fuoco
durante un’operazione anti-estorsione condotta dall’esercito nazionale della Colom-
bia nella città di La Libertad, nel dipartimento di Meta. Le vittime sono “Duvan Fla-
co”, capo della finanza del gruppo armato, la sua fidanzata “Yinet” e altri due espo-
nenti noti come “Mico Viejo” e “Geovany”. Il Fronte 27 è accusato del rapimento di
5 imprenditori della società Petrominerales nel marzo del 2014, di numerose estor-
sioni ai danni di allevatori, commercianti, agricoltori e aziende di trasporto e dei
frequenti attacchi armati contro gli autobus sull’asse stradale Meta-Guaviare.
Nell’operazione sono stati anche sequestrati materiale bellico, armi e apparecchi per
le comunicazioni.
CUBA/STATI UNITI, 11 SETTEMBRE ↴
La commissione bilaterale Cuba-Stati Uniti si è riunita per la prima volta a L’Avana
dopo il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi per poter concorda-
re un programma comune. La commissione, annunciata il 14 agosto scorso dal Se-
gretario di Stato John Kerry e dal ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez Par-
rilla, si è occupata di tematiche relative alle nuove aree di cooperazione e al dialogo
sugli affari bilaterali e multilaterali. Si sono affrontati anche temi controversi che
vedono i partecipanti schierati su fronti opposti. Alla guida delle due delegazioni
Edward Alex Lee, vice segretario aggiunto per i temi dell’Emisfero Occidentale del
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Dipartimento di Stato statunitense, e Josefina Vidal, Direttore Generale per gli Stati
Uniti al Ministero degli Esteri cubano.
EGITTO, 8-12 SETTEMBRE ↴
L’esercito egiziano ha annunciato l’avvio di un’azione militare contro i gruppi terrori-
sti attivi nella penisola del Sinai tra Rafah, al-Arish e Sheikh Zuweid, affermando di
aver ucciso 56 miliziani e averne arrestati 154. Negli stessi giorni è stata riaperta
l’ambasciata di Israele al Cairo dopo quattro anni di chiusura. Il personale era stato
evacuato nel settembre 2011 in seguito all’assalto di migliaia di manifestanti alla
sede diplomatica. A capo della rappresentanza vi sarà l’ambasciatore Haim Koren.
Il 12 settembre il primo ministro Ibrahim Mahlab ha presentato le dimissioni del suo
governo al Presidente Abdel Fattah al-Sisi, che ha chiesto al premier dimissionario
di restare in carica per gli affari correnti fino alla formazione di un nuovo esecutivo.
GUATEMALA, 6 SETTEMBRE ↴
Lo spoglio dei voti espressi al primo turno delle consultazioni elettorali ha consegna-
to la vittoria al comico Jimmy Morales che però, avendo ottenuto circa il 25% delle
preferenze, dovrà affrontare il ballottaggio del prossimo 25 ottobre. A sfidarlo sarà
uno tra Manuel Baldizón, avvocato e uomo d’affari dato inizialmente come favorito,
e Sandra Torres, moglie dell’ex capo di Stato Álvaro Colom e già candidata nel
2011. Nel frattempo, è stato rinchiuso in un carcere militare l’ex presidente Otto
Perez Molina, accusato di corruzione per aver favorito alcune compagnie che vole-
vano importare prodotti nel Paese centramericano.
ISRAELE, 6 SETTEMBRE ↴
Il Presidente Netanyahu ha annunciato la costruzione di 30 chilometri di barriera
lungo il confine con la Giordania, che andranno ad aggiungersi ai 240 chilometri già
presenti al confine con l’Egitto. La dichiarazione arriva in seguito alla richiesta del
leader dell’opposizione Isaac Herzog di accogliere i rifugiati siriani. La risposta di
Netanyahu non si è fatta attendere; il Presidente ha tenuto ad evidenziare che
Israele non è indifferente alla tragedia siriana, ma il Paese è troppo piccolo per po-
ter accogliere ulteriori persone, dunque è indispensabile un rigido controllo dei con-
fini.
MOLDAVIA, 6-11 SETTEMBRE ↴
Continuano le proteste popolari a Chisinau, dopo la grande manifestazione di do-
menica 6 settembre che ha visto sfilare più di 40mila persone per le strade della
capitale. A scatenare la rabbia popolare le rivelazioni in merito ad una frode finan-
ziaria del valore di circa un miliardo di euro – pari a un terzo del PIL dello Stato - a
carico del sistema bancario. Già nel maggio scorso migliaia di persone avevano pro-
testato per la scomparsa di 900 milioni di euro da tre importanti banche del Paese.
I dimostranti hanno deciso di accamparsi in strada, chiedendo le dimissioni del pre-
sidente Nicolae Timofti e del governatore della Banca Centrale.
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REGNO UNITO, 12 SETTEMBRE ↴
Jeremy Corbyn è il nuovo leader del Partito Laburista. Corbyn, che rappresenta la
corrente più a sinistra del partito, ha vinto le elezioni al primo turno con il 59,5%
dei consensi. L’affluenza è stata del 76,3% degli iscritti.
SOMALIA, 9 SETTEMBRE ↴
I miliziani di al-Shabaab hanno dichiarato di aver catturato alcuni soldati ugandesi
del contingente AMISOM, a seguito di un attacco ad una base del contingente
dell’Unione Africana in Somalia. L’annuncio del rapimento, ancora da verificare, e i
recenti attacchi diretti alle truppe dell’AMISOM, tra cui quello alla base di Janale che
ha causato 50 morti, dimostrano il cambio di strategia di al-Shabaab che vuole evi-
tare che le truppe dell’Unione Africana si impiantino stabilmente nelle aree di suo
interesse.
THAILANDIA, 6 SETTEMBRE ↴
Il National Reform Council (NRC), controllato dalla giunta militare al potere dal
maggio 2014, ha respinto la bozza di una nuova Costituzione. La bocciatura del do-
cumento prevede l’istituzione di un nuovo comitato per la stesura del testo costitu-
zionale, la cui tempistica richiede circa sei mesi, con la conseguente probabile po-
sticipazione delle elezioni al 2017. Uno degli elementi maggiormente controversi si
è rivelato l’istituzione di un Comitato Nazionale sulla riforma e strategia di concilia-
zione, dominato dai militari, che in “situazioni di crisi" non specificate avrebbe esau-
torato dal potere governo e Parlamento.
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ANALISI E COMMENTI
LE CONSEGUENZE DI UNA “SAFE ZONE” NEL NORD DELLA SIRIA
LORENZO MARINONE ↴
Il nodo più controverso nell’accordo raggiunto alla fine di luglio fra Stati Uniti e Tur-
chia sulla lotta allo Stato Islamico (IS) riguarda l’istituzione di una “safe zone” lun-
go parte del confine turco-siriano. L’area in oggetto dovrebbe verosimilmente esse-
re compresa fra Azaz e Jarablus, per una profondità di circa 30 chilometri, arrivan-
do quindi fino alle porte di Aleppo. Questa zona cuscinetto è stata annunciata uffi-
cialmente più volte da Ankara e altrettante volte è stata smentita dagli Stati Uniti.
Tali dichiarazioni contrastanti non negano, ad ogni modo, un impegno sul campo ol-
tre che attraverso raid aerei. Infatti, entrambi i Paesi stanno fornendo supporto mi-
litare di vario tipo a diverse formazioni ribelli, con lo scopo specifico di liberare
l’area dallo Stato Islamico.
Gli Stati Uniti hanno definito l’impegno della Turchia come un game-changer. In ef-
fetti la disponibilità della base militare turca di Incirlik, distante circa 500 chilometri
in linea d’aria da Raqqa, l’autoproclamata capitale dell’IS, permetterà agli americani
e agli altri membri della coalizione internazionale di condurre in modo più efficace i
raid aerei contro il Califfato (…) SEGUE >>>
L’IDENTITÀ NAZIONALE RUSSA AL CROCEVIA TRA PERCEZIONE DI SÉ E POLITICA ESTERA
NICOLÒ FASOLA ↴
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In termini generali, l’identità di un popolo è il risultato di una serie di fattori cultura-
li, politici e persino psicologici che affondano le proprie radici nel succedersi della
storia. Ciononostante, il dibattito intellettuale e teoretico che si forma intorno alla
natura che una certa identità nazionale dovrebbe far propria non si costituisce come
il semplice riflesso di forze “oggettive”, riducendo in se stesso la propria utilità; al
contrario, esso si costituisce come una forza attiva e indipendente che contribuisce
a sua volta a formare la coscienza di una nazione, fornendole un filtro (o una plura-
lità di filtri) attraverso il quale interpretare gli avvenimenti del mondo. L’appropriata
comprensione dell’auto-percezione di un popolo e, dunque la capacità di coglierne i
tratti peculiari e i fondamenti comportamentali, si costituiscono pertanto come validi
strumenti per la conduzione delle relazioni internazionali, in grado di gettare qual-
che luce sul “velo di nebbia” delle intenzioni altrui.
Per tali motivi e tenendo sullo sfondo l’attuale contesto di ostilità tra la Russia e lo
spazio politico ad ovest, in questo Research Paper di analisi si introdurranno alcune
tra le maggiori questioni riguardanti la formazione dell’identità nazionale russa (…)
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A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
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