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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA
DIPARTIMENTO D’INGEGNERIA DELL’INFORMAZIONE
MASTER O.S.C.U.A.I.
ORGANIZZAZIONE E SVILUPPO DEL CAPITALE UMANO IN AMBITO INTERNAZIONALE
Relazione finale
TitoloStrumenti di Selezione: Colloquio e Assessment
Center
Relatore: Maria Pia Pagliuso
Candidata: Gaia Russo
A. A. 2015/16
Introduzione
Il presente lavoro è volto ad indagare il processo di selezione del
personale, in particolare riferendosi ad alcuni degli strumenti tramite cui il
processo di selezione si compie: il Colloquio di Selezione e l’Assessment Center.
L’elaborato comprenderà due capitoli, dove nel primo si tratterà uno dei principali
metodi utilizzati nella selezione: l’intervista tradizionale e nel secondo capitolo si
parlerà del metodo
dell’Assessment Center.
L’intervista è la tecnica di valutazione più diffusa e che maggiormente
influenza le decisioni di selezione tuttavia è molto impegnativa in termini di costi
e tempi.
Il processo di selezione tradizionale, attraverso l’intervista, si affianca al più
innovativo metodo dell’Assessment Center, si tratta di un processo di valutazione
in cui vengono utilizzati più osservatori e tecniche di osservazione.
La fase descritta nell’elaborato (quella in cui vengono utilizzati gli
strumenti applicativi della selezione) implica che siano già avvenuti alcuni
principali momenti del processo di
selezione del personale.
Per l’importanza di tali fasi si rende opportuno farne un breve resoconto prima di
esaminare i due principali metodi scelti.
Ogni processo di selezione si apre con l’Analisi del Contesto Organizzativo
esaminando cioè la situazione organizzativa che fa da cornice alla richiesta, capire
il contesto è un passo fondamentale per poter orientare un processo di selezione
mirato e scegliere candidati che possano essere facilmente integrati nel contesto
organizzativo, in questo senso ha importanza fondamentale l’analisi dei valori
dell’azienda insiti nella cultura organizzativa.
Dopo aver compreso il contesto organizzativo in cui la persona verrà introdotta, si
procede con l’Analisi della Posizione, per capire il ruolo esatto che la persona sarà
chiamata a ricoprire, attraverso quali attività e quali responsabilità dovrà
assumersi.
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Si procede poi con la Definizione del Profilo Professionale, cioè la definizione di
caratteristiche oggettive (titolo di studio, età, residenza) e soggettive
(caratteristiche personali, attitudini, motivazione) che il candidato dovrebbe
possedere per ricoprire adeguatamente una determinata posizione in uno specifico
contesto.
Concluse queste fasi preliminari si inizia con le fasi di selezione vere e proprie
che prendono vita con il Reclutamento, vale a dire la ricerca dei candidati più
idonei attraverso
diversi tipi di canali informativi, tali canali si differenziano a seconda che la
selezione sia indirizzata all’interno o all’esterno del contesto organizzativo.
Si procede poi con lo Screening dei curricula, ovvero la fase di selezione dei
profili
più attinenti con lo scopo di filtrare le candidature per effettuare la selezione su un
numero di candidati più ristretto e preciso.
Una volta individuati i potenziali candidati da convocare, si sceglierà come
procedere nell’attività di selezione, scegliendo quali prove utilizzare, scelta che
dovrà però tenere in considerazione i tempi e le risorse che si hanno a
disposizione.
Solitamente si procede con il Testing Psicologico, si preferisce in questo contesto
utilizzare test specifici, che misurano alcune aree della personalità o fenomeni
psichici o l’intelligenza, attraverso una somministrazione standardizzata al fine di
misurare il medesimo fenomeno in un campione di persone.
Si utilizzeranno in questa fase il Colloquio di Selezione e l’Assessment Center che
verranno descritti più accuratamente nei prossimi capitoli.
A conclusione delle prove il selezionatore elabora un Rapporto per ciascun
candidato esaminato al fine di sintetizzare tutte le informazioni raccolte e fornire
al committente i dati utili per prendere una decisione.
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Capitolo Primo
IL COLLOQUIO DI SELEZIONE
Nel corso di questo capitolo si affronterà il tema del colloquio di selezione.
Esso rappresenta lo strumento maggiormente utilizzato per individuare la persona
più appropriata per ricoprire un determinato ruolo in uno specifico contesto
organizzativo.
Parlare di colloquio di selezione non è affatto semplice, dal momento che
è uno strumento che si presta a diversi utilizzi in base agli obiettivi che si pone.
Esso può avere l’obiettivo di: raccogliere informazioni per accertare
l’appropriatezza del percorso professionale svolto; verificare la presenza di
conoscenze e attitudini necessarie allo svolgimento del ruolo occupazionale in
oggetto; oppure conoscere ed analizzare dimensioni quali personalità, capacità e
motivazione.
Il capitolo è pertanto orientato ad approfondire le varie sfaccettature del
colloquio di selezione, i suoi obiettivi, le diverse fasi che lo compongono e le
dinamiche personali e relazionali che all’interno di esso emergono.
1.1 Intervista e Colloquio di selezione: quali differenze?
Prima di iniziare a parlare nello specifico del colloquio di selezione è bene
sottolineare la differenza che intercorre tra questa e il colloquio, dato che spesso i
due termini sono usati spesso alternativamente, come fossero sinonimi, ma non
esprimono esattamente lo stesso concetto.
Se entrambi i soggetti hanno voluto e chiesto il contatto si parla più
appropriatamente di colloquio, se, al contrario, uno dei due subisce il contatto si
parla di intervista (Trentini, 1995).
La fondamentale differenza risiede nella motivazione del soggetto: per
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quanto riguarda il colloquio, si tratta di un contatto che avviene sulla base di una
motivazione propria dell’intervistato e presuppone la consapevolezza del soggetto
di incontrarsi con il selezionatore, potremmo quindi parlare di motivazione
intrinseca; il termine intervista si riferisce invece ad un incontro a cui
l’interlocutore è chiamato al di là delle sue convinzioni, si parlerà quindi di
motivazione estrinseca. Un esempio è dato dal fatto che, essendo l’azienda ad
invitare il candidato per un’intervista, questa è un passaggio imprescindibile per
ottenere un’eventuale assunzione, la motivazione sottostante diviene dunque
estrinseca.
Tuttavia, in questo contesto, si è scelto di parlare di colloquio di selezione,
dal momento che, nell’ambito della selezione, una domanda c’è sempre ed è
quella che permette di iniziare tutto il processo di selezione di cui si è parlato: la
domanda di assunzione in risposta ad un annuncio di lavoro. Si potrebbe in questo
senso affermare che, il soggetto, una volta inviata candidatura, fa domanda di un
colloquio per scoprire insieme al selezionatore se è adatto o meno al ruolo in
oggetto.
Esistono inoltre altre differenze tra colloquio e selezione, ed è anche su
questa base che si è scelto in questa sede di parlare di colloquio.
Nell’intervista, il focus è orientato ai contenuti, più che alla relazione e
l’intervistatore garantisce la massima oggettività nella raccolta dei dati evitando
qualsiasi tipo di interpretazione, il setting dunque non assume particolare
importanza.
Nel colloquio invece, i due soggetti coinvolti perseguono un medesimo
obiettivo e, per raggiungerlo, l’interlocutore si rende disponibile a farsi conoscere,
anche lui è dunque parte attiva del processo, il contesto qui ha una specifica
rilevanza in quanto influenza la relazione, che a sua volta è oggetto di analisi. In
questo caso si procede dunque ad una lettura delle dinamiche e dei comportamenti
che prendono vita nel corso del colloquio, influenzati dalla relazione, è ciò che
distingue ulteriormente il colloquio dall’intervista, che si focalizza invece più su
contenuti e dati oggettivamente rilevati.
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1.2 Obiettivi del colloquio
Il colloquio permette una lettura integrata di aspetti relativi al candidato,
alla relazione e al contesto.
In linea generale si può affermare che lo scopo sia quello di raccogliere
informazioni sul candidato, attraverso uno scambio comunicativo reciproco, al
fine di valutarne l’idoneità o meno ad uno specifico ruolo lavorativo.
Il selezionatore deve raccogliere informazioni sul candidato per verificare che egli
sia in linea con il ruolo che dovrebbe ricoprire, attraverso una verifica
dell’attendibilità e validità delle informazioni in precedenza fornite.
E’ un momento di scambio bidirezionale, poiché anche il candidato riceverà
informazioni sulla posizione e sull’azienda, al fine di valutare, dati alla mano, la
sua affinità con il ruolo proposto e la mission aziendale.
Tuttavia, il colloquio di selezione, non si limita ad accertare la
compatibilità tra le caratteristiche del candidato e il job profile, ma deve anche
appurare che, tra il candidato e azienda possa esserci un’affinità al fine di creare
una collaborazione duratura soddisfacente per entrambe le parti.
Per fare questo, assume particolare importanza l’aspetto psicologico del
colloquio di selezione, cioè la consapevolezza che, le dinamiche nel colloquio,
vengono costruite da tre elementi agenti: chi conduce il colloquio (il
selezionatore), l’altro (inteso sia come committente che come candidato), la
relazione tra i protagonisti della situazione e il contesto che rende significativa
questa relazione (Carli, 1980). In questa ottica dunque, il colloquio di selezione,
deve tenere conto del contesto in cui avviene e grazie al quale si definisce e
assume significato. L’analisi del contesto, infatti, è imprescindibile in quanto
determina il motivo dell’interazione, e influenza la dinamica relazionale tra gli
interlocutori.
Alla luce di ciò, bisognerebbe considerare il colloquio di selezione uno
strumento con potenzialità ben più profonde, che va oltre la mera identificazione
di candidati con maggior similitudine con il modello atteso. Esso permette di
sviluppare un pensiero profondo sulle persone che va oltre il mito “dell’uomo
giusto al posto giusto” (Borgogni, 2008). Se viene orientato in questo senso, può
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dunque fornire importanti informazioni riguardo il rapporto tra una specifica
persona e un determinato contesto lavorativo, prevenendo quindi situazioni di
malessere e ottimizzando lo sviluppo delle persone nelle organizzazioni.
Il colloquio avrà dunque l’obiettivo di formulare dei giudizi su alcune
caratteristiche profonde del candidato al fine di dare una spiegazione ai
comportamenti “agiti” dal soggetto e fare una previsione sui comportamenti
“agibili” in futuro dalla persona in quello specifico contesto organizzativo
(Borgogni, 2008).
Un obiettivo fondamentale del colloquio è inoltre la lettura della tipologia
di relazione, che rappresenta uno strumento privilegiato di conoscenza del
candidato, nel contesto di colloquio di selezione. In un’ottica prettamente
psicologica, la comprensione della tipologia di relazione agita durante il
colloquio, permette di comprendere meglio le modalità relazionali che il candidato
ha instaurato con le sue figure significative. Tali modalità relazionali sviluppatesi
durante l’infanzia tendono ad essere stabili e si ripresentano in maniera continua
nelle relazioni future, ad esempio con l’autorità che può rintracciarsi in un capo
(Borgogni, 2008).
Questa modalità di conduzione del colloquio, attenta alla relazione,
permette di identificare il tipo di motivazione (affiliazione, potere o riuscita), che
traspare dalle dinamiche relazionali del colloquio (McClelland, 1985).
1.3 Realizzazione del colloquio di selezione
Questa fase che si va descrivendo è la realizzazione pratica del colloquio,
che porta con sé l’esigenza di una metodologia efficace. L’importanza di un
metodo adeguato, sta nel voler evitare una focalizzazione su dimensioni troppo
generali che tralasci molti dettagli, oppure al contrario acquisire informazioni
eccessivamente dettagliate e tecniche tralasciando la loro cornice di riferimento.
La realizzazione del colloquio di selezione prevede una serie di fasi, che
garantiscano l’acquisizione di aspetti chiave irrinunciabili. Tali fasi si aprono con
la preparazione preliminare e l’allestimento di un setting adeguato, va inoltre
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affrontata con delicatezza la fase di apertura, la ricognizione e assume notevole
importanza anche la fase conclusiva.
1.3.1 La preparazione preliminare
L’accoglienza vera e propria del candidato e l’inizio del colloquio,
richiedono che a monte ci sia una meticolosa preparazione, basata su una
ricognizione delle informazioni che si possiedono e di quelle che si
vogliono avere. A tal proposito un primo elemento basilare è l’analisi del
curriculum del candidato, per acquisire determinate informazioni,
individuare aspetti mancanti sui quali è utile soffermarsi in sede di
colloquio per esplorarli, questo permette dunque di formulare delle ipotesi
di lavoro, che nel corso del colloquio andranno via via riviste.
Sulla base delle conoscenze acquisite e sulla consapevolezza di
quelle che si vogliono acquisire, si prepareranno in questa fase alcune
domande ipotetiche volte ad esplorare aree mancanti.
1.3.2 Il setting
Con questo termine si fa riferimento alla cornice del colloquio,
costituito da regole e parametri fissi che delineano la situazione in cui il
colloquio prende vita. Tali parametri sono fissi per garantire una
standardizzazione della struttura del colloquio che garantisca il medesimo
trattamento a tutti i candidati. Tale cornice è spesso definita dalla durata
del colloquio, dagli spazi in cui esso si realizza, i ruoli reciproci e gli
obiettivi prefissati. Il setting garantisce dunque che si realizzino una serie
di agiti significativi per esplorare delle dimensioni irrinunciabili, dal
momento che esso influenza in maniera preponderante le modalità
relazionali. Senza setting dunque, verrebbero meno le regole primarie del
colloquio di selezione che lo definiscono come tale e si trasformerebbe in
uno scambio di informazioni privo delle dimensioni di contesto e
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relazione.
La rigidità e la strutturazione del setting permette di rilevare il
modo in cui il candidato reagisce ad esso attraverso i comportamenti messi
in atto. Alcuni esempi sono: ritardi, evitamento di temi importanti, utilizzo
del cellulare. Tali comportamenti rappresentano il voler venir meno alle
regole del setting attraverso trasgressioni che rivelano una scarsa
sopportazione alle regole proposte; questo elemento può fornire importanti
informazioni sul candidato.
1.3.3 L’apertura
La fase iniziale è abbastanza più delicata si tratta del momento in
cui i soggetti coinvolti, fino a quel momento estranei, si apprestano a
conoscersi, è questo dunque il momento della presentazione reciproca.
In questa fase assume particolare importanza l’accoglienza, in termini di
valenza relazionale. Essa viene messa in atto dal selezionatore attraverso
l’orientamento verso l’altro, cercando di metterlo a proprio agio e cercare
di creare un clima di fiducia. Questo permette di creare l’atmosfera giusta
per una conoscenza reciproca, in cui il selezionatore rappresenta l’azienda
e spiegherà il contesto organizzativo e il ruolo professionale in oggetto; il
candidato dal canto suo dovrebbe mettersi nelle condizioni di farsi
conoscere, soprattutto per il suo interesse.
Questo interesse reciproco fa nascere una sorta di alleanza
funzionale, che permette una comunicazione funzionale e mette al riparo
da situazioni in cui uno dei due soggetti si dimostra restio alla
comunicazione. Ciò può esplicitarsi attraverso comportamenti di attiva
opposizione da parte del candidato o atteggiamento ineducato e ostile da
parte del selezionatore.
La creazione di un clima di accoglienza permetterà di creare le
condizioni per una reale conoscenza dell’altro, finalizzata al
raggiungimento di un obiettivo reciproco, che non può prescindere da una
comunicazione autentica e veritiera.
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1.3.4 La ricognizione
E’ questa la fase in cui vengono esplorati gli elementi di natura
contenutistica e si passa dunque al cuore del colloquio di selezione.
Durante la fase definita di “ricognizione” vengono indagate aree
che riguardano ad esempio le capacità e le attitudini, la personalità, le
credenze e la motivazione lavorativa (Argentero, 2001).
Le aree da indagare a tal fine sono le seguenti:
motivi della candidatura: in questo senso si andrà ad indagare la
continuità o meno di tale richiesta con il percorso formativo e
lavorativo del candidato
curriculum scolastico: da intendersi non solo come inchiesta su voti
e prestazioni, l’attenzione è rivolta piuttosto ai rapporti instaurati in
quel periodo, materie predilette e eventuali ostacoli o blocchi
vissuti in questo periodo
curriculum professionale: se presente, in questa parte verrà
indagato il vissuto professionale, cioè le esperienze lavorative
maturate, le aziende in cui ha operato, conoscenze acquisite ed
eventuali problemi riscontrati; indagare anche sulla frequenza dei
cambiamenti e sui motivi. In questa fase è inoltre utile rilevare ed
indagare eventuali periodi di vuoto, sarà importante inoltre capire
la consapevolezza della persona circa il suo percorso.
motivazioni ed aspirazioni: rilevare quali sono gli aspetti di un
ruolo professionale che per il candidato possono essere più o meno
gratificanti, che posto occupa il lavoro nella sua scala di valori;
indagare inoltre la tipologia di motivazione del candidato in
rapporto alle relazioni sociali (McClelland, 1985).
immagine di sé: ottenere un’immagine di come il soggetto si vede,
e indagare la sua consapevolezza circa i suoi punti di forza e i suoi
limiti, ha come fine ultimo quello di mostrare l’idoneità rispetto al
ruolo professionale in oggetto
rappresentazione del ruolo: farsi un’idea di come il soggetto si
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immagina il ruolo che dovrà ricoprire, di quali pensa siano gli
obiettivi e le competenze necessarie e di quali potrebbero essere i
principali ostacoli; su quest’ ultimo aspetto vale la pena soffermarsi
per proporre al soggetto di confrontarsi concretamente con un
ipotetico problema e vedere le strategie messe in campo per
superarlo
Gli obiettivi del colloquio devono essere chiari, ma essi devono essere
compatibili con il tempo che si ha a disposizione, e monitorare
costantemente il tempo può aiutare ad ottimizzare gli strumenti per rrivare
agli obiettivi.
E’ importante avere un metodo ben preciso nel condurre il colloquio e
porre le domande, questo per raccogliere tutte le informazioni di cui si ha
bisogno ed evitare di passare a punti successivi quando senza aver esaurito
le tematiche della domanda precedente.
Tale metodo può essere ricondotto ad una vera e propria “tecnica delle
domande” (Birkenbhil, 1990), che si basa su tre fasi:
0. Accoglienza: domande aperte che stimolano il dialogo e
l’apertura, servono a rompere il ghiaccio
1. Esplorazione: raccogliere informazioni con domande aperte, al
fine di indagare esperienze, opinioni valori e motivazioni altrui. Si
stimola così una risposta libera che permetta di raccogliere
informazioni sulla storia personale e professionale del candidato
2. Riflessione: serve al selezionatore per crearsi un momento di
ricognizione mentale sulle informazioni ottenute e capire se vi
siano tematiche mancanti da esplorare o temi che valga la pena
approfondire e attraverso quali strategie.
3. Approfondimento: in questa fase si procede ad approfondire temi
già trattati nella fase esplorativa, ma sui quali il selezionatore vuole
ottenere informazioni in più per completare il quadro. Si utilizzano
a tal fine domande sia aperte che chiuse. In questa fase si possono
utilizzare due tecniche specifiche (Semi, 1985): la “chiarificazione”
(per approfondire aspetti non chiari del problema) e la
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“riformulazione” (il selezionatore riformula ciò che il candidato ha
detto per verificarne la corretta comprensione)
1.3.5 La conclusione
Il colloquio di selezione deve essere sia aperto che concluso in
maniera chiara e delicata. Questo perché il soggetto che si presta al
colloquio si mette a disposizione del selezionatore ed entra in relazione
con lui per un determinato periodo di tempo, creando aspettative e
coinvolgimento e il selezionatore al tempo stesso si prende in carico questa
persona per la durata del colloquio. In questo senso è importante evitare di
concludere l’incontro con toni bruschi e sbrigativi, e preparare la
conclusione del colloquio in senso sia logico che relazionale.
1.4 Modalità difensive del candidato
La situazione del colloquio può essere percepita come valutativa,
stressante e minacciosa, a ciò, alcuni individui possono reagire con modalità di
controllo e difesa volte a proteggersi da tale situazione (Ancona, 1995).
Attraverso questi comportamenti la persona tende cioè ad influenzare l’altro
agente della comunicazione, ma, tramite questi agiti egli dà informazioni su di sé,
sulle sue motivazioni e sul suo modo di interagire.
I comportamenti che danno indicazioni sulle misure di sicurezza adottate sono:
evasione: il candidato tende a divagare, mantenersi distaccato e non
focalizzarsi sul problema in oggetto, con l’obiettivo di mantenersi su un
piano superficiale e non andare in profondità riguardo uno specifico tema
seduzione: nel parlare, il candidato tenderà ad essere eccessivamente
compiacente e accomodante, al fine di cercare conferme e approvazione
aggressione: il candidato apertamente esprime una non collaborazione, si
mostra disinteressato e addirittura esprime ribellione e scontro nei
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confronti del selezionatore
Le difese danno molte informazioni circa le competenze psicologiche attivate
nell’ambito del colloquio di selezione e la loro lettura permette di comprendere il
modo in cui il soggetto gestisce situazioni di giudizio o stressanti e di come questo
si esprime nelle relazioni interpersonali.
1.5 Caratteristiche del selezionatore
L’obiettivo del colloquio è dunque conoscere il candidato sotto il
profilo delle caratteristiche soggettive, di personalità e di motivazioni. A tal fine,
il selezionatore, non seguirà rigidi schemi definiti a priori tuttavia cercherà
sempre di dare al colloquio una flessibilità, per garantire la raccolta di tutte le
informazioni di cui egli necessita per gli obiettivi sopra citati.
La figura del selezionatore dunque, assume un’importanza centrale per
l’andamento del colloquio; di seguito si delinea un profilo delle caratteristiche che
un buon selezionatore dovrebbe possedere:
· cultura generale e curiosità conoscitiva
· abilità nei rapporti sociali
· maturità e stabilità emotiva
· capacità logiche, analitiche e di valutazione
· tendenza all’ascolto, pazienza, intuito
· capacità autocritica, tendenza a mettersi in discussione
· onestà intellettuale, scarsa propensione a smanie di potere
· capacità di mantenere calma e lucidità al fine di gestire al meglio
il rapporto interpersonale con il candidato, pur evitando situazioni
di tensione e sovraffaticamento mentale (Castiello D’Antonio, 1989).
In sintesi, il profilo professionale di buon selezionatore è determinato da:
qualità soggettive: conoscenze e coscienza di sé; sufficiente equilibrio
emotivo; intelligenza-curiosità; motivazione e interesse; autocritica.
Qualità tecniche teoriche e metodologiche: conoscenza mondo del lavoro;
teorie motivazionali (motivazioni,interessi e aspettative); ruolo
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professionale; capacità di risposta aziendale.
Personalità: cultura, interessi, curiosità, onestà intellettuale, rapporti
sociali (micro e macro), maturità e stabilità emotiva, ascolto, intuito,
autocritica, adattamento, capacità di attenzione.
1.5.1 Distorsioni cognitive del selezionatore
Il selezionatore, per quanto sia un ottimo professionista e rispetti
puntualmente le regole, può essere pur sempre vittima dell’errore umano e
compiere inconsapevolmente alcune distorsioni.
E’ possibile porre rimedio a tali errori nel momento in cui il selezionatore riesca a
percepirli come tali; questo non è un aspetto scontato dal momento che sono
processi inconsapevoli e, in quanto tali, potrebbe essere molto difficile riuscire ad
accorgersene.
Un primo pericolo è connesso all’ ansietà che il suo ruolo comporta, il
pericolo, in questo caso, consiste nel fatto che l’intervistatore potrebbe non volersi
sbilanciare circa il profilo del candidato e limitarsi alla stesura di un giudizio
superficiale, tralasciando gli aspetti più profondi e significativi.
Viceversa la pressione esercitata dal ruolo stesso di selezionatore potrebbe
spingerlo ad essere eccessivamente rigido ed orientato al controllo della
situazione, facendo sentire il candidato sotto pressione e inibendone il
comportamento spontaneo.
Per quanto riguarda invece la “prima impressione” che il selezionatore si
fa incontrando per la prima volta una persona, si rileva che, a questa sono quasi
sempre associati tutta una serie di altri meccanismi pericolosi dai quali il
selezionatore deve guardarsi bene.
Di seguito si riportano una serie di distorsioni rilevate più frequentemente (De
Vito Piscicelli, 1991):
prima impressione: impressione di base che influenza tutte le impressioni
successive;
pregiudizio: idea preformata che spinge l’esaminatore a porre le domande
in un certo modo per ottenere conferma alle proprie opinioni preconcette,
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va dunque alla ricerca dei soli indizi che confermano la sua ipotesi
preconcetta tralasciando gli altri
stereotipo: pregiudizio derivante dalla cultura e dal contesto di
provenienza del selezionatore
ordine di informazione: le prime e le ultime informazioni raccolte durante
il processo di selezione sono quelle che maggiormente influenzano
effetto alone: una singola caratteristica del soggetto, se considerata in
modo molto positivo o molto negativo può gettare intorno a sé una luce di
positività o negatività coprendo altre caratteristiche, magari anche più
significative, della persona esaminata
effetto di contrasto: porta a sovrastimare qualità positive dopo una lunga
serie di qualità negative, e viceversa
ancoraggio: l’esperienza passata, privata e lavorativa del selezionatore
spesso può condizionare la sua capacità di giudizio, Può allora capitare
che, quando si conosce un candidato lo si associ con altri soggetti
esaminati in precedenza, questo comporta che il candidato reale venga
sostituito dal candidato immaginario
informazioni insufficienti: quando non si riesce ad indagare in maniera
esaustiva e con pochi elementi si decide comunque di azzardare una
valutazione
Queste ipotesi si verificano spesso e un buon selezionatore dovrebbe essere in
grado di riconoscerle e gestirle per non invalidare in qualsiasi modo il colloquio.
Conclusioni
Ciò che si è cercato di comunicare nel corso di questo capitolo è che, il
colloquio di selezione non ha il mero scopo di seguire il criterio dell’adeguatezza;
non si tratta cioè solo di rintracciare il candidato migliore in termini di
somiglianza con il profilo atteso. Esso è uno strumento che, se utilizzato in una
prospettiva psicosociale, può permettere di andare più in profondità, nella
complessità della mente umana, sviluppando analisi sulle relazioni con i contesti.
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Questo permette dunque di individuare dimensioni più complesse, come ad
esempio il rapporto tra le persone e i contesti lavorativi, se si riesce a fare cioè si
avrà la possibilità di diagnosticare e prevenire situazioni di disagio e
insoddisfazione per uno dei due lati o per entrambi e, al contrario favorire e
ottimizzare lo sviluppo delle persone in una specifica organizzazione e quindi lo
sviluppo dell’organizzazione stessa.
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Capitolo Secondo
ASSESSMENT CENTER
Nel corso del presente capitolo si delineeranno le caratteristiche dell’AC,
una particolare metodologia per l’analisi e la valutazione delle risorse umane.
Esso è uno strumento predittivo, per l’analisi e la valutazione del potenziale
durante il processo di selezione, ha come finalità quella di capire se una persona
può occupare un determinato ruolo e soddisfarlo in termini di prestazioni.
L’AC è una situazione costruita, come una sorta di contenitore, nel quale
vengono inseriti degli input tali da indurre determinate tipologie di risposte
comportamentali che vengono analizzate secondo alcuni parametri specifici.
Sostanzialmente dunque l’AC è una situazione costruita in modo da
permettere l’espressione e quindi l’osservazione di comportamenti rispetto ad
obiettivi prefissati.
2.1 Obiettivi e metodologia
Concettualmente lo scopo degli AC è quello di “individuare il complesso
di caratteristiche attitudinali e comportamentali che rappresentano il sostrato
personale di un individuo rispetto alla copertura ottimale di un ruolo
organizzativo” (Levati; Saraò, 1993).
Il presupposto degli AC è che, ponendo la persona di fronte a situazioni
concrete che ripropongono problemi effettivamente riscontrabili ricoprendo una
determinata posizione lavorativa, è possibile rilevarne il comportamento e
valutare l’attitudine a ricoprire quel determinato ruolo.
La metodologia di valutazione è basata sull’osservazione del
comportamento, per questo si cerca di limitare tutte le eventuali fonti di errore,
servendosi di più prove e più valutatori. Nel corso dell’AC infatti, vengono
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utilizzate diverse tipologie di strumenti, che vengono osservate e analizzate da un
team di esperti. Gli AC prevedono dunque prove di diverso tipo, gli strumenti più
rilevanti sono sicuramente le prove situazionali, cioè una serie di esercizi
appositamente costituiti per stimolare comportamenti specifici ritenuti importanti
per un determinato ruolo e che quindi vengono prontamente osservati e analizzati
dai valutatori.
La messa in atto di un AC è necessariamente preceduta dalla fase di
progettazione, che solitamente è costituita da 5 step principali:
1. La definizione del profilo: definire le competenze chiave del ruolo, che
saranno le dimensioni da valutare nell’AC
2. Macroprogettazione dell’AC: decidere la quantità e la tipologia di prove
da utilizzare
3. Scelta e costruzione delle singole prove e messa a punto delle griglie di
osservazione
4. Progettazione operativa: organizzazione delle giornate, definizione degli
assessor, scelta degli spazi da utilizzare e preparazione dei materiali
5. Formazione degli assessor, a cui vengono illustrati obiettivi e modalità di
attuazione del progetto
A seguito della progettazione avviene la vera e propria realizzazione dell’AC in
una o più sessioni, al termine delle quali i valutatori si confrontano per
condividere le informazioni raccolte sul candidato e arrivare ad una valutazione
condivisa.
La fase conclusiva prevede poi la compilazione di un report, che delinea le
aree di forza e le criticità rispetto al profilo ideale espresso nella definizione del
profilo (Borgogni, 2008).
2.2 Prove di Gruppo
Le prove situazionali che permettono nel modo migliore di analizzare le
competenze del candidato sono sicuramente quelle di gruppo e per questo sono
quelle più largamente diffuse. Tali prove permettono infatti di rilevare
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competenze che riguardano l’aspetto relazionale, comunicativo e lo stile di
leadership, aspetti che altre tipologie di prova non riuscirebbero a far emergere.
Esistono diversi tipi di prove, in base agli obiettivi da raggiungere e alla
lunghezza della prova.
Si descriveranno di seguito le prove di gruppo più diffuse:
Leaderless Group Discussion: ai candidati (gruppo di 6-8 persone) viene
proposta la discussione su un tema oppure vengono invitati alla risoluzione
di un problema sulla base di alcune informazioni uguali per tutti. Non c’è
l’assegnazione preventiva di un leader, per cui i candidati dovranno
autogestirsi in 30 minuti. I valutatori avranno la possibilità di osservare lo
stile comunicativo dei candidati, il loro grado di ascolto degli altri e la
tendenza da parte di qualcuno ad assumere ruoli di leadership.
Business Game: è una simulazione di gruppo che si incentra su tematiche
di gestione aziendale. Si simula una riunione che si basa su informazioni
relative a dati organizzativi e lo scopo comune è quello di interpretare
questi dati e orientarsi verso la soluzione ad un problema, questo obiettivo
comune deve essere portato a termine in 45 o 90 min. In questa prova
viene data la possibilità di creare situazioni lavorative realistiche, per cui,
oltre all’analisi relazionale e di leadership, i valutatori raccolgono anche
dati relativi alle capacità del candidato di analizzare i dati forniti e le sue
capacità di problem solving.
Role-playing di gruppo: è un tipo di simulazione di gruppo in cui ogni
candidato ha un ruolo diverso dagli altri, che solitamente è un ruolo
organizzativo specifico da agire durante una riunione di lavoro. Ad ogni
partecipante vengono date informazioni diverse dagli altri e parziali,
l’obiettivo da raggiungere è tuttavia uguale per tutti. In questo caso dunque
si ha la possibilità di osservare capacità relazionali, di condivisione delle
informazioni, l’apertura agli altri e capacità di negoziazione.
Giochi di cooperazione: questa tipologia di prova può non riguardare
strettamente tematiche organizzative, i partecipanti hanno informazioni
diverse e parziali ma un unico obiettivo da raggiungere. In una prima fase
ognuno cercherà di portare a termine il compito individualmente, finchè
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non si renderanno conto che solo mettendo in comune le informazioni
potranno raggiungere l’obiettivo.
Queste tipologie di prova hanno il vantaggio di dare informazioni su aspetti
relazionali e di evidenziare aspetti non rintracciabili belle prove individuali come
ad esempio: il ruolo che i partecipanti sono inclini ad assumere all’interno di un
gruppo; le modalità con cui un soggetto tende ad integrarsi ed adattarsi nelle
situazioni sociali; le reazioni e le difese messe in atto di fronte a situazioni
conflittuali; le modalità comunicative e relazionali prevalenti. Un altro vantaggio
è sicuramente quello di ottimizzare i tempi e i costi, dal momento che queste
prove consentono di osservare e raccogliere informazioni su più partecipanti
contemporaneamente.
Tuttavia esistono anche dei limiti per questa tipologia di prove: l’influenza che
l’osservatore può avere sui candidati che sanno di essere osservati e valutati da lui
fa sì che possano mettere in atto comportamenti diversi da quelli che
generalmente assumerebbero; l’incidenza che la composizione del gruppo può
avere sui comportamenti e sulle performance di una persona e sulla valutazione
dell’assessor, è importante perciò che egli tenga sempre in considerazione
l’influenza che il tipo di gruppo ha sul candidato; l’impatto sull’eventuale
conoscenza pregressa dei partecipanti, è dunque preferibile evitare di avere dei
partecipanti che si conoscono poiché potrebbero attivarsi dinamiche che
riguardano il loro rapporto pregresso e non la situazione in sé.
2.3 Prove Individuali
Ci sono molteplici tipologie di prove individuali, più genericamente
possono essere suddivise in scritte, orali ed esercizi con l’assessor. Gli esercizi
scritti sono per lo più orientati al compito e alla risoluzione di problemi, quelli
orali invece sono variegati e possono indagare sia dimensioni relazionali sia di
contenuto.
Si descriveranno di seguito le prove individuali più diffuse:
In-tray (o in basket): il candidato è chiamato a ricoprire il ruolo del
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manager e ha a disposizione dei materiali disorganizzati, il candidato in un
limite di tempo da 1 a 3 ore, dovrà riorganizzare la documentazione e in
più completare una serie di compiti. Tali compiti dovranno essere messi
per iscritto, tutto questo al fine di valutare il metodo di lavoro, la capacità
di organizzarsi e il problem solving. Questa prova viene utilizzata durante
l’AC per ruoli di responsabilità, ma può essere riadattata per adeguarsi
anche a ruoli più operativi.
Pensiero produttivo: in questo esercizio si chiede al candidato di proporre
idee originali e soluzioni inedite ad alcuni problemi organizzativi. Mira ad
analizzare le attitudini creative, perciò è maggiormente utilizzato per ruoli
che riguardano pubblicitari, grafici, ricercatori.
Presentazione: in questa prova al candidato viene fornita una
documentazione ampia da analizzare in poco tempo, e sulla base di ciò che
ha letto deve preparare una presentazione formale da esporre in pubblico.
Ciò consente di valutare capacità di comunicazione in pubblico e sintesi.
Role playing individuale: si tratta di una simulazione in cui il candidato
ricopre un ruolo in una situazione complicata e l’assessor ricopre il ruolo
di interlocutore. Il candidato dovrà gestire una situazione difficile
(conflitti, malcontenti, etc), ciò al fine di valutare, l’apertura e l’ascolto nei
confronti dell’altro, la capacità di mediare e negoziare e di proporre
soluzioni. Tale prova viene utilizzata per ruoli che richiedono la gestione
di clienti e collaboratori.
Situational interview: è un’intervista strutturata, affine al colloquio di
selezione, ma a differenza di quest’ultimo, le domande sono rigidamente
standardizzate. Il fine è quello di indagare le intenzioni comportamentali
che sono alla base di azioni future attraverso l’esposizione al candidato di
un dilemma, e la richiesta di raccontare una sua ipotetica reazione e azione
(Latham, Saari, Pursell, Campion, 1980).
Anche in questo caso possiamo scontrarci con alcuni limiti delle prove
individuali: il candidato può avere difficoltà nel gestire il tempo a disposizione
rispetto al compito; scarsa comprensione dei contenuti dell’esercizio; scarsa
familiarità del candidato con contesti organizzativi; problema di ansia legato sia a
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contesto nuovo che al fatto che le prove siano a tempo; infine le prove individuali
sono molto impegnative da un punto di vista organizzativo e di tempo.
2.4 Griglie di osservazione
Le griglie di osservazione sono fondamentali per una giusta valutazione
dell’AC, dal momento che forniscono ai valutatori delle linee guida per orientarsi
su cosa osservare e come registrare i comportamenti dei partecipanti e ricondurlo
ad una specifica dimensione.
Le griglie si suddividono in base al loro grado di strutturazione:
Nessuna strutturazione
Strutturazione per categorie
Strutturazione per singoli comportamenti
L’osservazione priva di strutturazione prevede di prendere nota in modo libero di
tutti i comportamenti osservati e poi, solo successivamente, ordinarli e classificarli
per dimensioni e competenze. Il rischio di questo tipo di osservazione è che,
l’assessor, potrebbe rilevare solo le informazioni che gli sembrano più rilevanti
ma che magari non sono utili ai fini della valutazione. Questo aspetto è reso più
pericoloso dal fatto che, gli assessor, devono osservare contemporaneamente più
candidati dovendo perciò decidere velocemente quali elementi rilevare e quali
tralasciare e in questo modo spesso gli elementi rilevati non sono quelli utili ai fini
della valutazione.
Le griglie in assoluto più strutturate sono le Behavioural Ancorated Rating
Scales (BARS), cioè le scale ad ancoraggio comportamentale in cui ogni
comportamento viene classificato in base ad un livello. La strutturazione di questa
scala aumenta la coerenza tra le diverse valutazioni degli assessor, dando
maggiore attendibilità all’AC. Prima di utilizzare le griglie è opportuno che essa
sia strutturata in modo adeguato rispetto al profilo ricercato per sondare le
competenze effettivamente rilevanti a tal fine.
Ci sono diversi errori di giudizio nei quali l’assessor può incorrere, i più comuni
sono:
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L’errore di tendenza centrale, cioè la tendenza a dare punteggi
prevalentemente intermedi, in questo modo si riduce notevolmente la
differenza tra dimensioni dei candidati
L’indulgenza o al contrario la severità del giudizio, cioè la propensione a
valutare prevalentemente positivamente o negativamente il
comportamento dei candidati
L’effetto alone, cioè la tendenza a generalizzare un aspetto rilevato a tutte
le altre dimensioni del medesimo soggetto
La coerenza, cioè la propensione a cogliere in maniera selettiva le
informazioni coerenti con elementi che sono stati raccolti avvalorando
dunque l’ipotesi precostituita
Per evitare questo, è importante dedicare un momento formativo agli assessor, con
la finalità di esplicitare gli eventuali errori di giudizio e renderli capaci di
difendersi da essi.
Le griglie di osservazione vengono compilate per ciascuna prova da ogni
osservatore, viene assegnato un punteggio ad ogni dimensione e, al termine
dell’AC, gli assessor si riuniranno per condividere le proprie valutazioni, discutere
le divergenze di opinione e, infine, produrre un report complessivo con punti di
forza, criticità e prospettive di sviluppo del candidato (Borgogni, Consiglio,
2008).
Conclusioni
L’AC è uno strumento molto importante ai fini di una valutazione, e porta
in sé dei vantaggi e dei limiti. Per essere considerato affidabile deve garantire una
valutazione coerente e predittiva, e deve garantire la valutazione di competenze
che siano effettivamente rilevanti per quella determinata posizione.
I vantaggi sono indubbi e fanno riferimento all’ottimizzazione di tempi e costi,
alla possibilità di vedere la persona in situazioni concrete e diverse; i valutatori
hanno, dal canto loro, la possibilità di confrontarsi e raccogliere più punti di vista,
limitando al minimo le distorsioni cognitive individuali.
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