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Convegno SISP 2016 Daniela Fisichella Università di Catania Section 1. Democrazia e democratizzazioni (Democracy and democratization) Panel 1.2 War and Democracy at EU Borderline Chair: Roberto Di Quirico Confini dell’Unione europea e azioni strategiche: democrazia, rule of law e promozione della pace in una dimensione geopolitica senza frontiere. 1.Premessa. Le alterne vicende che percorrono, infelicemente ormai da tempo, l’Unione europea 1 presentano tutte un riferimento comune, incessantemente evocato: i “confini”. Sono invocati i confini esterni del territorio dell’Ue per frenare il passaggio emorragico dei migranti che da essi tentano di entrare in Europa per poi attraversarla; sono richiamati i confini delle competenze dell’Ue rispetto ai poteri (sovrani) degli stati membri, e le competenze delle singole istituzioni europee alla luce della lettera dei Trattati istitutivi – come modificati sino ad oggi. Il termine tanto abusato di “confine” individua in tutte le ipotesi un “limite” e di conseguenza una variazione nella tutela dei diritti soggettivi. Nel funzionamento 1 D’ora in poi indicata con la sigla Ue. 1

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Convegno SISP 2016

Daniela Fisichella

Università di Catania

Section 1. Democrazia e democratizzazioni (Democracy and democratization)

Panel 1.2 War and Democracy at EU Borderline

Chair: Roberto Di Quirico

Confini dell’Unione europea e azioni strategiche: democrazia, rule of law e promozione della pace in una dimensione geopolitica senza frontiere.

1.Premessa.

Le alterne vicende che percorrono, infelicemente ormai da tempo, l’Unione europea1 presentano tutte un riferimento comune, incessantemente evocato: i “confini”. Sono invocati i confini esterni del territorio dell’Ue per frenare il passaggio emorragico dei migranti che da essi tentano di entrare in Europa per poi attraversarla; sono richiamati i confini delle competenze dell’Ue rispetto ai poteri (sovrani) degli stati membri, e le competenze delle singole istituzioni europee alla luce della lettera dei Trattati istitutivi – come modificati sino ad oggi. Il termine tanto abusato di “confine” individua in tutte le ipotesi un “limite” e di conseguenza una variazione nella tutela dei diritti soggettivi. Nel funzionamento fisiologico delle Organizzazioni intergovernative, la presenza di limiti è implicita nella loro natura intrinseca di enti derivati dagli stati: se essi esercitano poteri che sono espressione della loro peculiare sovranità, le Organizzazioni internazionali detengono competenze che sono state loro attribuite in origine, con l’atto istitutivo. Quei confini tanto urlati da tutti, spesso con scherno, per demonizzare l’Ue e stigmatizzarne le azioni intraprese, in realtà altro non sono che l’ordinario banco di prova di funzionalità dell’efficienza dell’Ue: che prima di essere tutto quel di cui è eventualmente accusata, o per cui viene invece apprezzata, è innanzi tutto un’Organizzazione intergovernativa e dunque composta da stati. Sui suoi confini esterni si specchiano alcune conseguenze dell’assenza – propizia - di confini interni e su tali confini ricchi di potenzialità si esprimono ruoli dell’Ue d’importanza cruciale.

1 D’ora in poi indicata con la sigla Ue.1

Coloro che studiano il fenomeno di cooperazione interstatale all’interno dell’Europa sin dalle origini, e dunque a partire dal secondo dopoguerra, sono inclini a tenersi lontani da posizioni estremiste radicate in una evidente componente emotiva. Con riferimento specifico all’Ue, e dunque tralasciando almeno al momento le modalità organizzative di altri enti, quali il Consiglio d’Europa, la Nato, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) - solo per introdurre alcuni enti esemplari - gli esperti in materia tendono a coltivare visioni equilibrate e moderate in relazione al processo evolutivo delle politiche europee: le quali, non va mai dimenticato, poggiano sempre ed esclusivamente su competenze conferite all’ente dagli stati.

L’errore grossolano che, a mio avviso, contraddistingue tanti dibattiti interdisciplinari, che finiscono per diventare sterili e vani, risiede nella banalità di voler valutare le prestazioni dell’Ue sempre e soltanto secondo i parametri delle azioni statali. In fondo, anche il progetto per una Costituzione per l’Europa si arenò nel 2004, dopo anni di solerte impegno da parte delle diplomazie nazionali, più sulla portata simbolica di alcune disposizioni che non sulla sostanza del loro contenuto. Raffigurare l’Unione europea come un’imperatrice o, al contrario, come una matrigna, determina un errore colossale da parte di entrambe le ricostruzioni: che lo si accetti o no, l’Ue è composta da stati, ai quali nulla può essere imposto in virtù di norme che essi stessi non abbiano contribuito ad approvare. Se è pur vero che secondo la lettera dei Trattati è ben chiara la rappresentanza degli interessi nelle principali istituzioni europee, sicché la potenziale prevalenza delle volontà statali rappresentate nel Consiglio sarebbe bilanciata da un più spiccato distacco politico della Commissione – formalmente indipendente, quest’ultima, dai governi nazionali ed espressione degli interessi dell’Ue - e che la voce democratica dei popoli europei troverebbe espressione, nello svolgimento dell’iter normativo e altrove, tramite il Parlamento europeo, è però altrettanto vero che ogni rivisitazione dei ruoli istituzionali passa dal consenso unanime degli stati membri: ciò significa che l’Ue è il risultato dell’autentica cooperazione intergovernativa.

Ciò precisato, e prima di addentrarci nel merito di singole politiche europee, va rimarcata ancora una volta la circostanza che l’Ue si rivela debole e inadeguata lì dove gli stati membri hanno affievolito le intese ed indugiato sulla necessità di attivare soluzioni collettive operative efficaci e tempestive, preferendo invece perdersi tra i rivoli di una incerta cattiva politica. E che “malgrado gli stati membri” l’Ue riesce a qualificarsi come interlocutore internazionale autorevole e convincente, privilegiato in ogni assise mondiale ove si discuta – e si spera si deliberi, anche – sulle principali tematiche globali; sulle grandi paure che angosciano la società civile internazionale e tormentano la comunità internazionale di stati: non tanto intimoriti dalla presenza di gravi minacce reali, quanto ansiosi di poter giocare un ruolo di leadership all’interno di tali vicende. Cambiamento climatico, terrorismo internazionale, scarsità di risorse vitali e di materie prime, fenomeni migratori, con l’inevitabile strascico di massicce violazioni di diritti fondamentali in tutte le loro accezioni, crisi finanziaria e disoccupazione, turbano le collettività umane e quelle statali in modo radicalmente diverso: le prime cadono spesso vittime di elementari derive populiste che

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rinfocolano nazionalismi tutti a detrimento di qualsiasi azione intergovernativa concertata; è noto come l’emotività primitiva riesca a spingere le masse popolari ad azioni gravi, inspiegabili in una situazione di equilibrio nel rapporto tra governanti e governati. Le seconde, animate da una tiepida sensibilità per il c.d. “bene comune” inscenano pantomime prive di qualsiasi spessore politico, ritardando in tal modo la definizione di soluzioni autenticamente internazionali e nascondendo dietro l’etichetta un po’ logora dell’Ue la mediocrità insita nell’esercizio della propria sovranità statale.

Avendo a mente che l’Ue è il frutto della volontà degli stati che ne fanno parte, e che gli stati che hanno aderito successivamente alla sua creazione negli anni ’50, ed anche molti decenni dopo tale data, hanno comunque deciso intenzionalmente di farne parte, accettandone gli obblighi per godere dei diritti, e comunque contrattando con l’Ue un ingresso singolarmente agevolato per ciascun nuovo entrante, un dato ineludibile va segnalato a chiusura di tale premessa e come presupposto delle osservazioni seguenti: pur non essendo uno stato, ma facendo tesoro delle prassi costituzionali degli stati membri, l’Ue poggia su un ordinamento giuridico evoluto, aggiornato, completo ed efficiente: e tale ordinamento giuridico raffinato costituisce quel patrimonio di rule of law che rende il sistema ben congegnato e reattivo rispetto alle trasgressioni del diritto. Protagonista indiscussa del successo dell’Ue individuata da un proprio ordinamento giuridico autonomo è indiscutibilmente la Corte di giustizia.

2.La capacità strategica dell’Ue come espressione di coerenza di un sistema politico-normativo.

Tralasciando le teorie politiche che mirano ad inquadrare l’Unione europea in una categoria concettuale precisa, e da lì discettare su ciò che è e ciò che non è né può essere, analizziamone la sua dimensione esterna ed interna sulla base esclusiva delle norme dei Trattati. E’ noto che l’attuale Unione europea è il risultato di decenni d’impegno volto alla realizzazione del mercato comune prima e del mercato unico/interno dopo il 1992 ed a seguito del Trattato di Maastricht.

Ricorrendo ancora una volta al concetto di “confine”, certamente l’Ue ha trionfato nell’abbattimento delle frontiere nazionali degli stati membri, al fine di realizzare la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, auspicata sin dalla prima stesura dei Trattati. All’interno, dunque, l’Ue non conosce più confini, e se da ciò sono innanzi tutto i cittadini europei a trarre vantaggi consistenti, la regolamentazione europea è stata man mano rivista ed arricchita così da favorire anche il movimento di cittadini di stati terzi, soprattutto in un quadro di ricongiungimento familiare e dunque in ottemperanza ai principi fondamentali di tutela dei diritti umani 2.

2 Cfr. Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2002, relativa al ricongiungimento familiare; Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, dell’8 ottobre 2008

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Nell’Ue, il confine è lo spazio geografico che diviene evanescente per lasciar spazio alle intese economiche prima, e politiche dopo molto tempo e svariati traguardi intermedi. Per questo fenomeno organizzativo tanto ambizioso, i padri fondatori dei Trattati hanno immaginato una solidarietà reale volta a minimizzare le differenze nazionali per enfatizzare le somiglianze e le equivalenze. Se l’Ue non è uno stato né lo sarà mai, e se non confluirà neanche in un superstato poiché non sembra ravvisabile quella comunione d’intenti che sta alla base di un processo evolutivo rivoluzionario, cionondimeno l’Ue assolve pienamente e brillantemente ai compiti che le sono stati demandati. Si mostra affannata ed incerta, invece, lì dove gli stati sono reticenti a dotarla di strumenti operativi adeguati, a loro volta espressione di scelte deliberative autonome. All’analisi di chi studia l’Ue sin dalle origini della Comunità Economica Europea (1957,CEE) ed ancor prima della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1951,CECA) il cammino svolto sin qui appare più che soddisfacente e comunque convincente. Al versante della cooperazione nei settori commerciale ed economico, d’indubbio successo e che mostra quotidianamente vantaggi negli scambi di beni e nel movimento transnazionale di persone per i fini più disparati, dal 1992 in poi – e dunque a partire dal Trattato di Maastricht – sono stati introdotti nuovi settori sensibili per la cooperazione interstatale, guidata dalle istituzioni europee: tralasciando l’architettura istituzionale specifica che ha fatto da quadro a tali forme di cooperazione, nel 1992 furono formalmente introdotte nei Trattati le garanzie poste a tutela dei diritti dell’uomo; analogamente fu operato un richiamo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Art. F del Trattato di Maastricht), adottata dal Consiglio d’Europa nel 1950; fu delineata una cooperazione più chiara in materia di politica estera e di sicurezza comune. Altre novità significative furono apportate ai Trattati, come il pilastro su Giustizia e Affari Interni (GAI) tramite il quale l’Ue era chiamata ad affrontare i temi dell’asilo e dell’immigrazione, seppure nella forma diluita delle intese intergovernative; o il progetto per l’imminente Unione Economica e Monetaria (UEM), con l’introduzione di una moneta unica, l’euro: di queste ed altre trasformazioni importanti nel sistema europeo non ci occuperemo nel presente lavoro.

In sintesi, all’inizio degli anni ’90 l’attuale Ue, dopo essersi presentata e rafforzata come unione doganale ed ente di coordinamento per le politiche commerciali degli stati membri, inaugurava una trasformazione che l’avvicinava oltremodo, nei contenuti delle politiche deliberate, alle prerogative sovrane dello stato: la protezione della persona umana, e il varo di una politica estera europea, che offriva in modo inequivocabile la lettura di una strategia.

sull’applicazione della direttiva 2003/86/CE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, COM(2008) 610 def.; Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, COM(2014) fin.; LIBRO VERDE sul diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini di paesi terzi che vivono nell'Unione europea (direttiva 2003/86/CE), COM/2011/0735 def.; Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CE.

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Senza vestire il ruolo di paladini dell’Ue, una valutazione semplice, e forse anche semplicistica, del suo operato è data dalla risposta fornita al quesito qui posto: ”Cosa sarebbe l’Europa se l’Unione europea non fosse mai esistita?”. E, ancor prima: “Saremmo riusciti a scongiurare un nuovo conflitto mondiale (rectius, globale) se attori esclusivi della comunità internazionale fossero rimasti solo gli stati?”. Chi studia gli enti intergovernativi sin dai loro albori, e ne conosce bene la genesi, sa anche come essi svolgano incessantemente la funzione di camera di decompressione che (r)allenta le pulsioni più nefaste e distruttive insite negli stati. Coloro che rimpiangono gli imperi di un tempo, e che lamentano l’erosione della sovranità statale, oltre ad apparire anacronisticamente nostalgici, si rifiutano di guardare il volto prismatico della comunità internazionale: che, secondo le epoche storiche, mostra una faccia piuttosto che un’altra, pur rimanendo sempre interamente se stessa.

Prima di soffermarci sul contributo – possibile?, reale?, eventuale? – del mercato interno al mantenimento di relazioni sufficientemente pacifiche nel continente europeo, e forse sovvertendo bizzarramente l’ordine delle tematiche da trattare, va subito ricordato – se fosse ancora necessario farlo – che dal momento in cui è stato tecnicamente possibile costruire armi di distruzione di massa, con effetti smisurati e devastanti su lunghezze molto estese sia temporali sia spaziali, le relazioni internazionali, intese come rapporti interstatali, sono mutate irreversibilmente. Laddove l’argomento di forza diviene la capacità di dotarsi di armi spaventosamente distruttive, le ostilità belliche subiscono una trasformazione radicale, che rovescia in un sol colpo il modo di intendere i rapporti tra gli stati. Tale considerazione va perfino al di là del contenuto dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che può trovare applicazione solo in relazione a modalità tradizionali di conflitto bellico 3. Le relazioni

3 in tal senso, non poche perplessità nella pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia nel 1986: Case concerning the Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America)(Merits), Judgement of 27 June 1986, http://www.icj-cij.org/docket/?sum=367&p1=3&p2=3&case=70&p3=5 e http://www.icj-cij.org/docket/?p1=3&p2=3&case=70&code=nus&p3=4, nonché nel parere reso l’8 luglio 1996, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, http://www.icj-cij.org/docket/index.php?p1=3&p2=4&k=e1&case=95&code=unan&p3=4 . Cfr. N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Giappichelli, Torino, V ed.,: “Nella controversia tra Nicaragua e Stati Uniti, (la Corte) ha affermato che secondo il diritto internazionale consuetudinario non esistono vincoli al livello di armamento di ciascuno stato (ICJ Reports, 1986, 135, par. 269) … Un problema particolare si è posto per le armi nucleari. Nel parere del 1996, la Corte internazionale di giustizia distingue tra il mero possesso delle armi nucleari e la dissuasione nucleare ( ICJ Reports, 1996, 246-247, parr. 47-48). Mentre il semplice possesso non costituisce una minaccia della forza, la dissuasione nucleare è fondata sulla minaccia dell’uso dell’arma nucleare poiché lo Stato che la possiede è pronto ad usarla in risposta ad un attacco nucleare. Ben sapendo che l’arma nucleare sarà usata contro di lui, il potenziale aggressore si astiene dal farvi ricorso per primo. La Corte non ha però condannato la dissuasione nucleare. Essa ha affermato che la liceità della dissuasione (cioè la minaccia dell’uso dell’arma nucleare) va commisurata alla liceità dell’uso della forza programmata. Se questo è lecito (ad es. reazione in legittima difesa, sarà pure lecita la dissuasione nucleare.” (pp. 427-428).

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internazionali dei nostri giorni, peraltro, sono contraddistinte sul piano conflittuale, reale o potenziale, da due estremi contrapposti: da un lato la minaccia nucleare sbandierata da alcuni paesi di tempo in tempo (la Corea del Nord, come esempio recente, o l’Iran) e dall’altro la polverizzazione degli attacchi terroristici nella forma tanto di attentati preparati e meditati – e in tal senso l’Al Qaeda di Osama bin Laden era ben equipaggiata ed esperta – quanto di attacchi quasi rudimentali e improvvisati – quali quelli messi a segno da sedicenti reclute dello stato islamico (IS), ma non per questo meno rovinosi. Dinanzi a minacce così eterogenee e dalla differente incidenza reale sul piano dell’andamento quotidiano delle relazioni internazionali, non si può chiedere all’Ue, e neanche ad altri enti intergovernativi singolarmente considerati, di mettere a punto una linea di difesa: ma una strategia comune, questa sì, certamente. E per formulare una politica strategica che non sia soltanto di difesa dei confini esterni dell’Ue, ma di promozione di pace sia per il continente europeo sia per la comunità internazionale complessivamente considerata, occorre un’azione sinergica promossa dall’Ue nei confronti dei propri stati membri e tramite gli stessi; e dall’Ue in rapporti d’intesa con stati terzi, nonché con altri enti intergovernativi: non soltanto le Nazioni Unite, dotate in campo militare più di solennità simbolica che di strumenti effettivi in quanto autonomi, ovvero propri, ma soprattutto gli enti regionali. La globalizzazione diffusasi sullo scenario internazionale sin dall’inizio degli anni ’90, ha intessuto una rete a maglie larghe, che s’infittiscono nelle varie aree del pianeta in base alle necessità, di varia natura: commerciale, economica, finanziaria, militare e di difesa. L’esautoramento di schemi politico-strategico precostituiti, se da un lato favorisce l’indeterminatezza del “nemico”, che non soltanto non è più facilmente riconducibile ad intese già note, ma non è rappresentato solo da stati, bensì anche da individui spesso solo indirettamente riconducibili alla matrice statale dell’azione, d’altro lato rende percorribili vie diplomatiche e negoziali di compromesso un tempo impensabili. Ed è stato proprio il fenomeno della globalizzazione economica a collegare gli stati gli uni agli altri con l’intento di ottimizzare gli scambi commerciali: ed a rendere molto mobili i confini tra le contrapposizioni già esistenti. Ciò determina, in verità non un’attenuazione delle contrapposizioni, ma piuttosto il proliferare di intrecci variabili tra gli stati, unitamente alle variazioni d’incidenza che essi imprimono sugli equilibri globali al mutare delle condizioni di sviluppo – e della singola posizione di ciascuno sullo scenario politico-economico, e poi strategico.

2.1. L’incidenza del mercato unico europeo nella costruzione di un ruolo internazionale non mercantilistico per l’Ue.

L’Ue può piacere oppure o no. Può risultare gradita per alcune politiche soltanto, o per nessuna. Tuttavia, il ripensamento di questa forma di cooperazione interstatale così

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strettamente intrecciata, all’interno del progetto alquanto ambizioso concepito all’inizio degli anni ’50 dai padri fondatori dell’allora Comunità Economica Europea, non sarebbe un ritorno allo status quo ante: la fine della II guerra mondiale ha messo in moto un processo vivace di rinnovamento della società internazionale, imperniato sulla moltiplicazione delle Organizzazioni internazionali, la decolonizzazione, un nuovo ordine internazionale disposto malgrado il bipolarismo della guerra fredda; e poi la caduta del muro di Berlino, con la conseguente riunificazione di Germania Est ed Ovest, e la disgregazione dell’ex Urss e della ex Jugoslavia, che ha prodotto la formazione di nuovi stati. Infine la globalizzazione, che ha investito ogni settore delle relazioni interstatali, ed alla quale proprio il mercato comune/unico/interno dell’Ue ha risposto con brillante dinamismo.

In definitiva, se allo stato attuale della configurazione dello scenario internazionale, nessuno stato o alleanza di stati è in grado di garantire una vivibilità pacifica alla comunità internazionale, le soluzioni praticabili sembrano provenire proprio dagli enti internazionali. Nelle Organizzazioni internazionali, delle quali gli stati hanno volontariamente accettato di fare parte, gli stati sono obbligati all’osservanza di forme di cooperazione – quelle sancite dai trattati istitutivi degli enti – che laddove disattese non soltanto non assecondano, come conseguenza, il predominio dei singoli stati trasgressori, supportati da spinte nazionaliste; ma ingenerano una destabilizzante crisi di governance che non giova a nessuno. Non è qui possibile tracciare neanche rapidamente il panorama del funzionamento dei principali enti intergovernativi, unitamente alle disfunzioni di ciascuno di essi; se lo si facesse, sarebbe tuttavia evidente che in alcun caso l’unilateralismo statale, e la resistenza verso la cooperazione, determina un predominio dello stato né all’interno dell’ente considerato né, tantomeno, a livello globale: se qualche risultato è registrato in tal senso, interessa solo una proiezione di breve periodo. Nel medio e lungo termine, nessuno stato o alleanza di stati ha attualmente la capacità di orientare in modo sensibile le intese internazionali. Le Organizzazioni internazionali sono quindi, ancor più che in passato, le arene di acceso confronto sui grandi temi che connotano le vicende internazionali.

E tra questi, l’Ue riscuote un discreto successo planetario, malgrado i numerosi detrattori, i più acerrimi dei quali sono individuabili proprio all’interno dell’Ue e non all’esterno di essa. Perché nelle relazioni esterne l’Ue è considerata un interlocutore stimabile e privilegiato, e disposta a dar vita a intese convenzionali flessibili e vantaggiose: accordi commerciali, di associazione, di preadesione, di cooperazione e sviluppo. Accordi che trasferiscono all’esterno le competenze di cui l’Ue gode e dispone all’interno: su quel territorio dove i confini sono sfumati dando vita ad un unico mercato animato da attività febbrili. Sui propri confini esterni l’Ue si cimenta quotidianamente nella proposizione di politiche volte a tessere e mantenere relazioni di stabilità nel continente europeo e nei più svariati settori – quelli per i quali detiene competenze almeno concorrenti con gli stati membri. Su questi confini esterni l’Ue rivendica la propria identità e rilancia la propria credibilità, che è politica ancor prima che settoriale per il campo specifico in cui gli accordi vengono conclusi 4. 4 E l’accordo stipulato nel mese di marzo di quest’anno con la Turchia, per il ricollocamento dei profughi, non è stato certo un esempio edificante dell’identità europea, o una prova convincente di

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Fa indubbiamente riflettere che le provocazioni più gravi alla tenuta del sistema europeo non provengano dall’esterno dell’Ue, dunque da quei confini che sono geografici ed anche convenzionali, ma che in realtà rivestono un ruolo sensibile in un quadro geopolitico classico, che non è l’attuale: il referendum di giugno nel Regno Unito, che guiderà presumibilmente l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, con un esito tanto più incerto quanto scarsamente meditato e consapevole è apparso il voto espresso; senza nulla aggiungere dei possibili risvolti secessionisti di Scozia ed Irlanda del Nord, che mostrano un evidente interesse a rimanere in ambito Ue. Poi la riforma costituzionale in Ungheria, e l’antieuropeismo della Polonia: le numerose fragilità connaturate ad un’intesa a 28 stati membri 5, declinate con la debolezza di svariate previsioni normative su settori cruciali, quali politica estera e di difesa e politiche migratorie, certamente non rilanciano un’immagine convincente dell’Ue. In questo stato di apparente, o evidente – dipende dal punto di vista prescelto – stato di disordine ed inefficienza, il mercato unico europeo è certamente la dimensione maggiormente produttiva di slanci positivi all’interno, nell’assenza dei confini, ed all’esterno, al passaggio di confini sempre più porosi e permeabili. Peraltro, proprio il mercato unico è l’esperienza europea più tangibile per i suoi cittadini, per i quali sono ovvie, naturali, indiscutibili le libertà garantite da questo mercato; e i diritti riconosciuti in virtù di tali libertà sono percepiti, dalle persone fisiche e giuridiche aventi nazionalità degli stati membri, con rango “costituzionale”: perché i Trattati degli anni ’50 hanno inteso dar vita ad un ordinamento giuridico autonomo, che prevale sui singoli ordinamenti nazionali in virtù di quella rinuncia alla sovranità che, per le politiche concordate, ogni stato accetta con l’adesione all’Ue. L’azione interpretativa della Corte di giustizia ha corroborato tale visione sistemica, non esitando a ribadire il primato del diritto europeo sugli ordinamenti nazionali 6. E non ha certo attenuato la portata di tale interpretazione con il parere 2/13 relativo all’adesione dell’Ue alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) 7. Che piaccia o no, che lo si condivida o no, che lo si riconosca o lo si rifiuti, l’Ue ha edificato un sistema vasto di cooperazione intergovernativa proprio dal cuore della dimensione commerciale e mercantile, dunque dal settore elettivo per regolamentare il quale gli stati fondatori hanno stipulato i trattati originari. Quest’area di cooperazione così

credibilità in ordine alla capacità dell’Ue di gestione dei flussi migratori provenienti in massa dalla Grecia (v. infra).5 La membership si ridurrebbe a 27 stati con l’uscita effettiva del Regno Unito, con il quale è però verosimile che l’Ue concluderà accordi ad hoc di notevoli dimensione e ricadute.6 Sentenza del 5 febbraio 1963, in causa 26/62, N.V. Algemene Transport – en Expeditie Onderneming Van Gend en Loos c/Amministrazione olandese, nota come Van Gend en Loos; sentenza del 15 luglio 1964, Flaminio Costa contro E.N.E.L., in causa 6/64. Cfr. U. VILLANI, Una rilettura della sentenza Van Gend en Loos dopo cinquant’anni, in Studi sull’integrazione europea, 2013, pp. 225 ss., e A. TIZZANO, J. KOKOTT, S. PRECHAL (a cura di), 50e Anniversaire de l’arrêt Van Gend en Loos, 1963-2013), Actes du Colloque, Luxembourg, 13 mai 2013, Luxembourg, 2014.7 Parere 2/13, reso dalla Corte di giustizia europea il 18.12.2014, sul quale il commento di S. VEZZANI, L’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Riflessioni all’indomani del parere 2/13 della Corte di giustizia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2016, n. 1, pp. 68-116, che solleva perplessità sull’eccezionalità dell’ordinamento giuridico europeo, dichiarata quasi esasperatamente dalla Corte di Giustizia per escludere ogni controllo esterno sul diritto dell’Ue, rifiutando così anche ogni raccordo con la CEDU e l’interpretazione data dalla Corte CEDU ai diritti ivi contemplati.

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vasta sia sul piano oggettivo dei settori progressivamente ad essa ricondotti, sia su quello soggettivo del numero crescente di stati membri, non ha soltanto realizzato la forma più sofisticata, perché fortemente istituzionalizzata, di relazioni commerciali tra stati, ma avendo il “mercato” come perno da lì ha promosso e diffuso tutte le libertà confluite poi nel ventaglio di diritti fondamentali della persona umana, a partire dal 1992 con il Trattato di Maastricht e anticipati dalla sapiente interpretazione estensiva del diritto positivo ad opera della Corte di giustizia.

Attualmente ci si interroga opportunamente su capacità e strumenti di cui l’Ue dispone per affrontare gli eventi, oltre alle minacce. Non trascurando mai la circostanza che l’Ue è il prodotto delle convergenze tra gli stati membri, e che tali convergenze s’intendono compiute anche nelle ipotesi di soluzioni non unanimi imperniate su regimi di opting out, l’integrazione commerciale ed economica raggiunta lungo i decenni di mercato condiviso ha fatto da leva per la realizzazione di obiettivi differenti e più complessi: l’istituzionalizzazione marcata dell’Ue, se solleva quesiti in ordine al grado di democraticità in essa presente, ha però fuor di ogni dubbio favorito la prosperità economica ed una pace sostenibile 8. Come confermato dagli eventi storici del Novecento, l’interdipendenza economica tra gli stati non depotenzia di per sé le tensioni conflittuali tra di essi, poiché la competizione economica dispiegata come competizione tra poteri sovrani, in realtà alimenta le spinte egemoniche 9. La Ue invece, pur creata per raggiungere in modo efficace e con scadenze tempestive obiettivi commerciali in una dimensione estesa e fortemente istituzionalizzata, proprio in virtù della cooperazione che ne è il fondamento è riuscita a minimizzare il confronto autoritario tra sovranità concorrenti, ed a volgere brillantemente verso i traguardi prefissati.

Riconoscere che il tessuto di stretta cooperazione nel settore economico-commerciale ha fatto sì che l’Ue abbia funzionato sino ad oggi come trama di contenimento per conflitti futuri, non equivale però a riconoscere ad essa lo status di ente idoneo ad assicurare la pace. La pace è “sostenibile” in congiunzione con il sano funzionamento del mercato unico, capace di assorbire e neutralizzare eventuali patologie di mercato. La sostenibilità della pace è

8 Esauriente e dettagliata la ricostruzione di J. U. ETTE, The Impact of Economic Integration within the European Union as a Factor in Conflict Transformation and Peace-Building , MS Thesis, Portland State University, 2014. Dalla disamina puntuale di molte teorie sul processo d’integrazione, per l’A. “The challenge is to ascertain under what conditions economic forces become catalysts for conflict or peace.” (p. 5). Interessante anche l’analisi di H. ANASTASIOU, The EU as a Peacebuilding System: Deconstructing Nationalism in an Era of Globalization, in International Journal of Peace Studies, vol. 12, n. 2, 2007, pp. 31-50: “In the context of rampant nationalism, economic interdependency was in fact one of the central factors that drew the nations states of pre-1945 Europe into war. In the absence of multilateral cooperation among nation-states, economic interdependency became a curse not a blessing.” (p. 34), Secondo Ette, “Economic interdependence may reduce the impact of war, but cannot maintain sustainable peace.”, p. i; “… peace and prosperity can only occur as a result of effective and prudent institutionalized democratic management of economic interdependence of free market and of economic integration … Economic integration has contributed to peace in the European Union because of the institutional frameworks set up to enhance sustainable peace.”, p. 71.9 Cfr. H. ANASTASIOU, op. cit.

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drammaticamente messa in discussione non da un’eventuale carenza di democraticità nell’impianto istituzionale dell’Ue, e neanche dalle rigidità che possono emergere nel mercato interno a seguito del perdurare della crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008, poiché la tenuta sistemica dell’Ue è apparsa sino ad oggi efficace al cospetto di questi fenomeni critici: la pace sostenibile diventa una chimera, un’oasi in dissolvenza, al rinsaldarsi dell’attitudine ad enfatizzare quei confini che la cooperazione intra-europea mira ad indebolire sin dalle origini. Al fine di ben comprendere le enormi potenzialità dell’Ue come fattore di stabilità e di pace, a partire dal consolidamento della dimensione propriamente mercantilistica, occorre archiviare – più che rivisitare – le nozioni che tipicamente esprimono lo stato come soggetto dell’ordinamento giuridico internazionale, nonché come attore principale dello scenario politico globale. L’Ue non è né vuole essere un surrogato statale: nessun soggetto diverso da uno stato detiene poteri sovrani, dunque neanche l’Ue, che pure realizza forme molto avanzate di cooperazione multilaterale, esercita una sovranità “condivisa”, poiché la sovranità è una qualità giuridica pertinente all’imperium dello stato, che indica una potestà originaria e l’indipendenza da qualsiasi altro potere. La sovranità è indivisibile, ed unici limiti al suo esercizio sono posti dagli obblighi internazionali, ormai piuttosto numerosi e riguardanti da tempo non più soltanto la sfera esterna della sovranità (ovvero i rapporti con gli altri stati parimenti sovrani o con gli stranieri – cittadini di altri stati) ma anche la sfera interna – dunque i rapporti tra lo stato e i propri cittadini. In definitiva, se l’Ue appare deficitaria nell’assolvimento di alcune sue funzioni, ciò non accade perché essa “non riesce ad agire prontamente ed efficacemente come lo stato”, bensì perché gli stati membri dell’Ue, scarsamente capaci di strumenti idonei a reagire alle minacce internazionali e dotati di un’autorevolezza formale non più integrale come in passato, hanno attribuito all’Ue alcune competenze che dovrebbero permettere ad essa di agire come fattore di stabilità almeno a livello regionale, ma non si sono mostrati disposti a rinunciare ulteriormente ad altre prerogative sovrane. Dunque, le condizioni operative dell’Ue non sono tali da favorire il successo di molti suoi interventi messi in atto come promotore di pace, e al contempo gli stati non godono più di piena sovranità, che permetterebbe loro di esprimere singolarmente una potestà decisionale unilaterale priva di compressioni. Nell’assenza di tali temperamenti, un nuovo rovinoso conflitto avrebbe verosimilmente tormentato l’Europa ancora una volta: occorrerebbe tenere ciò a mente, prima di demolire l’esperienza europea ed auspicarne lo scioglimento.

Se poi l’obiezione è quella di riconsegnare agli stati la loro sovranità nelle decisioni di politica estera, che riguardano le minacce alle frontiere (sicurezza, terrorismo, flussi migratori) conservando il mercato unico europeo come conquista d’integrazione, va notato che tale bi-dimensionalità non è più praticabile nella comunità forgiata dalla globalizzazione: ove i confini non sono spazi terminali, ma al contrario punti d’inizio.

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3. Il prisma dell’Ue: dal mercato unico alla promozione di valori. Il rapporto tra diritto e politica in una dimensione storica fluida e instabile.

Dal successo indiscusso dell’Ue mercantile si è fatta strada, con toni meno prorompenti e più meditati, ma non per questo meno incisivi sulla sfera privata dei singoli, un’Ue dei cittadini. Senza soffermarsi sulla rilevanza, innanzi tutto simbolica e poi giuridica, dell’istituto della cittadinanza introdotto con il Trattato di Maastricht nel 1992, ai fini del presente lavoro va invece rimarcata l’enfasi posta sulla rule of law dall’art. B del Trattato di Amsterdam del 1997 – entrato in vigore nel 1999 – che provvide allora a modificare l’art. F già previsto dal Trattato di Maastricht 10. L’esito definitivo del raccordo tra norme successive è l’attuale art. 2 del TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.” 11.

Sebbene la Corte di giustizia avesse già provveduto ad interpretare il diritto positivo alla luce di principi fondamentali, che non erano stati ancora immessi nei Trattati originari, gli anni ’90 consacrarono l’esplicitazione definitiva dei principi di diritto che racchiudono valori fondamentali a garanzia dei diritti umani. La proiezione evolutiva dell’Ue negli anni ’90 è dunque la valorizzazione della persona umana e non soltanto del cittadino europeo, per il quale dallo status di cittadinanza deriva un novero significativo di diritti.

Due quesiti si pongono dunque come naturale conseguenza di tali premesse: 1) su quali principi viene edificata l’Ue dei valori? Come rilevare la comunanza di principi e valori in un numero crescente di stati membri dell’Ue?; 2) come si coniuga quest’obiettivo dell’enucleazione di principi e valori comuni con il rispetto – sancito dai Trattati – dell’identità nazionale di ogni stato membro?

Tali quesiti così posti sembrano inquadrarsi in una dimensione tipicamente “interna” all’Ue: ed infatti, al di là della vaga indeterminatezza della rule of law - un falso problema per diritto internazionale e diritto dell’Ue 12 – non è agevole la conciliazione tra identità nazionale dello

10 Art. F del Trattato di Maastricht: “1. L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri, i cui sistemi di governo si fondano sui principi democratici .2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.” … (corsivo aggiunto).

11 Corsivo aggiunto.12 Cfr. S. CHESTERMAN, An International Rule of Law?, in American Journal of Comparative Law, 2008, vol. 52, fasc. 2, pp. 331-361, e in NYU Law School, Public Law Research Paper, No. 08-11, pp. 1-39, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1081738. L’A. sottolinea come il grande consenso sulla rule of law internazionale sia fortemente condizionato dall’altrettanto significativo

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stato e principi comuni che rappresentano la piattaforma valoriale e giuridica delle garanzie europee a tutela dei diritti fondamentali: testimonianze recenti dell’imbarazzo che tale raccordo può determinare, sono date dai comportamenti tenuti dall’Ungheria e dalla Polonia. Ora, è evidente – o almeno appare evidente a chi scrive – che l’insieme di questi valori evocati sin dall’incipit del TUE altro non sono che principi costituzionali di un’Ue che gli stati membri non hanno voluto dotare di una Costituzione ufficiale, ma che comunque risulta fondata su un tessuto sostanzialmente costituzionale, sul quale sono stati innestati i principi/valori fondanti e fondativi dell’Unione 13: un’Unione che, dopo aver raggiunto il traguardo del mercato unico/interno, si è rivolta verso una più stretta cooperazione economica e politica. Tralasciando ogni considerazione sul primo profilo – la cooperazione economica – e prendendo in esame solo la cooperazione politica, sembra implicito che l’idea – il progetto? – di un’Ue politica non può prescindere dalla condivisione di valori e principi, e dunque da una rule of law che non soltanto si realizza su basi democratiche ma che prevede meccanismi di allarme, avvertimento e preavviso o più gravemente sanzioni nell’ipotesi di (gravi) trasgressioni allo Stato di diritto dell’Ue. Va infatti estirpato un pregiudizio ricorrente e diffuso: poiché l’Ue non è uno stato, il suo ordinamento giuridico è meno efficace di quello statale, e le sue fragilità o, ancor peggio, i vuoti normativi ancor più accentuati di quanto non siano nei singoli ordinamenti nazionali. Se tale premessa avesse una valenza generale, dunque non specificamente coniata per l’Ue, la conseguenza immediata e diretta di essa

dissenso in ordine al suo significato, e dunque al suo contenuto: “What, then, might the rule of law mean at the international level? It is helpful here to distinguish between three possible meanings. First, the “international rule of law” may be understood as the application of rule of law principles to relations between States and other subjects of international law. Secondly, the “rule of international law” could privilege international law over national law, establishing, for example, the primacy of human rights covenants over domestic legal arrangements. Thirdly, a “global rule of law” might denote the emergence of a normative regime that touches individuals directly without formal mediation through existing national institutions.” (p.32) … “It is possible that justice will one day be sought through global law, but at the present time it is most likely to be pursued through the global organization of well-ordered States.” (p. 33). Per un richiamo recente alla rule of law internazionale, si veda United Nations General Assembly, A/66/749, 16 March 2012, Delivering justice: programme of action to strengthen the rule of law at the national and international levels, Report of the Secretary-General.13 Cfr. L. PECH, The Rule of Law as a Constitutional Principle of the European Union , 2009, Jean Monnet Working Paper 04/09, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1463242: “this principle has progressively and rightfully become a dominant organizational paradigm as regards the EU’s constitutional framework, a multifaceted or umbrella legal principle with formal and substantive elements and which lacks “full” justiciability.”, p. 9. Avendo analizzato le pur sensibili differenze tra la rule of law nella tradizione giuridica anglosassone, che alla definizione di tale nozione ha fornito il contributo più rilevante, e i principali sistemi giuridici continentali, l’A. riconosce senza incertezze l’aspetto fondativo, per l’Ue, della codificazione della rule of law come principio costituzionale, notando altresì come in tale prospettiva appaia sterile la distinzione tra dato formale/procedurale oppure sostanziale – spesso proposta nella ricostruzione della rule of law all’interno degli ordinamenti nazionali. Infine, se appare innegabile una carenza sistemica nel perseguimento delle violazioni alla rule of law («which lacks “full” justiciability», ivi) tuttavia essa è indubbiamente una misura fondamentale nella tenuta legale del sistema stesso. L’A. individua nella rule of law uno dei principi cardine dell’Ue, al quale si affiancano poi gli altri valori evocati dall’art. 2 TUE: particolarmente sul ruolo della ‘democrazia’, si veda infra.

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sarebbe la negazione di tutto il diritto internazionale, ivi compreso il diritto dell’Ue: solo lo stato nazionale sarebbe in grado, nel XXI secolo così come in passato, di governare le relazioni internazionali. Soltanto, non è così, e non lo è proprio perché le vulnerabilità degli stati hanno natura politica oltre che giuridica – non esistono ordinamenti giuridici immuni da falle – e l’unico canale di sbocco della loro debolezza, così come della loro forza, è la guerra. La banalizzazione del conflitto è una condizione chiara nel XXI secolo, che è il primo a non essere stato, almeno finora, attraversato da una guerra mondiale – globale, per usare il termine à la page. In tale contesto geopolitico, l’Ue è chiamata invece ad esprimere un ruolo cruciale di garanzia della pace e, ancor prima, di stabilizzazione geografica transnazionale, dove sopravvivono confini che dividono tragicamente invece di aprire canali di comunicazione, e sui quali transitano i traffici più turpi e insieme più redditizi. Confini di morti, pur nell’assenza di una guerra globale. Confini che in alcun caso possono rilanciare la componente territoriale della sovranità statale, poiché la volontà degli stati autori della stesura dell’atto istitutivo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), quando era ancora in corso di svolgimento il II conflitto mondiale, è confluita nel divieto generale dell’uso della forza – con la previsione di poche eccezioni, come la legittima difesa e, in seguito, gli interventi umanitari – e nella messa al bando totale del ricorso alla guerra. Proprio dalla Carta di San Francisco, accordo istitutivo dell’ONU, ha cominciato a svilupparsi e diffondersi la rule of law internazionale, che oggi permea ed ispira l’azione degli enti intergovernativi anche laddove essa non sia espressamente menzionata nei singoli atti istitutivi – diversamente dal TUE.

Per comprendere pienamente il ruolo potenzialmente molto esteso dell’Ue come promotore di pace soprattutto al di fuori dei confini esterni, oltre ad un approfondimento delle competenze dell’ente in campo strategico, occorre intanto verificarne l’assetto interno in termini di osservanza dei principi fondamentali e garanzie dei diritti.

4.La rule of law come parametro di legalità dei comportamenti degli stati membri.

Riprendendo i quesiti dianzi posti, e con riferimento diretto al primo di essi, è certamente l’art. 2 TUE a fornire ad esso la risposta. I valori individuati dall’art. 2 trovano espressione giuridica nei principi ivi illustrati, che altro non sono che le fondamenta dello stato di diritto. E non trova spazio l’obiezione secondo la quale tali valori, e principi, sono espressione delle tradizioni legali degli stati fondatori dell’allora CEE e di quelli che hanno aderito successivamente e comunque prima del grande allargamento del 2004 14 poiché le revisioni ai Trattati istitutivi, realizzate dalle varie conferenze intergovernative (cig) impongono

14 In quella data, come noto, dell’Ue entrarono a far parte dieci nuovi stati, seguiti da altri due (Romania e Bulgaria) nel 2007.

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l’unanimità dei consensi per l’entrata in vigore delle modifiche apportate. Inoltre, e senza in alcun modo discriminare tra i quindici stati già membri dell’Ue nel 2004 ed i dieci nuovi entranti – dodici, dal 2007; tredici, infine, con la Croazia dal 2013 – va ricordato che molti tra i nuovi stati aderenti sperimentavano l’indipendenza da poco tempo, e potevano dunque trovare nell’Ue un fortissimo stimolo al rilancio commerciale ed economico, ma altresì nei principi comuni dell’ente, come sintesi delle tradizioni costituzionali degli stati già membri, un accesso accelerato alle condizioni dello Stato di diritto e la possibilità di organizzare lo stato di nuova formazione più rapidamente ed efficacemente proprio ispirandosi a questo patrimonio già esistente di valori diffusi. A ciò si aggiunga l’obbligo, per ogni stato che aderisca all’Ue, di accettare integralmente l’acquis comunitario, ovvero l’intero patrimonio normativo elaborato dall’ente nel corso dei decenni e che di esso costituisce la struttura portante ed imprescindibile.

Rule of law come insieme dei valori e principi posti a fondamento dell’Ue, e acquis comunitario come insieme di principi e norme che reggono l’intero sistema dell’Ue, danno dunque vita alle garanzie sistemiche dell’Ue e permettono ad essa di qualificarsi come interlocutore credibile sia verso i cittadini europei, sia nelle relazioni con stati terzi o altre organizzazioni internazionali. Infatti, sebbene per alcuni campi d’azione il piano delle delibere intergovernative sia tutt’altro che secondario – e tra questi certamente tutte le scelte strategiche relative alla gestione delle frontiere esterne – sono cruciali gli sviluppi frattanto registrati dalle istituzioni europee in termini di competenze per via delle modifiche ai Trattati originari.

La rilevanza tutt’altro che simbolica, ma vistosamente pragmatica, della rule of law è dimostrata dai riferimenti reiterati che essa ha ricevuto in tempi recentissimi, anche sulla scorta delle minacce rappresentate da alcuni comportamenti di Polonia e Ungheria. Sfide ai principi dello Stato di diritto sono venute, nel corso del 2015, dalla Polonia di Beata Szydlo con riferimento ad alcune modifiche legislative apportate alla formazione della Corte Costituzionale polacca e alla nomina dei giudici componenti, nonché all’introduzione di controlli dell’informazione da parte dell’esecutivo 15. Analoghe modifiche costituzionali, in direzione totalitaria, erano state realizzate dall’Ungheria di Viktor Orbán nel 2013 16, che aveva anche ventilato la reintroduzione della pena di morte 17. Le reazioni delle istituzioni europee non sono, in effetti, state univoche nei due casi, e particolarmente la Commissione europea ha mostrato maggiore rigore con la Polonia che con l’Ungheria – sebbene i toni accesi della tensione tra Ue e Polonia sembrano aver registrato un’attenuazione a seguito

15 EC Press release, Commission adopts Rule of Law Opinion on the situation in Poland , Brussels, 1

June 2016, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-2015_en.htm. 16 V. C. TOSI, L’Europa demonizza Orbán e avvicina l’Ungheria alla Russia, in Limes, 15/04/2013, http://www.limesonline.com/rubrica/leuropa-demonizza-orban-e-avvicina-lungheria-alla-russia. V. anche F. CASOLARI, L’Unione europea e la “questione ungherese”: taking rights seriously, in SIDIBlog, 13.04.2013.17 Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo, European Parliament resolution of 10 June 2015 on the situation in Hungary (2015/2700(RSP)).

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degli incontri ai vertici avvenuti nel mese di giugno di quest’anno 18. Se non è da escludere che l’approccio paziente verso l’Ungheria della Commissione, astenutasi dall’innescare la fase precontenziosa del processo d’infrazione ex art. 258 TFUE, fosse legata all’intenzione di evitare di avvicinare ancor di più l’Ungheria alla Russia, tuttavia l’esperienza ungherese ha prodotto una reazione in capo alla Commissione, che ha istituito una nuova procedura a garanzia della rule of law 19. La Commissione istituisce così una nuova linea di dialogo tra l’Ue e lo stato membro che con i propri comportamenti sia suscettibile di mettere a rischio la legalità del sistema dell’Ue, e che si colloca come soluzione procedurale alternativa, e più blanda, sia rispetto all’attivazione della fase precontenziosa per inadempimento 20 sia in riferimento all’art. 7 TUE, che contempla la c.d. ‘nuclear option’. Un segnale congruente era già stato lanciato a tal proposito nel 2012 dall’allora Presidente della Commissione, Barroso, in occasione del tradizionale discorso sullo stato dell’Unione, in cui esortava gli stati membri a considerare nuovi strumenti di confronto, che fossero meno deboli e incerti della mera persuasione politica, e meno provocatori della sospensione dei diritti di voto, l’extrema ratio contemplata dall’art. 7 TUE 21. La nuova procedura d’intervento non intacca alcuna prerogativa già stabilita dai Trattati istitutivi sia per le istituzioni europee sia per gli stati membri, e non incide neanche sui meccanismi già presenti nello Statuto del Consiglio d’Europa 22. Essa può essere attivata in occasione di gravi minacce o rischi sistemici, e non di singoli episodi di inadempimento – per i quali altre procedure sono già previste – e si articola in un processo imperniato su tre gradi: 1) una dichiarazione della Commissione, che rileva la prova di indicatori chiari che testimonino ‘a systemic threat to the rule of law’ ed a seguito di tale valutazione avvia un dialogo con lo stato interessato, inviando una ‘rule of law opinion’. Lo stato destinatario può rispondere e spiegare le proprie ragioni, ed il dialogo dar vita ad uno scambio fruttuoso di opinioni tra i due interlocutori; 2) se la Commissione non si ritiene soddisfatta delle argomentazioni esposte dallo stato interessato, e se non coglie la reale volontà dello stato di rimuovere le misure che hanno destato le preoccupazioni della

18 M. CONGIU, Passata la tempesta, si lavora per ricucire le difficili relazioni tra Varsavia e Bruxelles , in ISPI, 7.06.2016, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/passata-la-tempesta-si-lavora-ricucire-le-difficili-relazioni-tra-varsavia-e-bruxelles-15241. 19 COM(2014) 158 final/2, A new EU Framework to strenghten the Rule of Law, del 19.03.2014,che annulla e sostituisce il precedente documento COM(2014) 158 fin. dell’11.03.2014.20 Art. 258 TFUE.21 CE, Discorso sullo stato dell’Unione 2013, 12 settembre 2013, http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-13-684_it.htm. V. anche Conclusions of the Council of the European Union and the member states meeting within the Council on ensuring respect for the rule of law, General Affairs Council meeting, Brussels, 16 December 2014, e Presidency non-paper for the Council (General Affairs) on 24 May 2016 - Rule of law dialogue, 8774/16, 13 May 2016: “Integration should take place in a framework that respects and protects fundamental rights and rule of law.”, p. 2, preceduto da un Consiglio analogo riunitosi il 17.11.2015, A ‘very busy’ General Affairs Council, http://www.eu2015lu.eu/en/actualites/articles-actualite/2015/11/17-conseil-cag/index.html.22 Cfr. § 3 del documento COM(2014) 158 final/2, cit., ivi compresa la nota 17: ”Article 8 of the Statute of the Council of Europe provides that a Member State that has "seriously violated" the principles of the rule of law and human rights may be suspended from its rights of representation and even be expelled from the Council of Europe. Like the mechanisms set out in Article 7 TEU, this mechanism has never been activated.

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Commissione, essa può indirizzare allo stato una raccomandazione, in cui lo esorta ad adottare provvedimenti entro una certa scadenza indicata, ad informare la Commissione delle azioni intraprese e, eventualmente, indicare essa stessa misure adeguate da adottare; 3) alla raccomandazione della Commissione segue (follow up) il monitoraggio del riscontro dato dallo stato alle indicazioni ricevute. Anche questo stadio è caratterizzato da un dialogo basato su scambi d’informazione, e se la Commissione non riporta dati sufficientemente positivi, può fare ricorso all’art. 7 TUE. Durante lo svolgimento di tutte le fasi della procedura, Parlamento europeo e Consiglio sono costantemente e tempestivamente informati. La Commissione può anche, se lo ritiene opportuno, avvalersi del supporto esterno dell’European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) nonché in alcuni casi 23 chiedere il parere del Consiglio d’Europa e della Commissione di Venezia 24. Apprezzamenti al nuovo meccanismo di recente istituzione sono stati espressi nel 2015 anche da F. Timmermans, primo vice-presidente della Commissione europea, che ha precisato come non possano essere accettati compromessi sui valori europei, ricordando che l’Ue è stata costruita nel segno della frattura con il passato e che lo stampo liberale impresso all’ente sin dalle sue origini non dovrebbe mai essere dato per scontato 25, aggiungendo che occorre usare bene gli strumenti normativi già esistenti piuttosto che affannarsi a considerare di crearne di nuovi, laddove non si riesca facilmente a realizzare gli obiettivi prefissati. Il nuovo meccanismo istituisce ed istituzionalizza un canale politico di ‘dialogo’, assente nella procedura precontenziosa ex art. 258 TUE, ove lo stato avverte già in qualche modo di essere gravemente sospettato di violazione del diritto europeo, ed è consapevole delle elevate probabilità che la Commissione effettui il passaggio dallo stadio precontenzioso a quello contenzioso dinanzi alla Corte; un’apertura al dialogo è ancor meno rinvenibile nell’art. 7 TUE, che potrebbe – almeno de jure – culminare nella sospensione dei diritti di voto dello stato per il quale sia stata constatata l’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori di cui all’art. 2 TUE 26. In verità, la c.d. ‘nuclear option’ tanto declamata

23 “as a rule and in appropriate cases,”, ibidem, § 5.24 Organo consultivo del Consiglio d’Europa, la Commissione di Venezia è stata istituita nel 1990 come Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, ed ha svolto un ruolo importante nella diffusione del patrimonio costituzionale europeo negli adeguamenti delle Costituzioni nazionali. Davvero apprezzabile il suo contributo nell’affermazione della rule of law europea negli ordinamenti dei singoli stati, che può coadiuvare con consigli esperti, e nella sua funzione di prevenzione dei conflitti.25 Commission Statement: EU framework for democracy, rule of law and fundamental rights , Strasbourg, 12 February 2015: “All too often, we take all of this for granted.”.26

Art. 7, § 2. Un Interessante contributo al nuovo meccanismo di tutela e ripristino della rule of law è in D. KOCHENOV and L. PECH, Upholding the Rule of Law in the EU: On the Commission’s ‘Pre-Article 7 Procedure’ as a Timid Step in the Right Direction, in European University Institute (EUI) Working Papers, Robert Schuman Centre for Advanced Studies (RSCAS) 2015/24, http://www.eui.eu/Publications, cui adde, degli stessi A., e con riferimenti specifici alle vicende di Ungheria e Polonia, Better Late than Never? On the Commission’s Rule of Law Framework and its First Activation, in Journal of Common Market Studies, 2016, vol. 54, issue 5 (sezione monografica sulla rule of law, in via di pubblicazione) pp. 1062-1074, disponibile in versione provvisoria in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2739893. Cfr. anche D. KOCHENOV, EU Law

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e altrettanto paventata non è mai stata resa operativa, e restano remote le possibilità che lo sia in futuro: anche nel caso della Polonia, l’unanimità richiesta dall’art. 7, § 2 TUE sarebbe rimasta lettera morta per la resistenza dell’Ungheria, che non aveva e non ha alcun interesse a contribuire alla rilevazione della gravità dei comportamenti di uno stato, laddove esso stesso aveva dato luogo a vicende analoghe 27. Cionondimeno, gli impegni accettati dagli stati preliminarmente all’adesione e determinanti per divenire stati membri dell’Ue, individuati dai criteri di Copenhagen 28, non possono rischiare di trasformarsi in lettera morta nella prassi dello status acquisito.

A conclusione delle considerazioni svolte sulla rule of law dell’Ue, riprendiamo il secondo tra i quesiti proposti supra, per avanzare una risposta: è fuor di dubbio che l’Ue intesa come sistema di valori e principi fondanti una cooperazione molto stretta tra stati sembri sfidarne in modo provocatorio l’identità nazionale, come peraltro evidenziato dalle rivendicazioni di sovranità di Ungheria e Polonia. E’ però altrettanto vero la partecipazione ad organizzazioni

without the Rule of Law: Is the Veneration of Autonomy Worth It? , in Yearbook of European Law, 2015, pp. 1-23, e C. CLOSA, D. KOCHENOV and J. H. H. WEILER, Reinforcing Rule of Law Oversight in the European Union, in EUI Working Papers, RSCAS 2014/25, http://www.eui.eu/RSCAS/Publications. Una disamina sintetica ma molto chiara ed esaustiva si trova in L. S. ROSSI, Un nuovo soft instrument per garantire il rispetto della Rule of Law nell’Unione europea, in SIDIBlog, 11.05.2015, http://www.sidiblog.org/2015/05/11/un-nuovo-soft-instrument-per-garantire-il-rispetto-della-rule-of-law-nellunione-europea/, che avanza una proposta realizzabile in una futura revisione dei Trattati: inserire nell’art. 7 TUE, una nuova base giuridica che permetta al Consiglio europeo a maggioranza qualificata – e non più all’unanimità, modalità di voto di sbarramento – su proposta della Commissione o di un terzo degli stati membri, di adottare delibere vincolanti con le quali indirizzare con misure concrete i comportamenti statali posti in violazione della rule of law, per ripristinarla. Cfr. anche F. CASOLARI, La tutela della rule of law nell’Unione europea ai tempi della crisi, ibidem, 13.09.2013, http://www.sidiblog.org/2013/09/13/la-tutela-della-rule-of-law-nellunione-europea-ai-tempi-della-crisi/, e R. PALLADINO, Il “nuovo quadro” dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto: un “contrappeso” ai limiti di applicazione della Carta ex articolo 51?, in SIDIBlog, 6.05.2014, che prende in esame specificamente il nuovo meccanismo di garanzia della rule of law nel rapporto con la Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione europea, soprattutto l’art. 51.27 A testimoniare l’attenzione molto alta delle istituzioni europee verso la rule of law, anche il discorso di V. Reding, Commissario alla Giustizia, tenuto il 4.09.2013, The EU and the Rule of Law – What next?, http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-13-677_it.htm: “The rule of law means a system in which no one – no government, no public official, no dominant company – is above the law; it means equality before the law. The rule of law also means fairness and due process … that justice is upheld by an independent judiciary, acting impartially … For the European Union, the rule of law is of particular importance. The Union is a unique construction, as it is not bound together by force, by a common army or a common police force, but only by the strength of the rule of law.”. 28 I criteri di Copenhagen sono stati definiti nel 1993 dal Consiglio europeo che lì ebbe luogo, e perfezionati dal Consiglio europeo dio Madrid nel 1995. Essi subordinano l’adesione all’Ue al la 1) presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela; 2) esistenza di una reale economia di mercato, idonea a fronteggiare la concorrenza nell’Ue; 3) la capacità effettiva di adeguamento all’acquis comunitario, e l’accettazione degli obiettivi di un’Unione economica, monetaria, politica.

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internazionali implica rinunce alla sovranità, e per l’adesione all’Ue tali rinunce sono sostanziali e gravose, ed incidono sul contenuto delle Costituzioni nazionali. Ai fini del mantenimento della legalità del sistema europeo, non è sufficiente dimostrare conformità e coerenza ai valori fondamentali solo al momento iniziale dell’adesione, per poi discostarsene con disinvoltura ogniqualvolta gorgoglino rigurgiti di sovranità, talora indotti da politiche di governo populiste. In tale prospettiva, occorre prevedere meccanismi di controllo e verifica di osservanza della rule of law europea in grado di essere attivati in qualsiasi occasione, e se l’art. 7 TUE non ha mai ricevuto attuazione perché considerato eccessivamente severo, il nuovo quadro di controllo della Commissione, basato sul dialogo protratto, può dare buoni risultati pur non prevedendo sanzioni effettive – se non il ricorso finale, del tutto ipotetico, all’art. 7 TUE. In quest’ottica, l’Ue può ben operare come interlocutore solido nella prevenzione dei conflitti ai confini esterni e nella gestione equilibrata delle crisi che su tali confini si consumano.

5.Stabilità e gestione dei conflitti: l’azione esterna dell’Ue per l’affermazione di una democrazia sostenibile.

L’orizzonte attuale dell’Ue è particolarmente composito: in linea teorica, le sue fondamenta sono quotidianamente smentite e messe in discussione; di fatto, i Trattati istitutivi hanno continuato a registrare modifiche e revisioni significative, e non è stata intaccata la natura dell’Ue come ente di cooperazione intergovernativa con vocazione sovranazionale 29. Evitando d’indugiare su aspetti delle politiche europee che esulano dal presente lavoro, poiché relativi a rapporti economici, finanziari e fiscali con gli stati membri, e pur senza nutrire un’attitudine entusiasta verso tanti comportamenti dell’Ue, sembra tuttavia innegabile che il vero guaio per l’Organizzazione sono proprio i nazionalismi statali, animati dalla nostalgia per il fiero e autarchico stato sovrano del tutto sciolto da condizionamenti internazionali istituzionalizzati. Senza peccare di buio pessimismo, e neanche di ingenuo ottimismo, per comprendere la proiezione dell’Ue occorre compararne l’ordinamento giuridico, plasmato sulla scorta di esigenze multilaterali condivise, e le scelte politiche effettuate soprattutto nelle relazioni esterne, nelle quali la mancanza di omogeneità di vedute è chiara ma prevedibile. Gli stati, proprio perché sovrani, non si sentono mai e in alcun modo avvolti da un afflato comune, che sia di solidarietà e diffusione di valori universali; gli stati membri dell’Ue non fanno eccezione a questo modello di egocentrismo narcisista: la sovranità è il gene dominante del dna dello stato. In un’epoca storica che ha maturato il divieto generale del ricorso alla forza, e che è contraddistinta da un’elevatissima interdipendenza tra le politiche statali, un’alternativa ‘forte’ di reazione è una stretta cooperazione internazionale, tanto più efficace se gemmazione di intese concordate su base 29 Una qualifica che in alcun modo la rende compatibile con un superstato o una federazione di stati.

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regionale. Occorre guardare al di là degli inevitabili confini politici: malgrado il deficit drammatico di alcuni stati (così la Grecia), il rifiuto verso la circolazione di Schengen (Danimarca, Svezia) e le clausole nazionali nell’ultimo piano europeo di ricollocamento dei migranti (opt-in eventuale per Irlanda e Regno Unito, opt-out secco per la Danimarca 30), l’esito referendario che spingerebbe il Regno Unito fuori dall’Ue – e ad oggi nulla è certo, mentre è altamente probabile che Scozia ed Irlanda del Nord cercheranno di rimanere nell’Ue, come stati indipendenti e dunque a seguito di secessione dalla Gran Bretagna, il richiamo a gran voce dell’identità nazionale da parte di Ungheria e Polonia,e dunque nonostante tutte le tensioni interne all’Ue e le acredini tra gli stati membri – rimane invisa a molti la Germania governata da Angela Merkel – proprio verso l’esterno l’Ue dispone già di un ventaglio ampio e variegato di strumenti che corrispondono a singole azioni precise, da intraprendere ogniqualvolta se ne verifichino le premesse. L’art. 21 TUE ribadisce le fondamenta dell’Ue nella sua azione esterna: ”1. L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. L’Unione si adopera per sviluppare relazioni e istituire partenariati con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali, regionali o mondiali, che condividono i principi di cui al primo comma. Essa promuove soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite.” 31.

In assenza di reali superpotenze mondiali in grado di approntare e mantenere una governance globale in senso classico, e dunque di qualificarsi come garanti di un ordine mondiale, e nella marcatura troppo segnata di alcune Organizzazioni internazionali, come la Nato, o anche le Nazioni Unite, ostaggio dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e ad ogni buon conto più efficaci in settori d’azione diversi dal mantenimento della pace, proprio l’Ue può esprimere un potenziale rilevante in questo campo, essendo già stata dotata di tante competenze: forse non del tutto adeguate, poiché ripartite con gli stati membri.

E’ significativa la dimensione operativa scelta dall’Ue per la sua azione esterna, e va subito sottolineato che la politica estera dell’Ue rappresenta solo una parte di tale azione - non la più lodevole, almeno sino ad oggi. Va subito precisato che la ‘prevenzione’ dei conflitti costituisce forse la componente migliore della strategia europea nel proprio ruolo di promotore di pace: democrazia e Stato di diritto possono essere solo risultato finale di un processo interno al territorio e al popolo interessati da conflitti o altri stati di emergenza

30 Cfr. Commissione europea, A European Agenda on Migration, COM(2015) 240 fin., del 13.05.2015.31 Inserito nel Titolo V del TUE, Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune, Capo 1, Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione. Si rimanda al testo del TUE per la lettura dei paragrafi successivi dell’art. 21, e alla Parte V del TFUE, “Azione esterna dell’Unione”.

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(catastrofi naturali, carestia, siccità, ingenti migrazioni), un processo che va innescato, guidato, monitorato ma non imposto.

5.1. L’azione strategica dell’Ue nei Piani d’azione 2012-2014 e 2015-2020 . Il Regolamento Ue n. 236/2014 dell’11.03.2014 e gli strumenti di finanziamento per l’azione esterna.

Chiaro e coerente nella direzione descritta è il Quadro strategico sui diritti umani e la democrazia e il Piano d’azione del 2012 32: “Democracy is a universal aspiration.”. Il documento riconosce i diritti umani come componente presente in ogni aspetto dell’azione esterna, e senza eccezioni 33, incardinata sia in relazioni bilaterali, idonee a tener conto delle situazioni specifiche del singolo stato terzo 34, sia in collaborazione con tutte le istituzioni multilaterali, attive sia sul piano globale sia su quello regionale 35. In tale dimensione ampiamente sinergica, tra le istituzioni europee il Parlamento europeo svolge, in ottemperanza al proprio mandato democratico, un ruolo cruciale nella promozione dei diritti umani 36. Sia il Piano d’Azione del 2012 sia l’aggiornamento del 2015, Conclusioni del Consiglio sul piano d’azione per i diritti umani e la democrazia (2015-2019) 37 sono concepiti come una tabella di marcia, una vera e propria roadmap come spesso si rinvengono nelle strategie politiche europee, ove sono scanditi a) obiettivi, posti ad intitolazione di ogni singola tabella; b) azione; c) calendario; d) responsabili. Tra gli obiettivi dell’azione programmata per il biennio 2012-2014 “Diritti umani e democrazia attraverso le politiche dell’Ue”, “Promuovere l’universalità dei diritti umani”, “Diritti umani in tutte le politiche esterne dell’Ue”. Nel periodo in corso, sono obiettivi sensibili “Rafforzare la titolarità degli attori locali”, “Adottare un approccio globale per i diritti umani in situazioni di conflitto e di crisi”, “Favorire la coerenza” in tema di migrazioni, tratta degli esseri umani e politiche di asilo. Le tabelle di riferimento illustrano una serie numerosa e dettagliata di sotto-obiettivi

32 Council of the European Union, 11855/12, 25 June 2012, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/EN/foraff/131181.pdf, in lingua inglese.33 Ibidem, p. 2.34 Ibidem, p. 3, Working with bilateral partners: “… the EU’s policy on human rights will be carefully designed for the circumstances of each country, not least through the development of country human rights strategies.”35 Ibidem, pp. 3 e 4.36 Ivi,The EU working together, p. 4.37 Consiglio dell’Unione europea, 20 luglio 2015, 10897/15, http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2015/07/20-fac-human-rights/ e http://www.consilium.europa.eu/it/documents-publications/publications/2015/eu-action-plan-on-human-rights-democracy/, cui adde anche le considerazioni riassuntive del Servizio Europeo di Azione Esterna, Fact Sheet, EU action plan on human rights and democracy 2015-2019, 20 July 2015. Per questo Piano d’azione è prevista una valutazione intermedia nel 2017.

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che mostrano come la programmazione europea sia estremamente sofisticata e ben lontana dall’improvvisazione. Entrambi i documenti danno priorità al supporto effettivo alla democrazia, e soprattutto il Piano d’azione corrente contempla con vigore il sostegno alle istituzioni nazionali, all’integrità dei processi elettorali, alla capacità delle istituzioni parlamentari, alla cooperazione con i meccanismi di tutela dei diritti umani e della democrazia a livello sia regionale che delle Nazioni Unite.

Piattaforma normativa di queste iniziative è il Regolamento (UE) n. 236/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2014, che stabilisce norme e procedure comuni per l’attuazione degli strumenti per il finanziamento dell’azione esterna dell’Unione 38, ove sono richiamati tutti i principali strumenti per il periodo 2014-2010 39: lo strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI) 40, lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR) 41, lo strumento europeo di vicinato (ENI) 42, lo strumento per la stabilità e la pace 43, lo strumento di assistenza preadesione (IPA II) 44, lo strumento di partenariato per la cooperazione con i paesi terzi 45. E’ infatti di fondamentale importanza non soltanto pianificare le operazioni, ma deliberare uno stanziamento finanziario che ne garantisca non solo l’avvio ma anche la sostenibilità per il periodo individuato in tabella. E’ però una recente decisione di attuazione della Commissione a scandire in dettaglio le diverse funzioni che l’Ue può ricoprire nello svolgimento del suo ruolo di promotore di stabilità oltre i confini esterni: assume notevole rilievo tale funzione dell’Ue di “conflict prevention” e “peace-building” davvero lontanissima dagli obiettivi originari di cooperazione, e affine invece a quella tutela della pace della quale le Nazioni Unite sono baluardo ufficiale da più di settant’anni. La Decisione della Commissione del 27.05.2015, “on the Annual Action Programme 2015 for the Instrument contributing to Stability and Peace –Conflict prevention, peace-building and crisis preparedness component to be financed from the general budget of the European Union” 46, si raccorda ad un’altra, anch’essa di attuazione, dell’11.08.2014, “adopting the Thematic Strategy Paper 2014-2020 and accompanying Multiannual indicative Programme 2014-2017 of the Instrument contributing to Stability and Peace” 47 individuando così un itinerario chiaro d’azione. La Decisione del 2015 è articolata in un gran numero di singoli interventi specifici ma compositi nell’azione esterna; anche questo documento segue una roadmap sostanziale nel perseguimento degli obiettivi, perché la chiave d’azione è unitaria, sebbene differenziata in ordine al fine che s’intende realizzare. In tutte le ipotesi grande enfasi è posta sulla

38 In Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (GUUE), L 77, del 15.03.2014, p. 95 - 108.39 Ibidem, considerando (1) del Preambolo.40 Regolamento (UE) n. 233/2014 del Parlamento europeo (PE) e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che istituisce uno strumento di finanziamento per la cooperazione allo sviluppo, in GUUE, L 77, cit., p.44 ss. 41 Regolamento (UE) n. 235/2014 del PE e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che istituisce uno strumento di finanziamento per la democrazia e i diritti umani, ibidem, p. 85 ss.42 Regolamento (UE) n. 232/2014 del PE e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, che istituisce uno strumento di partenariato europeo, ibidem,p. 27 ss.43 Regolamento (UE) n. 230/2014 del PE e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, ibidem, p. 1 ss.44 Regolamento (UE) n. 231/2014 del PE e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, ibidem, p. 11 ss.45 Regolamento (UE) n. 234/2014 del PE e del Consiglio, dell’11 marzo 2014, ibidem, p. 77.46 C(2015) 3453 del 27.05.2015, http://ec.europa.eu/dgs/fpi/documents/20150601_2015_aap_icsp_article_4_en.pdf.47 C(2014) 5607, dell’11.08.2014, http://www.eeas.europa.eu/ifs/docs/icsp_strategy_paper_2014-2020_and_mip_2014-2017_decision_en.pdf.

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capacità ‘preventiva’ delle crisi in capo all’Ue, e ciò non sorprende di certo: proprio in ragione della debolezza della sua politica estera, che comunque non sempre rileva laddove la crisi rischi di sfociare in conflitto o sia già entrata in una fase di transizione post conflittuale ma ancora molto violenta, e date invece le competenze più flessibili ed ampie nell’azione esterna, l’Ue appare un attore privilegiato ed un interlocutore attendibile nelle relazioni esterne prive del carattere “militare” in senso proprio. L’Ue intrattiene rapporti proficui su varie materie e con un numero elevatissimo di stati terzi; in alcuni casi tali rapporti prendono la forma di accordi di associazione o anche di preadesione. E’ altissima la penetrazione dell’Ue in tutti i continenti attraverso la diplomazia multilaterale, le relazioni pattizie bilaterali o transnazionali su base regionale: ed è proprio la cooperazione su scala regionale ad essere individuata da tutti i documenti pertinenti in materia come il piano ottimale di gestione delle crisi. Anche questo non sorprende, poiché già dall’inizio del XXI secolo proprio il dilagare della globalizzazione ha evidenziato l’inadeguatezza degli strumenti multilaterali sino ad allora utilizzati nella gestione di crisi, conflitti ed emergenze, palesando l’appropriatezza delle intese regionali. E le principali Organizzazioni internazionali hanno rapidamente messo a punto strategie di impatto regionale. Così l’Ue, essa stessa ente intergovernativo di cooperazione regionale, che conosce forse meglio di qualsiasi altro ente, statale o internazionale, la geopolitica contemporanea, e che può approntare operazioni efficaci in zone anche molto lontane dai propri confini esterni. E’ questo un settore di relazioni sul quale l’Ue può giocare un ruolo leader, agendo efficacemente nella prevenzione dei conflitti, intervenendo stabilmente nelle fasi di ricostruzione post conflittuale o in ipotesi di disastri naturali, garantendo lo svolgimento di elezioni libere e regolari che possano aprire varchi per governi democratici, guidando il peace-building con una varietà apprezzabile di strumenti duttili ma solidi nella copertura finanziaria, e agendo soprattutto nella prospettiva dello sviluppo: la politica di sviluppo ha sempre rivestito un’importanza primaria nelle relazioni esterne dell’Ue; nel consolidamento del suo ruolo di “conflict prevention” e “peace-building”, così come in caso di disastri naturali, l’approccio più proficuo, sebbene più impegnativo per tutti i soggetti coinvolti, è di innestare nel tessuto politico e sociale i semi della futura autonomia, e di generare condizioni di sviluppo e di stabilità nel lungo periodo e dunque oltre il superamento dell’emergenza 48.

5.2. L’azione esterna dell’Ue ai confini esterni: sicurezza e migrazioni.

Per concludere la rassegna delle svariate competenze dell’Ue nelle sue relazioni esterne, un’attenzione specifica va dedicata alle azioni intraprese proprio in ragione dell’attraversamento delle frontiere e dunque per esigenze di sicurezza – così le misure per fronteggiare tanto i flussi migratori quanto il terrorismo - e le iniziative varate per accentuare la cooperazione con i paesi terzi vicini, soprattutto quelli sul Mar Mediterraneo e gli stati dell’Europa orientale.Le strategie deliberate sono molto diverse tra i due comparti: terrorismo e migrazioni infuocano le spinte nazionaliste di alcuni paesi membri, che vorrebbero dichiarare uno stato d’emergenza ad oltranza, adottando misure speciali di sospensione di diritti e libertà. Sulla gestione dei confini esterni, pur labili e facilmente superabili, l’Ue rischia di compromettere gravemente la propria credibilità come garante dei diritti fondamentali, sin qui declamati a gran voce come diritti non comprimibili nell’azione interna ed esterna dell’Unione. E’ ben 48 Cfr. Decisione (UE) N. 472/2014 del PE e del Consiglio del 16 aprile 2014 relativa all’Anno europeo per lo sviluppo, in GUUE, L 136, del 9.05.2014.

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nota la discontinuità che ha caratterizzato la gestione europea dei flussi migratori, imputabili alla reticenza di alcuni stati membri, che vorrebbero allontanare il problema in quanto geograficamente lontani dalle frontiere di passaggio dei migranti, che entrano in Europa soprattutto con l’approdo alle coste di Grecia e Italia. Il 15 maggio 2015 la Commissione europea ha adottato l’Agenda europea sulla Migrazione 49, che detta le linee guida sulla politica d’asilo – in tal senso integrando il regime previsto dagli accordi di Schengen – e dà i numeri sulla ricollocazione degli aventi diritto all’asilo tra gli stati membri – con l’eccezione di Italia e Grecia. Va notato che tale documento è adottato nello stesso periodo dell’Agenda europea sulla Sicurezza ,50 a conferma della convergenza metodologica tra i due campi d’azione. L’Agenda sulla Migrazione individua una serie di obiettivi cruciali da raggiungere tempestivamente per regolare i flussi migratori divenuti incontrollabili e frenare le iniziative unilaterali degli stati membri volte ad impedire l’attraversamento dei migranti: va ricordato che il confine di uno stato membro che coincida con una frontiera esterna dell’Ue non può essere oggetto di misure restrittive nazionali che non ricadano tra le eccezioni alle limitazioni sulla circolazione alle frontiere, come stabilite dal diritto europeo. E se è innegabile che quantitativi massicci di migranti premono ormai costantemente ai confini dell’Ue, soprattutto su alcune frontiere nazionali, e che ciò giustificherebbe l’invocazione, da parte degli stati interessati, di misure straordinarie restrittive, tuttavia le garanzie poste a tutela dei diritti umani trovano il loro banco di prova proprio nelle situazioni di emergenza: diversamente, sono meri proclami, etichette vuote di significato. La gestione del movimento migratorio alle frontiere esterne dell’Ue va realizzata esclusivamente tramite un’azione congiunta e concertata tra gli stati membri, e non delegata ai singoli stati che vivono materialmente l’esperienza del dramma ai confini: soprattutto perché, al di là della rilevanza dei valori da tutelare, soltanto con ingenti finanziamenti possono essere intrapresi interventi efficaci e in parte risolutivi. L’Agenda sulla Migrazione suddivide gli obiettivi indicati in pacchetti attuativi e ad oggi, ne sono stati adottati tre: il 27 maggio 2015 51, il 9 settembre 2015 52 e il 15 dicembre 2015 53. La definizione, e ancor più l’attuazione, di uno schema d’azione appropriato appare ardua ed incerti i risultati, poiché la gestione di flussi migratori così ingenti non può non incrociarsi con il tema della sicurezza alle frontiere, che gli stati membri avvertono come prioritario – se non addirittura esclusivo. Le possibili infiltrazioni di terroristi e di combattenti stranieri, cittadini europei, affiliati alla lotta terroristica, costituiscono una piega - ed altresì una piaga – nell’approccio europeo al fenomeno migratorio. L’Agenda sulla Migrazione ha stabilito meccanismi di ricollocazione e reinsediamento 54; stabilito una quota di solidarietà temporanea, in base alla quale uno stato 49 COM(2015) 240 fin., del 13.06.2015.50 The European Agenda on Security, COM(2015) 185 fin., del 28.4.2015.51 Commissione europea, Comunicato stampa, La Commissione europea porta avanti l’agenda sulla migrazione, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5039_it.htm. 52 Commissione europea, Comunicato stampa, Crisi dei rifugiati: intervento risoluto della Commissione europea, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5596_it.htm. 53 Commissione europea, Comunicato stampa, Una guardia costiera e di frontiera europea per proteggere le frontiere dell’Europa, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6327_it.htm; Parlamento europeo, Attualità, http://www.europarl.europa.eu/news/it/news-room/20160701IPR34480/approvata-la-nuova-guardia-costiera-e-di-frontiera-europea. 54 European Commission, Resettlement and Relocation, 2015: “Resettlement is the transfer of non-EU national or stateless persons who have been identified as in need of international protection to an EU state where they are admitted either on humanitarian grounds or with the status of refugee.”; “Relocation is the transfer of persons who are in need of or already benefit from a form of

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membro, temporaneamente impossibilitato a partecipare ad una decisione di ricollocazione (ad esempio, a causa di una calamità naturale) dovrà versare al bilancio dell’Ue un contributo finanziario pari allo 0,002 del PIL; la negoziazione di ulteriori accordi di riammissione che si aggiungono agli esistenti; ha previsto un fondo fiduciario per l’Africa - uno strumento utilizzato nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, articolato su un unico quadro strategico che consente di assegnare i fondi con maggiore tempestività; messo a punto un piano d’azione europeo sul rimpatrio; previsto un potenziamento nel ruolo di Frontex 55. Al fine di rallentare il transito di migranti in Turchia, provenienti dalle coste turche e diretti verso l’Europa, nel mese di novembre 2015 Ue e Turchia hanno concordato un piano d’azione da attuare a partire dal mese di marzo 2016: con un’intesa politica del 18 marzo 2016 le parti hanno stabilito che i migranti sulla rotta balcanica, siriani compresi, siano rimandati in Turchia laddove non presentino domanda d’asilo in Grecia, o se tale richiesta viene rigettata 56. Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalla Grecia, l’intesa prevede il re insediamento di un siriano in un altro paese membro dell’Ue. L’obiettivo del piano d’azione, oggetto di molte critiche, è di scoraggiare il passaggio in Grecia di tanti profughi che, una volta approdati, non presenterebbero richiesta d’asilo o che siano privi dei requisiti per ottenerla. Quand’anche la situazione politica turca non fosse precipitata, comunque la Turchia non era da considerarsi un paese sicuro con il quale stringere accordi in campo umanitario; pur essendo membro del Consiglio d’Europa, sono frequenti e reiterate le violazioni dei diritti umani da parte della Turchia, e adesso, con le epurazioni seguite al colpo di stato, l’intesa raggiunta con l’Ue è, per quest’ultima, ancora più imbarazzante 57. L’attuazione del piano d’azione ha effettivamente ridotto sensibilmente il numero degli approdi in Grecia così come dei rimpatri irregolari in Turchia; nel lungo periodo occorre però monitorare sia le sorti dei richiedenti asilo, incanalati in una politica europea in materia d’asilo, sia quelle dei migranti irregolari rimpatriati in Turchia, uno stato tradizionalmente molto ‘disinvolto’ in materia di rispetto dei diritti umani.

5.2.1. La politica europea di vicinato (PEV)

A completare la ricostruzione delle relazioni esterne dell’Ue in ambito strategico è la politica europea di vicinato (PEV), che è parte integrante della politica estera e di sicurezza comune e che mira ad istituire un quadro ampio di relazioni stabili con paesi dell’area mediterranea e

international protection in one EU Member State to another EU Member State where they would be granted similar protection.”, http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/relocation_and_resettlement_factsheet_en.pdf.55 Cfr. i Comunicati stampa della Commissione europea: Ricollocazione e reinsediamento Gli Stati membri dell'UE devono agire per sostenere l'attuale gestione dei flussi, 18 maggio 2016; Ricollocazione e reinsediamento: la tendenza positiva prosegue ma occorre un impegno maggiore , 13 luglio 2016; Ricollocazione e reinsediamento Serve un maggiore e prolungato impegno in termini di ricollocazione e reinsediamento, 15 giugno 2016, e la situazione attuale relativa a Ricollocazione e Reinsediamento, Fact sheet del 13 luglio 2016.56 Cfr. C. FAVILLI, La cooperazione UE-Turchia per contenere il flusso dei migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito?, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 2016, vol. 10, n.2, pp. 405-426 e in http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2016/05/Chiara-Favilli.pdf57 L’Ue si è anche impegnata a versare alla Turchia sei miliardi di euro in due fasi di attuazione del piano, ed a liberalizzare la circolazione dei cittadini turchi in ingresso nell’Ue: cfr. Cosa prevede l’accordo sui migranti tra Ue e Turchia, http://www.internazionale.it/notizie/2016/03/18/cosa-prevede-l-accordo-sui-migranti-tra-europa-e-turchia.

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dell’Europa orientale. L’istituzionalizzazione delle relazioni a sud trae origine dal processo di Barcellona, avviato nel 1995, che ha prodotto il partenariato euro mediterraneo. Un rafforzamento dei contatti ad est prese invece avvio a seguito delle modificazioni territoriali seguite alla fine della guerra fredda. La PEV riceve un impulso deciso nel 2003, in vista del grande allargamento ad est del 2004 e con l’intento di attirare nell’orbita di cooperazione europea anche paesi che non presentavano i requisiti per l’adesione all’Ue. La PEV disegna schemi specifici di cooperazione con i singoli paesi terzi interessati, nella forma di Comunicazioni che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sono presentate congiuntamente dal Commissario per la PEV e dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. Tramite i piani d’azione varati con questi paesi terzi, l’Ue si impegna a fornire sostegno finanziario e condizioni favorevoli di accesso al mercato dell’Ue, nonché supporto tecnico e politico a fronte del loro impegno verso lo sviluppo della democrazia, il rispetto dei diritti umani, la rule of law, principi di economia di mercato, sviluppo sostenibile 58. La PEV è un meccanismo estremamente importante nel quadro strategico della politica estera dell’Ue, che consente ad essa di svolgere il ruolo delicato di “conflict prevention” e di mantenere un controllo costante sugli equilibri geopolitici dell’area di attuazione della PEV. E’ in atto un processo di revisione della PEV a fini di adeguamento alle mutazioni del contesto globale, e nella prospettiva della stabilizzazione come priorità politica 59. Il Parlamento europeo ha espresso con molta chiarezza l’orizzonte di revisione della PEV: un potenziamento della dimensione regionale della PEV, che valorizzi la capacità strategica dell’Ue al fine di rafforzarne il ruolo di partner credibile in una strategia globale impegnata nelle sfide alla sicurezza e nel contenimento delle spinte conflittuali. La PEV deve poter favorire rapporti con paesi terzi che non sono geograficamente contigui all’Ue, ma con i quali è importante intrattenere relazioni nell’ottica della tessitura di una rete multilaterale di intese. Nonostante le difficoltà e gli insuccessi, l’Ue deve sostenere i processi di transizione in tutti i paesi, e promuovere processi di democratizzazione, lo Stato di diritto, le garanzie verso i diritti umani 60 e la nuova PEV deve dimostrare la coerenza tra le politiche europee interne ed esterne, e accentuare il proprio contributo alle iniziative che riguardano la sicurezza globale 61.

58 http://eeas.europa.eu/enp/about-us/index_en.htm: “La politica europea di vicinato (PEV) è stata varata nel 2004 per aiutare l'Unione europea a sostenere e a promuovere la stabilità, la sicurezza e la prosperità nei paesi più vicini alle sue frontiere. L'UE mantiene il proprio impegno per la realizzazione di questi obiettivi, ma gli accadimenti degli ultimi anni hanno fatto emergere la necessità di un nuovo approccio, di una nuova scala di priorità e dell'introduzione di nuove modalità di lavoro.”.59 Commissione europea, Comunicato stampa, Riesame della politica europea di vicinato (PEV): un partenariato più forte per un vicinato più forte, 18 novembre 2015, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-6121_it.htm. 60 PE, Revisione della politica europea di vicinato, Risoluzione del Parlamento europeo del 9 luglio 2015 sulla revisione della politica europea di vicinato (2015/2002/(INI)), http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2015-0272+0+DOC+XML+V0//IT. 61 Ibidem, lettera U, § 2: “(Il Parlamento europeo) sottolinea che la PEV è una parte essenziale della politica estera dell’UE e deve restare una politica unica; ritiene che la PEV si iscriva nel quadro dell’azione esterna dell’UE, il cui potenziale e la cui unicità si basano sulla vasta gamma di strumenti disponibili …; sostiene che una PEV efficace sia fondamentale per rafforzare la credibilità e il posizionamento della politica estera dell’UE, e che la PEV debba dimostrare l’autentica leadership dell’UE in materia di vicinato e nelle relazioni con i nostri partner globali.”

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6. Conclusioni.

L’Ue non teme cambiamenti e innovazioni, perché la sua natura intergovernativa prevale su qualsivoglia conservatorismo nazionale. Un pragmatico realismo spinge a concludere che, al di là degli auspici e degli slanci, non abbiamo bisogno di un’Europa federale: il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, stilato tra il 1941 e il 1944, esprime un significato profondo per il periodo storico in cui fu vergato. L’evocazione del Manifesto spinelliano a Ventotene, nel corso del summit ristretto tra Francia, Germania e Italia del 23 agosto, ha un valore esclusivamente simbolico, e non per questo meno rilevante. Le minacce del XXI secolo possono essere arginate, prevenute e annullate solo per via di risposte adeguate; a tal proposito, l’Ue è già adesso capace di varare buone politiche interne ed esterne, anche in assenza di etichette che ne statuiscano il modello. E’ certamente auspicabile che l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza ponga fine ai proclami ovvii e sbiaditi ed intraprenda un’intensa fase di negoziati diplomatici ed intese che finalmente evidenzino una vera leadership dell’Ue sul piano decisionale nella definizione di strategie globali, sul presupposto delle competenze estese di cui è dotata nell’ampio settore delle relazioni esterne.

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