VarioGusto 7

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Un marchio per il prodotto tipico Arrosticini, profumo e gusto Cantina Bosco: Il vino, una tradizione di famiglia / Vitellone bianco: Qualità made in Abruzzo

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dicembre 2012

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Sped. abb. postale Art.1 com

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P 80

dicembre 2012 n.80 •

€ 4.50Un marchio per il prodotto tipico

Arrosticini, profumo e gustoCantina Bosco: Il vino, una tradizione di famiglia / Vitellone bianco: Qualità made in Abruzzo

Il compleanno delParco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise

Sangritana UNA FERROVIAPER TUTTI

Vincenzo Marinelli2000 PRESENZEALL’ADRIATICO

Auditorium dell’AquilaSULLE NOTEDELLA RINASCITA

I

Poli d’innovazione

Uniti per la competitivitàUn nuovo protocollo d’intesa tra Regione e Polo Agire

a supporto delle iniziative del consorzio

Internazionalizzazione e ricerca sono i due pilastri su cui si poggia il futuro delle aziende abruzzesi. A questo scopo Salvatore Di Paolo, presidente di Agire, il Polo

d’innovazione del comparto agroalimentare, e l’assessore regionale all’agricoltura Mauro Febbo, alla presenza del vicepresidente della Regione Alfredo Castiglione, hanno firmato un accordo che prevede una stabile collabora-zione tra l’Ente e il consorzio per rafforzare la presenza delle aziende abruzzesi sui mercati internazionali, forni-re un supporto tecnico costante alle aziende agricole e unire competenze e dotazioni per far crescere i progetti di ricerca e sviluppo. A tale scopo è stato attivato, presso la Direzione Politiche Agricole e di Sviluppo Rurale, un nuovo organismo, il Nusto (Nucleo di Supporto Tecnico Operativo) col compito di sviluppare ogni azione utile per coordinare e attuare al meglio il progetto e fornire il necessario supporto tecnico e operativo al Polo. «Se fino ad ora –ha dichiarato Di Paolo durante la conferenza stampa dello scorso 10 novembre– abbiamo concentrato i nostri sforzi nel rilevare i bisogni delle aziende e costru-ire i progetti, ora entriamo nel vivo delle iniziative che man mano assumeranno una dimensione più concreta. Il protocollo d’intesa firmato oggi con la Regione ne è la prova». Tale accordo, secondo Donato De Falcis, ammi-

nistratore delegato del Polo Agire, «È la garanzia di un supporto tecnico costante e la possibilità di partecipare a progetti e iniziative comuni. Una collaborazione quanto mai positiva per l’intero comparto agroalimentare in una logica integrata fra aziende agricole, di trasformazione e di distribuzione». L’assessore Febbo ha spiegato poi che «La Regione, tramite la Direzione Politiche Agricole e di Sviluppo e tramite il nuovo organismo concorderà con il Polo la definizione delle priorità nei vari ambiti territoriali e delle filiere produttive da sviluppare. Inoltre svolgeremo un’azione comune di sensibilizzazione e animazione in ambito nazionale ed internazionale». La collaborazione tra Regione e Polo assume particolare importanza infatti anche in funzione dell’avvio del progetto “Filiera corta”, che in tempi brevi vedrà l’ingresso di numerose altre aziende in qualità di soci nel Polo, e che si propone di facilitare la presenza sul mercato di piccole aziende agricole e di ridur-re gli intermediari per il collegamento con l’utente finale. Il 54% delle imprese aderenti al Polo appartiene ai comparti dell’agroalimentare, e di queste l’82% è costituito da mi-cro, piccole e medie imprese. Ma è significativa l’adesione anche delle più grandi imprese della regione, che messe in rete contribuiscono a dare nuovo slancio alla competitività del settore.

• Nella foto in alto la firma dell'accordo. Qui sopra, da sinistra: Mauro Febbo, Alfredo Castiglione, Salvatore Di Paolo e Donato De Falcis

II

Arrosticino, profumo e gustoArrosticini

Piace perché è informale, economico e gustoso. L’arro-sticino fa gruppo, fa amici. Fa simpatico insomma. E’ il cugino “carnale” della pizza per modalità di consumo,

l’idea vincente per chiudere o per iniziare una serata tra ami-ci, la soluzione adatta per un party in giardino, col barbecue (o meglio la classica fornacella) fumante di “grassetti” che colano sui carboni mentre qualche volontario, per lo più maschile, si cimenta con destrezza nella cottura della carne, posizionandosi come un musicista davanti al suo strumento, ispirato e munito sapientemente di occhiali da sole per evita-re involontarie lacrimazioni e bruciori agli occhi. L’arrosticino mette d’accordo giovani e meno giovani. E poi, vuoi mettere: per mangiarlo non servono le posate. Il che lascia spazio al gusto tutto primitivo di staccare la carne ancora calda a morsi dal “ceppetto” di legno, tenuto con una mano. Che per di più non si sporca.Ebbene, d’ora in poi gli arrosticini, detti anche rustelle o arrustelle, avranno un loro marchio di riconoscimento. Abruz-zese ovviamente. Già, perché il vero Arrosticino (quello con la A maiuscola) dovrà essere rigorosamente confezionato con carne di pecora abruzzese in tutte le sue parti migliori e, soprattutto, dovrà seguire una lavorazione ben precisa in ogni suo passaggio prima di finire sotto i denti del consu-matore. In pratica dalle aziende di produzione degli ovini alle tecniche di allevamento, dal trasporto degli animali alla macellazione fino ad arrivare alla preparazione degli arrosti-

cini e loro confezionamento, tutto dovrà seguire una serie di norme rivolte sia alla valorizzazione del patrimonio ovino regionale sia alla garanzia per il consumatore di mangiare un vero Arrosticino d’Abruzzo. E’ tutto sottoscritto in un recen-tissimo protocollo d’intesa tra la Direzione Agricoltura della Giunta regionale, l’Associazione Regionale Allevatori (Ara) e l’Accademia dell’Arrosticino d’Abruzzo (Acaarb). In tre, come i moschettieri a protezione della Corona, hanno istituito il marchio “Buongusto, l’Arrosticino d’Abruzzo”. E già il nome è tutto un programma.Ma torniamo un attimo indietro negli anni. Le prime notizie riguardo l’Arrosticino risalgono al 1890 circa, quando i pastori della transumanza, dopo aver ricoverate le greggi, a fine giornata, si alimentavano utilizzando gli scarti della pecora mattata per i pasti precedenti. Nulla veniva sprecato, allora. La carne, infilata a mano nei “cippetti”, veniva arrostita sui car-boni ardenti e consumata nel silenzio e nella solitudine della notte. Le origini delle “rustelle”, però, sembra risalgano ad al-cuni secoli prima, soprattutto nelle zone interne dell’Abruzzo, a ridosso del Gran Sasso e dell’area del Voltigno, in un cosid-detto “quadrilatero dell’arrosticino”, tra Carpineto della Nora, Civitella Casanova, Vestea e Villa Celiera, e in alcuni centri del Teramano. Attualmente si produce praticamente in tutto l’Abruzzo, con la carne di pecora in tutte le sue parti migliori, ed è da considerare uno dei principali “simboli distintivi” della cultura alimentare e agropastorale abruzzese.

Testo Daniela Peca

III

Arrosticino, profumo e gusto

“In effetti il vero arrosticino era composto di pezzetti di carne di ovino maschio castrato – spiega con trasporto Lorenzo Verrocchio, giornalista e presidente dell’Acaarb, l’Accademia dell’Arrosticino d’Abruzzo – ma ora viene preferita la carne di pecora sia per la facile reperibilità che per la sua più agevole lavorazione”. L’Acaarb è un’associazione culturale nata un paio d’anni fa che riunisce persone, di varia provenienza, cultori dell’enogastronomia abruzzese, e amanti del prodot-to arrosticino in maniera totalmente disinteressata. “L’idea di creare un marchio – racconta Verrocchio – è nata tra una chiacchierata e l’altra, tra amici. Nel corso degli anni ho avuto modo di raccogliere le esigenze di un prodotto più garantito e protetto, soprattutto da parte dei ristoratori. La nostra, ci tengo a sottolinearlo, è un’iniziativa fortemente aggregante, cioè aperta a tutti gli operatori del settore. Chi vuole aderire o saperne qualcosa di più può consultare il nostro sito: [email protected]”. Ma perché si è sentita forte la necessità di un marchio di identità? E’ presto detto. In giro per l’Italia, e anche per il mondo, si vendono prodotti “taroccati”, cioè fatti con carne allevata fuori regione e non controllata. Inoltre la lavorazione è spesso approssimativa e superficiale. Considerazione di non poco conto alla luce della classica “pesantezza di stomaco” che essa provoca dopo il consumo. Avete presente la fatidica frase “mi tornano su gli arrosticini di ieri sera” pronunciata al risveglio del giorno dopo?

Ecco allora la rivendicazione dell’identità contro le mistifi-cazioni e contro un preoccupante fenomeno di dispersione delle originarie caratteristiche organolettiche dell’Arrosti-cino, che invece sono legate a filo doppio con la regione abruzzese. “Purtroppo il nostro prodotto è stato soffocato negli anni – spiega Franco Cortesi, direttore tecnico dell’Ara, l’Associazione regionale degli allevatori d’Abruzzo – da un grande e organizzato mercato straniero della carne di pecora. Ora mi aspetto un rilancio del settore locale che parta non da utopistici ritorni alla transumanza, ma da una maggiore attenzione e cultura dell’allevamento della pecora finalizzato alla produzione dell’Arrosticino, e forte di accordi stipulati tra produttori, ristoratori e rivenditori. All’inizio sarà una nicchia di mercato, a vantaggio di una migliore qualità di questo prodotto che caratterizza la nostra regione. Stilare un rego-lamento di produzione serve alla salvaguardia e alla tutela degli ovini abruzzesi”. Dunque, in questo disciplinare approvato da Regione, Ara e Acaarb si precisa che gli arrosticini di qualità sono ottenuti esclusivamente dalla lavorazione di carni di ovini nati ed alle-vati in aziende zootecniche registrate e ubicate nel territorio abruzzese, macellati all’interno della stessa zona entro 48 ore dall’uscita dall’allevamento e idonei ad ottenere un prodotto con precise caratteristiche, rispondenti a condizioni e requisi-ti stabiliti. Fondamentale in questa operazione di salvataggio dell’Arrosticino originale è la creazione del ceppetto “griffato”

IV

con su scritto “Buongusto, l’arrosticino d’Abruzzo” che dovrà contenere numero tre pezzetti di carne magra alternati a due di grasso. La carne dovrà essere ben pulita, scelta e separata da residui tendinei, interstiziali e calcificazioni ossee che, se non eliminati, provocano la classica pesantezza di stomaco. La pecora migliore per la fattura dell’Arrosticino è quella anziana e grassa. Il tutto dovrà pesare intorno ai 35 grammi l’uno, essere confezionato rigorosamente a mano e cotto sul-la brace di carbone. Tutto è indicato, nulla è lasciato al caso. “Il numero dei pezzetti – precisa Marino Giorgetti, responsabile della Promozione del comparto oleicolo e dei prodotti tipici della Regione Abruzzo – è stato deciso in base alla larghezza della “fornacella” (o furnacelle), che è tipicamente stretta e lunga. In questo modo il ceppetto si appoggia al meglio ai lati e non si rischia di bruciarlo, né di arrostire troppo la carne posta ai margini del prodotto. Speriamo che questa iniziativa servirà anche da volano per la crescita dell’allevamento della pecora in Abruzzo, con conseguente aumento dell’occu-pazione. Inoltre in questo modo noi diamo al ristoratore la possibilità di ampliare l’offerta con la scelta o meno dell’Arro-sticino certificato. In questo modo clienti sanno cosa vanno a mangiare”. Nel protocollo d’intesa è stato stabilito che i bastoncini li fornirà l’Ara: ogni ristoratore e macellaio riceverà tot ceppetti firmati, pronti per l’uso. Così come la stessa Ara avrà il com-pito di controllare tutta la cosiddetta “filiera di produzione”.

L’Accademia dell’Arrosticino si prenderà cura di verificare l’emissione del prodotto al consumo. Tutti contenti dunque. Anche l’assessore regionale alle Poli-tiche agricole Mauro Febbo che con orgoglio ha annunciato l’accordo al Salone Internazionale del Gusto di Torino che ad ottobre ha visto sfilare mieli, formaggi, paste, salumi, vini e quant’altro provenienti dall’Abruzzo. Oltre ovviamente agli arrosticini. “Sono soddisfatto per la certificazione di qualità di questo prodotto – ha sottolineato Febbo – che rappresenta un’eccellenza della nostra cultura culinaria e che ci invidiano in tutto il mondo. In questo modo non solo riusciremo a dare un contributo reale alla sua promozione e valorizzazione, ma anche a rendere l’Arrosticino abruzzese unico e al riparo da possibili e fuorvianti imitazioni. Questo protocollo d’intesa è un tassello che si inserisce nella nostra politica di promozione dell’enogastronomia di qualità, punto di forza dell’economia abruzzese”. Ecco allora che l’Arrosticino, nato come gustoso prodotto della cucina povera itinerante e annotato nei diari dei pastori transumanti, sale finalmente di diritto sul trono della tradi-zione culinaria abruzzese. Ciò non toglie che nei ristoranti si continueranno a proporre anche altri tipi di “spiedini”, copie diverse per tipo di carne e per lavorazione rispetto all’origi-nale. Ma il vero brand “Arrosticino d’Abruzzo” sarà solo quello col ceppetto firmato, garanzia di qualità e di provenienza. Buon appetito. Anzi, buon gusto!

Nome: BuongustoCognome: Arrosticino d’AbruzzoPeculiarità: fatto con carne scelta di ovino localeDimensioni: composto da 5 pezzetti, di cui due di grasso infilati in un ceppoPeso: 35 grammiLavorazione: fatto a mano, pulito e sporzionato da residui tendinei, interstiziali e calcificazioni osseeCottura: sulla brace di carbone

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CantinaFILOMUSIGUELFI

Tocco da Casauria (PE) • Via F. Filomusi Guelfi, 11www.filomusiguelfi.it

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Dalla pizza alla brace il passo è breve: specialmente per uno come Luciano Passeri, che col fuoco è uno che non scherza affatto. Dopo Milù, la sua prima "creatura"

che lo ha lanciato nell'Olimpo dei pizzaioli grazie anche ai suoi successi internazionali, ad agosto ha aperto anche un ristoran-te in cui la parola "fornello" non esiste. Si chiama Foconé, e par-la esclusivamente abruzzese. Fin dall'esterno, dove è affissa una lavagna sulla quale, quotidianamente, campeggia un detto, o un proverbio, magari di uso comune nel linguaggio di oggi, ma più spesso recuperato dalla memoria della tradizione popolare e portato alla luce del sole, a testimonianza della filosofia che ispira ciò che le pareti nascondono. All'interno, infatti, tutto l'arredamento ricrea un ambiente rustico e accogliente, fatto di legno e stoffa, di mattoni a vista e sedie impagliate, in cui l'atmosfera campagnola si sposa perfettamente con il gusto deciso delle carni e dei vini. «La sfida –racconta Passeri– era quella di puntare sul prodotto locale, ma in modo diverso dal solito, con una proposta culinaria imperniata sulla carne ma capace di spaziare nei diversi utilizzi della brace in cucina». E quindi largo ai formaggi, ai contorni di verdure, alle patate e a

tutto ciò che sulla brace può trovare… la morte sua. In primis, come ci spiega la responsabile del locale, Annamaria Ragone, «Arrosticini di tre tipi: classici, di filetto e di fegato; poi fioren-tine (di razza Marchigiana, tipica locale), bistecche di vitello, l'immancabile agnello, le salsicce (anche di fegato), le braciole di maiale, e da qualche tempo anche la tagliata di vitello. Sul fronte dei primi stiamo sperimentando le zuppe di legumi, i cui sapori vengono esaltati dalla cottura alla brace». Piatto forte, prosegue Annamaria, «è l'antipasto Foconé, che permette di assaggiare un po' di tutto, carne esclusa, ma che offre un ampio ventaglio dei prodotti utilizzati nel locale». Che, va da sé, sono tutti abruzzesi, in un'ottica di filiera corta e di promozione delle eccellenze gastronomiche locali. «Per i salumi ci rifornia-mo dal salumificio Marzari, per le carni da Rino; e per i formag-gi serviamo quattro tipi di pecorini di diversa stagionatura, tra cui anche quello di Farindola e di Santa Caterina. Anche i vini, naturalmente, provengono dalle migliori cantine abruzzesi: Valentini, Marramiero, Masciarelli, Centorame, e i vini biologici di Chiusa Grande». Dietro la parete di cassette di legno che separa l'ambiente cucina dalla piccola sala da 35 posti c'è il

Dalla mente vulcanica di Luciano Passeri nasce un ristorante dove è la brace a farla da padrona

La tradizione sul fuocoRistorante Foconé

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"regno" di Andrea Casalanguida, l'esperto della brace, che insieme a Marisa D'Alessandro (specializzata nei dolci) com-pleta, con Annamaria, lo staff alla guida di Foconé. «La nostra forza, oltre alla proposta gastronomica incentrata sul prodotto locale, è la cura dei particolari: siamo attenti ai dettagli, sia nella scelta delle materie prime che nella composizione dei piatti, e anche nell'estetica dell'accoglienza». Che coinvolge il cliente con un'idea originale: su ogni tovaglietta, insieme alle posate, viene messa una matita con la quale lasciare un proverbio, o un suggerimento, o un parere sulla serata appena trascorsa davanti a un buon piatto di carne e a una bottiglia di vino. «È un modo divertente per stabilire un rapporto con gli avventori che vada al di là di quello tra ristoratore e cliente. Cerchiamo di far sentire tutti a proprio agio» prosegue Annamaria, che ha trascorso buona parte dei suoi 33 anni nella ristorazione, con esperienze in Puglia, a Bologna e, in Abruzzo, in luoghi di eccel-lenza come Les Paillotes e Ferrara. «Il bello di questo ristorante è che è in continua evoluzione. Siamo partiti con un'idea, con una filosofia che ci guida; ma le sperimentazioni possibili sono tante, e ogni giorno le proposte cambiano. Chi ci segue dall'ini-

zio sa che può tornare a distanza di tempo e ritrovare la stessa atmosfera, lo stesso calore, ma può trovarsi di fronte a proposte nuove, sempre caratterizzate da scelte di qualità».

Viale Amendola, 6/8 • Sambuceto (CH)Tel. +39 085.4462467 • Mob. +39 [email protected] • www.foconebraceria.it

Qualità made in Abruzzo

Fra le eccellenze alimentari regionali la carne bovina ha un ruolo di primo piano. Il consorzio di tutela del Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale garantisce il controllo della filiera e fornisce alcuni consigli utili per i consumatori

Vitellone bianco

Sarà capitato anche a voi di andare a fare la spesa e di trovarvi di fronte a un succulento taglio di carne. Spesso si ha l’imbarazzo nella scelta, dovuto ai diversi

tipi di animale, di prezzo e soprattutto alla presenza, sull’eti-chetta, di quelle indicazioni di provenienza cui tutti, da qual-che anno (specialmente dopo gli allarmi seguiti all’epidemia di “mucca pazza”), facciamo caso. Senza capirci granché, purtroppo: ci si accontenta, in maniera del tutto sommaria, di privilegiare il “prodotto italiano” senza domandarsi quali siano i metodi di allevamento, i mangimi utilizzati, e soprat-tutto quali siano le caratteristiche nutrizionali della carne che stiamo per acquistare. Pochi sanno, ad esempio, che la carne di Vitellone bianco di razza marchigiana –la più diffusa in Abruzzo– ha ricevuto, già nel 1998, il cosiddetto “marchio IGP”, ovvero la certificazione di Indicazione Geografica Protetta: vale a dire che, prima di giungere sul banco della macelleria,

le carni hanno seguito un percorso specifico, un disciplinare che ne garantisce un determinato standard qualitativo. Allevata soprattutto nelle Marche Abruzzo, Molise e Campa-nia, la Razza Marchigiana ha un’ottima adattabilità al pa-scolo in diverse condizioni perché si accontenta dei foraggi presenti senza ricorrere ai mangimi, aiutando a mantenere in uso anche aree e pascoli marginali. Per molti anni è rimasta in ombra per via del continuo abbandono delle campagne e per una politica agricola che non ha favorito il rinnovo di quello che da sempre è un patrimonio locale. Benchè il disciplinare dell’Indicazione Geografica Protetta sia stato approvato nel 1998, solo pochi anni fa è partita la valoriz-zazione del prodotto con campagne volte a sensibilizzare consumatori e produttori. Alcune cooperative e società si occupano di commercializzare la carne bovina certificata IGP, ricercando migliori condizioni economiche per i produttori

Qualità made in Abruzzo

attraverso una politica di qualità a garanzia dei consumatori. Con la carne di Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP di Razza Marchigiana ci sono vantaggi per tutti.I vantaggi per i consumatori. La qualità è indubbiamente un elemento distintivo di questa carne. La tracciabilità com-pleta della carne, dall’allevatore al punto vendita, è un fattore di chiarezza e riconoscibilità garantita da un organismo indipendente. Tramite l’etichetta si possono conoscere molte informazioni tra cui il nome dell’allevatore e in quali condi-zioni è stato allevato l’animale.I vantaggi per gli allevatori. Il riconoscimento della qualità permette di spuntare prezzi più alti, di lavorare meglio e con meno stress. Gli allevatori non soffrono della concorrenza di aziende di grandi dimensioni, spesso distanti migliaia di chilometri. Il sistema di allevamento è più attento al benesse-re dell’animale che viene nutrito con foraggi a basso impatto ambientale, quindi senza il ricorso a ogm o diavolerie del genere. La filiera produttiva, che si risolve all’interno del terri-torio, fa ricadere i benefici economici anche sull’indotto, fatto di piccoli trasportatori e piccoli impianti di lavorazione.I vantaggi per l’ambiente. Benché non si possa parlare di “chilometri zero”, certamente la filiera ne presenta quasi tutte le caratteristiche, compresa una notevole riduzione dell’in-quinamento ambientale derivante dalla minore necessità di trasporto a cui possiamo aggiungere che metodi di alleva-mento non stressanti per gli animali, con largo uso del pa-scolo e foraggi aziendali –senza ricorso a mangimi o alimenti derivanti da monocolture a forte impatto ambientale– danno notevole beneficio all’ambiente, prevengono l’abbandono dei terreni agricoli ed i fenomeni erosivi derivanti.Gli allevamenti. In Abruzzo, il numero degli animali di razza Marchigiana allevati è lo stesso di un decennio fa. È sceso il numero delle aziende ma è cresciuta la quantità di capi allevati per azienda.I punti vendita. La diffusione della carne IGP continua a cre-

scere. I colossi della Grande Distribuzione Organizzata, ovvero gli iper e supermercati hanno allestito delle sezioni comple-tamente dedicate alle carni a marchio; a questi si affiancano molte macellerie tradizionali, spesso in grado di preparare i tagli e consigliare al meglio i consumatori.Le mense scolastiche. Le mense scolastiche del Comune di Pescara (come già quelle di Roma) da alcuni anni hanno introdotto la carne certificata nei loro menu. Questo garanti-sce, allo stesso tempo, alimenti di qualità per i piccoli cittadini e l’aumento dei volumi commercializzati. L’introduzione di alimenti di qualità nella dieta dei piccoli li abitua ai sapori e agli aromi del territorio, e disincentiva abitudini alimentari sbagliate quali alimenti con grassi e zuccheri in eccesso.Marchio IGP: garanzia del consumatore e benefici per il territorio. Il marchio IGP “Indicazione Geografica Protet-ta” è un marchio di qualità dell’Unione Europea che viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteri-stica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione e trasformazione avviene in un’area geografica determinata. Le aziende che richiedono la certificazione IGP devono atte-nersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, e il rispetto di tali regole è garantito da un organismo di controllo indipendente. Nel nostro caso l’area interessata comprende le Marche, l’Abruzzo, il Molise e parte della Campania.Sulla scheda esposta nel punto vendita sono riportate: la razza dell’animale, la data e il luogo di macellazione, l’azienda di allevamento dell’animale, l’impianto di macellazione e lavorazione. Il controllo della filiera è garantito dal Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale (www.vitellonebianco.it), organismo indipendente con l’obiettivo principale di tracciare e monitorare tutta la filiera produttiva dei bovini italiani da carne, per offrire maggiori garanzie ai consumatori ed assicurare la massima trasparenza in ogni

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singola fase della filiera.Caratteristiche e informazioni nutrizionali. Il vitellone possiede la carne più succulenta, nutriente e fortificante. La si riconosce dal colore rosso vivo, dalla grana fine, consistente, contemporaneamente soda ed elastica al tocco, dalle piccole infiltrazioni di grasso (bianche o leggermente biancastre) che solcano la massa muscolare e dallo spessore esteriore del grasso, di colore bianco o giallo chiaro. Queste caratteristiche derivano dalla razza dell'animale e dal regime alimentare sostenuto durante il periodo d’ingrassamento.IL 74% delle carni magre è costituito da acqua, il resto da proteine di alto valore biologico per la presenza di notevoli quantità di aminoacidi essenziali.La carne contiene in media il 3% di grassi, variando da un mi-nino dello 0.5% ad un massimo del 7% mentre la carne I.G.P. presenta valori medi del 2%.Importante pregio della carne è il suo contenuto di ferro, in forma perfettamente assorbibile dall'organismo. Questo minerale è presente sia nei vegetali sia nella carne, tuttavia quello contenuto in quest'ultima è più facilmente assimilabi-le.Vademecum per il consumatore. Ecco alcune semplici re-gole per riconoscere la carne di qualità, che permettono una scelta sicura al momento dell’acquisto.Il grasso: contrariamente a quanto si crede, il sapore della carne è dato in larga misura da questo elemento. Il grasso contribuisce a mantenere la tenerezza del prodotto, deve essere bianco e compatto. Privilegiate i tagli leggermente grassi: sono quelli più saporiti e morbidi e che tendono a sfibrarsi meno in fase di cottura.La tenerezza: è la caratteristica principale per il consumatore. La tenerezza dipende dall’età dell’animale macellato: più gio-vane è l’animale, più tenera è la carne. Ma aromi e gusto della

carne dell’ani-male giovane risultano meno pronunciati, così come va posta una certa attenzione alla preparazione e alla cottura. Un buon bollito, un brasato, uno stufato non richiedono tagli molto teneri.La frollatura: è la fase in cui avviene una serie fondamentale di fenomeni. Durante la frollatura si sviluppano dei naturali processi di acidificazione e di proteolisi, attraverso i quali la carne raggiunge, nell’arco di alcuni giorni, il giusto sapore, la perfetta tenerezza e conservabilità.Il colore: il bovino fa parte del gruppo delle carni rosse. Il colo-re è dato da un pigmento contenuto nel muscolo: rosso scu-ro, quando la carne è appena tagliata. La carne del vitellone è tipicamente di un rosso più acceso di un animale giovane.I liquidi: la carne ha un contenuto di acqua pari al 65/70% del suo peso, è dunque normale che perda acqua durante la cot-tura. Anche in questo caso, più giovane è l’animale e più alto sarà il contenuto d’acqua. Quando però la carne, durante la cottura, subisce un’eccessiva riduzione delle sue dimensioni con abbondante produzione di acqua forse l’animale è stato trattato con estrogeni.Il prezzo: diffidate sempre di offerte troppo vantaggiose: il prodotto di qualità nazionale ha un maggiore costo di produ-zione, per cui se la carne è di qualità è giusto riconoscere un prezzo più alto.

“Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR): l’Europa investe nelle zone rurali” PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE PER L’ABRUZZO 2007-2013 - MIS. 1.3.3. “Sostegno alle associazioni di produttori per attività di informazione e promozione riguardo ai prodotti che rientrano nei sistemi di qualità alimentare”

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Cantina Bosco

I nomi ricorrono, nella storia della famiglia (e dell'azienda vinicola) Bosco: Giovanni, il fondatore, chiamò la cantina col nome di suo figlio Nestore, che a sua volta chiamò il proprio

figlio Giovanni. Oggi il figlio di Giovanni, Nestore –l'enologo dell'azienda, che guida insieme alla sorella Stefania– ha affidato già al piccolo Giovanni il futuro di quella che è senza dubbio una delle più prestigiose realtà della viticoltura abruzzese. Che oggi arricchisce il proprio catalogo di un nuovo nato, il passito Tatami, un 100% Moscato IGP Colline Pescaresi dal colore "giallo dorato, dal profumo floreale di immediato impatto, sentore di datteri e fichi secchi, e dal gusto pieno e avvolgente" come recita la scheda tecnica. Questo è il primo vino "da meditazione" della Cantina Bosco Nestore, che nei suoi ormai 115 anni di vita ha sfornato prodotti eccellenti soprattutto da uve Montepulciano, il vanto dell'azienda fin dall'inizio della sua attività: correva l'anno 1897, infatti, quando Giovanni Bosco iniziò la produzione di vino

dall'ottimo vitigno coltivato sulle colline pescaresi, successiva-mente trapiantato, all'inizio degli anni Ottanta, nei più ameni terreni delle campagne intorno a Nocciano per preservarlo dal rischio di inquinamento dovuto alla rapida espansione urbana della città. Da allora il Montepulciano è sempre stato il vino di punta dell'azienda: al pluripremiato Pan, con l'etichetta "d'auto-re" firmata Pietro Cascella, si è affiancato il Don Bosco, anch'esso insignito di molte medaglie conquistate nei più prestigiosi con-corsi nazionali e internazionali (la più recente è quella d'argento ottenuta al Premium Select Wine Challenge 2011 a Dusseldorf); al vino celebrativo 110 (prodotto in occasione dei 110 anni di vita della cantina), inserito nell'Annuario dei Migliori Vini D'Italia 2011, si è aggiunto Voluptuosus, vincitore della Medaglia d'Oro alla Mostra Nazionale dei Vini di Pramaggiore 2011, con la sua etichetta che l'artista Graziano Martini ha dipinto espressamente per le Cantine Bosco Nestore. Ma nella copiosa produzione di

Il vino, una tradizione di famiglia

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famiglia non mancano i vini bianchi: la versione Chardonnay di Pan, ad esempio, Medaglia d’Oro a "Chardonnay du Mon-de" in Francia per ben due volte (nel 2007 e 2010, e presente nell'Annuario dei migliori vini d'Italia 2008), il recente Pecorino IGT Colline Pescaresi, che dai già citati concorsi di Pramaggiore e di Dusseldorf è tornato a casa con al collo, rispettivamente, una Medaglia d'Oro e una d'Argento; e infine il Fior di Bosco, un moscato secco, fresco, ideale come aperitivo. «Gli ingredienti per fare un buon vino –spiegano Nestore e Stefania Bosco– sono soprattutto l'attaccamento alla terra d'origine, la passione e la qualità delle materie prime. I nostri agronomi controllano costantemente la salute dei nostri terreni e noi ripaghiamo la terra che ci dà tanta buona uva producendo quest'ottimo vino da generazioni. Siamo molto legati al territorio e cerchiamo di comunicare l'amore per il nostro meraviglioso Abruzzo attraver-so i colori, i sapori e i profumi dei nostri vini».

Tatami il nuovo nato in casa Bosco.Passito "da meditazione" dal profumo floreale e dal gusto avvolgente

• Nella foto grande Stefania Bosco nel nuovo vigneto di quasi 30 ettari a 450 mt sul livello del mare, l'ultimo investimento dell'azienda realizzato a Civitaquana. Qui sopra Nestore Bosco.

Il vino, una tradizione di famiglia

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Osteria 1851 a Nocciano

Milleottocentocinquantuno: è la data intagliata a mano sul legno della pressa del vecchio torchio che occupava i locali in cui oggi si trova l'Osteria 1851,

che appunto da quella data prende il nome. Il ristorante, che ha aperto i battenti in occasione del weekend di Cantine Aperte 2012, nasce dalla ristrutturazione, voluta dalla famiglia Bosco, di un antico palazzo ducale ai piedi del castello di Nocciano: un ambiente tipicamente medievale, con le caratteristiche volte a botte in muratura, accogliente e caldo, arredato col gusto che contraddistingue lo stile della famiglia di vignaioli, da quattro generazioni ai vertici della viticoltura abruzzese. «Il progetto è nato su nostra iniziativa –spiega Giovanni Savini, architetto– ed è stato completamente appoggiato dalla famiglia Bosco, proprietaria del palazzo. Insieme alla mia compagna, Alessia Scipione, volevamo creare un punto di aggregazione qui a Nocciano. In cucina c'è una signora del posto, da tanti anni nella ristorazione, che è stata felicissima di accompagnarci in questa nuova avventura». Il locale progettato da Savini «si compone di una sala wine-pub dove facciamo degustazioni, aperitivi e serate musicali; poi ci sono due sale più piccole dedicate alla ristorazione. L'intenzione è quella di attirare un pubblico diversificato, giovane e meno giovane». I piatti proposti dall'Osteria 1851 sono ispirati alla tradizione, con un tocco personale, e si avvalgono di materie prime e pro-dotti esclusivamente locali, dai formaggi alle carni. «Sagne e

fagioli, sagne con ceci e baccalà, pizze fritte, tagliate di black angus, bistecche, trippa. E il venerdì, su prenotazione, anche gustose lumache». E naturalmente non manca una selezione dei principali vini delle Cantine Bosco: dal celeberrimo Pan al recente vino celebrativo 110, dal "dannunziano" Voluptuosus allo storico "R" e al Don Bosco, sul fronte del Montepulciano, per proseguire con gli Chardonnay, fino al Pecorino, al Moscato Fior di Bosco e all'ultimo nato Tatami.

A ridosso del castello, in uno splendido palazzo medievale, nasce un'elegante osteria dove i sapori della tradizione incontrano il gusto inconfondibile dei vini di casa Bosco

XV

Wine, pub, chic