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Valori d’impresa in azione biblioteca dell’economia d’azienda a cura di Vittorio Coda Mario Minoja Antonio Tessitore Marco Vitale Estratto della pubblicazione

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Nella discontinuità di una crisi della quale ancora non si vede la fine, questa ricerca te-stimonia continuità e sviluppo. Innanzitutto di alcune imprese che presentano percorsidi sviluppo significativi su archi di tempo non brevi e appaiono capaci di “tenere la rot-ta” anche nell’attuale contesto. Inoltre, dei principi di buona gestione, che emergonodalla ricerca in continuità con i fondamenti dell’economia aziendale e nel contempo nesono uno sviluppo. Infine, la continuità e lo sviluppo ventennale dell’attività di ISVI, cheha ispirato la ricerca.L’ancoraggio a valori etici e imprenditoriali forti, vissuti con intensità e coerenza nellescelte strategiche e nella gestione operativa, incorporati nella cultura aziendale e tra-mandati nel tempo, emerge dalla ricerca come fattore determinante della capacità di ri-mettersi costantemente in gioco, di porsi traguardi sempre nuovi e sfidanti, di concepi-re e realizzare strategie motivanti, coesive e capaci di orientarsi in un contesto in evolu-zione talvolta difficile.

Giuseppe Gario, Presidente ISVI

€ 45,00

Valori d’impresa in azione

biblioteca dell’economia d’azienda

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a cura diVittorio CodaMario Minoja

Antonio TessitoreMarco Vitale

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Valori d’impresa in azione

a cura di Vittorio CodaMario Minoja

Antonio TessitoreMarco Vitale

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All’Ing. GIUSEPPE CROSTI, fondatore e primo presidente

dell'Istituto per i Valori d'Impresa

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VII

Indice

Presentazione XI 1. Valori imprenditoriali e comportamenti strategici:

vent’anni dopo (M. Vitale) 1

1.1. Strategia e pensiero. 2 1.2. Valori d’impresa e non “business ethics”. 10 1.3. Concezione dell’impresa e valori d’impresa. 11 1.4. Le tendenze dominanti degli anni ’90 e sino

al 2008. 16 1.5. Bilanci e prospettive. 18

2. Imprenditori e imprese che tengono la rotta (M. Minoja e V. Coda) 25

2.1. I desideri degli attori-chiave. 25 2.2. La funzione-obiettivo del management. 27 2.3. La strategia. 32 2.4. L’azione manageriale in cui si esplica la gestione

strategica 37 2.5. Le condizioni di continuità di una buona

gestione. 40 2.6. L’apprendimento (di valori, bisogni

e competenze) soggiacente alle decisioni e azioni di buon governo dell’impresa. 43

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Valori d’impresa in azione

VIII

3. Valori imprenditoriali e comportamento strategico delle imprese cooperative (A. Tessitore, A. Garzoni) 49

3.1. Specificità valoriali dell’impresa cooperativa. 49 3.2. Le imprese cooperative. 50 3.3. Il modello dell’impresa cooperativa. 54 3.4. Strategia e gestione strategica nelle imprese

cooperative. 63 3.5. Il governo societario nelle aziende cooperative:

relazioni tra i soci, il consiglio di amministrazione e il management. 70

4. Il bene dell’impresa, bussola per comportamenti responsabili (V. Coda) 75

4.1. La responsabilità di guida dell’impresa. 75 4.2. La sfera dei desideri. 76 4.3. Il bene dell’azienda e la funzione obiettivo

del management. 78 4.4. Il bene dell’azienda e la strategia per conseguirlo. 84 4.5. Il dispiegarsi dell’azione manageriale e i processi

rivelatori della qualità del management. 89 4.6. Le condizioni di continuità di una buona

gestione. 97 5. Storie d’impresa 105

Arti Grafiche Boccia (M. Vitale) 107 Banca Popolare di Sondrio (D. Depperu) 123 Calzedonia (A. Lai e R. Stacchezzini) 149 Cassa Padana (S. Zane) 177 Chiorino (U. Lassini) 203 Etica SGR (S. Bertolini) 237 Gi Group (M. Minoja e M. Ferrari) 261

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Indice

IX

Kayser Italia (S. Bianchi Martini e G. Romano) 283 Manni (A. Lionzo e U. Lassini) 309 Mezzacorona (A. Garzoni) 335 Palm (S. Bertolini e M. Minoja) 355 Sabaf (M. Minoja) 375 Sofidel (S. Bianchi Martini e A. Corvino) 393 Solvay (M. Minoja e G. Romano) 427 Veronesi (U. Lassini) 453 Zambon (A. Lionzo) 483

Gli autori 509 Indice dei nomi 513

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XI

Presentazione

Questo libro si rivolge a coloro che hanno una qualche responsabilità per il buon funzionamento delle imprese e, in particolare, agli imprenditori e ai capi azienda.

Il libro è per tutti, quale che sia la base valoriale che ne indirizza i comportamenti, e aspira a fare riflettere su come è possibile gestire bene un’impresa o comunque migliorarne la gestione a partire da una presa di coscienza dei valori (o idee-guida) che muovono l’azione manageriale e di come essi sono concretamente operanti nella vita dell’impresa.

L’ipotesi di fondo è che le imprese ben gestite sono contraddistinte da una base comune di “valori in azione” che, nel loro insieme, definiscono una certa concezione dell’impresa, dei suoi fini, del suo modo di essere e di funzionare, del ruolo che essa è chiamata a svolgere nella società, delle relazioni che essa instaura con i suoi diversi interlocutori.

I valori di cui qui si tratta, proprio perché “in azione”, non si prestano ad essere usati strumentalmente per farne foglie di fico destinate a mascherare comportamenti non corretti. Né possono essere ricondotti ad un valore singolo (come potrebbe essere, ad esempio, il “profitto” o la “creazione di valore azionario” o la “crescita dimensionale”), a cui gli altri valori vengono sistematicamente subordinati e in qualche misura sacrificati. Essi perciò sono estranei a chi non riesce a concepire la conduzione di un’impresa senza una funzione obiettivo da massimizzare o a chi sostiene che le imprese sono soggetti privi di obiettivi propri perseguendo gli obiettivi di coloro che pro tempore ne detengono il controllo.

I valori alla base del buon governo di un’impresa, invero, costituiscono un insieme armonico, frutto dell’impegno assiduo del management nel contemperare o bilanciare i valori (come nel caso ad esempio dei valori economico finanziari di “redditività”, “liquidità”, “solidità patrimoniale” e di “redditività a breve” e “redditività a medio e lungo termine”) o nel coniugarli

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Valori d’impresa in azione

XII

sinergicamente (e questo è il caso, ad esempio, della “soddisfazione del cliente” e della “valorizzazione delle risorse”).

Per enucleare i valori in parola e metterli a fuoco nel loro concreto operare, dopo avere passato in rassegna i filoni di letteratura rilevanti1, si è individuato un limitato numero di imprese - diverse per settori di appartenenza, dimensioni, assetti proprietari - selezionate con riguardo alla percezione che potessero essere una interessante fonte di apprendimento (sui valori imprenditoriali che le animavano e sul loro concreto operare) e che fossero disponibili a lasciarsi raccontare. Quindi se ne sono narrate le “storie”2 e, infine, queste sono state analizzate nell’ottica di ricavarne insegnamenti generalizzabili3

Questo lavoro ha un antecedente importante in un corso di tipo seminariale tenuto agli studenti di strategia della Bocconi per oltre un decennio a partire dall’anno accademico 1981-82 e rappresenta una verifica della validità di quanto allora si era appreso

.

4. Inoltre esso ha permesso di sviluppare una metodologia di (auto)valutazione della qualità del management e della governance aziendale5

Gli autori sono grati a tutti coloro che hanno reso possibile questo libro: agli imprenditori e ai dirigenti che hanno dato la disponibilità a far studiare la loro impresa e a lasciarsi intervistare; ai giovani colleghi che hanno collaborato alla stesura delle storie qui raccolte; alle due istituzioni veronesi, Banca Popolare di Verona (Gruppo Banco Popolare) e Fondazione Cattolica Assicurazioni, che hanno supportato finanziariamente il lavoro dei ricercatori; al Consiglio Direttivo dell’Istituto per i Valori d’Impresa (ISVI) e in particolare al suo Presidente, dott. Giuseppe Gario, per avere creduto nel progetto di ricerca ed averne seguito assiduamente i lavori; al Direttore Generale di ISVI, dott.ssa Stefania Bertolini, che ha fornito un supporto prezioso nel coordinamento del gruppo di ricerca e nella revisione dell’editing dei testi.

.

Da ultimo qualche parola per chiarire perché questa ricerca è nata sotto l’egida dell’ISVI e perchè questo libro è dedicato al compianto ing. Giuseppe Crosti che dell’ISVI è stato l’ideatore, il fondatore e il suo primo Presidente.

Il corso seminariale della Bocconi a cui si è fatto cenno in precedenza aveva prodotto alcuni scritti in tema di valori imprenditoriali e comportamento strategico nel cui contenuto di idee l’ing. Crosti si era

1 I risultati di questa indagine non sono presentati in questo volume stante la sua prevalente destinazione al mondo degli imprenditori e dei manager. 2 V. le storie d’impresa racchiuse in questo volume. 3 V. capp. 2 e 3. 4 V. cap. 1. 5 V. cap. 4.

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pienamente riconosciuto. Di qui l’iniziativa di creare un istituto indipendente, non confessionale e non legato in esclusiva ad una università, che avesse come missione quella di diffondere nel mondo dell’imprenditoria e del management una concezione responsabile dell’impresa, dei suoi obiettivi, del suo ruolo nella società. La dedica di questo libro all’ing. Giuseppe Crosti sottintende quindi un legame profondo con lui ed è un riconoscimento colmo di affetto e di ammirazione per la sua lungimiranza e per la sua integrità.

gli autori

Milano, 30 agosto 2012

Presentazione

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1. Valori imprenditoriali e comportamenti strategici: vent’anni dopo

Nel corso del decennio che va dall’anno accademico 1981-82 all’anno accademico 1991-92, Vittorio Coda e Marco Vitale tennero un corso, in Bocconi, dedicato a “Valori imprenditoriali e comportamento strategico”. Il corso, di tipo seminariale, inquadrato nell’ambito di economia aziendale avanzata, era originale e innovativo non solo nell’argomento e nell’approccio, ma nella organizzazione e metodo di lavoro. I due docenti erano affiancati da una “equipe” di giovani assistenti di valore (tutti destinati a brillanti carriere accademiche e professionali), sicché il corso era in realtà una vera e propria ricerca collettiva1

1 Hanno fatto parte del gruppo di ricerca Guido Corbetta, Giorgio Invernizzi, Pietro Mazzola, Mario Molteni, Gianni Rebora, Paolo Russo.

. Nell’ambito della stessa si approfondivano pochi casi aziendali per anno accademico, li si analizzava in modo approfondito insieme agli allievi, in gruppi ristretti, sulla base di una adeguata documentazione e li si discuteva in aula secondo ipotesi interpretative emerse nel corso dell’analisi. Successivamente si invitavano a dibattere in aula i rappresentanti dell’azienda studiata, sia personaggi di vertice che quadri dirigenziali e tecnici. In questo modo si andava veramente a fondo nella comprensione dell’impresa e dei collegamenti tra valori imprenditoriali e comportamenti strategici. Così analizzammo a fondo numerosi casi di aziende significative come Olivetti, Gruppo Costa, Alfa Romeo, Enichem (nell’ambito di un’analisi generale del settore chimico), Arthur Andersen, Danieli, Porto di Genova, SGS, e numerosi altri. Talora, partendo da spunti emersi nel corso della ricerca, approfondivamo anche temi generali come: i primi segnali di declino del management americano; le caratteristiche fondamentali del management giapponese; i rapporti tra famiglia e impresa; la funzione del mercato mobiliare. Abbiamo così ospitato in aula personalità come Carlo De Benedetti, Umberto Agnelli, Pietro Barilla, Pistorio, Hyman Minskey (economista allora non alla moda come è oggi), Luigi Danieli, Andrea Costa, il vice-capo dei “camalli” del Porto di Genova, Fosco Maraini, studiosi

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di filosofia morale, Massacesi (presidente di Alfa Romeo, ma prima di lui un nutrito gruppo di tecnici e progettisti dell’Alfa), Bill Barsanti, fondatore dell’Arthur Andersen in Europa, e altri. E, come si confessò in aula, il vice-capo dei “camalli”: “in quest’aula si è portati a dire le cose con uno spirito di verità non usuale in altre sedi”.

Furono corsi nei quali i docenti impararono come gli allievi, se non più di loro e dove la partecipazione degli studenti fu effettiva e vivissima. Si vissero momenti, anche emotivamente, memorabili come l’incontro con il presidente dell’Alfa, Massacesi, nel corso del quale studenti preparatissimi ed appassionati di automobilismo e di motoristica, lo misero in serie difficoltà, proprio sui valori fondanti dell’Alfa e sulla mancanza di coerenza tra tali valori e le strategie allora in atto.

Molti allievi, al termine del corso, ci chiedevano: ma perché queste cose, cioè i fondamenti dell’impresa non li insegnate al primo anno anziché al quarto? Sarebbe di grande aiuto per tutto il corso degli studi avere, sin dall’inizio, un inquadramento, una bussola di questo tipo. Dopo oltre vent’anni ci capita ancora di incrociare allievi di questi corsi e discuterne con loro il contenuto alla luce della loro successiva esperienza manageriale e professionale. Almeno una delle imprese che esaminiamo in questo libro (G.I. Group), creata da un allievo di allora, affonda le sue radici anche in quelle lezioni-seminario e nei principi che emersero dalle stesse.

Per questo può essere interessante riprendere gli insegnamenti di fondo emersi da quelle lezioni e confrontarli con le tendenze dominanti negli ultimi venti anni, per permettere poi un raffronto con i valori e gli orientamenti strategici che emergono dai casi analizzati nel presente volume e con la situazione generale emersa con la crisi globale in corso dal 2008.

1.1. Strategia e pensiero.

In quegli anni, nel campo delle strategie aziendali, i testi dominanti, di origine americana, erano ponderosi volumi che impostavano la strategia aziendale come una serie di teoremi, illustrati da tanti grafici, che cercavano di insegnare certezze, inquadrate in un mondo stabile, immutabile e governabile. La astratta ed ingenua concezione dell’impresa sottostante a questo approccio era quella di un luogo di perfetta razionalità, dove persone eccellenti e bene addestrate prendono decisioni razionali e perfette. Chi si comportava secondo le metodologie illustrate nei manuali non poteva sbagliare2

2 Questo atteggiamento è stato poi analizzato, al termine di una grande ricerca, da Sydney Finkelstein in “Perché i bravi manager sbagliano; che cosa possiamo imparare dai loro errori” Etas 2004. Nella postfazione intitolata: “Dai fallimenti alla ricostruzione del management” Marco Vitale scrive: «solo quando ci decideremo a trattare le imprese per quello che sono, organizzazioni sociali con tutte le debolezze, le incertezze, gli egoismi, le infamità della società umana, dove degli uomini normali cercano, spesso non riuscendovi, di trovare un punto di equilibrio tra gli obiettivi sociali e l’avidità di chi le guida, allora anche i fallimenti aziendali ci appariranno meno enigmatici e sorprendenti». È la linea di pensiero delle nostre lezioni di allora.

. Eppure c’era già stata la grande inflazione e recessione degli anni ’70; la crisi petrolifera con l’esplosione del prezzo del petrolio; una conclamata crisi americana sia economica che politica (pensiamo agli anni della presidenza Carter); l’esplosione industriale del Giappone che tanta ansia generò negli USA; il

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Valori imprenditoriali e comportamenti strategici: vent’anni dopo

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fiorire delle nuove tecnologie che rimettevano continuamente in discussione i vecchi equilibri. E, da noi, c’erano stati i durissimi anni ’70, con l’incrocio tra il terrorismo nelle strade, l’esasperazione sindacale con l’inagibilità delle grandi fabbriche, le severe ristrutturazioni aziendali; le grandi crisi, quasi mortali, di Olivetti, Fiat e altre grandi imprese; la marcia dei quarantamila a Torino. E sin dagli anni ’70 Peter F. Drucker aveva avvertito che eravamo entrati in “The Age of Discontinuity”3. E nel 1989 aveva ripreso e sviluppato il tema nel suo libro, a mio giudizio, più importante: “The New Realities: in Government and Politics, in Economy and Business, in Society and in World View4

Come osare “vendere” certezze in un mondo oggetto di così profonde incertezze, discontinuità e trasformazioni? Nella lezione conclusiva dell’anno accademico 1984-85 ricordavo che Juanita Kreps, segretaria al commercio del governo USA, lasciando la sua carica nel 1979, aveva affermato che non se la sentiva di tornare al suo vecchio lavoro di docente di economia alla Duke University perché francamente “non saprei cosa insegnare”. Come reagire da un lato all’illusione meccanicistica e dall’altro a questo sempre più diffuso scoramento?

.

Noi cercammo di rispondere suscitando negli allievi una rinnovata capacità di pensiero, che li aiutasse a non temere l’incertezza ma a cercare le vie per trarre da essa prospettive positive, e ad addestrarsi all’apprendimento innovativo, ricordando l’insegnamento di Socrate: “La verità si trova nell’incertezza”. In questo sforzo ci aiutava l’incrocio continuo con altre discipline, dalla fisica, alla storia, alla filosofia, alle scienze biologiche. I nostri incroci erano con i grandi del pensiero da Aristotele a Popper, da Sun-Tzu a Cattaneo, da Leon Battista Alberti a Guardini. Ed eravamo ben consapevoli di muoverci contro corrente, se è vero quello che scrive Serge Latouche5: «Abbiamo indicato in Adam Smith il punto di partenza e al tempo stesso il compimento della costruzione semantica dell’economia. Basti vedere come le facoltà di economia si sono trasformate in “business schools” dalle quali è bandito l’insegnamento della storia del pensiero. I dizionari tecnici e i texbooks ignorano i grandi classici e danno importanza soltanto all’effimero e all’insignificante che affermano sempre di più la loro dittatura». In una lezione di quegli anni, per l’apertura del corso Istao del 1988-89, nel novembre 1988, intitolata: “Il management è una disciplina antica: riflessioni contemporanee sull’Economico di Senofonte”6

3 Tradotto in italiano da Etas Kompass nel 1970 con il titolo “L’era del discontinuo”.

affermavo: «Se aprissimo una discussione su quali sono le principali caratteristiche della moderna dottrina del management, potremmo disputare a lungo. Ma su una di queste caratteristiche chiunque abbia riflettuto sull’argomento difficilmente potrebbe dissentire: la dottrina dominante del management è caratterizzata da una notevole incultura. Ciò non implica un giudizio negativo sulla ricerca ed elaborazione dei temi più strettamente propri di questa disciplina, che anzi, forse, non ne esiste altra alla

4 Tradotto in italiano nel 1989 da Etaslibri con il titolo: “Economia politica e management, Nuove tendenze nello sviluppo economico, imprenditoriale e sociale”. 5 Serge Latouche, L’invenzione dell’economia, Bollati Boringhieri 2010 (opera originale: L’invention de l’économie, 2005). 6 Ora a pag. 21 del libro di Marco Vitale, La Lunga Marcia verso il Capitalismo Democratico, Il Sole 24 Ore libri, 1989.

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quale siano state dedicate tante, probabilmente eccessive, risorse e attenzioni. Né que-sto giudizio si riferisce al livello culturale individuale dei singoli studiosi che spesso è notevole ed è comunque un fatto irrilevante ai fini del mio argomentare. Neppure si intenda questo giudizio come derivante da una visione della cultura ristretta a certe sfere più elevate dell’attività intellettuale dell’uomo, se non addirittura in contrasto con le discipline pratiche, una visione, questa, di matrice letteraria e spiritualista che ha radici lontane nel tempo e che ha a lungo e infaustamente dominato il nostro pensiero.

La mia nozione di cultura è piuttosto quella di Rosmini: “Per cultura intendiamo quel corredo di cognizioni alla mano su diverse materie che l’uomo s’acquista or coll’esercizio delle sue facoltà or colla convivenza c’o saggi. Questa molteplice cultura unita all’abito di maneggiare le proprie facoltà abbrevia incredibilmente il tempo e la fatica di imparare”; oppure quella del Webster Dictionary: “The integrated pattern of human behaviour that includes thought, speech, action and artifacts, and depends on man’s capacity for learning and transmitting knowledge to succeeding generation”; oppure ancora quella più secca di un uomo d’affari americano: “The way we do things around here”.

In questa concezione di cultura, la dottrina manageriale, avendo a che fare con temi come potere e responsabilità, servizio e proprietà, organizzazione, evoluzione e trasmissione del “saper fare” dell’uomo, viene anzi a incrociare un punto centrale dello sviluppo culturale generale. Ed è proprio nel non essersi saputa collocare in questo punto centrale dell’evoluzione culturale generale che risiede l’incultura della dottrina del management. È mia convinzione che la dottrina e quindi la pratica manageriale non riusciranno a passare a una fase più matura della loro elaborazione se non riusci-ranno a collocare le loro problematiche fondamentali in una prospettiva culturale più ampia e più propria, che comprenda la teoria della responsabilità, della proprietà, delle organizzazioni sociali e del loro finalismo, dei processi di apprendimento, dello sviluppo generale.

Perché ciò avvenga, il primo passo consiste nel liberarsi dall’idea peregrina che il management (inteso come amministrazione e guida professionale di unità economi-che) sia un’invenzione di questo secolo. Mi rendo conto di essere pressoché isolato in questa convinzione, ma non sono troppo preoccupato di ciò, essendo abituato a po-sizioni di questo tipo. Lo stesso Peter Drucker, che pur arriva al management da una solida cultura mitteleuropea e che è, a mio giudizio, l’unico contemporaneo che abbia collocato le problematiche fondamentali del management in una prospettiva feconda, indulge in questa impostazione: «La comparsa del management in questo secolo ha rappresentato, con ogni probabilità, un fatto di importanza storica».

Non vi è dubbio che il management professionale, come disciplina/attività di un gruppo sociale definito, abbia assunto, nel nostro secolo, una diffusione particolare. Ma, se le dimensioni sono un fatto nuovo, non nuove sono le sue problematiche fondamentali: responsabilità, comando, potere della proprietà e relativi limiti, corretto uso della ricchezza, efficienza organizzativa, leadership, capacità di fare strategia, training, apprendimento, spirito di corpo, sono temi di sempre che, se collocati in una prospettiva storica e culturale più ampia, acquistano più corrette dimensioni e si

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Valori imprenditoriali e comportamenti strategici: vent’anni dopo

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salvano dal rischio di avvitarsi in un tecnicismo sterile o in un narcisismo puerile e pericoloso, proprio di tanta letteratura sul management.

Nella storia militare, nella storia delle grandi organizzazioni monastiche, nella storia della chiesa cattolica, nella storia dei mirabili mercanti fiorentini del Trecento, nella storia dello sviluppo e della dissoluzione delle grandi casate dei principi rinasci-mentali italiani, solo per fare qualche esempio, troviamo infiniti esempi di problema-tiche organizzative e dirigenziali che mostrano straordinarie affinità, se non piene coincidenze, con temi che consideriamo propri ed esclusivi del management moderno».

Il tema dell’incertezza e dell’addestramento all’incertezza fu uno dei pilastri del nostro insegnamento, ma l’occasione in cui approfondii maggiormente il tema fu nella lezione conclusiva dell’anno accademico 1984-1985. Per questo motivo, per la sua perdurante attualità e perché non saprei oggi dire meglio, riproduco qui quasi totalmente quella lezione7

perché è una vera e propria sintesi generale di quanto cercammo di insegnare in quegli anni e perché essa testimonia il taglio e il clima di quelle lezioni.

“Università Bocconi – Anno Accademico 1984/1985 - Lezione conclusiva del corso del Prof. Marco Vitale su: “VALORI ED IMPRESA”.

«La storia della nostra epoca è così caratterizzata dall’incertezza … È necessario avere il coraggio dell’avventura, aprire la porta ed “entrare in altre storie”, storie di complessità e di incertezze, di scarsità e di indeterminazione. Storie non necessariamente brutte»8

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Milton Friedman, il famoso economista americano, in un discorso all’American Economic Association nel 1972 affermò: «Io credo che noi economisti in anni recenti abbiamo fatto grandi danni – alla società nel suo complesso ed alla nostra professione in particolare – sopravvalutando ciò che possiamo fornire».

Lo credo anch’io. E credo che ciò sia vero anche per gli economisti d’impresa e per gli aziendalisti. Il danno viene fatto da coloro che vi descrivono l’economia e l’impresa come un insieme di regole e di principi meccanici, oggettivi, statici, ripetitivi, oggetto di analisi e di ricette pseudoscientifiche, frammentarie e saccenti. Le discipline economico-sociali, che pure sono le più vicine allo studio di sistemi viventi composti da esseri umani che sono in continua interazione fra loro e con le risorse naturali, la maggior parte delle quali sono, a loro volta, organismi viventi, sono rimaste le discipline più legate al paradigma meccanicistico cartesiano-newtoniano. Eppure è un paradigma ormai travolto da tutte le scienze più avanzate nello scrutare i misteri della natura e della vita. Immersi in un’avventura intellettuale esaltante i fondatori della nuova fisica percepirono ben presto che i vecchi modelli concettuali stavano andando a pezzi. Heisenberg scriveva: «Questa violenta reazione ai recenti sviluppi della fisica

7 Ora in: Quaderno N. 2, novembre ‘87 del Centro di Formazione della Banca Popolare di Bergamo. 8 Enzo Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Garzanti 1984.

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