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VENTIDUESIMO DALL’ISTITUZIONE

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V E N T I D U E S I M O D A L L ’ I S T I T U Z I O N E

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UPO UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE

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Giovedì 5 dicembre 2019Vercelli, Teatro Civico

Discorso inaugurale del Rettoreprofessor Gian Carlo Avanzi

Intervento del Direttore Generaleprofessor Andrea Turolla

Intervento della Rappresentante degli Studentidottoressa Amanda Luisa Guida

Prolusione, professor Maurizio Tira Rettore dell’Università degli Studi di BresciaSostenere lo sviluppo sostenibile.Per un governo durevole del territorio.

Premiazione dei migliori laureati UPO

Interventi del Coro e Orchestra dell’UPO

Presentano Paolo Pomati e Barbara Gallo

UPO UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE

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Professor Gian Carlo AvanziRettore, Università del Piemonte Orientale

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1. Università e sostenibilità

«Le Università rivestono un ruolo chiave nella formazione delle generazioni future e nella diffusione della conoscenza all’interno della società, per la loro capacità di promuovere uno sviluppo sostenibile, cioè “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”2. Le Università sostenibili sono quelle istituzioni che «trasformano una precisa scelta politica in un processo trasversale, da valutare nel lungo periodo, attraverso il quale perseguire “in modo integrato” la tutela ambientale, il benessere della comunità, l’equità sociale e lo sviluppo economico».

Così si legge nelle premesse dell’Accordo per la costituzione della Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (rus, 2016). Il programma della Rete tocca parecchi temi, dibattuti durante I Magnifici Incontri della Conferenza dei Rettori tenutasi a maggio a Udine3. Il presidente, rettore Gaetano Manfredi, ha affermato:

«Il nostro obiettivo è essere riferimento di buone pratiche di sostenibilità, per aiutare le amministrazioni a mettere in pratica progetti che vadano nella direzione degli Obiettivi 2030 delle Nazioni Unite. Un altro aspetto è l’impatto sociale ed economico di queste azioni. Bisogna agire sulle filiere produttive per fare in modo che la produzione sia circolare e che guardi al risparmio delle risorse»4.

Il Manifesto 2019 firmato a Udine suggerisce la realizzazione di azioni concrete e secondo diverse linee di azione. Ne voglio citare alcune:

• la valorizzazione dell’educazione universitaria per la sostenibilità, che includa approcci sistemici e interdisciplinari, recuperi il valore dell’etica, riconosca il legame con il territorio, assuma una forte responsabilità nella formazione dei docenti;

• la messa a frutto delle competenze interne agli atenei per supportare il decisore pubblico nelle scelte di investimento su città e territorio;

Cari Studenti, Autorità, Colleghi Rettori, caro professor Tira, Colleghi Professori e Ricercatori, caro Personale Tecnico Amministrativo, Signore e Signori.

Our biggest challenge in this new century is to take an idea that seems abstract – sustainable development – and turn it, too, into a daily reality for all the world’s people.

KOFI ANNAN 1

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• l’impegno a operare, nella mobilità sostenibile, nell’efficienza energetica del patrimonio immobiliare, alla gestione dei rifiuti, in un’ottica di economia circolare;

• l’impegno a istituire, sulla base degli esempi virtuosi già esistenti, una struttura integrata di sostenibilità di ateneo con figure qualificate di Manager (Sustainability, Energy, Mobility, Waste & Resources) e di inserire nei propri piani strategici almeno uno degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’onu;

• il potenziamento delle attività di analisi e la quantificazione degli impatti delle strutture universitarie in termini di consumi delle principali risorse, di gestione dell’energia e generazione di emissioni che alterano il clima.

Se io chiedessi a ciascuno dei presenti se l’Università del Piemonte Orientale debba rendere propri questi obiettivi, credo che ci sarebbero pochi di parere contrario; molti, anzi – me compreso – sarebbero entusiasti di prevedere un pieno coinvolgimento su questi temi. Questo interesse si affievolirebbe, se il soggetto della sostenibilità diventasse l’Università stessa, andando a toccarne l’essenza, e se la sostenibilità dovesse toccare questioni come la sostenibilità economica e lo sviluppo sostenibile degli Atenei. Se la crui e la rus hanno finora toccato solo marginalmente il problema, ci ha pensato la Legge di Bilancio 2019 a ricordarlo5.

2. La sostenibilità economica

Questa Legge ha modificato profondamente la disciplina del fabbisogno finanziario delle Università. Si prevede che «le università statali concorrano alla

realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, per il periodo 2019-2025, garantendo che il fabbisogno finanziario da esse complessivamente generato in ciascun anno non sia superiore a quello realizzato nell’anno precedente incrementato del tasso di crescita del pil reale stabilito dall’ultima nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza».

Un decreto di marzo ha precisato meglio l’argomento, con regole che cerco ora di spiegare nel mondo più semplice possibile6. Il fabbisogno è la somma messa a disposizione per bastare alle spese dell’Università, inferiore al Fondo di finanziamento ordinario (ffo), cioè la principale fonte di entrata degli atenei. Lo Stato, in pratica, concede all’Università un finanziamento, ma le consente di spenderlo soltanto in parte, cioè quello storicamente speso dal 2010, maggiorato del tasso di crescita del pil. Nel concreto, lo Stato dà “100”, ma consente di spendere solo “70”.

2.1. La situazione dell’UPO

Una nota del Ministero ha assegnato per l’upo, per il 2019, un fabbisogno di 41 milioni di euro su 58 milioni del ffo: il fabbisogno assegnato a ottobre era già esaurito, il che ci ha costretto a richiedere un aumento di dieci milioni. È evidente che questo meccanismo di contenimento della spesa pubblica degli atenei basata sullo “storico” penalizzi fortemente le Università come la nostra, che sono in forte espansione e che hanno effettuato investimenti rilevanti negli anni precedenti.

Il nostro Ateneo, nel quadriennio 2016-19, è passato da 13.488 a 14.704 studenti, con una crescita del 9%, favorita da una maggiore diversificazione dell’offerta formativa

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sulle tre sedi dell’Ateneo, da un maggiore coinvolgimento di attori e interlocutori esterni, nonché dall’intensificazione delle azioni di reclutamento e di orientamento. Del resto laurearsi all’upo consente di trovare presto e bene un posto di lavoro; a distanza di un anno dalla laurea l’81% dei laureati triennali upo risulta occupato rispetto alla media nazionale del 72,1%7.

All’aumento degli studenti corrisponde un ampliamento degli spazi destinati alla didattica e alla ricerca. Nell’ultimo triennio sono stati resi pienamente operativi il campus universitario “Perrone” e il Centro Malattie Autoimmuni in Novara, il complesso San Giuseppe in Vercelli e nuovi spazi didattici ad Alessandria. Si è acquisita, dal comune di Verbania, la splendida Villa San Remigio, per un totale di ventimila metri quadrati; sono in fase di realizzazione interventi che comporteranno un ulteriore aumento di undicimila metri quadrati (+40%). Ciò comporta un innalzamento delle spese correnti di gestione (utenze, manutenzioni, pulizie, ecc.), che a regime peserà sul fabbisogno per circa un milione e mezzo di euro all’anno. Non è possibile farvi fronte con l’aumento della contribuzione studentesca, sia per ragioni etiche in cui continuiamo a credere, come Ateneo-ascensore sociale, sia perché essa è sottoposta al vincolo del 20% sul ffo.

Lo sviluppo dell’Ateneo, peraltro, non è ancora giunto alla fase di maturità. Lo ricorda l’attuale Piano strategico 2019-2024, che punta a incrementare e a consolidare il numero di iscritti e ad accompagnarli nella loro crescita culturale e nell’ingresso nel mondo del lavoro. È, d’altronde, un disegno programmatico in linea con le politiche nazionali volte alla crescita della popolazione laureata e alla contestuale riduzione del divario, tra Italia e

resto d’Europa, del rapporto tra popolazione laureata e popolazione complessiva, come recentemente ribadito da più fonti (istat, ocse, eurostat).

Abbiamo adottato politiche di espansione degli spazi didattici e residenziali per gli studenti, ma c’è più che mai bisogno di adeguare l’Ateneo al fabbisogno di risorse umane. Tra il 2016 e il 2019 abbiamo immesso in ruolo un considerevole numero di docenti e raddoppiato i ricercatori a tempo determinato, dandoci però precise regole in termini di requisiti curricolari dei candidati. I risultati sono stati premiati dal Ministero, che nel triennio ha quasi triplicato i punti organico. Dobbiamo però investire in modo consistente in risorse umane anche sul versante del personale tecnico amministrativo.

Una buona didattica non può prescindere da una spinta al miglioramento della ricerca scientifica, soprattutto quella multidisciplinare, d’impatto nazionale e internazionale; per questo abbiamo investito risorse ingenti, aumentando i dottorati di ricerca e mantenendo inalterati, fino ad ora, i fondi a disposizione dei docenti.

2.2. Le conseguenze

Le assegnazioni del Ministero, anche quest’anno, hanno premiato il lavoro e gli sforzi dell’upo: i piani straordinari, i punti organico premiali, il finanziamento dei Dipartimenti di Eccellenza, la programmazione triennale. Sono tutte risorse aggiuntive che supportano e incoraggiano l’Ateneo sul percorso intrapreso. Non si può negare, però, che l’attribuzione del fabbisogno programmato, nei termini che ho spiegato, così lontano dal fabbisogno reale, rischi di rallentare

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le performance istituzionali dell’Ateneo e peggiorare i brillanti risultati faticosamente conquistati fino ad oggi, compromettendo il percorso virtuoso di crescita avviato da tempo. Oltre tutto, dal 2021 il mancato rispetto del fabbisogno comporterà penalizzazioni economiche commisurate allo scostamento registrato8.

A regime, dunque, l’Ateneo potrebbe essere costretto a porre in essere politiche di auto-limitazione della propria crescita: un vero e proprio nonsenso. Per queste ragioni occorre orientarsi verso nuove prospettive di gestione e di sviluppo più sostenibili.

3. Prospettive future di sostenibilità

Dovremo proseguire nella pianificazione strategica, migliorando l’integrazione tra piani programmatici e budget pluriennale di Ateneo, come dirà meglio dopo di me il Direttore generale. Ci saranno importanti decisioni da prendere in termini di organizzazione, distribuzione e reperimento di risorse.

Nel darsi nuove prospettive l’Ateneo dovrà dotarsi di strumenti di sostegno e di indirizzo delle scelte volte a determinare lo sviluppo sostenibile. Innanzitutto il nuovo codice etico, le cui ispirazioni sono il senso d’appartenenza all’upo e il lavoro nell’upo come attività prioritaria sopra ogni altra. Sarà discusso nelle prossime sedute degli organi accademici e conterrà importanti principi, tra cui la proprietà intellettuale e il conflitto di interesse.

Entro il 2020 dovrà essere costituita la Fondazione dell’upo, strumento oramai divenuto essenziale per realizzare politiche di reperimento fondi e di distribuzione agevole degli stessi in un sistema di vasi comunicanti con l’Ateneo.

A breve sarà licenziata l’analisi e la revisione dei processi. Come ricorderete, è un elemento fondamentale del nostro Piano strategico. Essa ci consentirà di fare grandi passi in avanti verso una migliore sostenibilità strutturale e organizzativa della nostra upo.

Il possesso di dati sicuri sull’Ateneo e la loro elaborazione sono elementi fondamentali per la conoscenza e la programmazione. Sono riconoscente all’ufficio Data mining and managing, in staff al Rettore, istituito solo un anno fa e sottoposto a un superlavoro anche per la realizzazione del Cruscotto di monitoraggio dell’Ateneo. Sarà uno strumento indispensabile, in dotazione al Rettore, al Direttore generale, ai Direttori di dipartimento, a tutti coloro che hanno deleghe o incarichi di responsabilità per l’analisi, l’individuazione di sprechi e di correttivi e per la pianificazione strategica.

Gli investimenti in risorse umane necessitano di un’attenta programmazione; è indispensabile un algoritmo, in via di costruzione, finalizzato a prevedere l’effetto dei collocamenti sull’impatto economico e sulla proiezione delle possibili attribuzioni di risorse. Nell’anno accademico che stiamo per inaugurare muteranno molte cose nella nostra organizzazione e nel funzionamento dei Dipartimenti. Da questi cambiamenti, da queste decisioni dipenderà lo sviluppo sostenibile dell’intera Università del Piemonte Orientale. D’altronde, come ha affermato il Presidente della Repubblica nel recente discorso all’Assemblea dell’anci:

«(…) Ogni amministratore deve sentirsi costantemente obbligato al rispetto del vincolo di sana e corretta gestione, che eviti di scaricare su altre istituzioni, o sulle future generazioni, il peso di scelte sbagliate o di colpevoli inerzie. La buona

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amministrazione resta una virtù pubblica, che non rimanda solo a regole contabili, ma influisce sulle stesse responsabilità di sviluppo di ogni comunità e della sua autonomia»9.

4. Sostenibilità tout-court

Proprio perché la buona amministrazione non si basa solo sulla contabilità e poiché la sostenibilità è un tema a larghissima portata, desidero lasciarvi con alcune buone notizie. Abbiamo in cantiere molte iniziative di adesione al Manifesto della Sostenibilità. Ci siamo impegnati a ridurre l’utilizzo di plastica monouso nei nostri campus; abbiamo aderito a UI Green Metric, la classifica mondiale delle università rispetto alle politiche di sostenibilità. Costituiremo il centro interdipartimentale “UPO4Sustainability”, in cui alimenteremo linee di ricerca applicata, per fornire modelli di sviluppo sostenibile e favorire la circolazione di idee, conoscenze e pratiche, attraverso l’eliminazione delle barriere economiche e sociali.

Avvieremo una innovativa proposta didattica di educazione alla sostenibilità, con l’inserimento di “insegnamenti sostenibili”, rispondenti agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, in tutti i corsi di studio. Promuoveremo attività di terza missione attraverso interazioni continue con i soggetti esterni per superare la visione tradizionale di Università in cui la funzione educativa si risolve al proprio interno. Provvederemo al sostegno formativo dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado.

L’upo, insomma, non vuole fermare il suo sviluppo perché lo sviluppo dell’upo è anche sviluppo del territorio e della nazione. Perché questo sia sostenibile, dobbiamo affrontarlo con la forza della giovane età del nostro ateneo, la spinta del nostro entusiasmo e la ragione, consentitemi, delle nostre competenze. Possiamo e dobbiamo metterci in gioco tutti quanti. Come scrive Sergio Bambarén nel suo romanzo breve The Rainbow, «Non c’è creatura troppo piccola o insignificante che non possa avere qualcosa da dare per rendere questo mondo migliore»10.

1 Kofi Annan, Discorso tenuto dal Segretario generale delle Nazioni Unite a Dhaka, Bangladesh, il 14 marzo 20012 Our Common Future. Report of the World Commission on Environment and Development (“Brundtland Report”), 19873 Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Le Università per la sostenibilità, “I Magnifici Incontri”, Udine, 28-29 maggio 20194 ibidem5 Legge n. 145 del 30 dicembre 2018, art. 16 D.M.11 marzo 20197 Almalaurea, XXI Indagine sulla condizione occupazione dei laureati, 20198 L. 145/2018, art. 1, c. 9779 Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla 36a Assemblea anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani “Ascoltare. Decidere. Migliorare”, Arezzo, 19 novembre 201910 S. Bambarén, The Rainbow, 2002 (trad. it.: Stella, Sperling & Kupfer, Milano, 2011)

Note

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Professor Andrea TurollaDirettore generale, Università del Piemonte Orientale

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“Sostenibilità” è la parola chiave di questa cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico. L’intervento del Rettore ha già qualificato questo concetto sotto molti punti di vista. Vogliamo che diventi termine di orientamento e di confronto per tutte le iniziative attuali e future dell’Ateneo. Traccerò dunque, in una prospettiva di medio termine, l’ideale percorso di uno sviluppo qualitativo e quantitativo, che sia sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, riflettendo sulle risorse e sulle capacità di cui già ora siamo dotati e di ciò che potremmo mettere in campo in futuro. I traguardi sono definiti chiaramente dal Piano strategico e i dettagli del percorso sono esplicitati con cadenza annuale del Piano delle performance; il “carburante” è rappresentato dalle risorse umane, patrimoniali e finanziarie.

Una “crescita sostenibile” implica la capacità di individuare un corretto equilibrio tra le esigenze contrapposte di salvaguardia dell’esistente a vantaggio di generazioni future, di cambiamento e di crescita per migliorare

il proprio posizionamento in un contesto dinamico e complesso. Il nostro sviluppo sarà veramente sostenibile se saremo capaci di:• consolidare e valorizzare pienamente

i risultati finora raggiunti e le risorse disponibili;

• orientare le nostre future decisioni e azioni in una prospettiva di sostenibilità non solo economica;

• adottare comportamenti proattivi nell’ambito del sistema universitario italiano.

Come punto di partenza, analizziamo alcuni dei più significativi risultati raggiunti, da cui discende il nostro attuale posizionamento:1. dinamica isef (Indicatore di Sostenibilità

Finanziaria). Nel 2012 il nostro isef era pari a 1,05 e ci collocavamo al 39° posto tra gli atenei statali, al di sotto della media nazionale che era pari a 1,13. Ora il nostro isef è pari a 1,34, a fronte di una media di sistema pari a 1,20, collocandoci

Studenti, Autorità, magnifici Rettori, chiarissimi Professori e Ricercatori, Personale Tecnico Amministrativo, Signore e Signori.

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al settimo posto della graduatoria. Questa crescita ha avuto ricadute positive sia in termini di finanziamento che di punti organico;

2. dinamica ffo (Fondo di Finanziamento Ordinario). Per quanto riguarda il finanziamento statale il 2019 ha confermato l’upo al primo posto in Italia per incremento delle assegnazioni rispetto all’anno precedente: +3,92%, con un conseguente incremento del nostro peso nel sistema, ora pari a 0,78 (0,6 nel 2012). L’aumento ha coinvolto tutte le quote assegnate secondo criteri premiali: il costo standard, le politiche di reclutamento, l’autonomia responsabile, il fondo giovani e la no tax area;

3. dinamica punti organico e assunzioni. In un contesto di controllo e di contenimento del turnover del personale universitario come quello che si è realizzato negli ultimi dieci anni, grazie alle performance economico-finanziarie, l’upo ha sempre avuto assegnazioni di punti organico derivanti dalle cessazioni superiori alla media di sistema: 129,23 nel 2018 e 149,28 nel 2019;

4. dinamica ispd (Indicatore Standardizzato della Performance Dipartimentale). L’anvur, sulla base della Valutazione della Qualità della Ricerca (vqr) 2011-14, ha stilato una graduatoria dei migliori dipartimenti. Cinque dei nostri sette figurano nella graduatoria, e due hanno ottenuto il finanziamento quali “Dipartimenti di Eccellenza”. Anche l’indice di qualità media dei collegi di dottorato ha avuto un sensibile incremento, da 2,467 (2016-17) a 3,3 (2018-19), valore nettamente superiore alla media nazionale (2,804);

5. dinamica dei prodotti di ricerca. I prodotti di ricerca nelle aree bibliometriche sono stati 2.603 nell’ultimo triennio, con un incremento dell’8,2% rispetto a quello

precedente (erano 2.403). Più di un quarto dei prodotti appartiene al gruppo ristretto (10%) delle pubblicazioni più citate al mondo (media nazionale: 16,1%). Secondo SciVal Elsevier, la piattaforma integrata per l’analisi dei risultati della ricerca, il 44,6% è pubblicato su riviste nella classifica del 10% delle riviste più prestigiose (media nazionale: 30%).

Questi risultati, adeguatamente consolidati e valorizzati, vanno intesi come le “fondamenta” del nostro futuro sviluppo quali-quantitativo e soprattutto sostenibile. I “pilastri” che poggiano su di esse sono le risorse umane, sia docenti, sia personale tecnico-amministrativo. Le due componenti sono strettamente interdipendenti ed elevati risultati nelle missioni istituzionali dell’Ateneo necessitano di un supporto amministrativo sempre più qualificato, flessibile, capace di partecipare attivamente alla progettualità delle iniziative e in grado di proporre soluzioni innovative. La crescita della componente amministrativa diventa presupposto irrinunciabile per un generalizzato miglioramento dei processi di gestione.

Come annunciato lo scorso anno, sta per concludersi il progetto di mappatura e di miglioramento dei processi che ha impegnato tutto il personale amministrativo in una prospettiva di analisi, di accrescimento di conoscenze e di competenze. Nella prima parte del 2020 saremo in grado di semplificare, snellire e migliorare i processi e di attribuire agli stessi, in modo equilibrato, risorse, strumenti e metodi di lavoro. Nel primo anno di mandato del Rettore, inoltre, sono state intraprese numerose iniziative che hanno dato concretezza alle proposizioni del Piano strategico, come la costituzione dell’ufficio

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Data Mining and Managing e la messa a punto di un algoritmo per la distribuzione dei punti organico per il personale docente, con le correlate linee guida.

Il Rettore ha introdotto lo spinoso tema del fabbisogno finanziario: un elemento di ulteriore complessità del sistema che rischia di mortificare i buoni risultati raggiunti e di limitare le politiche di crescita e di sviluppo. Il Consiglio di Amministrazione ha deliberato una serie di azioni per governare il fabbisogno e per garantire la realizzabilità di piani e programmi.

In primo luogo occorre proseguire sul fronte della pianificazione strategica integrata di Ateneo, migliorando l’integrazione tra piani programmatici e budget pluriennale. Nel corso del 2020 a ogni piano sarà associato un budget triennale economico e degli investimenti, necessario per l’attuazione del piano stesso, che evidenzi costi, investimenti e ricavi. Il livello di dettaglio deve essere sufficiente a consentire una valutazione della coerenza e della compatibilità del piano con il budget pluriennale di Ateneo e a garantire l’integrazione e allocazione del budget del piano nel budget pluriennale a partire dal 2021.

Occorrerà migliorare la capacità di governare la dinamica dei flussi di cassa sistematicamente e quotidianamente. Da ciò discenderà la gestione centralizzata di incassi e di pagamenti per operare “temporalmente” nel rispetto dei limiti di fabbisogno.

Sarà quindi necessario avviare politiche di razionalizzazione e di contenimento delle spese correnti. La loro gestione deve essere elemento di costante attenzione sia nell’ammontare, sia nella tipologia di risorse utilizzate per la loro copertura. I finanziamenti derivanti da attività

progettuale di ricerca, per esempio, saranno utilizzati principalmente per la copertura di spese correnti. Le spese legate alla didattica saranno centralizzate sotto il profilo economico-finanziario e gestite in maniera unitaria tramite l’istituzione di un unico fondo nel budget di Ateneo. Anche la proposta dell’offerta formativa sarà subordinata alla verifica della copertura economico-finanziaria nell’ambito del Fondo unico.

Saranno particolarmente incentivate le iniziative di fundraising e di crowdfunding. Nel campo della ricerca potranno essere individuate specifiche iniziative progettuali, cui dovranno essere finalizzate le liberalità e le donazioni future, già in sede di devoluzione delle stesse. Più in generale, occorre stimolare l’incremento di entrate conto terzi, di entrate da attività commerciale e di finanziamenti non ministeriali, agendo anche sull’entità e sul meccanismo di utilizzo degli overhead.

Vanno comunque garantite e sostenute le politiche di crescita dell’Ateneo. Due azioni sono previste su questo versante: la creazione di un Fondo unico di Ateneo per lo sviluppo del sistema bibliotecario con la centralizzazione, sotto il profilo economico-finanziario, della gestione dei servizi e del patrimonio bibliotecario, e l’istituzione di un fondo destinato al finanziamento di un piano di ateneo per le esigenze di investimento dei Dipartimenti.

Sono interventi forti, gravosi, che contrastano con la virtuosità del nostro Ateneo, sempre distintosi per i bilanci di equilibrio, per i buoni indicatori di sostenibilità economico-finanziaria e per la rilevante produzione di liquidità in ogni esercizio. Con il nostro consueto senso di responsabilità, affronteremo anche questa volta le minacce per trasformarle in opportunità.

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Dottoressa Amanda Luisa GuidaRappresentante degli Studenti, Università del Piemonte Orientale

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Porgo il mio saluto alle mie colleghe Studentesse e ai miei colleghi Studenti, al Magnifico Rettore, ai Professori e Ricercatori, al Personale tecnico amministrativo, alle Autorità e a tutte le persone che contribuiscono a migliorare e rendere viva l’Università del Piemonte Orientale.

Oggi inauguriamo ufficialmente l’inizio di questo anno accademico e lo facciamo avendo come filo conduttore della giornata un tema cruciale. Affrontare l’argomento sostenibilità in questo periodo è imperativo e a questa parola vorrei affiancarne altre due: emergenza – climatica. Le lancette del nostro orologio scorrono a una velocità in-sostenibile: come ricorda il meteorologo Luca Mercalli, «la crescita è lenta, la rovina è rapida». Solo qualche settimana fa il presidente Donald Trump ha confermato la volontà di ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi. All’udire le affermazioni di Trump sul clima, alcuni di noi, affezionati ai meme, potrebbero replicare: “OK, boomer”: un commento utile a sdrammatizzare. Eppure, l’impegno di noi giovani non può e non deve fermarsi qui. Dobbiamo metterci in prima fila per contribuire al cambiamento, in meglio. E qui, oggi, desidero dire che noi, studentesse e studenti dell’upo, abbiamo le potenzialità e le capacità per cambiare il nostro futuro. La strada, lo avete ben presente, è lunga:

come direbbe Greta Thunberg, la nostra casa sta andando a fuoco, e dietro l’incendio che divampa ci sono persone che lo alimentano, incuranti delle conseguenze. 

Per questa ragione lo sforzo deve essere collettivo, ora più che mai: studenti, docenti e personale dell’Ateneo devono tutti collaborare per obiettivi comuni; la “sostenibilità” è solo uno di questi. Come accade per ogni grande progetto, è fondamentale che vi sia lavoro di squadra tra tutte le parti in gioco. Probabilmente l’upo, per le sue dimensioni più contenute rispetto ad altri atenei, può aspirare a grandi risultati in questo senso. Nel nostro Ateneo, infatti, non esistono solo numeri di matricola: ognuno di noi è una persona, prima di tutto. La sostenibilità economica garantita dall’ upo e la disponibilità di docenti e personale tecnico-amministrativo hanno reso possibile nel tempo la realizzazione di nuovi percorsi didattici e di formazione. La direzione tracciata finora deve essere mantenuta e sviluppata il più possibile. Visto che nessuno qui vuole o può restare seduto al centro della

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casa in fiamme, è indispensabile che l’Ateneo continui a implementare i suoi sforzi per attuare soluzioni più sostenibili per l’ambiente. Aumentare l’efficienza energetica delle varie sedi d’Ateneo, in primo luogo le più vecchie, o assicurare una raccolta differenziata ancora più efficiente sono solo due esempi di obiettivi che potremmo realizzare, insieme, per fare nuovi passi avanti.

Oltre alle soluzioni green, il nostro Ateneo ha anche altre priorità. In questi anni siamo cresciuti e siamo diventati un’eccellenza nel mondo della ricerca. L’Università come centro di cultura e sapere ha un valore intrinseco che non può essere ignorato dalle altre istituzioni. Per continuare a svolgere questo ruolo nel modo più proficuo possibile, l’upo ha bisogno di supporto concreto e duraturo da parte delle autorità pubbliche. Anche qui la parola d’ordine è sempre “collaborazione”, soprattutto per implementare la rete dei trasporti e organizzare convenzioni per affitti e parcheggi esterni all’Università. Per rendere l’upo un vero e proprio open campus è auspicabile che anche le città ospitanti i nostri poli di studio e ricerca si impegnino insieme a noi per creare spazi più numerosi a misura dell’Università e dei suoi studenti, come luoghi di ritrovo e aule studio aperte oltre gli orari d’ufficio. Questo impegno collettivo deve avere il fine di valorizzare il capitale che ogni componente dell’upo mette a disposizione del territorio, con dedizione, per aiutarlo a crescere. 

Non possiamo quindi permetterci di alzare muri, o pensare che esistano dipartimenti di serie A e di serie B o sedi meno importanti di altre solo perché più dislocate. La cultura ha un valore inestimabile, ovunque e comunque; la cura del sapere non si può quantificare: il farlo sarebbe un errore imperdonabile e

minerebbe il senso dell’interdisciplinarietà che stiamo cercando di sviluppare. Ogni voce può avere qualcosa di interessante da dire, ciascuno di noi può intervenire nel dibattito con idee capaci di svelare nuove possibilità inesplorate. Il pensare che esista un solo sapere universale più autorevole e utile di altri, capace di analizzare ogni aspetto della realtà senza banalizzarlo, è semplicistico oltre che utopico. La realtà è molteplicità di sfumature ed è formata da una molteplicità di idee e pensieri capaci di osservare una situazione da prospettive sempre diverse. L’Università è un’occasione di incontro per campi di ricerca multiformi, una possibilità di aprire un dialogo tra culture e orizzonti differenti, per promuovere la condivisione di esperienze. Comunicare può e deve continuare a essere lo strumento vincente, poiché permette a studenti e docenti di creare reti per condividere saperi, idee e progetti capaci di portare a risvolti anche straordinari.  

Questo sforzo comunicativo ovviamente è già incentivato dall’upo, grazie anche alla collaborazione delle associazioni studentesche legate al nostro Ateneo. Esistono infatti gruppi di studenti ed ex-studenti che si impegnano per garantire che tutti sperimentino pienamente la vita universitaria, abbattendo barriere fisiche e sociali. 6023aps, esn Piemonte Orientale, Enactus, Jeupo, upo Alumni, il Coro e l’Orchestra dell’upo, il cuspo e il sism sono solo alcune delle realtà che in svariati modi, insieme alle istituzioni, concorrono per un obiettivo comune: rendere viva l’upo. Questa “missione” viene perseguita con differenti modalità: l’utilizzo del mezzo radiofonico (con Radio 6023), il supporto a studenti Erasmus, la progettazione di iniziative di carattere sociale, la creazione di ponti tra l’Università e il mondo del lavoro, la gestione del tempo libero. Ognuna di queste

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associazioni agisce con impegno, nella legalità e rispetto delle regole e ognuna è un tassello importante del mosaico che è il nostro Ateneo, per realizzare l’aspirazione dell’upo-open campus, anche a livello internazionale. Questo compito può essere svolto proprio con il sostegno di questa istituzione universitaria, che ci auguriamo costante nel tempo, perché linfa essenziale di queste associazioni studentesche. L’altra linfa vitale per ogni tipo di attività all’interno dell’Ateneo siamo proprio noi, studentesse e studenti: l’Università è il luogo da rendere “nostro” per formarci anche al di fuori delle aule. 

Nel giugno 2005, alla Stanford University, durante un discorso una persona disse: «Stay hungry, stay foolish». Come ricorderete, sono le parole di Steve Jobs, che a sua volta citava la rivista The Whole Earth Catalog. Riprendendo questa affermazione, vorrei riformulare questo augurio e volgerlo a tutte le mie colleghe studentesse e a tutti i miei colleghi studenti: siate affamati, siate folli. Non perdiamo la nostra curiositas, non guardiamo all’Università come a un luogo in cui entrare e limitarsi a seguire lezioni e sostenere esami: coltiviamo i nostri interessi e condividiamoli con il resto della comunità. E partecipiamo alla vita dell’Ateneo, a partire dalle imminenti elezioni suppletive, il 10 e 11 dicembre, per esercitare i nostri diritti e rispondere ai nostri doveri. Mettiamoci in gioco, dimostriamo di avere le potenzialità, la volontà per cambiare il nostro futuro. Così potremo dire, con soddisfazione e orgoglio, di aver sfruttato al meglio ogni momento nel modo migliore, in questo nuovo anno accademico dell’Università del Piemonte Orientale.

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INTER BONOS MELIORESInno dell’Università del Piemonte Orientale

di Claudio BianzinoTesto tratto dal Manoscritto 37 della Keble College Library di Oxford, ff. 185r-185v©2017 by Claudio BianzinoAll rights reserved

Foto: By kind permission of the Warden and Fellows of Keble College

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O scolares huc venientestam privati quam forenses,

dantes sitis vestris celladando flores et novella.

Duo docent vos doctores,inter bonos meliores.

Hos habetis successive,ambos tamen possessive.

Omnes ergo probitate,studeamus largitate.His benignis benignemur,ut ab eis collaudemur.

O scolares Vercellenses !O scolares Novarienses !O Alexandrini ! UPO !

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Professor Maurizio TiraRettore, Università degli Studi di Brescia

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PROLUSIONESostenere lo sviluppo sostenibile. Per un governo durevole del territorio.

sono onorato ed emozionato per questo alto compito affidatomi. Parimenti sono molto lieto con questa mia presenza di testimoniare una vicinanza particolare alla Vostra Università. Il tema che mi accingo a trattare è insidiosissimo. La pervasività e la frequenza delle notizie e delle opinioni sulla tematica e l’abuso del termine sostenibilità rendono una scommessa ogni intervento che pretende di avere una qualche sistematicità. È quindi necessario definire il punto di partenza e la prospettiva con cui trattare un argomento così ampio, oltre che complesso.

Partirò dalla mia formazione di ingegnere, che mi porta ad aver interiorizzato l’approccio sistemico e il problem solving, ma al contempo da una sensibilità umanistica che mi spinge a scartare l’idea che le applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche potranno risolvere tutti i problemi che l’umanità deve affrontare, siano essi nativi o indotti dai nostri stessi errori.

La prospettiva è per me la costruzione di una civiltà che sappia scegliere,

imparando a valutare ex ante gli effetti dell’applicazione tecnologica, consapevole che la vera sfida che abbiamo davanti non è realizzare tutto ciò che la tecnica rende possibile, ma rendere possibile quello che si decide di realizzare, per la costruzione di uno spazio comune, un ethos.

La parola ēthos, per dirla con Heidegger, «nomina la regione aperta dove abita l’uomo”1, quindi evoca lo spazio, fisico e di significati, ma anche l’apertura che le nostre società devono avere.

Al di là del mio punto di vista e della mia prospettiva, spenderò qualche parola per evidenziare alcuni presupposti che ritengo importanti per comprendere il contesto in cui il lavoro della Commissione Brundtland ha prodotto nel 1987 Our common future2, il documento cui ci ispiriamo parlando di sostenibilità. Qualche riferimento a una cronologia sinteticissima dei movimenti di base, dei tantissimi lavori scientifici che hanno costituito pietre miliari e dei

Magnifico Rettore, Studenti e Studentesse, Colleghe e Colleghi, Autorità, Signore e Signori,

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numerosi provvedimenti internazionali servirà a descrivere un cammino lungo e ancora in corso.

Per finire, cercherò di delineare qualche prospettiva di lavoro, anche con riferimento al governo del territorio, luogo di confronto emblematico tra economia ed ecologia, ovvero tra interesse privato e bene comune.

Una semplice premessa terminologica. Nella ricca varietà linguistica europea, l’allocuzione inglese sustainable development (come la traduzione italiana sviluppo sostenibile), mette l’accento sulla necessità di un modello di sviluppo che diacoricamente sia accessibile a tutti i popoli della terra: uno sviluppo che dipende dalla capacità del pianeta di sostenere il peso (carrying capacity) della nostra presenza e delle nostre attività.

La traduzione francese, invece, développement durable evidenzia il secondo aspetto della sostenibilità, quello temporale: traduce cioè la dimensione diacronica dello sviluppo. Il modello che oggi consideriamo sostenibile è quello che è riproducibile per le prossime generazioni, nell’ipotesi di diminuzione della domanda di risorse e consumi o di aumento delle biocapacità del pianeta. La definizione di sostenibilità sta tutta in queste due traduzioni.

1. Determinismo tecnologico ed economia

Dopo la seconda guerra mondiale l’umanità sognava un futuro di crescita economica, sociale e tecnologica. Il progetto di vasta ricostruzione dei paesi europei devastati dalla guerra, messo in atto dagli Stati Uniti tra il 1947 e il 1952, incarnava certo un disegno di egemonia, ma al contempo rappresentava una svolta nella politica americana, orientata

alla ricostruzione e alla definizione di una strategia per promuovere la ripresa economica del continente europeo.

Il piano fu annunciato il 5 giugno 1947 all’Università di Harvard dal segretario di Stato statunitense George Marshall, in un celebre discorso3. Inizialmente rivolto all’urss e ai Paesi dell’Europa orientale, in seguito al rifiuto sovietico, il piano Marshall venne limitato ai paesi dell’Europa occidentale e alla Germania Ovest. Forse vi era la convinzione che la convivenza civile e la pace si sarebbero basate su nuove fondamenta: non più le alleanze strategico-politiche, ma una generalizzata prospettiva di benessere e l’apertura al libero scambio di beni e di persone. Sappiamo che non andò così e che, anzi, oggi si rimette continuamente in discussione quella visione ottimista.

Iniziò così quella che Wolfgang Sachs ha definito “l’era sviluppista”, con un esplicito riferimento al discorso di insediamento di H. Truman, il 20 gennaio del 19494. A questo clima di pace ritrovata, Sachs ascrive il diffondersi di un ottimismo acritico e l’esaltazione della crescita come unica forma di sviluppo:

«Niente di più ragionevole ci si poteva attendere in quegli anni. La crescita dei consumi avrebbe trainato l’economia. Il dilagante credo sviluppista avrebbe impedito ogni serio dibattito sulla modernizzazione della crescita: una società che decide – almeno in alcune aree – di non crescere oltre certi livelli di intensità di merci, di performance tecnica o di velocità, appare arretrata. Di conseguenza, l’opzione zero, cioè la scelta di non fare tutto quel che è tecnicamente possibile, è considerata un tabù nella discussione sull’ecologia globale» (1993)5.

Alla luce di quanto stiamo sperimentando negli ultimi decenni, il determinismo

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tecnologico sembra vincente: sia lo sviluppo della tecnica, che le sue conseguenze, seguono una logica immanente e una dinamica propria, e sono quindi sottratti al controllo cosciente da parte dell’uomo.

Possiamo paragonare questa fiducia illimitata nella tecnica alla pari fiducia nella funzione di autoregolazione del mercato. Secondo Smith, gli individui sarebbero spinti da una mano invisibile a operare in modo da assicurare benefici a sé e alla società, pur perseguendo null’altro che vantaggi individuali. La metafora della mano invisibile rimanda a una dinamica interna, per la quale il corpo sociale si trova a godere di benefici che nessuno ha posto come fine delle proprie azioni6. Il solo modello possibile di sviluppo è naturalmente considerato quello dei paesi industrializzati occidentali, tendente alla migliore organizzazione e alle migliori tecnologie.

Anche alla base del neoliberalismo vi è un’idea positiva, di libertà, una forte motivazione anti-totalitaria. L’obiettivo era ripensare il meccanismo sociale per evitare ogni forma di accentramento di potere e l’idea fondamentale che solo il meccanismo di mercato garantisca la decentralizzazione. In un mercato concorrenziale ognuno è libero di scegliere che cosa vendere e comprare, e i prezzi sono il risultato di milioni di scelte decentrate. Allo stesso modo, la diffusione delle soluzioni tecnologiche, soprattutto nel campo delle comunicazioni, è spesso considerata come il miglior mezzo di emancipazione anche per i popoli con minor accesso alle risorse economiche.

Quindi: una base teorica economica solida, che ancora una volta reagisce a un sistema politico che ha portato alla catastrofe della seconda guerra mondiale.

E ancora, una base scientifico-tecnica solida: la tecnologia dà risposte ai bisogni dell’uomo, lo libera dalle costrizioni del vivere e dai lavori inutili, gli prospetta la risoluzione di tutti i suoi problemi, fino all’illusione della sconfitta delle malattie e quindi della morte.

La diffusione di sistemi economici capitalisti consentirà la libertà di impresa, ma assumendo la non finitezza delle risorse naturali e generando inevitabilmente esternalità negative, contravverrà ad alcuni principi solidi dell’impostazione classica del mercato. Le nuove tecnologie causeranno necessariamente cambiamenti sociali e nuove marginalizzazioni e condizioneranno il nostro modo stesso di apprendere, indebolendo (o delegando) la capacità stessa di comprensione degli automatismi da noi creati.

Lo stretto legame tra economia e tecnologia appare in tutta evidenza. Un solo esempio: nel campo delle tecnologie innovative il costo sostenuto per ottenere l’idea è grande rispetto al costo dell’oggetto prodotto (come nel caso del software). Dunque, la produzione avviene con rendimenti crescenti: più unità si producono, minore è il costo per unità di prodotto. L’economia dell’informazione, dove i più importanti beni sono algoritmi, reti, immagine, marchi ecc., cioè beni che hanno caratteristiche più simili alle idee che agli oggetti, è tendenzialmente un’economia a rendimenti crescenti. In un’economia a rendimenti crescenti le imprese tendono ad acquisire posizioni di monopolio, che, come sappiamo, è un problema concettuale per la teoria economica classica. Proprio perché il costo di riproduzione di un’idea è praticamente nullo, l’impresa che per prima ottiene l’idea può riuscire a invadere il mercato e a impedire la concorrenza, anche acquistando ogni possibile rivale con i profitti ottenuti (Minelli, 2019)7.

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2. Alle radici della sostenibilità ambientale

La crescita della popolazione mondiale e la rapida esplosione delle attività economiche hanno causato stress ambientali in tutti i sistemi socio-economici e messo in crisi il modello di sviluppo.

La popolazione mondiale continua ad aumentare: si prevede che passerà dai 7,7 miliardi del 2019 agli 8,5 miliardi nel 2030 (aumento del 10%), e poi a 9,7 miliardi nel 2050 (26%) e a 10,9 miliardi nel 2100 (onu, 2019)8. I tassi di crescita, peraltro, variano notevolmente tra le regioni. Nove paesi costituiranno oltre la metà della prevista crescita della popolazione tra oggi e il 2050. I maggiori aumenti della popolazione tra il 2019 e il 2050 avranno luogo in India, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Repubblica di Tanzania, Indonesia, Egitto e Stati Uniti d’America (onu, 2019).

Si fa così strada una generale preoccupazione sul fatto che problemi come l’effetto serra, il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, la produzione di rifiuti e l’esaurimento delle fonti non rinnovabili siano chiari segni dell’insostenibilità ambientale del modello di sviluppo prima delineato, perlomeno della sua applicazione a più vasti strati di popolazione. Non solo, risulta sempre più evidente come ci sia un’interazione sempre attiva e costante tra gli organismi viventi e il loro habitat. Gli organismi non sono semplicemente i risultati, ma anche le cause dei loro ambienti: questa è la tesi centrale del paradigma coevolutivo (Norgaard, 1994; Gowdy, 1994)9. In altri termini, Watts sostiene che «noi umani non ci siamo evoluti per adattarci al nostro ambiente, noi abbiamo cambiato il nostro habitat per adattarlo alle nostre esigenze, ribaltando così il paradigma di Darwin» (2006)10.

Dapprima sono stati il carbone, il ferro, l’acciaio e le macchine azionate a vapore a favorire la prima rivoluzione industriale, che determinò una mutazione radicale dell’ambiente di vita dell’umanità. Poi il petrolio, l’elettrotecnica, l’industria chimica e il motore a quattro tempi furono le pietre miliari della seconda rivoluzione industriale, che iniziò alla fine del XIX secolo ed ebbe il suo massimo sviluppo nel secolo successivo. Non dimentichiamo che la baseline di riferimento per la misura della temperatura media e la successiva risoluzione della Conferenza sul clima di Parigi (COP21) per definire la soglia accettabile al 2030 è il 185011.

L’energia nucleare, l’elettronica e le moderne tecniche di informazione e comunicazione contrassegnano l’ondata più recente di innovazione tecnologica, che ha avuto inizio nel secondo dopoguerra (Industria 3.0). Fondamentale fu l’introduzione dell’uso del computer nei processi di controllo delle macchine utensili, che di nuovo determinò un salto nel modo di adattare l’ambiente alle nostre scoperte tecnologiche. La quarta rivoluzione industriale non è ancora del tutto definita, ma in estrema sintesi consiste nel processo di produzione del tutto automatizzato e interconnesso. Qui sta la frontiera ancora ampiamente inesplorata del futuro del nostro modo non più di vivere e produrre, ma anche di pensare e di relazionarci. Nell’Industria 4.0 le nuove tecnologie digitali hanno un impatto profondo nell’ambito di quattro direttrici di sviluppo: l’utilizzo dei dati, l’interazione tra uomo e macchina, la manifattura additiva e la robotica.

Si noti anche che la tecnicizzazione non comporta solo la diffusione e lo sfruttamento di singoli artefatti tecnici, ma anche la nascita

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di sistemi tecnologici sempre più grandi e reciprocamente interconnessi. La nascita di sistemi tecnologici estesi a tutto il territorio nazionale e talvolta interconnessi a livello internazionale costituisce un importante aspetto dello sviluppo tecnologico moderno.

I grandi sistemi tecnologici si possono presentare in tre forme distinte:

• come grandi impianti (per esempio le centrali nucleari);

• come grandi progetti (si vedano le grandi infrastrutture di ricerca o, per esempio, il progetto iter sulla fusione nucleare);

• come grandi sistemi infrastrutturali.

Lo sviluppo e lo sfruttamento dei grandi sistemi infrastrutturali hanno influenzato i sottosistemi della politica, dell’economia, della scienza, ecc. perlomeno in modo altrettanto profondo, se non più profondo, dei processi di tecnicizzazione all’interno di tali sottosistemi stessi.

La fase culturale in cui siamo immersi è stata definita da Postman come tecnopolio (Postman, 1993)12, ovvero la tecnocrazia totalitaria. Il sistema manageriale gestisce l’uomo e quindi “pensa” per lui, in modo che quest’ultimo abbandoni le sue responsabilità e diventi un burocrate, un uomo che fa dell’efficienza il suo fine. Bisogna dire che il tecnopolio non appartiene necessariamente alla quarta rivoluzione industriale, ma potremmo affermare che – con l’avanzare del progresso tecnologico – la probabilità di instaurarsi del tecnopolio aumentano. In particolare esse si fanno drammatiche nell’era della comunicazione digitale facilitata e accessibile a tutti.

Sia Apple, sia Google e Amazon hanno una valutazione di mercato di circa mille

miliardi di dollari ciascuna. Tutta la borsa italiana vale circa settecento miliardi di dollari! (Minelli, 2019). L’intreccio economia-tecnologia è ben chiaro. Nel settore dei servizi finanziari le nuove tecnologie consentono di sfruttare appieno il valore dei dati, e dunque della dimensione della base dei clienti, determinando un fattore competitivo sempre più importante.

Già negli anni cinquanta del secolo scorso cominciarono a farsi sentire le voci dei primi critici del progresso, come per esempio Lewis Mumford. Un giudizio critico sullo sviluppo tecnologico fu espresso dal Mumford, il quale scriveva nel suo Art and technics: «Come un guidatore di locomotiva ubriaco su un treno a vapore lanciato nell’oscurità a cento miglia all’ora, abbiamo oltrepassato i segnali di pericolo senza renderci conto che la nostra velocità, frutto della nostra abilità meccanica, non fa che accrescere il pericolo e renderà più fatale lo schianto»13. Per Mumford lo sviluppo tecnologico è destinato a sfociare nella costruzione di strutture totalitarie (si noti, le stesse che le teorie economiche neoliberaliste volevano soppiantare).

A suscitare le prime critiche e preoccupazioni furono soprattutto i pericoli dell’energia atomica e i rischi comportati dalla chimica per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Oggi, sebbene le prime non siano superate, la preoccupazione riguarda soprattutto, come già accennato, l’interazione tra tecnologia e scienze umane, tra macchina e cervello. Autori come Mumford sono da annoverarsi tra gli esponenti del determinismo tecnologico, secondo il quale lo sviluppo della tecnica segue una propria logica immanente e può essere tutt’al più rallentato o accelerato dall’esterno, ma non incanalato in una direzione diversa. Nella versione neoclassica

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del determinismo economico il progresso tecnologico sarebbe innescato dai bisogni che si esprimono di volta in volta sul mercato sotto forma di domanda di particolari beni e servizi.

Si impone la convinzione della necessità di uno strumento tipico della politica, la regolamentazione normativa della tecnologia. Suo scopo principale è quello di evitare gli effetti negativi delle nuove tecnologie. Il compito principale del controllo statale non è quello di garantire l’efficienza tecnica, ma di salvaguardare la salute e la vita dei cittadini. Accanto al desiderio di sviluppo (o meglio, di crescita) si fa strada la consapevolezza delle diversità del livello di sviluppo raggiunto dai popoli. Per la prima volta, proprio da Truman, verranno definiti sottosviluppati quei paesi che non avevano raggiunto sufficienti livelli di sviluppo economico e tecnologico. Anche in questo caso, però, nel 1947 prevalse l’ottimismo: con la disponibilità a esportare le capacità tecnologiche degli Stati Uniti anche a quei paesi, tutti avrebbero prima o poi potuto accedere a una vita migliore e così, tra l’altro, evitare nuove guerre. Dunque uno sviluppo che si prevedeva (o si auspicava) tendenzialmente infinito, misurato dalla crescita, ed equo, dove il trasferimento tecnologico avrebbe spinto tutti a raggiungere il livello di sviluppo dei migliori14.

Sappiamo che non è andata così. L’equità, soprattutto, non è mai stata raggiunta, anzi è molto lontana dall’esserlo. Sappiamo anche che un modello di sviluppo basato sulla crescita tendenzialmente infinita di produzione e consumo, misurato sul ritmo delle economie più economicamente sviluppate, non è possibile. Per esempio, in accordo con gli attuali valori sociali nei paesi occidentali, avere un’auto ogni due-tre persone potrebbe essere considerato

un obiettivo ragionevole, anche per i paesi meno economicamente sviluppati. Questo implicherebbe un numero di auto dieci volte più grande del presente, con enormi conseguenze per il riscaldamento globale, l’esaurimento del petrolio, l’utilizzo di materie prime, il rumore, la produzione di CO2, ecc. (Munda, 2013)15.

Un tale modello di sviluppo deve confrontarsi con le risorse, non infinite e non sempre rinnovabili, del pianeta16. Gli ecosistemi urbani, in particolare, sono evidentemente non autosufficienti o, diremmo in termini energetici, intrinsecamente non sostenibili, in quanto produttori di entropia. Per essere sostenuti (sostenibili) essi dipendono dagli ambienti naturali. Da questa coscienza, così come dall’aumento demografico e dall’esplosione delle attività economiche, deriverà la consapevolezza dei reali o potenziali conflitti tra la crescita economica e l’ambiente.

Negli ecosistemi, infatti, le popolazioni, una volta raggiunta la massima capacità di carico dell’ecosistema stesso, rallentano la crescita e si stabilizzano in una condizione di equilibrio. I nessi tra ecosistema e sistema economico sono il punto centrale dell’economia ecologica17. La crescente consapevolezza che il sistema che sostiene la nostra vita ecologica globale è in pericolo, ci costringe a capire che le scelte fatte sulla base di criteri locali, ristretti, di breve termine, possono produrre, nel lungo termine, disastrosi risultati globali. Noi stiamo iniziando anche ad accorgerci che i modelli economici ed ecologici tradizionali non sono in grado di affrontare appieno i problemi ecologici globali (Munda, 2013).

Gli economisti neo-classici hanno tradizionalmente potuto mantenere la loro

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credibilità relegando in secondo piano l’incertezza nella conoscenza e la complessità nell’etica. L’economia ecologica riconosce la presenza, l’importanza e la legittimità di diversi principi di valore per una appropriata gestione dell’incertezza. Non rivendica neutralità morale, né indifferenza verso conseguenze delle politiche delle sue posizioni (ivi).

Dunque in economia, come nello sviluppo tecnologico, abbiamo sostituito l’anelito di libertà tipico del neoliberalismo con nuove forme di schiavitù, più sottili e pervasive di quelle potenti ed evidenti che abbiamo soppiantato. Mi pare di intravedere nella critica a questi due sistemi la radice del concetto di sviluppo sostenibile.

3. Gli antesignani della sostenibilità ambientale

Rachel Carson nacque nel 1907 in Pennsylvania. Era consapevole dell’impatto che gli umani avevano sul mondo naturale, mostrando il suo interesse per una più ampia etica ambientale. Ella anticipò così il tema della sostenibilità dei sistemi interattivi e interdipendenti della natura. Si occupò di cambiamenti climatici, dell’innalzamento del livello del mare, dello scioglimento dei ghiacciai artici. Nel 1962 pubblicò negli Stati Uniti il libro Primavera silenziosa18, che è considerato l’inizio del movimento ambientalista. Anche dal suo lavoro scaturì la messa al bando del ddt negli Stati Uniti, per i danni agli ecosistemi che l’allora comunissimo pesticida chimico produceva. Era il 1972, ma già nel 1970, sempre negli Stati Uniti, si era celebrato il primo Earth Day: il 22 aprile, 20 milioni di Nordamericani e molte università scesero nelle strade e nei parchi, per

dimostrare a favore di un ambiente più sano19.

Il lavoro più famoso di quegli anni è però Limits to Growth (I limiti allo sviluppo), redatto da Donella H. Meadows e altri scienziati del mit nel 1972, su commissione del Club di Roma, per studiare il problema della scarsità delle risorse (petrolio, carbone, gas naturale, ecc.) e dei conseguenti limiti da porre allo sviluppo. Sappiamo che alcune previsioni dello studio non si sono avverate, almeno non nei tempi previsti, come pure che molti economisti ne rigettarono i risultati. Tuttavia il testo resta una pietra miliare, tanto che recentemente ne è stata pubblicata una versione aggiornata, in occasione del trentesimo anniversario della prima uscita20 e alla luce dell’imponente crescita demografica, passata dai quattro miliardi degli anni settanta ai sette miliardi e mezzo di oggi.

Un anno importante è il 1972: la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano a Stoccolma ribadì la necessità che le risorse naturali fossero protette, preservate e opportunamente razionalizzate per il beneficio delle generazioni future. La Dichiarazione sull’Ambiente Umano affermò che: «La ricerca scientifica e lo sviluppo, visti nel contesto dei problemi ecologici nazionali o multinazionali, devono essere incoraggiati in tutti i Paesi, specialmente in quelli in via di sviluppo». Nacque così il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (unep).

Nel 1973 la prima crisi petrolifera mondiale, determinata dal cartello sui prezzi del petrolio operato dall’Associazione dei paesi produttori, fu il primo vero campanello d’allarme sulla scarsità delle risorse (o almeno sulla volubilità delle possibilità di accesso) per le società più economicamente sviluppate. Fu evidente che le risorse naturali non sono infinite o almeno non ne è garantita

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all’infinito la possibilità di sfruttamento. I blocchi alla circolazione furono totali e io ricordo le domeniche i cui si scorrazzava in pattini a rotelle sull’autostrada: un’esperienza irripetuta, per ora!

Il cammino verso la definizione di sostenibilità ambientale fu ancora lungo. Può essere interessante, a questo punto, ricordare un intervento di un altro presidente degli Stati Uniti d’America. Era la sera del 15 luglio 1979. Il Presidente Jimmy Carter si rivolse alla nazione, parlando di energia e delle sfide per il suo paese. Il discorso passò alla storia come il “discorso del malessere”, The Malaise Speech21, per il tono preoccupato e accorato, ma anche per un richiamo al senso della vita di fronte al consumo. Il Presidente propose come dovere di patriottismo semplici comportamenti che ancora oggi non sono del tutto interiorizzati, come la necessità di utilizzare di meno il veicolo privato, di usare i mezzi di trasporto pubblico, di diminuire di un grado la temperatura nelle abitazioni. Una motivazione di fondo era certamente l’aspirazione a una minor dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico degli Stati Uniti, ma il messaggio fu comunque emblematico e inedito per quei tempi. Forse era stato anche l’incidente nucleare di Three Mile Island22 del 28 marzo di quell’anno a suscitare una seria riflessione sul fabbisogno energetico e sulle capacità dei paesi più economicamente avanzati di farvi fronte.

Così affermò il presidente Carter:

«L’identità umana non è più definita da ciò che si fa, ma da ciò che si possiede. Ma abbiamo scoperto che possedere cose e consumare cose non soddisfa il nostro desiderio di significato. Abbiamo imparato che accumulare beni materiali non può riempire il vuoto di vite che non hanno fiducia o scopo. (…) E ti sto chiedendo

per il tuo bene e per la sicurezza della tua nazione di non fare viaggi inutili, di usare le auto o i mezzi pubblici ogni volta che puoi, di parcheggiare l’auto un giorno in più alla settimana, di rispettare il limite di velocità e di impostare il tuo termostato per risparmiare carburante. Ogni atto di conservazione dell’energia come questo è molto più che buon senso. Ti dico che è un atto di patriottismo».

Un discorso tragico e commovente, se riletto a quarant’anni di distanza, mosso certamente dall’orgoglio di indipendenza tipicamente americano, che non accetta sudditanze energetiche dal resto del mondo, eppure carico di indirizzi che nemmeno dopo quasi mezzo secolo abbiamo preso davvero sul serio.

Saltando qualche tappa importante, arriviamo al 1987, quando – dismessi altri aggettivi accostati nel tempo al termine “sviluppo” – si decise per l’aggettivo “sostenibile”. Fu grazie al lavoro della Commissione mondiale sull’Ambiente e lo sviluppo, istituita nel 1983 dal Segretario generale dell’onu Javier Pérez de Cuéllar e presieduta dalla prima ministra norvegese, Gro Harlem Brundtland, che si arrivò a questa tappa fondamentale nel cammino della coscienza ambientale, iniziato molti anni prima.

4. Lo sviluppo sostenibile

Il Rapporto Brundtland, Il nostro futuro comune ha messo chiaramente in luce che il progressivo deterioramento dell’ambiente è diretta conseguenza di uno sviluppo economico incontrollato e che determinati danni all’ambiente rischiano di essere tramandati alle generazioni future. Ha inoltre messo in evidenza l’esistenza di una stretta connessione tra lo sviluppo economico e il deterioramento ambientale e ha infine individuato la necessità

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di promuovere forme alternative di sviluppo, capaci di sostenere la crescita economica, sia nel breve sia nel lungo periodo, e nel contempo la salvaguardia dell’ambiente e la preservazione delle risorse naturali.

Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. La soddisfazione di bisogni e aspirazioni umane costituisce il principale obiettivo dello sviluppo che può essere considerato sostenibile alle condizioni che:

1. esso soddisfi i bisogni primari di tutti i popoli contemporaneamente, ovvero che sia estesa a tutti la possibilità di dare realtà alle proprie aspirazioni a una vita migliore;

2. il ritmo di diminuzione delle risorse non rinnovabili precluda il meno possibile ogni opportunità futura.

Sono chiari i riferimenti all’equità (la dimensione spaziale) e alla durabilità (la dimensione temporale) della sostenibilità. Il Rapporto Brundtland individua una serie di principi e di strumenti al fine di perseguire l’obiettivo dello sviluppo sostenibile: il principio di prevenzione, che ispirerà l’introduzione per la Direttiva europea delle valutazioni ambientali ex-ante23: la Direttiva è volta a garantire che le implicazioni ambientali dei progetti di infrastrutture e della pianificazione siano debitamente affrontate, contribuendo anche a garantire che le considerazioni di ordine ambientale siano meglio integrate nelle decisioni di pianificazione. Si introduce anche il principio della condivisione di responsabilità tra i diversi attori del panorama economico,

inclusi i privati cittadini, che ispirerà la Convenzione europea sulla partecipazione e l’informazione24.

Da allora una lunga teoria di incontri, conferenze, risoluzioni, direttive, gruppi di lavoro, passando per la Conferenza delle nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, a Rio de Janeiro nel 1992, seguita immancabilmente dagli Earth Summit Rio+10 di Johannesburg nel 2002, e Rio+20 ancora a Rio de Janeiro nel 201225. Tutte occasioni per constatare il non raggiungimento degli obiettivi che ci era posti.

L’Unione europea ha fatto la sua parte e ha approvato, nel 1992, il V Piano d’Azione Ambientale “Per uno sviluppo durevole e sostenibile” 1993/199926, in base al quale, nel 1993, il nostro Paese adottò il Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile in Italia. Vi si legge, tra l’altro: «Sviluppo sostenibile non vuol dire bloccare la crescita economica (...). Un piano d’azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attività produttive compatibili con gli usi futuri».

Con il Trattato di Amsterdam del 199727 la tutela ambientale è divenuta un principio costituzionale dell’Unione europea e una politica comunitaria non subordinata, ma di pari livello rispetto alle altre fondamentali finalità dell’Ue. Nel 1999 il Ministero dell’Ambiente italiano28 ha istituito il Servizio per lo sviluppo sostenibile, l’organo preposto alla promozione e al coordinamento delle iniziative per lo sviluppo sostenibile in Italia.

Se i Millennium Development Goals29, approvati nel 2000 da tutti i paesi facenti parte delle Nazioni Unite non hanno avuto grande risonanza, il 2015 fu l’anno chiave per il cammino dello sviluppo sostenibile, per tre motivi:

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• l’enciclica papale Laudato si’30, la prima di un papa su questo tema, con l’originale definizione di ecologia integrale, secondo la quale è richiesta un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà ed è fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali;

• il Sustainable development summit, dal 25 al 27 settembre a New York, che definì i diciassette Sustainable Development Goals31;

• la storica Conferenza di Parigi, ( COP21)32, in dicembre, a pochi giorni dalla strage terroristica che aveva colpito al cuore la capitale francese. La firma dell’accordo che prevede di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine è avvenuta in base a un senso di responsabilità non estraneo ai tragici fatti di sangue e non senza un qualche influsso dell’Enciclica stessa.

Non si tornerà più indietro. Vi è la diffusa percezione che ora si debba fare sul serio, che il tempo stringa, che la consapevolezza della tragedia potenziale si allarghi a diversi strati sociali.

Oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti. (…) Il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri. Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei beni della terra (Laudato si’, 93. 158)33.

Che cosa sono i beni comuni? «Beni essenziali per la sopravvivenza dell’umanità

e per lo sviluppo della persona umana, strettamente legati ai diritti fondamentali» (Rodotà). I beni comuni sono un nuovo modo di esprimere un’idea molto antica: che alcune forme di ricchezza appartengano a tutti noi e che queste risorse della comunità debbano essere attivamente protette e gestite per il bene di tutti.

I beni comuni sono le cose che ereditiamo e creiamo congiuntamente e che (si spera) dureranno per le generazioni a venire. I beni comuni si possono distinguere per:• gli individui che condividono la risorsa: è

possibile distinguere i beni comuni locali (in genere le aree coltivate o sfruttate per uso agricolo dalle comunità), da quelli globali (come acqua, aria, oceani, ecc.); questi ultimi stanno diventando sempre più importanti a causa della crescente intensità di sfruttamento e di impoverimento;

• la longevità: è possibile identificare i comuni inesauribili, quelli rinnovabili e infine quelli esauribili.

Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni, e quindi il diritto di tutti al loro uso, è una regola d’oro della condotta sociale e «il primo principio dell’intero ordine etico e sociale» (Laborem exercens)34. Del resto le città crescono grazie al valore aggiunto delle terre edificabili e al conseguente trasferimento agli enti pubblici di parte di questo plusvalore. Quindi crescono con una dinamica intrinsecamente legata alla proprietà privata del bene suolo. È una dinamica ineludibile, che sottende la crescita urbana, questione significativa per la sostenibilità in Europa e nel mondo, che richiama in maniera lampante la necessità di un governo pubblico.

Le città crescono perché cresce la popolazione mondiale, ma anche perché

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aumenta in particolare la popolazione urbana. Le persone che vivono nelle città sono, oggi, il 55% della popolazione mondiale, una percentuale che dovrebbe aumentare al 68% entro il 2050. Le proiezioni mostrano che l’urbanizzazione, il passaggio graduale in residenza della popolazione umana dalle aree rurali a quelle urbane, combinato con la crescita complessiva potrebbe aggiungere altri 2,5 miliardi di persone alle aree urbane entro il 2050, con circa il 90% di questo aumento che si sta verificando in Asia e Africa, secondo un nuovo set di dati delle Nazioni Unite (onu, 2019).

Conosciamo relativamente bene gli effetti economici e ambientali di questo tremendo cambiamento a livello macroscopico. Anche se le aree urbane coprono l’1% della superficie terrestre non ghiacciata (ipcc, 2019)35, sono responsabili del 60-80% del consumo energetico, del 75% delle emissioni di CO2, gran parte del degrado del paesaggio e di eventi rari. Le aree urbane incidono fortemente sull’ambiente e sulla salute umana. L’urbanizzazione può peggiorare il riscaldamento nelle città e nei loro dintorni (effetto isola di calore) e può anche intensificare eventi di precipitazioni estreme (ivi).

La dimensione demografica dell’insediamento urbano è uno degli elementi di complessità, ma non l’unico. Tokyo è la città più grande del mondo con un agglomerato di 37 milioni di abitanti, seguita da Nuova Delhi con 29 milioni, Shanghai con 26 milioni e Città del Messico e San Paolo, ognuna con circa 22 milioni abitanti. Oggi Cairo, Mumbai, Pechino e Dhaka hanno quasi 20 milioni di abitanti (ivi). Entro il 2020 si prevede che la popolazione di Tokyo comincerà a diminuire, mentre Nuova Delhi dovrebbe continuare a crescere e diventare la città più popolosa del mondo intorno al 2028 (ivi). Tuttavia, anche se entro il 2030 si prevede

che il mondo avrà 43 megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti, alcuni degli agglomerati urbani in più rapida crescita sono città con meno di un milione di abitanti, molti dei quali situati in Asia e Africa (ivi).

La percentuale di persone che vivono in città di medie dimensioni è maggiore: quasi la metà degli abitanti delle città del mondo risiede in insediamenti con meno di 500.000 abitanti (ivi) e in Europa una grande parte dei cittadini vive in insediamenti piccoli e molto piccoli. Ciò è particolarmente vero per l’Italia, dove circa l’88% della popolazione urbana, ovvero il 62% del totale, vive in città e paesi con meno di 500.000 abitanti e il 70% degli insediamenti ha meno di 5.000 abitanti.

I fenomeni che più impattano sulla terra non si limitano quindi alle megalopoli. Probabilmente, l’esempio più semplice è quello del trasporto pubblico. È ampiamente riconosciuto che una rete ampia e efficiente può ridurre significativamente la mobilità motorizzata privata. Allo stesso tempo, nessuna struttura di trasporto pubblico può essere implementata sotto una soglia di popolazione minima: i costi sarebbero insostenibili.

Secondo l’ultimo Rapporto sul consumo di suolo Italia (ispra, 2018)36, il contributo maggiore alla trasformazione delle aree naturali si è verificato nelle comunità minori (il 71% del nuovo consumo di suolo tra il 2016 e il 2017 riguarda i comuni con meno di 20.000 abitanti). La densità di popolazione nelle aree urbanizzate diminuisce con la dimensione della città, a tal punto che può dimezzarsi nelle piccole comunità, rispetto alle città più grandi. Una recente ricerca ha dimostrato come la densità urbana sia diminuita a un terzo in quasi sessant’anni in un distretto urbano a bassa densità in Lombardia, fatto di comuni piccoli e molto piccoli (Mazzata e Tira, 2008)37.

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Comprendere le tendenze chiave dell’urbanizzazione che potrebbero svilupparsi nei prossimi anni è cruciale per l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in particolare definendo approcci di urbanizzazione sostenibile. La città compatta manifesta il suo impatto ambientale soprattutto a causa della crescente domanda di energia, in primis per gli edifici. Dall’altro lato può massimizzare le economie di scala per molte strutture pubbliche, come i sistemi di trasporto. Gli insediamenti a bassa densità pagano i costi di estensione delle linee infrastrutturali e della rete stradale a una dimensione poco appropriata e determinano un uso irrazionale dei veicoli privati a motore. Allo stesso tempo, si tratta di uno schema insediativo più adatto all’autosufficienza energetica. Lo schema policentrico offre una soluzione all’esigenza di servizi e consente di contenere l’espansione urbana, progettando schemi coerenti. I confini più chiari tra le aree urbane e rurali sono così definiti.

5. Conclusioni

L’etica e l’innovazione tecnologica sembrano antitetiche, perché la tecnica ci illude sulla sua capacità di realizzare tutto ciò che è possibile. Secondo Galimberti «nell’età della tecnica l’etica celebra la sua impotenza, la sua incapacità di impedire alla tecnica, che può, di fare ciò che può. L’antica persuasione che assegnava all’etica il compito di scegliere i fini e alla tecnica il reperimento dei mezzi per la loro realizzazione è tramontata»38.

Io non sono convinto, o meglio contrappongo a questa affermazione l’ottimismo della ragione e registro qualche segno di speranza nel risveglio diffuso di

una (confusa) coscienza ambientale. La vera sfida che abbiamo davanti non è realizzare tutto ciò che la tecnica rende possibile, ma rendere possibile quello che si decide di realizzare, non per sé, ma per la costruzione di uno spazio comune, un ethos appunto.

Non sarà tuttavia possibile vincere la sfida senza un’alleanza tra scienza, politica e comportamenti individuali. In altre parole, è necessaria una rivoluzione del modo di pensare, consapevoli, secondo le parole attribuite ad Einstein, che «non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose».

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1 M. Heidegger, Lettera sull’“umanesimo”, Adelphi, Milano 1995, p. 902 World Commission On Environment and Development, Our Common Future, Oxford Paperbacks, 19903 https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/media/docs/0358.pdf4 H.S. Truman, Inaugural address, 20 gennaio 1949, https://www.bartleby.com/124/pres53.html5 W. Sachs (a cura di), Global Ecology: Conflicts and Contradictions, CNS, marzo 1993, fascicolo 76 http://www.treccani.it/enciclopedia/mano-invisibile_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/7 Riflessione di Enrico Minelli, non pubblicata.8 Population Division of the United Nations Department of Economic and Social Affairs (2019). World Population Prospects 2019: Highlights, www.unpopulation.org.9 Si veda anche: G. Kallis, R.B. Norgaard, “Coevolutionary ecological economics”, in Ecological economics, Elsevier, 69.4 (2010), pp. 690-699.10 Citato da M. Whitehead, Environmental Transformations: A Geography of the Anthropocene, Routledge, Londra, 201411 L’accordo di Parigi è scaricabile a: https://unfccc.int/sites/default/files/english_paris_agreement.pdf12 N. Postman, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino, 199313 L. Mumford, Art and Technics, Columbia University Press, New York, 2000 (rist.)14 Durante la COP21 i Ministri dell’Ambiente dei paesi economicamente sviluppati hanno fatto a gara per chi offriva più risorse per lo sviluppo, sotto forma di trasferimento di tecnologie ai paesi meno economicamente sviluppati. Cento miliardi di dollari all’anno è la cifra che i paesi ricchi si sono impegnati a destinare fino al 2020 a sostegno di quelli in via di sviluppo.15 G. Munda, Economia ambientale, economia ecologica e il concetto di sviluppo sostenibile (http://www.masterambiente.unimi.it/File%20allegati/materiale%20de%20Carli/ecological%20vs%20environmental%20economics.pdf)16 L’Earth Overshoot day, che potremmo definire il “giorno in cui abbiamo esaurito le risorse annuali del pianeta”, si celebra ogni anno in un giorno sempre più vicino (nel 2019 si è celebrato il 29 luglio, mentre nel 1997 si celebrò alla fine di settembre). La data dell’Overshoot Day viene calcolata annualmente dal Global Footprint Network, l’organizzazione di ricerca internazionale che ha dato il via al metodo di misura dell’Impronta Ecologica (in inglese Ecological Foorprint) per il calcolo del consumo di risorse.17 La fondazione è normalmente ricondotta all’economista e matematico rumeno Nicholas Georgescu-Roegen. Si vd. tra gli altri riferimenti: M. Kennet, M.S. Gal De Oliveira e V. Heinemann, “Strumenti e obiettivi dell’economia ecologica”, s.v. «Green Economy», in Il libro dell’anno 2010, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 2010, 2pp. 75-290.18 R. Carson, Silent Spring = trad. it. Primavera silenziosa, Feltrinelli, Milano, 1999 [1962]19 La giornata mondiale della terra è diventata una delle giornate ONU, e si celebra il 22 aprile di ogni anno (si veda tra l’altro: https://www.un.org/en/events/motherearthday/)20 D.H. Meadows, Limits to Growth: The 30-Year Update, Chelsea Green Publishing Company, White River Junction (VT), 200221 https://www.americanrhetoric.com/speeches/jimmycartercrisisofconfidence.htm22 Il 28 marzo 1979 a Three Mile Island (Pennsylvania) nella centrale nucleare vi fu un malfunzionamento che provocò l’incidente nucleare più grande nella storia degli Stati Uniti, insieme a un errore umano degli operatori impegnati alla centrale.23 Si vedano la Direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985 sulla Valutazione di Impatto Ambientale (via) e la Direttiva 2001/42/CE, entrata in vigore il 21 luglio 2001, sulla Valutazione Ambientale Strategica (vas)24 Si veda la Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, siglata ad Århus, Danimarca, il 25 giugno 1998 (https://www.minambiente.it/pagina/convenzione-di-aarhus-informazione-e-partecipazione)25 https://www.minambiente.it/pagina/il-percorso-dello-sviluppo-sostenibile-199226 ibidem.27 https://europa.eu/european-union/sites/europaeu/files/docs/body/treaty_of_amsterdam_it.pdf28 D.P.R. 549/99.29 https://www.un.org/millenniumgoals/30 Laudato si’, sulla cura della casa comune (http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html)31 https://sustainabledevelopment.un.org/sdgsummit32 https://ec.europa.eu/clima/policies/international/negotiations/paris_it33 http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html34 http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091981_laborem-exercens.html35 https://www.ipcc.ch/2019/36 http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/suolo-e-territorio/il-consumo-di-suolo/i-dati-sul-consumo-di-suolo37 http://fondazione.cogeme.net/files/Progetti/Pubblicazioni/franciacorta_sostenibile_testo.pdf38 U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, La Feltrinelli, Milano, 2000, p. 457

Note

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Greta TuttobeneNata ad Alessandria, residente a Castellazzo Bormida (AL)Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze politiche, economiche e socialiLaurea in Servizio socialeDisciplina: Sociologia generaleTesi: Social art, l’arte di creare legamiRelatore: prof.ssa Adriana B. BissetVotazione: 110/110 e lode

Elisa GrilloNata a Novi Ligure (AL), residente a Rocca Grimalda (AL)Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze politiche, economiche e socialiLaurea magistrale in Economia, Management e IstituzioniDisciplina: Management e organizzazione aziendaleTesi: Perfomance management: analisi comparative (Italia, Regno Unito, Stati Uniti d’America e Canada)Relatori: prof. Leonardo Falduto, prof. Roberto Zanola Votazione: 110/110 e lode

Valentina PiralliNata e residente a Borgomanero (NO)Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze politiche, economiche e socialiLaurea magistrale a ciclo unico in GiurisprudenzaDisciplina: Diritto ecclesiastico europeoTesi: Responsabilità genitoriale e diritto di libertà religiosa del minore in Europa: i casi d’Italia e FranciaRelatori: prof. Antonio Angelucci e Roberto MazzolaVotazione: 110/110 e lode e dignità di stampa

Isabella ScolaNata a Milano, residente ad Assago (MI)Dipartimento di Medicina traslazionaleLaurea in OstetriciaDisciplina: Assistenza al parto, al puerperio e neonatologiaTesi: Il sostegno dell’ostetrica durante il travaglio: esiti del parto e soddisfazione materna. Studio osservazionale presso il centro nascita dell’A.O.U. Maggiore della CaritàRelatore: prof. Claudio G. MolinariVotazione: 110/110 e lode

I migliori laureati UPOAnno accademico 2017-2018

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Maria SpotoNata a Mussomeli (CL), residente a Torrazza Piemonte (TO)Dipartimento di Medicina traslazionaleLaurea magistrale in Scienze Infermieristiche e OstetricheDisciplina: Applicazioni cliniche della ricercaTesi: Tempistiche del lavaggio del TIAP (Totally Implantable Access Port) quando non utilizzato routinariamente: revisione sistematica della letteratura. Definizione del protocollo di ricerca, selezione degli articoli ed estrazione dei datiRelatrice: prof. Alberto Dal MolinVotazione: 110/110 e lode

Margherita Beatrice BorgNata a Milano, residente a NovaraDipartimento di Medicina traslazionaleLaurea magistrale a ciclo unico in Medicina e ChirurgiaDisciplina: Scienze oncologicheTesi: Il dolore nei pazienti affetti da carcinoma del distretto cervico-cefalico in stadio III-IV: prevalenza, gestione ed efficacia delle terapie. Studio osservazionaleRelatore: prof.ssa Alessandra GennariVotazione: 110/110 e lode con menzione

Martina PalatellaNata a Magenta (MI), residente ad Arluno (MI)Dipartimento di Scienze della saluteLaurea in BiotecnologieDisciplina: Biochimica funzionale con elementi di laboratorioTesi: Costruzione di un vettore lentivirale per promuovere il knock-down stabile di Diacilglicerolo-chinasi-alfa in cellule di glioblastoma multiforme mediato da un shRNA specificoRelatrice: prof.ssa Daniela CapelloVotazione: 110/110 e lode

Giorgia StressNata e residente a NovaraDipartimento di Scienze della saluteLaurea Magistrale in Medical biotechnologyDisciplina: Functional genomicsTesi: Search for mutations in patients with intellectual disability through array-CGH and target gene sequencingRelatrice: prof.ssa Mara GiordanoVotazione: 110/110 e lode con menzione

UPOAWARDS

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Paolo RivelaNato e residente ad AlessandriaDipartimento di Scienze e innovazione tecnologicaLaurea magistrale in BiologiaDisciplina: BiochimicaTesi: Paraproteinemia dopo trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche: correlazione con Graft VS Host Disease e indici di sopravvivenzaRelatori: prof. Mauro Patrone, prof.ssa Lara Calcagno, prof. Marco LadettoVotazione: 110/110 e lode con menzione

Lara BigognoNata a Magenta (MI), residente a Trecate (NO)Dipartimento di Studi per l’economia e l’impresaLaurea in Promozione e Gestione del TurismoDisciplina: Economia aziendaleTesi: Volare low cost: il caso RyanairRelatrice: prof.ssa Anna Chiara InvernizziVotazione: 110/110 e lode

Antonio ColasantoNato a Pisa, residente a NovaraDipartimento di Scienze del farmacoLaurea magistrale a ciclo unico in Chimica e Tecnologia FarmaceuticheDisciplina: Biotecnologie alimentari, Analisi e controllo di qualità dei prodotti alimentariTesi: Trattamento con acqua ozonizzata nell’industria alimentare: metodiche per la valutazione dell’impatto sulle caratteristiche compositive della carneRelatore: prof. Jean-Daniel CoïssonVotazione: 110/110 e lode

Riccardo PerottiNato a Biella, residente a Ponderano (BI)Dipartimento di Scienze e innovazione tecnologicaLaurea in InformaticaDisciplina: Sistemi operativiTesi: Digitalizzazione di processi industriali. Un caso di esempioRelatore: prof. Daniele Theseider DupréVotazione: 110/110 e lode con menzione

I migliori laureati UPOAnno accademico 2017-2018

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Nelsi HykaNata e residente a Borgomanero (NO) Dipartimento di Studi per l’economia e l’impresaLaurea magistrale in Management e FinanzaDisciplina: Risk managementTesi: Ruolo e prospettive della finanza sostenibileRelatore: prof. Mario VallettaVotazione: 110/110 e lode con menzione

Federica Rosa BrusinNata a Giaveno (TO), residente a Coazze (TO)Dipartimento di Studi umanisticiLaurea in Lingue straniere moderneDisciplina: Linguistica ingleseTesi: La codifica di complimenti e insulti nel dialogo filmico originale e doppiatoRelatore: prof. Maicol FormentelliVotazione: 110/110 e lode

Marta MasselNata a Pinerolo (TO), residente a Pomaretto (TO) Dipartimento di Studi umanisticiLaurea magistrale in Lingue, Culture, TurismoDisciplina: Linguistica franceseTesi: La traduction en italien de Mascarade de Sacha et Nancy Huston: l’écueil du comique verbal et des registres de langueRelatrice: prof.ssa Laurence AudéoudVotazione: 110/110 e lode e dignità di stampa

UPOAWARDS

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IX Premio “Giuseppe Dellacasa”Andrea MilitelloNato ad Agrigento, residente a Santa Elisabetta (AG)Dipartimento di Scienze e innovazione tecnologicaLaurea magistrale in BiologiaDisciplina: BioanaliticaTesi: Ricerca di nuovi biomarker per la diagnosi del mesiotelioma pleurico malignoRelatori: prof. Emilio Marengo, prof. Marcello ManfrediVotazione: 110/110 e lode con menzione

I Premio “Michele La Rocca”istituito da Federmanager VercelliAlberto PollaNato ad Alessandria, residente a Pietra Marazzi (NO)Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze politiche, economiche e socialiLaurea magistrale a ciclo unico in GiurisprudenzaDisciplina: Diritto amministrativoTesi: Legittimazione ed interesse nelle procedure di affidamentoRelatori: prof.ssa Piera Vipiana, prof. Luca Giuseppe Pes, prof. Raffaello GisondiVotazione: 110/110 e lode con menzione

I premi speciali UPO

I riconoscimenti alla carriera

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Professore onorarioGianni BonaNato a Vercelli, residente a BiellaDipartimento di Medicina traslazionaleProfessore ordinario di Pediatria

Professore emeritoGraziella BertaNata e residente a TorinoDipartimento di Scienze e innovazione tecnologicaProfessore ordinario di Botanica

IX Premio “Francesco Malinverni”Iderina HasballaNata a Elabasan (Albania), residente a NovaraDipartimento di Medicina traslazionaleLaurea magistrale a ciclo unico in Medicina e ChirurgiaDisciplina: Patologia medicaTesi: Trial clinico randomizzato sull’efficacia dell’associazione di bifidobacterium breve BR03 e bifidobacterium breve B632 nella terapia dell’obesità pediatricaRelatrice: prof.ssa Flavia ProdamVotazione: 110/110 e lode (Percorso d’eccellenza per l’avviamento alla ricerca medica traslazionale)

I Premio “Gabriele Coppa”istituito da Soluzioni EDPAlessandro SalogniNato a Biella, residente a Campiglia Cervo (BI)Dipartimento di Scienze ed innovazione tecnologicaLaurea in InformaticaDisciplina: Sistemi operativiTesi: Progettazione e implementazione di un modello di chatbot con l’integrazione di wit.ai a supporto dell’interpretazione del linguaggio naturaleRelatore: prof. Marco GuazzoneVotazione: 110/110 e lode con menzione

UPOAWARDS

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PROGRAMMA MUSICALE

E. GriEG, Praeludium da Holberg Suite, Op. 40 (1884)

C. Bianzino, Inter bonos meliores. Inno dell’Università del Piemonte Orientale (2017), testo tratto dal Manoscritto 37 della Keble College Library di Oxford, ff. 185r-185v

G.F. HändEl (arr. l. Mason), Joy to the World (1836), testo di i. Watts (1719)

Deck the Halls, melodia tradizionale gallese-inglese (ca. XVII sec.), in J.P. MCCaskEy, Franklin Square Song Collection, Harper Brothers, New York, 1881

Coro E orCHEstra dEll’univErsità dEl PiEMontE oriEntalE

EManuElE FrEsiaandrEa MoGni

direttori

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