Come aiutare i bambini e ragazzi adottati

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Silvia Andrich 2013 Come aiutare i bambini e ragazzi adottati Silvia Andrich Primiero (TN) 22 novembre 2013

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Come aiutare i bambini e ragazzi adottati

Silvia Andrich

Primiero (TN)

22 novembre 2013

Silvia
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L’importanza della scuola

La scuola è fondamentale per la crescita di ciascun bambino che si ritrova a misurarsi su vari piani contemporaneamente, impiegando energie emotive e cognitive che non devono essere sottovalutate.

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Ciò è vero soprattutto per il bambino adottato.

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Le richieste della scuola:

Abilità cognitive Attenzione Autocontrollo e gestione delle emozioni Ordine Ritmi imposti di apprendimento Fiducia nello sforzo e nell’impegno Motivazione ad apprendere Abilità metacognitive Abilità sociali e relazionali

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Adozione e difficoltà scolastiche

Dalla pratica clinica ed educativa quotidiana: si riscontra soventemente che i bambini adottati stranieri

mostrano difficoltà scolastiche in misura significativamente maggiore dei non adottati.

In particolare nella scuola primaria difficoltà maggiori negli ambiti di lettura, scrittura, calcolo, e difficoltà attentive e di autoregolazione.

Presentano difficoltà linguistiche simili ai bambini immigrati, ma con difficoltà aggiuntive peculiari.

In fasi avanzate le difficoltà scolastiche specifiche diventano più generali, es. difficoltà di comprensione del testo scritto e abilità di studio, autostima…

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Difficoltà aggiuntive

A prescindere da quale sia stata la sua storia, il bambino adottato presenta una maggiore fragilità relativamente al suo valore, spesso minori competenze di apprendimento e talvolta relazionali.

Se il bambino è arrivato da un paese straniero in età scolare, si devono aggiungere alle difficoltà linguistiche, anche la mancanza di conoscenza delle regole di vita del nuovo contesto sociale.

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Sembra essere una costante la discrepanza tra potenzialità cognitive e risultati scolastici nei bambini stranieri adottati.

E’ come se, nonostante gli sforzi profusi, fosse faticoso cogliere in questi bambini e ragazzi tutte le loro potenzialità, la creatività, l’intelligenza pratica e sociale.

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Un discorso a parte: la difficoltà di attenzione

Da studi recenti (soprattutto americani) sembra ci sia un’incidenza abbastanza alta di ADHD nei bambini adottati.

Situazioni di malnutrizione severa, assenza di stimolazioni psicofisiche, deprivazione affettiva, prematurità in caso di sindrome fetoalcolica, il bombardamento di nuovi stimoli e l’ondata emotiva all’arrivo in famiglia possono essere effetti scatenanti.

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L’ipervigilanza

Molto più comunemente le difficoltà di attenzione manifestate dai bambini sono da ricondursi all’istituzionalizzazione. Non è vero che i bambini non sono in grado di stare attenti; il loro problema è invece l’opposto: che non perdono nulla di tutto ciò che accade attorno a loro.

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Una riflessione sul temperamento

I ritmi lenti o la flemmaticità sono da considerarsi tratti innati di un temperamento presente dalla nascita (e anche prima).

Non scambiamoli riduttivamente come pigrizia, ma come caratteristiche che costituiscono un’identità socio-culturale ben definita.

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Maria, la bambina lenta

“A scuola mi dicono tutti che sono lenta … Ma cosa credi? Io se capisco il meccanismo dopo parto sai?”.

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Alcune variabili critiche per il successo dell’inserimento scolastico e formativo

È necessario tenere presente l’età di adozione del bambino, il grado di sviluppo del linguaggio nella lingua madre, la cultura di appartenenza, la conoscenza della lingua italiana e, nel caso di adozioni tardive, la precedente scolarizzazione.

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Oltre l’intervento

Il bisogno del bambino adottato è quello di sentirsi amato e accettato per quello che è con i suoi limiti e i suoi punti di forza.

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Un errore da evitare

Accumunare il bambino adottato internazionalmente al bambino immigrato.

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Analogie con il bambino immigrato

1. Viene da un Paese lontano

2. Appartiene ad una cultura diversa.

3. Ha tratti somatici diversi.

4. Al suo arrivo in Italia parla una lingua diversa.

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Un paradosso

Il bambino adottato internazionalmente, anche se proviene da un Paese straniero, a differenza del bambino immigrato, al suo arrivo molto spesso è già cittadino italiano (anche se non parla ancora una parola dello Stato di adozione ed è ancora immerso psicologicamente nel suo Stato d’origine).

Queste differenze anagrafiche per i genitori sono un traguardo, ma per il bambino il vissuto è molto diverso ed è il peso di un senso di identità diversa con cui dovrà sempre fare conto per tutta la vita.

Spesso il risultato è che non si può essere né stranieri, né italiani.

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Una domanda difficile

Una signora curiosa chiede ad una bambina di sette anni notizie sulla sua provenienza geografica.“Da dove vieni?”“Da Trento”.“Sì lo so”. (la bambina guarda la mamma con espressione che sembra dire” Ma allora cosa me lo chiedi a fare?”“Ma da dove vieni esattamente?”“Dall’India”.Non ancora soddisfatta della risposta la signora insiste: “Ma dove vivevi in India esattamente?”“Su un tappeto con tanti bambini”

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Tratti somatici

Un altro aspetto che potrebbe far pensare uguali i bambini stranieri ai bambini adottati stranieri sono le caratteristiche somatiche e le purtroppo frequenti umiliazioni e prese in giro razziste.

Ma le ripercussioni sulla sfera emotiva sono bene diverse: nel caso del bambino straniero, se pur dolorose, almeno sono il segno di un’appartenenza. Loro almeno quando rientrano in casa si vedono uguali ai loro genitori, i quali possono raccontare di aver subito a loro volta tante umiliazioni, spesso peggiori di quelle dei loro figli e lo stesso vale per i loro fratelli, zii, cugini, nonni e quant’altri.

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Per il bambino adottato invece, la differenza somatica è il segno inequivocabile della sua adozione e almeno che non sia stato adottato assieme ad altri fratelli, sarà molto difficile rispecchiarsi in qualcuno della sua famiglia e tantomeno identificarsi.

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Cosa dicono i bambini e la bambine…

Un bambino di cinque anni dice alla mamma: “Io sono brutto e vorrei tanto avere la pelle rosa. Non mi piacciono le pelli marroni. A scuola i miei compagni sono rosa e lo siete anche tu e papà”.

Una bambina di otto anni, dopo essersi fermata insieme alla sua mamma, a parlare con una signora indiana e suo figlio, dice alla sera prima di addormentarsi: “A me non piace incontrare per strada le mamme indiane …”

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Ma tutto ciò basta a far sì che sia uguale al bambino immigrato straniero?

L’adozione coincide inizialmente con un’ennesima esperienza di perdita, percepita a livello interiore come “senso di rottura della continuità della propria esperienza” (implica perdita di tutti i precedenti riferimenti: affettivi, spazio-temporali, culturali, linguistici…).

Anche il bambino straniero che arriva da uno stato lontano e completamente diverso dal nostro può avere questo vissuto, ma…

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A differenza del bambino immigrato che arriva nel nostro paese generalmente con la propria famiglia, il bambino adottato è un bambino che ha subito uno o più abbandoni e che non ha potuto, il più delle volte, sviluppare un sufficiente attaccamento.

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E’ inoltre un bambino che non è stato sufficientemente abbracciato, cullato, accudito, nutrito, contenuto, amato e che ha dovuto pensare principalmente a se stesso per non soccombere, sviluppando strategie e tecniche di sopravvivenza personali.

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Grazie all’adozione ha potuto finalmente avere anche lui una mamma e un papà, forse dei fratelli, dei nonni e parenti che adesso lo amano tantissimo, ma per tutta la sua vita dovrà fare i conti con il suo prima e il suo dopo, specialmente in alcuni momenti di grossi cambiamento e di crisi, come nell’adolescenza.

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4. L’aspetto linguistico

Un bambino straniero possiede una lingua “madre” e un gruppo parentale e familiare che parla la sua stessa lingua.

Il bambino adottato che arriva in Italia, soprattutto se grandicello, perfettamente in grado di comunicare e padroneggiare adeguatamente nella sua lingua, si ritrova in una realtà completamente nuova, nella quale nessuno emette i suoni a lui familiari.

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La lingua madre

Imparare una lingua significa imparare a pensare, a guardare fuori e dentro di sé, per conoscere se stessi e il mondo che ci circonda. In questo processo evolutivo i genitori sono gli adulti che ci sorreggono. Per il bambino adottato imparare la nuova lingua significa sentirsi più forte e aiutato dalla nuova mamma e dal nuovo papà.

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Il bisogno di appartenenza

Per soddisfare questo bisogno essenziale, il bambino adottato dimentica velocemente la sua lingua d’origine e impara altrettanto velocemente quella nuova.

Occorrerà aspettare però anni perché si impadronisca della struttura linguistica profonda.

Spesso rimarrà per sempre una difficoltà linguistica, soprattutto se il bambino è introdotto tardivamente all’apprendimento della nuova lingua (bilinguismo secondario)

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Difficoltà incontrate nel percorso scolastico dal bambino adottato

I momenti di criticità sono individuabili negli anni di passaggio da un ciclo all’altro.

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Dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria

Con l’inizio della classe prima iniziano le prime difficoltà che riguardano sia l’apprendimento della lettura, sia quello del calcolo e si rilevano problematiche autoregolative (attenzione e metacognizione), mentre si evidenziano buone abilità sociali e capacità espressive (es. disegno).

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Secondo ciclo della scuola primaria

Le richieste scolastiche si fanno via via più complesse e si richiedono ai bambini abilità di comprensione del testo più sofisticate, abilità logico-matematiche più complesse (problemi), autonomia e organizzazione nello studio (storia, geografia, scienze); apprendimento della seconda lingua straniera (che per il bambino adottato internazionalmente diventerebbe la terza).

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Scuola secondaria di primo grado

Le difficoltà sono diffuse nell’area linguistica e nelle aree scientifiche e logico-matematiche (astrazione).

Aumentano esponenzialmente ritmi di apprendimento, flessibilità e mole di lavoro sia a scuola che a casa.

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Il necessario accompagnamento nello studio giornaliero del ragazzo da parte dei genitori rende più arduo lo sviluppo di un metodo di studio personale e autonomo.

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Cosa dice Roberto (12, anni, boliviano)

A due mesi dall’inizio della prima media. Roberto finisce i compiti regolarmente alle dieci di sera. Una sera stremato e in lacrime dice ai suoi genitori:” Io non sono adatto a questa vita e a questa scuola …”

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Scuola secondaria di secondo grado

Per i ragazzi adottati, in misura ancora maggiore che per la generalità degli studenti, la scelta dovrebbe essere fatta più per gli interessi e potenzialità presenti che per importanza o desiderio della famiglia.

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Pochi studi e ricerche nelle superiori

Solo dal 2000 esiste un monitoraggio sulle adozioni internazionali e pertanto i dati riguardanti le ragazze e i ragazzi adottati che frequentano le superiori sono ancora pochi.

Sembra però che nonostante le maggiori difficoltà incontrate e le maggiori ripetenze, quasi tutti arrivano al diploma e una discreta percentuale di casi si laurea.

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Tipi di attaccamento con insegnanti e compagni in bimbi che hanno sperimentato (molteplici) interruzioni e perdite dei legami affettivi (L. Monica Majocchi, ass. Amici Trentini

- Con l’insegnante:- “Aggrappamento” e ricerca di un rapporto di

attenzione e vicinanza affettiva molto esclusivo (bimbi Koala: ‘ciò che non tocco, può sparire’)

- Indifferenza, disinteresse, distacco (bimbi che hanno smesso di far riferimento all’adulto)

- Accettazione/Accondiscendenza, ma difficoltà a chiedere e ricercare l’aiuto in caso di difficoltà (adesività di superficie)

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- Ipersensibilità narcisistica: osservazioni e commenti sentiti come ‘potenziali critiche e/o rifiuti’ e bisogno continuo di ricevere rassicurazioni, feedback e segnali che fungano da incoraggiamento, convalida e conferma positiva di Sé e delle proprie capacità di sperimentazione ed affermazione.

- Ipervigilanza

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- Cambiamenti, imprevisti o semplici variazioni delle routine, anche positive (ad es. gite o uscite scolastiche) possono risvegliare nel bambino adottato profonde ‘angosce abbandoniche e di perdita’.

- Importanza di anticipare e rendere prevedibile ‘ciò che accadrà’ (e, quando non è possibile, della presenza rassicurante da parte dell’adulto) in considerazione del bisogno di mantenere un certo controllo su situazioni, persone ed eventi necessario per ‘sentirsi al sicuro’

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Nel rapporto con i pari:

Bimbi che hanno esperienze di istituzionalizzazione nel paese di origine, appaiono in genere molto propositivi, spigliati e capaci nel rapporto con i compagni, arrivando spesso a rivestire ruoli di leader (nella classe e, a volte, nell’intera scuola);

Creare legami differenziati e significativi (scelta di un/una amico/a del cuore), il passaggio dal piacere a tutti/tanti al legarsi a pochi, rappresenta in genere una conquista maturativa;

Ipersensibilità al rifiuto

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Difficoltà scolastiche correlate all’aspetto linguistico

Le difficoltà maggiori si possono incontrare nel passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, soprattutto a livello di astrazione.

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Tranelli linguistici matematici

Una mamma stremata dopo un pomeriggio interminabile di divisioni, non sa capacitarsi del perché il figlio, frequentante la quinta elementare e adottato due anni prima dalla Colombia, nell’eseguire le divisioni prima divida correttamente il dividendo per il divisore e poi subito dopo si ostini ad eseguire una moltiplicazione tra il divisore e il dividendo. Alla fine, scoraggiata chiede al bambino: “Ma perché moltiplichi se devi dividere per 12?”.Il bambino allora ancora più arrabbiato risponde:”Ma allora decidetevi: devo dividere o devo fare per?

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Il lessico dei numeri

Sangita (seconda elementare) nell’eseguire un calcolo a mente 6+5 dà la risposta 15.

La mamma le dice: ma Sangita, non è possibile che faccia 15! Prova a contare sulle dita.

La bambina dopo aver contato dice: “Ma io sapevo che faceva 11! Mi sbaglio tante volte tra quindici e undici.

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Ancora problemi di lessico

Dettato di numeri 1) 123

9 “Che centrano i nonni con la

matematica?”

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Un errore intelligente

3 centinaia 1 migliaio 8 unità 4 decine

1048,03

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La prima verifica di storia: quando si è ancora ancorati in maniera massiccia al concreto …

Prima domanda: Che cos’è la storia?Risposta di R. 8 anni, terza elementare: la

storia è un libro.

Seconda domanda: Come si può ricostruire la storia?

Risposta: La storia si può ricostruire sempre con c’era una volta.

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Anche i bambini stranieri possono avere simili difficoltà, ma nel caso del bambino adottato la causa delle difficoltà risiede in uno strato più profondo.

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Cosa può fare la scuola?

Alcune proposte operative

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Uno spazio per raccontarsi e per pensarsi: la scuola come luogo di ascolto e di elaborazione

E’ importante nella scuola trovare uno spazio in cui i bambini possano esprimere se stessi, parlare di loro, confrontare e ragionare le proprie esperienze.

Bisogna fornire le occasioni e aspettare che ogni bambino si senta pronto a raccontare qualcosa di se stesso, rispettando i suoi tempi e le sue emozioni.

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Un racconto di sé

“Io mi sveglio per andare a scuola. Quando mi sveglio la mia sorellina chiede alla mamma: - Dov’è il mio orologio?, che poi sarebbe il mio orologio! Se poi vede che tu vai a cercarlo comincia a frignare e fa gnee gnee e così via, finché non si stanca.

La mia sorellina è bassa, pelosa e un po’ cicciotta …

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Dopo cena vado a dormire e la mia sorellina si mette a piangere fino alle dieci di sera. Questo è quello che sopporto e dovrò sopportare per lunghi anni”. (A. 9 anni, quarta elementare)

Ordine e scrittura: benino Ortografia: distinto Testo: distinto

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Gli stereotipi sulla famiglia

I modelli offerti dai libri di testo e dai mass media enfatizzano il rapporto biologico.

Il rischio è che ogni forma di diversità venga vissuta come inferiorità.

L’immagine stesso del bambino adottato è spesso fuorviante e foriera di falsi messaggi.

La scuola invece potrebbe diventare un luogo di eccellenza in cui i bambini si arricchiscono grazie alle varie diversità presenti nelle classi.

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Parlare di adozione a scuola?

Sì o no?

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Non parlarne può veicolare il messaggio che l’adozione sia qualcosa di talmente doloroso o complicato da non poter essere neppure nominata;

E’ opportuno parlarne invece, ma con ‘sensibilità’, ‘tatto’ e ‘rispetto’, anche in relazione al grado di apertura manifestato da parte del bambino adottato;

Riferirsi a “famiglie” anziché ‘famiglia”: genitori che fanno nascere e genitori che fanno crescere, anziché genitori ‘finti’ e ‘veri’ come tendono spesso a sottolineare i compagni;

Sfatare anche i propri miti/pregiudizi sul bambino adottato, a partire da quello del ‘poverino’, da coccolare e preservare dalle fatiche di imparare a crescere o del ‘bimbo-problema’;

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Tema in classe “Un giorno in cui ti sei sentito/a felice”

Margarita, 10 anni, racconta dei suoi anni difficili e delle condizioni di estrema precarietà vissute con la madre in Colombia –”una mamma che non sapeva proprio fare la mamma”-, del profondissimo legame affettivo instaurato con la madre affidataria, trasformatosi poi in un pieno riconoscimento della felicità derivante dall’incontro con i genitori adottivi con cui sente di aver formato una ‘vera’ famiglia.Le compagne, al termine della lettura ad alta voce del suo testo, le rimandano in coro: “Beata te! A noi non sono mica capitate tutte queste cose!”

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Lavorare sulla diversità

Creare un clima di accettazione e di inclusività di tutte le diverse realtà abituando tutti i bambini a capire le diversità individuali, senza prese in giro, esclusioni o stigmatizzazioni.

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La storia personale a scuola

Prendendo spunto dalla nascita di un fratellino di una compagna di classe, la maestra richiede ai bambini di portare una loro foto da “neonati”.

Anche R. porterà una sua foto all’età di due anni e mezzo e l’attaccherà sul suo quaderno.

Le insegnanti sono disponibili a parlare in classe dei tanti modi di essere e di diventare famiglia e accettano la disponibilità dei genitori di portare in classe diapositive, foto, vestiti, oggetti e icone religiose dell’india. La stessa cosa faranno i genitori della bambina albanese e del bambino macedone.

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Un discorso a parte

Gli adolescenti

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John Bowlby parla della fatica di pensare, perché chi pensa può far emergere ricordi e ferite dolorose.

Ma nessuno può fare a meno di pensare per affrontare i compiti richiesti dalla scuola, soprattutto secondaria.

Spesso il risultato di tali difficoltà è un percorso scolastico tormentato.

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Quello che dicono i ragazzi …

M., 12 anni “Non basta che sia adottato, ci mancava anche la dislessia!”

L., 13 anni “La prof. mi dice che mi devo impegnare di più perché l’unico mio pensiero e compito è quello di studiare. Ma che ne sa lei di quanto male sto io e dei miei problemi?”

J., 13 anni “Io in classe sono sempre il più lento di tutti! Ma sono molto bravo a tennis e spero di diventare un tennista da grande”.

R., 18 anni “Mi metto a studiare, passo le mie giornate sui libri ma alla fine mi sembra di non ricordare niente … E poi mi dà fastidio chiedere aiuto ai miei genitori …”.

V. 18 anni “A volte penso che preferirei essere meno intelligente, ma un po’ più felice e libero”.

K. 17 anni “Ma perché mia mamma mi ha abbandonato? Non aveva veramente nessun’altra scelta?”

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L’interazione tra essere adolescenti ed essere adottati

I compiti evolutivi tipici e faticosi degli adolescenti, vengono ulteriormente complicati dalla condizione di essere figli adottivi.

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A fronte di capacità cognitive molto buone, spesso l’adolescente adottato ha risultati scolastici deludenti o mediocri. Anche se aiutato e spronato non riesce a dare quello che gli altri si aspetterebbero da lui.

Il riaffiorare dell’esperienza abbandonica, l’interrogarsi sulle proprie origini, l’andare alla ricerca dei tanti perché, la costruzione della propria identità, tolgono inevitabilmente energia e motivazione allo studio, capacità di concentrazione e motivazione.

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Due testimonianze

A., 22 anni “Dopo le medie mi sono iscritto ad una scuola professionale. E’ stata la mia fortuna e ringrazio ancora oggi i miei genitori di essere stati d’accordo sulla mia scelta, anche se avrebbero preferito un altro tipo di scuola per me”.

P. 18 anni “Se tornassi indietro farei la scuola alberghiera. Il periodo più bello della mia vita l’ho passato quando un’estate ho fatto il cameriere” (studente di liceo)”.

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Bibliografia

L. M. Majocchi (a cura di), 2010, “Ho adottato mamma e papà”, Erickson, Trento

E. De Rienzo et al., 1999, “Storie di figli adottivi”, Utet, Torino J. Bowlby, 1989, “Una base sicura”, Raffaello Cortina, Milano F. Vadilonga (a cura di ), 2010, “Curare l’adozione”, Raffaello

Cortina, Milano AA.VV., 2009, “L’adozione entra a scuola: vademecum per

insegnanti”, pubblicazione a cura dell’ Assessorato alle politiche sociali- servizio Attività sociali, Comune di Trento

M. Scarpati, 2000, “Adottare un figlio”, Mondadori, Milano