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UNA MISSIONE DAMORE IN TOGO di Antonio Agostino Ambrosio Sindaco di San Giuseppe Vesuviano Il Comune di San Giuseppe Vesuviano ha realizzato nel villaggio di Togoville l’”Hopital San Giuseppe Vesuviano” Comune di San Giuseppe Vesuviano Provincia di Napoli Mama Africa onlus

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Una missione d’amore in Togodi Antonio Agostino Ambrosio

Sindaco di San Giuseppe Vesuviano

Il Comune di San Giuseppe Vesuviano ha realizzato nel villaggio di Togoville

l’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”

Comune di San Giuseppe VesuvianoProvincia di Napoli

Mama Africa onlus

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Momento per momento tutti i particolari della costruzione dell’”Hopital San Giuseppe Vesuviano” a Togoville

Una missione d’amore in Togodi Antonio Agostino Ambrosio

Sindaco di San Giuseppe Vesuviano

La piccola Simona, ospite della Casa Famiglia “Papà Enzo” è il volto della speranza degli abitanti di Togoville

“ La vera solidarietà non conosce confini... chi tocca con mano la miseria, chi vede gli altri soffrire, chi si accorge che nel mondo, ancora oggi, si muore per fame e per mancanza di acqua potabile, chi apre il proprio cuore verso i deboli, i diseredati, i malati... non torna più indietro!Ed io non tornerò più indietro... il mio amore per la gente di TOGOVILLE durerà per tutta la vita!”

Antonio Agostino Ambrosio

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Capitolo i°

16 oTTobre 2008 posa della prima pieTra

“Dio benedice chi soccorre i poveri...

chi soccorre il povero soccorre Cristo!”

Benedetto XVI

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14 ottobre 2008

Il viaggio in Togo è incominciato di buon mattino. Mimì, il vigile, è venuto a prendermi a casa, a San Giuseppe Ve-suviano, alle 4:30, con la macchina del Comune, insieme a Nicola, l’unico am-ministratore sangiuseppese che mi ha seguito nell’avventura Togo. Vaccinati contro la febbre gialla ed incomincia-ta la profilassi anti malarica, nei giorni scorsi, eccoci pronti a raggiungere il villaggio di Togoville, dove il Comune di San Giuseppe Vesuviano, su mia proposta, ha finanziato la costruzione di un Ospedale, da chiamare “ Hopital San Giuseppe Vesuviano”.

Il tutto è stato stabilito e program-mato con il prof. Enzo Liguoro, che da molti anni svolge azione umanitaria in Togo, dove ha allestito una casa fami-glia, che già dà piena ospitalità a varie decine di bambini togolesi, per lo più orfani.

Il volo Napoli-Parigi è avvenuto nor-malmente come pure la coincidenza per Lomé, la capitale del Togo, è sta-

racconTo di Una missione d’amore di

anTonio agosTino ambrosio

“Ogni giorno di più mi convinco che lo sperpero della nostra esistenza risiede nell’amore che non abbiamo donato.

L’amore che doniamo è la sola ricchezza che conserveremo per l’eternità”.Gustavo Rol

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son, moto d’annata che sfrecciavano a destra e a manca, pedoni in movimento agli angoli della strada, molte auto (chiamiamole così) ad intralciare la viabilità e tanto smog da otturare i bronchi! Il nostro autista ( si vedeva che era esper-to), nonostante tutto, procedeva senza grandi problemi verso la nostra meta a Togoville. Il primo tratto di strada era un grande rettilineo, frequentato a destra e a manca da persone di ogni età che sostavano vicino a chioschetti improvvisati che vendevano pane, bibite e piccole cianfrusaglie.

Il ritmo dei pedoni era abbastanza frenetico, si poteva intuire che per molti di loro i piedi erano l’unico mezzo di trasporto per sbrigare le ordinarie faccende della vita. Tante donne camminavano portando sul capo grandi cesti pieni di mercanzie, il loro andamento non era minimamente condi-zionato dal peso dei cesti, si vedeva che erano abituate. Ah, la cosa più importante: la pubblica illuminazione non c’era per niente e tutto quello che abbiamo descritto fino a questo momento si svolgeva al buio o al massimo con qualche lucina dei chioschetti o di altre piccole attività commerciali.

Ad ogni accensione dei fari lunghi del nostro pulmino si notavano i “colori” della moda togolese per gli sgargianti indumenti indossati dai passanti, che catarifrangevano alla grande nel buio della sera. Le condizioni della strada ( stiamo parlando ancora del primo tratto, quello rettilineo per inten-derci!) erano pessime: buche, avvallamenti, cedimenti, dossi trabocchetto etc.

Il nostro autista, però, se la cavava benissimo! Ogni tanto qualche buca si sentiva alla spina dorsale, ma poco contava per noi che in Togo ci stavamo per una nobile opera di solida-rietà umanitaria: costruire un ospedale in quel di Togoville, a ridosso della casa famiglia di “Papà Enzo”, per dare assistenza sanitaria a gente povera e sfortunata, tutti i giorni alle prese con una vita priva delle più normali risorse di sopravvivenza.

Toh, ad un tratto a destra della strada che stiamo percor-rendo compaiono dei binari. Vuoi vedere che qui è arrivata la ferrovia e che quindi dobbiamo prendere atto di questa

ta puntuale. Durante il volo ho evitato di mangiare il pasto offerto dall’ Air France, un po’ per ragioni dietetiche, un po’ perché non mi faceva gola più di tanto ed ho optato per un pacchetto di crackers Misura, innaffiato da acqua minerale naturale. L’atterraggio a Lomé , la capitale, è avvenuto con una mezz’ora di ritardo, alle ore 18:00 locali (il fuso orario con l’Italia è meno 2 ore).

Abbiamo avuto qualche problema con le valigie da parte di “doganieri” (chiamiamoli così) un po’ troppo scrupolosi. Non riuscivamo a capire che cosa volessero, gesticolavano e confabulavano fra di loro per decidere, forse, se aprire o meno due dei nostri bagagli che si erano momentaneamente trattenuti, nonostante in bella mostra e a caratteri cubitali si evidenziasse la targhetta del destinatario, vale a dire la casa famiglia orfanotrofio “Papà Enzo” a Togoville.

Con calma e con il mio francese scolastico feci compren-dere al doganiere che dentro quelle due valigie vi erano scar-pe ed indumenti per i bambini sfortunati del Togo; così si sbloccò la situazione e passammo oltre, verso l’uscita. Ed ecco “Papà Enzo” ad aspettarci unitamente ad una delega-zione molto numerosa di bambini della casa famiglia di Togo-ville, di collaboratori e di esponenti della Caritas.“Papà Enzo” ci aveva portato un “dono” all’aeroporto: una bella bottiglia di acqua minerale ben fresca per farci idratare un po’. Uscito fuori dall’aeroporto, avevo una voglia incredibile di conosce-re il Togo, dove non ero mai stato, di cui non sapevo quasi niente.

Volevo conoscere la gente, la cultura, la civiltà, le usanze, insomma tutto! Prendemmo posto in un pulmino, in dotazio-ne alla casa famiglia, unitamente a “Papà Enzo” ed alla folta delegazione che ci aveva aspettato all’aeroporto di Lomé.

Ci avviammo in direzione Togoville, sapendo che il tragitto sarebbe durato almeno 2 ore. Alla fine ne impiegammo tre! Tanto tempo per fare appena una quarantina di chilometri. Ma è meglio entrare nei dettagli per capire! All’uscita dell’ae-roporto di Lomé ci imbattemmo nel traffico “togolese”: clac-

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vengono da tutto il villaggio!) Il refettorio è fornito di banchi, sedie ed angolo distribu-

zione vitto dove i 35 bambini, attuali ospiti della casa fami-glia, papà Enzo ed eventuali ospiti, possono mangiare quo-tidianamente. V’è una cucina dove la cuoca Adele prepara ogni giorno il mangiare che a volte è tipica cucina africana e a volte è un po’ italiana per accontentare gli ospiti e papà Vincenzo. All’interno della struttura vi è un deposito dove viene conservato, con cura e precisione, un sacco di roba, con tanto di scadenza ben evidenziata e divisa per tipologia. La roba da mangiare non deve mai mancare per i bambini della casa famiglia. Vi è un pozzo artesiano anche se l’acqua non è potabile, ma serve per l’igiene e questo è un aspetto importante per la qualità della vita offerta ai bambini ospitati.

C’è, pure, un piccolo allevamento di galline e qualche ca-pretta che sono uno spasso da vedere.

C’è legna in abbondanza, un piccolo laboratorio artigiana-le dove esistono alcune postazioni informatiche ed un picco-lo parcheggio interno per le biciclette. Il verde è ben curato e la pulizia di tutta la struttura è ok.

Quando siamo arrivati, la prima sera, “Papà Enzo” ci ha fatto preparare un buon risotto con carne e ragù ed un po’ di formaggio italiano; abbiamo gustato il tutto con alto gra-dimento, avevamo una fame da lupi dopo il lungo viaggio. “Papà Enzo” ci ha accompagnati dopo la cena, in “albergo”, una piccola struttura ricettiva che dista poche centinaia di metri dalla casa famiglia.

La hall è stato il primo impatto che ci ha dato un’idea di dove avremmo dormito. Pochi metri quadri di spazio con un addetto alla reception che si è preso i passaporti ed ha detto che ce li avrebbe consegnati il giorno dopo. Un altro dipen-dente (noi ne abbiamo visti due in tutto) ci ha scortato fino alle camere, site al primo piano.

Descrizione della mia camera: sette o otto metri quadri, un lettino di una piazza e mezza, un piccolo guardaroba a muro, le crucce di ferro filato, un condizionatore che sembra-

forma di civiltà togolese di cui non avevamo avuto notizia! No, i binari servono a ben altro in questa regione del Togo! I treni che li percorrono collegano le miniere di fosfati con le aziende francesi che le sfruttano e, quindi, servono soltanto le esigenze di alcune holding che operano in questa redditizia forma di business. Il primo tratto di strada, a questo pun-to, l’abbiamo percorso (due ore circa!) ma Togoville rimane, per noi, ancora lontana! Ci separano dalla meta ancora una decina di chilometri di strada sterrata, color rosso vulcano, da percorrere con cautela per non correre rischi per la mac-china e per noi! Il nostro pulmino combatte una lotta impari a causa delle condizioni disastrate della strada che non ha alcuna pavimentazione e, quando piove, diventa veramente dura attraversarla.

E qui, dappertutto, di piogge ce ne sono state negli ultimi giorni! Ad un tratto notiamo delle luci in lontananza. Chie-diamo a “Papà Enzo” se stiamo per arrivare. “Questo è un piccolo villaggio prima del nostro” dice lui.

Notiamo poche baracche con tanta gente assiepata a pic-coli gruppi e tanti lumicini ad illuminare la sera togolese. Però c’è vita, questo va detto, perché si parla e ci si muove tanto, anche qui c’è qualche piccolo chioschetto che vende un po’ di bibite e qualche altro rinfresco che non siamo stati in gra-do di distinguere a causa dell’oscurità. Ed eccoci, finalmen-te, arrivati alla meta! La casa famiglia “Papà Enzo” di Togoville ci aspetta. Ho un grande desiderio di visitarla! All’ingresso un gruppo di bambini ospiti ci viene incontro, ci saluta con gran-de affetto e ci ringrazia con altrettanto affetto. Scarichiamo le nostre valigie alla casa famiglia (due resteranno lì, sono quelle dei piccoli doni che abbiamo portato per i bambini…non a caso “Papà Enzo” ci aveva detto: “A Togoville non si viene mai a mani vuote”).

La casa famiglia ha un grande spiazzale che viene utiliz-zato per le attività ludiche dei piccoli ospiti e per attività so-ciali degli abitanti di Togoville (ad esempio, spesso, vengono proiettati films con grande partecipazione di spettatori che

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Il Sindaco Ambrosio con il prof. Liguoro “Papà Enzo” e l’Architetto progettista dell’Ospedale

Si prendono le misure per delimitare l’area dell’Ospedale

va buttare più aria calda che fredda all’atto dell’accensione (poi è venuta l’aria fredda!), un piccolo televisore che tra-smetteva un paio di canali “inguardabili” a causa del segnale di ricezione scadente; un bagnetto di pochi metri, con tazza, un piccolo lavandino e doccia con acqua rigidamente fredda e solo, a volte, tiepida.

Ma l’importante, a questo punto, era riposare. E poi mica eravamo giunti ai Caraibi! Si sapeva perché eravamo venuti e quindi eravamo pronti al sacrificio! Realizzare un seppur pic-colo Ospedale per la gente di Togoville è un atto di così no-bile solidarietà che qualunque disagio era nostra intenzione superarlo alla grande. Fredda o calda, non ricordo più, l’ac-qua che zampillava dal rubinetto della doccia, appariva come uno stupendo dono di Dio, tanta era la voglia di lavarmi e rinfrescarmi.

E poi a nanna, non prima di aver azionato la zanzariera elettrica con tanto di pasticca blu.

15 ottobre 2008

La prima notte in quel di Togoville è passata abbastanza bene! Delle famigerate zanzare, manco l’ombra! Ma non biso-gna cantar vittoria, qualcuna può essere sempre in agguato. Mi sono svegliato alle 6:00 locali e mi sono rasato, lavato ed profumato alla grande. Mi sono messo a scrivere un po’ quel-lo che state leggendo, ed alle 8:00 in punto ero già pronto per andare a fare colazione alla casa famiglia.

“Papà Enzo”, con la precisione di un orologio svizzero, era venuto a prenderci in albergo. Arriviamo alla casa famiglia e sorseggiamo un bel caffè espresso (sembra di stare a Napoli per un attimo!) e assaggiamo qualche cucchiaino di marmel-lata di mango, una vera prelibatezza! A pochi metri, nel ter-reno attiguo alla casa famiglia, erano già iniziati i preliminari per la costruzione dell’ Ospedale. E’ arrivato pure l’architetto progettista da Lomé per dare precise disposizioni ai maestri muratori che stavano provvedendo a delimitare l’area dove

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utensili per la casa. Dal pollame si va alla friggitoria più varia, fino ad una vasta gamma di pesce essiccato, il cui odore acre entra nei polmoni fino a provocarci una dispnea intensa che provvediamo a ben mascherare per non fare brutta figura. Le baracche più impensate la fanno da protagoniste al mercato settimanale di Togoville.

Ci sono chioschi per le bevande, si vendono cocchi fre-schi, tagliati da una giovane signora con una roncoletta usa-ta con perfezione chirurgica. Scarpe di tutti i tipi, biancheria intima sexy e meno sexy, jeans e magliette di tutti i tipi tro-vano acquirenti di ogni età al mercato di Togoville. Ai lati del mercato c’è un andirivieni di donne con le ceste sulla testa, contenenti le merci più varie.

Ma quelli che se lo possono permettere arrivano al mer-cato in moto, sulla moto portano la mercanzie che meno ti aspetti (frutta, uova, pollame, ecc.) alla ricerca di clienti di-sposti a comprare. Vi sono pure tanti bambini che lavorano al mercato di Togoville ed è davvero forte il sentimento che si prova quando li osservi alle prese con lavori duri, come il carico e lo scarico delle merci, il trasporto delle ceste sulla testa, l’abbordaggio dei clienti.

E’ vivo il mercato di Togoville! Ed a suo modo è anche geometricamente ordinato! Le postazioni dei singoli vendito-ri sembrano state stabilite a tavolino. Nessun litigio, nessun alterco, nessuna incomprensione tra i mercanti del merco-ledì qui a Togoville. Tutto appare segnato da un tradizionale rispetto tra gli esercenti ambulanti ed i compratori, i più dei quali sembrano habitué del business mercatale del merco-ledì. Dal mercato di nuovo alla casa famiglia. E come ci an-diamo? Stanno arrivando i bambini dalla scuola (i bambini e i ragazzi della casa famiglia frequentano la scuola pubblica o quella cattolica) e non vogliamo perderci il loro arrivo. Ed ecco “Papà Enzo” che ne escogita una che merita di essere narrata! Fitta per sé e per noi alcune motociclette taxi; così ci aggrappiamo ai nostri conducenti chaffeurs ed in pochi attimi arriviamo in sede.

dovrà essere costruita la struttura. Una curiosità: la realizza-zione dell’edificio è stata spostata di qualche metro per non sacrificare una splendida pianta di mango che fungerà, in se-guito, come oasi verde per i familiari dei pazienti.

Arriva un camion che scarica sabbia, un bel po’ di mattoni è già pronto per l’uso: il cantiere è già aperto! Sorgerà, nel giro di qualche mese, l’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”. Ci allontaniamo dal cantiere aspettando la posa della prima pie-tra che è prevista per domani 16 ottobre 2008. “Papà Enzo” ci porta a visitare il mercato di Togoville che si tiene ogni mercoledì.

Ci arriviamo a piedi sfidando il caldo torrido togolese, su-dando a più non posso. Nel mercato di Togoville del merco-ledì si vende e si compra di tutto e il contrario di tutto. Dagli indumenti si passa ai cosmetici, alla frutta di stagione, agli

Foto di gruppo del Sindaco Antonio Agostino Ambrosio, del Prof. Enzo Liguoro e dell’Assessore Nicola Menzione, con i mastri muratori

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Arrivano i primi bambini dalla scuola! E salutano “Papà Enzo” e noi ospiti con una dolcezza senza confini, spalan-cando occhioni di speranza e annuendo stupendi sorrisi. Non

tutti sorridono, per onor del vero. In tanti di loro, forse, anco-ra non è lontana la tragedia di aver perso mamma e papà. An-che se loro, oggi, ce l’hanno un papà che non sarà anagrafico ma è un papà vero, disponibile, premuroso, protettivo: “Papà Enzo” che non smette mai di assisterli e di occuparsi del loro futuro. Prima di pranzare, in un baleno, la casa famiglia si tra-sforma in una macchina perfetta. Ogni piccolo ospite, infatti, ha un compito preciso da svolgere. C’è chi aiuta in cucina , c’è chi ramazza, c’è chi pulisce le pentole, c’è chi si occupa dei bagni, c’è chi si prepara a servire a tavola. Ed infine, si mangia tutti insieme. Ed è bellissimo! E’ un’atmosfera che ti elettrizza il cuore e ti riempie i pensieri di vero amore.

Un bambino della Casa famiglia prov-vede a fare il bucato

Un gruppo di bambini della Casa Famiglia lava le pentole

Il Sindaco Ambrosio nel refettorio con alcuni bambini della Casa Famiglia

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Si prega prima, poi si mangia. Si ringrazia anche “Papà Enzo”. E’ lui l’artefice della vera solidarietà a Togoville. E’ lui che ha lasciato l’Italia e le frivolezze della civiltà dei consumi,

Una Bambina ospite della Casa Famiglia

Il pranzo viene servito da alcuni bambini della Casa Famiglia

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biamo il giro in piroga sul lago di Togoville e ci teniamo tanto, io e Nicola, a questa escursione. E dopo il pisolino alle 15 in punto, ci facciamo trovare giù all’albergo da “Papà Enzo” che ci porta al lago. Una cosa si deve dire: a Togoville Papà Enzo è una persona ben voluta e conosciuta e quando ti fai un giro a piedi con lui, vedi che lo salutano tutti, ripetutamente, e tutti lo chiamano ”Papà Enzo” o solo “Enzo”. Raggiungiamo a pie-di il lago che, oggi pomeriggio è un po’ mosso. “Papà Enzo”, con molta premura, consiglia al navigatore della piroga di concederci un giro costa-costa che, comunque, sarà bello e ci consentirà di vedere le bellezze più naturali del lago. E così si fa! La piroga è una barca, il cui equilibrio a mare è rappor-tato alla postazione che ti assegna il vogatore alla partenza.

Se ti sposti un po’ , se ti muovi all’improvviso, può succe-dere l’imprevisto. Ma noi rimanemmo incollati alle postazioni assegnate ed ammirammo la natura che accompagna il lago fino a pochi centimetri dall’acqua, con arbusti e piante rigo-gliosamente verdi.

Fanno capolino ogni tanto, vicino alla piroga in movimen-to, gruppi di ragazzi che, goliardicamente, si tuffano e fanno baldoria, alle prese con le acque mosse del lago. La piroga vira velocemente. Si torna al punto di partenza.

E qui c’è un bambino “Victor” che aspetta “Papà Enzo”. E’ un orfano. Avrà una decina d’anni al massimo. E’ consi-derato, come si dice qui, un ragazzo di lago, nel senso che vive e dorme ai bordi del lago, racimolando qualche soldo, aiutando ambulanti che frequentano il mercato di Togoville, in operazioni di carico e scarico.

Victor dice che frequenta la Scuola e ciò viene precisa-to anche da altre persone presenti che vorrebbero vedere il bambino inserito nella casa famiglia di “Papà Enzo” che dà appuntamento al bambino, a pochi giorni, per risolvere il caso.

C’è tutta l’intenzione di aiutarlo e non è escluso che, a giorni,la famiglia di “Papà Enzo” aumenterà per l’arrivo di un altro bambino. A strapiombo sul lago di Togoville c’è un San-

per tuffarsi nell’amore per gli altri, per la gente povera, per gli orfani, per i diseredati di Togoville, villaggio dove la speranza è difficile da leggere nei volti e negli occhi dei bambini, ma anche dei grandi, un villaggio per il quale ogni uomo degno di questo nome, dovrebbe fare di più e sacrificare un po’ della sua vita per un impegno nobile: regalare un sorriso ai bam-bini di Togoville. Il pasto viene servito dai ragazzi, mentre un bambino, in italiano, saluta me e Nicola, ringraziandoci della visita e per quello che faremo per Togoville. Ed ora finalmente si mangia! Polenta con carne e ragù di agnello. Complimenti ad Adele, la cuoca, una pietanza davvero saporita.

A pranzo più o meno terminato alcuni ragazzi del gruppo provvedono a sparecchiare e a pulire; in un attimo il refetto-rio appare splendente come prima. “Papà Enzo” ci concede una pausa di un’ora per farci una pennichella! Alle 15:00 ab-

Il Sindaco Ambrosio durante il giro in piroga sul lago di Togoville

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Interno Chiesa di “Notre Dame du lac Togo” Togoville

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Eppure appena un mese fa io e “Papà Enzo” abbiamo de-ciso di allestire l’”Hopital San Giuseppe Vesuviano” ed ora lo stiamo veramente realizzando per la gente di Togoville, per quella povera gente che non ha alcun soldo per farsi cura-re (qui non esiste l’assistenza pubblica), per i bambini della casa famiglia e per tutti i diseredati togolesi che ne avessero bisogno.

16 ottobre 2008

Mi sveglio alle 6:00, sono particolarmente contento che iniziano i lavori per la costruzione dell’Ospedale. Passo i miei soliti quaranta minuti nel bagno ed alla fine sono pronto per la cerimonia. Ma è ancora presto, sono appena le sette. Che faccio? Ma si, mi metto a pensare, a scrivere, a riflettere un po’. L’aria del Togo ti fa spaziare con i pensieri, ti dà una cari-ca indescrivibile per prendere decisioni, ti fa dimenticare per-sino la cattiveria umana e… ti fa avere più coraggio in tutto.

E, soprattutto, qui ti senti un uomo a misura d’uomo, nel senso che ancora più consideri l’altro un fratello e gli vuoi bene, lo ami e ti protendi verso gli altri con una naturalezza nobile, una sensibilità proficua, un altruismo senza limiti.

Ed eccomi pronto per andare alla casa famiglia. Con Ni-cola ci facciamo i cinquecento metri a piedi e siamo pronti (sono le 8:30) per la colazione. C’è molto fermento, stamatti-na, alla casa famiglia. Ma la macchina organizzativa di “Papà Enzo” è perfetta. I bambini di “Papà Enzo” stamattina non vanno a scuola ( ne sono stati esonerati per tutta la giornata) e sono già pronti con le magliette e la divisa di “Papà Enzo” per partecipare alla cerimonia della prima pietra dell’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”.

Il refettorio, pulito in ogni angolo, viene trasformato in sala ricevimenti perché dopo la cerimonia ufficiale che avver-rà sul suolo dove sorgerà l’Ospedale, è previsto un piccolo rinfresco per gli ospiti. Incominciano ad arrivare gli ospiti e le scolaresche della zona che incominciano a prendere posto,

tuario Mariano. Si narra che, nei tempi che furono, qui ap-prodò la Madonna in piroga e la Chiesa, molto frequentata, è quella di “Notre Dame du lac Togo”. Vi facciamo sosta per un po’! All’interno vi sono affreschi e dipinti di buona fattura, l’edificio non è grande ma all’esterno sono stati allestiti ban-chi ed una sorta di altare supplementare per le grandi occa-sioni. Preghiamo.

E’ molto suggestivo pregare all’interno del Santuario, all’esterno il panorama è stupendo e si intravede il lago con la sua florida vegetazione, qualche piroga in movimento e piccoli gruppi di persone che si affaccendano un po’ qua e un po’ là. Mentre “Papà Enzo” rientra in sede io e Nicola torniamo in albergo.

Nella mia piccola stanzetta mi metto a meditare, e se ci riesco, a riposare un po’. Alle 19:15 con Nicola, a piedi, ci rechiamo dall’albergo alla casa famiglia. Stasera ci sono gli spaghetti al pomodoro e il pollo con le patate ( il menù c’era stato già anticipato da “Papà Enzo”).

Arriviamo in sede, i bambini stanno guardando la tv nel refettorio ed in un attimo si dileguano, forse per fare spazio a noi grandi che dobbiamo cenare. Arrivano gli spaghetti,sono una favola, li ha preparati Adele e le facciamo i complimenti. Il pollo con le patate non è da meno.

Divoro un cosciotto e due croquettes di patate. Per frut-ta qualche fettina di ananas (Adelina che è collaboratrice di Enzo per gli acquisti è andata per noi a comprarla a Lomé). L’ananas qui è molto più saporito di quello che, solitamente, si mangia in Italia.

Prima di andare a nanna utilizzo il computer di “Papà Enzo” per visionare un po’ di posta elettronica. “Papà Enzo” stasera è stanco e, mentre io sono su Internet, lui si sdraia sul letto, nella stanza attigua.

Quando spengo il pc cerco di dileguarmi senza far rumore ma lui mi sente, ci salutiamo e ci diamo appuntamento al mattino. Domani c’è la posa della prima pietra! Non mi sem-bra vero che sia venuto questo giorno.

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Arrivano tante altre persone ed Autorità di cui non sono in grado di definire l’appartenenza. Arriva un cameraman man-dato dal Prefetto ed un po’ di stampa locale. Il Prefetto ha annunciato un po’ di ritardo. Sul posto si provano i microfoni installati per la cerimonia. Sono presenti anche i mastri mu-ratori che, nel frattempo, incuranti di tutto, continuano a se-guire i preliminari del cantiere che, tra poco, aprirà i battenti. Arriva il Prefetto con l’auto di rappresentanza.

Ai lati del suolo dove sorgerà il Pronto Soccorso sventola-no la bandiera italiana e quella togolese. Io indosso la fascia, tricolore, per rendere ancora più istituzionale l’evento.

Muratori al lavoro durante la cerimonia della posa della prima pietra

sistemandosi sotto la pianta di mango che “Papà Enzo” ha risparmiato di abbattere, spostando di qualche metro il ma-nufatto da costruire. Arrivano le suore di San Gaetano con un gruppo di volontarie di Ascoli Piceno. Arriva il presidente degli Avvocati del circondario. Arrivano i responsabili istitu-zionali zonali della Sanità e dei servizi sociali. Arriva la polizia ed una delegazione del Capo del villaggio di Togoville.

Il Sindaco Ambrosio con il Prefetto

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Vado, con “Papà Enzo”, incontro al Prefetto. Grande stret-ta di mano e veloce scambio di battute tra noi ed il Prefetto che, visibilmente, annuisce di approvare l’iniziativa di solida-rietà che stiamo portando avanti.

E’ tutto pronto per i discorsi ufficiali. Parlo prima io e con un francese un po’ sui generis (ma mi accorgo che viene com-preso) dico questo: “Cari signori e signore, eccellenza signor Prefetto ed autorità tutte, vi ringrazio per la vostra presenza, oggi, a questa cerimonia per la posa della prima pietra del di-spensario che si chiamerà “Hopital San Giuseppe Vesuviano”.

Io sono Antonio Ambrosio, medico e sindaco della Città di San Giuseppe Vesuviano. Io sono con voi insieme ad un al-tro amministratore della mia Città, Nicola Menzione, e siamo qui per essere testimoni della solidarietà che non conosce confini.

Ho l’onore, oggi, di rappresentare il mio Comune ed anche l’Italia. Io ritornerò qui presto per inaugurare l’ospedale e os-servare i primi malati che riceveranno l’assistenza gratuita nel nome della nostra fraternità. Grazie”.

Il mio discorso riceve un discreto applauso, sembra che l’abbiano capito tutti e di ciò ne sono contento.

Segue il discorso del Prefetto, che ringrazia me e la cit-tà di San Giuseppe Vesuviano per la nobile azione di solida-rietà intrapresa. Applausi per il Prefetto e posa della prima pietra. Provvedo a versare su alcuni mattoni già allineati dai muratori una cazzuola di cemento e così inizia la costruzione dell’ospedale. E’ presente tanta gente comune alla cerimo-nia, che dimostra di apprezzare anche se non parla e glielo leggi negli occhi che sono felici.

Fuori programma “Papà Enzo” si impadronisce del micro-fono e parla, come è sua abitudine, con il cuore, riscuotendo grande consenso dai presenti.

Ci spostiamo nel refettorio. “Papà Enzo” ha allestito, come detto, un piccolo ricevimento, per il Prefetto e le Autorità. Bevande in abbondanza, una fetta di pizza ed un panino con formaggio, davvero saporito. Il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio posa la prima pietra dell’Ospedale

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Foto di gruppo in occasione della posa della prima pietra: al centro il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio, alla sua sinistra il Prof. Enzo Liguoro con la mascotte della ceri-monia Simona e tutti i ragazzi della Casa Famiglia, alla sua destra l’Assessore Nicola Menzione con altri intervenuti alla Cerimonia della posa della prima pietra

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no che è partito, dopo essere stato ospite alla casa famiglia per una quindicina di giorni.

Vi è da dire che, anche quando “Papà Enzo” non è in sede, tutto procede a meraviglia.

Ogni ospite, come già detto, sa quello che deve fare. C’è il senso del dovere e della responsabilità in ognuno di loro. Stasera decidiamo di non mangiare, una volta tanto si può fare, se no corriamo il rischio di tornare ingrassati a casa. “Papà Enzo” ci sta trattando veramente come ospiti speciali e non ci fa mancare il gusto della cucina, anche italiana.

Alle 21:00 ci ritiriamo io e Nicola verso l’alberghetto che ci ospita, il percorso lo illuminiamo con la mia pila speciale, sarebbe duro altrimenti e correremmo il rischio di inciampare su qualche pietra o sulla terra scoscesa. Doccia e nanna im-mediata. Domani mattina si va a Lomé e c’è tanta voglia di visitare la capitale.

Dormo bene, la notte è silenziosa a Togoville ed i pensieri italiani vengono cestinati dalla voglia d’amore che si è impa-dronita del mio cuore.

Un sogno l’ho fatto però: ho sognato che stavo operando nell’Ospedale di Togoville che era già funzionante e che fa-cevo il giro tra gli ammalati ricoverati, tra i sorrisi della gente di Togoville, soddisfatti che finalmente c’era un Ospedale ca-pace di assisterli per tante emergenze sanitarie.

17 ottobre 2008

Sveglia alle 6:00. Alle sette, con Nicola, siamo già alla casa famiglia. Andrea, il collaboratore di “Papà Enzo”, ci mette a disposizione una piccola vettura per andare a visitare la ca-pitale.

Ci accompagnano Leo che guida, e Antonio un giovane di Togoville che parla bene la nostra lingua ed ha tanta voglia di venire in Italia. Questa volta, facendo di giorno la strada per Lomé, abbiamo modo di osservare, ancora più, come vive la gente del Togo, che fa, come si muove,che guarda, che vuo-

Molto gradito dai presenti uno spettacolo di danza e can-ti africani che i bambini di “Papà Enzo” offrono, sfoggiando una bravura che fa scaturire scroscianti applausi. I bambini di “Papà Enzo” ora devono mangiare e non possono mangiare in ritardo. Ci congediamo, quindi, in fretta dal Prefetto e da-gli ospiti. Io e Nicola ci accodiamo anche a questo pasto e fagocitiamo un bel piatto di pasta e lenticchie, opera della brava cuoca Adele. Si va un po’ a riposare, la prima parte del-la giornata è stata molto impegnativa ed è giusto distenderci un po’ a letto.

L’intenzione sarebbe quella di dormire fino a domani, ma vedremo più tardi come andrà a finire.

Ma che vuoi dormire! Alle 16:00 mi accorgo che non ce la faccio a rimanere nel letto. Busso alla porta della camera di Nicola che è attigua alla mia. Nicola non c’era, era già uscito e dopo un po’, l’ho trovato alla casa famiglia. “Papà Enzo” è andato all’aeroporto ad accompagnare un volontario italia-

Iniziano i lavori delle fondamenta dell’Ospedale

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(tante) presenti sui cigli stradali vedono come avventori, per lo più i tanti camionisti che affollano le strade togolesi.

Ed ecco i binari, quelli che vengono utilizzati dai treni che portano fosfati dalle miniere ai centri di raccolta per essere spediti in Francia. Stiamo viaggiando, nel frattempo, da più di un’ora.

E dopo aver percorso il tratto sterrato ed avvallato, pieno di buche trabocchetto, finalmente usufruiamo di un po’ di via asfaltata (quella rettilinea), che è una manna dal cielo per le ruote e gli ammortizzatori della macchina che ci sta portando a Lomé e che ci ha prestato Andrea, il collaboratore di “Papà Enzo”.

E ti accorgi subito che stai arrivando a Lomé. La periferia pullula di piccole attività commerciali, che vendono un po’ di tutto, merce di tutti i tipi e per tutti i gusti, acquirenti che vanno e che vengono, un giro di motociclette che immettono nell’aria una colonna di smog, che fa impallidire il sole, al punto da nasconderlo ma senza inficiarne il calore, misto ad un’afa terribile, che ti squaglia la fronte.

Si suda tanto con quest’ arsura! E quando passi la fronte per asciugarla sulla maglietta, ti accorgi che si fa un alone color creta: è la polvere che, a Lomé, ti assale tutto ed i bron-chi annaspano provocandoti una dispnea recidivante che ti blocca il respiro. Il primo biglietto da visita di Lomè è una confusione totale.

Un traffico insostenibile che, ad ogni incrocio, assume il carattere dell’ingorgo più fastidioso, che ti fa chiudere, mo-mentaneamente, il finestrino della macchina, per non fare una scorpacciata nociva di polveri sottili. Ed ecco davanti a noi, ad un tratto, il monumento che non ti aspetti: una co-lomba gigante, ci ricordano che è il monumento della pace, fortemente voluto dal Governo, che ci tiene tanto ad incul-carlo nelle menti dei togolesi.

La prima tappa la facciamo alla ECO BANK, per fare un po’ di cambio di euro in franchi africani. Mentre Nicola ed Antonio si recano allo sportello io e Leo ci intratteniamo all’ingresso

le, che desidera. A pochi chilometri da Togoville rivediamo il piccolo villaggio (cinquecento persone circa) che quando arrivammo, percorrendolo di notte, sembrava più un cimitero che un alloggiamento di viventi.

Assente l’energia elettrica, assente l’approvvigionamen-to di acqua, si fanno chilometri per elemosinarne un po’ da qualche parte, rigidamente non potabile, causa di tante ma-lattie intestinali che qui la fanno da padrone.

Vediamo, pure, tanti bambini, troppi bambini, utilizzati per i lavori più pesanti, nei campi e nel trasporto di cianfrusaglie. Ma non dovrebbero stare a scuola? Ci dicono che qui la di-spersione scolastica è un fenomeno di vaste proporzioni e che il grado di analfabetismo è elevatissimo.

Ogni tanto, durante il viaggio in macchina per Lomé, intra-vediamo piccoli cimiteri, che versano in condizioni di degra-do davvero totale. A stento si riesce ad intravedere qualche lastra tombale, molte sono prive del nome del defunto, le erbacce sono altissime e sembrano più terreni incolti che aree di camposanto.

Questa ve la devo raccontare: a Togoville e lungo le stra-de per Lomé abbondano i negozi di coiffeur pour dames dai nomi occidentalizzati: Dallas, Beautiful, Charm etc. Qualcuno nell’insegna propagandistica, aggiunge la parola “Tresse”, ap-prendiamo che qui il sabato e la domenica, in tante, ci ten-gono moltissimo a fare bella mostra di capigliature scintillanti fresche dell’opera di parrucchieri specializzati.

Un’altra cosa che abbiamo notato è un numero elevato di internet point, piccole stanzette con qualche computer da offrire ai navigatori togolesi. Non sembrano molto affollati per la verità ma, si sa, i clienti potranno sempre arrivare.

Tanti sono pure i negozi di cellulari che, per la maggior par-te dei togolesi rimane un sogno a causa dei costi proibitivi. Qui gli stipendi sono quelli che sono, un operaio prende 20 o 30 euro al mese, un professore di scuola ancora meno, per altri mestieri si arriva fino a 10 euro per mensilità. Notiamo pure tante capanne che vendono bibite. Queste postazioni

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le piene di mercanzie e c’è un odore nauseante perché tanti “souvenir” sono il prodotto del trattamento di animali morti.

Ci vengono incontro due persone, che si vede subito, han-no una sorta di “direzione” del mercato dei feticci.

Ci chiedono, in proposito, se siamo malati, e se siamo an-dati lì, come dire, per una chiacchierata con i “guaritori” che lì operano per “allontanare” le malattie che non si guariscono con la cosiddetta medicina convenzionale. Arriva un bambi-no che ci passa un biglietto da visita di uno dei “guaritori” in servizio al “mercato dei feticci”: Gansou Jérome, guerrisseur en medicine traditionelle consultant voyant. I due “direttori” ci guar-dano perplessi.

Ma come, avranno pensato, questi sono sani e sono ve-nuti qui? Facciamo riferire loro da Antonio che noi lì ci siamo recati per cultura. Apprezzano e ci autorizzano a visitare gli “stand”. V’è tutto l’occorrente per un film horror! Lucertoloni imbalsamati, teschi di teste di cane e di gatto, mandibole con dentatura completa di provenienza animale ma, non chiede-teci di quale animale perché non l’abbiamo capito.

Ci sono piccole zampette, pellame vario, corna di tutti i tipi e tante altre merci maleodoranti. Ed ora che facciamo? Tanto un ‘ idea di questo cimitero animale commercializzato ce la siamo fatta! Dobbiamo comprare qualcosa, giusto per non fare brutta figura, i capi sono stati così gentili, vuoi ve-dere che si arrabbiano se non prendiamo niente! Sì ma che cosa? Mica possiamo portare a casa un teschietto di cane o di gatto, una lucertola o un paio di corna? Incominciamo a stazionare presso quei pochi stands che non sembrano offri-re merce maleodorante e acquistiamo alcune piume di por-cospino che, ci dicono, combattono e prevengono l’asma. E due soldatini neri contro il malocchio. E’ fatta. Da lontano i capi hanno visto che qualcosa l’abbiamo imbustato. E così ci infiliamo velocemente in macchina e scappiamo dal fetido odore di quella sorta di cimitero di animali fatti a fette.

Ed ora si va a mangiare. Si è fatto mezzogiorno ed a quest’ora in Togo si mangia. La fame è poca per la verità,

della banca. E qui vi è un andirivieni di “venditori” ambulan-ti che ci vogliono propinare i prodotti più disparati; tagli di stoffa, bibite, cinture per i pantaloni, biancheria intima, jeans, coperte, set di valigie, scarpe e persino cotonfiocchi per le orecchie e fazzolettini di carta. Si fa vivo anche un mendican-te con un piattino senza moneta alcuna; qui è arte dura fare il mendicante perché nessuno può dare niente ad un altro, per-ché non ha niente già per sé. Non abbiamo neppure il tempo di dare un piccolo obolo che la guardia a presidio della banca allontana in malo modo il malcapitato.

La guardia bancaria sembra più un cow-boy che un vigilan-te, ha un copricapo da sceriffo western ed una lunga carabina da mettere in fuga chiunque volesse infastidire i clienti della ECO BANK. Tornano, finalmente, Nicola e Antonio.

Prendiamo la macchina e la prima tappa la facciamo al mercato di artigianato locale. Dobbiamo comprare un po’ di souvenir ed io voglio fare acquisti tipici locali. Parcheggiamo la macchina e scendiamo. Siamo gli unici clienti in cinque-cento metri di bancarelle.

Assistici cielo! Veniamo assaliti da una fiumara di venditori che vogliono averci come clienti. Incominciamo le trattative. Il primo acquisto ( alcuni pezzi inneggianti all’amore e alla fer-tilità delle coppie) lo facciamo senza una, come dire, lucidità contrattuale.

Ed Antonio, ci dice, che abbiamo pagato molto. Ma poi diventiamo acquirenti più accorti. Ed a buon prezzo com-priamo gufi, teste di divinità e statuette locali di tutti i tipi. Naturalmente sempre accerchiati da una miriade di venditori, ossessionanti, incollati alle nostre calcagna.

Scappiamo velocemente, facendoci spazio a gomitate fino alla macchina, dove veniamo seguiti dai venditori più in-calliti. Ed ora viene il bello! Ci dirigiamo al mercato dei feticci. Qualcuno ci aveva sconsigliato questa visita, ma la curiosità è tanta e vogliamo andarci a tutti i costi. Arriviamo in uno spiazzale all’aperto dove, ancora una volta, i clienti, siamo solo io e Nicola, e per di più stranieri! Ci sono tante bancarel-

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non c’è nemmeno da mangiare! E la prima battaglia che un togolese deve vincere è quella di mangiare, quel che basta tutti i giorni.

Poi c’è l’assenza pressoché totale di acqua potabile, le malattie intestinali sono endemiche e colpiscono duro, so-prattutto i bambini. L’energia elettrica c’è, a piccole oasi, come le mosche bianche. Il togolese, per usufruirne, deve pagare la palificazione fino a casa ed ogni palo, tradotto in euro, ne costa circa 120, tre mesi di stipendio di un muratore. In compenso ci sono i giovani con tanta voglia di vivere, che allestiscono, un po’ ovunque,momenti di aggregazione.

Nella stradina che dalla casa famiglia porta all’albergo, ogni sera ,in uno spazio all’aperto, c’è musica, c’è voglia di divertirsi, c’è voglia di andare avanti.

Si accende il fuoco, naturalmente, per illuminare i balli. C’è anche un bar che si chiama Welcome che irradia, quando è buio, musica internazionale ad elevato volume, sconquas-sando i timpani dei malcapitati passanti.

Non ci sono tanti avventori al bar Welcome; in compenso il titolare, quando ti incrocia, ti fa un saluto cordiale che non perdi un attimo a contraccambiare.

E’ sera quando da Lomé arriviamo alla casa famiglia. Qui, alle 17:30 è già buio. Con “Papà Enzo” parliamo della missio-ne che siamo venuti a compiere, dei tempi di realizzazione dell’Ospedale “Città di San Giuseppe Vesuviano”.

E non solo. Avremmo l’intenzione, pure, di allestire un pozzo di acqua potabile. A Togoville non esiste. Sarebbe un’opera straordinaria, ci impegneremo in tal senso. Si cena.

Bucatini al pomodoro e un po’ di frutta. I bucatini sono veramente buoni, la cuoca Adele merita un applauso.

Si va a dormire. Si dorme bene a Togoville.

18 ottobre 2008

Dopo i soliti preliminari del mattino di natura, diciamo,

le nostre narici sono ancora piene della “fragranza” dei re-sidui animali! Andiamo a mangiare in un ristorante al centro di Lomé, che, contemporaneamente, è pasticceria, gelateria e bar. Mangiamo bene. Carne, cus cus e patatine fritte e alla fine un bel gelato, il tutto innaffiato da un po’ di birra analco-lica locale. Dopo pranzo ho voglia di vedere l’Oceano Atlan-tico. E ci andiamo.

Chilometri di spiaggia con tante persone in riva al mare, ma nessuno in acqua. Chiediamo il perché ad Antonio e Leo e ci rispondono che, qui, la popolazione non ama immergersi tanto nel mare, lo fanno solo i turisti; quei pochi che arrivano in Togo. Il bussines delle vacanze, è noto, non fa rientrare nei propri programmi, pacchetti per le spiagge togolesi. Si sono fatte le 15 e 30.

Prendiamo la strada del ritorno ed è di nuovo un’impre-sa reggere il traffico caotico di Lomé. Lo smog macchia il cielo!Fa caldo, fa terribilmente caldo, e l’aria di Lomé è irre-spirabile. Al ritorno, sulla strada, stessa gente, stesse storie, stessa voglia di sbarcare il lunario del Togo.

Con i bambini pronti ad invadere qualsiasi spazio, pur di dare qualche calcio ad un pallone. Lo fanno, pure, in mezzo a delle pozzanghere fresche, frutto della recente pioggia, e che sono il bivacco preferito delle famigerati zanzare. Da Lomé, dal Togo, non abbiamo potuto spedire alcuna cartolina illu-strata, non ce ne sono in giro. E sfido io! I turisti non ci sono ed il gioco di stamparle non vale la candela. E’ la prima volta che vado all’estero e non mando una cartolina a casa.

Però ho tanta roba nel cuore da raccontare. E poi ci sono i souvenirs artigianali che non sono male. Ci sono le foto, le riprese, i ricordi. Perché il Togo di ricordi te ne scolpisce tanti nella mente e nel cuore. Il Togo è lezione di vita, è amore, è solidarietà senza confini. Il Togo è il posto dove tutti ti saluta-no e tu li saluti. I togolesi sono educati, dolci, simpatici.

La gente qui sopravvive e non vive, ma lo fa con dignità, con carattere, con una voglia matta di riscattarsi. Ma le risor-se sono poche, sono nulle. Non c’è lavoro, non c’è futuro,

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lano alcuni prodotti di artigianato, preparati nel laboratorio della casa famiglia.

Poi si prega tutti insieme e si mangia tutti insieme. Riso e

Muratori a lavoro

personale alle 7 e 30 arriviamo alla casa famiglia. Ci viene offerto un buon caffè. Mi posiziono un po’ sul computer di “Papà Enzo”, installato nel suo piccolo quartier generale, vi si accede dal refettorio, “Papà Enzo” ha una piccola camera da letto con bagno e un piccolo saloncino, con divanetto e poltroncine, ma dappertutto vi sono carte, oggetti e docu-mentazioni varie e in quel “disordine” “Papà Enzo” dirige la sua struttura.

Ma è un disordine “sui generis”: “Papà Enzo”, infatti, vi convive in piena sintonia, sa scegliere cosa gli serve,subito, e nulla, nel quartier generale, è lasciato al caso. Il computer è importante per “Papà Enzo” e lui lo usa, per tenere i rapporti con i sostenitori, per aggiornare il sito web, per smistare la posta elettronica. “Papà Enzo” conosce il Togo e i togolesi perfettamente. Sa quello che si deve fare e che non si deve fare per loro.

E noi prima di agire, ne parliamo con lui, senza cedere alle tentazioni di fare azioni di solidarietà spicciola che a suo dire non servono a nulla. “Papà Enzo” è buono, gentile, cordiale, ma è anche una persona che sa decidere, sa governare la struttura e, nel tempo, è stato capace di creare un’organizza-zione perfetta che funziona anche in sua assenza. C’è Andrea, Adele (la moglie di Andrea) che sono i principali collaboratori.

C’è Daniel che è il maestro dei bambini di “Papà Enzo” i quali, oltre ad andare alla scuola pubblica, di pomeriggio fanno lezione con lui. C’è la cuoca Adelina, insostituibile, che cucina ogni giorno, per oltre quaranta persone. La Casa fa-miglia di “Papà Enzo” è un gioiello come funziona e come assiste i suoi bambini e ragazzi. A mezzogiorno c’è il pranzo con i bambini ed una piccola cerimonia di saluto per noi che partiamo. I ragazzi ed i bambini di “Papà Enzo”, diretti dal maestro Daniel, intonano alcune canzoni in nostro onore.

Dicono: “Dio è buono, Dio è grande, e voi siete buoni per-ché Dio ha fatto in modo che voi giungeste qui per aiutarci.” Alcuni bambini danzano per noi.

Il cuore batte forte, è difficile non commuoversi. Ci rega-

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Foto di gruppo con i bambini della Casa Famiglia, “Papà Enzo”, il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio l’Assesore Menzione, Adele la cuoca e Andrea.

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fagioli con un po’ di ananas per concludere. E’ l’ora di andare in albergo. Ma non bisogna lasciare segni traumatici. I bambi-ni ci guardano, sanno che stiamo andando via.

Lo facciamo in silenzio, li salutiamo con naturalezza dopo aver fatto una bella foto di gruppo nel piazzale della casa famiglia. Loro sanno che ritorneremo, man mano che l’Ospe-dale si realizzerà. Andiamo un attimo a vedere il cantiere.

Una decina di muratori lavorano a spron battuto. Bene. Possiamo veramente andare ora! Andiamo in hotel ma non c’è voglia di riposare. Mi faccio le valigie, mi sdraio e penso al Togo che sto imparando ad amare, a tenere nel cuore per sempre.

Qui l’amore per questa gente ti prende, ti fa riflettere, ti fa pensare che la strada della solidarietà è una strada maestra che ti eleva e ti innalza il cuore al cielo. E’ bello il Togo, è bella Togoville, è bella la casa famiglia di “Papà Enzo”, con i suoi colori, le sue sfumature, la sua organizzazione, che è affidata in gran parte ai bambini che “Papà Enzo” ha responsabiliz-zato come se fossero già grandi. Ed è bello che tutti, qui a Togoville lo chiamino “Papà” in segno di affetto.

Alle 17:00 si parte per l’aeroporto. Ci accompagna “Papà Enzo”, Andrea con la moglie Adelina, il maestro Daniel e due bambini della casa famiglia. Arriviamo a Lomé, il cuore pal-pita.

C’è l’imbarco. Ci guardiamo negli occhi! Ora ci dobbiamo lasciare veramente. Gli occhi si fanno lucidi. Manca un po’ il respiro. L’emozione ci fa salire il cuore in gola. Un corale abbraccio ed un altro saluto finale mentre entriamo per fare il chek-in. Si parte. Come è brutto partire! “Ciao Togo, ciao Terra d’amore, ciao “Papà Enzo”, ciao “Papà”.

Lo sguardo dei bambini della Casa Famiglia ci seguirà nel viaggio di ritorno

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momenTi della cosTrUzione dell’”HopiTal san giUseppe VesUViano”

Anche i bambini della casa famiglia “Papà Enzo” partecipano ai lavoriSul cantiere dell’”Hopital di San Giuseppe Vesuviano” sventolano le bandiere dell’Italia e del Togo

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La piccola Simona, mascotte dell’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”

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Capitolo ii°

8 Febbraio 2009 inaUgUrazione dell’”HopiTal san giUseppe VesUViano”

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Sabato 7 Febbraio 2009

Il nostro aereo, proveniente da Parigi, è atterrato a Lomé, la capitale del Togo, con tre ore di ritardo a causa di una partenza ostacolata da una abbondantissima nevicata. Soliti problemi con i “doganieri” togolesi, ai quali facciamo capire i motivi del nostro viaggio in Togo e, così, passiamo il control-lo e ci accingiamo ad uscire. Ci aspettano e ci abbracciano “Papà Enzo”, il fido collaboratore Andrea e due ragazzi della casa famiglia. Ed eccoci diretti a Togoville, nel cuore della notte! Durante il percorso, a differenza della volta preceden-te, non incontriamo pressocché nessuno.

Fa caldo e l’afa è terribile, con un’aria irrespirabile! L’auto che ci porta alla Casa Famiglia, guidata da Andrea, è un fuo-ristrada in buone condizioni, recentemente avuto in dono da Papà Enzo da alcuni benefattori.

Va detto che il manto stradale, non piovendo da due mesi, come ci dicono, è alquanto percorribile e di buche, in verità, ne vediamo poche! Durante il viaggio per Togoville, a metà percorso, ci imbattiamo in una festicciola con musica e can-ti ai lati della strada, la notte è illuminata da una cospicua quantità di ceri e c’è anche un piccolo tavolo con roba da mangiare. Papà Enzo ci spiega che si tratta della veglia per un funerale.

In Togo, quando uno muore, i “festeggiamenti” in onore del defunto, durano per alcuni giorni e l’usanza è molto in voga, nel senso che i familiari, a volte, si indebitano pur di tener fede alla tradizione.

Proseguiamo. Nel buio più assoluto. Ma andiamo avanti velocemente.

Non c’è traffico, la notte, nelle strade del Togo. Arriviamo alla Casa Famiglia senza aver mai incontrato, di fronte a noi, i fari di un’altra autovettura!

I bambini dormono. Ci aspetta Adelina, la moglie di An-drea. Siamo stanchissimi. Beviamo acqua minerale in abbon-

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Un gruppo di coristi partecipa alla cerimonia, cantando e danzando, coinvolgendo l’intero uditorio in stupende melo-die liturgiche.

E poi la comunione. Avviene con rigorose regole per evi-tare confusione.

Praticamente, nella ricezione dell’ostia sacra si forma un movimento a senso unico e, quindi, chi la riceve non ostacola chi la deve prendere ancora ed il tutto dà l’idea di una per-fetta organizzazione. Subito dopo il coro fa un giro nel corri-doio che separa i banchi dei fedeli ed in tanti, con ordine, si aggregano, per cantare e danzare in un crescendo di mistica allegria. Nel frattempo in tanti pregano seduti. Anch’io prego e resto affascinato dal modo di celebrare la Messa e dalla sentita partecipazione dei togolesi. Una bambina di pochi mesi piange. La mamma, giovanissima, non si scompone più di tanto. Mette il seno di fuori e l’allatta, senza indugi. E’ una scena bellissima di amore materno! Anche le offerte avven-gono in maniera disciplinata. Alcune urne vengono deposte vicino all’altare. I fedeli, uno per volta, offrono quel che pos-sono, ma lo fanno pressoché tutti.

Anch’io dono il mio piccolo obolo per poi uscire fuori dal-la Chiesa. Sono le 8,30 locali e la Santa Messa è finita. I coristi fanno un supplemento di canti e balli all’esterno della Chiesa e la gente partecipa con gioia. “Papà Enzo” è venuto a pren-derci per portarci alla “Casa Famiglia”. Fervono i preparativi per l’inaugurazione dell’ “Hopital San Giuseppe Vesuviano”.

Dopo aver preso un caffè “napoletano” da “Papà Enzo” ci rechiamo a visitare, in anteprima, il “nostro” Ospedale.

L’ingresso ha un cancello in ferro battuto ed il muretto è composto per metà di cemento e, per il resto, in ferro. Nello spazio antistante la struttura, al centro, campeggia la pianta di Mango che è stata sistemata per formare una piccola oasi di verde attrezzato.

Il Mango è stato circondato da una panchina circolare in cemento, che servirà per gli ospiti in attesa.

danza. Depositiamo alla casa famiglia un valigione pieno di prodotti sanitari, che abbiamo portato dall’Italia, frutto della generosità di un donatore; c’è tutto l’occorrente per dotare “l’Hopital San Giuseppe Vesuviano” di una strumentazione chirurgica di primo soccorso: ogni tipo di punto di sutura, garze, ovatta, ferri chirurgici, recipienti vari, siringhe di tutte le dimensioni etc.

Ed ora a nanna nel nostro alberghetto, a qualche centina-io di metri dalla Casa Famiglia, sia io che l’Assessore Nicola Menzione, scegliamo le stesse stanze della volta scorsa. Doc-cia abbondante con bagnoschiuma e shampoo portato da casa, aspettando con pazienza, la pressione dell’acqua che è minima.

Ed ora si dorme, finalmente! Il viaggio da casa a Togoville è durato praticamente 24 ore! Sogno tanto nella notte di To-goville. E sogno anche cose belle! Si dice che i sogni non si realizzano. Ma non importa.

E’ sempre meglio sognare bene che sognare qualcuno che ti rincorre con un pugnale alle spalle e le tue gambe si bloc-cano inspiegabilmente.

Domenica 8 febbraio 2009

Spunta il giorno a Togoville. Apro la finestra del mio “nido”. Il sole non è raggiante. Ed è coperto da una foschia afosa. Mi preparo per andare a messa. L’inaugurazione dell’ospedale è prevista per le ore 15:00. Giù all’albergo ci aspettano i ragazzi della Casa Famiglia e, con Nicola, ci avviamo alla Chiesa “No-tre Dame du lac” , posta a cinquecento metri dall’albergo. La chiesa è gremita di persone.

Anziani, grandi e bambini, vestiti a festa, partecipano alla preghiera.

V’è pure tanta gente che non è riuscita ad entrare e prega da fuori.

Riusciamo a trovare spazio dentro la chiesa e ci sediamo.

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Tento di dormire, ma non ci riesco. L’emozione è grande, tra poco apre i battenti l’ “Hopital San Giuseppe Vesuviano”. Alle 15 in punto vengono a prenderci con la macchina e sia-mo pronti per l’inaugurazione.

La gente arriva da ogni posto di Togoville per partecipare all’Evento.

Arriva il capo del villaggio con una delegazione dell’ammi-nistrazione locale. Con “Papà Enzo”, i bambini e tutto lo staff della Casa Famiglia ci avviamo all’ingresso dell’Ospedale.

Un drappo tricolore copre la targa posta all’ingresso. Daniel il maestro della Casa Famiglia inizia il protocollo

della cerimonia di inaugurazione. Provo gioia e soddisfazione e mi immergo negli occhi della gente di Togoville, festante perché, finalmente, possono contare su un’assistenza sani-taria gratuita. Parla un rappresentante dell’Amministrazione

I colori della pittura usati per l’esterno dell’Ospedale sono per lo più il giallo l’ocra ed il verde, all’interno il bianco e l’az-zurro tenue. Il porticato dà un aspetto ancor più armonioso al manufatto.

Ed ora entriamo dentro. C’è una sala d’attesa, uno studio medico, una farmacia, una sala degenza di otto posti, doppi servizi igienici, una stanza per la piccola chirurgia.

Le mattonelle usate per le pavimentazioni e per i bagni sono state scelte con gusto e ben si adattano all’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”.

La struttura è recintata e dietro l’Ospedale vi è un pozzo d’acqua potabile, recentemente realizzato con il contributo di benefattori.

Torniamo alla Casa Famiglia per pranzare con i bambini. Riso e ragù, fagioli togolesi con wurstel e pezzetti d’ananas, il tutto innaffiato da birra locale, che è davvero non male. Andrea ci accompagna in albergo. Abbiamo un’ora e mezza per riposare un po’.

La Pianta di Mango funge da sala di attesa Porticato dell’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”

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role dettate dal cuore che mi batte forte. Parla “Papà Enzo”, e coinvolge tutti nel suo discorso. Ci tiene a precisare che l’Ospedale è frutto della generosità della Città di San Giusep-pe Vesuviano e che le prestazioni sanitarie sono totalmente gratuite. Procediamo al taglio del nastro. Lo faccio insieme

del Villaggio. Poi è il turno di Padre Emanuele, un missionario locale che parla anche italiano e usa parole belle, esaltan-do il valore dell’iniziativa umanitaria riuscita. Ed ora è il mio turno. Nel “mio” francese, ma mi faccio capire, dico: “Ringra-zio con gioia “Papà Enzo”, perché ha dato occasione a me e alla mia Città di realizzare questo Ospedale. Ritengo che la vera solidarietà non sia quella delle parole, ma quella dei fatti. Appena pochi mesi fa io ho posto la prima pietra e, oggi, ho l’onore di tagliare il nastro per l’inaugurazione di questo Ospedale. Sono molto felice per ciò. Nella mia Città ed in Ita-lia amiamo ed ameremo sempre il Togo e la gente di Togoville. Grazie!” Un applauso sincero e scrosciante segue alle mie pa-

Il corteo si dirige verso l’Ospedale per l’inaugurazione, da sinistra un funzionario, “Papà Enzo”, il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio, il Capo del Villaggio e l’Assessore Nicola Menzione

Targa posta sulla parete esterna dell’ospedale

Targa posta all’ingresso dell’ospedale

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Ed io festeggio, insieme a loro, l’apertura dell’Ospedale. Pian piano ci avviamo verso la Casa Famiglia “Papà Enzo”

ha fatto le cose in grande questa volta. Ed ha preparato da mangiare per tutti. Pizza con pomodori e spezie con bibite in abbondanza. La gente partecipa. E noi ci sediamo in mezzo a loro. E’ bello stare con la gente di Togoville! E’ stupendo festeggiare e gioire insieme.

Il pranzo dura un’oretta. Poi man mano la gente si allontana. Molto lentamente…

la Casa Famiglia torna alla normalità. E resta il ricordo bellissimo di un momento straordinario

che ti fa volare il cuore in cielo e ti fa sentire più degno di essere uomo.

“Papà Enzo” ci mette a disposizione quattro ragazzi della Casa Famiglia per visitare Togoville nei particolari. La volta precedente il villaggio l’abbiamo visto in maniera più soft. Ed

a “Papà Enzo” e all’Assessore Nicola Menzione. Il popolo di Togoville “invade”, felice, lo spazio antistante la Struttura. In tanti si siedono sotto la pianta di mango. Andrea aziona gli altoparlanti che emettono musica togolese. A gruppi, i pre-senti visitano “l’Hopital San Giuseppe Vesuviano”. Fanno bel-la mostra di sé, con sfolgoranti camici bianchi, Emanuel, un infermiere specializzato, responsabile della struttura ed il suo vice. Mi mischio alla folla. La gente è contenta. Faccio un po’ di foto con loro. Il cameramen intervenuto per l’occasione, filma tutti i particolari della Manifestazione. I bambini sono tanti. E sono contenti. Tutti sono contenti, oggi, a Togoville.

Foto di gruppo, da sinistra l’Assessore Nicola Menzione , il maestro della casa famiglia Daniel, il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio, l’anziana del villaggio, i due responsabili sanitari e “Papà Enzo”.

Taglio del nastro

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La gente del villaggio prende un pò di fresco sotto il Mango, al centro il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio

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Il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio insieme a “Papà Enzo” visitano l’interno dell’Ospedale

Sala degenze dell’Ospedale

Sala d’attesa

Il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio nella farmacia dell’Ospedale

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eccoci imbatterci nei sentieri dissestati di Togoville, pieni di buche e di immondizia. Tante catapecchie abitate da gen-te dimenticata dal destino, che prova a sbarcare il lunario alla men peggio. Improvvisati campi di calcio danno spazio alle velleità sportive dei ragazzi che giocano a piedi nudi e senza alcuna divisa. Il “centro” di Togoville è inconfondibi-le. Un piccola piazza viene sovrastata da un monumento di legno con due figure di sesso femminile che non c’è dato di comprendere che cosa vogliano rappresentare. Qualche bi-cicletta, ogni tanto, ci dimostra che qualche mezzo su cui muoversi c’è da queste parti. Raramente compare una mo-tocicletta che non passa inosservata per i fumi di scarico della marmitta. Le auto sono mosche rare qui a Togoville! La nostra “escursione” dura un’ora.

Prendiamo la strada del rientro e ci fermiamo con i nostri giovani accompagnatori a prendere una bibita in un bar. Sia-mo gli unici avventori.

Il prezzo che paghiamo è modico ed i ragazzi accettano di buon grado di sorseggiare il drink con me e Nicola. Sono le 19:30 quando ci incontriamo con “Papà Enzo” alla Casa Famiglia.

Lui è stanco ed anche noi. Prendiamo un caffè, mangiamo una banana e ci congediamo.

La notte passa tranquilla, per me a Togoville. La stanchez-za si impadronisce dei miei sogni e dormo, tutto d’un tiro, fino al mattino.

9 febbraio 2009

Di buon mattino (sono le 7 locali) ci rechiamo all’Ospe-dale per verificare, il primo giorno, le attività sanitarie. Già una quindicina di persone fanno la fila per essere sottoposte a visita da Emanuel, il responsabile sanitario della struttu-ra. Alcune persone aspettano il turno sedute sotto la pianta di Mango. Vengono misurate pressioni, temperature corpo-

Il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio in compagnia di alcuni abitanti di Togoville giunti per l’inaugurazione

Il Sindaco Antonio Agostino Ambrosio con alcuni bambini

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Grandi festeggiamenti nella casa famiglia in occasione dell’inaugurazione dell’Ospedale

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tonno. Come secondo piatto un po’ di patate fritte. E’ tutto, come sempre, molto buono. La cuoca Adele, è bravissima e gradiamo tutto! A fine pranzo un bambino si alza, ci ringrazia e ci invita a ritornare, ancora, a Togoville. I bambini cantano per noi melodie togolesi.

Non ne comprendiamo il significato ma ne apprezziamo la dolcezza ed il ritmo africano. E’ venuto il momento di lasciare la Casa Famiglia. E’ previsto lo spostamento, per un giorno, in un piccolo albergo, vicino alla capitale Lomé. I bambini si vanno a disporre all’ingresso della Casa Famiglia per salutar-ci. Un abbraccio con Adelina, la moglie di Andrea, il principa-le collaboratore di Papà Enzo, un abbraccio alla cuoca Adele. La Jeep è pronta per accompagnarci. L’autista è Teo che già nel precedente viaggio, ci aveva fatto da Cicerone e c’è pure

ree, prescritti esami clinici e distribuiti farmaci. Tanti anzia-ni, donne e bambini, per la prima volta, a Togoville ricevono assistenza in una struttura sanitaria, degna di questo nome. Sorridono gli abitanti di Togoville quando ci soffermiamo a dire qualche parola in francese con loro e la parola “Merci” si spreca, a riprova di come hanno gradito il “dono” della Cit-tà di San Giuseppe Vesuviano. A fine giornata sappiamo che sono stati visitati e trattati 45 pazienti! Ormai è ora di pranzo ed i bambini della Casa Famiglia giungono, a gruppetti, da scuola, e si preparano ad apparecchiare la tavola.

Ma nel contempo, c’è chi ramazza, chi pulisce i bagni, chi si cura di dar da mangiare agli animali; ognuno svolge, con grande impegno, il compito assegnato da “Papà Enzo”. Si prega, tutti insieme, e si mangia. Spaghetti con sugo, piselli e

I responsabili sanitari subito a lovoro dopo l’inaugurazione I primi pazienti nella sala d’attasa

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10 febbraio 2009

Sveglia di buon mattino e colazione al ristorante dell’aw-lbergo con latte ed un po’ di pane e marmellata. Andiamo in riva al mare. Il mare fa le onde grosse e minacciose. Ci saremmo, volentieri, fatto un bagno, ma evitiamo responsa-bilmente. Si va a pranzo. Pesce e pasta con ananas. Torniamo in camera per riposare. Più tardi passerà a prenderci “Papà Enzo” per andare insieme all’aeroporto. Alle 23 locali abbia-mo il volo di ritorno.

Puntuale alle 18.00, arriva “Pappà Enzo”, accompagnato dal fido Andrea e ci spostiamo all’aeroporto. Solita fila per il disbrigo delle pratiche di imbarco e, dopo, finalmente rag-giungiamo il nostro posto in aereo. Si parte. Un po’ di emo-zione c’è! Un pezzo del nostro cuore, è ovvio, resta a To-goville. Ma la felicità è tanta! Abbiamo realizzato un piccolo Ospedale in poco meno di quattro mesi. Non è da tutti fare tanto. Ma non ci fermeremo. Faremo altro per la gente del Togo. Ci sentiamo legati, ormai, a questa terra da un amore indescrivibile, che non finirà mai!

Il reportage della realizzazione “dell’Hopital San Giuseppe Vesuviano” è stato ela-borato e scritto da Antonio Agostino Ambrosio Sindaco di San Giuseppe Vesuviano

Daniel,il maestro della Scuola della Casa Famiglia. Un saluto a “Papà Enzo”, che prenderà il nostro stesso volo, martedì sera, per il ritorno in Italia. I bambini della Casa famiglia al-zano le mani al cielo per dire “Ciao”. Un ventaglio di sorrisi ci accompagna. Sorridiamo anche Noi. La Jeep si allontana. Uno sguardo indietro e … i bambini hanno ancora le mani alzate… sfumano i colori pastello dell’”Hopital San Giuseppe Vesuviano”, c’è un calore impossibile a Togoville. Si suda tan-to. Teo, il nostro autista, scansa le buche e innalza indietro la polvere color vulcano della strada sterrata.

Dietro di Noi scompare tutta la visuale. E proseguiamo verso la nuova meta. Arriviamo, dopo circa due ore, all’Hotel Novela Star, una piccola struttura sul mare, a mezz’ora da Lomé. Confrontato all’alberghetto di Togoville, il Novella Star è il paradiso terrestre. Prendiamo due camere, vista mare, an-che se il mare è coperto da una siepe di due metri. Il poco di verde antistante il nostro nuovo “nido” è invaso da lucertolo-ni giganti, che la fanno da padroni.

Le camere sono dignitosamente arredate e c’è anche il fri-go bar con la TV. Tentiamo di riposare. E’ difficile. Il rumore del condizionatore è assordante ma guai a pensare di spegnerlo, la calura è esagerata ed è mista ad un’afa terribile. Usciamo dalla stanza e ci sediamo a pochi metri dall’oceano Atlanti-co, sotto una pagliarella creata ad hoc per i turisti. A pranzo mangiamo non c’è male. Poi costringiamo i nostri corpi ad un riposo pomeridiano. Il mare è agitato. Le grida delle onde gigantesche ci sfondano i timpani. I pensieri sono tutti per la gente di Togoville. Vanno anche all’Ospedale con un pizzico di orgoglio e di soddisfazione. Viene la sera. Mangiamo un po’ di frutta e poi ancora a dormire. La notte non passa mai. Tra i rumori del condizionatore e del mare oceanico. In tarda notte il fisico cede e perde il contatto con la realtà.

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Ringraziamenti:

A Enzo Liguoro “Papà Enzo”, per aver reso possibile la realizzazione dell’Hopital San Giuseppe Vesuviano a Togoville seguendo, scrupolosamente in prima per-sona, i lavori della costruzione dell’Ospedale, e per tutto l’amore che ha donato, dona e donerà per sempre alla gente di Togoville ed ai bambini della Casa Famiglia.

A Nicola Menzione Assesore al Comune di san Giuseppe Vesuviano, per aver condiviso in pieno, con il Sindaco Antonio Agostino Am-brosio, la missione d’amore in Togo

AFulvio Cutolo graphics design 29042009

per l’aiuto fornito nel progetto grafico e nell’impaginazione.v

“Dio è buono,Dio è grande

e voi siete buoni perchè Dio ha fatto in modo

che voi giungeste qui per aiutarci”I bambini di “Papà Enzo”

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