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Un solo mondo N. 2 / GIUGNO 2014 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Corruzione Malcostume che dissangua i Paesi in via di sviluppo Libano: 600 000 bambini profughi assetati di istruzione Gli agricoltori soffrono la fame, nonostante sfamino il mondo

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Un solo mondoN. 2/ GIUGNO 2014LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

CorruzioneMalcostume che dissanguai Paesi in via di sviluppoLibano: 600000 bambiniprofughi assetati di istruzioneGli agricoltori soffrono la fame,nonostante sfamino il mondo

Un solo mondo n.2 / Giugno 20142

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio27 Dietro le quinte della DSC34 Servizio 35 Nota d’autore con

Annette Schönholzer35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R CORRUZIONE6 Combattere contro la corruzione è come lottare contro

i mulini a vento?La corruzione è diffusa ovunque. Gli effetti peggiori si fanno sentire soprattutto nei Paesi fragili, dove il divario tra i ceti sociali è particolarmente ampio

10 Lotta e prevenzione La cooperazione allo sviluppo si batte in maniera aperta contro le macchinazioni fraudolente

13 Caposaldo della democrazia La Svizzera sostiene il Bhutan nella sua campagna contro le bustarelle

15 «La corruzione intrappola le persone nella povertà»Intervista all’esperto di lotta contro la corruzione Mark Pieth

17 Cifre e fatti

18 La scuola, un miraggio per molti giovani rifugiati sirianiIn Libano, un’intera generazione rischia di crescere senza un’educazione scolastica adeguata

21 Sul campo con… Heba Hage-Felder, responsabile dell’Ufficio della cooperazione svizzera a Beirut

22 A quante guerre riusciremo a sopravvivere?L’attrice e teatro-terapeuta Lamia Abi Azar sulla sua attività con i bambini

28 Gli affamati che nutrono il PianetaÈ un paradosso: oltre la metà delle persone che soffre la fame nel mondo coltiva la terra

31 La danza sull’abaco Carta bianca: la scrittrice mongola Gangaamaa Purevdorj Delgeriinkhen sulla conta del gregge e sull’abile gioco di dita di un vecchio pastore

32 Film che nascono e che subito muoiono Intervista al direttore del Festival Afrikamera di Berlino Alex Moussa Sawadogo

23 Quando il dialogo sostituisce il manganello La polizia kirghisa si sta riconquistando la fiducia della popolazione grazie anche al sostegno della Svizzera

25 Cacao dell’Honduras: un nuovo inizio pieno di speranzaUn progetto pilota garantisce ai coltivatori un’entrata economica sicura e delizia la Svizzera con squisito cioccolato

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Editoriale

DSC

Il diploma di medico non viene conseguito superandogli esami, ma pagando una bustarella. La multa per usovietato dei fari abbaglianti può essere saldata sul po-sto, passando al poliziotto una mazzetta. Un contrattod’appalto statale milionario non è assegnato al migliorofferente, ma a chi consegna al politico corrotto la tan-gente più consistente. Fondi pubblici previsti per il fi-nanziamento di progetti scolastici o sanitari finisconosu conti privati…

La corruzione è un fenomeno mondiale. Gli esempi ci-tati non avvengono soltanto in Paesi del Sud o dell’Est,ma ovunque. Molto spesso sono persone e imprese diPaesi del Nord a essere implicate in simili macchina-zioni fraudolente.

Secondo le stime della Banca mondiale, le bustarelle ele tangenti ammonterebbero ogni anno a oltre 1000 mi-liardi di dollari americani. Questo malcostume ha con-seguenze deleterie. Laddove tutto è in vendita, la fidu-cia nello Stato si sgretola, fino a crollare completa-mente. I diritti della popolazione vengono calpestati, lademocrazia – se mai esiste – viene minata. Per investi-menti che produrrebbero sviluppo economico e impie-ghi manca la necessaria certezza del diritto.

La corruzione ostacola lo sviluppo. Anzi, secondo l’e-sperto basilese di corruzione di fama internazionaleMark Pieth, la corruzione incatena la gente alla po-vertà.

Nelle loro attività quotidiane nei Paesi in via di sviluppoed emergenti, le collaboratrici e i collaboratori dellaDSC sono confrontati regolarmente con atti di corru-zione. Così, l’agenzia svizzera preposta alla coopera-zione internazionale sostiene programmi di lotta a que-sto malcostume generalizzato e pratica una politicadella «tolleranza zero».

Per promuovere lo sviluppo e sottrarsi alla spirale dellapovertà, sono necessarie istituzioni statali integerrime.Inoltre, occorrono trasparenza e condizioni quadro chetutelino le cittadine e i cittadini che non intendono ce-dere alla corruzione. Bisogna agire urgentemente atutti i livelli.

La cooperazione allo sviluppo fa la sua parte. Per com-battere efficacemente gli effetti rovinosi di tangenti,mazzette e bustarelle, quest’ultima sostiene propri programmi e progetti anticorruzione tesi a promuovereil buongoverno (good governance) e a consolidare lasocietà civile. A livello internazionale, la DSC opera perl’adozione di standard vincolanti e di leggi di lotta allacorruzione più severe.

Per saperne di più, legga il nostro dossier sulla corru-zione.

Martin DahindenDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

La corruzione ostacola lo sviluppo

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Philipp Engelhorn/laif

Vanessa Vick/Redux/laif

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Sensori nei campi (gn) Dove l’acqua è rara, ognigoccia è preziosa. Se è utilizzatacon intelligenza, il consumo perl’irrigazione può essere ridottofino al 40 per cento. Per un an-naffiamento ideale, il contadinodeve però conoscere l’umidità e la temperatura del suolo. A talescopo, l’agricoltura industriale si serve di computer e di costosisistemi di misurazione. Ben pre-sto anche i piccoli contadiniavranno a disposizione questatecnologia. Infatti, un team gui-dato dal ricercatore Chuan Wangdell’Università di Manchester haelaborato speciali sensori a bassocosto di produzione che non richiedono manutenzione. Unavolta piantate nel suolo, le sondetrasmettono i loro dati via radioa un lettore, montato su un trat-tore che percorre i campi. Al contempo, il dispositivo prov-vede all’alimentazione energeticadei sensori che possono restareper anni nei terreni. I ricercatorisperano che grazie a questa tec-nologia si possa intensificare l’efficienza nell’agricoltura e ge-nerare un «maggior rendimentoper goccia». www.newscientist.com (ploughable-sensors)

Vaccinazioni per combattereil cancro (bf ) Oltre la metà dei casi dicancro nel mondo è registrata

I custodi della biodiversità ( jls) Le popolazioni autoctone dell’Indonesia ricorrono alla cartografia comunitaria per delimitare e difendere leloro terre ancestrali. Questo metodo integra le nuove tec-nologie, come il GPS, con le conoscenze degli abitanti delluogo. Le mappe contengono tutti gli elementi importanti:le frontiere consuetudinarie delle foreste, le risorse natu-rali, i luoghi sacri ecc. «La cartografia comunitaria è unostrumento utile per mostrare al governo che siamo qui eche siamo determinati a proteggere la nostra terra», di-chiara Rukka Sombolinggi dell’Alleanza dei popoli autoc-toni dell’arcipelago indonesiano (Aman). La realizzazione di cartine in 2D e 3D ha aiutato gli indigeni a far valere i loro diritti fondiari dinanzi ai tribunali. In tre anni sonostate avviate più di 600 cause contro il rilascio di conces-sioni forestali alle società minerarie o agricole. Nel 2013,Aman ha conseguito una vittoria storica: la Corte costitu-zionale ha abolito la proprietà dello Stato sui territori con-suetudinari. Gli autoctoni sono i migliori custodi della fore-sta: nel corso delle generazioni hanno imparato a gestirlain modo sostenibile e a preservarne la ricca biodiversità. www.irinnews.org

Basta con gli sprechi (gn) Con la continua crescitadella produzione di generi ali-mentari e materie prime biolo-giche aumenta anche la pres-sione esercitata sul suolo. Allostesso tempo scompaiono terreniuna volta fertili, ma oggi incolti-vabili a causa dell’erosione edella cementificazione. Se non si inverte la rotta, entro il 2050

occorrerà destinare a scopi agri-coli altri 850 milioni di ettari,anticipa l’ONU nel suo rapportosull’utilizzazione del suolo. Èun’area pari alla superficie delBrasile. È possibile limitare que-sta espansione, se in futuro si tro-verà il modo per evitare che piùdi un terzo dei generi alimentarivada a male o venga lasciatomarcire nei campi. Migliori si-

stemi di immagazzinamento esoprattutto meno sprechi dareb-bero già buoni risultati, spiegaStefan Bringezu del WuppertalInstitut. Come altra misura cital’uso parsimonioso del suolo, li-mitando lo sviluppo degli inse-diamenti urbani. Secondo il co-autore Robert Howarth dellaCornell University, un grosso po-tenziale di risparmio risiede nellariduzione del consumo di carnee latticini nei Paesi ricchi: «SullaTerra c’è troppo poco terrenocoltivabile per permettere a tuttidi mangiare come americani edeuropei».www.unep.org (Publications)

Scuola agraria per sole donne(bf ) Anamuri, l’associazione na-zionale di donne rurali e indi-gene del Cile, conta circa 10000contadine cilene iscritte. Di re-cente, l’organizzazione ha fon-dato l’Istituto di ecologia agrariadelle donne rurali IALA, l’unicascuola di agraria del Sudamericail cui accesso è riservato alledonne. Solo in un secondo mo-mento saranno ammessi anchecorsisti maschi. Il IALA, oltre a garantire una formazione inagricoltura sostenibile e unafonte di guadagno alle conta-dine, vuole altresì contribuire a raggiungere l’obiettivo più ampio della sicurezza alimentaremondiale. Inoltre, con il nuovoistituto saranno favorite le atti-vità delle altre scuole di ecologiaagraria latinoamericane che offrono già corsi analoghi inVenezuela, Brasile, Paraguay e Ecuador. «Si tratta di trovarenuovi approcci che permettanoall’agricoltura di sopravvivere inun momento in cui le piccoleaziende agricole a gestione fami-liare stentano a sbarcare il luna-rio», dice Francisca Rodríguez,responsabile del IALA e diret-trice degli affari internazionali di Anamuri.www.anamuri.cl

Periscopio

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Fautre/Le Figaro Magazine/laif

nei Paesi in via di sviluppo. Dallecifre pubblicate in un recentestudio dell’Agenzia internazionaleper la ricerca sul cancro IARC –un organismo dell’Organizza-zione mondiale della sanitàOMS – si evince che circa il 70 per cento dei decessi per cancro è registrato in Africa,Asia, America centrale e Americadel Sud. Nel mondo occidentalegli agenti patogeni infettivi sonola causa di malattie cancerogenesolo nel tre-quattro per centodei casi. In Africa sono invece responsabili in un caso su tre. Ilfenomeno si spiega soprattuttocon la mancanza di programmidi individuazione precoce. Conil sostegno dell’OMS, in Africa sipunta ora ad abbassare in modomirato il tasso di cancro attra-verso un’iniziativa integrata cheprevede vaccinazioni (soprattutto

contro il cancro al collo dell’u-tero e al fegato), programmi didiagnosi precoce (cancro al seno)e sensibilizzazione della popola-zione. www.who.int

Destinazioni turistiche sostenibili (bf ) Ogni anno, l’Organizzazionenon profit Ethical Traveler confe-risce il marchio «Top-Ethical-Destination» a dieci destinazionituristiche in Paesi emergenti e inPaesi in via di sviluppo. Conl’aiuto di statistiche, tutti gli Statidel mondo sono sottoposti aun’accurata analisi sotto il profilodella loro qualità come destina-zione turistica. Fra i criteri es-senziali figurano il rispetto deidiritti umani, il benessere socialedella popolazione, la conserva-zione di natura e ambiente e lo

sviluppo negli ultimi anni. Per il2014, sei dei dieci Paesi premiatisono Stati insulari che hannoreagito in maniera eccellente aicambiamenti climatici e i cuigoverni hanno dedicato un trat-tamento prioritario alla prote-zione ambientale e alla giustiziasociale. Sono le isole Dominica,Barbados e Bahamas, nel maredei Caraibi, le isole di CapoVerde, al largo della costa occi-dentale dell’Africa, le isole

Maurizio, nell’Oceano Indiano, e quelle di Palau, nell’OceanoPacifico. Fra le prime dieci desti-nazioni sostenibili ci sono ancheil Cile, l’Uruguay, la Lettonia e laLituania.www.ethicaltraveler.org

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Disegno di Jean Augagneur

Cesar Gorriz Rey/Invision/laif

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L’agente di polizia blocca la macchina all’uscitadell’area di rifornimento. Uso vietato dei fari ab-baglianti, spiega al conducente. Quest’ultimo loguarda perplesso e gli presenta immediatamente lapatente, ben sapendo che l’accusa è del tutto cam-pata in aria. Ogni obiezione rischierebbe infatti dipeggiorare la situazione. In Sri Lanka, tutti sannoche i tutori della legge fanno presto a inventarsisempre nuovi pretesti per infliggere altre multe. Lo Stato insulare asiatico non è certo l’unico Pae-

se in cui i poliziotti corrotti arrotondano così illoro magro salario. In questo caso, la vittima ha duepossibilità. La prima: consegna la patente al poli-ziotto e, dopo aver pagato la multa all’ufficio po-stale come vuole la legge, va a riprenderla al com-missariato di polizia più vicino a dove è avvenutala contravvenzione. La seconda: allunga al pubbli-co ufficiale una bustarella superiore al valore del-le rupie richieste. Ovviamente senza ricevuta. Cosìfacendo l’automobilista si tiene la sua patente, evi-

La corruzione che cos’è ?Il termine abbraccia tuttauna serie di molteplici attività legate al malaffare: dal clientelismo all’appro-priazione indebita.Transparency Internationaldefinisce la corruzione«abuso del potere affidatoper raggiungere scopi otrarre vantaggi privati». In generale si distinguonodue forme di corruzione.La prima è di tipo ricattato-rio ed è ampiamente dif-fusa soprattutto nei Paesiin via di sviluppo, dove,sfruttando la posizione dipotere, la vittima è co-stretta a fornire una presta-zione addizionale o parti-colare. La seconda formadi corruzione si basa suuna situazione win-win: èuna sorta di interscambio,da cui i diretti interessati ricavano dei vantaggi ascapito di terzi. Le conse-guenze vanno dai dannimateriali all’erosione dellestrutture statali e sociali.Sul piano giuridico si operala distinzione fra corruzioneattiva e concussione, ossiacorruzione passiva; dun-que tra il corrompere e illasciarsi corrompere.

Combattere contro lacorruzione è come lottarecontro i mulini a vento?

Così com’è successo in Thailandia all’inizio dell’anno, anche altrove nel mondo sempre più persone protestano contro lacorruzione.

La corruzione esiste da che mondo è mondo. Avviene alla luce del giorno o di nascosto, ma la sua presenza è endemicae inarrestabile. L’attuazione di standard e leggi per arginarlaprocede solo lentamente. I suoi effetti nefasti si fanno sentiresoprattutto nei Paesi fragili, dove il divario tra i ceti sociali èparticolarmente ampio. Di Gabriela Neuhaus.

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Pierre-Yves Marzin/Riva Press/laif

Erhan Arik/NarPhotos/laif

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Corruzione

L’anno scorso in Spagna (a sinistra) e in Turchia la gente è scesa in piazza per dimostrare contro i politici corrotti.

tando lunghe ore di attesa negli uffici, mentre ilpoliziotto si mette in tasca multa e mazzetta.

Tangenti per 1000 miliardiIl fenomeno della corruzione, in cui pubblici uf-ficiali abusano della loro posizione per trarne deivantaggi, esiste dappertutto e presenta innumere-voli sfaccettature. Fra gli ambiti particolarmentesensibili ci sono, oltre al sistema di polizia e di giu-stizia, i settori sanitari e dell’istruzione. Questo tipodi corruzione diventa un problema strutturale so-prattutto nei Paesi in cui lo Stato non paga salarisufficienti per vivere ai propri impiegati.Ma anche pubblici ufficiali svizzeri, con una ric-ca busta paga, possono finire nella trappola dei fa-cili guadagni. Nell’autunno del 2013 cinque agen-ti di polizia sono stati arrestati con l’accusa di averavvertito i gestori di locali a luci rosse sulle im-minenti retate e di aver diffuso informazioni ri-servate in cambio di vitto e servizi sessuali. Di re-cente, altre notizie sono finite in prima pagina ehanno fatto il giro del Paese: il responsabile degliinvestimenti della cassa assicurazione dei funzio-nari del canton Zurigo è stato accusato di corru-zione; alti funzionari dell’amministrazione federa-le hanno manipolato bandi di concorso per l’ac-quisto di servizi informatici, aggiudicandosi cosìvantaggi finanziari personali. Stando alle stime della Banca mondiale, ogni annoil giro d’affari mondiale legato a tangenti e maz-zette ammonta a più di 1000 miliardi di dollari. Ilventaglio di possibilità è molto ampio e com-prende richieste di pagamento del pizzo a picco-li commercianti nei quartieri poveri del Sud, ma

anche giri d’affari miliardari, come il sistema svi-luppato da politici cinesi con il sostegno di ban-che occidentali che in cambio hanno ottenutol’accesso al mercato cinese.Le conseguenze degli atti di corruzione sono gra-vi e non sono solo di natura finanziaria. Possonoaddirittura avere esiti letali, quando, per esempio,la patente di guida o il titolo di abilitazione peresercitare la professione di medico sono stati ot-tenuti dietro pagamento.

Male da estirpareParticolarmente colpiti dalla corruzione sono iPaesi poveri con istituzioni statali deboli. Questaimpedisce lo sviluppo se, per esempio, le entratefiscali e i mezzi destinati allo sviluppo, all’istru-zione, alla sanità o a progetti infrastrutturali fini-scono sui conti privati di politici e funzionari.Tale malcostume blocca anche la costruzione diun’amministrazione efficace quando i funzionari«sistemano» i loro parenti in posizioni ben remu-nerate, anziché indire un bando di concorso pub-blico per trovare la persona più idonea. Se poi an-che i servizi statali sono in vendita, oltre alla fidu-cia nello Stato, viene a mancare anche la certezzagiuridica necessaria per operare investimenti epromuovere lo sviluppo. Benché la corruzione sia considerata, non solo inSvizzera, una violazione delle norme sociali e leattività figlie del malaffare siano giudicate loschee contaminate, in passato erano spesso tollerate.Fino a pochi anni fa le bustarelle e le mazzette aipubblici ufficiali stranieri erano una prassi ampia-mente diffusa quando si facevano affari con l’e-

Flussi di denaro illeciti Ogni anno, i Paesi in via disviluppo perdono sommemiliardarie a causa dei co-siddetti flussi finanziari in-ternazionali illeciti e sleali(illicit financial flows). Sonoflussi alimentati da proventigenerati con la frode e l’e-vasione fiscale (per esem-pio, da parte di gruppimultinazionali), ma anchecon il furto e la corruzione.Spesso esistono dei nessifra le diverse fonti finanzia-rie. È così, per esempio,per le operazioni economi-che derivanti dalla conces-sione di licenze nell’indu-stria mineraria, con adde-bito finale dei fondi in de-positi bancari all’estero. Alivello nazionale e interna-zionale il problema è statoindividuato. Gli standardanticorruzione attualmentein vigore e le nuove leggimiranti ad una maggior tra-sparenza nel settore fiscalesono strumenti idonei perporre un freno ai flussi fi-nanziari illegali. Tuttavia laloro applicazione è spessoin conflitto con altri inte-ressi. Ecco perché lastrada verso un freno efficace della corruzioneappare ancora lunga.

Q. Sakam

aki/Redux/laif

Holly Pickett/Redux/laif

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Secondo l’indice della percezione della corruzione 2013, il Ghana (in alto) e l’Afghanistan (sotto) sono Paesi particolar-mente corrotti. Tale situazione si ripercuote anche sullo stato delle infrastrutture pubbliche.

stero. Con la globalizzazione, la cosiddetta «gran-de corruzione», ossia il pagamento di tangenti adalti funzionari in cambio di grossi appalti interna-zionali, ha assunto forme sempre più preoccupanti.Nel 1977, all’indomani dello scandalo Watergate,il primo Paese a proibire alle proprie imprese dicorrompere i funzionari esteri sono stati gli StatiUniti. Altrove l’argomento era ancora tabù. Gli sforzi anticorruzione a livello internazionaleerano respinti poiché considerati atti di ingeren-za nelle questioni di politica interna. Ancora ne-gli anni Ottanta, la Banca mondiale aveva proibi-to al giurista Peter Eigen, suo rappresentante inKenya, di definire linee direttive anticorruzionevolte a escludere dai progetti le imprese corrotte.Alla fine, Eigen ha rassegnato le proprie dimissio-ni e nel 1993 ha fondato l’organizzazione non go-vernativa Transparency International. Nel 1997, con l’approvazione della convenzioneOCSE per la lotta alla corruzione è stato compiutoun altro importante passo avanti a livello interna-zionale. Finora 40 Stati, fra cui anche la Svizzera,hanno ratificato la convenzione, impegnandosicosì a sanzionare legalmente nel proprio Paese ilversamento di tangenti a funzionari stranieri. Inalcuni Stati, dopo la firma dell’accordo è stato ne-cessario dotarsi di una legislazione nazionale piùsevera per combattere la corruzione; questa era in-fatti l’unica possibilità per soddisfare i nuovi stan-dard internazionali.

Nuove normative legali efficaci Con la convenzione ONU contro la corruzione(abbreviata UNCAC), in vigore dal 2005, è statoconcluso per la prima volta un accordo globale percombattere la corruzione. Il testo della conven-zione comprende più di 50 pagine e si prefigge glistessi obiettivi della convenzione OCSE: oltre avietare la corruzione, contiene disposizioni effica-ci e concrete relative alla lotta alla corruzione, allaprevenzione, al perseguimento penale e alle san-zioni da applicare in caso di corruzione o con-cussione, nonché al rimpatrio di averi sequestrati(asset recovery).Se gli standard richiesti fossero applicati con effi-cacia in tutti i 140 Paesi che hanno ratificato la

ONG attiva in tutto ilmondo Transparency International(TI), con sede a Berlino, èstata fondata nel 1993 percontrastare il fenomenodella corruzione in continuoaumento, in particolare nelcontesto degli appalti pub-blici di grossi progetti neiPaesi in via di sviluppo.Grazie al sostanziale contri-buto di questa ONG, oggila corruzione è consideratareato in molti Stati e inquanto tale perseguita ecombattuta a livello interna-zionale. L’organizzazioneconta oltre 100 sedi nazio-nali distaccate, fra cui una anche in Svizzera (TISvizzera). Dagli anni No-vanta, l’ONG è impegnatain iniziative di sensibilizza-zione sia a livello politico sia a livello di economia pri-vata. Attualmente TI si ado-pera in particolare per unamaggior protezione degliinformatori e per la lotta allacorruzione nell’ambito del-l’agenda post-2015. LaDSC sostiene il segretariatointernazionale di TI a Berlinodal 1994 e, insieme allaSECO, anche quello di TISvizzera.www.transparency.ch

Jan Grarup/laif

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Corruzione

convenzione, sarebbe possibile limitare efficace-mente tali pratiche illecite. Oggi, oltre alle ammi-nistrazioni pubbliche, anche numerose aziendeprivate hanno adottato regolamenti e sistemi dicontrollo e si sono dotate di una propria divisio-ne interna di compliance per prevenire episodi dicorruzione che, oltre ad essere costosissimi, com-prometterebbero seriamente la reputazione dellasocietà. In molti Stati, l’introduzione di una nuo-va normativa penale ha fatto sì che corruzione econcussione siano perseguite d’ufficio, il cui effettopreventivo non va sottovalutato.

Indagini difficili e costose Nonostante tutto, i tentacoli della corruzione con-tinuano ad allungarsi. Il motivo risiede proprionella natura stessa del fenomeno. Infatti, i direttiinteressati traggono vantaggi da questo malcostu-me e non intendono rinunciarvi. Elaborano stra-tegie per eludere le regole, mostrando a voltegrande inventiva e creatività.Sono spesso i politici stessi e gli alti funzionari anon interessarsi a un perseguimento coerente del-la corruzione, perché il fenomeno comporta untornaconto per loro. Tale lassismo è stato critica-to da Huguette Labelle, presidente di TransparencyInternational, e dall’esperto svizzero di corruzioneMark Pieth in una lettera scritta in occasione delquindicesimo anniversario della convenzioneOCSE: «Le indagini e il perseguimento penale

della corruzione all’estero sono difficili e costosi.Alcuni governi hanno dimostrato di non avere lavolontà o la capacità di mettere a disposizione lerisorse necessarie». Standard vincolanti e leggi severe sono importan-ti nella lotta alla corruzione. Altrettanto importanteè tuttavia la loro applicazione. Per assicurarne dun-que l’esecuzione occorrono da un lato istituzionistatali forti, dall’altro condizioni quadro migliorinella società e un sistema politico che tuteli i cit-tadini intenzionati a difendersi dalla corruzione.A entrambi i livelli, nei Paesi in via di sviluppo ein transizione, un intervento è quanto mai neces-sario. Ed è proprio qui che scende in campo la cooperazione allo sviluppo. Quest’ultima operacon programmi e progetti anticorruzione proprie si adopera in particolare nell’ambito della goodgovernance per il rafforzamento della società civile. ■

(Traduzione dal tedesco)

Mazzette elveticheDal 2000, il pagamento ditangenti a ufficiali stranierida parte di società consede in Svizzera è consi-derato un delitto persegui-bile d’ufficio. SecondoTransparency International,la Svizzera è fra i Paesiesportatori più «puliti» delmondo. Uno studio realiz-zato dalla Scuola universi-taria professionale di Coira(HTW) illustra però che leditte svizzere fanno anchecapo alle bustarelle. Il 56per cento delle imprese in-tervistate, che sono stateconfrontate con la richiesta di pagamenti informali, di-chiara di aver soddisfattoqueste pretese. Molte delleaziende interpellate, chehanno rinunciato ai paga-menti, hanno messo a verbale di aver perso dellecommesse o di essersi ritirate da un determinatomercato. La ricerca è giuntaalla conclusione che è l’at-teggiamento dei vertici di-rettivi a determinare seun’azienda è disposta adaccettare o a respingere laprassi della corruzione.«Korruptionsrisiken erfolg-reich begegnen –Strategien für internationaltätige Unternehmen»,HTW, Coira 2012

Quando il finanziamento pubblico viene intascato da un qualche politico corrotto, anche l’educazione – come in questascuola in Somalia – ne risente.

Fernando Moleres/laif

Christa Lachenm

aier/laif

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(gn) Gli aiuti umanitari, urgentemente aspettatinell’entroterra, giacciono da giorni accatastati sul-la banchina del porto di una città africana. Persbloccare la merce, gli ufficiali di dogana esigonoil pagamento di un’importante somma. Che cosafare? Prendere la decisione giusta non è sempre fa-cile. Da una parte c’è il principio della «tolleranzazero» in materia di corruzione, dall’altra il deside-rio di fornire l’aiuto d’emergenza tanto atteso e diassolvere il proprio compito in ambito di coope-razione allo sviluppo. Anche la DSC è spesso confrontata con situazioniin cui, per motivi umanitari, non è possibile re-spingere le richieste di bustarelle e mazzette. Va det-to però che sono delle eccezioni, tutte documen-tate, illustra Anne Rivera, responsabile dell’UfficioCompliance presso il Dipartimento federale degli af-fari esteri DFAE. «Nei casi in cui si è fatto tutto il

possibile per respingere le richieste e ci si è resi con-to che solo pagando le tangenti è possibile forni-re gli aiuti, consigliamo di rendere trasparenti lespese e di indicarle nella contabilità», dice Rivera.In tutti gli altri casi, la corruzione è perseguita le-galmente e in modo molto più severo rispetto alpassato. Se qualche anno fa si chiudeva un occhiodi fronte ai casi di piccole violazioni delle disposi-zioni e delle leggi, oggi i contravventori devonoaspettarsi di essere denunciati già per delitti mino-ri. «Sporgiamo denuncia pur sapendo che la pro-cedura sarà complessa e arbitraria, poiché la cor-ruzione imperversa anche in seno alla polizia e allamagistratura», spiega Rivera. «Così facendo lancia-mo un segnale chiaro ed evidenziamo che la Sviz-zera non si presta a manovre di questo tipo».Non mancano certo gli esempi per illustrare quan-to, a volte, sia difficile restare fedeli ai propri prin-

Lotta e prevenzione È risaputo: la corruzione frena ogni sviluppo. Eppure, per mol-to tempo, anche nella cooperazione allo sviluppo l’argomentoè stato affrontato solo con impacciata titubanza. Ora sembrache il vento sia cambiato. Gli operatori dell’aiuto allo sviluppoparlano apertamente dei rischi che corrono operando in con-testi corrotti e si impegnano in progetti bilaterali e reti interna-zionali volti a contenere e bloccare la corruzione.

Le agenzie di sviluppo, come la DSC, a loro volta sono confrontate nelle loro attività nei vari Paesi – qui in Bangladesh –con il fenomeno della corruzione.

Robert Caputo/Aurora/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 11

Corruzione

cipi di integrità in un Paese in via di sviluppo, incui la corruzione è all’ordine del giorno. Due vol-te l’anno, Transparency International SvizzeraTI or-ganizza un incontro di interscambio, a cui i colla-boratori e le collaboratrici della cooperazione sviz-zera allo sviluppo partecipano con vivo interesse.L’appuntamento è una piattaforma che permettedi discutere su casi specifici e di trovare insieme delle soluzioni. Di solito si tratta di episodi che in-teressano le organizzazioni partner operanti sul posto. Infatti, sono queste ultime a essere esposte direttamente al fenomeno della corruzione e chespesso si ritrovano intrappolate in reti che pro-muovono o addirittura esigono atti di corruzione.«In Bangladesh, le nostre organizzazioni partner inloco devono pagare dei soldi allo Stato per lavora-re», dice Anne Rivera. La DSC cerca di contrasta-re questo malcostume, stanziando aiuti finanziari adestinazione strettamente vincolata e accompa-gnando ininterrottamente il processo di realizza-zione dei progetti.

Corsia di favore per amici o parentiUn problema frequente è il trattamento privile-giato di amici o parenti nell’assegnazione di un po-sto di lavoro vacante. Mentre in termini legali que-sto ambito si trova ancora in una zona d’ombra, ilquadro cambia se vengono utilizzate liste salarialiche indicano impiegati fittizi o se si ricorre a pez-ze giustificative per il rimborso di spese mai soste-nute. Questi atti rientrano, senza alcun dubbio, nelcampo della criminalità e costituiscono reato. Scoprire atti di corruzione non è così facile. «Dinorma, un controllo di routine non basta per por-tare alla luce le macchinazioni fraudolente», affer-ma Yvan Maillard Ardenti di Transparency Interna-

tional Svizzera. Ecco perché TI esige che le agen-zie di sviluppo e le ONG mettano in atto una pro-tezione più efficace per gli informatori, i cosiddettiwhistleblower. «Occorrono più canali sicuri per le se-gnalazioni di comportamenti scorretti. Solo cosìsarà possibile avviare ricerche mirate per indivi-duare gli autori e ricorrere alle sanzioni necessa-rie», illustra Maillard Ardenti. In aggiunta alla hot-line per gli informatori, l’Ufficio Compliance delDFAE offre ora anche un servizio di consulenzaper il proprio personale all’estero, chiamato a pren-dere decisioni difficili e a rispettare le esigenze di integrità imposte dalla centrale e la prassi nelPaese in cui è in missione.

Carte vincenti: trasparenza, rendiconto e integrità Misure per impedire la corruzione e massima in-tegrità nelle proprie fila sono gli elementi centra-li per il successo della cooperazione allo sviluppo.Sono le colonne portanti su cui poggia l’attendi-bilità dell’agenzia di sviluppo e delle ONG. «La lot-ta alla corruzione di successo promuove l’efficaciadei progetti poiché le risorse sono utilizzate me-glio. In tal modo si crea una base di fiducia indi-spensabile per condurre le campagne di sensibiliz-zazione nei Paesi partner», riassume così Yvan Maillard Ardenti i vantaggi di una politica anti-corruzione intransigente. Ecco perché vale la penainvestire non solo nello sviluppo di progetti a ca-rattere tecnologico, ma anche nelle formazionispecifiche e nei workshop dedicati alla lotta alla corruzione. Uno di questi progetti pilota, sostenuto dalla DSC,verte intorno alla cooperazione fra dodici ONGsvizzere e all’elaborazione di misure anticorruzione.

Fra cultura dei regali e corruzione La linea di confine fra curadelle relazioni radicata cul-turalmente e la corruzionenon è netta. Di conse-guenza è difficile direquando e in quali circo-stanze sia lecito accettareregali. Sono sempre piùnumerose le amministra-zioni, le imprese e le orga-nizzazioni che definisconochiare regole del gioco. Nelsuo codice di comporta-mento per il personale,l’Amministrazione federalesancisce: «Nell’ambitodella loro attività professio-nali gli impiegati non pos-sono accettare omaggi oaltri vantaggi. Sono esclusivantaggi esigui conformiagli usi sociali. Sono daconsiderarsi esigui gliomaggi in natura con unvalore di mercato massimodi 200 franchi». Nella DSCtutti i regali il cui valore supera i 40 franchi vannosegnalati al superiore;omaggi il cui valore superai 200 franchi non devonoessere accettati o, se nonè possibile rifiutarli, vannoconsegnati alla centrale.

La Svizzera ha vincolato la restituzione di averi di provenienza illecita all’Angola con progetti di sminamento (a sinistra).In Tanzania, la Confederazione favorisce la lotta alla corruzione sostenendo il giornalismo investigativo.

Claudine Doury/VU/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 201412

Yvan Maillard Ardenti auspica che in futuro la DSCsi impegni ancora di più e rafforzi ulteriormentela pressione sulle organizzazioni partner per quan-to riguarda la prevenzione della corruzione. «LaDSC può innescare un processo a cascata, esigen-do elevati standard di integrità dai propri partner;a loro volta questi assumeranno una funzione mo-dello nei loro Paesi», spiega Maillard Ardenti.Per combattere la corruzione è essenziale poten-ziare la trasparenza, l’obbligo di rendiconto e l’in-tegrità. E ciò naturalmente non vale solo per le at-tività delle organizzazioni di aiuto allo sviluppo, maanche per il contesto e le condizioni quadro in cuiesse operano. Miglioramenti duraturi sono possi-bili solo se si riesce ad arginare efficacemente lacorruzione nel Paese. È un processo laborioso ecomplesso che richiede tempi lunghi e che va so-stenuto attivamente anche nell’ambito di progettie programmi di sviluppo. In questo contesto, laDSC è impegnata in diversi Paesi partner, tra cuiin Bhutan o in Tanzania, sia a livello di Stato e digoverno, sia nella creazione di una società civile for-te, comprese le organizzazioni di controllo e il gior-nalismo investigativo. I vari livelli della lotta alla corruzione devono an-dare a braccetto. «Fintanto che i funzionari nonguadagnano abbastanza per vivere, le migliori leg-gi anticorruzione e le più severe minacce di san-zioni non servono a nulla», sostiene Yvan MaillardArdenti di Transparency International Svizzera.

Prima denunciare e scoprire, poi restituireUn altro livello, che riveste una funzione centralenella lotta alla corruzione nell’economia globaliz-zata, riguarda il commercio di materie prime e letransazioni finanziarie internazionali. Le misureattuate in questi ambiti sono decisive per combat-tere il fenomeno nei Paesi in via di sviluppo. Attualmente la DSC sta ampliando in tal senso ilsuo impegno bilaterale e multinazionale e a que-sto proposito ha creato appositamente una nuovafunzione. Salome Steib è la nuova responsabileDSC per i settori anticorruzione e restituzione diaveri di provenienza illecita (asset recovery), rappre-senta la Svizzera in numerose organizzazioni in-ternazionali e gruppi di interesse e si adopera perl’elaborazione e l’attuazione di standard di pro-mozione dello sviluppo. Nell’ambito del cosiddetto asset recovery segue pro-getti di sviluppo in Angola e Kazakistan. La resti-tuzione ai Paesi di origine di capitali di provenienzaillecita bloccati è un importante successo messo asegno negli ultimi anni che in futuro dovrà essereulteriormente ampliato e consolidato. Ma anche inquesto caso, è necessario scoprire le macchinazio-ni fraudolente prima di poter ordinare sanzioni erestituire gli averi rubati. ■

(Traduzione dal tedesco)

Un progetto di sviluppo svizzero promuove in Kazakistan l’educazione di allievi svantaggiati con il denaro di provenienzaillecita.

La strategia della DSC Per combattere la corru-zione, dal 2006, la DSC siè dotata di una strategiapropria, che funge da baseper tutte le misure da attuare in quest’ambito. I suoi punti centrali si arti-colano su quattro livelli e mirano a salvaguardarel’integrità della DSC e delleorganizzazioni partner e acontrastare attivamente lacorruzione nei Paesi in cuioperano e a livello interna-zionale.I quattro livelli della strate-gia sono: • severe regole interne di compliance e formazioni specifiche per i collabo-ratori;

• linee direttive e monito-raggio delle organizza-zioni partner, nonché perseguimento di casi di corruzione nelle organiz-zazioni con cui la DSC cura rapporti di coopera-zione;

• progetti e programmi percombattere la corruzionenell’ambito della coope-razione bilaterale;

• sostegno di iniziative anti-corruzione a livello inter-nazionale.

www.deza.admin.ch/ressources/resource_fr_92770.pdf (in francese)

J. Adams Huggins/The New York Times/Redux/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 13

Corruzione

Caposaldo della democrazia Il piccolo regno del Bhutan deve affrontare una duplice sfida:dopo un lungo periodo di isolamento, lo Stato himalayano aprei suoi confini all’economia globale e al contempo si avvia sullastrada della democrazia. In questo processo, la commissionenazionale contro la corruzione, un organismo nato anche gra-zie al sostegno della Svizzera, ha un ruolo importante.

(gn) Nel maggio del 2013, il ministro degli internie il portavoce del parlamento del Bhutan sonostati condannati a pene detentive per la cessioneillegale di terreni. La sentenza ha suscitato grandescalpore. Per la prima volta è stato possibile com-provare gli atti di corruzione perpetrati da alti rap-presentanti del governo. Poco dopo tali avveni-menti, un’ampia maggioranza degli elettori hadeciso di relegare i membri dell’attuale governoall’opposizione. Anche se non è stato solo lo scan-dalo di corruzione a determinare il risultato del voto,è evidente che lo ha influenzato, anche perché haavuto il merito di accendere un ampio dibattitopubblico sull’argomento nel periodo precedente leseconde elezioni democratiche in Bhutan.

Effetto deterrente Le attività criminali legate alla cessione illegale di

terreni sono state scoperte e portate dinanzi al giu-dice grazie al lavoro competente e coerente dellaCommissione nazionale contro la corruzione ACC,un organismo di cui non si potrebbe più fare a menonella vita politica del Bhutan e che è una vera e pro-pria pietra miliare sulla strada verso la democrazia. «L’essenziale è parlare apertamente del problema ericonoscere che nel nostro Paese la corruzione esi-ste», afferma Dasho Neten Zangmo, direttrice del-la ACC, che grazie alla sua granitica fermezza hacontribuito in maniera importante a questo primosuccesso. «In secondo luogo le azioni legali hannoun effetto deterrente: nel 90 per cento dei 120 casiche abbiamo perseguito finora, i giudici hannoemesso sentenze di condanna. Fra i numerosi pro-cessi figurano anche casi assai clamorosi in cui era-no coinvolti personaggi altolocati e potenti. E, in-fatti, le indagini della ACC sono temute. In realtà,

Gli scandali legati alla corruzione hanno influenzato le elezioni del maggio 2013 in Bhutan.

Alain Benainous/Allpix/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 201414

il nostro obiettivo è di contribuire a impiantare nel-l’amministrazione e nella intera società una nuovacultura, che renda superflua la nostra presenza».Per raggiungere questo obiettivo, la ACC si adope-ra per sviluppare continuamente le proprie capaci-tà istituzionali e si impegna affinché in tutta l’am-ministrazione siano potenziate le misure di pre-venzione della corruzione. Inoltre, la commissioneorganizza e cura programmi di sensibilizzazione in tutto il Paese, anche nelle scuole. Una volta informati sul fenomeno, i bambini sviluppano unanuova consapevolezza e capiscono dove inizia lacorruzione. Durante un workshop, la quattordi-cenne Yeshey Lhaden cita un esempio concreto ed eloquente: «Se i genitori portano a scuola i figli con l’auto di servizio abusano della proprietàdello Stato».

Per decreto del re L’istituzione di una commissione contro la corru-zione è un’iniziativa del re. «Con il ritmo veloce del-lo sviluppo economico nel nostro Paese è cambia-to anche il modo di pensare delle persone e nel-l’intento di soddisfare i tanti interessi individuali sisono intrufolate prassi di corruzione, sia nell’am-ministrazione sia nel settore privato», recita il de-creto reale del dicembre 2005, documento su cuipoggia la costituzione della ACC. Con questa idea,il sovrano perseguiva l’obiettivo di arginare sin dal-l’inizio i possibili pericoli solitamente associati allamodernizzazione e all’apertura del Paese. Se fino-ra il processo di democratizzazione del Bhutan è sta-to un successo da prendere a modello, è stato an-che grazie a questa importante decisione.

In qualità di Paese donatore di lunga data, la Sviz-zera accompagna il Bhutan sulla strada verso la de-mocrazia dal 2006. Nell’ambito di questo impegno,dal 2007 alcuni specialisti dell’anticorruzione delBasel Institute on Governance appoggiano anche la pro-cedura di costituzione della ACC e il suo operato. «Sin dall’inizio, la DSC era consapevole che il so-stegno diretto di una istituzione statale ancora mol-to giovane richiedesse una particolare attenzione»,dice Evelin Stettler, incaricata di programma dellaDSC per il Bhutan. Era risaputo che per otteneredei risultati in un contesto politico talmente sensi-bile come quello della lotta alla corruzione era ne-cessario un accompagnamento accurato e serrato.A giudicare da come si è sviluppato finora il pro-cesso, i nostri sforzi sono stati ampiamente ripaga-ti. Inoltre, continua Stettler, si tratta di un’opportu-nità unica per sostenere nello stesso tempo le mi-sure contro la corruzione e la costituzione di unsistema democratico.

Ranking di tutto rispettoFra i fattori più importanti per il successo della ACCvanno citati il sostegno da parte del re, i fondamentigiuridici nella costituzione e le leggi che fornisco-no alla commissione la legittimazione per operareindipendentemente dalle attività politiche quoti-diane. Secondo la presidente Dasho Neten Zang-mo, l’aiuto proveniente dall’estero ha permesso allaACC di guadagnarsi un’ottima reputazione inquanto organizzazione degna di fiducia. Inoltre, ricorda la presidente della commissione, illavoro ai vertici della lotta alla corruzione si addi-ce bene al suo carattere: «Io dico pane al pane e vinoal vino e do il meglio di me per una giusta causa,senza preoccuparmi di eventuali conseguenze perla mia persona». Interpellata sulla sfida più grandedella ACC, cita il pericolo di un aumento della cor-ruzione a livello politico, in particolare nel conte-sto del finanziamento dei partiti. Secondo DashoNeten Zangmo, questo è uno degli aspetti negati-vi della democratizzazione. Un altro settore che infuturo potrebbe generare problemi, visto lo svilup-po economico attuale in Bhutan, è la corruzionenel contesto degli investimenti diretti esteri, peresempio, nel settore delle infrastrutture idriche. Uno sguardo al più recente indice di percezionedella corruzione di Transparency International evi-denzia che gli sforzi del piccolo Stato himalayanosi rivelano paganti. Con il 31esimo posto, il Bhu-tan si colloca in una posizione di tutto rispetto: intermini di «pulizia» è infatti il quinto Paese dell’a-rea Asia-Pacifico. ■

(Traduzione dal tedesco)

Rafforzando la società civile si creano le basi per una verademocrazia.

Dalla monarchia alla democraziaLa Svizzera sostiene lo sviluppo in Bhutan sin dagli anni Cinquanta.Inizialmente si trattava diun impegno privato basatosui rapporti di amicizia fraun industriale svizzero e la famiglia reale. Sono poiscaturiti programmi di sviluppo che inizialmenteerano finanziati da HelvetasSwiss Intercooperation eche dal 1978 godono delsostegno economico dellaConfederazione. L’ultimafase del partenariato per losviluppo bilaterale istauratofra il Bhutan e la Svizzera èstata avviata con il processodi democratizzazione vo-luto dal re. Nell’ambito diun vasto programma dibuongoverno, dal 2006 al2016 la Svizzera sostiene ilprocesso di trasformazionedalla monarchia assolutaverso la democrazia.Questi sforzi comprendonoanche riforme a livello sta-tale, la creazione di strut-ture decentralizzate o il rafforzamento della societàcivile in quanto base di unademocrazia viva.

Jimmy Kets/Reporters/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 15

Corruzione

«La corruzione intrappola le persone nella povertà»Se la cooperazione allo sviluppo tollera la corruzione, fa sì chela popolazione rimanga imprigionata nella povertà, sostieneMark Pieth, professore di diritto penale e affermato esperto di lotta contro questo fenomeno. A colloquio con Gabriela Neuhaus, lo specialista basilese spiega perché finora ha rivol-to la sua attenzione soprattutto al Nord.

Un solo mondo: Sulla scorta della sua plu-riennale esperienza nella lotta alla corruzio-ne, può dire se è possibile estirparla?Mark Pieth: Non si può certo parlare di estirpa-zione. Ma la si può e la si deve combattere. Vistoche la corruzione è una forma di gestione del po-tere, si tratta di un progetto sul lungo periodo. Cosìcome nella storia non è mai stato possibile scon-figgere la violenza, è difficile debellare la sua so-rella minore, la corruzione.

Dove bisogna far leva nei Paesi in via di svi-luppo?Non si tratta di mettere alla gogna il piccolo poli-ziotto che si serve da sé, perché il suo stipendio nonbasta per sbarcare il lunario. È un problema delloStato che lo assume a queste condizioni. Il vero pro-blema è la corruzione economica transnazionale.Prendiamo lo scenario classico: i grandi gruppi in-ternazionali del mondo industrializzato versano,servendosi di intermediari finanziari, centinaia dimilioni ai presidenti e ai ministri degli Stati del Sudper assicurarsi in cambio l’accesso alle licenze sul-le materie prime o a grossi appalti infrastrutturali.I potentati non prendono il denaro solo per avidi-

Mark Pieth è criminologoe professore di diritto penale all’Università diBasilea. Lo specialista nellalotta contro la corruzione è stato uno dei promotoridella convenzione OCSE.Dal 1990 al 2013 è statopresidente del gruppo dilavoro incaricato dell’attua-zione della convenzione.Nel 2008 è stato chiamatoa far parte dell’IntegrityAdvisory Board, organismoche offre servizi di consu-lenza al presidente dellaBanca mondiale in materiadi integrità. Nel 2011, ilpresidente della FIFA,Sepp Blatter, lo ha incari-cato di elaborare le riformeper combattere le prassi di corruzione nella Fede-razione mondiale di calcio.Dall’inizio dell’anno, Pieth èpresidente del Tribunaled’appello della Banca perlo sviluppo africana, cuipossono ricorrere le im-prese minacciate di vederecongelati i propri soldi inseguito ad accuse di cor-ruzione.

Nella Repubblica democratica del Congo la corruzione èparticolarmente diffusa a causa della cosiddetta maledi-zione delle materie prime.

tà, ma per consolidare e conservare il loro poteresul lungo termine. In costellazioni di questo tipo,la democrazia e lo Stato di diritto non hanno al-cuna possibilità. È ingenuo propagare la costruzio-ne di un sistema di giustizia indipendente, se nel-lo stesso momento un qualsiasi giudice compia-cente può allungare la mano per ricevere unabustarella.

Dagli anni Novanta sono stati fatti impor-tanti sforzi per arginare questa «grande cor-ruzione». A che cosa sono serviti?A livello internazionale abbiamo creato una deci-na di strumenti giuridici per combattere la corru-zione. Abbiamo così gettato le basi per una seriedi leggi che sanzionano i comportamenti corrotti.Anche se spesso non vengono applicate, resta il fattoche oggi la lotta alla corruzione figura nell’agen-da politica. E questo ci dà la legittimità di abbor-dare l’argomento anche nelle trattative con Paesi

deboli. In Ucraina, in India, persino in Europa; oggise ne discute ovunque. E questo sebbene il feno-meno sia stato tollerato per interi millenni e sia dasempre condannato da tutte le grandi religioni delmondo.

Esistono differenze culturali per quanto ri-guarda la percezione e la tolleranza della cor-ruzione?In alcuni Paesi, la cultura del fare regali è più pro-nunciata rispetto a quanto lo sia da noi. Anche in

«Un aiuto allo sviluppo che tollera la corruzione

consolida la povertà».

Till Muellenm

eister/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 201416

ta di coscienza e da contrappeso a quelle forze chevogliono promuovere le esportazioni ad ogni co-sto. E qui l’agenzia statale per lo sviluppo DSC sitrova in prima fila. Ma anche il Ministero pubbli-co della Confederazione è sollecitato. In quantopiazza finanziaria e ambita sede di grossi gruppimultinazionali, che in parte operano in regioni pro-blematiche, la Svizzera deve assumersi le proprieresponsabilità e perseguire a livello globale i casi dicorruzione transnazionale. Nei Paesi in via di svi-luppo sono sensati i progetti sul lungo termine, peresempio, quelli volti alla promozione di una socie-tà civile forte. Se le ONG ricevono aiuti interna-zionali, non sarà più così semplice marginalizzar-le. Prendiamo l’esempio del Kenya, dove i mass me-dia non esitano a rendere pubblico il dibattito sulleimportanti violazioni dei diritti umani. I giornali-sti kenioti si trovano in una simile posizione di for-za grazie alla collaborazione con i loro partner este-

ri, che assicurano loro una certa protezione. In pro-getti di questo tipo è importante la forte presenzadi collaboratori esterni. Spesso non occorronosomme gigantesche per produrre effetti concreti.

Su quali punti occorre concentrarsi in futuro?Negli ultimi 25 anni abbiamo creato delle regole,la cui attuazione finora resta ancora una grossa sfi-da. Il fatto che oggi la corruzione figuri sull’agen-da politica ha anche un rovescio della medaglia:oggi i più corrotti si autocelebrano in piazza conbellissimi discorsi contro la corruzione. A Nordcome a Sud è venuto il momento di far seguire alleparole i fatti. In questo momento non si sa ancorabene come trasformare questo proposito in realtà.Finora, nei confronti dei Paesi in via di svilupposono sempre stato piuttosto discreto per non esse-re visto come un neocolonizzatore. Nel Nord mirivolgo invece direttamente alle imprese e agli Sta-ti, esigendo misure di lotta alla corruzione. È statoquesto il mio campo di azione e penso che in fu-turo dobbiamo agire con ancora più coerenza. ■

(Traduzione dal tedesco)

Europa vi sono delle differenze. A titolo di esem-pio, in Svizzera un funzionario può accettare uninvito a pranzo, in Germania il limite da non ol-trepassare è spesso l’invito a bere un caffè. In tuttele culture, però, la tolleranza finisce laddove ven-gono fatti «regali» milionari per scardinare struttu-re statali e per ampliare il potere di determinati in-dividui.

Ma la corruzione crea veramente povertà?Se non altro, la corruzione intrappola le personenella povertà. L’aiuto allo sviluppo che non pren-de in considerazione questo aspetto e che noncombatte con coerenza il fenomeno causa danni.A questo proposito sono perfettamente d’accordocon la scrittrice Dambisa Moyo [autrice del libro«La carità che uccide», ndr.]. La Banca mondialeperde circa il 20 per cento dei soldi a causa dellacorruzione. È una perdita accettata argomentandoche non si vogliono compromettere i progetti disviluppo. Secondo me però la logica è sbagliata: unaiuto allo sviluppo che tollera la corruzione con-solida la povertà. Lo vediamo nei Paesi martoriatidalla cosiddetta maledizione delle materie prime,dove una piccola élite intasca le ricchezze generatedalle esportazioni, lasciando che sia la cooperazioneallo sviluppo a sfamare la popolazione.

Concretamente, come dovrebbe configurar-si l’impegno della cooperazione allo svilup-po nella lotta contro la corruzione?In prima linea, l’aiuto allo sviluppo svolge un ruo-lo importante nel Paese donatore, fungendo da sor-

Ricerca sulla corruzioneIl Basel Institute on Gover-nance è un istituto di ricercache si confronta con tema-tiche quali la lotta alla cor-ruzione e la good gover-nance. L’Istituto è statofondato nel 2003 da MarkPieth e analizza l’argo-mento da svariate angola-zioni. La gamma di progettispazia dalla ricerca sullecondizioni quadro che in-fluenzano la corruzione al-l’elaborazione di regoleconcrete di complianceper le imprese. L’Istitutoospita in particolare anchel’International Center onAsset Recovery ICAR che fornisce servizi di assistenza nel rimpatrio diaveri di potentati. Il finan-ziamento iniziale dell’Isti-tuto è stato reso possibiledalla Fondazione Danzas.Oggi, il Basel Institute onGovernance gode, fra l’al-tro, del sostegno dellaDSC, del Principato delLiechtenstein e della GranBretagna. www.baselgovernance.org

La collaborazione con partner stranieri rafforza la posi-zione dei media in Kenya e garantisce loro una certa pro-tezione.

«Oggi, i più corrotti siautocelebrano in piazzacon bellissimi discorsicontro la corruzione».

0-9 10-19 20-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-79 80-89 90-100

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 17

Corruzione

Cifre e fatti

Somme astronomiche• Ogni anno, a livello mondiale scorrono fra il settore privato equello pubblico flussi finanziari da pagamenti di tangenti per unammontare di oltre 1000 miliardi di dollari.

• L’ammontare dei danni causati ogni anno dalla corruzione è stimato a circa 4000 miliardi di dollari. Questa cifra è pari al 12 per cento della produzione economica lorda mondiale.

• Nei soli Paesi in via di sviluppo e in fase di trasformazione, leimprese pagano ogni anno ai politici e ai funzionari di governofino a 40 miliardi di dollari in mazzette e bustarelle.

• Stando alle indicazioni dei rappresentanti dell’economia, lacorruzione accresce i costi di progetto di almeno il 10 per cento.

• Il 15 per cento dei mezzi destinati alla cooperazione allo svi-luppo non è utilizzato per le finalità previste ma serve al paga-mento di tangenti. Fonti: Banca mondiale, Transparency International

LinkConvenzione delle Nazioni Unite (UNCAC)Trattati di diritto internazionale per combattere la corruzionewww.admin.ch/opc/it/official-compilation/2009/5467.pdfwww.unodc.org (Corruption)

Convenzione OCSE contro la corruzione dei pubblici ufficialistranieri (in inglese) www.oecd.org/daf/anti-bribery/ConvCombatBribery_ENG.pdf

UNCAC Coalition Rete internazionale cui appartengono oltre 350 organizzazionicon lo scopo di attuare la convenzione ONU contro la corruzionewww.uncaccoalition.org

Informazioni relative allo stato attuale del diritto penale inmateria di corruzione in Svizzerawww.ejpd.admin.ch (Rafforzamento delle disposizioni penali sullacorruzione)

Pubblicazioni «Der Korruptionsjäger – Mark Pieth im Gespräch mit ThomasBrändle und Siri Schubert», Edizione Zytglogge, giugno 2013

«Korruption in der Entwicklungszusammenarbeit: Sammlung von konkreten Korruptionsfällen» e «Korruptionsprävention in derEntwicklungszusammenarbeit, Checkliste zur Selbstevaluation»di Transparency International e Pane per tutti Entrambe le pubblicazioni (non disponibili in italiano) possonoessere richieste gratuitamente o scaricate dal sito www.transparency.ch/de/publikationen/Ratgeber

Indice di percezione della corruzione 2013L’indice di percezione della corruzione pubblicato da Transparency International dal 1995 è una classifica mondiale allestita ogni anno.L’anno scorso i Paesi con la minor presenza di corruzione a livello globale erano la Danimarca e la Nuova Zelanda – mentre la Sviz-zera occupava il settimo posto su 177 Stati. In calce alla classifica si trovavano Afghanistan, Corea del Nord e Somalia, che condivi-devano l’ultimo posto. Fonte: Transparency International

Molto corrotto Molto pulito

Nick Hannes/Reporters/laif

Emmanuel Haddad

Un solo mondo n.2 / Giugno 201418

OR

IZ

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NT

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«Fornendo loro un accesso all’istruzione, proteggia-mo i bambini siriani e preserviamo noi stessi». Sor-riso sbarazzino e vivaci occhi azzurri, Kamel Koz-bar è il direttore di una scuola privata a Sidone, nelLibano meridionale. Presiede anche l’unione delle25 organizzazioni umanitarie non governative(ONG) attive fra i rifugiati siriani nella terza cittàpiù grande del Paese. «Quando, nella primavera del2011, i rifugiati siriani hanno iniziato ad affluire, tut-ti erano pronti ad aiutarli, credendo che la guerranon durasse più di tre mesi. Le famiglie libanesi lihanno accolti a braccia aperte nelle loro case», ri-corda il nativo di Sidone. Ma la situazione perdura.Gli ospiti sono lì da tre anni e la generosità dei li-banesi si sta esaurendo. «Ecco perché abbiamo con-vinto le scuole pubbliche e private della città ad ac-cogliere gratuitamente i bambini siriani. Vogliamoevitare che prendano una cattiva strada e che i liba-nesi considerino la presenza dei rifugiati come unpeso insostenibile».

Il Libano e la capitale Beirut dipendono dall’aiuto internazionale per far fronte all’afflusso di rifugiati dalla vicina Siria.

Minaccia per la sicurezza e l’economia Secondo le stime del governo, oltre 1,3 milioni disiriani hanno già trovato rifugio su suolo libanese,comunità pari a circa il 25 per cento della popola-zione. Nel mese di gennaio, 850 000 erano registratipresso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite peri rifugiati (UNHCR). Segnati dall’occupazione militare siriana durata finoal 2005, molti libanesi non vedono di buon occhioquesto incessante afflusso di rifugiati. La minimascintilla fa divampare la rabbia sopita. Lo scorsomese di dicembre, sospettando i siriani di avere abu-sato sessualmente di un giovane libanese disabile, gliabitanti di Qsarnaba – nella Valle della Beqa’ – han-no incendiato le tende di un campo profughi. Il sin-daco ha giustificato l’atto di violenza appellandosialla minaccia che costituirebbe questa popolazione.Il rischio sarebbe duplice: per la sicurezza, nella mi-sura in cui taluni siriani prenderebbero parte al con-flitto dal Libano, ed economico, poiché i rifugiati

Riserve di petrolio inutilizzate Tra i 440 e i 675 milioni dibarili di petrolio e 15000miliardi di m3 di gas natu-rale: è questo il tesoroenergetico che si cela nelsottosuolo del Libano, se-condo la società di studiBeicip-Franlab. Sono ri-serve sufficienti per porretermine alle quotidiane interruzioni di corrente etrasformare il Paese in un esportatore di energia.Nell’aprile 2013, dodici società, tra cui Shell, Totaled ExxonMobil, sono stateselezionate per operare allargo delle coste libanesi.Senza un governo eletto,l’inizio della fase operativaviene però continuamenterinviato. Una fortuna perchi teme che il Libanosubisca la «maledizionedelle materie prime», unateoria secondo cui i Paesiricchi di risorse naturalisubiscono paradossal-mente una bassa crescitaeconomica.

La scuola, un miraggio per moltigiovani rifugiati sirianiSu 1,3 milioni di rifugiati siriani in Libano, circa la metà è for-mata da bambini. Se si vuole evitare la creazione di una gene-razione di illetterati, è di fondamentale importanza scolarizzarequesti giovani. La loro istruzione non è solo una sfida impor-tante per il Paese di accoglienza, ma anche un’opportunità perriformare un sistema scolastico logorato dalle ineguaglianze. Di Emmanuel Haddad*.

Sam

Tarling/NYT/Redux/laif

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Libano

Israele

Giordania

Beirut

Mediterraneo

Cipro

Siria

sono accusati di rubare il lavoro alla popolazione lo-cale e questo fin dalla più tenera età.

Scuola per allievi sirianiQuesta psicosi nazionale degenera talvolta in vera epropria xenofobia. Kamel Kozbar ha capito imme-diatamente che il modo migliore per evitare tuttociò è far sedere i piccoli siriani dietro i banchi discuola. E così, ogni mattina pulmini colmi di rifu-giati scendono il pendio che porta alla sua scuola diInsani. Costruita con fondi del Qatar e del Kuwait,

la struttura è stata inaugurata lo scorso mese di set-tembre. Qui docenti libanesi e siriani trasmettonoai giovani rifugiati i contenuti del programma sco-lastico libanese. In un’aula, dove il calcestruzzo a vi-sta è tappezzato di bandiere della Siria libera dipin-te dai bambini, Khadija non nasconde le sue diffi-coltà: «Gli allievi fanno molta fatica con l’inglese.Inoltre, alcuni di loro sono talmente traumatizzatidalle esperienze vissute da avere difficoltà a con-centrarsi», racconta questa professoressa di inglese diorigini siriane. Nel loro Paese, i bambini seguivanoi corsi in arabo, mentre in Libano la matematica ele scienze sono insegnate in inglese o in francese findalle elementari. Una manna per Asma, ragazza17enne, che vorrebbe diventare giornalista: «Mio pa-dre mi ha detto che se la famiglia farà ritorno a Da-masco io resterò qui per terminare gli studi perchéqui l’inglese si impara meglio che in Siria».

Alto tasso di abbandonoApprendere nozioni scolastiche in una lingua stra-niera è una sfida insormontabile per la maggior par-te degli allievi siriani che vivono nelle tende o co-abitano con altre famiglie in alloggi insalubri. «L’an-no scorso, il 97 per cento dei siriani iscritti nellescuole libanesi ha abbandonato gli studi», spiegaMaha Shuayb, direttrice del Centro di studi sul Li-bano. Nel quartiere di Hamra, a Beirut, dove si tro-va il suo ufficio, i bambini siriani si improvvisano lu-

strascarpe. E non sono gli unici a subire le conse-guenze dell’insuccesso scolastico. «Gli stessi ostaco-li all’istruzione emarginano i bambini libanesi del-le regioni povere della Valle della Beqa’ e nel distrettodi Akkar o i giovani palestinesi che vivono nei cam-pi profughi», illustra Maha Shuayb.

Sistema scolastico a due velocità All’inizio del 2014, il premier libanese Najib Mikati,dimissionario dal marzo 2013, ha invitato la comu-nità internazionale a «prendere seriamente in con-

siderazione la creazione di campi di sicurezza sul ter-ritorio siriano», al fine di alleggerire il fardello chepesa sul suo Paese. Secondo Mikati, la disoccupa-zione sarebbe raddoppiata a causa della guerra.In realtà, sembra che i profughi servano soprattuttoda capro espiatorio per giustificare l’elevato tasso disenza lavoro, percentuale che fra i giovani libanesiha raggiunto il 24 per cento. Gli esperti Mary Ka-war e Zafiris Tzannatos hanno analizzato le cause diquesto fenomeno: «Il sistema educativo è zeppo didisuguaglianze. I ragazzi socialmente più svantaggiatinon riescono ad accedere con altrettanta facilità al-l’istruzione primaria, alle scuole private e alle uni-versità dei giovani provenienti dalle altre classi so-cioeconomiche. Queste disuguaglianze sono aggra-vate dalle poche risorse pubbliche destinateall’istruzione rispetto a quelle concesse al privato»,scrivono i due specialisti in uno studio pubblicatonel 2012 dal Centro libanese di studi politici. Soloil cinque per cento dei bambini provenienti da fa-miglie povere è iscritto a scuole private, contro il 66per cento di quelli provenienti da ambienti bene-stanti.Maha Shuayb mette in guardia sulle possibili con-seguenze di questa situazione: «Come i palestinesi ei giovani libanesi delle regioni povere, i siriani sonodestinati a diventare manodopera a buon mercato oa venire arruolati dai gruppi islamici radicali». Lun-gi dall’essere una piaga, la loro presenza è, secondo

Il tasso di abbandono degli studi da parte dei giovani profughi è particolarmente alto. Chi non siede tra i banchi scola-stici, svolge spesso dei lavoretti occasionali.

Il Libano in sintesi

Nome Repubblica libanese

Superficie10452 km2

CapitaleBeirut

Popolazione 4,2 milioni di abitanti

Lingue Arabo (lingua ufficiale),francese, inglese, armeno

ReligioniLo Stato riconosce 18 religioni: sunnita (27%), sciita (27%), maronita(21%), greco-ortodossa(8%), greco-cattolica (5%),drusa (5%), altre (7%).

Struttura del prodottointerno lordo Servizi: 75%Industria: 20%Agricoltura: 5%

Prodotti d’esportazione Gioielli, materiale elettrico,carta, prodotti metallici,chimici e agroalimentari,tessili

Libano

Kate Brooks/Redux/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 201420

A quando l’abolizionedella kafala?Oltre 200000 donne origi-narie soprattutto dell’Etio-pia, del Bangladesh, delleFilippine e del Nepal sonolavoratrici domestiche inLibano. Nel 2008, HumanRights Watch ha rilevatoche ogni settimana una di queste migranti muoreper cause non naturali(suicidio o incidente).L’organizzazione accusa il sistema della kafala, checonsente ai datori di la-voro di confiscare i passa-porti di queste donne e difarle lavorare undici ore algiorno o più. Nel suo rap-porto 2014, Human RightsWatch ha commentatopositivamente la condannaa due mesi di carcere diun libanese che per anni si era rifiutato di pagareuna dipendente. Per il momento, il progetto di riforma della kafala non è ancora stato votato dalparlamento. Con il soste-gno della DSC, l’annoscorso il Ministero del lavoro ha pubblicato unaguida informativa destinataalle domestiche migranti.www.mdwguide.com

Una formazione, per esempio in ambito agricolo, offre un’alternativa ai giovani rispetto al lavoro nero o al fondamenta-lismo politico.

Maha Shuayb, un’opportunità per il Libano affin-ché affronti tutte queste disuguaglianze. «Con il denaro fornito dalle Nazioni Unite, il governo puòfare molto per migliorare l’istruzione pubblica».

Siriani primattori della loro istruzioneIn effetti, il Libano dipende dagli aiuti internazio-nali per far fronte all’afflusso di profughi siriani. «Di-nanzi alla portata del fenomeno, ci rendiamo contoche le scuole pubbliche non possono accogliere tut-ti i bambini», ammette Aseel Jammal dell’UNHCR.Il Ministero della pubblica istruzione si è posto l’o-biettivo di scolarizzare 100000 piccoli siriani – a ma-lapena un sesto dei bambini. A Deir Ammar, villaggio nei pressi di Tripoli, Mu-stafa ha trovato una soluzione per dare un’istruzio-ne ai giovani siriani che non hanno accesso alla scuo-la pubblica. In fuga da Damasco, questo insegnantesiriano ha portato con sé i suoi libri di testo e ora liusa per sviluppare il programma della scuola Tuyoorel-Amal (Gli uccelli della speranza) che ha aperto nel2013. Anche se sa che il programma scolastico si-riano non è riconosciuto in Libano, Mustafa difen-de la sua scelta: «La maggior parte dei siriani è co-munque esclusa dall’istruzione libanese, perché periscriversi deve dimostrare di aver frequentato in precedenza una scuola. Ma i più sono fuggiti dalla Siria senza portare con sé i documenti scolastici.Poco importa che gli allievi non ottengano un di-ploma. Il direttore lotta contro «una malattia diffu-sa fra i giovani siriani in Libano: l’analfabetismo».

Migliorare la formazione professionaleNel settore informale a Minyara, villaggio situato nelnord del Libano e vicino al confine siriano, i ragaz-zi seguono da un anno corsi di inglese e di france-se impartiti dai docenti di Relief & Reconciliation forSyria. Lo scorso mese di gennaio, quando questaONG internazionale ha dato loro la possibilità discegliere tra frequentare la scuola libanese o inizia-re una formazione professionale, la maggior parte deigiovani ha scelto la seconda opzione. L’acquisizionedi competenze in settori come la sartoria o l’elet-tricità permetterà ai più grandi di sostenere le lorofamiglie esercitando un lavoro dignitoso.Si tratta di un percorso prezioso per lo sviluppo delLibano. Il Paese dei cedri, che nel 2010 ha avviatouna riforma quinquennale del sistema scolastico, haomesso di includere in questa strategia anche la for-mazione professionale. «Per superare le disugua-glianze, il Libano deve prestare maggiore attenzio-ne agli indirizzi d’insegnamento, come le scuoleagricole e le formazioni tecniche. Altrimenti conti-nuerà a formare pochi eletti. Gli altri abbandone-ranno la scuola per lavorare in nero o entrare in fa-zioni radicali», conclude Maha Shuayb. ■

*Emmanuel Haddad è un giornalista francese di originelibanese. Nel 2013 Haddad si è trasferito a Beirut, da dovescrive sul Vicino Oriente per vari media francofoni.

(Traduzione dal francese)

Jens Schwarz/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 21

Sul campo con… Heba Hage-Felder, responsabile dell’Ufficio della cooperazione svizzera a Beirut

Il quartiere di Hamra, che circonda la principale ar-teria commerciale di Beirut, è caratterizzato da unagrande diversità sociale e religiosa. È per questa ete-rogeneità che mio marito ed io abbiamo scelto diviverci, quando nel 2011 siamo giunti in Libano coni nostri due figli. Un ambiente di questo tipo offrepiù sicurezza rispetto a una zona che, ad esempio,ospita soprattutto cristiani o musulmani. Fortuna-tamente, l’ufficio della DSC si trova nello stessoquartiere e a soli 7 minuti di distanza in bicicletta.Devo ammettere che spostarsi con questo mezzodi trasporto è un po’ da incoscienti, visto che il traf-fico è caotico e pericoloso. Ma faccio del mio me-glio per evitare incidenti.

Non è possibile, invece, prendere precauzioni con-tro le autobombe che esplodono ovunque e a qual-siasi ora. È un rischio che nel mio lavoro prendomolto sul serio. Quando si verifica un attentato, lamia prima preoccupazione è per la sicurezza deimiei colleghi. Mando loro un messaggio di grup-po su WhatsApp chiedendo a tutti se sono sani esalvi. L’organico della DSC in Libano comprendedodici persone: dieci a Beirut e due presso un uf-ficio di progetto a Kobayat, nel distretto di Akkar.

Sono molto orgogliosa di questa squadra tanto mo-tivata e affiatata. A Beirut pranziamo insieme in uf-ficio, ordinando i pasti nei ristoratori del quartiere.È un momento di distensione apprezzato da tutti.È importante coltivare le relazioni di amicizia. Inuna regione dove imperversa una crisi umanitaria,che esige da noi un impegno totale, non possiamoassolutamente permetterci che si creino dei conflittiinterpersonali. Infatti, i contraccolpi della guerra inSiria hanno fatto lievitare considerevolmente la no-stra mole di lavoro.

Dall’inizio della guerra, più di 850000 siriani sonofuggiti in Libano e l’afflusso di profughi è ininter-rotto. La loro presenza mette enormemente sottopressione questo piccolo Stato di 4,2 milioni di abi-tanti. La comunità internazionale non deve soltan-to soddisfare i bisogni dei rifugiati, ma anche ga-rantire che gli aiuti non accentuino le tensioni trai profughi e la comunità ospitante. Dobbiamo es-sere continuamente vigili nei confronti di un con-testo che evolve con estrema rapidità per essere ingrado – ove necessario – di adattare i nostri inter-venti. Consacro molto del mio tempo alle frequentiriunioni di coordinamento degli aiuti internazio-nali con altri donatori o con le agenzie delle Na-zioni Unite. In questo momento la priorità è dataalla stabilizzazione del Paese. Ecco perché è neces-sario andare oltre l’aiuto umanitario e impegnarsianche a favore dello sviluppo sul lungo periodo.

In Libano, la DSC finanzia attualmente 25 proget-ti, la maggior parte dei quali realizzati da partnermultilaterali o bilaterali. Ce ne sono due, però, chegestiamo in completa autonomia nel distretto di Ak-kar, regione del nord storicamente svantaggiata ecostretta ora a portare anche il peso della crisi. De-dico loro un’attenzione particolare e mi reco sul po-sto il più sovente possibile. Uno di questi progetticonsiste in un sostegno economico a quasi 2500famiglie libanesi che ospitano complessivamente 16000 profughi siriani. L’altro è finanziato dall’Uf-ficio federale della migrazione e si concentra in ma-niera particolare sul ripristino dei sistemi sanitari ditredici scuole pubbliche che accolgono 3100 stu-denti, principalmente libanesi, ma anche siriani. ■

(Testimonianza raccolta da Jane-Lise Schneeberger)

(Traduzione dal francese)

Gruppi vulnerabili Le attività della DSC inLibano si iscrivono in unastrategia regionale di co-operazione che si estendeanche alla Giordania, allaSiria e all’Iraq. Esse perse-guono tre obiettivi: fornireservizi di base e mezzi disussistenza ai rifugiati, aglisfollati, ai migranti e ad al-tri gruppi vulnerabili; pro-teggere questi gruppi dipopolazione; ridurre i rischidi calamità naturali e raf-forzare le capacità di rea-zione delle comunità locali.Dall’inizio della crisi siriana,nel marzo del 2011, laDSC partecipa attiva-mente agli sforzi profusidalla comunità internazio-nale per far fronte al mas-siccio afflusso di profughi.Nel 2013 ha stanziato alsuo programma in Libanoquasi 15 milioni di franchi.www.dsc.admin.ch/libano www.swiss-cooperation.admin.ch/middleeast(Lebanon)

DSC

Libano

Jens Schwarz/laif

Un solo mondo n.2 / Giugno 201422

«Mi chiamo Lamia Abi Azar. Sono l’ultima bambi-na venuta al mondo presso il reparto maternità fran-cese di Beirut. Subito dopo la mia nascita nel 1978,l’ospedale, situato sulla linea di demarcazione, è sta-to evacuato. Quel giorno mia madre era così assor-ta nel travaglio che non ha sentito né i bombarda-menti né i colpi di fucile. Quando mi ha preso inbraccio, mio nonno aveva le lacrime agli occhi. Lamamma credeva che si fosse impietosito nel veder-mi nascere in simili circostanze. In real-tà, stava piangendo perché ero una fem-minuccia e non un maschietto».

Queste righe sono tratte dallo spettaco-lo Heavens, che abbiamo presentato all’i-nizio dell’anno e che evoca la storia delLibano. Più di ogni altra, questa pièce ciha confrontati con la difficoltà a pren-dere posizione come artisti in relazionealla nostra eredità storica. Le protagoni-ste sono tre donne che deambulano sufragili linee di confine tra il passato e ilpresente, tra il privato e il pubblico.

Giovedì 16 gennaio, un’autobomba èesplosa a Hermel, una roccaforte delmovimento sciita Hezbollah. La stessasera abbiamo rappresentato Lucena, ad-destramento all’obbedienza, un’opera tea-trale che rimette in questione i condi-zionamenti ideologici e il rapporto trareligione e potere; un ingranaggio a cuii libanesi devono pagare il loro tributotutti i giorni. Sul palco eravamo moltoemozionati, poiché sullo sfondo di unavvenimento tanto tragico il senso delnostro spettacolo coglieva pienamentenel segno. Il lunedì successivo, un altroattentato suicida ha ucciso cinque per-sone ad Haret Hreik, nella periferia suddi Beirut. Solo qualche giorno prima una delle vit-

A quante guerre riusciremo a sopravvivere?time, una ragazza di appena 18 anni, aveva scritto suTwitter: «Sono ancora viva, ma potrei anche mori-re nel prossimo attentato…».

Sento questa frase alla radio mentre mi reco al la-voro e non posso fare a meno di chiedermi: «A quan-te guerre riusciremo a sopravvivere?». Dopo averparcheggiato l’automobile, mi incammino in un vi-colo che sbuca in un labirinto costeggiato da abita-

zioni tappezzate di immagini di YasserArafat. È il campo di Mar-Elias, che suuna superficie di 5400 m2 ospita oltre2500 rifugiati palestinesi. Dietro un lun-go muro si trova una scuola dell’infan-zia per bambini con handicap psico-motori multipli.

Da sette anni dirigo un laboratorio diteatro-terapia in questo centro di riabi-litazione. La maggior parte dei bambi-ni non ha l’uso della parola, ma riescea esprimersi attraverso movimenti esuoni. Lavorando con loro ho impara-to che il teatro è prima di tutto unostrumento di connessione con l’imma-ginario e che può diventare uno spaziodi sviluppo affettivo e sociale.

Purtroppo, il teatro deve ancora con-frontarsi con resistenze ancestrali. Hopotuto constatarlo durante la tournéedi Capitoli scolastici, una rappresenta-zione che denuncia la violenza, l’in-giustizia e la segregazione radicate nel-la logica settaria del Paese, delle quali lascuola è un microcosmo molto rappre-sentativo. Sono stata colpita da un com-mento ricorrente fra il pubblico: «Que-sto spettacolo presenta problemi cheesistono altrove nel Paese ma non da

noi. Qui siamo tutti della stessa fede».

Al termine di un’altra pièce, incentrata sulle diffe-renti versioni della storia del Libano, un uomo dichiesa ci ha detto: «Quello che state facendo è ec-cellente, ma non è che una goccia nell’oceano. Nonbasterà a riformare la nostra società». Ovvio, una per-sona non cambia perché ha assistito a uno spettaco-lo teatrale. Eppure, crediamo fermamente che la no-stra arte possa contribuire a far evolvere le mentali-tà, anche solo riunendo le persone per il tempo diuna rappresentazione. Il dialogo che si instaura at-traverso la figurazione scenica potrebbe portare, len-tamente, a una trasformazione nella realtà. ■

(Traduzione dal francese)

Lamia Abi Azar, 36 anni, è

attrice e teatro-terapeuta.

Nel 2006 ha cofondato la

compagnia teatrale

Zoukak, una troupe che

considera il teatro una

forma di attivismo sociale e

politico. È un pensiero che

l’artista promuove anche a

livello sociale, psicologico

ed educativo. In seno a

Zoukak, Lamia Abi Azar ha

sviluppato un approccio

terapeutico particolare

tramite il teatro. Organizza

laboratori, corsi di forma-

zione e spettacoli in diffe-

renti regioni del Libano,

cercando sempre di coniu-

gare intervento sociale e

ricerca artistica.

Una voce dal Libano

Eric Gourlan/OSCE

23Un solo mondo n.2 / Giugno 2014

Presidenza svizzeradell’OSCEQuest’anno la Svizzerapresiede l’Organizzazioneper la sicurezza e la cooperazione in Europa(OSCE) all’insegna delmotto «edificare una co-munità di sicurezza al ser-vizio degli individui». Perraggiungere gli obiettivi chesi è prefissata, la Svizzerasta attuando tutta una se-rie di misure: promuoverela sicurezza e la stabilità,migliorare le condizioni divita della gente e rafforzarela capacità d’azionedell’OSCE. La sua azionesi concentra in particolarein Ucraina, nei Balcani oc-cidentali e nel Caucasomeridionale. La Svizzeradesidera inoltre dare piùvoce ai giovani e conce-dere loro più spazio in senoalle strutture dell’OSCE. www.dfae.admin.ch,(Attualità, Dossier, LaSvizzera assume la presi-denza dell’OSCE nel 2014)

( jls) Nel giugno del 2010, il Kirghizistan meridio-nale è stato teatro di una recrudescenza delle vio-lenze interetniche, in particolare nelle città di Oshe Jalal-Abab. Durante gli scontri, bande di giovaninazionalisti kirghisi hanno attaccato i quartieri cheospitano la minoranza uzbeka. Il tragico bilancio:470 morti, in maggioranza uzbeki, oltre 400000 sfol-lati e 3746 abitazioni distrutte. La polizia, compostaquasi esclusivamente di kirghisi, non ha potuto – ovoluto – intervenire per fermare il massacro. Durantela successiva inchiesta, un numero sproporzionato diuzbeki è stato arrestato e ha subito ogni genere diprevaricazione: sequestro abusivo, detenzione ille-gale, tortura, richiesta di un riscatto per il rilascio deisospettati… «È da molto tempo, ormai, che la gen-te ha paura della polizia, tristemente nota per i me-todi brutali e la corruzione. Nel giugno del 2010, ildivorzio si è così consumato», deplora il responsa-bile di programma della DSC Thomas Walder. Dopo questi avvenimenti, il governo kirghiso hachiesto all’Organizzazione per la sicurezza e la co-operazione in Europa (OSCE) di aiutarlo a colma-

re le lacune del suo sistema di polizia. È nata cosìl’Iniziativa per la sicurezza comunitaria (ISC), cofi-nanziata dalla Svizzera. Il progetto ha lo scopo di for-mare gli agenti di polizia affinché siano in grado dioperare in un ambiente multietnico, nel pieno ri-spetto dei diritti umani e di stabilire migliori rap-porti con la popolazione. L’ISC coinvolge cinque distretti, soprattutto nel Suddel Paese. «In realtà, la mancanza di fiducia nella po-lizia è generalizzata. Questa iniziativa dovrebbe quin-di interessare l’intero territorio nazionale», confessaLaurent Guye, già ambasciatore svizzero in Kirghi-zistan. «Se si concentra nel Sud, è perché in quellaregione i problemi sono particolarmente acuti a cau-sa delle forti tensioni etniche».

Polizia di prossimità al servizio dei cittadiniIn un clima così teso, il minimo incidente può as-sumere proporzioni drammatiche. Per garantire la sicurezza pubblica, le forze dell’or-dine dovrebbero intervenire, se possibile, prima chela situazione degeneri. Questa attività di prevenzio-

Quando il dialogo sostituisce il manganello La popolazione del Kirghizistan non ha nessuna fiducia nella po-lizia, nota per la sua parzialità, le maniere forti e la corruzione.Nell’ambito di un progetto cofinanziato dalla DSC, le forze del-l’ordine imparano a garantire la sicurezza di tutte le comunitàetniche e a rispettare i diritti umani. Grazie a questa iniziativa, irapporti con la popolazione stanno gradualmente migliorando.

Durante una visita al mercato, invece delle solite maniere forti, i poliziotti imparano ad ascoltare e a raccogliere prove.

DS

C

Eric Gourlan/OSCE

Un solo mondo n.2 / Giugno 201424

Minoranza talora maggioritaria La minoranza uzbeka rap-presenta il 15-20 per centodella popolazione totale delKirghizistan. Concentratonel Sud, vicino al confinecon l’Uzbekistan, questogruppo etnico è maggiori-tario, o quasi, in alcunezone del Paese. Nella cittàdi Osh, ad esempio, gli uzbeki sono il 49 per centodella popolazione, a Uzgenil 90 per cento, nel distret-to di Aravan il 59 per cento.Gli uzbeki hanno semprevissuto in queste regioni.Nell’era stalinista, a seguitodella definizione arbitrariadelle frontiere, sono statiannessi alla Repubblicasocialista sovietica delKirghizistan. I kirghisi con-siderano gli uzbeki dei cit-tadini di terza categoria. Le ostilità tra i due gruppietnici sono antiche e i battibecchi sono frequenti.Scontri molto violenti sierano già verificati nel1990 e avevano causatodiverse centinaia di morti a Osh e a Uzgen.

Squadra mobile formata di poliziotti locali e di un consulente internazionale.

ne richiede il dialogo costante con la comunità. «Gliagenti di polizia devono cambiare radicalmente at-teggiamento e metodi. Il progetto persegue l’obiet-tivo di far comprendere alle forze dell’ordine chenon hanno soltanto il compito di reprimere, ma chedevono anche ascoltare la popolazione», sottolineail nuovo ambasciatore René Holenstein. Per raggiungere questo scopo, l’ISC ha adottato misure di vario genere. Prima fra tutte, intende per-fezionare la formazione degli agenti che seguonopresso l’Accademia di polizia di Osh diversi modu-li didattici, per esempio, sui moderni metodi d’in-dagine. «Per ottenere una confessione, i poliziottinon conoscevano altro metodo se non quello delmanganello. Ora imparano a raccogliere prove», os-serva Laurent Guye. Altri corsi si concentrano sulladeontologia, i diritti umani o la corruzione. Parallelamente, l’ISC ha assegnato dei consulenti in-ternazionali alle stazioni di polizia. Si tratta di poli-ziotti di comprovata esperienza, messi a disposizio-ne da altri Paesi dell’OSCE, che accompagnano icolleghi kirghisi nelle loro operazioni quotidiane.

Squadre mobili nei quartieri La principale innovazione del progetto consiste nei«commissariati volanti». Questi ultimi si recano neiquartieri e nei villaggi discosti, dove non c’è una sta-zione di polizia permanente. «Desideriamo che lapolizia sia molto più presente e che incontri le per-sone», spiega René Holenstein. Costituite da uno odue agenti di polizia kirghisi e da un consulente in-ternazionale, queste squadre mobili si spostano a bor-

do di minibus dotati di computer, scrivania e di se-die. In questo modo gli agenti possono raccoglierele denunce della popolazione e rispondere alle ri-chieste della gente. Eseguono anche pattugliamen-ti a piedi e discutono con gli abitanti. Questi scam-bi permettono agli agenti di individuare i problemiche creano situazioni di insicurezza.Una stretta collaborazione si è instaurata con le as-sociazioni di quartiere. La polizia aiuta queste strut-ture a trovare possibili soluzioni alle difficoltà quo-tidiane della comunità e interviene se il conflitto nonpuò essere gestito dall’associazione.

Incontri con i giovaniL’ISC svolge anche campagne d’informazione e disensibilizzazione, ad esempio sulla violenza dome-stica. Organizza seminari e incontri nelle scuole alloscopo di prevenire la delinquenza giovanile. Agen-ti, appositamente formati, affrontano temi che ri-guardano gli allievi, come il bullismo, l’estorsione oi rischi legati all’assunzione di alcol e droghe. Secondo un sondaggio condotto nel 2012, il pro-getto sta già dando buoni risultati. La polizia del Kir-ghizistan si dimostra più aperta e più vicina alla gen-te. «I cittadini stanno gradualmente ritrovando la fiducia in questa istituzione», osserva Laurent Guye.«Cominciano a percepire gli agenti di polizia nonpiù come avvoltoi capaci solo di estorcere loro de-naro, ma come una forza benefica». ■

(Traduzione dal francese)

Gabriela Neuhaus

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 25

Cacao dell’Honduras: un nuovo inizio pieno di speranza Il cioccolato è ambìto come non mai e la domanda di cacao ingrani supera da tempo l’offerta. Un’autentica opportunità per icoltivatori; sempre che riescano a piazzare sul mercato la loropregiata materia prima. In Honduras, la DSC sostiene un pro-getto pionieristico che da una parte assicura un reddito di baseai contadini poveri e dall’altra delizia i consumatori in Svizzeracon un cioccolato squisito.

(gn) Occhi, naso, lingua – servono tutti i sensi percontrollare i grani di cacao. Luis Regalado taglia apezzetti una fava dopo l’altra per mostrare alle visi-tatrici e ai visitatori le enormi differenze di qualitàcon cui la sua azienda è confrontata. Regalado è ildirettore di Chocolats Halba Honduras, impresa cheesporta in Svizzera cacao per la produzione di cioc-colato amaro finissimo. La qualità dei semi raccoltilascia spesso a desiderare. Inoltre, da tempo non èpossibile soddisfare completamente la richiesta delproduttore di cioccolato svizzero Chocolats Halba, diproprietà del grande distributore Coop. «Dobbiamo migliorare notevolmente la qualità e laquantità delle nostre forniture e stabilizzare gli affa-ri», riassume Regalado la situazione.

Esplosione della domanda Dal 2013 Coop commercializza un cioccolato bioFairtrade dall’Honduras e per la produzione neces-sita di grandi quantità di cacao di qualità superiore.In questo momento, Chocolats Halba Honduras riescea fornire ogni anno solamente 50 tonnellate di ca-

cao biologico certificato. L’Honduras è noto per laqualità delle sue varietà di cacao tradizionali. Tutta-via, nel 1998 l’uragano Mitch ha danneggiato lamaggior parte delle piantagioni, che da allora sonoimproduttive. Il crollo dei prezzi e la concorrenzainternazionale hanno poi fatto il resto, facendo per-dere ogni interesse per la coltivazione del cacao. Daquando i cinesi hanno scoperto il cioccolato, la richiesta di cacao è però letteralmente esplosa.Christoph Inauen è stato uno dei primi che si è im-pegnato per far rifiorire le esportazioni di cacao dal-l’Honduras. Responsabile per la sostenibilità e gli ac-quisti di cacao presso Chocolats Halba, Inauen cerca-va produttori per comperare direttamente da loro lamateria prima, evitando così di passare dagli inter-mediari o dalla borsa, come è consuetudine in que-sto tipo di commercio. In Honduras ha trovato lasoluzione: parte del cacao trasformato in cioccola-to svizzero a Wallisellen proviene da colline difficil-mente accessibili dell’entroterra della piccola cittàportuale di Omoa, nel Nord del Paese. Qui la po-polazione conduce un’esistenza molto semplice. Sui

Semi pregiati Le piante di cacao inizianoa produrre frutti dopoquattro o cinque anni. Lecabosse pesano fino a 500grammi e contengono da25 a 50 semi. Dopo il rac-colto, le fave vengono la-sciate fermentare per diecigiorni. Durante questo pro-cesso, queste acquisisco-no le tipiche caratteristichearomatiche e gustative eassumono la colorazionebrunastra. Infine, i granivengono essiccati. Questafase della lavorazione è de-cisiva per la qualità e il prezzo dei semi di cacao.La Costa d’Avorio, il Ghanae l’Indonesia sono attual-mente i maggiori produttoridi cacao. Al momento laproduzione è inferiore alladomanda, con il risultatoche questa materia primaha raggiunto prezzi da pri-mato in borsa. Secondo glianalisti, nel 2014 la richie-sta mondiale di cioccolatoraggiungerà la cifra recorddi 7,3 milioni di tonnellate.

Le piante di cacao sono fatte crescere dagli stessi produttori in vivai privati. I primi frutti possono essere colti dopoquattro o cinque anni.

26

Gabriela Neuhaus (2)

loro piccoli appezzamenti, i contadini coltivano ba-nane, mais e verdure per il proprio sostentamento ecacao destinato alla vendita. Spesso alcuni chili deipreziosi grani sono la loro unica fonte di guadagno.

Cacao invece di caffè «Il cacao è una pianta nobile che richiede molte curee attenzioni», spiega Lenor Gomez, membro dellacooperativa San Fernando, fondata nel 2007 da pic-coli coltivatori con lo scopo di scavalcare gli inter-mediari, promuovere la qualità della produzione dicacao e ottenere prezzi migliori. Gli sforzi della so-cietà sono stati coronati parzialmente da successo,anche se i coltivatori di cacao devono ancora af-frontare molte difficoltà. Nonostante l’impianto difermentazione ed essicazione, la qualità non soddi-sfa sempre gli elevati standard richiesti, soprattuttoquando il tempo è umido.Tuttavia a prevalere è la fiducia. Non da ultimo gra-zie alla collaborazione con l’acquirente in Svizzera,che compera la produzione di cacao dei piccoli col-tivatori pagando loro un prezzo equo. «La coltiva-zione di cacao è un’attività sicura che ci garantisceun futuro. In città non c’è lavoro per i giovani», af-ferma il 27enne Denis Oviel. L’interesse per la coltivazione di cacao è grande. Ne-gli ultimi anni sono state fondate numerose coope-rative, alle quali si aggiungono le organizzazioni giàesistenti come Coagricsal, originariamente una so-cietà produttrice caffè e che ora coltiva anche ca-cao. Infatti, i prezzi del caffè sono crollati e moltepiantagioni sono minacciate da malattie. Un nume-ro crescente di contadini punta pertanto alla colti-vazione di cacao in colture miste con banani e or-

taggi, per il proprio sostentamento, e legni pregiatiquale investimento a lungo termine.

Produzione sostenibile e sociale Attualmente Chocolats Halba collabora con una ven-tina di cooperative. Si tratta di un’iniziativa che haavuto successo, ma con qualche neo. «Inizialmentepensavamo che sarebbe stato possibile aumentarerapidamente il volume di produzione dei piccolicoltivatori honduregni, raggiungendo le 500-1000tonnellate. Abbiamo però fatto i conti senza l’oste»,spiega Christoph Inauen. Visto che il settore ha sonnecchiato per anni, orasono necessari notevoli investimenti nella forma-zione, nella ricerca e nelle infrastrutture per rimet-tere in moto la produzione e la commercializzazio-ne del cacao. È necessario addirittura ricostruire l’intera catena di valore aggiunto: dalla semente alprodotto d’esportazione finito. A tale scopo è stato creato un consorzio, dove sie-dono sia rappresentanti delle organizzazioni dei pro-duttori, come partner per la ricerca e la formazio-ne, sia il produttore svizzero di cioccolato. Il con-sorzio è sostenuto dalla DSC, che in questa idea haindividuato un notevole potenziale di lotta alla po-vertà. «In occasione del primo workshop comune,tenuto nel mese di aprile 2014, è stato definito unprogetto di produzione di cacao sostenibile e socia-le», afferma Christoph Inauen. «Tutti i partner sonoconsapevoli che l’iniziativa richiede un impegno sullungo termine, i cui frutti potranno essere colti sol-tanto tra una ventina d’anni». ■

(Traduzione dal tedesco)

Settore con potenzialeAttualmente in Americacentrale le coltivazioni dicacao sono rare, ma il po-tenziale sarebbe notevole.La DSC sostiene lo svi-luppo del settore del cacaonei suoi Paesi partnerNicaragua e Honduras,poiché la coltivazione diquesta pianta offre nuoveprospettive e crea reddito,in particolare per i piccolicoltivatori indigenti. Per lafase del progetto, dal 2014al 2017, metterà a disposi-zione 17 milioni di franchi.In Honduras, la DSC aiuta14 cooperative, sostenen-do, per esempio, l’acquistodi sementi di qualità o i miglioramenti tecnici e organizzativi a livello di produzione, trattamento e vendita e promuovendo ilcoinvolgimento dello Statonella coltivazione del cacao.Inoltre, la collaborazionecon il settore privato do-vrebbe assicurare ai pro-duttori contratti a lungo ter-mine e prezzi equi per i loroprodotti a base di cacao.

Carmen Alvarado, responsabile di progetto della DSC, si informa sulle sfide della coltivazione del cacao da LuisRegalado.

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C.Boisseaux/La Vie-Rea/laif

The New York Times/Redux/laif

DSC s’impegna a promuovereuna presenza più massiccia di collaboratrici e collaboratorisvizzeri. Finanziando e favo-rendo l’assunzione di giovaniprofessionisti, offre loro lapossibilità di avviare una car-riera professionale in una diqueste agenzie delle NazioniUnite. Durata: 2014 – 2019 Budget: 8,8 milioni di CHF

Più svizzeri nelle agenziedelle Nazioni Unite ( jah) Garantire la presenza dipersonale elvetico nelle orga-nizzazioni multilaterali è, per ilnostro Paese, un mezzo effi-cace per aumentare ed eserci-tare la propria influenza suqueste organizzazioni e inten-sificare il dialogo politico conloro. In questo momento, inseno ai fondi e ai programmidelle Nazioni Unite specializ-zati nello sviluppo e nell’aiutoumanitario la Svizzera è sotto-rappresentata benché questiorgani siano prioritari e di fon-damentale importanza per lacooperazione elvetica. La

mitati di protezione dell’infan-zia e spazi ricreativi accolgonoi bambini, offrendo loro un sostegno psicosociale.Durata: 2013 – 2014Budget: 0,2 milioni di CHF

Gestione del territorio nellaregione del Mekong (gruju) Da qualche anno, lagestione delle proprietà fon-diarie è al centro delle preoc-cupazioni inerenti allo svi-luppo di Cambogia, Laos,Myanmar e Vietnam. Il con-trollo delle terre rappresentaun’enorme posta in giocoeconomica: vasti spazi ven-gono sottratti all’agricolturafamiliare e assegnati agli inve-stitori. In questo modo, i pic-coli produttori non perdonosoltanto la loro terra, ma an-che l’accesso alle foreste, aipascoli e alla pesca. Questofenomeno ha quali conse-guenze dirette l’aumento dellapovertà e dell’insicurezza ali-mentare. In questo contesto,la DSC sostiene gli attori dellariforma della gestione del ter-ritorio, favorendo la condivi-sione di know-how, la crea-zione di alleanze e la coopera-zione transfrontaliera, al fine di facilitare lo sviluppo di politiche e pratiche più appro-priate. Durata: 2014 – 2021 Budget: 16 milioni di CHF

Sostegno alla psichiatria inMoldova(mpe) La Moldova ha adottatostrategie specifiche atte a ri-formare il sistema sanitariopsichiatrico. In risposta allaferma volontà politica dimo-strata dal governo in questoparticolare ambito, la DSC hadeciso di sostenere l’attuazio-ne di politiche ispirate e so-stenute dall’Organizzazionemondiale della sanità (OMS).Impegnata in Moldova nelsettore della sanità dal 2005,la DSC ha molte carte vincen-ti per portare a termine con successo un simile mandato,contribuendo così a migliora-re le deplorevoli condizioni incui versa la psichiatria moldo-va. La DSC può rifarsi all’e-sperienza maturata in questosettore in altri Paesi in transi-zione, come la Bosnia.Durata: 2013 – 2015 Budget: 16 milioni di CHF

Protezione dell’infanzia in Mali (ung) La protezione dei civilinel Nord del Mali rimane unadelle principali preoccupa-zioni umanitarie. Nel 2012,durante il conflitto sono rima-sti coinvolti moltissimi bam-bini, testimoni o vittime di-rette di atti di estremaviolenza. Il loro caso illustraperfettamente la vulnerabilitàdelle popolazioni di questaregione e il trauma che hannosubito. L’Aiuto umanitariodella Confederazione appoggia un programma disostegno psicosociale per4400 giovani che hanno vis-suto esperienze dolorose.L’obiettivo è di permettereloro di ritrovare una vita la piùnormale possibile e di tornarea scuola. Negli istituti scola-stici vengono organizzati co-

Dietro le quinte della DSC

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Manuel Sager sarà il nuovo direttoredella DSCIl Consiglio federale ha designato all’iniziodi aprile l’attuale ambasciatore svizzero aWashington Manuel Sager quale nuovocapo della DSC. Quest’ultimo entrerà incarica il 1° novembre prossimo al postodi Martin Dahinden, nominato ambascia-tore svizzero a Washington.

Nato nel 1955 a Menziken, nel canton Argovia, Manuel Sager èentrato nel servizio diplomatico nel 1988, dopo aver studiatolegge e aver lavorato come avvocato associato negli Stati Uniti.Una volta concluso lo stage a Berna e ad Atene, Sager è stato impiegato come collaboratore diplomatico presso la Direzione del diritto internazionale pubblico, dove nel 1993 ha assunto la direzione della Sezione Diritto internazionale umanitario. Dopo lecariche di viceconsole generale a New York e di capo dell’infor-mazione presso l’Ambasciata di Svizzera a Washington, ManuelSager ha presieduto il Coordinamento diritto internazionale uma-nitario presso la Direzione del diritto internazionale pubblico primadi essere nominato il 1° febbraio 2003 capo dell’informazionepresso il Dipartimento federale dell’economia DFE.Nel 2005, Sager è stato designato ambasciatore e direttore ese-cutivo presso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo(BERS). Prima di assumere la sua attuale funzione di capomis-sione a Washington, è stato a capo della Divisione politica V,Coordinazione di politiche settoriali, presso la Direzione politica aBerna. Il nuovo capo della DSC ha un’ampia e pluriennale espe-rienza nonché un’eccellente rete di contatti in ambito internazio-nale, politico-finanziario ed economico. Conosce perfettamente le sfide legate alla politica di sviluppo, soprattutto grazie alla suaattività quadriennale presso la BERS, e ha dimestichezza con lequestioni di politica interna.

Sven Torfinn/laif

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Una persona su otto soffre la fame. Oltre la metàsono piccoli contadini. È quanto emerge dalle sta-tistiche della Banca mondiale e del Fondo interna-zionale per lo sviluppo agricolo (IFAD). Che pro-prio i contadini siano così duramente colpiti dallafame, è davvero un paradosso. Altrettanto preoccu-pante è il fatto che le derrate alimentari prodotte alivello mondiale sarebbero, in teoria, sufficienti a sfa-mare tutta la popolazione del Pianeta. Ma, si sa, ildiavolo si nasconde nei dettagli. Infatti, numerosimeccanismi favoriscono una pessima ripartizionedelle derrate alimentari, acuendo così il problemadella fame nel mondo. Markus Bürli, sostituto responsabile del Program-ma globale Sicurezza alimentare della DSC, fa dueesempi: «Nel periodo dei raccolti, i contadini nonsoffrono di solito la fame, ma anche loro hanno bi-sogno di soldi per altre cose. Inoltre, molti non han-no depositi dove conservare i raccolti al riparo da

roditori e funghi. Vendono perciò parte della loroproduzione». Poco prima della messe successiva,sono costretti ad acquistare generi alimentari. Laforte domanda fa tuttavia aumentare i prezzi, chesuperano le loro possibilità economiche e così sonocostretti a patire la fame. Anche lo scarso potere d’acquisto di un Paese, spie-ga Bürli, può avere conseguenze nefaste. «Il Niger,Stato dell’Africa occidentale, esporta cereali no-nostante molti suoi abitanti siano minacciati dallafame. Parte dei raccolti viene venduta alla vicina Nigeria, dove c’è più disponibilità di denaro».

Speranze riposte nei piccoli contadini Con la crisi globale dei generi alimentari del 2007-2008, durante la quale in pochi mesi è raddoppia-to il prezzo di granoturco, frumento e soia, e quel-lo del riso è addirittura triplicato, la politica inter-nazionale si è interessata ai piccoli contadini.

Nei Paesi pilota Mali, Kenya ed Etiopia, la DSC promuove una politica agraria sostenibile in cui i piccoli contadini sonoconsiderati colonne portanti della sicurezza alimentare globale.

Piccoli agricoltori eaziende familiari La piccola agricoltura èsempre più spesso un’atti-vità a conduzione familiare.Talvolta le aziende agricolesono formate da più nucleifamiliari. Le dimensioni me-die divergono notevolmen-te secondo la nazione. Nei Paesi in via di sviluppo,l’Organizzazione delleNazioni Unite per l’alimen-tazione e l’agricoltura (FAO)stima a circa 500 milioni lepiccole aziende agricole;l’85 per cento coltiva menodi due ettari. In Cina, cisono 200 milioni di piccoleaziende agricole; pur lavo-rando il 10 per cento deiterreni agricoli disponibilisul Pianeta, esse produ-cono il 20 per cento dellederrate alimentari globali.Questi dati ricordano cheanche i piccoli agricoltorihanno un’elevata produtti-vità.

Gli affamati che nutrono il PianetaOltre la metà delle persone che soffre la fame vive in piccolefamiglie contadine. Eppure, gli esperti attribuiscono a questipiccoli agricoltori un ruolo decisivo nella risoluzione del pro-blema della fame. Per sostenerli con condizioni quadro migliori,l’ONU ha proclamato il 2014 Anno internazionale dell’agricol-tura familiare. Di Mirella Wepf.

Philippe Body/hemis.fr/laif

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A suscitare scalpore è stato anche il rapporto del2008 sull’agricoltura mondiale che ascrive ai pic-coli contadini un ruolo centrale nella risoluzionedel problema della fame. Il documento non è statosottoscritto dagli Stati Uniti e da diversi altri Pae-si, mentre alcune aziende multinazionali, comeMonsanto e Syngenta, hanno interrotto la loro col-laborazione. «Ciò nonostante, sono ancora molti gliaspetti di questo testo a fluire nella politica inter-nazionale», afferma Bürli; per esempio, nelle attivi-tà della Commissione ONU sulla sicurezza ali-mentare mondiale (CFS). Nel luglio del 2013, que-sto gruppo di lavoro ha pubblicato un rapporto concui chiede a chiare lettere maggiori investimenti afavore dei piccoli agricoltori. Un’esigenza difesa giàda tempo dalla DSC e da ONG come Swissaid oHelvetas. Gli autori del rapporto rilevano che i piccoli con-tadini sono un fattore chiave per risolvere il pro-blema della fame e che la loro rete sociale, soprat-tutto quella delle aziende a conduzione familiare,non va sottovalutata. I piccoli contadini possonosvolgere una funzione importante anche a livelloecologico. Un punto di vista tradotto anche nelloslogan delle Nazioni Unite per l’Anno internazio-nale dell’agricoltura familiare: «Nutrire il mondo,avere a cuore la Terra». La CFS si appella ai governi affinché investanomaggiormente nel settore agricolo ed elaborinostrategie per i piccoli contadini adatte al contestonazionale. Ciò non significa promuovere soltanto

metodi di produzione migliori, ma anche e in par-ticolare assicurare i diritti fondiari, relazioni com-merciali eque e una politica delle sovvenzioni chenon svantaggi i piccoli agricoltori. Un cambia-mento di paradigma chiesto anche dal Comitatosvizzero per l’Anno delle Nazioni Unite: «La posi-zione dei piccoli contadini sul mercato va rafforza-ta a livello sia regionale che internazionale».

Trasformazione dolceSecondo la CFS, a medio termine occorre rende-re possibile anche una trasformazione strutturale so-stenibile delle regioni rurali. Questo obiettivo è per-seguito anche dalla DSC attraverso i suoi progetti.«Sosteniamo un rinnovamento dolce della piccolaagricoltura», spiega Markus Bürli. Nelle regioni ru-rali dei Paesi in via di sviluppo si dovrebbero crea-re posti di lavoro anche al di fuori del settore agri-colo, al fine di assicurare il sostentamento di tuttala popolazione. «Le divisioni ereditarie che riduco-no progressivamente la superficie di campi e pascolisono un problema; occorrono alternative».L’agronomo non è contrario all’agricoltura indu-strializzata. «L’agricoltura praticata su larga scalapuò senz’altro funzionare bene anche a livello so-ciale», illustra Bürli. «Tuttavia, in una regione carat-terizzata da un’agricoltura familiare non si può in-trodurre di punto in bianco un sistema agricolo ditipo intensivo senza provocare danni. Il cambia-mento deve essere lento e servono posti di lavoroper il sostentamento della popolazione».

In Asia, le piccole aziende agricole familiari coltivano 15 milioni di ettari di riso.

Geografia della fame Nel suo ultimo rapportosullo stato della povertà nelmondo, la Banca mondialeindica un lento calo del nu-mero di persone che vi-vono in povertà estrema.Oltre un miliardo di per-sone deve sbarcare il luna-rio con meno di 1,25 dollarial giorno e altrettanti sonocoloro che soffrono lafame. Secondo i dati delProgramma alimentaremondiale WFP delle Nazio-ni Unite, oltre la metà diqueste persone vive nellaregione pacifica dell’Asia,un quarto in Africa. La fameè un problema anche negliStati Uniti, dove l’alimenta-zione di molti milioni diamericani non è garantita. www.wfp.org/it

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Karl-Heinz Raach/laif

La Bolivia è uno dei Paesi con la più ricca biodiversità al mondo grazie anche all’attività quotidiana nei campi dei piccolicontadini.

Bürli cita il Brasile quale esempio di coesistenza riu-scita tra agricoltura industrializzata e piccola agri-coltura. Nel 2003, l’allora presidente Lula da Silvaha lanciato nel Paese sudamericano il programmaFome Zero (Fame zero). «Il programma non fa ovun-que l’unanimità, ma alcune strategie parziali sonoseguite con grande interesse a livello internaziona-le», afferma Bürli. In parecchie città, il governo ha,ad esempio, istituito mense scolastiche e pubblicheper persone a basso reddito rifornite da piccoli agri-coltori. Grazie a questo smercio a prezzi equi, i con-tadini hanno un salario dignitoso assicurato. L’u-nione tra interessi dei piccoli contadini e attività sta-tali, come la gestione delle scuole, è considerata unadelle ricette del successo di Fome Zero.

Agricoltura tinta sempre più di rosa Ultimamente, la politica agraria internazionale ri-volge viepiù l’attenzione anche al ruolo delle don-ne. Negli anni Settanta, i sociologi rurali hanno co-statato per la prima volta una «femminilizzazionedell’agricoltura» in vari Paesi europei. Ora, il feno-meno ha preso piede pure a livello mondiale. Nu-merosi studi confermano che le donne assumonocrescenti responsabilità nel settore agricolo. Le cifre evidenziano anche che le pari opportuni-tà non hanno tenuto il passo con questa evoluzio-ne. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Uni-te per l’alimentazione e l’agricoltura FAO, nei Paesi in via di sviluppo, in media, il 43 per centodella manodopera attiva in agricoltura è formato da

donne, mentre solo il 20 per cento dei terreni è pro-prietà delle contadine. Tale percentuale è inferioreal 5 per cento in Africa settentrionale e in Asia occidentale, nell’Africa sub-sahariana la media è invece del 15 per cento. La quota maggiore di pro-prietarie fondiarie si registra in America latina, conuna media del 25 per cento in Cile, Ecuador e Pa-nama.Sono sovente barriere culturali e legali a preclude-re alle donne la possibilità di possedere terreno pro-prio, diritti sulle acque, macchine o animali. Le agri-coltrici non possono aprire un conto risparmio pro-prio o prendere crediti, la loro partecipazionepolitica è limitata e accedere all’istruzione è per loropiù difficile.La FAO attribuisce alle donne un’importanza cen-trale nell’agricoltura. Già oggi, le donne sarebberoresponsabili del 60-80 per cento della produzionedi derrate alimentari nei Paesi in via di sviluppo. Sivaluta che se queste godessero di pari opportunità,sarebbero in grado di aumentare del 20-30 per cen-to i proventi. A sua volta, ciò consentirebbe di ri-durre del 12-17 per cento il numero di affamati. Ilpotenziale delle donne assume un’importanza an-cora più decisiva alla luce della prevista crescita del-la popolazione mondiale: a detta dell’ONU, si pas-serà dagli attuali 7 ai 9,6 miliardi di individui entroil 2050. ■

(Traduzione dal tedesco)

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014

Convegno nazionale Per l’Anno internazionaledell’agricoltura familiare, in tutto il mondo si sonocreati oltre 80 comitati im-pegnati – ognuno secondomodalità consone al con-testo nazionale – a elabo-rare scenari di sviluppo peril futuro delle aziende agri-cole a conduzione fami-liare. Il comitato svizzero èretto, fra gli altri, da Unionesvizzera dei contadini,Helvetas Swiss Inter-cooperation e Swissaid.Anche la DSC vi partecipain veste di consulente. I punti salienti del program-ma annuale prevedono il 27 giugno prossimo unconvegno nazionale aGrangeneuve (nel cantonFriburgo), al quale sonostati invitati anche nume-rosi oratori e oratrici esteri.www.familyfarming.chwww.familyfarming-campaign.net

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 31

Il vecchio pastore si trovava as-sieme ai suoi aiutanti vicino alcancello. La conta del greggecominciava di lì a poco. Una pastora ammonì i più giovani:«Chi non aiuta a contare, se nestia fuori dai piedi! Le pecorepossono saltare fino a un metrod’altezza, c’è confusione e glianimali mollano calci a dritta e a manca. Perciò, badate bene aivostri occhi, ai nasi e ai denti».Per essere contato, il gregge an-dava spinto attraverso il cancelloaperto a metà contro cui il vec-chio pastore premeva con tuttoil peso del proprio corpo ondeevitare che le bestie lo aprisserocompletamente. «Le pecore sono satolle d’erba e hanno moltaforza», disse con una punta d’or-goglio.

Dopo aver finito il lavoro, il vecchio pastore si sedette nellayurta e prese in mano l’abaco,un’antica tavola per eseguire cal-coli. Pareva avesse trascorso lavita intera maneggiando questostrumento. Già da ragazzino riu-sciva meravigliosamente a far di

La danza sull’abaco

Gangaamaa PurevdorjDelgeriinkhen vive a Erdenet,la seconda città più grandedella Mongolia. Nata nel 1967in una clinica di Saikhan sumcome decima di dodici figli diuna famiglia di pastori, tra-scorre i primi otto anni della sua vita come ragazza nomadenella yurta di famiglia. Dopo il liceo studia scienze politiche e germanistica all’Universitàtecnica di Dresda e in seguitocultura comparata pressol’Università di Regensburg. Ha scritto diversi libri, tieneconferenze e letture. Nel 2013 è stata pubblicata dalle edizioniRegensburg la sua ultima operacon il titolo «Der gute Dieb» (Il buon ladro), una raccolta inprosa.

conto. Le sfere presero a oscillareavanti e indietro sull’abaco, inuna vorticosa danza di odio eamore. Intanto, uno stuolo dibambini osservava questo stupe-facente spettacolo. I più piccoli,incantati e in silenzio, si inginoc-chiarono ai suoi piedi sul pavi-mento, i più grandicelli, invece,gli si accalcarono dietro e, chinatisopra le sue spalle, scrutavanol’abile gioco delle dita impegnatein questa frenetica danza sull’a-baco.

Spesso il vecchio lasciava correrelo sguardo concentrato e legger-mente velato sui curiosi spetta-tori, poi alzava gli occhi verso lacorona che ornava la sommitàdella yurta per osservare il cielo.Si metteva in ascolto delle ago-gnate note, quelle dei giovanianimali. Le sue dita danzavanosull’abaco e ogni sapiente toccostrappava allo strumento unasorta di canto: era il calpestio delgregge all’interno del recinto. Siudivano gli animali giovani e leloro madri che ruminavano. Poisi sentiva nuovamente la vita

delle bestie sui pascoli, moltopiù variegata di quanto l’occhiofosse in grado di percepire.

Improvvisamente, il pastore ri-mase assorto: i canti e le melodiedell’abaco tacquero. Il risultatovenne ricontrollato. Come leruote dentate si completano, conaltrettanta precisione i calcoli delmigliaio di animali si rivelaronoesatti e uguali alle previsioni.Nessuno riusciva a eguagliare laprecisione del vecchio pastore:né i bambini, né i ragazzi, nétanto meno il pubblico adultoerano in grado di replicare i suoiconti perfetti. Invece di spiegarecome facesse a lavorare contanta meticolosità, il vecchio silimitò a dispensare a tutti unconsiglio: «Conoscere se stessi,sapersi valutare, avere fiducia neipropri mezzi. Allora non è ne-cessario dire le cose, è sufficientemostrarle».

Una delle ragazze che in ginoc-chio accanto al pastore aveva os-servato ammaliata questa danza,oggi, adulta, ripensa volentieri al vecchio e alle sue dita che con

tanta abilità facevano danzare le sfere dell’abaco. Da qualchetempo, da quando nel suo Paesesi è affacciata l’economia dimercato, anche l’abaco si è sentito ormai d’impiccio. Si è ritirato nelle cassepanche dei pastori più giovani perché questiultimi non vogliono o non sannopiù intonarci alcuna danza.Talvolta al mercato nero ci sipuò imbattere ancora in lui, relitto quasi completamente dimenticato dei tempi andati. ■

(Traduzione dal tedesco)

Carta biancaida

Cinedoc Films (2)

32 Un solo mondo n.2 / Giugno 2014

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Un solo mondo: Che cosa l’haspinta a creare nel 2007 unfestival del cinema africanoa Berlino? Alex Moussa Sawadogo: Sitrattava in primo luogo di col-mare una lacuna. Berlino eral’unica grande città d’Europa a non avere ancora un festivaldi questo genere. In secondoluogo, desideravo trasmettere ai tedeschi un’immaginedell’Africa diversa da quella, sovente negativa, veicolata daimedia. L’Africa progredisce alproprio ritmo, con vivace dina-mismo e molta creatività. Glispettatori sono curiosi di saperecome evolve culturalmente.Come burkinabé trapiantato inGermania, è mio dovere soddi-sfare queste aspettative. Ho vo-luto creare un ponte tra i duecontinenti, quello europeo equello africano. Fin dall’inizioho potuto contare sull’adesione sia del pubblico sia dei partnerfinanziari. Il successo di Afrika-

mera mi ha incoraggiato acreare un altro festival dedicato,questa volta, alla danza contem-poranea africana.

Oltre a gestire questi due fes-tival, lei è anche consulenteper il Festival del film diLocarno. Come fa a seguirela produzione in Africa?Mi reco sul posto, incontro re-gisti e coreografi per vedere ciò che realizzano. Per questomotivo sono continuamente inviaggio. Partecipo a numerosifestival e ad altri eventi culturaliin Africa. Quando rientro inGermania, la mia valigia è sem-pre stracolma di DVD: in mediavisiono tra i mille e i duemilafilm all’anno. Di recente, il con-tenuto dei miei bagagli mi hacostretto a una pausa forzata diparecchie ore all’aeroporto diMaputo poiché, visto il materialenelle mie valigie, i doganierimozambicani mi avevano scam-biato per un trafficante.

Qual è la sua diagnosi delcinema africano? Lo si dicein declino, se non mori-bondo…Non è poi così moribondo. Lanuova generazione di registi faun ottimo lavoro, ma la mag-gior parte della produzione ri-mane misconosciuta. Un filmnon esiste fino a quando ungrande festival non l’ha proiet-tato. I giovani registi scono-sciuti non hanno in pratica al-cuna possibilità di entrare inquesto circuito. Per questo mo-tivo molti film nascono emuoino subito. Nonostantetutto, alcuni riescono a fare unacarriera internazionale. È ilcaso, ad esempio, di Atalaku,realizzato da Dieudo Hamadi,un congolese di 30 anni.Afrikamera è stato uno dei primissimi festival ad averproiettato questo film. Espoir Voyage del burkinabéMichel K. Zongo ha avuto lagrande fortuna di essere sele-

Alex Moussa Sawadogo, 39 anni, nasce e cresce inCosta d’Avorio in una famigliadi immigrati del Burkina Faso.All’età di 18 anni rientra inBurkina Faso per conseguire la maturità. In seguito, studiastoria dell’arte presso l’Univer-sità di Ouagadougou, specia-lizzandosi in danza e cinema.Nel contempo si occupa di variprogetti in campo culturale. Nel 2004 Sawadogo si reca inGermania per completare lasua formazione dove consegueun master professionale in ma-nagement culturale. Nel 2007crea a Berlino il Festival Afrika-mera e nel 2011 dà vita a unfestival di danza africana con-temporanea, che si svolge ognidue anni.

Film che nascono e che subito muoiono I giovani registi africani sono molto prolifici, ma faticano a fare breccia nel panorama internazionale. Con una tale abbondanza di film, è molto difficile sco-prire dei capolavori. Alex Moussa Sawadogo del Burkina Faso, direttore del Festival Afrikamera di Berlino, scandaglia il continente alla ricerca di queste perle. Intervista di Jane-Lise Schneeberger.

«Espoir Voyage» del burkinabé Michel K. Zongo è stato proiettato alla Berlinale e ha riscosso un certo successoanche a livello internazionale.

Happiness Distribution (2)

33Un solo mondo n.2 / Giugno 2014

i capolavori oggi sono piùrari. A che cosa è dovutaquesta eclissi? In passato la produzione afri-cana era molto meno abbon-dante. Si riusciva facilmente amantenere la visione d’insieme.I film erano quasi interamentefinanziati dall’Europa, visto chegirare in formato 35 millimetriera molto costoso. Gli ambienticinematografici europei eranoperciò sempre al corrente di ciò che si faceva. Con l’avventodelle cineprese digitali, la pro-duzione è esplosa. Oggi, i gio-vani registi non attendono piùdi trovare un produttore euro-peo: prendono in mano la vi-deocamera e si recano sulcampo. Molti di loro si occu-pano anche del montaggio, che realizzano al computer.Ammetto che la qualità è spessodiscutibile e così bisogna pren-dersi il tempo necessario perseparare il grano dalla grami-gna. Quale festival è disposto a

visionare 800 film etiopi o ni-geriani per inserirne solamentedue o tre nel programma?

La tecnologia digitale haquindi eliminato l’ostacolodel finanziamento che pe-sava sulle generazioni pre-cedenti?No, il finanziamento è ancora

un problema. I cineasti hannobisogno di soldi per girare filmdi migliore qualità. Ottenere unfinanziamento è un lungo per-corso a ostacoli. La maggiorparte dei fondi destinati al so-stegno cinematografico poneuna moltitudine di condizioniche richiedono diritti di produ-zione, documenti bancari ecc.Per redigere un dossier biso-gnerebbe quasi assumere unesperto contabile. A tale propo-sito Open Doors, il laboratoriodi coproduzione istituito dalFestival del film di Locarno, èun’eccezione. La procedura di inoltro di una domanda èmolto semplice: il candidatocompila un questionario che sitrova sul sito del festival e inviaper posta elettronica le infor-mazioni sul suo progetto cine-matografico. Tutto avviene tra-mite internet, un mezzo moltoapprezzato dai giovani. Per l’e-dizione 2012, dedicata all’Africaoccidentale, abbiamo ricevuto

zionato dalla Berlinale. Pensoanche a Viva Riva, il primo lun-gometraggio del congolese DjoTunda Wa Munga, che ha rice-vuto numerosi riconoscimenti.Sono perle come queste checerco.

Nonostante tutto, rispettoagli anni Ottanta e Novanta

quasi 300 dossier. Grazie ai co-produttori incontrati a Locarnoo ai premi ricevuti, almenoquattro giovani registi potrannorealizzare il loro film. Uno diloro ha già terminato le riprese.

Come faranno, poi, a pre-sentarli al pubblico locale,visto che le sale cinemato-

«Viva Riva» del congolese Djo Tunda Wa Munga ha ricevuto numerosi riconoscimenti.

grafiche stanno scompa-rendo in Africa?Se i cinema chiudono, ciò nonsignifica che gli africani nonguardino più film. Bisogna re-stare al passo con i tempi e ri-pensare il concetto di sala cine-matografica in base alle nuoveabitudini. Le nuove tecnologieforniscono delle soluzioni alter-

native. Sono stati sviluppatinuovi concetti di proiezionecollettiva. Se riesce a procurarsiun videoproiettore, un compu-ter portatile e degli altoparlanti,la gente improvvisa sale diproiezione nei quartieri o creadei cineclub. La qualità non èesattamente quella di una salacinematografica classica, ma

Sostegno ai registi del Sud e dell’EstDal 2003, il Festival del film di Locarno sostiene i registi provenientida Paesi in cui le possibilità di ottenere dei finanziamenti sonomolto limitate. La sezione Open Doors, creata in collaborazionecon la DSC, è dedicata ogni anno a una regione differente delSud o dell’Est. Pochi mesi prima del festival, i registi possonopresentare un progetto cinematografico. Open Doors selezionadodici candidati e li invita a un laboratorio di coproduzione che sitiene durante la manifestazione di Locarno. In seguito, i vincitorisono messi in contatto con partner internazionali, che potreb-bero finanziare i loro film, e i dossier migliori ricevono un premio.Parallelamente a questo concorso, Open Doors presenta filmprovenienti dalla regione selezionata. Nell’edizione 2014 – che siterrà dal 9 al 12 agosto – i riflettori saranno puntati sull’Africasub-sahariana di lingua inglese e portoghese.www.opendoors.pardo.ch

l’importante è che il pubblicopossa vedere questi film. ■

(Traduzione dal francese)

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Servizio

mentario di Nils Aguilar, Germania2013; originale in francese-inglese-spagnolo; sottotitoli in francese.Informazioni e ordinazioni: éducation21/Films pour un seulmonde, tel. 031 321 00 30,www.filmeeinewelt.ch

Il signore della luce (bf ) Tutti lo conoscono comeSvet-Ake, ossia signor Luce. È unelettricista kirghiso che si occupadi tutto, o quasi, e non solo dicorrente elettrica. La gente ri-corre a lui quando è necessariotrovare una soluzione ai più sva-riati problemi: dal cortocircuitoelettrico a quello emotivo, cherischia di far saltare in aria lacoppia. Poco importa se chi lochiama vuole controllare la reteche alimenta l’intera città o nonha più energia per vivere. Svet-Ake è sempre pronto a dare unamano, un consiglio o mettereuna buona parola. A volte deve

Densa e semplice (er) La voce di Lala Njava èmorbida, flessuosa e vellutata, poidi nuovo profonda, piena e forte.La 56enne cantante malgascia ècresciuta in un ambiente fami-liare semplice e scandito dalsuono della musica. Da bambinasi esibiva insieme ai suoi 14 fra-telli. Più tardi, con il combo difamiglia, Njava ha avuto note-vole successo, anche in Europa.Ora ha registrato di nuovo il suoprimo album da solista, facendosiaccompagnare dalla band di fa-miglia. I fratelli Dozzy (chitarra),Maximin (basso) e Pata Njava

(percussioni) creano dei paesaggidi suoni semplici e delicati, pun-teggiati qua e là di delicatetracce di fisarmonica, sapiente-mente piazzate dal suo famosocompatriota Régis Gizavo. Lacantante, che vive da quasi tren-t’anni in Belgio, riunisce armo-niosamente questi brani sensibilie densi con la musica tradizio-nale antsa, lo stile trance tipicodegli sciamani del Madagascar.Nei suoi testi, Lala Njava rac-conta delle difficilissime condi-zioni di vita che regnano sull’i-sola al largo della costa orientaledell’Africa e lo fa servendosi diparole poetiche e al contempocritiche e combattive. Il suo im-pegno si manifesta anche nelladecisione di devolvere una partedel ricavato della vendita dei CD a un progetto di rimboschi-mento in Madagascar.Lala Njava: «Malagasy BluesSong» (World Music Network/Musikvertrieb)

Intenso e sensuale(er) I suoi membri sono popolarie rinomati e insieme creano lacornice musicale della cerimoniadi assegnazione dei Premi Nobela Oslo. Sono i musicisti dellaNorwegian Radio Orchestra. I piùdi 50 strumentisti sposano peruna volta la tradizione europeadella grande orchestra con lamusica taraab, tipica dello spazioculturale swahili, con il soul ofZanzibar, una forma musicaleunica nel suo genere, in cui con-fluiscono suoni e ritmi arabi,persi, indiani, africani ed europei.Per vivere quest’esperienza, gliorchestrali si uniscono alla can-tante Maryam Said Hamdun, alcantante e virtuoso maestro diviolino e di oud MohammedIssa «Matona» Haji e al maestrodi kanun Rajab Suleiman. Il fa-scino di questa fusione si è ma-nifestato alla fine del 2012 in oc-casione di un concerto registratodal vivo, accolto da un pubblicoentusiasta. Un groove inaspet-tato, creato da più di 24 stru-menti a corda e altrettanti ottoni,hanno travolto la platea conquell’allegria leggera che ricordala musica orientale suonata aimatrimoni dalle orchestrine. Unappuntamento indimenticabiledi world music e musica classica. The Norwegian Radio Orchestra:«Symphonic Taraab» (Jaro Medien)

Voci alternative (dg) Agricoltori, scienziati e pio-nieri provenienti da Francia,Inghilterra e Cuba ci mostranocome rispondere con approcciinnovativi alle sfide del cambia-mento climatico, alla penuria di

risorse e alle carestie. Il filmCultures en transition dà voce aquesti coraggiosi protagonisti delmutamento socioeconomico.Loro ci spiegano che è possibilecontrastare le conseguenze del-l’industria agricola, orientatasolo al profitto, con piccolestrutture perfettamente consonealle peculiarità locali. Tali aziendedischiudono nuove opportunitàin ambito di sicurezza alimen-tare. Gli esempi illustrano comepreparare concretamente le zonerurali e le città alla duplice sfidadel cambiamento climatico edell’esaurimento delle risorsepetrolifere. Il film invita a riflet-tere sulle nostre abitudini diconsumo, su un’agricoltura cheguarda al futuro e su modelli diproduzione sostenibili. «Cultures en transition», film docu-

Vibrante freschezza(er) 140 minuti di musica affa-scinante; 140 minuti di travol-genti ritmi. La compilationcomprende 28 brani registratidal 1960 al 1978 nello Statoisolano di Haiti. Sono accatti-vanti sound di big band, minijazz e twoubadou. Sono ec-

celse perle musicali, scoperte dal tropical-dj Hugo Mendez(«Sofrito»), riunite con cura e amore in un doppio album accompagnato da un booklet. La documentazione, curatafin nei minimi particolari, completa questa panoramica acu-stica che presenta all’ascoltatore tutte le sfaccettature diuno stile vivace e animato, fatto dei colori propri della mu-sica creola kompa e arricchito di merengue e ispirazionimelting-pot che vanno da New York a Parigi. Questo ven-taglio di espressioni musicali è abbinato a voci maschili so-nore e assoli strumentali grandiosi, melodici riff di chitarraelettrica e vigorosi ottoni, linee di basso swing e intrecci diritmi pulsanti. È un’opera straordinaria e inaspettata, natanel Paese più povero dell’America latina, un lembo di terramartoriato da sfruttamento, lotte di classe, corruzione e ca-lamità naturali. Una parte del ricavato di vendita dell’albumè destinata a In Health, organizzazione che si impegna perlenire le conseguenze del terremoto del 2010.Various: «Haiti Direct» (Strut)

Musica

Film

Un solo mondo n.2 / Giugno 2014 35

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE)

Comitato di redazione:Martin Dahinden (responsabile)Catherine Vuffray (coordinamento globale)Marie-Noëlle Bossel, Beat Felber, Sarah Jaquiéry,Pierre Maurer, Christina Stucky, Özgür Ünal

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn), Jane-Lise Schneeberger(jls), Mirella Wepf (mw), Ernst Rieben (er),

Luca Beti (versione italiana)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla reda-zione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 031 322 44 12Fax 031 324 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 51200

Copertina: Dimostrazione contro la corruzione a Caracas, Venezuela; EduardoLeal/Dukas/Polaris

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Nuovi spazi per l’arte

Annette Schönholzer fa parte deldirettivo di Art Basel, la più grandefiera d’arte del mondo. Nel 2002ha aperto una sede a Miami Beache nel 2013 una a Hong Kong.

Nella mia vita privata mi attiranoposti ricchi di natura e poveri dipersone. Forse è per controbilan-ciare la mia attività professionale,in cui ho sempre a che fare contanta gente. Solo a Basilea, l’annoscorso abbiamo registrato più di70000 visitatori e accolto più di300 gallerie d’arte provenienti datutti i continenti e che rappresen-tano circa 4000 artisti da tutto ilmondo. Nei Paesi in via di svi-luppo, le gallerie d’arte internazio-nali sono pressoché inesistenti.Per sviluppare un simile mercatod’arte ci vogliono stabilità econo-mica e un certo potere d’acquisto.In questo momento, da noi sonopresenti solo due gallerie d’arteafricana, entrambe giungono dalSudafrica. Nello spazio asiatico registriamo invece un’importantecrescita di collezionisti, artisti egallerie d’arte. Ecco perché pernoi è opportuno sviluppare com-mercio e relazioni anche a HongKong. Si tratta di un compito inte-ressante visto che in molti Paesiasiatici la storia dell’arte contem-poranea è ancora molto giovane e le differenze a livello politico e storico-culturale sono enormi.

(Testimonianza raccolta da Mirella Wepf)

Libri

trovare delle scappatoie legali,come quando imposta un conta-tore elettrico in modo che giriall’indietro affinché, invece dellabolletta della luce, il proprietariotrovi un abbuono nella sua bucadelle lettere. In Kirghizistan chiha il cuore magnanimo nonviene sempre ricompensato. Nelsuo film The Light Thief, AktanArym Kubat racconta, in tonileggeri e spiritosi, la vita quoti-diana in questo Paese dell’Asiacentrale che da poco ha conqui-stato l’indipendenza e ci mostrache la popolazione deve impa-rare a gestire la nuova libertà. Ilregista non si limita al ruolo diosservatore, ma si cala pure neipanni del protagonista.«The Light Thief» di Aktan ArymKubat, DVD, originale con sottoti-toli in tedesco e francese. Per informazioni e ordinazioni:www.trigon-film.org o tel. 056 430 12 30

Globi, contadino ecologista(bf ) Il libro Globi, der schlaueBauer è uscito in concomitanzacon l’Anno internazionale dell’a-gricoltura familiare. L’opera a fumetti è stata pubblicata con lapartecipazione della FondazioneBiovision e grazie al contributofinanziario della DSC. Il pappa-gallo Globi è chiamato a occu-

parsi temporaneamente di unafattoria e ne approfitta per tra-sformare l’azienda agricola tradi-zionale in un’azienda biologica.Quando le rondini nella stalla gliraccontano che anche in Africavi sono dei contadini che prati-cano l’agricoltura biologica,Globi decide di partire subitoper il Kenya e affida la fattoriaall’intrepida Globine. Nel Paesedell’Africa orientale, Globi in-contra Barke, una contadina ap-passionata di agricoltura biolo-gica. Barke gli mostra alcunimetodi per coltivare la terra inmaniera ecologica. In Svizzera,Globi sperimenta altre tecnicherispettose dell’ambiente. Al suoritorno, l’anziano contadino èentusiasta della sua fattoria. E quando sua figlia decide disuccedergli nella gestione dell’a-zienda, il lieto fine è davveroperfetto.«Globi, der schlaue Bauer», illustra-zioni: Samuel Glättli; versi: JürgLendenmann; Orell Füssli Verlag,marzo 2014, (titolo della versionefrancese: Globi, le paysan futé)

Storie anziché cifre (zennt) Dal 1998 al 1999 il conflitto armato in Kosovo hacostretto migliaia di persone afuggire e ad abbandonare tutto. Chi non ha potuto far ritornonei luoghi natali si è visto spessonegare i diritti fondiari. Per que-sto motivo, dal 2006 la KosovoProperty Agency KPA, sostenutadalla Svizzera, verifica ufficial-mente i diritti di proprietà. Il libro The Fates Behind theNumbers illustra questa realtà attraverso i ritratti di una ven-tina di persone, le cui vicendesono state seguite dall’agenziaKPA.«The Fates Behind the Numbers»di Agathe C. Mora, inglese-alba-nese-serbo, Pristina Press, Pristina2013; il libro può essere ordinatodirettamente presso la DSC: [email protected]

Rapporto annuale 2013Il rapporto annuale della coope-razione internazionale dellaSvizzera presenta i principali ri-sultati ottenuti congiuntamenteda DSC e SECO nella lottacontro la povertà e per la ridu-zione dei problemi globali. Iltesto si concentra in manieraparticolare su alcuni aspetti car-dine dei progetti nei Paesi emer-genti o in via di sviluppo, comel’attività in contesti fragili o lacreazione di posti di lavoro.È possibile scaricare o ordinare ilrapporto a partire dal mese di giugnosu www.dsc.admin.ch

Gregory Batardon

«L’essenziale è parlare apertamente delproblema e riconoscere che nel nostroPaese la corruzione esiste».Dasho Neten Zangmo, pag. 13

«L’anno scorso, il 97 per cento dei siriani iscritti nelle scuole libanesi haabbandonato gli studi».Maha Shuayb, pag. 19

«La nuova generazione di registi fa unottimo lavoro, ma la maggior parte dellaproduzione rimane misconosciuta».Alex Moussa Sawadogo, pag. 32