TraMonti 2008

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Bollettino d’informazione riservato ai soci 2008 Club Alpino Italiano Club Alpino Italiano Giacomo Toni valdarno sezione inferiore valdarno sezione inferiore

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Bollettino d'informazione CAI Sezione Valdarno Inferiore Anno 2008

Transcript of TraMonti 2008

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Bollettino d’informazioneriservato ai soci 2008

Club Alpino ItalianoClub Alpino Italiano

Giacomo Toni

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inferiorevaldarno

sezione

inferiore

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In copertina:Everest dal Kala Pattar m 5545 (foto di C. Mugnaini)In IV di copertina:Il Sass Putia e le arenarie della Val Gardena dal Passo delle Erbe-Dolomiti (Foto F. Mantelli)

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Tesseramento 2008Soci ordinari

Soci familiari

Soci giovani (dal 1991 in poi)

€ 36,00

€ 17,00

€ 12,00

€ 1

ddalla 1991991 i1 in p i)oi) € 1

Al 31 Dicembre 2007 gli iscritti erano 207 così ripartiti

1 117 soci ordinari

1 51 familiari

1 14 giovani

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di cui nuovi

1 Dà diritto a ricevere “La Rivista” e “Lo Scarpone” (solo ai soci ordinari)1 Copre con un’assicurazione le spese d’intervento delle squadre di soccorso alpino e dell’elicottero in caso di incidente in montagna1 Consente (esibendo la tessera con il bollino) di ottenere priorità di accoglienza e particolari condizioni di sconto nei rifugi del CAI1 Permette di acquistare a prezzi agevolati le pubblicazioni del CAI e del TCI1 Dà diritto a partecipare a tutte le iniziative delle Sezione con particolari agevolazioni

Si ricorda che l’iscrizione al CAI:

Si invitano i Soci a rinnovare l’iscrizione entro il 31 marzo 2008, per la continuità della copertura assicurativa. Per informazioni sul tesseramento contattare il socio incaricato Giancarlo Duranti al numero 0571 242794.

L’iscrizione per il 2007 è valida fino al 31 marzo 2008.

Ulteriori informazioni si possono avere in sede il venerdì dalle ore 21,30.Telefono 333 3355156

www.clubalpinoitaliano.it e-mail: [email protected]

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[email protected]

SEDESez. Valdarno Inferiore Club Alpino Italiano

Piazza Vittorio Veneto 4 - 50054 Fucecchio FI

TELEFONO333 3355156

E-MAIL

INTERNETwww.clubalpinoitaliano.it

in questo numeroIl saluto del presidente (F. Mantelli) 02

Solo un saluto (G. Sani) 06

Tutto in cominciò con... (G. Morichetti) 10

Il nostro primo 6000 (S. Bonfanti, C. Mugnaini) 14

Granta Parei (M. Malvolti) 20

La Valle delle rocce sacre (G. Sani) 24

Perf caso... e per passione (A. Lusini, M. Aiazzi) 30

Monte Pelmo (G. Roggi) 33

Tre vette in tre giorni (F. Di Stefano, E. Priori, C. Strabbioli) 35

Una vacanza diversa (G. Morichetti) 39

Un luogo magico (V. Santini) 42

Programma escursionistico 2008 45

Organigramma della sezione 49

PRESIDENTEFrancesco Mantelli Tel. 334 3568049

SEGRETARIO

Michela Malvolti Tel. 347 6790752

ORARI APERTURA

Venerdì 21:30/23:30

Bollettino di informazione riservato ai soci Sez. Club Alpino Italiano “Giacomo Toni” Valdarno Inferiore

Coordinamento e redazione a cura diVittorio Santini

Le foto riportate in questo bollettino, quando non indicato l’autore, sono fornite dai vari soci che hanno partecipato alla redazione.

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Propenso a fare più bilanci che progetti, prudenza vorrebbe che dovrei limitarmi ad un saluto frettoloso e poco più per dire: ecco, così è stato deciso e per almeno tre anni, salute permettendo, ci sono io!Non mi è comunque difficile iniziare richiamando alla memoria dei soci, soprattutto quelli entrati da non molto nel nostro sodalizio, da dove veniamo, non per le solite frasi di rito, ma perché se oggi esistiamo, ciò è grazie alle idee e all’impegno di chi ci ha preceduto e pertanto viene spontaneo ricordare il dott. Luigi Pacini che agli inizi degli anni ’70 lanciò l’idea di una sezione del Club Alpino Italiano nel nostro territorio. La volle con tale determinazione che riuscì a saltare perfino la fase di sottosezione ed approdare alla sua realizzazione nel 1974. Luigi è stato poi presidente per diciotto anni e ancora oggi non si dimentica di venire a trovarci e partecipare a qualche iniziativa.Vorrei ricordare inoltre il nome di questa sezione, soprattutto ai più giovani: Sezione Club Alpino Italiano Valdarno Inferiore “Giacomo Toni”. Giacomo era

un tempo uno dei più presenti e impegnati soci della nostra giovane sezione; ci ha lasciati nel pieno della sua gioventù. Per tornare ai giorni nostri, per non scivolare in avventate promesse che poi si fa fatica a mantenere, credo che molto di più abbia da dire chi recentemente, in precedenza, è stato presidente di questa sezione. Per lui, non solo è più facile raccontare quel passato, ma è anche in qualche modo appagante perché si diventa presidente di una sezione del CAI (in particolare una piccola sezione come la nostra) quasi sempre per il desiderio di dare un contributo di idee e di partecipazione e mai per altri scopi e quindi alla fine c’è un raccontare sereno di quelli che erano i progetti e quanto si è realizzato negli anni appena trascorsi.Non voglio in queste poche righe fare una relazione di programma triennale

Francesco Mantelli

Il saluto del presidente

Sul monte Gennaio 29 Novembre 2007Sul Sul ll tmontmon e Gee Gennainnaio 29o 29 Nov Novembrembre 20e 200707

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anche perché alla fine non ho molto di così nuovo e diverso da coloro che nei diversi mandati di presidenza mi hanno preceduto. Dirò solo che, in relazione alla conduzione di una sezione del Club Alpino, le idee che mi sono fatto, non certo da ora e per l’attuale ruolo, sono quelle che prevedono una maggiore integrazione delle principali anime che attraversano il modo di vivere la montagna. Forse perché le varie anime le ho percorse in gran parte (e in parte cerco di percorrerle ancora), mi sembra più facile trasmettere questo modo di vedere che non costituisce niente di nuovo, ma che talvolta pone delle difficoltà attuative perché l’abitudine a lavorare in modo trasversale, a coltivare interessi a tutto campo, non è

facile. La montagna si conosce e si vive attraverso vari percorsi, fra questi, non necessariamente in successione, l’attività escursionistica, l’alpinismo classico, la conoscenza del mondo interno delle montagne: la speleologia. Le difficoltà di una “conoscenza generale” della montagna nascono dal fatto che l’approfondimento di varie discipline richiede grande impegno e dedizione, così chi fa alpinismo di alto livello, almeno per un po’ di anni, dovrà concentrarsi su questa attività e non disperdersi in altre. C’è chi ha fatto grandi percorsi, con eccellenze in ogni campo oppure chi ha fatto come me, spaziando un po’ su tutto, ma a livello basso. Resta da una parte, ma non certo marginale, quella attività di montagna legata agli aspetti scientifici: dalla geologia alla geomorfologia e agli studi ambientali. Ricordo che alla fine del ‘700 si saliva il monte Bianco con i barometri per misurare la variazione della pressione atmosferica, oggi si spendono molte energie per la misurazione dei ghiacciai, purtroppo per constatare la loro regressione, perché le montagne sono un grande serbatoio di informazioni sul clima passato e quello presente, quindi territorio privilegiato per indagare sulla grande emergenza attuale: il cambiamento del clima. Nei nostri luoghi, non avendo nei dintorni ghiacciai da misurare, la nostra sezione ha dato un notevole contributo alla conoscenza degli aspetti storici delle Terre Alte, con i lavori di Giancarlo Sani e collaboratori allo studio delle incisioni rupestri nelle aree montuose delle Alpi Apuane e dell’Appennino toscano.* Se riesco a non divagare troppo, provo a ricordare che il ruolo del presidente, oltre ad ottemperare a quanto è riportato nell’articolo del dello statuto del Club Alpino Italiano**, almeno nel nostro ambito, è quello di un gestore degli equilibri delle varie componenti, operazione tuttavia non complessa in una realtà come la nostra dove storicamente c’è sempre stata una interconnessione di varie attività: chi si muoveva bene sul V° non ha avuto difficoltà a fare da accompagnatore *Sintesi di quelle ricerche sono state pubblicate da Giancarlo Sani sui nostri bollettini 2006 e 2007.**Statuto del Club alpino italiano. Art. 1– Costituzione e finalità: il Club alpino italiano (C.A.I.), fondato in Torino nell’anno 1863, per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale.

Alba sulle colline della Val d Elsa 12 Ottobre 2006AlbaAlbaAlbAlb sulsulle cle olliolli dne della Val d’Elsa 12 O12 Ottobttobre 22re 200600600600006

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negli itinerari di escursionismo, chi va volentieri dentro la montagna trova anche il piacere di percorrerla dal fuori, chi arrampica bene in palestra ama anche realizzare salite in ambiente. Quindi non è qui il difficile. Il difficile è altro: come tutte le organizzazioni su base volontaria, l’attività all’interno di una sezione del CAI risente del generale disinteresse di molti a partecipare (a qualunque cosa e per qualunque titolo) perché sono eccessivi oggi gli elementi di distrazione e di coinvolgimento verso mondi individuali dove alla fine si perde anche l’abitudine, e con essa il piacere, di stare semplicemente assieme.Perché non ci mancherebbero idee e voglia di fare, mancano talvolta le braccia, perché se una sera organizziamo una proiezione di un filmato sulla montagna o raccontiamo cose non così usuali o banali, e tutto ciò è costato due mesi di preparazione e alla fine partecipano solo 30 persone, questo è il problema. Ed è il problema di altre associazioni che propongono su piatti d’argento iniziative di alto valore, spesso disertate, in un mondo dove ognuno sembra bastare se stesso, mentre così non è. Tutto ciò non ci induce al pessimismo, ma occorre avere sempre presente qual’è il quadro in cui oggi ci muoviamo e ci muoveremo nel futuro: l’eccessiva offerta di occasioni per spendere il proprio tempo nei modi più diversi; questo è certamente un bene, tuttavia le offerte sono spesso superficiali, come i giornali gratuiti che ci vengono offerti ogni mattino che non fanno né cultura né informazione.

Chiarito il difficile contesto in cui ci troviamo, noi continueremo nei vari e differenti ambiti a proporre il nostro mondo delle montagne, con la stessa determinazione, volontà e impegno che abbiamo messo nei tanti momenti in cui abbiamo affrontato il “nostro mondo in salita”. (E questo vale anche per le grotte, dove si parla di discese, poi alla fine c’è sempre una salita, come in tutte le cose della vita………..). Sembrerebbe quella precedente una frase ben studiata per un’adatta conclusione di questo scritto, in realtà tutto ciò che ho affermato non avrebbe alcun significato

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se non riuscissimo a mantenere quella che ho ritenuto una peculiarità della nostra sezione, quella alla quale altri prima di me hanno contribuito e ai quali ho riconosciuto il merito perché ho sempre creduto che non conta “quanto” si fa ma “come lo si fa”. Quel clima di profondo rispetto, di semplicità e spontaneità così raro non solo nelle differenti associazioni, ma nel gran parte dell’interagire fra gli uomini, ha contraddistinto il nostro lungo percorso. Durante i nostri oltre 30 anni di attività ci sono stati momenti di maggiore o minore attività così che paragonare una presidenza rispetto ad un’altra su quanto è stato fatto nell’una o nell’altra non ha senso: ognuno è figlio

del proprio tempo e quindi non potevano esserci attività, che hanno qualificato anche molto la nostra sezione, nei tempi e nei momenti diversi da quando sono avvenuti. Resta invece quel comune denominatore che è sempre stato il mio punto di riferimento e che non ho perso occasione per rimarcarlo in scritti precedenti; già diversi anni fa scrivevo: “E’ questo un aspetto che mi interessa particolarmente: la vita di questa isola di correttezza e serenità che si chiama Sezione Club Alpino Italiano Valdarno Inferiore Giacomo Toni ”***. Ma questo nostro modo di essere non è stato solo una mia fugace e personale impressione se qualcuno, che aveva ricoperto anche importati incarichi, successivamente scriveva: “[In questa sezione] Vi ho trovato spontaneità, cordialità e semplicità, qualità difficili da trovare in altri luoghi. Mi è stata vicino e mi ha aiutato a superare momenti difficili, è stata protagonista di giornate felici ma anche di discussioni aperte e di contrasti personali, spesso dovuti all’età più che a problemi sostanziali”.Quindi, alla fine, la nostra sezione non è stata e (al momento) non è, il luogo da cui promuovere le grandi imprese (ma potrebbe anche esserlo…e comunque qualcosa abbiamo fatto), o il luogo delle cento iniziative, ma il luogo dove c’è questo spirito che ci ha contraddistinto e senza il quale vano sarebbe tanto agire. Io credo che, alla fine, un mandato presidenziale lo misureremo sulla capacità di mantenere questo valore e di saperlo trasmettere a coloro che verranno.*** F. Mantelli – Per Vittorio Santini. Boll. Sez. Club Alpino Italiano “Giacomo Toni” Valdarno Inferiore, 1999, pag. 2-4.

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A Francesco non potevo dire di no! Allora ho preso la mia lunga penna, l’ho “intinta” nel nero calamaio e…… lentamente le parole hanno preso forma in quello che è il mio saluto dopo sei anni di presidenza della Sezione Cai Valdarno Inferiore “Giacomo Toni”. Per prima cosa voglio ringraziare tutti i consiglieri che mi sono stati vicini nei due mandati e tutti i soci che hanno avuto incarichi gestionali (magazzino- tesseramento- biblioteca- museo- manutenzione sede) senza il loro appassionato “lavoro” la sezione non sarebbe oggi così accogliente. Poi il mio ringraziamento più grande che va a tutti i soci, vecchi e nuovi, che in questi anni hanno frequentato la sezione e partecipato alle nostre gite e iniziative.Accenno solo ad alcune tra le tante cose che sono state realizzate in questi anni

e che mi hanno dato grande soddisfazione e credo siano state importanti per la sezione: prima di tutto il fatto che ho visto crescere tanti soci come “esperti” della montagna nei vari aspetti e quindi capaci di organizzare gite per la sezione accompagnando gli escursionisti con competenza e in tutta sicurezza anche facendo cose un po’più difficili (e forse in maniera diversa) che camminare su un comodo sentiero dando loro sicuramente delle emozioni. Con molti di loro è nato anche un sentimento d’amicizia e questo è un patrimonio che mi porterò sempre dentro. E’ molto bello credetemi.Sono stato fortunato dato che ho potuto presenziare anche ad un avvenimento di grande importanza: i festeggiamenti dei primi 30 anni di vita della nostra sezione.Sono venuti a trovarci personaggi illustri come il mitico Achille Compagnoni, che nel 1954 ha conquistato (con Lino Lacedelli) il K2 la più affascinante montagna del nostro pianeta e Sergio Martini, uno dei pochi uomini al mondo ad essere salito in vetta a tutti i 14 ottomila. Infine permettetemi di ricordare l’iniziativa

Giancarlo Sani

Solo un saluto

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Giancarlo Sani durante l assemblea dei soci GianGianGianGiGi carlcarlo Sao Sani dni duranurante lte ’assssemblemblea dea dei sei sociocidel 31 marzo 2007

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30 anni- 30 soci- 30 vette che nacque dalla mia testa ma che non avrebbe avuto successo se tutti nel consiglio non ci avessero creduto e aiutato a realizzarla. Iniziativa che ebbe un notevole impatto sui media : Articoli sui giornali, passaggi in radio con interviste in studio e in diretta mentre eravamo in montagna e anche la televisione con un breve filmato.E’ stata un’esperienza stupenda credo per tutti i partecipanti e un momento di gran visibilità della sezione. Altra cosa importante è stata la nascita di due nuove commissioni: quella speleologica e quella di “Terre Alte”, che agiscono in due ambiti molto diversi tra loro ma credo interessanti. La Commissione speleo è numerosa e molto attiva; i vari componenti, oltre a corsi interni, si sono cimentati con un corso ufficiale con gli amici di Livorno e come non ricordare alcuni simpatici video da loro realizzati. “Terre Alte” è per il momento poco partecipata, ma molto attiva sia organizzando ricerche sul territorio toscano e non solo, sia partecipando a convegni nazionali e internazionali dove vengono illustrati i risultati raggiunti. Sicuramente crescerà. Entrambe sono state portatrici all’esterno del nome in positivo della nostra sezione. Due parole sul nostro bollettino “Tramonti” che in questi ultimi anni ha subito una notevole trasformazione grafica e di contenuti, un grazie a Santini e a Mantelli che ogni anno ne curano l’uscita.Negli ultimi tempi ho avuto la possibilità di diffondere Tramonti anche in ambienti diversi dal nostro e vi posso assicurare che ho ricevuto vivi complimenti su com’era fatto. Un solo neo, non ce la facciamo mai ad uscire nei tempi giusti. Chissà se quando leggerete queste righe non sia avvenuto il miracolo. Infine la gestione economica della sezione: abbiamo fatto attività, ci siamo divertiti, abbiamo acquistato libri, materiale per iniziare l’attività speleo, infine un proiettore per il computer che sarà utile alle varie commissioni per presentare al

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meglio la loro attività. Non abbiamo “lesinato” a spese per il trentennale e siamo riusciti a chiudere il bilancio ogni anno in positivo, al massimo in sostanziale pareggio. Un grazie a Moreno che tiene con meticolosità e precisione i conti.Chiudo per il passato ricordando la stesura del nuovo statuto della sezione e il doveroso, da parte mia, grazie a Cesare Marchetti curatore di una prima stesura poi aggiornata di recente su indicazione della sede Centrale.Per quanto riguarda il sottoscritto che dire sennonché è stata una esperienza molto bella e che mi ha aiutato a crescere (tutte le esperienze della vita servono a crescere anche quando a una prima affrettata analisi sembrano avere contribuito in senso negativo). Sono contento ma a metà poiché per ragioni che esulano dalla sezione e dal mondo della montagna e che molti di voi conoscono, è diminuito il mio impegno sia per la presenza in sede ma soprattutto per la presenza sul campo: la Montagna. Toltami la possibilità di organizzare escursioni impegnative e gite sociali, il trovarsi sempre in prima fila (come facevo prima) in quasi tutte le attività che sono sempre cresciute in qualità in questi ultimi anni, credo che il mio essere presidente della sezione sia stato minato nella caratteristica principale del mio agire: esserci con tutti quelli che hanno voglia di fare e di dare, per se stessi e, in maniera assolutamente disinteressata, per la sezione.Chi è attualmente alla guida del nostro sodalizio non deve mai perdere di vista questi due semplici punti di riferimento: amore per la montagna e tanta voglia di stare in mezzo ai soci che è la vera e unica risorsa della sezione. Mi appresto a chiudere ma devo dire anche due cose e sono le più importanti per il futuro: L’universo Montagna, in tutte le sue molteplici sfaccettature, è molto cambiato in questi ultimi anni, il Cai che ha sempre cercato di rappresentare al meglio questo mondo e i suoi appassionati ma credo per farlo al meglio debba profondamente rinnovarsi, snellirsi nella sua mastodontica burocrazia che se da una parte ci vuole per gestire le centinaia di migliaia di soci dall’altra fa sentire ogni singolo umile socio l o n t a n o dalla Sede Centrale. Condivido molte delle cose che il presidente Salsa dice da alcuni anni per il suo necessario r i l a n c i o : puntare sui giovani.Vogl iono tutto e

08Giancarlo con Andrea lungo la Ferrata Siggioli (Alpi Apuane)GGiani carlarlo coo con Ann Andreadrea lunlungo lgo la Fea Ferratrrata Sia Siggioggioli (li (AlpiAlpi ApuApuane)ane)

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subito. Credo che sia un’ atteggiamento sbagliato ma abbastanza e presto può andar bene e sia realizzabile. Trenta anni fa partecipare a una gita in montagna organizzata dal Cai poteva essere un avventura, ora no, per suscitare emozioni e passione bisogna fare di più, logicamente con metodo e competenza e con la necessaria sicurezza. I giovani vogliono fare grotte, alpinismo, arrampicata sportiva, torrentismo, scialpinismo e chi più ne ha più ne metta. Ma per fare questo siamo davanti al solito eterno problema: primo ci vuole persone capaci (nei fatti e non a parole) e che abbiano voglia di fare anche a costo di sacrifici. E poi bisogna essere “certificati” altrimenti non è possibile fare, ufficialmente, nulla.La nostra sezione si sta attrezzando, abbiamo al momento tre accompagnatori di escursionismo, due istruttori e cinque aiuto-istruttori di speleologia in grado di organizzare corsi ufficiali in autonomia mentre per l’alpinismo ci si deve appoggiare a una scuola riconosciuta, cosa che abbiamo fatto nel passato.La strada è lunga ma abbiamo imboccato il sentiero giusto.La cultura è il secondo punto: camminare vedere esplorare per conoscere, il Cai nazionale ci crede e ci sta investendo: Rifugi come presidi della cultura, “Terre Alte” per scoprire le nostre radici, Ambiente per insegnare il rispetto della natura e tante altre cose.Ma anche qui servono risorse e energie.E infine la Comunicazione: bisogna uscire dalla sede, coinvolgere la cittadinanza, la gente comune, le istituzioni, le scuole.Un esempio: un documentario (fotografico o video) possibilmente fatto bene da qualche socio e fatto vedere in sede serve sicuramente al nostro interno ma se lo facciamo in un locale pubblico dove siano presenti cittadini, scolaresche e perché no anche i rappresentanti delle istituzioni locali servirebbe molto di più alla sezione per essere conosciuta meglio e per mettere un altro tassello (di massa) alla conoscenza della montagna. Certo, questo richiede un grande sforzo organizzativo ma che soddisfazione sarebbe realizzarlo. E la comunicazione (utilizzando i media) è il primo strumento per riuscirvi: giornali, pubblicazioni a larga diffusione, radio e tv locali con interviste e possibilità di far conoscere i nostri programmi e la nostra attività.Quindi: Giovani, Cultura e Comunicazione.Finisco davvero dicendo nuovamente un grazie a tutti voi per l’esperienza che mi avete fatto vivere in questi sei anni, esco tranquillo dal ruolo di Presidente perché sono assolutamente sicuro per i motivi che dicevo all’inizio, crescita individuale come escursionisti e capacità di direzione, che il nuovo consiglio direttivo e il suo neo-presidente Francesco Mantelli saranno all’altezza delle sfide che li attendono e faranno fare ancora un passo avanti alla nostra piccola grande sezione come io da sempre l’ho chiamata.“La memoria conta veramente- per gli individui come per la collettività- solo se tiene insieme l’impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare”. Vi abbraccio tutti con amicizia.

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In un caso come questo avrei iniziato da “tutto incominciò con…” ma in realtà non saprei dire esattamente come e perché tutto incominciò e con precisione neppure quando.Nella nostra Sezione per oltre una ventina di anni nessuno si era mai preoccupato di entrare in una grotta che non fosse turistica e tanto meno di fare speleologia, poi deve essere successo qualcosa.In effetti Andrea L., che per la verità la speleologia l’aveva provata, aveva invitato una rappresentanza del GSF, Gruppo Speleologico Fiorentino al quale allora apparteneva, a fare una proiezione di diapositive di grotta presso la nostra sezione; l’iniziativa si dimostrò interessante ed ebbe infatti un discreto successo in quanto a partecipazione. In seguito, con la moglie Emanuela, aveva perfino organizzato un’escursione al Tanone di Torano, una grotta facile dalle parti di Carrara, dove avevano accompagnato alcuni volenterosi allo scopo di mostrare loro le viscere di una montagna.Successivamente Giancarlo con Francesco, nomi legati in gioventù al mondo della speleologia, avevano accompagnato una ventina di noi a scendere

e risalire il Canyon all’Antro del Corchia in modalità escursionistica ed alpinistica. Un ambiente affascinante che però, anche in questo caso, obiettivamente non mi pare che abbia suscitato entusiasmi tali da scatenare una passione seria per la speleologia; oppure, chissà che tutti questi impulsi non siano che un seme dietro l’altro messi a dimora in attesa che germogliassero? Difficile se non impossibile dare una risposta certa. Intanto Giovanni e Domenico ripresero l’idea con qualche eletto iniziando però dalla fine del percorso anziché dall’inizio, cioè dall’insegnamento delle tecniche di discesa e di risalita in modalità speleologica. Ricordo ancora le prove improvvisate sulla corda appesa alle scale della Sezione. Inizialmente ci fu un discreto entusiasmo, in diversi

Giovanni Morichetti

Tutto incominciò con...

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Palestra di Campocecina Palealestrastra di Campocecina

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presto fecero qualche esperienza anche in ambiente, fra notevoli difficoltà soggettive ed oggettive: era scarsa la dimestichezza con gli attrezzi, era nulla la preparazione fisica per quel nuovo genere di attività, era difficile l’approccio con l’ambiente, di per sé ostile, sia per la scarsità di luce che per il notevole tasso di umidità ed anche a causa di ciò l’abbigliamento risultava inadeguato. Le

attrezzature allora venivano prese a noleggio dal GSF anche per il tramite di Nicola che nel frattempo aveva fatto lì il corso, proprio lui che alla prima esperienza (quella con il Sani) ne era uscito in anticipo terrorizzato.Come sempre in questi casi la selezione naturale è un fatto logico e inevitabile, qualcuno ha mollato tutto, mentre altri si sono qualificati e specializzati.Arriva presto il tempo in cui Andrea comincia a chiedersi ed a chiederci cosa farne di quelle conoscenze: se continuare a giocare di grotta in grotta oppure se dedicarle alla crescita numerica e soprattutto qualitativa del gruppo. Un po’ presuntuosamente il suo pensiero era già allora quello di dare vita ad una scuola di speleologia nell’ambito della Sezione. Con qualche sacrificio e con un pizzico di fortuna le cose sono andate verso quella direzione e per qualche tempo si sono fatti di anno in anno degli “incontri per l’avvicinamento alla speleologia” reclutando i partecipanti, per lo più giovani, alle manifestazioni di Marea. Come sempre accade, se siamo fortunati, 3 su 100 rimangono e noi siamo stati fortunatissimi, è stato quasi un successo. Poi la passione e l’entusiasmo hanno fatto il resto, è stata un’evoluzione verso la crescita a 360 gradi. Il gruppo assume il proprio nome “Speolo l’ottavo nano” all’interno della Sezione e si avvia alla fase di decollo. In effetti questo è solo l’inizio, la cosiddetta fase uno, la costituzione della scuola di speleologia continua ad essere un desiderio lontano, un sogno.La fase due inizia con la partecipazione del gruppo ad un incontro di teoria e tecnica presso la sede dell’USB a Bologna; bellissima esperienza nella “tana” di un gruppo speleologico “vero”: era l’inizio del percorso che ci avrebbe portati a partecipare allo stage di Arni 2005 ottenendo per risultato la nomina di quattro aiuto-istruttori.Effettivamente eravamo andati in massa allo stage ad Arni, coscienti delle nostre capacità, ma ancor più delle nostre lacune e delle nostre debolezze.La più grave di queste era l’essere praticamente degli sconosciuti nell’ambiente della speleologia. Giovanni continuava a ripetere che era importante andare

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Palestra di Campocecina PalePalel strastra didi CaCampocecina

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in grotta alla pari del frequentare altri gruppi, partecipare agli incontri, fare esperienze con altri, in quanto tutto questo sarebbe equivalso a farsi conoscere.Lo abbiamo fatto poi con costanza grazie a quelli che diventeranno i nostri amici, quelli del gruppo speleologico GSAL di Livorno. Oggi è anche a ciò

che loro ci hanno trasmesso che dobbiamo il successo della fase due che si è conclusa a Carrara il 22 e 23 Luglio scorso con la qualificazione a istruttore di due dei quattro aiuto istruttori presenti nel gruppo e della nomina di altri tre aiuto-istruttori, due dei quali, Linda e Sandro, provengono dai nostri precedenti incontri per l’avvicinamento alla speleologia: questa ultima ciliegina è stata una soddisfazione che non ha del pari.Finalmente possiamo lavorare per la concretizzazione della fase tre che culminerà con la costituzione della scuola.Ma è dell’atto conclusivo della fase due che volevo parlare più diffusamente, dal suo esito sarebbe dipeso il futuro di tutta l’attività: se il risultato fosse stato positivo si sarebbe potuta costituire la scuola, per contro, in caso di esito negativo, avremmo corso il serio rischio che il gruppo fosse potuto sparire per sempre.Qui si può veramente dire “tutto incominciò con” un corso di 2° livello ad Arni il 26/27 Maggio scorso, dove c’era tutta la crema degli istruttori di speleologia di Toscana ed Emilia, due regioni in speleologia forti per antonomasia. Tutto proseguì a Carrara in una cava di marmo di Campo Cecina in disuso che

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Palestra di Campocecina P lPalestrastra didi CCampocecinai

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Raffaele ha attrezzato a palestra, dove con molta modestia, ma schietti e senza remore, insieme ad altri allievi ci siamo confrontati con gli istruttori. Ne sono risultate due esperienze estremamente positive e valide che ci hanno dato la fiducia, anzi la convinzione di poterci credere. Questa volta, nel bene e nel male, non ci potevamo permettere di andare allo sbaraglio come ad Arni 2005, ora eravamo conosciuti, si cominciava ad avere un po’ di credito, anche se solo un po’.Siamo andati a Campo Cecina, quelli giusti, quelli che avevano la grinta per reggere anche sul piano psicologico oltre che quello teorico e tecnico, effettivamente almeno altri due sarebbero stati in grado, ma per motivi diversi non hanno potuto partecipare; sappiamo che sarà per la prossima volta.Onestamente dobbiamo ammettere che all’inizio ritenevamo che la cosa fosse un poco più semplice, invece è stata dura per il motivo che anche gli istruttori ora ci conoscevano, sapevano di poter chiedere e lo hanno fatto, per non rischiare di farsi dire che ci avevano semplificato la vita ce l’hanno complicata, anzi ce l’hanno resa dura.Oggi che le cose sono andate come sono andate ne siamo contenti anche noi, anzi ne andiamo proprio fieri. Siamo arrivati qui senza regali e senza sconti dimostrando che ci siamo realmente impegnati; sta a noi ora dimostrare che per il futuro esiste una sola direzione: andare avanti verso la fase tre.

13Locandina dello stageLocaLLocaLoca ddindinndina dea dellollo stagstage

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E’ arrivato…il 14 ottobre 2007….finalmente ci siamo, si parte per una nuova esperienza, la prima a quote superiori ai nostri 4000 m. Siamo a Milano Malpensa, destinazione Kathmandu, in Nepal, dopo due scali, uno a Doha in Qatar ed uno a Dheli in India.Non siamo ovviamente da soli….dal Piemonte otto membri del Cai di Fossano (CN) Giorgio, Racheliano detto il Rache, Ernesto, Renata, Giuseppe, Giovanni detto il Nini, Franco, Vittoria, il loro presidente Osvaldo e la guida alpina di Alagna Martino Moretti con la moglie Bianca, dalla Lombardia Livio e Fiorenzo, dalla Toscana Andrea; siamo quindi in compagnia di persone che vivono ai piedi di montagne come il Monte Rosa o il Monviso e questo ci fa sentire un po’ gli “inadeguati” della situazione in quanto noi le raggiungiamo con 5 ore di macchina, loro nella pausa pranzo. Il viaggio, studiato da Martino Moretti e dalla sua esperienza, prevede 8 giorni nella Valle di Gokyo, la regione dei laghi d’alta quota, quella meno frequentata dai

Island Peak 6189 metri

Il nostro primo 6000

Susanna BonfantiClaudio Mugnaini

14Everest e Nuptse dal kala Pattar 5545EEverestest e Nue Nuptseptse dalda kalkala Paa ttar 5545

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trek per via del difficile acclimatamento, la più fredda ed anche quella con minor possibilità di contatti con la civiltà; poi 9 giorni nella Valle del Khumbu per tentare con 4 giorni di trek la salita in vetta all’Island Peak o Imja Tse in lingua locale.La mattina del 15 ottobre arriviamo a Kathmandu (4.30 ore in più rispetto all’Italia)

ed il giorno successivo ci fermiamo per organizzare il noleggio e/o l’acquisto del materiale mancante per l’inizio del nostro giro; è l’occasione anche per dare un’occhiata ad alcuni scorci di questa metropoli. Il traffico è più che caotico: è l’anarchia viabilistica totale. Auto, moto, bici, motocarri, risciò si mescolano in una interminabile cacofonia di clacson. Occorrono un buon paio di minuti per renderci conto che in Nepal si tiene (teoricamente) la sinistra, e poco più per stupirci che nonostante l’andatura a passo d’uomo tutti i conducenti mantengono una calma che attribuiamo al fatalismo orientale. Il nostro albergo è a Thamel, il centro di Kathmandu, le strade sono ancora più strette e caotiche della media, gli edifici letteralmente ricoperti da una miriade di insegne commerciali. La mattina del 17 ottobre partiamo, destinazione aeroporto Tribhuvan, scalo voli interni. Lo scalo è uno spettacolo quantomeno inconsueto per un occidentale: in un salone affollato di portatori, guide, turisti, si ammucchiano ceste, sacchi, bidoni, zaini in una confusione mostruosa. In una gabbia vediamo un paio di galline:si presume brodo in vista per qualche spedizione. Dopo 4 ore di attesa, la nebbia se ne va e ci godiamo l’avventuroso volo Kathmandu-Lukla su un bel bimotore ad elica con una ventina di posti.

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Lungo il ghiacciaioLungLungo ilo il ghighiacciacciaiaio

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Arrivati a Lukla abbiamo preso contatti con i nostri portatori e ci siamo stupiti nel constatare che erano ben 25 persone tra portatori e sherpa, 8 yak ed il sirdar (il capo sherpa), tutte quelle persone per noi 15! Nel cuore li portiamo ancora con noi Karna, Lapha, Dawa, Nima e Temba, indescrivibile a parole cosa e come sono quei ragazzi. Lukla è un villaggio stupendo, incontriamo le prime ruote di preghiera, ed i primi sassi incisi con le preghiere Buddiste, nonché i chorten (tempietti) da oltrepassare rigorosamente tenendo la sinistra, in modo da aggirarli in senso orario, e ben presto capiamo che questo è il vero Nepal!Iniziamo il nostro trek con un sole stupendo il 17 ottobre alle ore 14 partendo dalle viuzze di Lukla (2800m), direzione Pakding (2600 m), dove arriviamo al tramonto e troviamo il campo già allestito ed una tazza di black tea (bevanda “ufficiale” del viaggio). Il sentiero del trek è un susseguirsi di ponti e di saliscendi, superiamo l’ingresso del Sagarmatha National Park e alla nostra destra compare il Thamserku, un colosso che passa i 6.000 m. e che ci impressiona, con la sua mole

di neve e ghiaccio.La prima notte in tenda è stata fresca ma tutto sommato nessun problema per dormire ed il cibo cucinato dai nostri portatori è ottimo, a base di verdure, chapati (pane tipo piadina), uova e zuppe. Il 18 ottobre con un trek di 5h, dopo aver costeggiato e attraversato su ponti lunghi ed oscillanti il Dhud Kosi, con una costante e ripida salita arriviamo a Namche Bazaar (3400 m),la capitale degli sherpa, dove siamo rimasti anche il giorno successivo per l’acclimatamento, andando a visitare il villaggio di Kumjung (3800 m) con un bellissimo giro ad anello che rende possibile una visione spettacolare dell’Ama Dablam (Madre e la sua collana) 6812 m. Lungo il sentiero da Pakding a Namche Bazar c’è un punto panoramico

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dal quale si riesce a vedere l’Everest: la sua mole tozza e nerastra, vista su tante foto e ancora di più immaginata è inconfondibile; il Colle Sud, la Fascia Gialla, tutti quei nomi appresi dalla lettura dei libri ora prendono forma materiale.I giorni seguenti abbiamo continuato il trek spingendosi sempre più all’interno della valle fino ad arrivare il 22/10 a Gokyo (4800m) , ultimo villaggio dell’omonima valle; lungo il percorso abbiamo costeggiato bellissimi laghi e davanti a noi, imponente, il Cho-You, mentre alla nostra destra inizialmente ed alle nostre spalle dopo, il Cholatse. Il giorno seguente con un sole stupendo, alle 7.30 si parte per affrontare la salita al Gokyo-Ri (5450 m), con leggera nausea e un po’ di mal di testa, però dopo 3h di costante salita, siamo riusciti ad arrivare in vetta e la visione a 360° è unica: montagne maestose, picchi che si innalzano verso il cielo, e quattro 8000 davanti a noi, Lotse, Makalu, Everest e Cho-You. E’ passata la nausea ed anche il mal di testa, il sole riscalda e siamo emozionati, un cielo limpido ed azzurro incornicia un mondo fatto di montagne il cui solo nome ci fa rabbrividire.Il pomeriggio stesso siamo ripartiti per attraversare il ghiacciaio Ngonzumpa e il giorno seguente abbiamo camminato 6.30 ore per superare il Cho-La (passo 5350 m) e raggiungere il primo villaggio della Valle del Khumbu, Dzonghla (4850 m); è stato il giorno più duro dall’inizio del trek, mal di testa costante per buona parte della giornata e nausea ad ogni passo, però siamo a metà della nostra avventura e tutto sommato contenti di riuscire a controllare i nostri sintomi ed i nostri malesseri con qualche Aspirina e con molta forza di volontà.La Valle del Khumbu si è rivelata meno fredda rispetto alla Valle di Gokyo, i 5 giorni di trekking prima della partenza per il campo base dell’Island Peak sono stati meno faticosi ad eccezione della salita al Kala Patar (5545 m).Questa montagna si trova davanti all’Everest e si vede uno scenario surreale: la seraccata del Khumbu, il campo base dell’Everest, il Nuptse, il Pumori ed il Lotse. Le bandierine di preghiera sventolano e noi proprio come sul Gokyo-Ri non ce la facciamo a trattenere l’emozione, accendiamo un incenso e pensiamo all’ultimo obiettivo: l’Island Peak.Il 28/10 arriviamo al Campo Base (5050 m) e ci sentiamo bene, non abbiamo mal di testa, né nausea che negli ultimi giorni ci hanno quasi del tutto abbandonato; questi sintomi si fanno sentire solo a tratti, ormai fanno parte di noi ed abbiamo imparato a conviverci e soprattutto a “tenerli a bada”. Dopo una breve ricognizione del materiale ed il briefing con Martino sulla progressione delle cordate, ceniamo nella tenda-mensa e ci infiliamo nei sacchi a pelo alle ore 20.00, quindi sveglia all’una, alle 2 in punto si parte. Il cielo è pieno di stelle e sembra ti entrino in tenda a quest’altitudine, siamo emozionati e un po’ in ansia per la salita, forse perché non siamo mai stati così in alto, forse perché è un’incognita come ci sentiremo lassù, sia psicologicamente sia fisicamente, comunque ci siamo, e dopo tanta fatica non possiamo mollare proprio ora.All’una e venti siamo fuori dai sacchi a pelo, in tenda ci sono -7°C…fuori è sereno! Tenere tutti i vestiti comprese le solette degli scarponi nel sacco ha funzionato, non sembra troppo freddo. Facciamo colazione con l’immancabile black tea e c’è un clima strano stamani, siamo un po’ tutti tesi ed ognuno è per sé, con i propri pensieri, con le proprie emozioni.

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Alle 2 iniziamo la nostra ascesa: è notte e procediamo nel silenzio più assoluto; il solo segno del nostro passaggio è il rumore degli scarponi, mentre intorno a noi non c’è altro che il nulla. La notte è senza luna e le montagne intorno a noi si intravedono a malapena, illuminate da milioni di stelle che seguono la nostra salita. Il sentiero è ripido, a tratti dobbiamo superare in arrampicata alcune facili roccette. Dopo circa 4.30 ore siamo a 5800 m alla base del ghiacciaio .... è l’alba. Il sole illumina la vetta dell’Ama Dablam alle nostre spalle e ben presto la vetta del Lotse davanti a noi.

Provvediamo ad indossare l’imbrago, calzare i ramponi e ci leghiamo; chi è pronto parte per primo, e si avviano i primi 6 in cordata con Martino (la guida), noi a seguire, siamo in 5 e Karna chiude la fila, il nostro sherpa climber. Il respiro è più affannoso ma la mente è “distratta” dal freddo, soprattutto al viso, e facciamo un continuo check up del nostro corpo… sinceramente per essere a queste quote, tralasciando il freddo e la fatica, stiamo ottimamente!Davanti a noi, ad una decina di metri, la cordata di Martino, il sole inizia a scaldarci, i respiri tra un passo e l’altro sono più frequenti, i passi cadenzati. Il plateau del ghiacciaio che stiamo attraversando è bellissimo, ci sono dei seracchi mai visti prima, dei colori meravigliosi, ti senti “nessuno”…..un “niente” in un mare di ghiaccio. Dopo circa 2 ore arriviamo all’attacco del canale attrezzato con le corde fisse; ce ne sono due e la cordata di Martino ha iniziato l’ascesa, noi ci spostiamo sulla corda parallela ed uno ad uno iniziamo a salire.Il canale (lungo 100 m con pendenza di 50°-55°) ci obbliga a fare una pausa per riprendere fiato ogni 4 passi; il respiro è un po’ più affannoso ma stiamo bene, niente malesseri.Incredibile….superiamo la cordata di Martino, ed arriviamo per primi al colle, non

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possiamo quasi crederci, siamo a 6000 m, resta “solo” la cresta finale, gli ultimi 189 m di dislivello…. unica preoccupazione il vento patagonico che ha deciso di venire con noi. Superiamo abbastanza facilmente gli ultimi tratti della cresta e, senza rendercene conto siamo in vetta! Non riusciamo ancora a crederci…sì, dopo tanta fatica, alle 10.45, siamo a 6189 m sulla cima dell’Island Peak ed è difficile trattenere l’emozione, per fortuna abbiamo gli occhiali…..! Intorno a noi il panorama si apre, offrendoci uno spettacolo incredibile… da sogno! Mentre alle nostre spalle troneggia la parete sud del Lhotse, davanti a noi vediamo tutta la Valle del Khumbu, con l’Ama Dablam e tutte le cime che ci hanno accompagnato durante il nostro cammino . Purtroppo non possiamo godere a lungo del panorama perché la cresta non è abbastanza larga per consentire lo scambio di chi sale e di chi scende, quindi dopo appena 10 min ci apprestiamo a scendere!In 1 ora siamo di nuovo al colle, facciamo una doppia per tornare alla base del canale, dopo 2 ore abbiamo nuovamente attraversato il ghiacciaio e ci apprestiamo a scendere i restanti 800 m, alle 15.30 siamo al campo base e ci infiliamo nei sacchi a pelo.Siamo stanchi ma ce l’abbiamo fatta e già in tenda-mensa dopo una zuppa calda, la fatica è un ricordo, resta solo la soddisfazione e la voglia di provarci ancora, chissà dove, chissà quando….chissà…!Namasté….

19S. Bonfanti e C. Mugnaini sulla cima dell Island PeakS. BS Bonfaonfantinti e Ce C. MugMugnainnainii sulllla cima dell’Island Peak

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C’era una volta una montagna…ma che dico? una montagnona! No, no, fermi non è la solita storia sull’Everest con tutto il rispetto per lui.Il fatto è che, secondo me, una montagna è più o meno grande in conseguenza del valore che ha per chi desidera raggiungerne la vetta, ci sono fattori legati all’emozione, al senso della sfida, ai sentimenti che ti uniscono a quel particolare posto, tante, tantissime cose incidono sul modo in cui guardi il traguardo di fronte a te.Non sono un’esperta né un’alpinista con la A maiuscola ma solo una a cui il mondo delle alte vette piace molto e ci sono arrivata attraverso chi mi ha saputo trasmettere tutto quello che incamminarsi su un sentiero e, passo dopo passo, veder arrivare la vetta significa. Chi lo ha fatto è stato paziente perché non è sempre scontato che avere davanti una difficoltà porti all’istinto di superarla, a volte si torna indietro con rammarico per la sola paura di mettersi in gioco con qualcosa che sembra troppo più grande di noi e io…bhe…per chi mi conosce, in questo, sono un’esperta.Tornando alla nostra “montagnona” vi voglio raccontare una storia, una prima puntata, perché spero un giorno di poter raccontare il finale. Eh già perché la scalata a questa vetta si trascina di anno in anno e la sfida diventa sempre più interessante, ora come ora siamo al secondo tentativo: nel primo ero quella che aspettava al campeggio il ritorno degli spedizionieri, nel secondo ero quella che camminava verso la vetta con il desiderio di arrivarci, se non proprio sopra, almeno il più vicino possibile ma mi sono resa conto di non essere ancora pronta: tecnicamente forse, mentalmente di sicuro.Il luogo misterioso si trova in Val D’Aosta, alla fine della Val di Rhemes, il suo nome è GRANTA PAREI (che a senso credo voglio dire grande parete…e anche se non è così guardando la foto il nome gli sta bene). Non è un dei 4000 delle alpi ma una montagna nella norma, un bel percorso da fare per quanto riguarda l’avvicinamento e decisamente interessante per l’attacco alla cima.La prima volta i due avventurosi soci CAI di Fucecchio che hanno tentato l’impresa si erano preparati studiando le cartine, acquistando libri nelle librerie locali, leggendo e rileggendo le descrizioni del percorso da seguire e, dirò di più, anche interrogando gente del posto.Sulle prime l’impresa sembrava fattibile ma poi…un bel giorno alle cascate di Lillaz, mentre tutti e tre eravamo lì ad arrampicarci per le vie che si trovano poco lontano dell’ultimo salto della cascata comparve uno strano personaggio, un uomo anziano, probabilmente un ex scalatore e fu lui a dare ai nostri due eroi la misura di quello che avrebbero affrontato. Infatti, ascoltandolo raccontare

Granta Parei

Michela Malvolti

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come poter raggiungere la vetta del GRANTA PAREI gli fu chiesto “scusi ma le descrizioni dei percorsi dicono che l’ultimo pezzo consiste nello scalare delle facili roccette, insomma quanto facili sono?” e lui, con un sogghigno compiaciuto rispose: “eh, eh vattele a vedere…e poi me lo dici”. Il gelo scese fra tutti noi…il mistero delle roccette iniziò a incutere un certo timore.La sera prima della spedizione, al campeggio, fu allestito il campo base, di tipo non tradizionale con tutti i confort immaginabili e per affrontare la tensione che si faceva sempre più forte nell’animo di chi si apprestava a compiere l’impresa fu deciso di organizzare un rilassante conviviale a base di vino e carne arrostita (in dosi da sagra). Qualcuno si chiederà: ma non si dovrebbe stare leggeri? Infatti .Nel cuore della notte i nostri due protagonisti si alzarono e zaini in spalla decisero di partire. Il tempo era splendido e il cielo pieno di stelle.Io, frattanto, al campeggio, continuavo a dormire felice pensando che data la cena

forse i due intraprendenti alpinisti sarebbero tornati prima del previsto. Maiale e vino hanno effetti post digestione piuttosto noti.Invece no, il senso della sfida aveva placato ogni eccesso della sera precedente. Ma rimaneva la montagna, lei era il vero ostacolo e con lei le misteriose roccette.Intorno alle sei del pomeriggio, mentre io mi ero attrezzata per accoglierli con tutti gli onori preparando un piatto della tradizione locale (polenta concia con salsiccette, e cioè polenta con fontina condita con salsicce stufate nella cipolla bianca) eccoli di ritorno con le facce sconsole.

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Non ci erano riusciti, l’avventura era stata eccitante, lo spettacolo del paesaggio mozzafiato ma la montagna era cambiata da quanto altri prima di loro si erano diretti verso la vetta: il clima, lo scioglimento dei ghiacciai ne avevano modificato la morfologia e quindi prima il mal di pancia aveva rallentato il programma di marcia e poi una distesa di crepacci sempre più grandi avevano fatto capire che non era prudente proseguire. Le misteriose roccette non erano neanche state avvistate. Dovevamo aspettare ancora un altro anno, la missione era rimandata all’estate successiva.La delusione era tanta ma l’entusiasmo fu subito ritrovato durante la cena.E finalmente entro in gioco io, si perché l’anno dopo anziché Penelope che attende alla base avanzai di rango diventando un membro della spedizione.Dopo un inverno alla prese con ramponi e piccozza, con momenti di sconforto dovuti a situazioni che non riuscivo a gestire fu stabilito che avrei potuto tentare anche io. Scegliemmo un nuovo percorso attaccando la vetta di lato e scansando in questo

modo la spianata dei seracchi.Sulle prime la strada mi sembrava talmente lunga da non finire mai, intorno a me c’era davvero il paradiso e il cielo era di un blu mai visto.Le prime difficoltà arrivarono quando avvistai la neve depositata pochi giorni prima su un declivio pietroso, mi sentivo scivolare e un po’ per la stanchezza e

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un po’ per la poca dimestichezza non riuscivo a essere pienamente stabile sulle gambe.Poi ci avvicinammo a quella che doveva essere la strada di accesso alla vetta… lì finalmente capii il vero senso del nome di quella montagna poiché camminavo, o meglio avrei dovuto camminare, sul bordo della GRANDE PARETE e a quel punto di bocca mi uscirono delle parole, quasi un invocazione di pietà: “…ma qui c’è un strapiombo”. Il mio compagno di avventura scoppiò in un sonoro riso. Ma era vero: di fianco a me c’era il vuoto, solo dopo mi sono resa conto che fra me e la fine della montagna c’erano almeno 4 metri. Mentre ero lì in preda alla fifa nera mi sembrava invece di essere già con un piede di là. Tentai di proseguire ma le mie facoltà razionali si erano già dileguate

e ogni passo mi sembrava un rischio che non valeva la pena di correre, quindi decisi di rinunciare scoppiando a piangere per la paura e la rabbia di sapere che avrei potuto proseguire ma non riuscivo a volerlo abbastanza.E’ un meccanismo strano che scatta nella testa, alcuni superano gli ostacoli con una naturalezza che a volte passa per noncuranza del pericolo, altri, come me, si fanno prendere dal panico di non essere in grado, di non essere all’altezza e lasciano perdere. In tutta sincerità non so cosa sia, da cosa vengano questi atteggiamenti perché è vero che basta mettere un piede davanti all’altro con attenzione e calma ma non è così scontato.Forse la differenza vera sta nel fatto che qualcuno la montagna la guarda con ammirazione e la vive sopra la pelle mentre altri ce l’hanno dentro e vivono con lei un rapporto simbiotico fatto di dare e avere, la amano e la rispettano, ne conoscono il lati meravigliosi ma anche i tranelli come se con lei avessero un dialogo muto fatto di consapevolezza reciproca e questo li spinge ad andare avanti,a chiedere di più a se stessi e a lei.

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Michela dopo l’abbandono del tentativo di salita

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Sono continuate da parte della Commissione Terre Alte le ricerche e lo studio dei petroglifici della Valle della Lima, in particolare nei territori di Limano, Casoli, Vico Pancellorum, Lucchio e Piteglio a cavallo tra le province di Lucca e Pistoia.Giancarlo Sani e Romano Falaschi si sono avvalsi della collaborazione d’emeriti studiosi come il Prof. Ausilio Priuli Direttore del Museo Arte e Vita Preistorica di Capodiponte ( Brescia ) e il Prof. Adolfo Zavaroni di Reggio Emilia, uno dei massimi esperti di religioni e mitologie antiche.Inoltre si sono consolidati i rapporti con l’Associazione Culturale Armonia di Piteglio che oltre a partecipare a numerose ricerche sul campo si è fatta promotore di una pubblicazione che raccoglie la sintesi di questi anni di ricerche fornendo dati molto interessanti per provare ad interpretare e capire l’essenza della vita sociale e delle tradizioni rituali delle popolazioni che in passato abitavano o frequentavano la valle. Sulle rocce, sui portali delle case, nelle facciate d’antichi edifici religiosi troviamo “messaggi pittografici” che trasmettono i miti delle origini, le storie del passato, gli eventi, le emozioni, le credenze, i riti magici religiosi, la memoria e i relativi valori culturali.L’esplorazione del Balzo alle Cialde* si è protratta per oltre un anno e i risultati

* G.Sani – I misteriosi simboli del Monte Limano – Boll. Sez. Club Alpino Italiano “Giacomo Toni “ Valdarno Inferiore, 2006, pag. 4-8.

La Valle delle rocce sacre

Giancarlo Sani

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finali sono stati presentati al XXII Symposium Valcamonica 2007, vero e proprio congresso mondiale sull’Arte rupestre che si è svolto a Darfo-Boario nel maggio scorso alla presenza di oltre cento studiosi provenienti da ben trentadue paesi.Lo studio presentato dal titolo Cerchi con coppelle: un’interpretazione sulla base delle figure e delle scritte sulla roccia Sacra di Limano è stato molto apprezzato tanto è che i due autori sono stati intervistati da Tele Regione Lombardia.Ultimamente le esplorazioni si sono spostate nella zona di Piteglio sull’Appennino Pistoiese, ridente paese posto a 700 metri di quota a “guardia” dell’intera vallata. Le prime istoriazioni rilevate e studiate sono state quelle del “Masso di Piazza” un grande masso con incisioni storiche e protostoriche.

Conosciuto da sempre dagli abitanti non esisteva nessuna documentazione a riguardo che ne dava una pur minima interpretazione. Nella parte centrale domina una grande scritta in latino che recita: INIMICI HOMINIS DOMESTICI CIVIS che si può così tradurre “nemici dell’uomo familiare (= che segue le consuetudini) e cittadino (= che ha senso civico). E’ probabile che quando è stata scritta quest’epigrafe il territorio di Piteglio sia stato in piena “guerra di religione”.Nella parte sinistra del grande masso ci sono molte coppelle e poiché sono state incise su parete verticale è chiaro che erano state fatte per scopi rituali e propiziatori e solo in un secondo tempo sono state riadattate per far sì che potessero ospitare offerte votive ( o lumi ). A questo punto viene spontaneo domandarsi a chi o a che cosa erano rivolte queste offerte. Entra così in gioco quella che per noi è la figura più importante incisa nella parte centrale del masso.Si tratta di un antropomorfo schematico cioè un’ espressione estremamente sintetica dell’uomo in forma stilizzata con probabile significato simbolico.L’attenta analisi della figura ha portato ad un’ importante scoperta: la versione definitiva, ovvero quella che oggi vediamo, è solo l’ultima di una serie di modifiche precedenti. Come sì può vedere dalla foto elaborata ne furono fatte diverse versioni ( nel rilievo la più antica è segnata in bianco ) prima della definitiva segnata in nero.Insieme alla prima versione c’è sembrato di rilevare dei serpentiformi che abbiamo

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Le varie fasi incisorie dell antropomorfo del Masso di Le vLe variearie fasfa ii incisorie dell’antropomorfo del Massoss didiPiazza

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messo in evidenza.Si può quindi ipotizzare che l’antropomorfo rappresenti una divinità (dio) che ha una mazza come quella di Ercole nella mano sinistra, associata ad un organo sessuale: sia il gallico Sucellos sia il germanico Thor avevano un martello che uccideva da una parte e creava la vita dall’altra.Nella versione più antica il dio aveva una scure, mantenendo, però la stessa simbologia della versione finale ( la scure sarà poi sostituita dalla mazza, quando in Italia sarà “importato” il mito di Ercole ). Il binomio scure-pene è presente sulla collina sacra di Luine (Valcamonica) e sul lago di Garda.Vicino alla testa, parte sinistra, c’è incisa anche una “svastica” filiforme.Il simbolo della svastica è interpretato come ruota solare, come fulmini che siintersecano oppure (nei paesi nordici ) come martello di Thor.Rappresenta anche un simbolo di felicità e di salute e nel medioevo ha assunto un significato apotropaico. Nella parte destra del masso sono incise varie croci, cruciformi e segni a “phi” di varia tipologia e in alcuni casi profondamente modificate. Le modifiche e la presenza delle croci sembrano essere il risultato dell’esigenza di cristianizzare un sito legato a culti pagani, come se chi ha inciso quelle croci fosse stato cosciente dell’esistenza di segni e figure più antiche, del loro valore iconografico e dei contenuti ideologici.A poco più di un chilometro dal paese di Piteglio, in una zona fertile e paludosa, è stato rilevato e studiato un grande masso in arenaria, una vera e propria miniera di nuovi dati per la conoscenza degli insediamenti gallici in Italia e più in generale per

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Il bassorilievo del Cavaliere al masso della PescaiaIl bIl bbassoassorilirilievoevo deldel “Cav“Cavaliealiere”re” al mal massoasso deldella Pla Pescaia

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lo studio della religione celtica.Una buona parte dei petroglifici del masso della Pescaia, nome convenzionale che abbiamo dato al masso, è stata realizzata in bassorilievo e questo lo rende unico nella nostra regione. Sul lato rivolto a sud s trova inciso il”cranio d’ariete” ed è inserito in un ovale formato da tanti archetti in rilievo. Sotto l’ovale si vedono delle lettere incise e una paziente ricostruzione a permesso di leggere SOL INVICTVS.Com’è noto Sol invictvs “Sole invincibile” era un dio venerato in tutto l’impero romano e la sua festa cadeva il 25 Dicembre, il giorno in cui il sole rinasceva e riprendeva a rafforzarsi dopo essere passato attraverso le strettezze del solstizio invernale. Il Sol Invictvs era assimilabile con altri dei come il gallico Lugus e l’etrusco Usil. L’ariete è uno degli animali sacri ella religione celtica: esso è associato al Mercurio gallico ( generalmente chiamato Lugus, Lugos ) il quale in alcune rappresentazioni su monumenti sacri gallici lo cavalca. Per la sua posizione centrale sul lato sud-est è sicuramente la figura che attira subito l’attenzione : Il “Cavaliere”. Un’attenta analisi e studio del bassorilievo ha permesso di capire che l’animale montato non sembra un cavallo ma più probabilmente un bovino e il dio che lo cavalca è identificabile come il gallico Lugus ed il romano Mercurio dato che ha in mano il “caduceo”, bastone con due serpenti avvolti intorno ad esso associato al dio greco Ermes ( Mercurio per i romani ) così come lo vediamo nel monumento di Urbach (Valle del Reno) e nel monumento di Beauvais ( Francia ).Nella sommaria descrizione delle figure incise sul gran masso piteglino degna di nota è quella che convenzionalmente è chiamata “la spada”. Si tratta di una struttura dove al centro c’è una croce che a prima vista sembra eretta su una colonna, posta a sua volta su un basamento a forma di monte suddiviso in più settori. Si potrebbe supporre che il tutto sia stato eseguito nel medioevo, ma un attento esame di tutta la composizione apre affascinanti ipotesi: probabilmente siamo di fronte alla rappresentazione della Colonna dell’Universo ed il dio dei cicli cosmici. Si tratta di un concetto simbolico molto complesso e allo stesso modo affascinante e che per mancanza di spazio non possiamo sviluppare su questo bollettino. Per chi è interessato può leggere il volume “La Valle delle rocce sacre” che potrà trovare nella biblioteca della sezione.Per concludere dobbiamo parlare anche delle incisioni sul lato nord-est, quelle che convenzionalmente chiamiamo della ruota, del pozzetto sacrificale, il suino e il sole. La ruota avente un diametro di 13 cm. è formata da una corona circolare suddivisa conservazione in settori. Al suo interno ci sono incise

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La ruota, il pozzetto sacrificale e l’immagine del gallico Moccos (Suino)

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delle parole di difficile interpretazione dato lo stato di conservazione attuale, ma uno di questi nomi sembra essere Culsans quindi se così fosse la rappresentazione della ruota e il nome della divinità lascerebbe intuire un’identificazione con il dio Ruota, l’antico dio indoeuropeo dei cicli universali da cui si svilupparono gli dèi dei cicli e del sole dei vari popoli dell’Europa. Vicino alla ruota vi è un grande e profondo “coppellone” un vero e proprio pozzetto ( 17 centimetri di diametro per 10 di profondità ) e l’unica funzione che possiamo attribuire alla buca ovale è quella di raccogliere liquidi offerti agli dei.Tre scanalature leggermente inclinate verso il pozzetto ne suffragano l’ipotesi.Infine l’incisione del suino, il gallico Moccos.Il suino rappresentato sul masso allude anche alla vittima da sacrificare, dato che un coltello è piantato nel suo occhio e l’animale è inginocchiato.Un sole raggiato è disegnato a rilievo in modo da risultare tangente al dorso del suino.Siccome il sole è una delle manifestazioni di Lugos, l’abbonamento suino-sole non deve meravigliare.Pochi mesi fa abbiamo fatto un’altra interessante scoperta ad ulteriore dimostrazione di quanto il territorio della montagna Pistoiese sia generoso per chi ama percorrere le antiche vie alla ricerca di tracce e segni lasciati dall’uomo nel corso del tempo.Percorrendo l’antico stradello di mezza costa che da Piteglio si snoda in direzione di Calamecca si arriva, in breve, ad una semicurva dove il sentiero piega a sinistra verso il poggio del Castellare e scende leggermente nel bosco.Sulla destra, adiacente al sentiero, si nota un raggruppamento roccioso che nella parte centrale presenta tre veri e propri gradini naturali costituiti da rocce rossastre che dominano la valle del torrente Lesina.Dalla loro caratteristica conformazione deriva il nome di Scalette d’oro.La conoscenza del sito delle Scalette d’oro è rimasta nella memoria degli anziani abitanti di Piteglio che si ricordano di quando, da fanciulli, andando nelle selve seguendo gli adulti nei lavori, veniva imposto loro di fermarsi a riposare.Il sito è così costituito: la pietra principale è un parallelepipedo, posizionato sulla sinistra delle scalette, dove sono state scolpite, con strumenti litici, tre coppelle di medie dimensioni e dei canalini; di fianco si nota anche un segno quadrato con

reticoli interni. Un attento esame di due coppelle ha permesso di individuare una fase di “cristianizzazione”, sono, infatti, state modificate tramite le incisioni di croci all’interno.La cristianizzazione del luogo è provata anche dalla presenza d’ulteriori croci latine individuate su delle rocce adiacenti.La motivazione di tale atto

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è riconducibile al fatto che con la graduale penetrazione del credo cristiano tra gli abitanti di queste vallate essi si sono sentiti in dovere di trasformare i luoghi culto preistorici o protostorici in luoghi di culto cristiani o per lo meno di operare una sorta di esorcismo, d’annullamento del valore delle incisioni pagane.Completano il panorama incisorio delle Scalette d’oro alcuni segni lineari di difficile interpretazione ed una figura cruciforme antropomorfa.E’ bene ricordare che la croce è un simbolo molto antico e precede di molto l’era cristiana.Il “primo” segno per rappresentare l’uomo è stato quello di una croce lineare e solo successivamente sono state aggiunte appendici come il segno della testa ( spesso

realizzato con una piccola coppellina ), le braccia ed il sesso.In ultimo si notano delle lettere latine probabili iniziali di nomi.Questa varietà di segni testimonia una frequentazione del sito che è durata svariati secoli e che si è conclusa solo alla fine del XIX secolo.Termina qui questa breve e per ovvi motivi incompleta descrizione dei tesori di “arte rupestre” nascosti tra le montagne dell’Appennino Lucchese e Pistoiese non prima però di ringraziare Romano, Adolfo Zavaroni, Ausilio Priuli, Mauro Colella e gli amici Gabriele Bonino, Goffedro Lenzini e Monia Chiavacci dell’Associazione culturale Armonia per il loro appassionato contributo, sia sul campo sia nella fase di studio.Grazie a loro “La valle delle rocce sacre” è una splendida realtà.

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U a de e c s o p ù s g cat e a Spada , app ese ta o e de a co o a de U e soUna Una U d lld llldelldell iie ine incisicisioni oni più pi signignifiificatitive l: la “Spada””, rappre tsentazione ddellall l colonnaa delell’Unl Univeriversoso

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Per caso……. e per passione.Avevo comprato una telecamera di quelle di ultima generazione, compatta e che tutto sommato funzionava anche benino, poi la voglia di portarla in grotta fu tanta e allora cominciai a costruire un contenitore che fosse resistente all’umidità, che la proteggesse dal fango e dalla sporcizia e soprattutto dagli urti. Il lavoro riuscì abbastanza bene, e la collaudai in Corchia.Entrai insieme ad altri volenterosi dalla buca del serpente, scendemmo l’Empoli e poi ci divertimmo a cercare immagini suggestive nella zona turistica, sfruttando l’illuminazione artificiale che in quei punti è stata piazzata ad effetto.Una volta usciti, consegnai la cassetta a Maico ed Erica, i quali avrebbero pensato al montaggio.

Nonostante fosse anche per loro la prima volta assoluta il lavoro non venne male, anzi. Certo era lungo, allora non conoscevamo i tempi e le modalità di ripresa e di montaggio tipici dei documentari, ma il prodotto era tutto sommato accettabile per essere il primo. Costruendoci poi una colonna sonora bella e divertente, il video rispecchiava in tutto il nostro modo di andare in grotta. Facemmo alcune proiezioni a Marea e in sede, poi il nastro venne accantonato per dedicarci ad altri progetti. Il caso volle però che parlando di grotte, speleologi e speleologia alcuni amici

mi chiesero di vedere quel filmato.Montai un videoregistratore a negozio, aspettai che fosse prossimo l’orario di chiusura e verso le 19.30 iniziai la proiezione. I clienti che entravano e uscivano

Andrea LusiniMaria Emanuela Aiazzi

Per caso ... e per passione

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nemmeno si accorsero delle immagini che scorrevano, qualcuno faceva delle domande fugaci, qualcuno delle battute, ma la fretta la faceva da padrone. Entrò un ragazzo, peraltro già cliente ma di cui conoscevo solo il nome - Simone - a prendere il solito pacchetto di sigarette, ed invece di salutare ed andarsene si mise a guardare in silenzio. Mi stupì. Poi fece delle domande mirate sul luogo, la telecamera usata, chi avesse curato il montaggio, fino a quando formulò una domanda che mi fece capire che non avevamo a che fare con il solito sapientone di turno, mi chiese infatti come avessi fatto ad ottenere quella luminosità con la mia telecamera. Gli chiesi allora che lavoro facesse e lui mi rispose che per professione realizzava video. Ci fece i complimenti, e adesso che lo conosco bene non penso fossero di circostanza. Praticamente ci disse che con quei mezzi che avevamo a disposizione, non avevamo fatto un brutto lavoro.

Era affascinato dal mondo sotterraneo, mi fece alcune domande e disse che con la sua attrezzatura - e le sue capacità aggiungo io- sarebbero venute delle riprese davvero belle. L’entusiasmo salì man mano che l’ipotesi di andare a fare delle riprese in grotta prese sempre più piede. Dopo qualche tempo c’era in calendario una gita sociale alla Tana che Urla e prendemmo lo spunto per dar vita al nostro sogno. La grotta si prestava bene, graziosa e facile poiché dovevamo tenere presente che Simone

per la prima volta avrebbe messo piede in una grotta. Da quella prima uscita, vennero fuori delle belle riprese, tanto che chiedemmo a Simone di montare provvisoriamente qualcosa alla meno peggio da proiettare a Marea, ormai imminente. Tornammo poi alla Tana in altre due occasioni per girare le immagini mancanti e incominciammo il lavoro di montaggio. Un neofita come me, non riesce nemmeno a immaginare la metà di quel ginepraio che è il montaggio di un video, dalle immagini, alla colonna sonora fino ai testi, è un lavoro che svolto in maniera professionale richiede uno sforzo in termini di tempo impressionante. Circa un anno di mercoledì pomeriggio rubati al lavoro e finalmente avevamo il prodotto finito in mano.La presentazione “ufficiosa” avvenne in tarda primavera alla Limonaia Corsini a Fucecchio per i soci della sezione, poi volutamente tutto a tacere fino al primo novembre quando il video è stato presentato, stavolta in maniera “ufficiale” all’Incontro Internazionale di Speleologia “Apuane 2007 Metamorfosi?” Il video

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è stato proiettato al cinema di Castelnuovo Garfagnana, sede della manifestazione, in due giornate (giovedì e sabato) alle ore 21.30 ed è stato un successo. “Uno dei più bei video presenti alla manifestazione” è stato il commento dello speaker. Non dico queste cose per farmi i complimenti addosso, ma per rendere doveroso omaggio a chi i complimenti se li merita davvero. Questo video è merito di Simone, io ho contribuito solo in piccola parte, però ho imparato molto. Lo ripeto, un lavoro così professionale ha dietro un professionista del video. A lui il merito maggiore. Certo è doveroso ringraziare chi ci ha speso molto del suo tempo, e mi riferisco a Roberto, che non è venuto in grotta, ma ha partecipato molto alla post-produzione, a mia moglie che ha curato il testo, e agli speleologi che pazientemente si sono prestati. Adesso “Le oscure vie dell’acqua” (questo è il titolo del nostro documentario) andrà definitivamente in pensione. Qualche proiezione qua e là per accontentare qualche richiesta ma niente di più. Stiamo ormai lavorando da molto tempo al nuovo documentario che in base all’esperienza che abbiamo maturato e le nuove attrezzature prettamente documentaristiche ha

tutte le carte in regola già da ora che ha mosso i primi passi per non sfigurare. Adesso Simone, Roberto ed io siamo diventati un team, capaci di sapere quali sono le cose da fare in ogni momento, senza bisogno che il povero Simone si sobbarchi tutto. Vi voglio però raccontare un aneddoto. Perché è successo tutto per puro caso? Perchè Simone smise di fumare pochi giorni dopo aver visto il video sul Corchia. Logicamente non c’è nesso tra le due cose, ma sarebbe bastato che quella sua decisione fosse stata presa qualche giorno prima, e lui non sarebbe più entrato nella mia tabaccheria, non avrebbe visto il video, non sarebbe nata questa passione, insomma non sarebbe stato possibile fare quel salto di qualità che è stato fatto. Quando si dice il caso.

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Eravamo a una gita di sezione, nel giugno dell’anno passato, e parlando degli impegni di calendario, mi venne spontaneo proporre un’escursione sul Pelmo per un gruppo limitato di persone. E’ una montagna impegnativa per l’esposizione, per la lunghezza del percorso e per le difficoltà tecniche che la rendono più difficoltosa di tante altre. Salire quel monte con un gruppo numeroso, aumenta notevolmente i rischi.L’idea va avanti ma l’organizzazione si ferma sia per gli impegni di lavoro, che per quelli familiari. Rinviamo tutto a dopo le ferie, e quando telefono per prenotare il rifugio, mi dicono che da metà Settembre è chiuso per fine stagione. Con molto rammarico rimandiamo ancora una volta all’ anno successivo informandoci sulla data di apertura del rifugio. Continuiamo un buon allenamento fisico sulle nostre Apuane, facendo lunghi percorsi, spesso esposti e con un buon dislivello. A primavera prenoto per giugno al rifugio Venezia. Partiamo un sabato mattina. Al parcheggio sopra Zoppe di Cadore, le condizioni meteo non ci accolgono nel modo migliore: pioviggina e le poche persone che incontriamo sul sentiero mentre stanno scendendo ci ripetono tutti che al rifugio soffia vento forte con acqua e grandine. Il pensiero mi torna per un attimo al luglio 2005 quando, causa acqua e neve, rimanemmo chiusi tre giorni in albergo, prima di salire il Bianco. Appena arrivati al rifugio chiediamo notizie al gestore: “Per domani è previsto un leggero miglioramento delle condizioni meteo. Questa mattina è salito un gruppetto di tedeschi e a giudicare a colpo d’ occhio, voi non dovreste avere problemi” Il parere del gestore, guida alpina, ci riempie di entusiasmo e già ci sembra di essere sulla vetta a fare le foto ricordo ed a mangiare un panino. La mattina seguente diamo uno sguardo fuori dalla piccola finestra della cameretta

vediamo solo nebbia: siamo eccitati dalla voglia di salire ma ci teniamo a riportare a casa la pelle. Ancora una volta il gestore ci incoraggia. Mentre ci serve la colazione, ci rassicura che oltre 2500 metri la nebbia si dissolve e ci dà numerosi altri suggerimenti che durante la salita si riveleranno utili. All’ inizio arrampichiamo su un ghiaione molto ripido, poi alla sua sommità prendiamo a sinistra per

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Monte Pelmo

Giancarlo Roggi

Paola Fioravanti sulla cengia di BallPaolPaolP lP lP l FFiFia Fia Fioravoravantinti s l sulla cla c iengia dia di Bal Balll

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roccette scivolose e arriviamo sul sentiero chiamato cengia di Ball, dal nome di colui che lo ha salito la prima volta. E’ un tratto lungo circa 600 metri, con difficoltà tecniche elevate, salti di roccia da percorrere in discesa in libera, passaggi stretti e bassi da doversi togliere lo zaino per non rischiare di perdere l’equilibrio, pareti strapiombanti e tanta nebbia da impedire di vedere dove e come si snoda il sentiero. Tutto sommato, riflettendoci sulla via del ritorno, la nebbia ci ha anche agevolato. Se avessimo visto quegli strapiombi e quei passaggi nel vuoto, sapendo che quella e solo quella sarebbe stata la via del ritorno, non so se avremmo proseguito. In un paio di passaggi difficoltosi abbiamo pensato, e ci siamo proprio detti: “Forse è meglio tornare indietro”. Altre volte, in cui è successo che mi trovassi in situazioni poco agevoli, un grande amico mi ha detto: “Calma, massima concentrazione e prosegui a piccoli passi”. Cosi facendo siamo usciti dalla cengia. Poi ancora per ghiaioni e balze rocciose finché abbiamo raggiunto il nevaio. La parte rimanente è stata più facile. La nebbia era scomparsa e si vedeva la vetta illuminata dal sole ancora distante. A quattro ore e mezzo dalla partenza dal rifugio siamo arrivati sul Monte Pelmo a 3168 metri: vetta bella, desiderata e impegnativa, condivisa con Paola e Corrado, compagni di tante avventure vissute e tante altre ancora fra i desideri.

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ggPaolPaolPaolPaolP lP lPaola Fia Fia Fia Fia Fioravoravantianti, Co, Corradrrado Sto Strabbrabbioliioli e Ge Gianciancarloarlo Rog Roggigi sulla cima del m. Pelmo.

Passo del Gatto lungo la cengia di Ball PassPasso deo del Gal Gattotto lunglungo lao cengia di Ball

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Si va sul monte Rosa ? La domanda non mi coglie di sorpresa, Corrado mi aveva già espresso questo suo desiderio, tuttavia non rispondo subito, sarei dovuto partire dalle spiagge e calette della Sardegna ed il “dislivello” mi sembrava davvero traumatico.Enrico è dibattuto tra il desiderio di salire per la prima volta un 4000 e le responsabilità della sua prossima paternità.Alla fine della serata, la decisione è presa e la data di partenza fissata. 22 Agosto 2007, destinazione “capanna Regina Margherita” sulla Punta Gnifetti m. 4559. Durante il viaggio una pioggia sottile ed insistente ci mette in apprensione, ma confidiamo sulle previsioni che danno il tempo in miglioramento, siamo comunque fortunati ad avere un varco di bel tempo il giorno prestabilito della salita in vetta.Arrivati a Gressoney telefono al Rifugio Città di Vigevano a m. 2871 (dove pernotteremo), mi riferiscono che lì su ci sono 50 cm di neve fresca e

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Tre vette in tre giorni

Filippo Di StefanoEnrico Priori

Corrado Strabbioli

Salendo la Punta Parrot (in sfondo la Punta Gnifetti)SaSalell ddndo ndo la Pla Puntaunta Par Parrotrot (in(in sfo sfonndo la Punta Gnifetti)

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continua a venirne giù, anche le condizioni dello Stolemberg non sono buone ……….”Stolemberg ?” che cos’è.Nulla sapendo sulle condizioni di neve che avremmo trovato il giorno successivo lungo il tragitto che porta al rifugio Mantova, chiediamo informazioni presso l’ufficio delle Guide Alpine dove ci mettono al corrente che nessuna guida era salita nella giornata e la traccia non era fatta. Intenzionati a partire anche con il tempo incerto, concordiamo una guida per l’indomani e vestiti gli indumenti d’alta montagna nel retro dell’edificio, zaino in spalla ci affrettiamo per non perdere l’ultima cabinovia che porta al Passo dei Salati. Arrivati per breve sentiero al Vigevano ceniamo e mentre fuori continua a “nevischiare”, inquieti andiamo a dormire; apro uno spiraglio nella piccola finestra della cameretta e l’aria gelida mi aiuta a respirare, Enrico non del tutto contento la socchiude per timore di raffreddarsi, passiamo così la notte tra i frequenti dormiveglia e l’apri e chiudi della finestra. Il mattino seguente il paesaggio è invernale, però il tempo promette bene, aspettiamo la guida all’uscita della cabinovia contenendo il desiderio di andare su da soli. Messi in marcia in direzione di punta Indren superiamo il tratto attrezzato con corde fisse che aggira lo Stolemberg, un rilievo di roccia rotta ed infida se ghiacciata, da qui è ben visibile il ghiacciaio di Indren e la Piramide Vincent, attraversato il ghiacciaio superiamo un costone roccioso per poi arrivare al Mantova m. 3498.Nell’accogliente rifugio, trascorriamo la serata in compagnia di Bruno la nostra simpatica Guida; seguendo il suo consiglio alleggeriamo gli zaini del materiale superfluo, torneremo a riprenderlo sulla strada del ritorno. Dopo la seconda notte insonne, calzati i ramponi ci leghiamo (Bruno in testa) e seguendo le cordate partite prima di noi avanziamo sul ghiacciaio Garstelet i cui crepacci sono completamente occultati dall’abbondante nevicata.

Mentre i primi seracchi passano silenziosi ai lati del nostro cammino, le luci dell’alba illuminano sullo sfondo il massiccio del Monte Bianco, e più ad occidente la Grivola ed il Gran Paradiso, lo scenario comincia ad assumere la maestosità che si addice alla regina delle Alpi.Giunti al colle del Lys, Bruno ci propone di salire sulla Punta Parrot

36PPuntPunta Da Dufouufour er e N dNord dend d lldall Za Zumsteiin

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(una delle cime oltre i 4000 m. presenti sul massiccio del Monte Rosa)…..detto fatto, attacchiamo per il versante sud l’affilata cresta nevosa e ne riscendiamo dal versante opposto; recuperate le energie affrontiamo l’ultimo ripido pendio che

porta alla Capanna Margherita. Siamo sul rifugio più alto d’Europa, la quota ora si fa sentire davvero, frastornati attendiamo l’ora di cena. Quando il sole tramonta dietro l’inconfondibile profilo del Cervino, lo stupore ci fa dimenticare tutti i disagi, e meravigliati assistiamo ad uno spettacolo di cui anche noi ci sentiamo protagonisti.La notte è lunga e non ci dà tregua. Giunta l’alba, dopo una sobria colazione, scendiamo fino al Colle Gnifetti, lo attraversiamo per progredire sul lato opposto seguendo la cresta che ci conduce alle rocce della Zumstein m. 4583 sul confine Svizzero, da questa vetta ammiriamo l’impressionante parete settentrionale del Liskam, il Cervino, l’elegante Weisshorn e altre vette svizzere. Arrivato il momento di scendere strattoniamo Corrado intento a sognare di scalare la vicina Punta Dufour (m. 4634 seconda elevazione dopo il monte Bianco), Enrico ed io alziamo il passo, scendiamo velocemente i 1650 metri che ci separano dagli impianti per prendere l’ultima corsa prima della chiusura dell’ora di pranzo. Scesi a valle sorseggiamo la meritata birra offerta da Bruno, …………“Si va sulla Dufour la prossima estate? Esordisce Corrado………………. Forse questa sarà un’altra avventura!

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Il Liskam visto dal MargjheritaIl Il Li kLisLiskkam vam vistoisto dal dal Mar Margjhegjheritarita

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(Ovvero alcune disavventure che possono capitare a chi va in vacanza quando non vi è troppo avvezzo).

Il mio carissimo amico Sauro mi aveva telefonato verso la fine di Luglio mentre ero al lavoro, sintetico al telefono quanto prolisso in una conversazione di presenza: “sono sull’isola della Maddalena per due settimane, in un appartamento con due camere , una è libera, organizzati sul lavoro, prenota il traghetto, ti aspetto, fammi sapere quando arrivi che vengo a prenderti con la macchina a Golfo Aranci”. Ne parlo a casa, a Maddalena brillano gli occhi dalla voglia di andare, io sono contrastato fra altrettanta voglia e le complicazioni che ne sarebbero derivate: organizzare il lavoro troppo in fretta, trovare posto per tre sul traghetto in giorni “caldissimi” verso la Sardegna, il costo esorbitante del viaggio rispetto ai 3 giorni e 3 notti compreso il viaggio di andata e ritorno che al massimo avremmo potuto dedicare a quella vacanza, nostra figlia che ci stava aspettando con il bambino nella casa sui Monti Sibillini prima di partire per il loro periodo di ferie. Insomma, come una qualunque vacanza che si rispetti, si sarebbe trattato puntualmente di uno stress.Consulto Internet per gli orari ed i prezzi dei traghetti, una bolgia; sono lì per

Giovanni Morichetti

Una vacanza diversa

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rinunciare quando mia figlia mi scodella in tavola gli orari che facevano giusto per noi: non mi posso più tirare indietro, il giorno successivo vado in agenzia sotto un acquazzone torrenziale ed il titolare molto disponibile riesce a recuperare in extremis quei tre posti. La mattina presto siamo sul traghetto ed appena partiti, come di consueto, il comandante fa le raccomandazioni canoniche da rispettare in caso di emergenza, non ci facciamo neppure caso.Due giorni e mezzo passati fra l’isola della Maddalena e quella di Caprera: un Paradiso, anzi due; per quanto io non sia un amante del mare così come lo si intende fra sole e spiaggia, quelle insenature stile caraibico, l’acqua il cui unico sapore è quello del sale e tutte quelle rocce di granito che il Costruttore ha gettato forse alla rinfusa o chissà con quale mai a noi incomprensibile disegno, sono cose che ti restano impresse dentro.Quasi non ci volevo venire ed era già il momento di ripartire: sono le ore 23, il comandante ci fa puntualmente le raccomandazioni per i casi di emergenza e chissà perché questa volta io dico ai miei: qualunque cosa accada non andiamo via da questa sala senza i giubbotti di salvataggio.Occupo la stessa poltrona dell’andata, la distendo fino a che va, la musica nelle orecchie e quasi subito mi addormento alla grande.Mi sveglio di soprassalto perché Maddalena, che mi siede dietro, mi fa male mentre mi stringe forte il braccio bruciato dal sole della Sardegna ed urla: “viaaa, viaaa, la nave brucia”. Mi scuoto un po’, tolgo le cuffiette dalle orecchie, riavvolgo il filo intorno alla radio che rimetto in tasca con calma, cercando di tranquillizzarla con un: “ma dai, siamo in un sogno”. Non ci impiego molto a rendermi conto della reale situazione: mentre dormivo i componenti l’equipaggio erano già scappati sul ponte, davanti a tutti, urlando “via, via tutti!”, la sala era impregnata di un fumo così nero e denso che uguale lo avevo visto solo in certi cartoni animati. Non si distingueva un oggetto un metro distante da noi, a tastoni e con affanno riesco all’ultimo momento a sganciare da sotto i sedili tre giubbotti di salvataggio che stavo appunto per dimenticare ed anche per questo nel frattempo eravamo rimasti in fondo alla fila dei passeggeri che si accalcavano alla base dell’unica scala a chiocciola per salire al piano superiore e da lì, attraverso un corridoio, finalmente all’aperto sul ponte. Si respirava a fatica ed in quegli interminabili attimi in cui si sarebbe andati volentieri di corsa, ma in realtà eravamo pressoché fermi, è stato

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impossibile scacciare dalla mente il ricordo che invece incalzava rapidissimo della Moby Prince. (Livorno 10 Aprile 1991, 140 morti - N.d.R.). Urlo più volte il nome di Diego che non riuscivo a scorgere e finalmente lo sento rispondere da lontano, più avanti rispetto a noi: meno male.Finalmente siamo tutti sul ponte, “tutti”? Ma al di sotto in molti erano addormentati nel salone, nella boutique, sulle poltrone, nei sacchi a pelo, se qualcuno non avesse sentito…, se non si fosse svegliato…, in tempo.…, poi il fumo…., la ressa…; immediatamente si diffonde un senso di smarrimento...., si tenta la conta dei passeggeri, più volte, ma il totale non è mai uguale, le persone sono tante e non stanno neppure ferme, qualcuno è seminudo, qualcuno ha una coperta addosso, qualcuno un solo saldalo, qualcuno neppure quello, quasi nessuno

ha il giubbotto di salvataggio; l’aria è fredda, molti tremano, qualcuno si sente male, ma nessuno si dispera: tutti sono rimasti come storditi da questo colpo improvviso, inaspettato e molti vagano per il ponte ammutoliti in un silenzio che esprime più angoscia di quanta potrebbe esprimerne uno stato di disperazione violenta. Molti hanno bisogno di fare pipì, ma i gabinetti sono dall’altra parte. Qualcuno scatta delle foto, almeno si distrae. C’è bisogno di bere, le gole sono secche per il fumo respirato, i musi sono neri e non solo per il fumo. Sono le tre di notte, la nave è in balia delle onde, a momenti dondola paurosamente; qualche membro dell’equipaggio attraversa frettolosamente il ponte: è nero da capo a piedi. Passa il tempo e finalmente dall’altoparlante si fa vivo il comandate per rassicurarci e garantire che la situazione è sotto controllo, ma la sua voce appare a tutti piuttosto concitata. Ci viene riferito che sono stati fatti gli opportuni controlli al piano di sotto, di passeggeri non ce ne sono rimasti, siamo tutti in salvo sul

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ponte, “tutti in salvo?” Ma le scialuppe sono al piano di sotto e se si dovesse verificare l’eventualità di dover andare tutti in acqua, le scialuppe sono fuori discussione e da quassù chi è in grado di buttarsi in mare da 15 metri di altezza senza suicidarsi? Poi per fare cosa, per andare dove? I pensieri continuano a correre veloci.Per impedire che queste domande mi facessero ulteriore violenza, cerco di distrarmi, comincio a girare fra i passeggeri con i bicchieri e le bottiglie dell’acqua per permettere a tutti di diluire il fumo ingoiato. Alcuni bevono silenziosamente, altri mi raccontano i fatti loro, altri mi spiegano il perché di quel viaggio, chi hanno lasciato a casa o in Sardegna e che li stanno aspettando, qualcuno mi crede un componente dell’equipaggio e mi chiede di poter raggiungere la propria autovettura nella stiva o il salone per recuperare degli effetti personali che nella fuga frettolosa ha lasciato lì; ma se tutto questo da un lato mi distoglie dal pensiero del pericolo incombente, dall’altro me lo riporta continuamente alla memoria nell’ascoltare le emozioni degli altri passeggeri che per altro non si discostavano di molto dalle mie.Una nave passeggeri tutta illuminata, enorme, bellissima, ci passa di lato a distanza, ci accompagna per un po’, da lontano, al sicuro, poi prosegue per i fatti suoi; non fa molta simpatia guardarla mentre si allontana e noi rimanere nuovamente soli in mezzo al mare, lontani da qualunque terra.Quando sta per arrivare il giorno, arriva l’elicottero con una squadra specializzata dei vigili del fuoco della Corsica, alcuni medicalizzano e portano via in volo un anziano signore malato di cuore mentre gli altri rimangono sulla nave a domare gli effetti dell’avaria.Se fino ad allora i pensieri girovagavano per la testa in modo libero e disordinato, direi pure indisciplinato, ora si comincia a credere che la situazione possa davvero essere sotto controllo. Il tempo che scorre, la luce del giorno prima, poi anche il sole, giovano ad accrescere quel senso di fiducia necessaria per superare senza eccessiva angoscia il tempo necessario per rimettere i piedi a terra. Intanto la radio e la televisione hanno dato la notizia, in molti ci chiamano sui cellulari, io li sento molto in pensiero, non sanno che il peggio è passato, a fatica li rassicuriamo.Saranno necessarie 24 ore in tutto, trainati lentissimamente quando da un traghetto, quando da un rimorchiatore, per arrivare a Livorno alle 23 dopo un estenuante girovagare in mare lungo tutta la Corsica ed in mezzo all’Arcipelago toscano. Ci sono i giornalisti, i microfoni, le telecamere, io ho solo voglia di andare a casa.Oggi mi sento di poter dire che è stata una esperienza bellissima, che a sapere prima come va a finire, meriterebbe di pagare un prezzo, non solo per poter dire di averla vissuta o per poterla raccontare per cento anni ancora: un’avventura in mare così insolita per chiunque, figuriamoci per uno di montagna, ma soprattutto per aver dovuto mettere alla prova la nostra mente ed esserne usciti indenni.

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C’è un luogo magico all’isola d’Elba, ma non lo definirei magico se ritenessi che solo io ne sono stato suggestionato, perché potrebbe essere dipeso da una mia propensione a farmi impressionare. So invece per certo che molti di quelli che lì si sono fermati hanno sostato in estatica contemplazione. Tanta sorprendente località si chiama Passo del Volterraio. Il nome deriva da un castello, il Volterraio appunto, arroccato su uno sperone roccioso e di accesso disagevole. La primitiva costruzione è di origine etrusca, poi modificata dai romani, successivamente ricostruita, ampliata e rimaneggiata più volte fino all’ultimo utilizzo nel 1798. Incerta l’origine del nome: forse deriva dall’origine volterrana del progettista Vanni di Gherardo Rau che nel 1200 vi mise mano per conto di Pisa, o forse deriva da “vultur” che in latino significa avvoltoio, animale piuttosto comune all’Elba

in epoche passate. Trovasi nella parte orientale dell’isola, sul versante che si affaccia su Portoferraio e vicino a Rio Elba. Per molti secoli è stato la roccaforte più sicura in cui si è rifugiata la gente elbana in occasione delle invasioni di pirati e nemici di qualunque genere. Oggi è rimasto solo un rudere di cui a malapena

Vittorio Santini

Un luogo magico

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Castello del Volterraio dalle alture di Rio Marina (foto F. Mantelli)Casttst llelloello deldel VolVolterrterr iaio dalldall le altture didi RiRio M iMarina (foto F. MantM t llielli))

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si intuisce la struttura originaria; si raggiunge con una buona camminata di 40 minuti su sentiero ben tracciato, da percorrere con prudente attenzione. Il luogo magico a cui mi riferisco non è il castello, accessibile solo a chi dispone di una certa dose di allenamento, ma più semplicemente mi riferisco al passo stradale omonimo, dove si attraversa dal versante

affacciato sulla costa continentale a quello prospiciente Portoferraio. C’è una comoda area di sosta, completa di tavole e panche da pic nic. La particolarità di questa postazione, oltre all’ampiezza del panorama di cui si gode, è la estrema variabilità di condizioni atmosferiche che la caratterizza. Ho avuto occasione di transitarvi in differenti stagioni e con differenti condizioni atmosferiche. In inverno può capitare di arrivare al passo immersi in nuvoloni grigi e densi come materassi. Oppure di salire un versante arrancando in mezzo alle nubi ed appena superato il valico vedere il cielo pulito dalla parte opposta con sullo sfondo il mare luccicante dei riflessi di un tramonto autunnale o abbagliante della luce di un mezzogiorno estivo. Ogni volta che vi passo mi fermo qualche minuto. Una breve sosta seduto su una pietra libera la mente dai pensieri affannati del giorno e li lascia viaggiare appesi alla fantasia. Accarezzati dalla tiepida brezza estiva o sferzati dal libeccio invernale, con il mare quasi a 360 gradi, è facile sentirsi protagonisti in storie di vascelli e di assalti in cui avvengono atti di coraggio per difendere o attaccare, oppure immaginare il duro lavoro sui terreni terrazzati e nelle miniere di ferro, o ancora pensare di conoscere le misteriose vite di piante ed animali dei boschi quasi impenetrabili fino a desiderare di esplorare l’isola in lungo ed in largo come potrebbe aver fatto il primo uomo sbarcatovi. Preso dal desiderio di condividere con qualcuno che non è presente la meraviglia e l’atmosfera che suscita quel luogo, telefono o mando un messaggio di “saluti emozionati” a qualche amico o “baci panoramici” a qualche amica. Poi lo sguardo incontra nuovamente la strada asfaltata. Scendo dalla fantasia, salgo in automobile e torno a valle. Durante la discesa penso che fra qualche tempo avrò occasione di passare di nuovo da lì e di nuovo mi farò una dose di sogno e di leggerezza.

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Ca t a de luog atto o a asso de o te a oCartC tC tC tiiina ina dei dei luogluoghi ahi attorttorno an l Pal Passo s d ldel VoltVolterraerraioio

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COME RAGGIUNGERE A PIEDI IL CASTELLOda “Guida ai Sentieri Natura dell’ Elba a Capraia” G. Barsotti, M. Ferrari, R. Ferrari - RS EditoreIl sentiero che parte dalla strada provinciale n° 321, all’ inizio del tratto incassato tra le rocce, a quota 312, scende leggermente mantenendosi più o meno parallelo alla sottostante strada asfaltata. Dopo uno sperone di rocce svoltiamo a destra, sino ad incontrare il sentiero che sale dalla stessa strada provinciale in corrispondenza di alcuni edifici bellici dell’ ultima guerra, attorno ai quali cresce l’ infestante ailanto. Proseguiamo per lo stesso sentiero salendo tra superfici a prato, zone cespugliose con lentischi, olivastri e cisti, affioramenti rocciosi colonizzati dagli spinosissimi cuscini della prunella e dalla lavandula, sino ad arrivare in vista

della chiesetta di S. Leonardo, che fu, probabilmente, abbandonata dopo il 1696, quando fu costruita all’ interno del castello una cappella. Oggi si presenta cadente ed utilizzata dei pastori per rifugio delle greggi. In prossimità della chiesetta sono presenti alcuni vetusti esemplari di ginepro coccolone, specie poco diffusa sull’isola. Proseguiamo inerpicandoci verso il castello che raggiungiamo dopo poco più di una diecina di minuti …………. Per accedere all’ interno bisogna portarsi sulla destra in prossimità dell’ingresso e, mancando qualsiasi struttura, in sostituzione dello scomparso ponte levatoio, dobbiamo arrampicarci sino al piano di calpestio interno. Una volta entrati, da una scaletta è possibile accedere agli spalti in muratura, ancora integri, e sopra una spianata del bastione ovest, dal quale è possibile ammirare a nord le suggestive e selvagge valli del Frasso e delle Foreste e verso sud ovest la sottostante rada di Portoferraio, il Monte Capanne, l’ isola ci Capraia e il lontano montuoso profilo della Corsica.

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ub e c a sop a o a a ( oto a te )NubiN bibibNubi e c e c irinarinali sli sopraopra Rio Rio Mar Marinaina (fot(foto Fo F. Man Manttelli)

Page 47: TraMonti 2008

Info

rmazi

oni Bini Domenico 0573 658939

Billeri Paolo 329 9666057Bocconi Paolo 333 1575431Duranti Giancarlo 347 7351722Roggi Giancarlo 0571 22753Lusini Andrea 0571 922207Mantelli Francesco 0571 931518Marliani Paolo 0573 83159

Morichetti Giovanni 368 456223Orazietti Andrea 348 3962346Pieri Jerry 329 5429888Romagnoli Sandro 335 8104576Sani Giancarlo 0571 924170Santini Vittorio 335 1207705Santini Maico 347 0438177Sillari Roberto 338 7747704

PROGRAMMA ESCURSIONISTICO 2008

PROGRAMMA ESCURSIONISTICO 2008

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Programma escursionistico 2008

gen

DifficoltàEscursioniDate

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18

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Epifania al rifugio

Bagno alle terme

Gita sulla neve (Appennino)

Monte Cusna (Appennino Tosco-Emiliano)

Pania della Croce (Alpi Apuane)

In padule in bicicletta

Miniera buca della Vena (Alpi Apuane)

Castelluccio di Porretta Terme

Giro del padule di Fucecchio

Monte Forato (Alpi Apuane)

Gole di su Gorropu (Sardegna)

Monte Albano

Parco Orecchiella - Pania di Corfino

Terre di Siena

Monti Sibillini

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G. Roggi - D. Bini

V. Santini

G. Roggi - D. Bini

G. Morichetti - F. Mantelli

G. Morichetti

J. Pieri - P. Bocconi

A. Lusini - M. Sabatini

D. Bini - G. Roggi

G. Duranti - P. Billeri

G. Morichetti

G. Roggi

S. Romagnoli - F. Mantelli

P. Marliani - G. Morichetti

R. Sillari

G. Morichetti - F. Mantelli

per BAMBINI

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DifficoltàEscursioniDate

giu

lug

ago

set

ott

nov

dic

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30

14

Traversata frazioni Camaioresi

Grotte di Frasassi

Gruppo monte Matanna/Nona (Apuane)

Cresta Bronconi / libro aperto

Gran Zebru'

Grotta di Fonte buia

Gita in Alpi Apuane

Orrido di Botri

Pale di San Martino (Dolomiti)

Alpe di Succiso Groppi di Camporaghena

Rifugio Portafranca e dintorni

Ferrata Siggioli (Alpi Apuane)

Monte Giovo da Renaio

Balzo Nero (Appennino)

Cascate del Rovigo (Mugello)

Escursione in Mugello

Monti della Calvana

Ballottata

Sasso Cireglio

Calanchi di Toiano (Palaia)

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G. Duranti

Orazietti - Maico - Morichetti

F. Mantelli - Romagnoli

F. Mantelli

G. Roggi - A. Orazietti

A. Lusini

G. Morichetti

G. Morichetti

P. Marliani

G. Roggi - P. Fioravanti

F. Mantelli - S. Romagnoli

G. Roggi

L. Brucini

F. Mantelli - G. Morichetti

P. Fioravanti, F. Salvestrini

F. Mantelli - S. Romagnoli

A. Lusini - F.Mantelli

V. Santini

D. Bini, G. Roggi

F. Mantelli

per BAMBINI

per BAMBINI

per BAMBINI

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T TuristicoComprende itinerari che si sviluppano su stradette, mulattiere e comodi sentieri. Hanno percorsi ben evidenti, si sviluppano sempre al di sotto dei 2000 metri di quota, hanno un dislivello massimo di 300 – 400 metri e una durata massima di cammino di 2 – 3 ore. E’ richiesta una certa conoscenza dell’ ambiente montano ed una preparazione fisica alla camminata.

E EscursionisticoLe escursioni di questo tipo sono in genere di lunga percorrenza e con dislivelli che richiedono un certo impegno fisico. Si possono sviluppare su sentieri anche stretti e con fondo disconnesso, su tracce di sentiero o segni di passaggio su terreno vario (pascoli, detriti, pietraie), su terreno senza sentieri ma con adeguata segnalazione, su pendii ripidi ma con i tratti più esposti protetti (barriere) o assicurati (pioli o cavi fissati alla roccia). Possono essere inclusi brevi tratti pianeggianti o lievemente inclinati di neve residua e singoli passaggi su roccia che richiedono l’uso delle mani per il solo equilibrio. Sono richiesti: un minimo di senso di orientamento, un minimo di esperienza e di conoscenza dell’ ambiente montano, allenamento alla camminata,calzature ed equipaggiamento adeguati. Utile la cartina topografica e la preparazione preliminare dell’escursione a tavolino.

EE Escursionisti EspertiItinerari difficili, delicati, spesso assai esposti, con dislivelli anche notevoli e con lunga permanenza ad alta quota. Si possono sviluppare anche su tracciati non segnalati ed implicano la capacità di muoversi agevolmente su terreni infidi e particolari: tracce su pendii impervi, pietraie, ghiaioni, ripidi nevai, creste,pendii aperti e senza punti di riferimento (indispensabile la cartina topografica, la bussola e l’altimetro), passaggi su roccia anche impegnativi attrezzati con infisso metallici (corde scalette, pioli, ecc.). Necessitano: attrezzatura e vestiario adeguati alla montagna “seria”, esperienza, conoscenza dell’ambiente alpino, assenza di vertigini, allenamento e determinazione.

EEA Escursionisti Esperti con AttrezzaturaEscursioni con caratteristiche simili agli itinerari EE, ma che si sviluppano su sentieri attrezzati o su vie ferrate, dove lo sforzo è continuo e l’esposizione è notevole e talvolta vertiginosa. Serve una preparazione tecnico-atletica pari almeno a quella per necessaria per vincere le basse difficoltà alpinistiche. Non è raro infatti trovarsi a tu per tu con passaggi su roccia di II° grado e in assenza di attrezzature fisse; questo implica una buona conoscenza dell’ alpinismo vero e proprio, anche se a livello elementare. Su questi percorsi è d’obbligo, per la propria ed altrui incolumità, procedere con l’ausilio dei dispositivi di autoassicurazione (imbracatura, cordini, moschettoni, dissipatore) e del casco. Utile, sempre, una corda di 10 – 15 metri per eventuali soccorsi, calate fuori programma, aiuto a compagni più deboli o stanchi, ecc.

SCALA DELLE DIFFICOLTA’ ESCURSIONISTICHE

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Incarico Nome e Cognome E-mail Telefono

Presidente Mantelli Francesco [email protected] 3343568049

Vicepresidente Morichetti Giovanni [email protected] 368456223

Segretaria Malvolti Michela [email protected] 3476790752

Magazziniere Billeri Paolo [email protected] 3299666051

Tesseramento Duranti Giancarlo [email protected] 3477351722

Consigliere Lusini Andrea [email protected] 3484940831

Consigliere Orazietti Andrea [email protected] 3317298695

Consigliere Roggi Giancarlo [email protected] 3384705079

Consigliere Santini Maico [email protected] 3470438177

Commissione Escursionistica

Referente Morichetti Giovanni [email protected] 368456223

Commissione Speleologica

Referente Lusini Andrea [email protected] 3484940831

Commissione “Terre Alte”

Referente Sani Giancarlo [email protected] 3482559323

Collegio dei Sindaci Revisori

Sindaco revisore Sabatini Marcello [email protected] 3397561022

Sindaco revisore Boldrini Marco [email protected] 3488715367

Sindaco revisore Borsini Massimo [email protected] 3385282924

N C E il T l ff

Organigramma della sezione

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