Tesi Donegani Chiara Paola · 3 6 Le caratteristiche del CdA, struttura proprietaria e performance:...
Transcript of Tesi Donegani Chiara Paola · 3 6 Le caratteristiche del CdA, struttura proprietaria e performance:...
1
INDICE
Introduzione 06 1 Introduzione al tema della corporate governance
1.1 Governance e corporate governance 11 1.2 Corporate governance e valore d’impresa 16 1.3 Corporate governance e responsabilità d’impresa 18 1.4 I criteri di classificazione dei sistemi di corporate governance 19 1.4.1 Sistemi insider e outsider 21 1.4.2 Sistemi monistici e dualistici 23 1.5 La comunicazione sulla corporate governance 28 2 La corporate governance in Italia
2.1 Le principali tappe della corporate governance in Italia: 33
la disciplina giuridica vigente 2.2 L’applicazione attuale della corporate governance in Italia 40
2.2.1 I contenuti del Codice di Autodisciplina 41 promosso da Borsa Italiana 2.2.2 I criteri di redazione della relazione sull’adesione 43 al Codice di Autodisciplina
2.3 La comunicazione sulla corporate governance in Italia 45 3 Una rassegna della letteratura
3.1 La proprietà societaria 49
3.1.1 Struttura proprietaria e valore societario 3.1.2 Struttura proprietaria e performance societaria 52 3.1.3 Struttura proprietaria ed efficienza tecnica 56
3.2 I sistemi di controllo interno ed esterno 58 della governance societaria
3.3 Le determinanti di dimensione, struttura e composizione del CdA 60 3.3.1 Le determinanti della dimensione e della struttura dei CdA 3.3.2 Le determinanti della composizione dei CdA 72
3.4 Il ruolo degli amministratori indipendenti 77
2
4 L’analisi empirica: il database
4.1 Il database 82 4.1.1 La classificazione per settori 83 4.1.2 La concentrazione industriale 85 4.1.3 La quotazione di borsa 88
4.2 Le variabili che compongono il dataset 89 4.2.1 La concentrazione proprietaria aziendale 90
4.2.2 Le variabili economico-finanziarie 91 4.2.3 Le variabili di corporate governance 95
4.3 Un’analisi qualitativa delle variabili considerate 99 4.3.1 La concentrazione proprietaria aziendale 4.3.2 Le variabili di corporate governance 104
Appendice 4.1 Le statistiche descrittive delle variabili 110
economiche e finanziarie Appendice 4.2 Il caso Mediobanca 112
5 La teoria econometrica
5.1 Le analisi di regressione con dati cross-section 117
5.1.1 Le ipotesi alla base del modello OLS 5.1.2 La goodness of fit 119 5.1.3 L’inferenza statistica 120 5.1.4 Il problema dell’eteroschedasticità 123
5.1.5 Le proprietà asintotiche degli stimatori OLS 126 5.1.6 Le variabili qualitative (variabili dummy) 128 5.1.7 Le forme funzionali 129
5.2 Il Linear Probability Model (LPM) 131 5.3 I modelli probit 132 5.4 Le analisi di regressione con dati pooled cross-section 134 5.5 Le analisi di regressione con dati panel 135
5.5.1 Il metodo first-differencing 136 5.5.2 Il metodo fixed-effect 138 5.5.3 Il metodo random-effect 140 5.5.4 Il metodo between-effect 142 5.5.5 Un confronto tra i metodi di stima per le analisi panel
3
6 Le caratteristiche del CdA, struttura proprietar ia e performance: un'analisi
empirica 6.1 Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura 146
proprietaria 6.2 Le caratteristiche del CdA in funzione delle 152
caratteristiche dell’impresa 6.2.1 La dimensione del CdA 6.2.2 La composizione del CdA 155
6.3 La performance dell’impresa in funzione 159 delle caratteristiche del CdA
6.4 Checks and balances 166 6.5 Le analisi panel 170 Appendice 6.1 Le analisi panel 172 Appendice 6.2 Le statistiche descrittive delle variabili utilizzate 183
nelle analisi econometriche
Conclusioni 185 Bibliografia 190
4
Indice delle figure e delle tavole
Figura 1.1 La governance d’impresa 16 Figura 1.2 Il sistema monistico 25 Figura 1.3 Il sistema tradizionale 27 Figura 1.4 Il sistema dualistico verticale 28
Tabella 1.1 I modelli di corporate governance 24 Tabella 4.1 Classificazione delle imprese che costituiscono il dataset 84
per l’analisi econometrica in funzione del settore industriale Tabella 4.2 I settori meno concentrati 86 Tabella 4.3 I settori maggiormente concentrati 87 Tabella 4.4 Il controllo delle società quotate 100 Tabella 4.5 La capitalizzazione di borsa delle società quotate 100 Tabella 4.6 Il controllo delle società quotate finanziarie 101 Tabella 4.7 La tipologia del primo azionista rilevante 102 Tabella 4.8 La tipologia del primo azionista rilevante nelle 102
società finanziarie Tabella 4.9 Le società a controllo familiare e i settori industriali 103
di appartenenza Tabella 4.10 I sistemi di corporate governance adottati dalle società 104 del campione per gli anni 2004-2007 Tabella 4.11 La dimensione media dei CdA delle società 105
del campione Tabella 4.12 La composizione media dei CdA delle società 106
del campione Tabella 4.13 Andamento della presenza di amministratori indipendenti 106
nei CdA Tabella 4.14 La dimensione e composizione media dei CdA delle società 107
suddivise in funzione della capitalizzazione di borsa Tabella 4.15 L’adozione del meccanismo del voto di lista e la presenza 108
di almeno un consigliere eletto tra le liste di minoranza nelle società del campione (valori percentuali)
Tabella 4.16 Il numero di riunioni dei CdA nei quattro anni (valori medi) 109
Tabella 6.1 Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura 149 proprietaria: dimensione del CdA
Tabella 6.2 Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura 150 proprietaria: percentuale di amministratori indipendenti ed esecutivi nel CdA
5
Tabella 6.3 Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche 153
dell’impresa: dimensione del CdA Tabella 6.4 Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche 154
dell’impresa: percentuale di amministratori indipendenti ed esecutivi nel CdA
Tabella 6.5 Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche 159 dell’impresa: comitati interni al CdA
Tabella 6.6 La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche 162 del CdA: Roa
Tabella 6.7 La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche 164 del CdA: Log ebit
Tabella 6.8 La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche 165 del CdA: Mtb, deviazione standard dei prezzi azionari
Tabella 6.9 Checks and balances: consiglieri indipendenti 168 Tabella 6.10 Checks and balances: comitati interni al CdA 170
Tabella 6.1A Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: 172 dimensione del CdA
Tabella 6.1B Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: 173 dimensione del CdA
Tabella 6.2A Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: 174 consiglieri indipendenti
Tabella 6.2B Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: 174 consiglieri esecutivi
Tabella 6.3A Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche 175 dell’impresa: dimensione del CdA
Tabella 6.4A Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche 176 dell’impresa: percentuale di amministratori esecutivi e indipendenti nel board
Tabella 6.5A Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche 177 dell’impresa: comitati interni al CdA
Tabella 6.6A La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche 178 del CdA: Roa
Tabella 6.6B La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche 178 del CdA: Roat+1
Tabella 6.6C La performance dell’impresa in funzione della tipologia 179 di consiglieri e di comitati interni al CdA: Roa
Tabella 6.7A La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche 180 del CdA: Log ebit
Tabella 6.8A Checks and balances: consiglieri indipendenti 181 Tabella 6.9A Checks and balances: comitati interni al CdA 182
Tavola 6.2.1 Variabili dummy: descrizione 183 Tavola 6.2.2 Variabili di corporate governance, performance societaria 184
e struttura proprietaria: descrizione e statistiche descrittive
6
INTRODUZIONE
Il dibattito sul sistema di governo delle imprese –la corporate governance– ha origini
lontane. Berle e Means (1932) sono stati i primi a teorizzare la separazione tra proprietà e
controllo tipica dell’impresa capitalistica. Alcuni decenni più tardi, agli inizi degli anni
settanta tali contributi pioneristici sono stati ripresi da Alchian e Demsetz (1972) e Jensen e
Meckling (1976) che hanno fornito una rappresentazione dinamica dell’impresa1. Questa
visione contrattualistica dell’impresa ha posto nuove problematiche e sfide da risolvere in
termini negoziali. È con l’adozione di questa visione che ha preso vigore il dibattito sul
tema della corporate governance, ovvero sui meccanismi volti alla risoluzione dei
problemi di governo dell’impresa al fine di perseguire la massimizzazione del valore
societario.
Nel corso degli ultimi anni, i processi di privatizzazione, deregolamentazione e
integrazione dei mercati finanziari, ma anche e soprattutto il verificarsi di eclatanti casi di
dissesto finanziario di grandi società quotate in borsa, hanno evidenziato l’inadeguatezza di
molte discipline nazionali sul fronte dei controlli interni ed esterni alle società e degli
obblighi di informazione degli amministratori. Si è quindi intensificato il dibattito in
materia di organizzazione, gestione e controllo delle società, riguardante la natura, la
struttura e la composizione degli organi di gestione. In anni recenti, le società quotate
italiane hanno iniziato il cammino per adeguare la propria governance ai cambiamenti
apportati dal complesso della disciplina giuridica in materia di assetto di governo
societario2.
La corporate governance è quindi materia attuale e strategica. Da un lato costituisce una
leva fondamentale della competitività delle società, rappresentando una chiave attraverso
cui massimizzare l’efficienza della gestione e più in generale ottimizzare la performance.
Dall’altro lato, dal modello di corporate governance dipende il livello di accountability
delle società, ovvero l’ampiezza della responsabilità attribuita ai gestori societari e
1 Secondo Alchian e Demsetz (1972) e Jensen e Meckling (1976) l’impresa è definibile come l’insieme di negoziazioni tra soggetti portatori di interessi diversi e a volte divergenti, e non più finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo di massimizzazione della funzione produttiva. 2 Si fa riferimento alla nuova normativa del diritto societario italiano, alla Legge sul Risparmio e i relativi Regolamenti attuativi, alla revisione del Codice di Autodisciplina delle società quotate e alle Linee guida fornite dalle diverse Associazioni di categoria coinvolte nei temi di governo delle varie tipologie di imprese e figure professionali.
7
l’efficacia del controllo cui essi sono sottoposti. I meccanismi di corporate governance
assumono un ruolo sempre più rilevante, in quanto presuppongono sia la definizione di
regole chiare nelle relazioni tra imprese e investitori sia l’individuazione di specifiche
responsabilità delle autorità di controllo, che costituiscono elementi determinanti ai fini
della promozione di mercati dei capitali efficienti e trasparenti. All’interno di tali
meccanismi riveste un ruolo fondamentale il corretto funzionamento del Consiglio di
Amministrazione (CdA).
La letteratura teorica ed empirica che si è concentrata sulla corporate governance in
generale e sul ruolo e le caratteristiche del CdA, organo chiave della gestione societaria,
più in particolare è ampia e diversificata. Molti contributi, sia teorici, sia empirici hanno
analizzato le relazioni tra struttura proprietaria, assetto di governo societario, performance
aziendale e caratteristiche del CdA3. Un capitolo della tesi è dedicato all’analisi delle
molteplici relazioni evidenziate nella letteratura sulla corporate governance a indicare la
complessità del fenomeno e il suo carattere dinamico e in divenire.
Una volta individuati gli ambiti più dibattuti in letteratura e analizzate le peculiarità delle
società quotate italiane in termini di disciplina legislativa e struttura proprietaria, la tesi
sviluppa un’analisi empirica tesa a illustrare le determinanti della struttura dei CdA e le
relazioni esistenti tra organo di gestione e risultati aziendali, sulla base di un dataset
comprendente tutte le società quotate italiane sulla Borsa Valori di Milano nel periodo
2004-2007. Il dataset contiene informazioni appositamente raccolte e classificate ai fini
della tesi circa la struttura proprietaria delle società, le caratteristiche degli assetti di
governo societario e variabili relative a dimensione, redditività e struttura finanziaria. Più
precisamente le analisi econometriche presentate nella tesi considerano un campione panel
bilanciato costituito da tutte le società per le quali si dispone di un insieme completo di
informazioni per tutti gli anni oggetto di indagine. Si sono inoltre condotte analisi
utilizzando il panel sbilanciato di tutte le imprese ricomprese nel dataset, ottenendo
risultati qualitativamente in linea con quelli ottenuti considerando il panel bilanciato.
Anticipando sinteticamente i principali risultati ottenuti, l’analisi econometrica rivela che
una struttura proprietaria particolarmente concentrata costituisce una determinante di
3 L’apprezzamento della qualità del modello di corporate governance transita necessariamente da un giudizio sulla qualità del CdA ed, in particolare, da una valutazione dell’impatto della configurazione di tale organo sulla performance aziendale.
8
rilievo della configurazione del CdA. All’aumentare della concentrazione proprietaria le
dimensioni del board tendono a ridursi e a favorire la componente esecutiva, a scapito di
quella indipendente. Le società a proprietà familiare tendono inoltre ad avere Consigli di
Amministrazione di dimensioni inferiori e con una maggiore percentuale di amministratori
esecutivi rispetto alle società non familiari.
Le variabili che meglio riescono a spiegare la dimensione e composizione del CdA sono
quelle dimensionali; lo stesso risultato vale poi per le determinanti della probabilità di
istituzione dei comitati interni al Consiglio di Amministrazione. Con riferimento alla
relazione tra performance societaria e caratteristiche dell’organo amministrativo, si è
evidenziata una relazione positiva tra risultati aziendali e dimensione del board e la
presenza di amministratori esecutivi, mentre non si è trovata alcuna evidenza robusta di
una relazione tra redditività aziendale e amministratori indipendenti. Allo stesso modo, nel
complesso la presenza di comitati interni al CdA, a eccezione del Comitato esecutivo, non
sembra determinare effetti specifici sulla performance societaria. L’analisi empirica
suggerisce inoltre l’esistenza di un effetto di controllo e bilanciamento al netto di un puro e
semplice effetto di composizione nella definizione dei compiti attribuiti al Consiglio di
Amministrazione nell’insieme delle sue componenti, che può contribuire a spiegare la
relazione tra componente indipendente nel board e probabilità di istituzione dei comitati,
in particolare quello esecutivo.
Dal complesso delle relazioni analizzate tra struttura proprietaria, configurazione del CdA
e performance societaria emerge infine la tendenza all’allineamento di proprietà e controllo
societari (ad opera del soggetto controllante), a scapito degli azionisti di minoranza, che
apportano mezzi finanziari alla società, ma non partecipano alle decisioni aziendali.
La tesi è articolata come segue. Nel primo capitolo si introduce il tema della corporate
governance, illustrando i diversi modelli di governo societario, con particolare attenzione a
quelli adottati nelle aree economiche più avanzate (mercati europei e statunitense - i
cosiddetti sistemi occidentali - e giapponese). Il secondo capitolo si concentra sulla
evoluzione della corporate governance in Italia, illustrando le principali tappe nella
definizione della governance delle società quotate italiane ed evidenziando i caratteri
distintivi dell’attuale sistema di corporate governance italiano. Segue nel terzo capitolo
una rassegna della letteratura teorica ed empirica in materia di corporate governance, sia di
matrice anglosassone, sia specifica al caso italiano. Nel quarto capitolo si illustra il
9
processo alla base della definizione del dataset costruito per l’analisi empirica di questo
lavoro. Si discutono le variabili rilevate, evidenziandone le caratteristiche qualitative
(mediante statistiche descrittive) e motivandone l’introduzione nel dataset. Il quinto
capitolo è di natura essenzialmente metodologica ed è dedicato alla teoria econometrica e
al confronto tra i metodi di stima adottati nelle analisi di regressione.
Infine, nel sesto capitolo sono discussi nel dettaglio i risultati delle analisi econometriche.
Alcune considerazioni conclusive e osservazioni circa possibili estensioni chiudono la tesi.
10
CAPITOLO 1
LA RILEVANZA DELLA CORPORATE GOVERNANCE
11
1.1 Governance e corporate governance Con il termine governance si individua l’insieme delle attività di governo dell’impresa,
sviluppate dal management e dall’organizzazione aziendale per l’ottimizzazione delle
performance economiche, competitive e socio-ambientali.
La governance aziendale monitora il corretto orientamento di tutte le decisioni e le azioni
connesse all’acquisizione e all’investimento delle risorse, al relativo impiego nello
sviluppo della gestione, al conseguimento dei risultati.
La governance riguarda quindi sia la selezione degli indirizzi di sviluppo e la definizione
degli obiettivi di medio-lungo termine dell’impresa, sia lo sviluppo degli obiettivi e la
realizzazione dell’attività operativa da cui derivano i risultati effettivi. La governance che
rappresenta in effetti il sistema attraverso cui le imprese si relazionano con i propri
interlocutori, deriva dalle scelte effettuate dagli organi di corporate governance e si fonda
su un insieme di meccanismi e di strumenti di controllo interno diretti a garantirne
l’attuazione nell’ambito della gestione.
Con il termine corporate governance (governo d’impresa) si fa riferimento invece
all’insieme di norme, metodologie, modelli e sistemi di pianificazione, gestione e controllo
necessari al funzionamento degli organi di una società; più precisamente si intende
l’insieme dei rapporti tra i manager di una società, il suo Consiglio d’Amministrazione e i
suoi azionisti. La corporate governance individua infatti il governo d’impresa quale
attività di vertice sviluppata da specifici organi con funzioni in primo luogo amministrative
e di controllo (Consiglio di Amministrazione, Consiglio di gestione, Amministratore unico,
Collegio sindacale, Consiglio di sorveglianza, Comitato per il controllo…). I rapporti tra
questi organi conducono alla definizione delle modalità e della struttura utilizzata per il
conseguimento dell’attività d’impresa e quindi ai problemi derivanti dalla separazione
della proprietà e del controllo con particolare riferimento alle relazioni che si stabiliscono
fra azionisti e amministratori.
L’origine anglosassone del termine evidenzia come la corporate governance abbia trovato
specifico approfondimento innanzi tutto con riguardo alle grandi imprese o comunque alle
società quotate: il fabbisogno di regolamentazione e di verifica dei comportamenti risulta
in effetti maggiore all’aumentare del numero e della dispersione degli interessi coinvolti e
12
dei rischi; per contro, l’attività amministrativa e di controllo qualifica l’evoluzione di tutte
le imprese. Il modello di governo di un’impresa configura la tipologia di gestione
dell’impresa stessa: la governance di un’impresa determina, da un lato, l’attribuzione dei
poteri decisionali nelle diverse circostanze e, dall’altro, i rapporti tra l’impresa e i soggetti
ad essa legati da rapporti economici (creditori, debitori, azionisti, dipendenti).
Il sistema di governance è inoltre definibile come un complesso insieme di vincoli che
definisce e pertanto limita le modalità con cui le rendite che si generano in un’impresa
possono essere successivamente distribuite tra i vari soggetti coinvolti.
Poiché la distribuzione delle rendite ex post avrà importanti effetti su come esse sono
prodotte ex ante, per questa via la corporate governance influenza significativamente il
livello di efficienza delle imprese: da un lato, chi non riceve un adeguato compenso
potrebbe non investire abbastanza in attività che accrescono il valore dell’impresa,
dall’altro, i soggetti coinvolti potrebbero investire in attività inefficienti, il cui unico scopo
è quello di modificare a proprio favore la divisione delle rendite ex post. Il sistema di
governance influisce anche sul modo in cui si svolge la contrattazione tra i soggetti dopo
che le rendite sono state prodotte, attraverso gli effetti che può avere sul grado di
asimmetria informativa tra le parti, sul livello dei costi di coordinamento, sui vincoli
finanziari dei diversi soggetti. Infine, il sistema di governance influenza il modo in cui il
rischio è allocato tra i vari soggetti e di conseguenza il livello complessivo di rischio
generato nel sistema.
La responsabilità degli organi amministrativi è un punto centrale del dibattito sulla
corporate governance soprattutto con riguardo alle società con azionariato diffuso, per le
quali il controllo diretto dei soci di minoranza è minore. Infatti in tale situazione i soci,
spesso disinteressati all’esercizio dei propri poteri di azionisti (c.d. voice) per l’esiguo peso
che hanno sono indotti a esternare il proprio dissenso con l’alienazione delle proprie
azioni, recedendo quindi dalla società (c.d. exit).
In tale contesto, la corporate governance tende a evolvere da una situazione di preminente
attenzione per gli azionisti e per la connessa responsabilità economica, a una opportuna
13
valorizzazione di tutti gli stakeholder4 e dell’insieme di responsabilità (amministrative,
economiche e sociali d’impresa). Il soddisfacimento delle attese e in primo luogo degli
interessi di coloro che conferiscono le risorse primarie (conferenti di capitale di rischio e
prestatori di manodopera), rappresenta l’elemento promotore di tutta l’attività di impresa.
A tale elemento si associa il mandato conferito agli organi di corporate governance.
La corporate governance è quindi un’attività diretta allo sviluppo di decisioni e azioni
orientate alla soddisfazione degli interessi, spesso anche contrapposti, delle differenti
categorie di stakeholder. La relativa attuazione definisce le modalità di istituzione di
durevoli relazioni positive tra i diversi portatori di interesse dell’impresa, le potenzialità di
successo, di crescita e di affermazione nell’ambiente competitivo, la capacità di
ottenimento di consenso e risorse. Gli stakeholder si attendono dall’impresa un’efficace
Amministrazione, opportunamente strutturata e costantemente monitorata, trasparente e in
grado di trasferire tutte le informazioni necessarie per consentire l’espletamento dei
necessari processi valutativi.
Di conseguenza, la corporate governance implica l’opportuna realizzazione di processi di:
-amministrazione, cioè di perfezionamento delle scelte e di definizione degli indirizzi di
corretta attuazione della gestione;
-di controllo, ovvero di verifica della correttezza e dell’efficacia dei comportamenti
amministrativi;
-di comunicazione, cioè di trasferimento interno ed esterno di tutte le informazioni volte a
realizzare la trasparenza e il conveniente orientamento comportamentale.
In ottica economico-aziendale, la corporate governance si connette all’assetto istituzionale
dell’impresa e presidia la definizione degli indirizzi volti a determinare gli assetti
strutturali (assetto organizzativo, tecnico e patrimoniale) e le dinamiche gestionali. Si
tratta, ancora una volta, di un’attività di vertice, svolta da specifici organismi, su mandato
della proprietà e nell’interesse dell’impresa. Le attese sono di carattere economico, ma
anche di carattere sociale e possono trovare realizzazione durevole solo a fronte di
4 In ambito internazionale, i diversi contributi scientifici tendono spesso a considerare tre differenti categorie di “stakeholder” (i cosiddetti portatori di interesse): gli “equity stakeholder”, ossia i conferenti di capitale di rischio con potere di nomina degli organi di governo societario, gli “economic stakeholder”, cioè gli interlocutori aziendali con potere di intervento collegato essenzialmente a relazioni di prestazione di lavoro e di mercato e gli “environmental stakeholder”, ossia tutti gli interlocutori sociali che influenzano solo indirettamente la dinamica aziendale, esercitando su di essa pressioni di natura socio-politica.
14
comportamenti rispettosi della disciplina legale. Di conseguenza, la corporate governance,
in quanto attività amministrativa, di controllo e di comunicazione deve essere orientata al
rispetto delle norme (responsabilità amministrativa), alla creazione di valore per garantire
la realizzazione di processi di autofinanziamento e la soddisfacente remunerazione dei
conferenti di capitale di rischio (responsabilità economica), la corretta soddisfazione dei
bisogni della clientela per la formazione di valore aggiunto attraverso i cicli della gestione
caratteristica aziendale, la soddisfazione del personale per una gestione improntata
all’efficacia e all’efficienza e infine la conveniente remunerazione di tutti gli altri fattori
acquisiti in modo da ottenere le migliori potenzialità di fornitura nel tempo (responsabilità
sociale ed economica). Con riguardo dunque al ruolo della corporate governance per la
realizzazione dei fini dell’impresa, le decisioni di governo devono essere animate dall’equo
contemperamento delle responsabilità economiche (nei confronti della proprietà, dei
prestatori di lavoro, ma anche di coloro che hanno concesso crediti di finanziamento, di
regolamento o che intrattengono relazioni con implicazioni economiche di vario tipo),
responsabilità amministrativa (riconducibile al rispetto delle norme civili e fiscali) e
responsabilità sociale (nei confronti di tutti coloro con cui si intrattengono relazioni
strumentali per lo sviluppo dell’attività).
L’aspetto strutturale della corporate governance
Da un punto di vista strutturale, la corporate governance si correla in primo luogo agli
organi preposti alla definizione del sistema degli scopi, degli indirizzi, delle linee evolutive
fondamentali e al controllo del corretto sviluppo dell’attività amministrativa e di
comunicazione. Gli organi di governance ricevono mandato dalla proprietà (direttamente o
indirettamente) a esercitare le funzioni amministrative (si ha quindi un organo
amministrativo di governance) o di controllo (si configura così l’organo di controllo di
governance). Il mandato può essere formalizzato o derivante da norme e consuetudini ma,
per essere espletato correttamente, presuppone il mantenimento delle condizioni di
efficacia in tutte le relazioni che l’impresa intrattiene con l’ambiente.
Secondo la teoria dei contratti, la relazione che unisce gli organi di governance alla
proprietà è riconducibile ad un rapporto d’agenzia (principale-agente), fondato sulla delega
e sulla responsabilità per i risultati. Le norme e i principi generalmente accettati nel paese
15
in cui ha sede l’impresa tendono a definire le caratteristiche del rapporto di agenzia: la
numerosità degli organi, la connessa composizione minima, i compiti correlati, le
responsabilità e le modalità interattive. Ciascuna impresa definisce poi, mediante propria
regolamentazione interna (ad esempio, per mezzo dello statuto aziendale), le modalità
specifiche di applicazione nell’ambito della discrezionalità consentita da norme e
raccomandazioni.
L’aspetto processuale della corporate governance
Dal punto di vista dei processi aziendali che vengono posti in essere l’attività di corporate
governance riguarda l’insieme coordinato delle decisioni e delle azioni volte a definire le
condizioni generali di efficacia rispetto alle attese confluenti in impresa e al corretto
sviluppo del rapporto risorse, attività, risultati.
In questo caso il riferimento essenziale riguarda i processi volti a indirizzare e gestire l’attività, nell’intenzione di ottenere risultati ottimali e coerenti con le attese dei conferenti capitale di rischio e di
tutti gli altri stakeholder, i processi finalizzati a eseguire i necessari controlli di affidabilità delle informazioni e di correttezza formale e sostanziale degli assetti e delle procedure e infine le modalità di interazione e le comunicazioni attivate con i diversi attori sociali. La corporate governance implica perciò lo sviluppo integrato di funzioni di amministrazione e controllo, a salvaguardia dei requisiti di efficacia, trasparenza comportamentale e di corretta gestione dei rischi di impresa. A tali attività si
affianca un coerente sviluppo delle comunicazioni dirette a regolamentare la trasparenza dell’interazione con gli stakeholder come si vede nella
Figura 1.1.
Si ribadisce quindi che il processo di corporate governance presuppone la realizzazione di
tre diverse tipologie di attività di vertice: le attività di amministrazione, le attività di
controllo e quelle di comunicazione, le prime due demandate a specifici organi, la terza
attuata da entrambi gli organi, nell’ambito ciascuno delle proprie competenze.
Go
vern
an
ce d
’imp
resa
Con
sens
o e
fiduc
ia d
egli
sta
keh
old
er
Corporate Governance Organi di governo
16
Figura 1.1. La governance d'impresa (Fonte: Salvioni (2007) p 30)
Strettamente legata all’aspetto dei processi aziendali, l’analisi sui risultati considera la
capacità di effettiva soddisfazione delle diverse attese, con riguardo ai fenomeni di
creazione di ricchezza e alle relative determinanti significative di carattere economico,
competitivo e sociale: assumono in questo caso rilievo le modalità di contemperamento dei
diversi interessi per l’ottenimento di consenso nel tempo e l’adozione di adeguate
procedure di rendicontazione e di controllo.
1.2 Corporate governance e valore d’impresa
La centralità della creazione di valore è una condizione essenziale di successo delle
imprese: tale condizione non deve però essere ritenuta una finalità dominante o addirittura
esclusiva, bensì un elemento indispensabile per produrre le risorse da reinvestire e per
garantire la disponibilità dei mezzi da destinare alla soddisfazione degli stakeholder. In
effetti, tra acquisizione, produzione e destinazione di risorse si instaura un meccanismo
continuo, di carattere circolare, la cui virtuosità tende a connettersi in primo luogo alla
17
qualità della governance5. E gli indirizzi di governance selezionati si riflettono sulle
modalità di ottenimento del valore stesso e sulla relativa possibilità di crescita potenziale.
In passato, specie in Italia dove vi è sempre stata un’attenzione particolare degli studiosi
per la stakeholder view6, le scelte realmente operate dalle imprese hanno non di rado
evidenziato significative difformità tra posizioni teoriche e prassi comportamentale. Per
lungo tempo infatti, la corporate governance ha spesso riportato un’interpretazione
restrittiva del mandato ricevuto, con un eccessivo privilegio degli interessi della proprietà,
con una frequente predominanza di un orientamento al profitto, talora anche con
comportamenti diretti a creare disparità di trattamento tra sottogruppi di conferenti di
capitale di rischio (tra soci di maggioranza e minoranza). Solamente negli ultimi anni, a
seguito anche del susseguirsi di situazioni di conclamata fraudolenza e iniquità
comportamentale, a livello mondiale si è andata diffondendo una nuova concezione del
ruolo dell’impresa nella società, con una significativa rivalutazione degli interessi degli
stakeholder e delle interdipendenze tra rispetto delle norme, comportamento economico,
sociale, ambientale e potenzialità di acquisizione di risorse e consenso. L’esigenza di
assunzione di modelli di governance più efficaci e corretti risulta inoltre acuita dai recenti
fenomeni di globalizzazione dei mercati e delle informazioni, di crescita della complessità
delle relazioni intra e interaziendali, di rilevanza della capacità di innovazione di prodotti e
processi, di necessità di recupero di fiducia e di consenso sull’operato aziendale.
Nell’attuale situazione di contesto competitivo, al governo aziendale è richiesto un
approccio fondato su obiettivi ampi, rivolti all’opportuna valorizzazione dell’intera rete
delle relazioni interne ed esterne, secondo un approccio basato sull’ottimizzazione dei
comportamenti rispetto alle attese e sullo scambio informativo. L’interpretazione restrittiva
della shareholder supremacy7 evidenzia quindi significativi limiti, soprattutto a fronte
dell’attuale capacità e tempestività di diffusione delle informazioni e delle possibilità di
5 Qui, la governance è intesa in senso ampio, cioè come attività amministrativo-gestionale, di comunicazione e controllo, sviluppata dai vertici e, attraverso opportuni meccanismi di orientamento comportamentale, da tutta l’organizzazione. 6 Orientamento di pensiero che valorizza tutte le relazioni aziendali e le connesse attese economiche e non, in quanto associabili all’ottenimento dei fattori strumentali per la formazione dei presupposti di successo duraturo, con una visione più ampia degli attori sociali primari 7 La shareholder supremacy sostiene la supremazia dei conferenti di capitale di rischio e delle connesse attese economiche e non economiche, in quanto attori primari che sopportano il rischio d’impresa e a cui spetta un ruolo dominante nella definizione delle norme interne e nella nomina degli organi di corporate governance.
18
confronto tra differenti interlocutori dell’impresa. La chiara valorizzazione di tutti gli
stakeholder e l’assunzione di una responsabilità globale si configurano sempre più quali
condizioni essenziali a garanzia del mantenimento della capacità di creazione di valore
dell’impresa. Concretamente, una buona governance societaria dovrebbe quindi garantire
rappresentanza nelle strutture di governo e sufficienti garanzie anche ai soci di minoranza e
a tutti gli altri interlocutori dell’impresa, e ancora offrire comunicazioni sempre più
intelligibili e trasparenti sulla governance e sui suoi risultati.
1.3 Corporate governance e responsabilità d’impresa
Il comportamento degli organi di corporate governance e l’intera attività di governo
manageriale presuppongono l’assunzione di una responsabilità globale, volta a combinare
efficacemente gli aspetti economici, amministrativi, sociali e la considerazione di tutte le
classi di portatori di interesse con cui l’impresa intrattiene relazioni.
In passato, la frequente assunzione di un concetto restrittivo di responsabilità, prettamente
incentrato sul profitto, e la forte dipendenza degli organi di governance dalla proprietà
hanno non di rado determinato:
� Consigli di Amministrazione composti da membri scelti esclusivamente da
azionisti, in prevalenza di maggioranza;
� l’attribuzione di deleghe formali ma non sostanziali agli organi di governance,
spesso indotti a ratificare decisioni già perfezionate in altra sede e a sottoscrivere
verbali già predisposti;
� remunerazioni di membri esecutivi dei Consigli di Amministrazione e manager (in
genere soci di maggioranza e persone di loro fiducia) talora eccessive e tali da
consumare vasta parte delle risorse economiche prodotte;
� situazioni di significativa asimmetria informativa/comunicazionale, con messaggi
veicolati all’esterno poco chiari o eventualmente rielaborati;
� rapporti collusivi tra vertici di governo e istituti di credito, diretti a trasferire stati
di rischiosità conclamata su operatori meno formati;
19
� situazioni in cui i risultati dichiarati non sono corrispondenti al reale e tali da
garantire l’assegnazione ai membri degli organi di governance in scadenza di
eventuali remunerazioni integrative legate al raggiungimento di obiettivi di
carattere economico.
Tali comportamenti si scontrano oggi con il concetto ampio di responsabilità che si sta
affermando, con il proliferare di forme di associazionismo a tutela degli stakeholder esterni
e con l’ampliamento dei processi di controllo interno ed esterno. Di notevole rilievo sono
anche la diffusione di codici etici diretti a regolamentare i comportamenti degli organi di
governance, degli attori interni, ma anche di significativi gruppi di attori esterni con cui si
intrattengono relazioni di scambio, lo sviluppo dei codici di autodisciplina e ancora, di una
sempre più precisa normativa internazionale (europea e statunitense) e nazionale.
1.4 I criteri di classificazione dei sistemi di corporate
governance
I sistemi di corporate governance sono volti a promuovere l’integrità della gestione e la
generazione di valore per gli stakeholder, secondo il vario combinarsi degli assetti di
direzione e controllo. Numerosi fattori economici, storici e legati alla tradizione giuridica
concorrono tuttavia a determinare la concreta struttura dei sistemi nei diversi paesi,
originandone le peculiarità.
Gli assetti e le regole di governo aziendale possono essere introdotte dal legislatore, oppure
derivare dall’iniziativa privata o dalla prassi, nel tentativo di rispondere alle esigenze di
protezione degli investitori e di positiva interazione delle imprese con il contesto
competitivo. Solitamente nei paesi common law (ovvero nel mondo anglosassone, dove la
legge non è scritta e la giurisprudenza è fonte di diritto) si assiste ad una forte presa di
posizione degli organismi che vigilano sulle borse valori, i quali cercano di preservarne
l’affidabilità stabilendo rigide condizioni (di amministrazione e controllo, nonché di
comunicazione esterna), che le imprese devono rispettare per essere ammesse alla
quotazione. Nei paesi civil law, molti dei quali sono stati influenzati dal Codice
napoleonico, è invece prevalentemente la legge scritta che orienta e vincola le strutture e i
20
processi di governo, concentrandosi sovente sulle grandi imprese. La regolamentazione
pubblica si inserisce in un contesto assai ‘più chiuso’, dove la proprietà del capitale di
rischio si trasferisce essenzialmente per mezzo di accordi tra le parti, con un ruolo meno
rilevante del mercato finanziario. La legge definisce, allora, specifiche operazioni e
procedure che costituiscono il framework all’interno del quale devono svolgersi le
operazioni di trasferimento delle quote di capitale, affinché non siano violati gli interessi
degli azionisti di minoranza e degli altri stakeholder.
Un primo fattore che contribuisce a spiegare le differenze tra i sistemi di direzione e
controllo delle imprese è proprio il differente ruolo esercitato dai mercati finanziari: nei
mercati anglosassoni le risorse transitano rapidamente da un’impresa all’altra, seguendo
l’andamento dei prezzi di borsa e rendendo meno frequente la formazione di maggioranze
stabili e realmente interessate a gestire la società. In tale situazione, i manager assumono
una sostanziale posizione di comando, da cui si origina uno tra i più discussi problemi di
governo aziendale, ossia come allineare gli obiettivi degli azionisti e del management,
assicurando al contempo la crescita equilibrata dell’impresa nel lungo periodo e la tutela
delle attese economiche e sociali.
Un secondo fattore di rilievo è rappresentato dal differente ruolo svolto dalle banche nel
sistema economico: in alcuni paesi (come Germania e Giappone), le banche hanno svolto
una funzione decisiva per superare le gravi crisi industriali connesse alle guerre del secolo
scorso, sostenendo la ripresa dell’economia e lo sviluppo delle imprese non finanziarie. Da
allora, gli istituti di credito partecipano o hanno partecipato, con varia intensità, alla
formulazione delle strategie d’impresa, operando in qualità di azionisti permanenti,
detentori di una parte considerevole del capitale di rischio, e provvedendo quindi alla
nomina di un numero ragguardevole di consiglieri. Allo stesso tempo però, gli istituti
bancari hanno tradizionalmente prestato ingenti somme alle aziende, ricoprendo la duplice
posizione di soci e creditori.
Un terzo fattore che determina le tipicità nazionali dei sistemi di corporate governance è
costituito dal rapporto tra i prestatori di lavoro e l’impresa, per quanto riguarda l’apertura
degli organi istituzionali nei confronti di soggetti che non rappresentano la proprietà. A tale
proposito, l’elemento più significativo è fornito dalla realtà tedesca, nella quale i
rappresentanti dei dipendenti sono presenti nel consiglio di sorveglianza, ossia l’organo
che nomina e controlla l’operato degli amministratori. Il diritto societario tedesco
21
riconosce cioè il ruolo chiave della co-gestione aziendale e lo istituzionalizza, prevedendo
la partecipazione dei lavoratori all’organo di vigilanza.
Infine, le differenze tra i sistemi di governance discendono dalle modalità di interazione tra
gli organi di gestione e controllo e dalla distanza tra la proprietà e il management. Se
quest’ultimo infatti non è posto sotto l’influenza diretta degli azionisti di maggioranza,
bensì è indirizzato e controllato dal Consiglio di Amministrazione o da un organo di
vigilanza in grado di mediare tra tutti gli interessi confluenti in azienda, è assai più
probabile che si possa arrivare a un’equa composizione delle attese.
La classificazione dei sistemi di corporate governance è effettuata in letteratura attraverso
l’utilizzo di due principali criteri:
1. il tipo di monitoring al quale sono sottoposti i dirigenti: monitoraggio “esterno”,
realizzato dal mercato o monitoraggio “interno”, ad opera dei principali portatori di
interesse; in questo caso si distingue tra l’outsider system e l’insider system;
2. la distribuzione dei poteri di amministrazione e di controllo, che può configurare
sistemi dove le correlate funzioni sono attribuite tutte ad un solo organo, oppure
sistemi che stabiliscono e realizzano la separazione di tali poteri tra due organi
distinti; si parla rispettivamente di sistemi monistici e dualistici.
1.4.1 Sistemi insider e outsider Il controllo della gestione aziendale e del raggiungimento degli obiettivi può essere
realizzato dall’esterno, per effetto dell’efficiente funzionamento del mercato dei capitali,
oppure dall’interno, ad opera dei soggetti interessati a tessere e mantenere relazioni
durevoli con l’impresa.
Gli insider system sono contraddistinti da mercati finanziari poco sviluppati, proprietà
concentrata e stabile ed importanti legami tra le imprese e le istituzioni bancarie. In tali
realtà, a causa della vischiosità dei mercati finanziari, un controllo dall’interno è
essenziale: poiché la proprietà è detenuta da un solo o pochi azionisti che costituiscono il
cosiddetto “zoccolo duro”, in borsa è scambiata solo una parte marginale del capitale, che
non consentirebbe la sostituzione del management per mezzo di scalate esterne nemmeno
se fosse acquistata per intero da un unico soggetto. Il controllo sull’attività dei manager è
22
quindi affidato a un organo composto dai rappresentanti dei principali stakeholder,
selezionati sulla base della loro esposizione al rischio e alla criticità della risorsa conferita.
Vicende storiche ed economiche in cui si è affermato l’insider system hanno contribuito a
delinearne due modelli parzialmente divergenti:
-un insider system di tipo renano (detto anche relationship-based system o network
oriented system), originario della Germania, ma diffuso anche nell’Europa centrale e nei
Paesi scandinavi, connotato da un forte grado di partecipazione al controllo da parte di
banche e dipendenti, che mirano a instaurare e mantenere proficue e durature relazioni con
l’impresa. Si tratta di una visione partecipativa della gestione aziendale, per cui i vertici
coordinano di fatto il tessuto di relazioni che coinvolgono la società, banche e lavoratori
indirizzano le scelte di governo e vigilano sull’amministrazione, in qualità di componenti
dell’organo di supervisione, riuscendo così a controbilanciare il potere esercitabile da altri
azionisti rilevanti: il sistema tedesco è dunque strutturato in modo da sottrarre il
management dall’influenza diretta della proprietà e da stimolarlo a comportarsi con
imparzialità e professionalità;
-un insider system di tipo latino, diffuso in Italia, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo e
Grecia. Come per il modello sopra descritto, il controllo non è lasciato al mercato
borsistico, tuttavia nel modello latino, manca la visione di una partnership con banche e
lavoratori: essi sono considerati stakeholder esterni alle funzioni di governo economico e
controllo, importanti ma non decisivi per il successo dell’impresa. L’aspetto più originale
di questo sistema consiste nella notevole influenza che la proprietà (spesso altamente
concentrata all’interno di una famiglia o di un gruppo, nonché protetta mediante accordi di
voto e incroci azionari) è in grado di fare valere sul management.
L’ outsider system, detto anche market-oriented system, è diffuso presso un elevato numero
di grandi società quotate, a proprietà altamente frazionata e diffusa: è il caso delle grandi
imprese anglosassoni, nelle quali la common law offre un buon grado di protezione agli
azionisti di minoranza e ai creditori sociali, mentre la soddisfazione degli altri stakeholder
tende spesso a passare in secondo piano e dove si verificano sovente conflitti di interesse
tra gli azionisti e il management: questi presentano differenti attese e un grado diverso di
partecipazione alla vita societaria. Molti investitori non sono infatti interessati all’azienda
se non per quanto attiene alla sua redditività e alla conseguente capacità di distribuire
23
dividendi. Inoltre essi sono portati a trascurare l’esercizio dei controlli per non sostenerne i
costi, spesso eccessivi rispetto ai benefici, condivisi invece da tutti gli azionisti. Questo
fenomeno è definito con l’espressione “comportamento da free rider”. Di contro, per i
manager la gestione aziendale e i relativi risultati costituiscono un fattore essenziale per la
loro riconferma ai vertici e per il mantenimento dei poteri esecutivi. L’inerzia degli
azionisti assicura al management un’ampia discrezionalità, accentuata dall’accesso diretto
alle informazioni interne, precluse invece agli investitori.
L’efficacia dell’outsider system dipende dalla possibilità che, acquistando una certa
quantità di azioni sul mercato, un soggetto possa contendere il controllo a chi lo detiene in
quel momento e assicurarsi il diritto a sostituire il management. La tutela degli azionisti è
comunque garantita dall’immediatezza con cui questi possono uscire dalla compagine
azionaria, cedendo i propri titoli8, grazie alla liquidità del mercato.
1.4.2 Sistemi monistici e dualistici
Gli ordinamenti giuridici nazionali, le prassi e i codici di best practice rispondono con
modalità differenti all’esigenza di un equilibrato soddisfacimento delle attese dei vari
interlocutori aziendali. Il diverso grado di separazione tra gli organi istituzionali e le loro
conseguenti differenti modalità di interazione consentono di individuare due distinti
modelli: il modello monistico, in cui i poteri sono conferiti a persone diverse ma
appartenenti a uno stesso organo eletto dall’assemblea e quello dualistico, nel quale due
organi distinti (eletti entrambi dall’assemblea dei soci), formalmente separati in quanto
composti da soggetti fisicamente diversi, esercitano l’uno le prerogative di governo e
l’altro quelle di controllo.
8 Come osservato in dottrina, “l’outsider system è caratterizzato dall’exit, piuttosto che dalla voice”.
24
La Tabella 1.1 indica, per ciascun paese riportato, quali modelli di corporate governance
sono implementati.
Modello monistico Modello dualistico verticale
Modello dualistico orizzontale (o tradizionale)
Austria X
Belgio X X
Canada X
Danimarca X
Finlandia X X
Francia X X
Germania X
Giappone X X
Gran Bretagna X
Grecia X
Irlanda X
Italia X X X
Lussemburgo X X
Norvegia X X
Portogallo X X X
Russia X X X
Spagna X
Stati Uniti X
Svezia X
Tabella 1.1. I modelli di corporate governance (Fonte: Salvioni (2007) p 60)
25
Il sistema monistico
Il sistema monistico o unitario è definito in inglese “one tier system”, per l’esistenza di un
solo livello di nomina: questa è effettuata dall’assemblea dei soci nei confronti del
Consiglio di Amministrazione. Esso è l’organo fondamentale costituito da amministratori
esecutivi e non esecutivi.
Figura 1. 2. Il sistema monistico (Fonte: Salvioni (2007) p 61)
L’aspetto peculiare del sistema monistico è che ai componenti non esecutivi del Consiglio
di Amministrazione (una parte dei quali deve possedere i requisiti di indipendenza) è
attribuito anche il potere di controllo sull’amministrazione. L’estraneità degli
amministratori non esecutivi dall’esercizio diretto della gestione consente loro
giuridicamente di operare nell’interesse degli stakeholder esterni; essi vigilano sul corretto
svolgimento delle operazioni, sulla gestione dei rischi e sull’equità di trattamento dei
differenti portatori di interessi.
Gli amministratori esecutivi svolgono le funzioni manageriali, affiancati dai dirigenti
aziendali, predispongono i progetti strategici e provvedono alla loro attuazione dopo che
sono stati discussi e approvati dall’intero Consiglio di Amministrazione, talvolta
detengono una quota importante del capitale sociale o sono di fatto nominati dalla
proprietà. Tra di essi può essere nominato il direttore generale o Chief executive officer
ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI ( ed eventuali altri stakeholder )
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
CEO
AMMINISTRATORI
NON ESECUTIVI
26
(Ceo): in tal caso il soggetto prescelto opera come elemento di collegamento tra i vertici
istituzionali e l’organizzazione, garantendo il necessario scambio di informazioni.
Non mancano però critiche al sistema monistico, innanzitutto per il fatto che i soggetti
preposti al controllo sono membri dell’organo amministrativo, rispetto al quale si deve
realizzare l’attività di indirizzo e monitoraggio: al riguardo, è opportuno sottolineare che
gli amministratori i quali svolgono funzioni di vigilanza non possono esercitare le funzioni
manageriali e almeno alcuni amministratori non esecutivi devono rispettare, come detto
sopra, specifici requisiti di indipendenza. Sembrano perciò esistere sufficienti garanzie di
imparzialità nelle valutazioni formulate dai consiglieri non esecutivi, nonostante la loro
appartenenza al Consiglio di Amministrazione. Un secondo possibile aspetto problematico
riguarda il grado di approfondimento e la qualità delle informazioni a disposizione degli
amministratori non esecutivi; tuttavia la comunicazione dei fatti gestionali a tutto il
Consiglio di Amministrazione e in particolare ai membri che non hanno preso parte alla
gestione è una responsabilità imposta ad ogni amministratore, con una frequenza
prestabilita. Infine si potrebbero verificare situazioni nelle quali i consiglieri non esecutivi
adottano comportamenti volti a contrastare le strategie proposte da quelli esecutivi e a
monitorarne l’operato. Tale rischio può essere evitato dall’intervento di un presidente del
CdA autorevole, che ribadisca le competenze specifiche di ciascuna tipologia di
amministratori e promuova una proficua discussione nelle riunioni del Consiglio di
Amministrazione stesso.
Il sistema dualistico
Il sistema dualistico si caratterizza invece per l’esistenza di due organi separati di direzione
e sorveglianza. È possibile però, in questo caso, effettuare un’ulteriore distinzione sulla
base dei soggetti investiti del potere di nominare gli organi di amministrazione e controllo,
configurando sistemi dualistici verticali e orizzontali (in quest’ultimo caso si parla anche di
sistemi tradizionali).
Il sistema tradizionale o dualistico orizzontale è un modello di governance che prevede che
l’assemblea dei soci elegga sia il Consiglio di Amministrazione, sia il collegio sindacale e,
per l’incompatibilità delle due cariche, nessun soggetto possa far contemporaneamente
parte di entrambi gli organi. Particolarmente diffuso in Italia, questo modello trova invece
scarsa applicazione all’estero.
27
Figura 1. 3. Il sistema tradizionale (Fonte: Salvioni (2007) p 63)
Nel sistema dualistico verticale, il modello di corporate governance si sviluppa su due
livelli: il primo livello è rappresentato dalla nomina, da parte dell’assemblea dei soci o
degli altri soggetti autorizzati dalla legge, del Consiglio di sorveglianza (supervisory
board); il secondo livello si individua in fase di nomina del Consiglio di gestione
(management board) da parte del Consiglio di sorveglianza.
In questo modello, l’organo di controllo, ossia il Consiglio di sorveglianza (di emanazione
assembleare) è investito di funzioni di notevole rilevanza, che negli altri modelli sono
attribuite all’assemblea degli azionisti: la nomina e la revoca del Consiglio di gestione, la
definizione dei compensi riconosciuti ai consiglieri, l’approvazione del progetto di
bilancio.
L’organo di sorveglianza, quindi, assume decisioni in relazione alle quali gli azionisti
potrebbero incontrare difficoltà ad esprimersi, soprattutto quando non intervengono
direttamente nella gestione aziendale, non sono interessati a partecipare alle assemblee
periodiche o non dispongono delle competenze necessarie per portare a termine processi
decisionali ponderati.
Anche il sistema dualistico suscita tuttavia alcune perplessità, derivanti dal fatto che il
Consiglio di sorveglianza possa esercitare un controllo non sufficientemente tempestivo
sulla gestione aziendale e sul funzionamento della struttura organizzativa, informativa e dei
sistemi di controllo interno; ciò potrebbe rallentare anche l’effettivo svolgimento delle
attività operative, nel caso in cui il Consiglio di gestione dovesse ottenere l’autorizzazione
a procedere da parte del Consiglio di sorveglianza, come frequentemente avviene nei
sistemi dualistici verticali.
ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE COLLEGIO SINDACALE
nomina nomina
28
Figura 1. 4. Il sistema dualistico verticale
(Fonte: Salvioni (2007) p 63)
1.5 La comunicazione sulla corporate governance
Negli ultimi anni si registra una crescente sensibilità nei confronti della comunicazione
sulla corporate governance, definibile come una sintetica informazione sulle strutture e
sulle procedure di governo aziendale e considerata uno dei presupposti per l’istituzione di
efficaci rapporti con gli interlocutori aziendali, a condizione che la stessa sia sviluppata
secondo logiche di trasparenza, veridicità e chiarezza. Da una parte gli interlocutori
aziendali sono infatti, sempre più interessati non solo a conoscere e valutare la capacità
dell’impresa di generare valore, ma anche quali siano le regole di governo adottate per
garantire un’equa diffusione del valore generato, secondo logiche di contemperamento
degli interessi. Dall’altra, le aziende sono sempre più frequentemente osservate e valutate,
anche per quanto riguarda la loro capacità di implementazione di meccanismi strutturali e
procedurali in grado di contrastare logiche di governo eventualmente miranti a privilegiare
alcune classi di stakeholder, a discapito di quelle meno rappresentate e tutelate. A livello
nazionale e internazionale, le forme di comunicazione sulla corporate governance
rientrano tuttora nella sfera della comunicazione volontaria, sebbene si vada consolidando
l’impostazione secondo la quale le informazioni sulla corporate governance rappresentino
ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI ( ed eventuali altri stakeholder )
CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA
CONSIGLIO DI GESTIONE
nomina
nomina
29
un elemento fondamentale per l’efficacia aziendale. A livello internazionale, nel 2006,
l’Onu ha pubblicato la “Guidance on Good Practices in Corporate Governance
Disclosure”, nella quale sono evidenziati gli aspetti ritenuti essenziali per la realizzazione
di una comunicazione sulla corporate governance efficace, con l’intento di proporre alle
aziende una guida cui le stesse possano, su base volontaristica, ispirarsi. In questo
documento si sottolinea che la comunicazione in esame debba essere tempestiva, chiara,
concisa e precisa, adottando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma,
focalizzata infine sulla “comunicazione non finanziaria” e più precisamente: sulla
descrizione degli obiettivi di governo e gestionali, sulla responsabilità d’impresa, sulle
strutture organizzative e di controllo, sui principali profili di rischio e sui diritti degli
azionisti. Sempre nel 2006, anche l’Unione Europea ha prodotto una serie di
raccomandazioni in materia di corporate governance, tra cui alcuni interventi rivolti alla
comunicazione: la direttiva comunitaria 2006/46/CE9, emanata nell’agosto del 2006 è
finalizzata a favorire la creazione di un contesto omogeneo a livello europeo in materia di
comunicazione sulla corporate governance, prevedendo un insieme di regole minimali cui
tutte le società sono tenute a conformarsi, anche a seguito dell’intervento dei singoli
legislatori nazionali, entro un dato intervallo temporale, corrispondente alla fine del 2008.
Con riguardo ai singoli paesi, intensa è stata, negli ultimi anni, la produzione di norme,
regolamentazioni e raccomandazioni, volte a promuovere la comunicazione sulla corporate
governance: si tratta di interventi influenzati dalle specificità strutturali, storiche e sociali
dei paesi stessi, destinati prevalentemente alle società che si rivolgono ai mercati dei
capitali, sebbene rappresentino per tutte le società validi spunti di riflessione per le realtà
che intendono confrontarsi positivamente con i propri stakeholder rilevanti. Nell’ambito
degli interventi realizzati dai singoli organismi nazionali per indirizzare la comunicazione
sulla corporate governance è possibile individuare tre distinti approcci:
� Paesi che hanno elaborato specifiche e complete raccomandazioni finalizzate a
fornire adeguati orientamenti per la predisposizione di un documento, sovente
9 Tale Direttiva non rappresenta il primo intervento da parte del Consiglio europeo in materia di comunicazione d’impresa e, nello specifico, di comunicazione sulla corporate governance. La direttiva 2003/6/CE ha per oggetto “L’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato”, mentre la Direttiva 2006/43/CE ha per oggetto “Revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, modifica delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE e abrogazione della direttiva 84/253/CEE”.
30
chiamato “Relazione sulla corporate governance” (tra questi vi sono: Italia,
Spagna, Canada);
� Paesi (come Francia, Regno Unito, Belgio, Lussemburgo, Svezia, Danimarca,
Russia e Stati Uniti) che si sono limitati a elencare le principali tematiche in
materia di corporate governance sulle quali le società dovrebbero informare gli
stakeholder, suggerendo di inserire tale informativa all’interno di documenti
economici-finanziari, tipicamente il documento annuale di bilancio, la cui
predisposizione e diffusione è regolata per legge;
� Paesi, come il Giappone, che non hanno raccomandato né la predisposizione di una
relazione indipendente sulla corporate governance, né l’inserimento di determinate
informazioni nei documenti economico-finanziari obbligatori.
31
CAPITOLO 2
LA CORPORATE GOVERNANCE IN ITALIA
32
Nei primi anni del nuovo millennio, il dibattito sulla corporate governance è stato
alimentato dal verificarsi di alcuni episodi che hanno spinto, ancora una volta, gli studiosi
e i rappresentanti del mondo politico ed economico a interrogarsi su quale sia il modello
migliore di governo delle società industriali e degli intermediari finanziari.
In particolare, tali episodi hanno avuto per oggetto l’ascesa e il declino del valore dei titoli
della new economy e un’ondata di scandali societari che ha coinvolto alcune grandi
imprese in numerosi paesi industrializzati, tra cui l’Italia.
Il primo avvenimento che ha colpito emotivamente ed economicamente il pubblico dei
risparmiatori è rappresentato dalla bolla speculativa legata all’ascesa e al rapido declino
delle quotazioni delle imprese della new economy. Numerosi imprenditori e venture
capitalist hanno manifestato un eccessivo ottimismo nei confronti delle potenzialità insite
nelle nuove tecnologie legate a Internet, ma non solo: gli azionisti delle società hanno
sostenuto i corsi azionari per lucrare ingenti capital gain, gli intermediari finanziari hanno
collocato sul mercato le azioni delle società a valori molto elevati, nonostante le
prospettive reddituali e finanziarie fossero in alcuni casi incerte, pur di percepire le ingenti
commissioni di collocamento, le società finanziarie hanno continuato ad attribuire prezzi di
riferimento in costante crescita ai titoli azionari di società che spesso non avevano un utile
netto. Più recentemente, l’opinione pubblica è stata scossa dal fallimento improvviso e
dagli scandali finanziari che hanno colpito alcune grandi società di vari paesi. Questi
episodi hanno contribuito a mettere in luce come il sistema dei controlli in atto non sia
stato in grado di evidenziare per tempo le pratiche illegali intraprese dal top management
di tali aziende. I reati di cui sono stati accusati gli amministratori e i manager di queste
imprese sono numerosi e comprendono, tra gli altri, il falso in bilancio, l’espropriazione
illecita di fondi aziendali, la realizzazione di operazioni con parti correlate a condizioni
diverse da quelle di mercato, l’insider trading.
Tali episodi hanno colpito l’opinione pubblica perché hanno riguardato imprese di primo
piano, alcune delle quali considerate addirittura eccellenti, e hanno causato un ingente
danno patrimoniale a numerose categorie di stakeholder (azionisti, obbligazionisti, altri
finanziatori, dipendenti…). In Italia hanno fatto scalpore soprattutto i casi Cirio e Parmalat:
nel primo caso la società Cirio non ha divulgato al pubblico le informazioni in materia di
governo societario (l’assenza di informazione pubblica e quindi “il silenzio” è di per sé un
cattivo segnale!), nel secondo caso la Parmalat ha adempiuto all’obbligo di divulgazione
33
delle informazioni sulla corporate governance, ma le informazioni pubblicate si sono
rivelate in seguito false.
La conseguenza più grave di questi episodi di cattiva gestione è, oltre all’ingente danno
patrimoniale inferto ai risparmiatori che avevano comprato azioni e obbligazioni delle
società che sono fallite, la perdita di fiducia dei risparmiatori e della collettività verso gli
esponenti del mondo industriale e finanziario e verso tutti i soggetti e le autorità preposte a
vigilare sulla correttezza del comportamento delle imprese.
Per evitare che la sfiducia dei risparmiatori possa sfociare in una drastica riduzione delle
risorse finanziarie investite a vario titolo nelle imprese, le autorità nazionali e
internazionali hanno introdotto nuove norme volte ad attribuire maggiori responsabilità
civili e penali alle persone che si macchiano di reati societari.
2.1 Le principali tappe della corporate governance in Italia: la disciplina giuridica vigente
In Italia, il sistema di corporate governance è regolato oltre che dalle norme del Codice
Civile, dalla Legge 216/7410, dal D.Lgs. 58/98 (Legge Draghi o Testo Unico della
Finanza), dalla riforma del diritto societario11 e dalla Legge sul Risparmio e i relativi
Regolamenti attuativi. Accanto a queste norme legislative, esistono regole di varia natura
di tipo secondario dettate da organi di autoregolamentazione: si tratta di principi di
revisione e di comportamento degli organi interni di controllo e di codici di autodisciplina
delle società quotate. L’esistenza di tale normativa secondaria è giustificata
dall’impossibilità di regolamentare completamente i modelli di corporate governance
attraverso norme cogenti data la necessità di mantenere flessibili questi modelli.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso si è assistito a un crescente ricorso
all’autoregolamentazione attuata attraverso i codici di comportamento elaborati da
commissioni costituite nell’ambito della borsa, dalle principali società quotate, dagli
investitori istituzionali o dalle associazioni degli industriali. L’obiettivo di questi codici è
quello di delineare le linee guida di un modello di organizzazione societario che sia in
10 La Legge 216/74 integra il disposto del Codice Civile in materia di bilancio. 11 Il riferimento è al D.Lgs. 17 gennaio 2003 n° 6, con il quale è stata attuata una profonda riforma del diritto delle società.
34
grado di gestire adeguatamente il controllo dei rischi d’impresa e i potenziali conflitti di
interesse tra management e proprietà.
In diversi paesi, oltre all’Italia, sono stati emanati codici di comportamento che sono
espressamente indirizzati a disciplinare la corporate governance delle società quotate in
borsa. Tutti i codici di comportamento e le raccomandazioni fanno riferimento agli stessi
principi fondamentali di corporate governance, indipendentemente dalle caratteristiche dei
diversi sistemi e dalla loro evoluzione. I temi trattati dai codici sono:
1. Struttura e responsabilità del board
2. Remunerazione degli amministratori
3. Diritti degli azionisti e uguale trattamento degli stessi
4. Disclosure e trasparenza
5. Sistemi di controllo interno e gestione dei rischi.
Per quanto riguarda la regolamentazione della corporate governance italiana, già nel 1996
si è elaborato un progetto in materia per definire ruoli e responsabilità dei soggetti
interessati a vario titolo al governo societario e in particolare adeguare i controlli interni
allo schema indicato dal rapporto COSO12, che definisce per l’appunto cosa si intenda per
sistema di controllo interno.
Sono seguiti poi nel 1997 le disposizioni della Consob che contengono raccomandazioni
agli organi di controllo, in particolare al Consiglio di Amministrazione e al Collegio
sindacale. Al Consiglio di Amministrazione sono affidati compiti di vigilanza
sull’andamento generale della gestione, dando rilievo all’esercizio delle deleghe assegnate.
Il sistema di corporate governance italiano è stato successivamente riformato con l’entrata
in vigore del D.Lgs. 58/199813 ( TUF ) e dei regolamenti Consob di attuazione con i quali
per la prima volta il sistema di controllo interno assume uno specifico ruolo nell’ambito
della struttura organizzativa della società. Il TUF focalizza l’attività di sorveglianza del
Collegio sindacale sulla gestione della società, attraverso anche l’attribuzione in via
esclusiva a revisori esterni dei compiti di verifica in materia contabile: le modifiche
12 Il rapporto COSO (Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission, USA, 1992) definisce per la prima volta che cosa si intenda per sistema di controllo interno. Esso è identificato come un processo, svolto dal Consiglio di Amministrazione, dai dirigenti e da altri membri della struttura aziendale, che si prefigge di fornire una ragionevole certezza in merito al raggiungimento dei seguenti obiettivi: efficacia ed efficienza delle attività operative; affidabilità delle informazioni e del reporting economico e finanziario; conformità a leggi e regolamenti in vigore. 13 D. lgs. 58/1998 è la c.d. “Legge Draghi”.
35
apportate consentono dunque, al Collegio sindacale di far uso di poteri particolarmente
penetranti su un ambito di intervento ben identificato.
Nel 1999 è stato emanato il primo codice di comportamento italiano in materia di
corporate governance: il “Rapporto sulla corporate governance delle società quotate e
codice di autodisciplina”, meglio conosciuto come “Codice Preda”14, in quanto predisposto
da un comitato coordinato da Stefano Preda (allora Presidente di Borsa Italiana S.p.A.) e
da rappresentanti di industrie, banche, assicurazioni e associazioni degli emittenti e degli
investitori. I destinatari sono le società quotate nei mercati regolamentati e le finalità
dichiarate sono:
-rassicurare gli investitori internazionali sull’esistenza, nelle società quotate, di un modello
organizzativo che preveda adeguate ripartizioni di responsabilità e poteri e un corretto
equilibrio fra gestione e controllo;
-fornire uno strumento in grado di rendere più conveniente alle società quotate italiane
l’accesso al mercato dei capitali, nonché un modello di organizzazione societaria adeguato
a gestire in modo corretto i rischi d’impresa e i potenziali conflitti di interesse.
Oggetto del Codice di Autodisciplina sono sia elementi connessi all’organizzazione, sia
elementi connessi all’ambito del controllo. Tra i primi vi sono:
-la composizione del CdA (amministratori esecutivi, non esecutivi e indipendenti);
-la nomina, la responsabilità e la remunerazione degli Amministratori;
-i diritti degli azionisti e i rapporti con i soci;
-l’istituzione, da parte del CdA, di comitati di varia natura (comitato esecutivo, comitato
per il controllo interno, comitato per la remunerazione, comitato per le proposte di
nomina);
-i rapporti con gli investitori istituzionali e con gli altri soci.
Tra i secondi, relativamente alla sfera del controllo, assumono rilevanza:
-il sistema di controllo interno;
-la gestione dei rischi (Risk Management).
14 Il Codice Preda si inserisce nell’ambito del processo europeo di autoregolamentazione societaria che ha avuto inizio nel 1992 con la pubblicazione nel Regno Unito del Cadbury Report, seguito dal Rapporto Viénot in Francia nel 1995, dal Rapporto Peters in Olanda nel 1997, dal Rapporto Cardon in Belgio e dal Rapporto Olivencia in Spagna nel 1998.
36
E’ il Codice di Autodisciplina che introduce la definizione di controllo interno15 e ne
attribuisce la responsabilità al CdA, introducendo il concetto di individuazione e gestione
dei rischi aziendali16.
Nel 2001, il D.Lgs. n 231/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di
responsabilità a carico di società e altri enti associativi con riferimento ad alcuni reati
contro la Pubblica Amministrazione (per esempio, corruzione e truffa ai danni dello Stato)
e ai reati societari (ad esempio falso in bilancio e false comunicazioni sociali).
Le linee guida elaborate da Confindustria, come previsto dal suddetto decreto, nell’indicare
le caratteristiche essenziali del modello di organizzazione e gestione, fanno riferimento al
sistema di gestione dei rischi e alla progettazione di un sistema di controllo (c.d.
protocolli). I modelli organizzativi devono essere fondati su:
o la preventiva identificazione dei processi a rischio,
o l’individuazione dei rischi potenziali per processo,
o l’analisi del sistema di controllo preventivo esistente,
o la valutazione se i rischi residui siano o meno accettabili,
o l’adeguamento del controllo qualora i rischi residui non siano accettabili.
In data 8 ottobre 2001 è stato approvato il Regolamento Europeo (CE n. 2157/2001) sullo
statuto della Società Europea, entrato in vigore tre anni dopo (8 ottobre 2004), che prevede
per le società europee la scelta tra l’adozione di un sistema amministrativo dualistico di
derivazione tedesca o monistico di tradizione angloamericana.
Nel corso del 2002, il Comitato per la corporate governance ha provveduto a rivisitare il
Codice di autodisciplina, tenuto conto dell’esperienza maturata dalle società quotate nel
corso dei due anni di applicazione del Codice medesimo e degli sviluppi internazionali in
tema di best practice aziendale. Nel febbraio del 2003 sono state aggiornate le “Linee
guida per la redazione della Relazione in materia di corporate governance”.
Un ulteriore intervento significativo nel nostro ordinamento è rappresentato dalla riforma
del diritto societario delineata dalla Commissione Vietti che ha innovato con il D. Lgs. n.
6/03 il modello di governance delle Società per azioni, anche quelle non quotate,
15 “Il sistema di controllo interno è l’insieme dei processi diretti a monitorare l’efficienza delle operazioni aziendali, l’affidabilità dell’informazione finanziaria, il rispetto di leggi e regolamenti, la salvaguardia dei beni aziendali”. 16 “Il CdA ha la responsabilità del sistema di controllo interno, del quale fissa le linee di indirizzo e verifica periodicamente l’adeguatezza e l’effettivo funzionamento, assicurandosi che i principali rischi aziendali siano identificati e gestiti in modo adeguato”.
37
prevedendo che le imprese possano scegliere fra tre modelli alternativi di organizzazione
dei processi di amministrazione e controllo in concorrenza tra loro:
1. Sistema tradizionale
2. Sistema dualistico
3. Sistema monistico
La struttura del sistema tradizionale è quella già prevista dal Codice Civile, con
l’Assemblea che affida la responsabilità della gestione a un CdA o a un amministratore
unico. Nel primo caso l’organo può delegare alcune attribuzioni a un comitato esecutivo.
Il controllo sull’amministrazione è distinto da quello contabile: il primo è attribuito al
Collegio sindacale, mentre il secondo è esercitato da una società di revisione (o da un
revisore, nel caso si tratti di una SpA che non ricorre al mercato dei capitali).
Nel sistema dualistico, di derivazione tedesca, l’Assemblea nomina il Consiglio di
Sorveglianza che approva i bilanci ed esercita le funzioni del Collegio sindacale; a questo
organo spetta poi la nomina del Consiglio di Gestione che ha la responsabilità della
gestione. Il controllo contabile, come nel sistema tradizionale, è attribuito a un revisore o
società di revisione a seconda del caso. Il sistema dualistico rappresenta quindi un modello
di amministrazione e controllo più evoluto di quello tradizionale, nel quale il controllo
sulla gestione è potenziato dalle attribuzioni che sono conferite al Consiglio di
Sorveglianza.
Il sistema monistico, di derivazione anglosassone, prevede che l’Assemblea nomini il CdA,
il quale designerà al suo interno un Comitato per il controllo sulla Gestione i cui membri
non devono far parte del comitato esecutivo, né essere titolari di deleghe. A questo
comitato di amministratori è affidato il compito di controllare l’attività di gestione, mentre
il controllo contabile è, come negli altri sistemi, affidato a un revisore o società di
revisione.
Il 2004 è stato caratterizzato, a livello societario, dall’entrata in vigore della riforma
organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, avviata in forza
della Legge delega del 3 ottobre 2001, n. 366 e realizzata con i D.Lgs. 6/2003 e 37/2004.
La suddetta riforma, se da un lato amplia l’autonomia statutaria nella scelta del modello di
governo e consente una maggiore flessibilità nell’esecuzione degli adempimenti societari,
dall’altro puntualizza con rigore e sviluppa a livello codicistico tematiche “sensibili” –
quali, ad esempio, la tutela delle minoranze azionarie, la trasparenza delle deliberazioni
38
consiliari, la disclosure degli interessi degli Amministratori, le operazioni con parti
correlate, i requisiti di indipendenza dei consiglieri, le cause di ineleggibilità e decadenza
dei sindaci.
Alla fine del 2005, è stata approvata la Legge 28 dicembre 2005, n.262 (cosiddetta “Legge
sul risparmio”), recante disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati
finanziari. Più precisamente, la Legge sul risparmio, nell’apportare modifiche di rilievo al
Codice Civile, al Testo Unico della Finanza e al Testo Unico Bancario, ha inciso
profondamente sulla struttura della corporate governance delle società quotate italiane e ha
altresì attribuito dignità di fonte normativa primaria ai codici di autodisciplina. Tale legge
ha previsto l’obbligo annuale per le società quotate di divulgare informazioni sull’adesione
ai codici e sull’osservanza degli impegni a ciò conseguenti, con la necessità di motivare un
loro eventuale inadempimento (in base al principio del comply or explain), secondo termini
e modalità da definire in base ad un Regolamento rimesso alle competenze della Consob, è
intervenuta sulle modalità di elezione e composizione degli organi di governo aziendale,
sull’istituzione di un dirigente aziendale preposto alla redazione dei documenti contabili
societari, sulla disciplina in materia di revisione dei conti e sull’informativa societaria e le
sanzioni penali e amministrative connesse alle false comunicazioni sociali17.
Il 2006 è stato segnato, a livello societario, da significative novità in campo normativo e
regolamentare, collegate in gran parte all’entrata in vigore della suddetta Legge 28
dicembre 2005 n. 262. Il 15 marzo 2006 è stato pubblicato il nuovo Codice di
autodisciplina delle società quotate che sostituisce il Codice redatto nel 1999 e rivisitato
nel luglio 2002. Il Comitato per la corporate governance istituito presso la Borsa Italiana
ha infatti sottoposto a una profonda revisione i principi di governo societario applicabili
alle società quotate italiane, alla luce dell’evoluzione della best practice e tenuto conto del
mutato quadro normativo a livello nazionale, comunitario e internazionale: la capacità di
darsi regole di funzionamento efficienti ed efficaci rappresenta un elemento indispensabile
per rafforzare la percezione di affidabilità delle imprese e ciò non solo nel contesto
nazionale, ma ancor di più in quello internazionale, nel quale la concorrenza si gioca fra
17 Il reato di “false comunicazioni sociali” consiste nella diffusione di bilanci, relazioni e altri documenti previsti dalla legge i cui contenuti siano stati manipolati al fine di ingannare l’azionariato e gli altri stakeholder; oltre a questo, sono stati introdotti anche il “reato di attentato al risparmio collettivo” nei casi in cui le società quotate dovessero essere responsabili di ingenti riduzionidel valore del titolo azionario e il “reato di mancata comunicazione dei conflitti di interesse” da parte dei componenti degli organi di Amministrazione a danno della società o di terzi.
39
sistemi di regole vigenti a livello domestico, alla luce di benchmark costituiti da norme e
best practice diffuse nei Paesi più sviluppati sotto il profilo economico e finanziario.
Gli emittenti sono stati invitati ad applicare il Codice entro la fine dell’esercizio 2006,
informandone il mercato con la relazione sul governo societario da pubblicarsi nel corso
del 2007.
Sempre nel corso del 2006, è stato poi emanato il D.Lgs. 29 dicembre 2006 n. 303 che ha
introdotto l’obbligo per le società quotate di diffondere annualmente, nei termini e con le
modalità stabilite dalla Consob, informazioni sull’adesione a codici di comportamento
promossi da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria
degli operatori e sull’osservanza degli impegni a ciò conseguenti, motivando le ragioni
dell’eventuale inadempimento.
Si tratta in entrambi i casi di interventi legislativi (alle cui disposizioni occorreva
conformare gli statuti societari entro il 30 giugno 2007) che hanno modificato in misura
significativa le norme riguardanti la corporate governance delle società quotate.
In tale ambito si inseriscono altresì i numerosi regolamenti attuativi emessi dalla Consob -
in attuazione dei suddetti provvedimenti legislativi – su tematiche societarie rilevanti, quali
ad es. la nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, i limiti al
cumulo degli incarichi dei sindaci, la disciplina della revisione contabile, la figura del
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari e le modalità di
informazione sull’adesione a codici di comportamento.
Nel corso del 2006 è altresì proseguito il processo di recepimento nel nostro ordinamento
delle disposizioni contenute nella Direttiva 2003/6/CE in materia di abusi di mercato, in
particolare con l’entrata in vigore, dal 1° aprile 2006, delle disposizioni regolamentari
afferenti l’istituzione e la tenuta dei registri delle persone che hanno accesso a
informazioni privilegiate (cd. “Registro degli Insiders”, cfr. artt. 152-bis e seguenti,
delibera Consob 11971/99 e successive modifiche, cd. “Regolamento Emittenti”) e delle
nuove previsioni in materia di operazioni su titoli dell’emittente effettuate da soggetti
rilevanti e da persone strettamente legate ad esse (cd. “Internal dealing”, cfr. artt. 152-
sexies e seguenti del “Regolamento Emittenti”).
Il 2 febbraio 2007 la Consob ha messo a disposizione del pubblico un documento di
consultazione avente ad oggetto le “Informazioni sull’adesione a codici di comportamento”
40
cui fa seguito l’adozione della disciplina attuativa del disposto degli artt. 124bis e 124ter
del Testo Unico della Finanza relativa all’informativa da diffondere al mercato.
2.2 L’applicazione attuale della corporate governance in Italia
Il Codice di autodisciplina rappresenta per il nostro Paese un passo importante
nell’avvicinamento delle regole di corporate governance italiane alle best practice
internazionali; esso costituisce un modello a cui ispirarsi nella definizione dell’assetto di
governance delle società e offre uno schema di riferimento per valutare il rispetto delle
società di quanto in esso raccomandato.
Nella “Guida alla compilazione della relazione sulla corporate governance”, l’Assonime
ha evidenziato infatti che “la comparabilità delle strutture di governo societario è un
elemento necessario per valorizzare i comportamenti virtuosi delle società. Gli investitori,
anche internazionali, devono poter facilmente identificare le principali caratteristiche delle
società e anche le legittime motivazioni di eventuali non allineamenti alla best practice”.
Pur con l’obiettivo di allineare, in tema di governance, l’Italia ai Paesi più evoluti, nella
stesura del Codice sono state considerate le peculiarità della disciplina societaria e del
sistema economico italiani, affinché la competitività e l’immagine delle società italiane
possano essere apprezzate in un contesto finanziario globale.
Nel marzo del 2005 Borsa Italiana – società di gestione di mercati regolamentati – ha
promosso la costituzione di un Comitato per la corporate governance, fortemente
rappresentativo dell’imprenditoria italiana e dei partecipanti ai mercati, al fine di
rielaborare i principi di buona governance, già codificati nel precedente “Codice di
Autodisciplina delle Società Quotate” pubblicato nel 1999 e rivisitato nel 2002, alla luce
delle linee evolutive della best practice e tenendo conto del mutato quadro normativo a
livello nazionale, comunitario e internazionale.
L’attività si è conclusa nel marzo del 2006 con la pubblicazione sul sito internet di Borsa
Italiana del nuovo Codice di autodisciplina (detto, il “Codice”). Borsa Italiana promuove
l’adesione a tale Codice da parte delle società quotate nei mercati di strumenti finanziari da
41
essa organizzati e gestiti, prevedendo nelle Istruzioni al Regolamento dei mercati stessi
specifici obblighi di reporting basati sul principio c.d. “comply or explain”.
2.2.1 I contenuti del Codice di Autodisciplina promosso da Borsa Italiana
Ogni articolo del Codice è suddiviso in tre distinte sezioni: “principi”, di carattere
generale; “criteri applicativi”, contenenti indicazioni di dettaglio sull’attuazione dei
principi; “commenti”, diretti a chiarire la portata di principi e criteri, anche con riferimento
a opportuni esempi. L’articolo è preceduto da un “principio introduttivo” che contiene
alcuni chiarimenti preliminari in materia di redazione della relazione annuale sulla
corporate governance.
Di seguito si descrivono sinteticamente e senza pretesa di esaustività le tematiche
affrontate dalle singole disposizioni del Codice di autodisciplina.
L’ articolo 1, dopo avere identificato nello shareholders’ value l’obiettivo prioritario
dell’azione degli amministratori delle società quotate e riaffermata la centralità del
Consiglio di Amministrazione nel sistema di governo societario degli emittenti, detta
alcune raccomandazioni sul ruolo di tale organo, in particolare identificando quegli ambiti
valutativi/decisionali che dovrebbero restare di sua competenza e non essere delegati a
singoli consiglieri o a comitati interni. In proposito, si segnala, oltre ad alcune materie già
riservate dalla legge alla competenza del Consiglio, l’opportunità che le operazioni di
particolare rilievo strategico, economico o finanziario, nonché quelle con parti correlate,
poste in essere dall’emittente e dalle sue controllate siano preventivamente approvate dal
Consiglio di Amministrazione dell’emittente stesso. Sono inoltre previste raccomandazioni
in tema di cumulo degli incarichi degli amministratori e di auto-valutazione periodica della
composizione e del funzionamento dell’organo di amministrazione.
Gli articoli 2 e 3 affrontano il tema della composizione dei Consigli di Amministrazione
degli emittenti, individuando definizione e ruoli delle 3 differenti tipologie di
amministratori: esecutivi, non esecutivi e indipendenti. In particolare, si segnala che
l’articolo 3 contiene un’articolata enunciazione dei criteri e delle modalità per la corretta
identificazione degli amministratori indipendenti; l’articolo 2, dopo aver enunciato il
principio per il quale “è opportuno evitare la concentrazione di cariche sociali in una sola
42
persona”, detta specifiche raccomandazioni in relazione all’ipotesi di concentrazione della
carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione e di Amministratore delegato (Chief
executive officer, Ceo). In tal caso -come pure nell’ipotesi in cui la carica di presidente sia
ricoperta dalla persona che controlla l’emittente- è suggerita la nomina, tra gli
amministratori indipendenti, di un Lead independent director. L’articolo 3 prevede, infine,
che gli amministratori indipendenti si riuniscano almeno una volta all’anno in assenza
degli altri amministratori.
L’ articolo 4 sviluppa la materia del trattamento delle informazioni societarie, richiedendo
agli amministratori della società emittente di adottare e rispettare una specifica procedura
per la gestione interna e la comunicazione all’esterno di documenti e informazioni.
L’ articolo 5 contiene indicazioni di ordine generale in merito all’istituzione e al
funzionamento (composizione, poteri, modalità di svolgimento dell’incarico) dei comitati
consultivi costituiti in seno ai Consigli di Amministrazione degli emittenti.
L’ articolo 6, affermato il principio della necessaria trasparenza della procedura di nomina
degli amministratori, raccomanda che le liste dei candidati, complete delle necessarie
informazioni, siano messe tempestivamente a disposizione del mercato. E’ inoltre
auspicata l’istituzione di un comitato per le nomine, composto, in maggioranza, da
amministratori indipendenti, del quale vengono indicati i possibili compiti.
L’ articolo 7 definisce la struttura e le finalità della remunerazione degli amministratori,
distinguendo tra quelli esecutivi e non esecutivi, e specifica le funzioni del comitato per la
remunerazione.
L’ articolo 8, dopo avere enunciato la nozione di “sistema di controllo interno”, in linea
con gli sviluppi della best practice internazionale, definisce analiticamente e
organicamente ruoli e rapporti tra i diversi soggetti/organi coinvolti nella definizione,
monitoraggio e aggiornamento del sistema stesso. In particolare, al Consiglio di
Amministrazione è attribuito un ruolo di indirizzo e di valutazione periodica circa
l’adeguatezza del sistema di controllo interno; all’Amministratore delegato un ruolo di
progettazione e di predisposizione di tale sistema; al comitato per il controllo interno –
composto da amministratori non esecutivi, in maggioranza indipendenti, di cui almeno uno
esperto in materia contabile e finanziaria – viene riconosciuta una funzione di
monitoraggio e di generale supporto alle valutazioni del Consiglio. Al preposto al controllo
interno – di norma coincidente con il responsabile dell’internal audit – e al Collegio
43
sindacale, in stretto coordinamento tra di loro e con il comitato per il controllo interno, è
demandato il compito di verificare che il sistema di controllo interno sia sempre adeguato,
operativo e funzionante.
L’ articolo 9 detta raccomandazioni in ordine alle operazioni nelle quali un amministratore
sia portatore di un interesse, nonché a quelle con parti correlate, esemplificando le cautele
che il Consiglio di Amministrazione dovrebbe predisporre al fine di garantire che tali
operazioni siano approvate ed eseguite secondo criteri di correttezza sostanziale e
procedurale.
L’ articolo 10 riguarda le garanzie di indipendenza dei sindaci e definisce alcune misure
volte a garantire un efficiente ed efficace svolgimento del loro ruolo.
L’ articolo 11, dedicato ai rapporti tra organo gestionale e azionisti, promuove iniziative
volte ad agevolare la conoscenza da parte di questi ultimi delle informazioni societarie e
favorirne la partecipazione alle assemblee e l’esercizio dei diritti sociali. A tali fini, sono
tra l’altro raccomandate agli emittenti l’istituzione di un’apposita sezione nell’ambito del
proprio sito internet, la nomina di un investor relator e l’approvazione di un regolamento
assembleare.
Infine, l’articolo 12 invita le società che adottano il sistema “monistico” o quello
“dualistico” ad applicare le raccomandazioni del Codice adattandole al sistema prescelto e
fornendo ampia disclosure sugli adattamenti operati e sulle motivazioni della scelta.
2.2.2 I criteri di redazione della relazione sull’adesione al Codice
L’articolo 89-bis, comma primo, del Regolamento Emittenti –entrato in vigore il 1°
gennaio 2008 – stabilisce che “Le società con azioni quotate pubblicano annualmente una
relazione sull’adesione ai codici di comportamento e sull’osservanza degli impegni a ciò
conseguenti. La relazione è redatta secondo i criteri stabiliti dal promotore del codice di
comportamento e contiene informazioni specifiche:
a) sull’adesione a ciascuna prescrizione del codice di comportamento;
b) sulle motivazioni dell’eventuale inosservanza delle prescrizioni del codice di
comportamento;
44
c) sulle eventuali condotte tenute in luogo di quelle prescritte nel codice di
comportamento”.
Borsa Italiana evidenzia, in proposito, che lo stesso Codice da essa promosso contiene
indicazioni sulle modalità di redazione della relazione prevista dalla citata disposizione
regolamentare. In particolare, il “principio introduttivo” del Codice ribadisce che
l’adesione al Codice di Autodisciplina stesso da parte delle società quotate è volontaria: si
basa sul principio del “comply or explain”, per cui le società che non abbiano applicato le
raccomandazioni o le abbiano adottate solo in parte sono tenute a giustificare tale
decisione. Il motivo dell’adozione di questo principio consiste nel fatto che la
comunicazione delle regole di corporate governance è necessaria al fine di aumentare la
trasparenza sui meccanismi di governo e controllo aziendali e l’accountability degli
amministratori e degli organi di controllo all’interno della società nei confronti degli
stakeholder.
Lo stesso “principio introduttivo” in seguito prevede che le società che aderiscono al
Codice, in tutto o in parte, ne danno annualmente informazione al mercato, nei termini e
con le modalità stabilite dalle disposizioni di legge e di regolamento applicabili, precisando
quali raccomandazioni del Codice siano state effettivamente applicate dall’emittente e con
quali modalità. Infine chiarisce che:
a) l’obbligo informativo è riferito ai principi e ai criteri applicativi contenuti in ciascun
articolo del Codice e non ai relativi commenti;
b) con riferimento ai principi e ai criteri applicativi che contengono raccomandazioni
rivolte agli emittenti o ai loro amministratori o sindaci o azionisti ovvero ad altri organi o
funzioni aziendali, ogni società fornisce informazioni accurate e di agevole comprensione,
se pur concise, sui comportamenti attraverso i quali le raccomandazioni sono state
concretamente applicate nel periodo cui si riferisce la relazione annuale;
c) qualora l’emittente non abbia fatto proprie, in tutto o in parte, una o più
raccomandazioni, fornisce adeguate informazioni in merito ai motivi della mancata o
parziale applicazione;
d) nel caso in cui i principi e i criteri applicativi contemplino comportamenti opzionali, è
richiesta una descrizione dei comportamenti osservati, non essendo necessario fornire
motivazioni in merito alle scelte adottate;
45
e) per quanto riguarda i principi e i criteri applicativi aventi contenuto definitorio, in
mancanza di diverse indicazioni dell’emittente, si presume che lo stesso vi si sia attenuto.
Tali criteri di redazione sono altresì richiamati dalla Sezione IA.2.6 delle Istruzioni che
disciplina gli obblighi di informativa sulla struttura di corporate governance applicabili
agli emittenti quotati su mercati MTA e MTAX.
2.3 La comunicazione sulla corporate governance in Italia
Fino alla metà degli anni ’90, il sistema italiano non si è particolarmente interessato al
tema della corporate governance in generale e alla comunicazione sulla corporate
governance in particolare: la presenza dominante di aziende familiari, l’ingente peso
statale nel capitale delle principali realtà industriali, il rilevante ruolo del sistema bancario
sono fattori che non hanno stimolato, anzi talvolta frenato, lo sviluppo di un’adeguata
attenzione ai sistemi di corporate governance e alla connessa comunicazione.
Sul finire degli anni novanta si è assistito all’avvio di un consistente processo, tuttora in
corso, di ridefinizione del sistema italiano di corporate governance, volto a consentire una
maggiore flessibilità strutturale e a migliorare le attività di amministrazione, controllo e
comunicazione di pertinenza dei vertici aziendali.
Attualmente l’Italia si colloca, nello scenario internazionale, tra i paesi più attivi nella
diffusione di specifiche raccomandazioni in materia di comunicazione sulla corporate
governance, che costituiscono standard ed esempi di best practice dai quali le imprese che
intendono diffondere una comunicazione efficace e trasparente possono ottenere validi
elementi di riferimento. Un’adeguata informazione sulla corporate governance in un
mercato finanziario ormai globalizzato e sempre più competitivo è valutata positivamente
dagli investitori. L’adesione al codice, pur non costituendo un obbligo18, impone di fatto
alle aziende di rispettare gli impegni assunti per non incorrere in sanzioni di immagine e a
seguito della “Legge sul Risparmio” anche sanzioni previste dal TUF e applicate
dall’Autorità di Vigilanza19.
18 L’obbligo di rispettare alcune raccomandazioni del Codice è stato però introdotto da Borsa Italiana per le aziende del segmento Star e del Nuovo Mercato. 19 L’articolo 192-bis del TUF afferma che “Salvo che il fatto costituisca reato, gli amministratori, i componenti degli organi di controllo e i direttori generali di società quotate nei mercati regolamentati i quali
46
L’adottata impostazione volontaristica è determinata dall’ormai consolidata convinzione
che debba essere il mercato a premiare o sanzionare le società, anche sulla base dell’assetto
di governo societario da queste sviluppato. Tale approccio fortemente orientato al mercato
può efficacemente funzionare solo a condizione che gli operatori del mercato siano in
possesso di strumenti valutativi e abbiano a disposizione le informazioni necessarie per
potere effettivamente esprimere un giudizio sui sistemi di corporate governance delle
singole aziende. In tal senso, il Codice di autodisciplina non si rivolge esclusivamente alle
aziende20 quale “linea guida” per lo sviluppo di un sistema di corporate governance, ma è
destinato anche agli operatori del mercato per la migliore focalizzazione degli elementi
conoscitivi rilevanti e l’apprezzamento del grado di trasparenza effettiva sui sistemi di
corporate governance. Una reticenza nella disclosure può essere interpretata dagli
investitori e dalle autorità di vigilanza in modo negativo, come sintomatica di ulteriori
comportamenti scorretti da parte dell’azienda.
Le Istruzioni al regolamento di Borsa Italiana S.p.a. prevedono che la relazione di
corporate governance debba essere redatta e diffusa secondo le indicazioni contenute nel
Codice di autodisciplina e in conformità alle disposizioni di legge e regolamentative.
L’importanza della Relazione sulla corporate governance trova riscontro in altri interventi,
attuati da associazioni e unità di ricerca che si sono affiancate a Borsa Italiana rimarcando
e ampliando le linee guida di comunicazione da questa previste.
Nel marzo 2002 Borsa Italiana S.p.a. ha predisposto le “Linee guida per la redazione della
relazione annuale in materia di corporate governance”, successivamente rivisitate nel
2003; nel febbraio 2004 Assonime ed Emittenti Titoli S.p.a. hanno redatto la “Guida alla
compilazione della Relazione sulla corporate governance”, che si basa sulle Linee guida di
Borsa Italiana S.p.a. e sviluppa ulteriori e dettagliati suggerimenti sulla struttura, sui
contenuti e sulle modalità di veicolazione della relazione.
Proprio dall’analisi delle Relazioni sulla corporate governance delle società quotate
italiane relativamente agli anni dal 2004 fino al 2007 è stato elaborato il dataset di questo omettono le comunicazioni prescritte dall’art 124-bis ovvero, nelle stesse o in altre comunicazioni rivolte al pubblico, divulgano o lasciano divulgare false informazioni relativamente all’adesione delle stesse società a codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria degli operatori, ovvero dall’applicazione dei medesimi, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria. Il provvedimento sanzionatorio è pubblicato, a spese degli stessi, su almeno due quotidiani, di cui uno economico, aventi diffusione nazionale ”. 20 Dalle indicazioni del Codice di autodisciplina e dalle Istruzioni al regolamento di Borsa Italiana S.p.a., la comunicazione sulla corporate governance si configura quale informativa volontaria per tutte le aziende che non si rivolgono al mercato dei capitali e raccomandata per tutte le società quotate.
47
lavoro di tesi, per quanto riguarda il rispetto dei principi del Codice stesso e in particolare
la configurazione del CdA. Dall’analisi delle “Relazioni sulla corporate governance”
emerge che il grado di adesione al Codice di Autodisciplina da parte delle società suddette
risulta progressivamente più elevato.
Tuttavia è necessario considerare che un’adesione “formale” di per sé non garantisce
comportamenti virtuosi di governance. I principi di “buona governance” devono infatti
essere radicati nel sistema dei valori dell’azienda in quanto fatti propri dal soggetto
economico e adeguatamente tradotti in decisioni e azioni.
Dai dati aggregati delle Relazioni non è possibile risalire alla “adesione sostanziale” ai
principi del codice delle singole società; è però possibile verificare se vi sia un’adesione
effettiva ad alcune delle singole raccomandazioni, con riferimento, ad esempio, alla
presenza di amministratori indipendenti, all’istituzione di comitati in seno al Consiglio di
Amministrazione, alla presenza di preposti al controllo interno e così via.
I risultati della ricerca empirica relativamente agli aspetti sopra evidenziati sono presentati
nei capitoli seguenti. E’ fin d’ora importante precisare però che, a prescindere
dall’esistenza di eventuali sanzioni previste dalla legge, la scelta di comunicare l’avvenuta
adesione al Codice di autodisciplina senza dare concretamente seguito alle singole
raccomandazioni non contribuisce ad aumentare la trasparenza e l’accountability. Tale tipo
di comunicazione, al contrario, può risultare addirittura controproducente21.
21 L’Assonime suggerisce alle società quotate di comunicare “esplicitamente che non hanno ritenuto possibile o conveniente attuare talune disposizioni del Codice, perché destinate a trovare applicazione nel tempo.In questo caso è opportuno indicare entro quando gli emittenti intendono dare attuazione a tali disposizioni”.
48
CAPITOLO 3
UNA RASSEGNA DELLA LETTERATURA
49
Esiste una vasta ed eterogenea letteratura che studia la corporate governance, sia nella
prospettiva giuridica, sia in quella economica.
Questo capitolo propone una rassegna di tale letteratura organizzata intorno
all’individuazione di quattro ambiti di ricerca ricorrenti in letteratura, che focalizzano
altrettanti aspetti chiave in materia di corporate governance.
3.1 La proprietà societaria
Numerosi contributi affrontano il tema dell’assetto proprietario delle società
concentrandosi (sia dal puto di vista teorico sia da quello empirico) sulle relazioni tra
proprietà societaria (uno degli elementi di governo societario) e l’efficienza tecnica, i
risultati aziendali e il valore d’impresa.
3.1.1 Struttura proprietaria e valore societario
Laeven e Levine (2006) analizzano la relazione tra struttura proprietaria (ownership) e
valore societario. Raccolgono in particolare dati riguardanti i diritti ai flussi di cassa
societari e i diritti di voto22 di 1657 imprese di 13 Stati dell’Europa Continentale e
Settentrionale23, nel periodo 1996-1999.
Il 34% delle imprese del campione presenta più di un azionista che detiene più del 10% dei
diritti di voto24, confermando l’esistenza di strutture proprietarie complesse, ossia imprese
che presentano blockholders multipli (strutture proprietarie che coinvolgono due o più
grandi azionisti, nessuno dei quali detiene più del 50% dei diritti di voto), che non possono
quindi essere classificate come strutture proprietarie diffuse o come un unico controllante.
22 I “diritti ai flussi di cassa” dell’impresa (cash flow rights) rappresentano la proprietà societaria, il controllo azionario è misurato invece dalla percentuale di diritti di voto controllati (voting rights). 23 I 13 Stati considerati sono: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera. 24 Si tratta di un risultato non isolato: Faccio e Lang (2002), che non restringono la loro analisi alle sole società quotate, trovano che il 39% del loro campione costituito da 5232 società presenta almeno 2 grandi azionisti; La Porta et Al. (1999), esaminando 600 delle maggiori imprese quotate di 27 Paesi, trovano che un quarto delle società del campione hanno più di un grande azionista.
50
Tale evidenza mette in discussone la validità del modello dicotomico che generalmente gli
studiosi prendono in considerazione trattando di concentrazione proprietaria, distinguendo
cioè esclusivamente tra strutture proprietarie in cui il capitale azionario è detenuto al 100%
da piccoli azionisti e strutture in cui vi è un unico grande azionista di controllo25 e molti
piccoli azionisti.
Per ogni società considerata è indicata la tipologia d’appartenenza dei due maggiori
azionisti per quota di capitale azionario detenuta (famiglia, Stato, società ad azionariato
diffuso, finanziaria ad azionariato diffuso, o altro tipo) riscontrando che le famiglie
rappresentano il tipo più diffuso26, la tipologia del primo azionista non consente di definire
a priori il tipo d’appartenenza del secondo azionista, la dispersione dei diritti ai flussi di
cassa (CF) è maggiore nelle imprese in cui il primo azionista appartiene alla tipologia
“famiglia” (tuttavia rileva anche il tipo del secondo maggior azionista nel definire la
dispersione dei diritti ai flussi di cassa delle imprese).
Gli autori analizzano inoltre la relazione tra struttura proprietaria e dimensione d’impresa.
Bennedsen and Wolfenzon (2000) affermano che le imprese tendono ad avere o un singolo
azionista che detiene la maggioranza dei diritti di voto, o molteplici azionisti con una limitata
dispersione del capitale azionario. Se è più semplice, per imprese di piccole dimensioni, avere
un azionista di maggioranza rispetto ad imprese di dimensioni più ampie, allora imprese di
piccole dimensioni dovrebbero presentare una più alta probabilità di avere un azionista di
maggioranza rispetto ad imprese di grandi dimensioni e imprese di grandi dimensioni
dovrebbero presentare una più alta probabilità di avere una struttura proprietaria complessa con
bassa dispersione dei flussi di cassa.
Tale risultato è confermato empiricamente dagli autori: le imprese di dimensione minore
hanno con maggiore probabilità un azionista di maggioranza, mentre le imprese di
maggiori dimensioni hanno con probabilità più alta una bassa dispersione dei flussi di
cassa.
L’analisi empirica della relazione tra struttura proprietaria e valore societario (che si fonda
sui risultati teorici di Jensen e Meckling (1976), Bennedsen and Wolfenzon (2000) e Shleifer e
25 Un azionista è definito di controllo (large shareholder) se la somma dei diritti di voto diretti e indiretti è pari o superiore al 10%; se al contrario nessun azionista detiene almeno il 10% dei diritti di voto, allora si parla di società a proprietà diffusa. 26 Delle 553 imprese considerate che presentano strutture proprietarie complesse, che comportano la presenza di due o più grandi azionisti, nessuno dei quali detiene la maggioranza dei diritti di voto, ben 405 società hanno come maggior azionista una famiglia (percentuale pari al 73.24%); il 12% delle imprese hanno come maggior azionista un’istituzione finanziaria ad azionariato diffuso.
51
Wolfenzon (2002) ) è basata sull’ipotesi che i diritti ai flussi di cassa societari sono centrali
nel determinare gli incentivi degli azionisti nell’espropriazione delle risorse societarie e
che la dispersione dei diritti ai flussi di cassa influenza la composizione e l’operatività
delle coalizioni di azionisti dominanti.
La letteratura teorica ipotizza una relazione negativa tra i diritti ai flussi di cassa dell’azionista
di controllo e i suoi incentivi a espropriare le risorse societarie. L’analisi empirica conferma
tale ipotesi, mostrando l’esistenza di una relazione positiva tra i diritti ai flussi di cassa dei
maggiori azionisti e il valore societario.
Più precisamente gli autori studiano il modello:
Tobin’s q = α*X1 + β*[Cash-flow-1] + γ*[Control-1 minus Cash-flow-1] + δ*[Growth] + + θ*[Cash-flow-1 minus Cash-flow-2] + u,
dove la variabile dipendente q di Tobin è una misura del valore societario e i regressori
utilizzati sintetizzano specifiche caratteristiche societarie (X1), i diritti di CF del maggiore
azionista che controlla almeno il 10% dei diritti di voto [Cash-flow-1] (una variabile che
assume valore zero se la proprietà azionaria è diffusa), la differenza tra i diritti di controllo
del maggiore azionista (diritti derivanti dal possedere almeno il 10% del capitale azionario)
e i suoi diritti di CF [Control-1 minus Cash-flow-1] (una variabile che assume valore pari a
zero quando non vi è alcun azionista che detiene almeno il 10% del capitale), una variabile
[Growth] che rappresenta il tasso di crescita medio delle vendite delle società nel triennio
1997-2000 nonché la differenza tra i diritti di CF dei due maggiori azionisti ( [Cash-flow-
1 minus Cash-flow-2] ), una variabile che assume valore zero se la società non ha due
azionisti che detengono almeno il 10% del capitale azionario.
Gli autori si concentrano inizialmente sulla dispersione dei diritti di CF tra i due maggiori
azionisti (in quanto la maggior parte delle società con più di un azionista che detiene più
del 10% del capitale sociale presenta solo un altro azionista con quota azionaria maggiore
del 10%) testando se la dispersione dei diritti di CF sia negativamente associata con i
valori futuri della Tobin’s q. I risultati ottenuti confermano una forte relazione negativa tra
le due variabili considerate27. Quando i diritti sui flussi di cassa sono distribuiti in modo
irregolare, cresce la probabilità che vi sia una coalizione dominante con bassi diritti ai
27 Allo stesso risultato pervengono Bloch e Hege (2001), per i quali la dispersione dei diritti di CF determina una riduzione del livello di performance societaria, poiché altri azionisti che possiedono elevate quote di capitale sociale tendono a esercitare una più intensa attività di monitoring quando la dispersione dei flussi di cassa è bassa.
52
flussi di cassa. I risultati sopra illustrati rimangono validi controllando per variabili relative
sia alla performance societaria, sia alla struttura proprietaria e considerando sottocampioni
di imprese.
Gli autori verificano inoltre che la relazione negativa tra valore societario e dispersione dei
diritti di CF si indebolisce per le società che si trovano in Paesi dove vi è una severa
disciplina di protezione degli azionisti, come è naturale attendersi tenendo conto del fatto
che tale disciplina limita la capacità di espropriare risorse societarie. Distinguendo infine
tra cinque categorie di azionisti (famiglie, Stato, istituzioni finanziarie a proprietà diffusa,
grandi società a proprietà diffusa e altri, tra cui fondazioni e cross-holdings), gli autori
mostrano che le differenti tipologie di azionisti influenzano la relazione tra valore
societario e dispersione dei diritti di CF. Tale relazione si intensifica quando gli azionisti di
controllo appartengono a categorie differenti, poiché in questo caso più difficili sono la
cooperazione e la formazione di coalizioni dominanti.
3.1.2. Struttura proprietaria e performance societaria
Perrini, Rossi e Rovetta (2007) studiano la relazione tra la struttura proprietaria e la
performance aziendale considerando tutte le società quotate italiane, dal 1996 al 200328.
Poiché la realtà italiana presenta una struttura proprietaria storicamente caratterizzata da
elevata concentrazione e diffusione della proprietà di tipo familiare, gli autori sostengono
che il tema della relazione tra proprietà e performance nel contesto italiano debba essere
esplorato con un approccio differente rispetto a quello tradizionalmente utilizzato per
campioni anglosassoni. I mercati statunitensi e inglesi presentano infatti un alto grado di
sviluppo del mercato dei capitali e della diffusione della proprietà, mentre il sistema
italiano rientra nella tipologia definita “insider o bank-based”, caratterizzata da un’elevata
concentrazione della proprietà e dalla possibilità che i detentori di significative quote
azionarie ricoprano anche incarichi manageriali. Si verifica allora un maggior allineamento
tra gli interessi del soggetto controllante e la massimizzazione del valore dell’impresa, dato
che le decisioni che non creano valore hanno effetti negativi anche per il gruppo di
28 Il campione bilanciato e definitivo é costituito da 107 società e 848 osservazioni.
53
comando: poiché proprietà e controllo tendono a coincidere nelle mani del soggetto
controllante, i conflitti di interesse si qualificano spesso come contrapposizione tra
soggetto controllante e azionisti di minoranza i quali apportano mezzi finanziari, ma non
partecipano alle decisioni aziendali.
Suddividendo il campione in 2 periodi, il primo precedente l’introduzione del Codice
Preda (1996-1999) e il secondo dal 2000 al 2003, esplorano eventuali mutamenti negli
assetti di governo riconducibili all’accresciuta rilevanza della corporate governance in
Italia.
Dall’analisi emerge una lieve riduzione della concentrazione proprietaria media (ancorché
non statisticamente significativa), una diminuzione della quota del primo azionista che non
si accompagna ad un aumento consistente delle quote degli azionisti di minoranza che
detengono partecipazioni rilevanti, (che indicherebbe un lieve aumento della proprietà
diffusa), una lieve (e non statisticamente significativa) diminuzione della quota di proprietà
del management, a conferma della non accresciuta rilevanza del management, nonché una
diminuzione significativa della dimensione del Consiglio di Amministrazione, con una
dimensione media che passa da 15.29 a 14.36 membri.
Il campione è stato anche suddiviso in funzione del livello di concentrazione della
proprietà in imprese in cui il maggiore azionista possiede una quota superiore al 50% del
capitale azionario e imprese in cui tale quota è inferiore al 50%, evidenziando una
sostanziale differenza nella struttura proprietaria per i due diversi campioni. Suddividendo
il campione in funzione della tipologia di azionista di riferimento, gli autori hanno
osservato che il numero di imprese a proprietà familiare rappresenta poco più del 50% del
totale (427 osservazioni, su un totale di 848, si riferiscono a imprese familiari).
La scomposizione del campione per settori ha consentito inoltre di verificare che -rispetto
alle imprese a proprietà non familiare- le imprese familiari sono fortemente presenti nei
settori industriali e tendono invece a essere meno rappresentate nel settore finanziario e dei
pubblici servizi. La quota di concentrazione proprietaria media del primo azionista è pari a
46,83% e a 45,31% rispettivamente nel campione di aziende familiari e non familiari e non
è dunque possibile osservare alcuna differenza sistematica in termini di concentrazione. La
proprietà manageriale risulta essere superiore nel campione di imprese a controllo
familiare (28,44% contro 1,00%), a testimonianza del fatto che dove il controllo é
esercitato da una famiglia, l’azionista tende a essere coinvolto nell’attività manageriale.
54
Tale evidenza conferma un coinvolgimento attivo nella gestione da parte della famiglia
proprietaria. Sulla base di tale risultato non è quindi possibile affermare che nel caso
italiano la partecipazione azionaria del management sia interpretabile come un
meccanismo per ridurre i conflitti di interesse, in quanto gli stessi manager tendono ad
essere membri della famiglia e quindi espressione dell’azionista di maggioranza. Le
dimensioni del CdA sono maggiori per il campione di imprese non familiari e anche il
rapporto di connessione29 è significativamente superiore per il campione di imprese
familiari. Questo risultato può trovare interpretazione nella tipica articolazione delle
aziende familiari sotto forma di gruppi di diverse società: in questi casi è infatti molto
frequente che un singolo rappresentante della famiglia sieda nel CdA delle altre società del
gruppo. Non si riscontra invece nessuna differenza significativa nelle misure di mercato
(Tobin’s q e rendimento azionario mensile). Per quanto riguarda le misure di redditività
contabile, le imprese familiari sono contraddistinte da una maggiore redditività per
l’azionista e da una minore redditività operativa.
Dal punto di vista formale, gli autori stimano il modello:
Monthly Return = Intercept + α Ownership 1 azionista + βOwnership² 1 azionista + γ Dummy (1996-1999) + δ Board Size + ε Rapporto connessione + ζ Proprietà manageriale + η ROE + θ Stdev Price + ι EBITDA/Fatturato + κ Liquidity Ratio + λ Log Total Asset + µ Family Dummy + ν Financial Dummy + e
La dimensione del Consiglio di Amministrazione non risulta essere significativa e non
sono significativi né il rapporto di connessione, né il livello di proprietà manageriale.
La relazione tra proprietà e performance risulta essere non lineare, con una relazione
inversa non-monotona tra performance e concentrazione. L’effetto negativo della
concentrazione proprietaria sulla performance tende tuttavia a decrescere per livelli di
proprietà superiori al 40%30.
Per verificare la presenza di un problema di endogeneità, gli autori hanno utilizzato
un’analisi per variabili strumentali e un’analisi di tipo panel. Inizialmente è stata utilizzata
29 Per rapporto di connessione gli autori intendono il rapporto tra il numero di cariche complessivamente ricoperte da tutti gli amministratori e la dimensione del CdA (calcolata come numero di membri che lo costituiscono). 30 Per verificare la persistenza della relazione non-monotona anche a seguito dell’introduzione delle variabili di controllo considerate, il campione è stato suddiviso in imprese con concentrazione inferiore e superiore al 40%, punto nell’intorno del quale si inizia a manifestare un effetto decrescente di peggioramento della performance al crescere della proprietà. I risultati confermano sostanzialmente l’esistenza di una relazione inversa tra performance e concentrazione proprietaria.
55
come variabile strumentale la performance passata, che è tuttavia risultata essere non
correlata con la struttura proprietaria. Sono state quindi considerate alcune variabili di
governance (dimensione del CdA, rapporto di connessione e proprietà manageriale)
ritenute potenzialmente rilevanti nel determinare la struttura proprietaria aziendale, in
particolar modo se il management è fortemente legato all’azionista di maggioranza.
L’analisi ha mostrato che le variabili di governance come la dimensione e il rapporto di
connessione del CdA costituiscono buoni strumenti per spiegare la concentrazione
proprietaria aziendale.
Si è inoltre testata l’ipotesi che l’endogeneità derivi dal legame tra struttura proprietaria e
altre variabili capaci di influenzare la performance quali la redditività per l’azionista (che
potrebbe economicamente spingere l’azionista a detenere quote maggiori di capitale), il
rischio specifico (che può condurre a una maggiore concentrazione come forma di tutela
dei diritti dell’azionista), la redditività operativa (con effetti attesi simili alla variabile
redditività per l’azionista), la liquidità (che ci si attende essere negativamente correlata alla
concentrazione per il suo effetto di segnalazione di scarse opportunità di investimento), la
dimensione delle società (che ci si attende essere associata a bassi livelli di concentrazione,
per ragioni di onerosità della raccolta di significative quote di capitale), l’indebitamento
(che si prevede poco elevato quando l’azionista di controllo è poco diversificato), la
produttività (con effetti attesi simili alla redditività per l’azionariato), il tasso di crescita
(che, se elevato e associato ad aspettative di creazione di valore, potrebbe determinare una
maggiore concentrazione) e la tipologia di azienda in esame (impresa a proprietà familiare
o istituzione finanziaria).
Si sono infine considerate quali ulteriori variabili di controllo il Roe (Return on equity), il
rischio specifico di impresa (deviazione standard del prezzo delle azioni), il rapporto
Ebitda su fatturato, il rapporto di liquidità, le dimensioni aziendali (il logaritmo della
somma degli asset), il rapporto di indebitamento, la produttività passata, il tasso di crescita
e variabili dummy per le società a proprietà familiare e le istituzioni finanziarie.
I risultati ottenuti hanno confermato che la dimensione (log della somma degli asset),
l’indebitamento (rapporto tra debito e valore dell’attivo), e la liquidità (liquidity ratio)
hanno un effetto negativo sulla concentrazione e suggeriscono che tale effetto sia associato
anche alla crescita e alla redditività operativa (Ebitda/Fatturato). L’analisi econometrica ha
permesso da un lato di verificare l’esistenza di fattori non osservabili rilevanti ai fini della
56
completa spiegazione della relazione struttura proprietaria-performance, dall’altro ha
ribadito la rilevanza delle variabili di corporate governance nello spiegare la relazione tra
performance e concentrazione proprietaria.
L’analisi ha inoltre confermato l’esistenza nel mercato italiano dei sistemi di governance
tipici delle imprese europee continentali, in cui il gruppo di comando ha influenza sul
management o si identifica con esso: il management è, infatti, raramente parte del gruppo
di azionisti di controllo, fatta eccezione per le società familiari. E’ da sottolineare che
imprese familiari e non familiari tendono ad avere concentrazione proprietaria simile,
indipendentemente dalle caratteristiche dell’azionista di maggioranza. E’ inoltre
interessante osservare che la proprietà di tipo familiare non assume un ruolo di primo piano
nella determinazione della performance aziendale. L’evidenza empirica suggerisce che a
una maggiore concentrazione proprietaria si associa la possibilità di un migliore e più
efficace controllo sulla gestione aziendale, capace di tradursi in più soddisfacenti
rendimenti azionari sul mercato dei capitali. Il mercato sembra guardare con maggiore
favore alle imprese ad azionariato non diffuso e credere negli assetti proprietari concentrati
come leva per un’efficace ed efficiente gestione. La pressoché totale assenza di public
company nel mercato italiano rende però impossibile testare in modo completo la
differenza di performance tra imprese con assetti proprietari diversi. In questo studio si
considera comunque l’elevata e strutturale concentrazione proprietaria del mercato italiano
una leva capace di innescare un processo virtuoso di miglioramento della gestione
aziendale.
3.1.3. Struttura proprietaria ed efficienza tecnica
Sena (2007) analizza la relazione tra concentrazione proprietaria ed efficienza tecnica31 come
misura di performance societaria, utilizzando un campione costituito da imprese italiane
appartenenti al settore manifatturiero (suddivise in cinque comparti: tessile; abbigliamento;
apparecchiature elettriche; costruzioni meccaniche; alimentari, bevande e tabacco) che si
riferisce agli anni dal 1994 al 1997.
31 Per efficienza tecnica si intende la capacità di massimizzare gli output per dati input o di minimizzare l’impiego degli input per dati output.
57
Il focus dell’analisi sull’efficienza tecnica colloca questo lavoro nell’ampia letteratura che si
occupa dell’analisi della frontiera di produzione. La misura di output considerata è il valore
aggiunto e gli input, oltre a quelli convenzionali (manodopera: operai e impiegati, stock di
capitale fisso) includono variabili quali la sede e la dimensione societaria, il livello di
istruzione della forza lavoro, la presenza di attività di ricerca e sviluppo all’interno della
società, l’appartenenza a gruppi piramidali, la percentuale di azioni detenute dal maggiore
azionista e la sua identità (distinguendo tra persona fisica residente in Italia o straniero
residente all’estero).
Per tre dei cinque settori si è riscontrata una relazione inversa tra efficienza tecnica e
concentrazione proprietaria. In particolare, per il comparto tessile, l’impatto negativo della
concentrazione proprietaria sull’efficienza tecnica inizia a manifestarsi quando la
concentrazione della proprietà è compresa tra il 50% e il 99% e tra il 66% e il 99%. Il
comparto delle apparecchiature elettriche non presenta alcuna relazione inversa, mentre per
il comparto d’abbigliamento, un aumento del controllo della proprietà azionaria è associato
a un miglioramento dell’efficienza tecnica. La variabile relativa a livelli di concentrazione
proprietaria tra il 50% e il 66% del capitale azionario non è statisticamente significativa,
mentre i livelli di concentrazione proprietaria compresi tra il 55% e il 99% del capitale
azionario sono significativi. Ciò suggerisce che il maggiore azionista può esercitare un
effettivo controllo sulla società solo quando la sua partecipazione azionaria è
particolarmente elevata. La nazionalità del maggiore azionista non sembra essere
particolarmente rilevante. Tuttavia, se per tutti i comparti considerati il fatto che l’azionista
di controllo sia straniero sembra avere un impatto positivo sull’efficienza tecnica, ciò non
vale per il comparto alimentare. Un azionista di controllo italiano sembra invece avere un
impatto negativo sull’efficienza tecnica nei comparti tessile e delle costruzioni
meccaniche.
I risultati empirici ottenuti mostrano che la relazione tra la percentuale delle azioni
detenute dal maggiore azionista e l’efficienza tecnica è prevalentemente inversa e che nel
settore manifatturiero italiano elevati livelli di concentrazione proprietaria riducono
l’efficienza tecnica.
58
3.2 I sistemi di controllo interno ed esterno della governance societaria
Il dibattito in merito all’efficacia dei sistemi di controllo interno ed esterno della
governance societaria è particolarmente acceso. Una corrente di pensiero ritiene che il
principale meccanismo di controllo interno, l’attività di monitoring esercitata dal Consiglio
di Amministrazione sul management sia inefficace e i consiglieri siano condizionati
dall’amministratore delegato che dovrebbero invece controllare. Un altro filone di
letteratura sostiene invece che il principale meccanismo di controllo esterno, l’acquisizione
(takeover), sia costoso e possa correggere solo i casi estremi di cattiva guida societaria.
Hirshleifer e Thakor (1994 e 1998) studiano il trade off tra meccanismo di controllo
interno ed esterno quando il CdA e un acquirente esterno osservano differenti segnali circa
la qualità del CEO. Dopo aver osservato il segnale, il CdA aggiorna il suo giudizio
qualitativo sul CEO e decide se confermarlo nella sua posizione o licenziarlo. Hirshleifer e
Thakor (1998) si concentrano in particolare sull’effetto della minaccia di takeover da parte
dell’acquirente esterno sulla decisione del board di confermare o licenziare il CEO,
sottolineando due effetti: “substitution effect” e “ kick-in-the-pants effect”.
Il primo effetto si riferisce al fatto che un’acquisizione o takeover attivo da parte del
mercato rende disponibile sul mercato un’informazione migliore in quanto l’informazione
posseduta dal CdA si somma a quella dell’acquirente, consentendo a quest’ultimo di
sostituire manager inefficienti se precedentemente non vi hanno provveduto gli
amministratori della società. Il secondo effetto riguarda invece il caso in cui il CdA può
allontanare il CEO dalla società più facilmente in seguito alla minaccia di un takeover, in
quanto questo potrebbe comportare anche lo scioglimento del CdA stesso da parte
dell’acquirente esterno (l’acquisizione per ipotesi del modello può aver luogo solamente se
l’acquirente esterno osserva che il manager è riconfermato dal CdA).
Graziano e Luporini (2003) affrontano lo stessa problema, occupandosi delle interazioni tra
meccanismi di controllo interno ed esterno, in un contesto in cui (I) il Consiglio di
Amministrazione (CdA) seleziona l’amministratore delegato (Ceo) e in un secondo stadio,
dopo aver osservato i segnali riguardanti la sua abilità, decide se riconfermarlo o
congedarlo e (II) il CdA agisce sotto la minaccia di un takeover da parte di un potenziale
59
acquirente che dispone di informazioni private sulle prospettive di profitto dell’impresa e
osserva la decisione di conferma o licenziamento del Ceo.
Il tipo del CdA è definito sulla base della sua capacità nel selezionare un Ceo di buona
qualità (contrapposto al Ceo di cattiva qualità) e la qualità del Ceo dipende , a sua volta,
dal tipo del CdA.
La decisione di confermare o licenziare il Ceo fornisce perciò una duplice informazione:
innanzitutto relativa alla qualità del Ceo e in seconda battuta sul tipo del CdA.
Il CdA e un acquirente esterno osservano differenti segnali riguardanti la qualità del
management, che deve scegliere un progetto di investimento il cui rendimento dipende
dalle sue qualità (buone o cattive).
A differenza di quanto accade in Hirshleifer e Thakor (1998), il takeover può avere luogo
anche dopo la decisione da parte del CdA di licenziare il management se l’acquirente
esterno ritiene di essere più efficiente rispetto al board in carica nel selezionare un nuovo
management.
Graziano e Luporini (2003) giungono a conclusioni opposte rispetto a quelle di Hirshleifer
e Thakor (1998). Questi ultimi ritengono che quando il CdA è preoccupato della possibilità
di essere rimosso e la probabilità che ciò accada è alta, la minaccia di takeover ne rende
l’operato più rigoroso. Graziano e Luporini (2003) sostengono invece che quando la
probabilità che il CdA sia sostituito è alta, esso diviene “manager-friendly”, ignorando il
segnale ricevuto. Il comportamento collusivo tra il board e il management sarebbe spiegato
dal fatto che il CEO domina il CdA e nomina i membri che invece dovrebbero monitorarlo
e che il CdA vuole minimizzare la probabilità di takeover.
Hermalin e Weisbach (1998) analizzano un modello in cui il livello di indipendenza del
Consiglio di Amministrazione è endogeno. L’amministratore delegato (CEO) e il
Consiglio di Amministrazione (CdA) negoziano la retribuzione del CEO e l’identità dei
nuovi amministratori che comporranno il CdA di nuova nomina. Il potere contrattuale del
CEO deriva dal livello della sua abilità percepita da parte del CdA: un buon CEO rimarrà
presso l’impresa con una probabilità più alta e riuscirà a negoziare un grado di
indipendenza del CdA inferiore.
I risultati degli autori indicano che la probabilità di aggiungere amministratori indipendenti
nel CdA è più alta quando la performance della società non è soddisfacente. Il turnover del
60
CEO è negativamente correlato alla performance dell’impresa (e tale relazione è più
intensa, più elevato è il livello di indipendenza del board). Infine, i Consigli di
Amministrazione con una forte presenza di amministratori indipendenti hanno una
probabilità più elevata di scegliere un amministratore delegato esterno all’impresa.
Differenze nel comportamento dei Consigli di Amministrazione possono quindi essere
motivate da differenze nella proporzione di amministratori indipendenti presenti: un CdA
efficiente potrebbe presentare una proporzione più alta di amministratori indipendenti.
Warther (1998) considera infine la procedura di voto per mezzo della quale il Consiglio di
Amministrazione decide se confermare o licenziare l’amministratore delegato e sottolinea
l’importanza dei Consigli di Amministrazione come strumento di disciplina del
management.
3.3 Le determinanti di dimensione, struttura e composizione del Consiglio di Amministrazione
Si analizzano alcuni studi statunitensi e italiani che sotto diverse prospettive e mediante
l’utilizzo di campioni differenti di società hanno analizzato e testato empiricamente i fattori
che spiegano la dimensione, la struttura e la composizione dei CdA.
3.3.1 Le determinanti della dimensione e della struttura dei CdA
Linck, Netter e Joung (2007) si propongono di esaminare la struttura dei Consigli di
Amministrazione, di confrontare i CdA di imprese di piccole e grandi dimensioni e
analizzare l’evoluzione della struttura dei CdA e delle loro determinanti.
Gli autori considerano un dataset composto da 7000 società statunitensi di tutte le
dimensioni, età e attività industriali per il periodo 1990-2004, selezionando tutte le società
per le quali erano disponibili informazioni sulla dimensione e composizione dei CdA per
più di due anni ed escludendo le società con meno di tre amministratori e non
regolamentate. Il campione risultante include più di 53000 rilevazioni riguardanti circa
61
7000 società. Il campione è stato quindi suddiviso sulla base della dimensione delle società
utilizzando come variabile di riferimento il valore di mercato del capitale azionario, in
modo da catturare le differenze tra imprese di piccole e grandi dimensioni.
Nella costruzione del modello gli autori hanno ipotizzato che le società adottano
comportamenti tesi a massimizzare il valore degli azionisti (ovvero i CdA sono strutturati
al fine di massimizzare la ricchezza degli azionisti) e decidono la struttura e l’evoluzione
della struttura dei CdA in funzione delle specifiche esigenze di monitoring e advising e del
settore industriale nel quale operano;
Gli autori effettuano un’analisi in serie storiche studiando le relazioni esistenti tra le
caratteristiche societarie e tre variabili relative ai Consigli di Amministrazione: dimensione
(board size32), grado di indipendenza (board independence33) e coincidenza tra carica di
Amministratore delegato e quella di Presidente del Consiglio di Amministrazione (board
leadership34).
In particolare, (utilizzando dati relativi agli anni 1992, 1995, 1998, 2001 e 2004) sono
considerati tre modelli econometrici che si concentrano su ciascuna delle tre caratteristiche
del CdA considerate.
Il primo modello è formalmente espresso dall’equazione seguente:
Board size = α + β1 log MVE + β2 debt + β3 log segments + β4 firm age + β5 firm age2 + β6 MTB + β7 R&D + β8 RETSTD + β9 CEO_Own + β10 Director_Own + Industry Dummies + Year Dummies + ε In primo luogo ci si pone il problema di verificare se la dimensione del Consiglio di
Amministrazione di una società è crescente nella complessità dell’azienda. Fama e Jensen
(1983) suggeriscono che i Consigli di Amministrazione sono formati da “esperti” e che gli
amministratori non esecutivi svolgono un’importante funzione apportando differenti
competenze professionali. Imprese diversificate, operanti in differenti business e aree
geografiche o con strutture operative o finanziarie complesse, possono infatti ampiamente
beneficiare dell’ampio know how degli amministratori non esecutivi. Ciò porta alla
costituzione di CdA più numerosi e indipendenti. Gli autori ottengono che la variabilie
dimensione d’impresa (rappresentata dalla variabile log MVE), il debito, il numero di
segmenti di business e l’età dell’impresa presentano coefficienti positivi e significativi, a
32 Per “board size” si intende il numero di amministratori nel board. 33 Per “board independence” si intende la proporzione di amministratori non esecutivi, detti outsider. 34 Per “board leadership” si utilizza un indicatore che esprime la coincidenza di Amministratore delegato (ossia Ceo) e Presidente del CdA (ovvero Cob).
62
testimonianza del fatto che la dimensione del Consiglio di Amministrazione è
effettivamente crescente nella complessità dell’azienda.
Il coefficiente negativo associato al quadrato dell’età dell’impresa indica invece che
l’impatto dell’età sulla dimensione del CdA è crescente ma ad un tasso decrescente, a
suggerire il fatto che la complessità aziendale non segue uno stesso percorso evolutivo sia
per le imprese “giovani” o di recente formazione, sia per quelle mature.
Un secondo problema analizzato consiste nel verificare se la dimensione del Consiglio di
Amministrazione è decrescente nei costi di monitoring e advising. Come proxy per i costi
di monitoring e advising, gli autori utilizzano il rapporto tra il valore di mercato e il valore
contabile del capitale azionario (MTB), gli investimenti per ricerca e sviluppo (R&D35) e la
deviazione standard dei tassi di interesse azionari mensili (RETSTD). I coefficienti di MTB
e RETSTD sono entrambi negativi e significativi. Il coefficiente associato agli investimenti
in R&D è anch’esso negativo, ma non statisticamente significativo ai livelli convenzionali.
Sebbene non in modo esauriente, i risultati confermano l’ipotesi che la dimensione del
CdA sia decrescente nei costi di monitoring e advising.
Un secondo modello econometrico spiega il rapporto tra amministratori non esecutivi
(definiti anche outsider) e il totale degli amministratori che compongono il CdA, utilizzato
come indicatore del grado di indipendenza del Consiglio di Amministrazione sulla base
dell’equazione seguente
Board independence = α + β1 log MVE + β2 debt + β3 log segments + β4 firm age + β5 firm age2 + β6 MTB + β7 R&D + β8 RETSTD + β9 CEO_Own + β10 Director_Own + β11
FCF + β12 performance + β13 CEO_age + β14 lag (CEO_ chair) + Industry Dummies + Year Dummies + ε Il primo problema che gli autori si pongono è quello di valutare se il grado di indipendenza
del CdA è crescente nella complessità dell’azienda. Poiché le variabili dimensione
d‘impresa (firm size), debito (debt), numero di segmenti di business (number of business
segments), ed età delle imprese (firm age) risultano essere positive e significative (tutte
all’1%) l’ipotesi è confermata.
Verificano poi se il grado di indipendenza del CdA è decrescente nei costi di monitoring e
advising. Come proxy per i costi di monitoring e advising sono state impiegate, come
nell’analisi precedente, le variabili MTB ratio, gli investimenti per R&D e RETSTD. Il
35 MTB e gli investimenti in R&D sono le variabili standard utilizzate in letteratura come proxies per le opportunità di crescita.
63
MTB presenta segno negativo ed è l’unica variabile significativa delle tre considerate: non
esiste evidenza robusta a sostegno dell’ipotesi.
Analizzano inoltre se il grado di indipendenza del CdA cresce al crescere della
disponibilità di benefici privati (private benefit). Adams e Ferreira (2006) e Raheja (2005)
sostengono infatti che l’attività di monitoring si intensifica al crescere del livello di private
benefit a disposizione dei manager, determinando così una più alta proporzione di membri
indipendenti nel consiglio di Amministrazione. Per testare l’ipotesi, gli autori Linck, Netter
e Yang (2007) utilizzano come proxy per i private benefit i flussi di cassa (free cash flow,
indicato FCF), ottenendo che il grado di indipendenza è crescente nel FCF e confermando
quindi l’ipotesi teorica.
Un’altra ipotesi è che i CdA siano costituiti da un numero contenuto di amministratori
quando gli incentivi degli amministratori esecutivi (insider) sono allineati agli interessi
degli azionisti. Raheja (2005) afferma infatti che quando gli incentivi degli amministratori
esecutivi sono allineati con quelli degli azionisti, i Consigli di Amministrazione hanno una
dimensione ridotta: in questa situazione, infatti, è bassa la probabilità che gli
amministratori decidano di attuare progetti di scarso valore per l’impresa e ciò determina
la necessità di un minor monitoraggio dall’esterno: si hanno così CdA formati da pochi
membri, con una bassa proporzione di amministratori indipendenti.
Come proxy per l’allineamento degli incentivi degli insider agli interessi degli azionisti
Linck, Netter e Yang (2007) hanno utilizzato la percentuale di azioni detenute dal CEO e
per l’allineamento degli incentivi degli outsider agli interessi degli azionisti la percentuale
media di azioni detenuta da ogni amministratore outsider. Dall’analisi di regressione
emerge che la proprietà dell’amministratore delegato (Ceo_Own) è negativo e
significativo, il che conferma l’ipotesi che esiste una relazione negativa tra la dimensione
del CdA (board size) e il suo livello di indipendenza (board independence) rispetto
all’allineamento degli incentivi degli insider. Anche il coefficiente della proprietà del
presidente del CdA (Director_Own) è negativo, un risultato che non è consistente con
l’ipotesi per cui esiste relazione positiva tra board size e board independence rispetto
all’allineamento degli incentivi degli amministratori non esecutivi. I risultati ottenuti dagli
autori confermano quindi l’ipotesi secondo la quale vi siano meno amministratori non
esecutivi quando ciascun amministratore esecutivo ha forti incentivi ed interessi
nell’impresa, allineati con quelli degli azionisti.
64
Un’ulteriore ipotesi sottoposta a test è relativa all’esistenza di una relazione negativa tra
board independence e performance societaria, suggerita da Hermalin e Weisbach (1998),
secondo i quali le imprese inseriscono nuovi amministratori indipendenti nei Consigli di
Amministrazione quando la loro performance è mediocre.
Tale ipotesi è confermata dall’analisi empirica di Linck, Netter e Yang (2007). Il
coefficiente relativo alla variabile performance é negativo e significativo.
Si è infine verificato che il grado di indipendenza del CdA è più elevato quando
l’Amministratore delegato (Ceo) ha ricoperto anche la carica di Presidente del CdA (Cob)
in un precedente periodo, in linea con l’assunto per il quale la proporzione di
amministratori indipendenti nel CdA aumenta al crescere dell’influenza esercitata dall’
amministratore delegato sul CdA stesso.
Le determinanti della board leadership (ovvero che la carica di Amministratore delegato
(Ceo) coincida con quella di Presidente del Consiglio di Amministrazione) sono state
investigate mediante il modello
Board leadership = α + β1 log MVE + β2 MTB + β3 R&D + β4 RETSTD + β5 Performance + β6 CEO_age + β7 CEO_tenure + Industry Dummies + Year Dummies + ε Si è innanzitutto verificato che la probabilità che le cariche di Ceo e Cob coincidano è
crescente nell’abilità e competenza del Ceo nonchè all’avvicinarsi del momento di
pensionamento del Ceo.
Esiste infatti una relazione positiva tra la variabile dummy “board leadership” e i tre
regressori dimensione d’impresa (firm size), età dell’amministratore delegato (Ceo age) ed
esperienza (Ceo tenure), tutte e tre significative all’1%.
E’ inoltre interessante notare che l’ipotesi per cui la probabilità che le cariche di Ceo e Cob
coincidano cresce al crescere dell’asimmetria informativa non è supportata dall’analisi
empirica. Non emerge infatti alcuna relazione significativa tra la “board leadership” e la
la deviazione standard dei ritorni azionari, una proxy dell’asimmetria informativa36.
36 Come proxy dell’asimmetria informativa gli autori utilizzano la deviazione standard dei prezzi delle azioni in seguito alla verifica empirica di Fama e Jensen (1983) per cui le imprese con un’elevata volatilità dei rendimenti azionari hanno con maggiore probabilità informazioni specifiche sconosciute agli investitori esterni.
65
Dall’analisi delle determinanti della struttura dei CdA, suddividendo il campione di società
in funzione della loro dimensione, emergono risultati nel complesso simili tra i differenti
gruppi, pur con alcune differenze. In particolare, un numero inferiore di variabili sembra
rilevare nello spiegare la struttura dei CdA per le imprese di piccola dimensione rispetto
alle medie e grandi imprese. Inoltre il grado di indipendenza del CdA e i costi di
monitoring non sono significativamente correlati nel caso di società di piccole e grandi
dimensioni, a indicare che non per tutte le tipologie di società vi è una forte relazione
positiva tra board independence e monitoring cost.
Infine si rileva che con maggior probabilità gli amministratori detengono quote azionarie
più elevate in imprese di medie e grandi dimensioni che hanno Consigli di
Amministrazione di dimensione ridotta (e con basse percentuali di amministratori
indipendenti), mentre per le società di piccole dimensioni le quote azionarie possedute dai
consiglieri non presentano una relazione significativa con la struttura dei CdA.
Attraverso un’analisi su una pooled cross section, Linck, Netter e Yang (2007) hanno poi
verificato se l’introduzione del Sarbanes - Oxley Act37 (SOX) nel 2002 abbia avuto un
impatto sulle determinanti della struttura dei CdA. L’evidenza empirica ha mostrato che,
tra il 2001 e il 2004, la proporzione degli amministratori esecutivi è diminuita in modo
significativo (per effetto delle norme introdotte sugli amministratori indipendenti dal SOX)
e tale impatto è più forte per le piccole imprese che presentavano percentuali più alte di
questa categoria di amministratori. Inoltre, in questo periodo, la dimensione dei CdA è
cresciuta soprattutto per le medie e grandi imprese, sia perchè i compiti che il CdA è
chiamato ad assolvere sono divenuti più complessi, sia perché le imprese di più piccole
dimensioni hanno tempi di aggiustamento e quindi di implementazione delle nuove
normative più lunghi.
Un interessante risultato riguarda l’effetto della proprietà azionaria detenuta dagli
amministratori sulla struttura dei CdA: in entrambi i periodi (pre e post SOX) valori più
elevati della quota azionaria detenuta dal Ceo sono associati a CdA di dimensioni più
37 Il Sarbanes-Oxley Act del 2002 o “Public Company Accounting Reform and Investor Protection Act” (e comunemente detto SOX) è una legge federale statunitense emanata in risposta ad una serie di scandali societari che hanno riguardato società statunitensi tra cui Enron, Tyco International, Adelphia, Peregrine Systems e WorldCom. Essa stabilisce nuove e rafforzate misure per tutte le società quotate disciplinando il funzionamento dei consigli di Amministrazione, del management e altri aspetti societari come le procedure contabili.
66
ridotte, ma l’effetto di questa variabile è più contenuto nel periodo post SOX. L’impatto
della struttura proprietaria sulla configurazione del CdA risulta dalle analisi essere più forte
nel periodo che precede l’introduzione del SOX, rispetto al periodo seguente. Una
possibile spiegazione di tale risultato è che la disciplina SOX ha avuto dei riflessi
sull’importanza della struttura proprietaria nel determinare la struttura del Consiglio di
Amministrazione.
Anche Lehn, Patro e Zhao (2003) si concentrano sulla struttura societaria dei Consigli di
Amministrazione analizzando le determinanti e i trend della struttura dei CdA.
Il campione da essi considerato è costituito da 81 società statunitensi che hanno operato
continuativamente tra il 1935 e il 2000; i dati sono stati raccolti ogni 5 anni a partire dal
1935. Gli autori hanno scelto per la formazione del campione un requisito stringente
relativamente al criterio “sopravvivenza”, sulla base dell’idea che le società sopravvissute
per decenni abbiano strutture di governance appropriate per l’ambiente competitivo nel
quale operano.
L’analisi, condotta in serie storiche, parte dalle ipotesi che la dimensione e la struttura dei
Consigli di Amministrazione sono determinate al fine della massimizzazione del valore
dell’impresa e che la scelta della dimensione del CdA sia funzione del trade off tra
acquisizione delle informazioni rilevanti (che i CdA di grandi dimensioni hanno più facilità
a ottenere) e costi decisionali (che divengono più elevati all’aumentare della dimensione
del CdA). Due caratteristiche societarie che influiscono su tale trade off -che varia al
variare delle imprese e dei settori industriali- nonché sulla dimensione ottimale del CdA,
sono la dimensione d’impresa e le opportunità di crescita.
Gli autori individuano tre variabili per identificare la dimensione dell’impresa, ovvero il
fatturato (sales), il valore contabile dell’attivo (book value of assets), il valore di mercato
del capitale azionario (market value of equity) e tre variabili per determinare le opportunità
di crescita dell’impresa e cioè il rapporto tra il valore di mercato e il valore contabile
dell’attivo (MTB value of assets), il rapporto tra il valore di mercato e il valore di libro del
capitale azionario (MTB value of equity), il rapporto tra il valore di macchinari e impianti e
il valore contabile dell’attivo (ratio of property plant and equipment (PPE) to the book
value of total assets).
67
Per testare l’impatto di dimensione e opportunità di crescita sulla composizione del CdA
gli autori utilizzano un panel di dati relativo alle 81 società contenute nel campione.
Formalmente, gli autori studiano i seguenti modelli econometrici
1) Log (Board Size) = α + β1 Log (Mkt Cap) + β2 Log Mkt Cap^2 + β3 Log MTB Ass
+ β4 Log PPE Ratio + β5 Post 80 Time Dummy + β6 Log Mkt Cap & Time Dummy+ β7
Log MTB Ass & Time Dummy + β8 Log PPE Ratio & Time Dummy + ε
2) % of Insiders = α + β1 Log (Mkt Cap) + β2 Log Mkt Cap^2 + β3 Log MTB Ass + β4
Log PPE Ratio + β5 Post 80 Time Dummy + β6 Log Mkt Cap & Time Dummy+ β7 Log MTB Ass & Time Dummy + β8 Log PPE Ratio & Time Dummy + ε
con l’obiettivo di verificare se esiste una relazione positiva tra dimensione del CdA e
dimensione d’impresa e tra proporzione di amministratori esecutivi e opportunità di
crescita, nonché una relazione negativa tra dimensione del CdA e opportunità di crescita e
tra proporzione di amministratori esecutivi e dimensione d’impresa.
Il modello (1) conferma l’esistenza di una relazione positiva (e non lineare) tra dimensione
del CdA e dimensione d’impresa. I coefficienti delle variabili Log Mkt Cap e Log Mkt
Cap^2 sono infatti positivi e significativi all’1%.
Allo stesso modo, il modello (1) conferma l’esistenza di una relazione negativa tra
dimensione del CdA e opportunità di crescita. Entrambi i coefficienti delle proxy per le
opportunità di crescita (Log MTB Ass e Log PPE Ratio) sono infatti significativi all’1% e
presentano rispettivamente segno negativo e positivo. Vi sono almeno due motivi che
spiegano tale risultato: i costi del monitoring dei manager crescono al crescere delle
opportunità di crescita delle società; società con elevate opportunità di crescita
generalmente necessitano di strutture di governance più snelle.
Il modello (2) consente invece di verificare l’esistenza di una relazione negativa tra
proporzione di amministratori esecutivi e dimensione d’impresa. Il coefficiente della
variabile Log Mkt Cap presenta infatti segno negativo ed è significativo all’1%.
Allo stesso modo, emerge una relazione positiva tra proporzione di amministratori
esecutivi e opportunità di crescita, con il coefficiente della variabile Log MTB Ass positivo
e significativo all’1%. Le due variabili “dimensione d’impresa” e “opportunità di crescita”
appaiono quindi essere rilevanti nello spiegare le variazioni nella dimensione e struttura dei
CdA. Il coefficiente della variabile dimensione del CdA cresce all’aumentare della
dimensione aziendale, mentre decresce all’aumentare delle opportunità di crescita; il
68
coefficiente della variabile proporzione di amministratori esecutivi decresce all’aumentare
della dimensione del’impresa e cresce rispetto alle opportunità di crescita. Questi risultati
avvalorano la tesi per cui la dimensione e la struttura dei Consigli di Amministrazione sono
determinate endogeneamente e in modo consistente con la massimizzazione del valore
dell’impresa.
Anche Boone, Field, Karpoff e Raheja (2007) analizzano dimensione e composizione dei
Consigli di Amministrazione, considerando un campione formato da tutte le imprese
industriali statunitensi (1019 società) che si sono quotate sui mercati statunitensi tra il 1988
e il 1992, analizzate nei loro primi 10 anni di esistenza. L’analisi condotta utilizza dati
panel relativi al 1°, 4°, 7° e 10° anno di vita delle società contente nel campione e si
propone di testare tre ipotesi alternative:
I. “The scope of operations hypothesis”: la struttura dei Consigli di Amministrazione
é determinata dalle prospettive e dalla complessità delle attività delle imprese;
II. “The monitoring hypothesis”: la struttura dei Consigli di Amministrazione e la loro
composizione sono spiegate dallo specifico business e dall’ambiente nel quale le
imprese operano;
III. The negotiation hypothesis: la composizione dei Consigli di Amministrazione é il
risultato della negoziazione tra l’amministratore delegato della società e gli
amministratori non esecutivi.
Al fine di verificare la rilevanza della “scope of operations hypothesis”, gli autori hanno
verificato se imprese di più grandi dimensioni, multisettore o operanti in diverse aree
geografiche presentano CdA più numerosi, ovvero se la dimensione del CdA (board size) è
positivamente correlata alla dimensione dell’impresa (firm size) e se la proporzione di
amministratori indipendenti nel CdA è positivamente correlata alle prospettive e alla
complessità delle attività delle imprese (misurate sulla base di dimensione, età delle
imprese e numero di segmenti di business in cui esse operano).
I modelli econometrici considerati sono:
Board size = α +β1 firm size + β2 firm age + β3 n°business segments + β4 Lag (Proportion Independent Directors) + β5 Previous Merger Dummy + β6 Lag (ROA) + β7 Previous Reverse LBO Dummy + β8 Equity Carve-out Dummy + β9 Dual Class Dummy + ε
69
Proportion Independent Directors = α +β1 firm size +β2 firm age + β3 n°business segments + β4 Lag (Board size) + β5 Previous Merger Dummy + β6 Lag (ROA) + β7 Previous Reverse LBO Dummy + β8 Equity Carve-out Dummy + β9 Dual Class Dummy + ε Poiché nelle regressioni in cui le variabili “dimensione d’impresa, anni di esistenza,
numero di segmenti di business in cui l’impresa opera” sono inserite separatamente come
variabili indipendenti, i rispettivi coefficienti sono tutti positivi e significativi all’1%; la
“scope of operations hypothesis”risulta essere confermata38.
Al fine di testare la “monitoring hypothesis”, gli autori verificano se la dimensione del
CdA è positivamente correlata ai private benefit39 del management e negativamente
correlato ai costi di monitoring40 e se la proporzione di amministratori indipendenti nel
CdA è positivamente correlata ai private benefit del management e negativamente correlata
ai costi di monitoring.
Formalmente, i due modelli econometrici studiati per rispondere a tali domande sono:
Board size = α + β1 FCF + β2 Industry concentration + β3 G index + β4 Log (MTB) + β5 high R&D + β6 Return variance + β7 CEO ownership + β8 firm size + β9 firm age + β10 n° business segments + β11 Lag (Proportion Independent Directors) + β12 Previous Merger Dummy + β13 Lag (ROA) + β14 Previous Reverse LBO Dummy + β15 Equity Carve-out Dummy + β16Dual Class Dummy + ε Proportion Independent Directors = α + β1 FCF + β2 Industry concentration + β3 G index + β4 Log (MTB) + β5 high R&D + β6 Return variance + β7 CEO ownership + β8 firm size + β9 firm age + β10 n° business segments + β11 Lag (Number of Directors) + β12 Previous Merger Dummy + β13 Lag (ROA) + β14 Previous Reverse LBO Dummy + β15 Equity Carve-out Dummy + β16Dual Class Dummy + ε Se la “monitoring hypothesis” fosse corretta, ci si dovrebbe attendere che dimensione e
livello di indipendenza del CdA siano positivamente correlati alle prime tre variabili (FCF,
38 Inserendo tutte e tre le variabili contemporaneamente nelle regressioni si rileva una distorsione che riduce il valore assoluto dei coefficienti poiché le variabili sono positivamente correlate. Tuttavia, anche in presenza di tale distorsione, “dimensione dell’impresa e numero di segmenti di business in cui l’impresa opera” rimangono significativamente correlati alla variabile “dimensione del CdA” per quanto riguarda il primo modello, mentre le variabili “dimensione d’impresa” e “anni di esistenza” rimangono significativamente correlati alla variabile dipendente “proporzione di amministratori indipendenti” nel secondo modello. 39 Le tre variabili utilizzate per rappresentare i potenziali private benefit del management sono: FCF dell’impresa, l’indice di Herfindahl per misurare la concentrazione del settore in cui l’impresa opera e l’indice G che indica quanto il management sia isolato dal mercato e il livello di difesa da takeover. 40 Le quattro variabili usate dagli autori per esprimere i costi di monitoring dei manager dell’impresa sono: log MTB ratio, una variabile dummy relativa agli investimenti in ricerca e sviluppo (R&D), varianza dei tassi di rendimento azionari e quota azionaria posseduta dall’amministratore delegato).
70
Indice di Herfindahl e Indice di crescita G) e negativamente correlati alle ultime quattro
variabili (log MTB, varibile dummy per gli investimenti in ricerca e sviluppo, varianza dei
tassi di rendimento azionari e percentuale di azioni detenuta dall’amministratore delegato).
I risultati empirici mostrano che, quando ciascuna delle sette variabili esplicative è inserita
nel modello separatamente, la dimensione del board è positivamente correlata alle prime
tre variabili (FCF, indice di concentrazione del settore e indice di crescita) e negativamente
correlata alle 4 variabili (varianza dei tassi di rendimento azionari, dummy “high R&D” ,
CEO’s share ownership e log MTB ratio, ma quest’ultima variabile è statisticamente non
significativa). Stimando un modello che includa contestualmente tutte e sette le variabili
nonchè le tre variabili utilizzate in precedenza per testare la “scope of operations
hypothesis”, la maggior parte dei coefficienti ha lo stesso segno ottenuto nelle precedenti
analisi, eccetto per i coefficienti di FCF e firm age (presumibilmente a causa di un
problema di multicollinearità dovuto al fatto che nel modello sono state introdotte più
proxy per una stessa ipotesi). La variabile “board independence” è negativamente correlata
alle variabili log (MTB ratio) e CEO’s share ownership, mentre gli altri coefficienti non
sono statisticamente significativi e il livello di R&D ha un coefficiente positivo che non è
consistente con l’ipotesi di monitoring. Il test di Wald per la significatività congiunta delle
variabili utilizzate per testare la “monitoring hypothesis” (ad eccezione della dummy “high
R&D” ) indica tuttavia che questa ipotesi spiega effettivamente la variazione nel livello di
indipendenza del CdA.
La “negotiating hypothesis” richiede di verificare se la composizione del board riflette un
processo di negoziazione tra il CEO e gli amministratori non esecutivi. Per misurare
l’influenza del CEO nella negoziazione, sono considerati il numero di anni di permanenza
nel ruolo da parte dell’amministratore delegato (“CEO job tenure”) nonché la quota
azionaria da lui detenuta (“CEO share ownership”). I limiti all’influenza del Ceo sono
invece catturati dalla quota azionaria detenuta dai membri non esecutivi del CdA (“outside
director ownership”), dal fatto che al momento dell’IPO un investitore “venture capital”
deteneva un pacchetto azionario (“venture capital investment”) e dal ranking della società
al momento dell’IPO (“investment bank reputation”).
In particolare si è verificato se la “board independence” è negativamente correlata
all’influenza del Ceo nella negoziazione (e quindi alle variabili “Ceo job tenure” e “Ceo
ownership”) e positivamente correlata alle variabili che rappresentano i limiti alla sua
71
influenza (e quindi ai regressori “outside director ownership”, “ venture capital investment”
e “investment bank reputation”).
Formalmente:
Proportion Independent Directors = α + β1 CEO tenure + β2 CEO ownership + β3 outside director ownership + β4 venture capital backing dummy + β5 investment bank reputation + β6 firm size + β7 firm age + β8 n°business segments + β9FCF + β10 Industry concentration + β11 G index + β12 Log (MTB) + β13 high R&D + β14 Return variance + β7
CEO ownership + β8 firm size + β9 firm age + β10 n^ business segments + β11 Lag (Number of Directors) + β12 Previous Merger Dummy + β13 Lag (ROA) + β14 Previous Reverse LBO Dummy + β15 Equity Carve-out Dummy + β16Dual Class Dummy + ε
I risultati ottenuti mostrano che, quando ciascuna delle cinque variabili esplicative è
inserita nel modello separatamente, tutte sono significative e correlate alla variabile
dipendente “board independence” con il segno atteso. Tali risultati sono sostanzialmente
confermati (eccetto per il coefficiente di Ceo tenure che non è statisticamente significativo)
per un modello che considera contemporaneamente tutte le variabili, ma emerge una
distorsione dovuta alla multicollinearità tra i regressori. Includendo nell’analisi anche tutti i
regressori utilizzati per testare le prime due ipotesi (“scope of operations hypothesis” e
“monitoring hypothesis”), i coefficienti delle cinque variabili usate per testare la
“negotiation hypothesis” conservano gli stessi segni e rimangono statisticamente
significativi, tranne la variabile “investment bank reputation”. Si può pertanto ritenere che
la “negotiation hypothesis” sia verificata.
E’ importante sottolineare che le dummy “venture capital” e “investment bank reputation”
sono rilevate nel momento dell’IPO. Baker e Gompers (2003) affermano infatti che l’IPO
sia un momento chiave dell’esistenza dell’impresa in cui poter indagare la “negotiation
hypothesis”, poiché comporta significativi cambiamenti nella governance e nelle strutture
proprietarie41 delle imprese. I risultati delle regressioni mostrano in particolare che
l’influenza del Ceo durante l’IPO è utile nello spiegare il grado di indipendenza dei CdA
anche negli anni successivi l’IPO. Complessivamente gli autori interpretano questi risultati
come una conferma dell’ipotesi per cui la dimensione del CdA e il suo livello di
indipendenza riflettano aggiustamenti endogeni ed efficienti all’ambiente operativo delle
imprese. I risultati dell’analisi non confermano però l’ipotesi di monitoring quando la
41 Vi è tuttavia una pratica diffusa di utilizzo che consiste nel prevedere clausole di lock up al fine di limitare l’evoluzione della struttura proprietaria all’IPO e nei periodi immediatamente successivi. Tali clausole comportano l’impegno a non compiere operazioni aventi ad oggetto le azioni dell’emittente detenute dagli insider.
72
variabile dipendente in esame è “board independence”: l’ipotesi per cui il grado di
indipendenza del CdA rifletta un bilanciamento nei costi e benefici dell’attività di
monitoring dei manager non è verificata. Dall’analisi econometrica emerge che board size
e board independence dipendono da variabili o proxy relative alle opportunità
dell’impresa, ai costi di monitoring dei manager, all’influenza del Ceo e ai limiti di tale
influenza. Variabili come CEO ownership, firm age, numero di segmenti di business,
indice G, intensità della R&D e varianza del tasso di rendimento delle azioni sono rilevanti
sia statisticamente sia economicamente.
Complessivamente sembra emergere che i Consigli di Amministrazione delle società
crescono in dimensione (numero di amministratori) e nel grado di indipendenza (numero di
amministratori indipendenti sul totale degli amministratori che siedono nel CdA) al
crescere degli anni di vita e della complessità delle attività di business delle imprese.
Imprese di più grandi dimensioni, o con più anni di vita, hanno CdA più numerosi e con un
maggior numero di amministratori indipendenti; imprese nelle quali le opportunità dei
manager di appropriarsi di private benefit sono alte o in cui i costi di monitoring dei
manager sono contenuti hanno CdA più ampi; imprese in cui il management ha una
sostanziale influenza (e i limiti a tale influenza sono ridotti) hanno CdA con una bassa
percentuale di amministratori indipendenti. Board size e board independence sono quindi
determinati da un’ampia combinazione di caratteristiche societarie e manageriali a
confermare che essi emergono endogenamente come risultati dei processi competitivi nei
quali le imprese sono coinvolte.
3.3.2 Le determinanti della composizione dei CdA
Parbonetti (2006) analizza la dimensione e la composizione del board di 100 società
statunitensi42 appartenenti a differenti settori: banche commerciali, servizi di pubblica
utilità, semiconduttori, computer software, computer pheripherals, network e
telecomunicazioni. I settori banche commerciali e servizi di pubblica utilità sono
classificati come “non high tech”, in quanto caratterizzati da elevata complessità esterna e
42 Nella selezione del campione l’autore ha analizzato solo aziende statunitensi comprese nella classifica di Fortune 500, al fine di avere aziende omogenee per dimensione ed assetto istituzionale in modo da isolare gli effetti delle variabili oggetto di analisi sulla composizione del CdA.
73
bassa interna; gli altri quattro settori, detti “high tech”, sono caratterizzati da elevata
complessità interna e bassa esterna43.
L’autore ritiene che, nell’analisi della configurazione del CdA, poco informativa sia la
distinzione tra amministratori esecutivi e non esecutivi (insider e outsider), sostenendo che
la caratteristica di indipendenza rileva ai soli fini del controllo del top management ma
nulla spiega dell’abilità degli amministratori nel supportare l’alta direzione nelle scelte
strategiche. Poiché gli amministratori non sono una categoria omogenea, risulta
maggiormente utile una classificazione degli stessi basata su competenze e ruoli che essi
possono svolgere all’interno del board. L’autore individua quindi 4 categorie44:
amministratori esecutivi (insiders); amministratori esecutivi di altre aziende (che apportano
capacità ed abilità di tipo manageriale - business experts); esperti in particolari ambiti (che
apportano specifiche competenze di tipo tecnico da integrare nell’ambito del processo
decisionale - support specialists) e rappresentanti di particolari categorie di stakeholders
(che apportano nel board il punto di vista di categorie di soggetti che appartengono
all’ambiente sociale e rivestono particolare rilievo per l’azienda - community influential).
Si transita così da un’attenzione focalizzata sulle funzioni del CdA a un’attenzione alle
condizioni che permettono al CdA un adeguato svolgimento dei compiti ai quali è
preposto.
Gli obiettivi che si pone l’autore consistono nell’analizzare come si modifica lo
svolgimento dei ruoli assegnati al board in relazione alle differenti condizioni di
operatività (ovvero alla differente tipologia di complessità esterna / interna) e al livello di
complessità (alta / bassa), nonché nel comprendere come la presenza di amministratori
appartenenti ai quattro differenti gruppi sia più o meno adeguata in funzione delle
caratteristiche delle società. L’autore formula 4 ipotesi relative alla composizione dei CdA:
A. le società che operano in settori che presentano alta complessità interna e bassa
complessità esterna hanno una proporzione maggiore di amministratori esecutivi rispetto
alle società che operano in settori caratterizzati da bassa complessità interna ed elevata
complessità esterna;
43 La scelta dei settori e delle imprese è determinata dalla necessità di individuare gli effetti che una elevata complessità interna o esterna possono avere sulla composizione del Consiglio di Amministrazione; l’autore ha pertanto escluso situazioni caratterizzate da elevata o bassa complessità sia interna sia esterna. 44 Tale classificazione è stata realizzata attraverso la lettura e analisi delle biografie e dei curricula degli amministratori delle società che costituiscono il campione oggetto di analisi.
74
B. le società che operano in settori caratterizzati da alta complessità interna e bassa
complessità esterna hanno una proporzione minore di business expert rispetto alle società
che operano in settori caratterizzati da elevata complessità esterna e bassa complessità
interna;
C. le società che operano in settori che presentano alta complessità interna e bassa
complessità esterna hanno una proporzione maggiore di support specialist rispetto alle
società che operano in settori caratterizzati da elevata complessità esterna e bassa
complessità interna;
D. le società che operano in settori caratterizzati da alta complessità interna e bassa
complessità esterna hanno una proporzione minore di community influential rispetto alle
società che operano in settori caratterizzati da elevata complessità esterna e bassa
complessità interna.
L’ipotesi che si vuole verificare è che all’interno dei due gruppi “high tech” e “non high
tech” la composizione del CdA sia omogenea, mentre differisca tra le società dei 2 gruppi.
Viene confrontata quindi la composizione del board delle banche con quella delle utilities,
attraverso la verifica dell’ipotesa nulla: l’autore ha confrontato le proporzioni medie di
ciascuna categoria di amministratori per testare la significatività delle differenze esistenti,
seguendo quattro test di ipotesi nulla, uno per ciascuna categoria di amministratori:
H0 a) proporzione media di insider nelle banche = proporzione media di insider nelle
utilities;
H0 b) proporzione media di business expert nelle banche = proporzione media di business
expert nelle utilities;
H0 c) proporzione media di support specialists nelle banche = proporzione media di
support specialists nelle utilities;
H0 d) proporzione media di community influential nelle banche = proporzione media di
community influential nelle utilities.
In seconda battuta ha confrontato la composizione del board all’interno del gruppo “high
tech”. In questo caso le quattro ipotesi nulle sottoposte a test sono:
H0 e) proporzione di ciascuna categoria di amministratori nei semiconduttori =
proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle telecomunicazioni =
proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle aziende di computer software =
proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle società di computer peripherals.
75
Successivamente ha analizzato e confrontato la composizione del board tra tutte le società
oggetto di analisi:
H0 f) proporzione di ciascuna categoria di amministratori nei semiconduttori =
proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle telecomunicazioni =
proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle società di computer software =
proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle società di computer peripherals
= proporzione di ciascuna categoria di amministratori nelle banche = proporzione di
ciascuna categoria di amministratori nelle utilities.
Infine ha realizzato un’analisi di regressione tesa a verificare che le differenze riscontrate
nella composizione dei CdA siano dovute alle condizioni di operatività aziendale. Per
verificare la rilevanza del livello e della tipologia di complessità nello spiegare le
differenze nella configurazione del CdA di aziende che operano in settori differenti, il
modello di regressione adottato è il seguente:
Proporzione di ciascuna categoria di amministratori = α + β1 dummy complessità + β2 Log Market Value + β3 Cash Flow + β4 Leverage + β5 MTB + β6 number board member + β7 CEO_own + ε
I risultati dell’analisi di regressione confermano la rilevanza della tipologia e del livello di
complessità sulla configurazione del CdA. Emerge una relazione positiva tra elevata
complessità esterna e bassa interna e proporzione di insider e support specialist e una
relazione negativa tra le stesse variabili di complessità e la proporzione di business expert e
community influential. Questi risultati confermano l’idea che l’adeguata configurazione del
CdA muti in relazione alle condizioni di operatività delle aziende. L’esito e il
suggerimento di questo lavoro consistono quindi in una classificazione degli
amministratori in funzione delle competenze (fondamentale per una valutazione
complessiva dei diversi ruoli svolti dal CdA) e nel testare la relazione tra governance e
performance tenendo presenti le condizioni di operatività.
Baglioni (2008) considera i meccanismi di corporate governance una risposta degli attori
societari alla questione della separazione tra proprietà e controllo. In particolare l’autore
costruisce un modello teorico attraverso il quale si concentra sull’estrazione di private
benefit da parte degli azionisti di controllo in società che emettono capitale azionario.
Sottolinea inizialmente due ordini di problemi: un problema di moral hazard, generato
76
dall’abilità dei manager e degli amministratori esecutivi di estrarre private benefit45 (da cui
ha origine il ruolo di monitoring degli amministratori indipendenti sulle decisioni del
management che potrebbero non essere in linea con la massimizzazione del valore
societario) e un lemon problem, che emerge quando differenti tipologie di imprese
emettono capitale azionario (gli investitori non sono in grado di distinguere tra imprese in
cui l’opportunità di estrarre private benefit è alta e imprese nelle quali tale possibilità è
contenuta). Gli investitori esterni possono infatti solo disporre di indicatori indiretti della
possibilità di estrarre private benefit, quali il FCF, la complessità e la dimensione
dell’organizzazione dell’impresa, ma non possiedono informazioni accurate come quelle
degli amministratori esecutivi.
Considerando il caso in cui gli imprenditori proprietari dell’impresa conoscono la propria
qualità che non è però osservata dagli investitori (caso di “informazione nascosta”) l’autore
mostra la presenza di “cross subsidization” in equilibrio: gli imprenditori di buona qualità
sopportano parte dei costi derivanti dall’estrazione di private benefit a opera degli
imprenditori di bassa qualità. Gli imprenditori di buona qualità conseguono quindi un più
basso livello di utilità rispetto al caso di informazione completa, mentre quelli di cattiva
qualità detengono un livello di utilità più alto rispetto al caso di piena informazione.
Nel caso di disciplina di diritto societario che impone l’adozione di un’istituzione di
corporate governance46, in equilibrio si ottiene ancora “cross subsidization”. Introducendo
invece nel modello un’istituzione di corporate governance discrezionale47 che impedisce
all’azionista dominante di appropriarsi di private benefit si ottiene che gli imprenditori di
buona qualità non sussidiano quelli di cattiva qualità. Ciò che rileva in tale caso è il
differente costo dell’adozione dell’istituzione di corporate governance non obbligatoria:
per gli imprenditori di buona qualità non costa nulla, mentre quelli di cattiva qualità
dovrebbero sopportare dei costi in caso di implementazione. Nel modello si ottiene un
equilibrio separating solo se gli imprenditori detengono un’elevata quota di capitale
azionario: l’istituzione di corporate governance è adottata infatti dalle imprese nelle quali
gli amministratori esecutivi non consumano private benefit (sono di qualità definita buona)
e in questo caso effettivamente l’adozione su base volontaria dell’istituzione di corporate
45 L’informazione riguardante i private benefit è tipicamente non verificabile o troppo complessa per essere descritta in dettaglio, perciò non è possibile prescrivere contrattualmente uno specifico livello di private benefit e questo determina il problema di moral hazard. 46 L’autore definisce questo caso “regulation”. 47 L’autore definisce questo caso “self regulation”.
77
governance è uno strumento di separazione in quanto segnala il tipo di impresa (di buona o
cattiva qualità), o dalle imprese in cui gli amministratori esecutivi dispongono di elevati
livelli di private benefit detenendo una piccola quota di capitale azionario - e in questo
caso l’adozione su base volontaria dell’istituzione di corporate governance è uno
strumento di commitment, poiché vincola a contenere l’estrazione di private benefit.
Infine, in caso di self regulation l’equilibrio che si ottiene domina l’equilibrio di regulation
(i pay off dell’impresa emittente sono leggermente superiori nel primo caso rispetto al
secondo).
Sulla base dei risultati ottenuti si può affermare che la relazione tra concentrazione
proprietaria e applicazione volontaria delle istituzioni di corporate governance è negativa:
laddove gli incentivi degli amministratori esecutivi sono più allineati a quelli degli
azionisti, l’importanza di introdurre questi meccanismi si riduce. L’adozione di istituzioni
di corporate governance che limitano l’estrazione di private benefit dovrebbe essere una
scelta volontaria delle imprese e non imposta dalla legge48: solamente in un equilibrio di
libero mercato alcune imprese sono in grado di distinguersi dalle altre strutturando la
corporate governance in modo da segnalare la propria qualità.
3.4 Il ruolo degli amministratori indipendenti
Il dibattito sul ruolo degli amministratori indipendenti quali controllori delle tendenze del
management a perseguire i propri interessi personali risale a Fama e Jensen (1983),
secondo i quali la struttura ottimale del CdA richiede amministratori esecutivi, affiancati
da amministratori non esecutivi che dovrebbero adoperarsi con particolare sollecitudine
intervenendo quando è necessario assumere decisioni strategiche. Gli amministratori non
esecutivi, dovrebbero infatti essere in grado di trattare e risolvere questioni che
coinvolgono potenziali conflitti di interesse tra i manager e gli azionisti, avendo una
minore probabilità di essere coinvolti in accordi collusivi con il management (non avendo
particolari legami con la società) al fine di espropriare gli azionisti.
48 Le istituzioni di corporate governance rappresentano risposte specifiche alle caratteristiche delle imprese, perciò l’imposizione di regole uniformi non è efficiente.
78
Shleifer e Vishny (1997) sottolineano proprio l’importanza dei meccanismi volti a limitare
l’estrazione di ricchezza (i cosiddetti private benefit) a danno degli azionisti. Tale
operazione, posta in essere da soggetti che rivestono posizioni che consentono loro di
esercitare di fatto il controllo della società, può assumere diverse forme: i private benefit
possono essere di natura psicologica (ovvero il prestigio derivante dal ricoprire posizioni di
vertice di grandi imprese), ma possono anche comportare l’estrazione di ricchezza a spese
della minoranza degli azionisti esterni, ad esempio attraverso il trasferimento di asset a
prezzi inferiori a quelli di mercato (dalla società in favore degli amministratori esecutivi).
Questo tema è di importanza non trascurabile in quanto lo sviluppo finanziario, reso
possibile dagli investimenti che apportano fondi alle società è seriamente ostacolato in
assenza di garanzie contro l’espropriazione degli investitori esterni.
Molti contributi considerano gli amministratori indipendenti uno dei principali strumenti
contro l’espropriazione a danno degli azionisti e per tale ragione la loro presenza è
raccomandata dai codici nazionali di corporate governance e dalle istituzioni
sovranazionali.
Nello stesso filone di ricerca, Lorsch e MacIver (1989) affermano che gli amministratori
indipendenti, per la posizione che ricoprono, sono in grado di valutare e monitorare
l’attività dell’impresa; Byrd e Hickman (1992) osservano che gli amministratori
indipendenti sono responsabili della protezione e della promozione degli interessi degli
azionisti di minoranza ed infine Millstein (1993) definisce “tensione costruttiva” la
relazione che si instaura tra azionisti e amministratori e tra amministratori e manager nel
caso in cui l’indipendenza di parte del CdA sia credibile.
Secondo Black (2001), gli amministratori indipendenti rappresentano istituzioni utili a
sostenere gli azionisti nell’identificazione dei problemi di trasparenza e diffusione delle
informazioni. Il ruolo degli amministratori indipendenti è considerato particolarmente
rilevante in quanto, essendo parte integrante del CdA, essi possono avere una più completa
visione dell’operato del management.
Eckbo (2005) sostiene la necessità di un sistema di corporate governance rigoroso che
impedisca l’espropriazione dei diritti degli azionisti da parte degli amministratori esecutivi.
Drago, Santella e Paone (2006) propongono di verificare l’effettiva presenza di
amministratori indipendenti nei Consigli di Amministrazione delle società quotate
79
italiane49. Essi considerano 284 amministratori50, membri dei Consigli di Amministrazione
di 40 società italiane quotate al dicembre 2004, facenti parte per capitalizzazione di borsa
dell’indice S&P/MIB51. L’analisi empirica è condotta sulla base dei documenti societari
riferiti all’anno 2003, pubblicati dalle imprese stesse e resi disponibili sui siti internet delle
singole imprese o sui siti della Borsa italiana e della Consob.
La prospettiva di indagine scelta dagli autori è quella di un investitore esterno che si trova,
o potrebbe trovarsi, in una posizione che gli consenta, in qualche misura, di verificare
l’esistenza di criteri di indipendenza citati dal codice di corporate governance che la
società dichiara di adottare.
Gli standard di indipendenza presi come riferimento sono quelli forniti dal Codice italiano
sulla corporate governance (Codice Preda) e dalle Raccomandazioni europee del 15
febbraio 2005 sul ruolo degli amministratori non esecutivi e di controllo e rappresentano
una proxy della best practice a livello internazionale. Entrambi i documenti contengono
norme non vincolanti: il Codice Preda prevede che, annualmente, tutte le società quotate
italiane, presentino un report sulla corporate governance indicando se e in quale misura
esse aderiscono ai principi del Codice Preda stesso; questo sistema è noto come il principio
del “comply or explain”, adottato anche dalle Raccomandazioni europee, che si
concentrano sul ruolo degli amministratori non esecutivi e preposti a funzioni di vigilanza,
in aree dove gli amministratori esecutivi potrebbero avere conflitti di interesse e includono
standard minimi per le qualificazioni, le responsabilità e l’indipendenza degli
amministratori stessi.
L’adozione di una duplice disciplina relativamente alla figura degli amministratori
indipendenti consente di prendere in considerazione le specificità italiane in materia di
corporate governance e nello stesso tempo il processo di convergenza in corso tra i sistemi
di corporate governance europei. Dall’analisi delle dichiarazioni delle società in merito al
49 Generalmente gli studi esistenti riportano il grado di indipendenza dei CdA ma sulla base delle qualificazioni di indipendenza ad opera delle imprese stesse, non esistendo indagini sistematiche che si occupano dell’effettività degli standard di indipendenza che le società dichiarano di presentare. 50 Di questi 284 amministratori, dieci ricoprono un duplice ruolo in Consigli di Amministrazione di società appartenenti all’indice S&P/MIB. 51 L'indice S&P/MIB misura la performance di quaranta azioni quotate sui mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana e mira a replicare la rappresentazione settoriale dell'intero mercato. L'indice offre una completa rappresentazione del tessuto economico, classificando i titoli in dieci settori di mercato. Sono compresi Beni di Consumo Discrezionali, Beni di Consumo di Prima Necessità, Energia, Finanziari, Sanità, Industriali, Informatica, Materiali, Servizi di telecomunicazioni e Servizi Pubblici.
80
rispetto dei principi e criteri di indipendenza contenuti nei due Codici presi come
riferimento emerge che la percentuale di adozione dei principi è molto bassa; solo per 5 dei
284 amministratori che si dichiarano indipendenti delle 40 società oggetto d’esame è
possibile verificare l’adesione a tutti e 5 i criteri di indipendenza sanciti nel Codice Preda e
solo per 18 dei 284 amministratori è possibile verificare l’adesione a 4 dei 5 criteri di
indipendenza del Codice Preda. Con riferimento invece alle Raccomandazioni europee, per
solo 4 amministratori su 284 è possibile verificare l’adesione a tutti gli 11 criteri di
indipendenza. Vi è inoltre una significativa percentuale di amministratori per i quali esiste,
o è verificata, la possibilità che essi siano membri dei CdA da molti anni per cui la loro
indipendenza di giudizio ne sia pregiudicata. Infine vi sono alcuni amministratori che
svolgono un ruolo ausiliario rispetto agli azionisti di controllo. In quasi tutti i casi le
affermazioni delle società o contraddicono la presunta indipendenza degli amministratori o
non consentono di verificarla: la comunità finanziaria o l’opinione pubblica in generale
dovrebbero colmare tale lacuna e verificare che le previsioni del Codice Preda siano
applicate. Un’alternativa valida è rappresentata da controlli che potrebbero essere realizzati
dalla Borsa italiana o da altra autorità (per esempio la Consob) sulle dichiarazioni delle
imprese in merito agli amministratori indipendenti societari e sulla loro possibilità di
comminare sanzioni quando necessario.
81
CAPITOLO 4
ANALISI EMPIRICA: IL DATABASE
82
4.1 Il database
Il dataset utilizzato per le analisi empiriche condotte nella tesi è costituito dalle società
quotate alla Borsa Valori di Milano (e tenute a comunicare alla Consob52 i dati relativi alle
partecipazioni azionarie superiori al 2%) per gli anni compresi tra il 2004 e il 2007.
Sono stati raccolti dati:
–sulla struttura proprietaria delle imprese (dal sito della Consob, sezione “Emittenti -
Società quotate - azionariato”);
–relativi alla configurazione dell’assetto di governo societario (dimensione e composizione
del CdA, presenza di Comitati interni al CdA e loro consistenza, eventuali altri meccanismi
di governo societario implementati). A tale scopo sono state esaminate le Relazioni sulla
corporate governance di tutte le società quotate italiane nel quadriennio considerato53,
pubblicate sul sito della Borsa Italiana nella sezione “Documenti – Società quotate –
Corporate governance società quotate”;
–di bilancio e di performance societaria per gli anni 2004 – 2007, consultando le banche
dati Datastream e Aida.
Si sono inoltre rilevati la sede geografica e il numero di anni di esistenza delle società,
dalla consultazione del “Calepino dell’Azionista”, pubblicazione annuale di Mediobanca.
Dall’insieme di tutte le società italiane quotate nell’arco di tempo considerato si è costruito
un campione di imprese per le quali si dispone di informazioni complete sull’assetto di
governo societario. Il campione così ottenuto è costituito da 187 società per il 2004, 201
per il 2005, 254 per il 2006 e 261 società per l’anno 2007. Ai fini delle analisi
econometriche presentate nel Capitolo 6 si è considerato, oltre a tale campione sbilanciato
di imprese, un panel formato da 157 società quotate.
52 Le comunicazioni alla Consob relative alla trasparenza societaria sono diffuse al pubblico ai sensi dell’art. 120 del d.lgs. 58/98, Testo Unico della Finanza. 53 Tale lavoro di ricerca è stato condotto nel primo semestre del 2008, considerando le Relazioni sulla corporate governance disponibili sul sito della Borsa Italiana in quell’arco di tempo.
83
4.1.1 La classificazione per settori
La classificazione adottata per l’attribuzione di ciascuna impresa ad uno specifico settore
industriale è quella realizzata dall’ICB Universe Data Service. L’ICB Industry Code
fornisce 4 livelli di classificazione (e quindi un codice di 4 cifre) del settore industriale in
cui operano le imprese, sulla base dell’output realizzato da ciascuna impresa. Nel
complesso, tale classificazione individua: 10 industrie (industry), 18 supersettori
(supersector), 39 settori (sector) e 104 sottosettori (subsector)54.
Oltre alla classificazione sopramenzionata, si è utilizzato il Codice Ateco55 secondo la
classificazione dell’anno 2002. La classificazione delle attività economiche ATECO è la
classificazione adottata dall'Istituto Nazionale di Statistica italiano (ISTAT) per le
rilevazioni statistiche nazionali di carattere economico ed è la traduzione italiana della
nomenclatura delle Attività Economiche (NACE) creata dall'Eurostat, adattata dall'ISTAT
alle caratteristiche specifiche del sistema economico italiano.
La classificazione ATECO 2002 è stata introdotta a distanza di 9 anni ad aggiornamento
della ATECO 1991; si sviluppa in cinque livelli di dettaglio: sezioni (codifica: 1 lettera),
sottosezioni (due lettere), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre) e categorie (5
cifre). Nell’anno 2007 sono state apportate nuove e ulteriori modifiche, che hanno
determinato la classificazione ATECO 2007: si tratta di una classificazione alfa-numerica
con 6 diversi gradi di dettaglio: le lettere indicano il macro-settore di attività economica,
mentre i numeri (che vanno da due fino a sei cifre) rappresentano, con differenti livelli di
dettaglio, le articolazioni e le disaggregazioni dei settori stessi. Le varie attività
economiche sono raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni (codifica: 1 lettera),
divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre), categorie (5 cifre) e sotto categorie (6
cifre).
In questa sede si è adottata la classificazione ATECO nella versione del 2002 in quanto il
campione di imprese considerato è riferito agli anni 2004-2007, anni nei quali era in vigore
54 Il dataset utilizzato in questo lavoro considera il livello di disaggregazione più ampio, suddividendo le imprese in dieci industrie: in questo modo le regressioni nelle quali si controlla per la variabile “settore industriale” presentano un numero di osservazioni significativo. Per ogni impresa si è comunque indicato il sottosettore di appartenenza e il codice ICB di 4 cifre, giungendo quindi al massimo livello di disaggregazione. 55 La classificazione secondo il Codice Ateco è stata ottenuta dalla Banca dati Aida.
84
la versione del 2002; peraltro l’elenco sistematico dei codici ATECO per le società quotate
italiane disponibile presso la banca dati Aida è nella versione 2002.
In Tabella 4.1 è indicato il numero di imprese (del campione sbilanciato) che rientrano in
ciascun settore industriale sulla base della Classificazione Ateco per i quattro anni oggetto
di indagine:
SETTORE NUMERO IMPRESE PER SETTORE
Anno 2004 Anno 2005 Anno 2006 Anno 2007
Agricoltura 1.07% 1.00% 0.79% 0.77%
Estrazione di minerali 1.07% 1.00% 0.79% 0.77%
Attività manifatturiere 34.76% 33.33% 35.04% 35.25%
Public utilities56 3.21% 2.99% 2.76% 2.68%
Costruzioni 4.28% 3.98% 4.33% 4.60%
Commercio 5.88% 7.96% 7.09% 6.90%
Alberghi e ristoranti 1.07% 1.00% 1.18% 0.77%
Trasporti 5.35% 7.96% 6.30% 6.13%
Attività finanziarie 21.93% 22.39% 20.87% 21.46%
Attivita' immobiliari57 17.65% 14.93% 17.32% 18.39%
Istruzione
0.53% 0.50% 0.39% 0.38%
Altri servizi pubblici, sociali e personali
3.21% 2.99% 3.15% 1.92%
TOTALE 100% 100% 100% 100%
Tabella 4.1. Classificazione delle imprese che costituiscono il dataset per l'analisi econometrica in
funzione del settore industriale di appartenenza. Sebbene la numerosità dei quattro campioni sia differente e crescente negli anni, la
distribuzione delle imprese nei settori industriali e negli anni è pressoché omogenea.
56 La classificazione Ateco indica tale settore “Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua”. 57 La classificazione Ateco riporta “Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese”.
85
Sulla base di questa classificazione si sono create inoltre quattro variabili dummy settoriali,
suddividendo le società che operano nel settore primario (agricoltura ed estrazione di
minerali), le società che operano nel comparto manifatturiero (attività manifatturiere e
costruzioni), le società che svolgono attività finanziarie e infine le società che operano nel
settore terziario (produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua; commercio
all’ingrosso e al dettaglio; alberghi e ristoranti; trasporti, magazzinaggio e comunicazioni;
attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese; istruzione e altri
servizi pubblici, sociali e personali).
4.1.2 La concentrazione industriale
Sulla base della classificazione ATECO 2002, utilizzando i dati Istat58 (a livello di
divisione di attività economica per le attività industriali e i servizi), si è calcolato l’Indice
di concentrazione di Herfindahl-Hirschman (HHI)59. Si tratta di un indice sintetico della
concentrazione dei settori industriali, calcolata tenendo presente due diverse grandezze: la
numerosità e la disuguaglianza delle imprese che operano nel settore considerato.
Per il calcolo dell’Indice di Herfindahl-Hirschman (HHI)
HHI =∑=
n
iix
1
2 , con
∑=
=n
ii
ii
X
Xx
1
si è utilizzata come variabile iX il “Valore Aggiunto60” (dai dati pubblicati dall’Istat
relativamente all’anno 2005, riguardanti le imprese industriali e i servizi, scomposte in
funzione del numero di addetti61); xi è il valore medio del “Valore aggiunto” (per ogni
58 “Competitività per classi di addetti_2005” dell’Istat, gli ultimi dati disponibili sul sito dell’Istat. 59 La variabile più comunemente utilizzata per misurare la struttura di mercato di un settore industriale è il rapporto di concentrazione delle prime quattro imprese (C4) oppure il C8, rapporto di concentrazione delle prime otto imprese presenti sul mercato; in alternativa si usa una funzione di tutte le quote di mercato delle singole imprese: l’indice HHI. 60 Si è scelto di adottare la variabile “Valore Aggiunto”, preferendola alla variabile “Fatturato”, in quanto quest’ultimo potrebbe risentire di problemi legati a differenze di integrazione verticale tra le imprese considerate. Nel caso in cui tra le imprese del campione ci fossero ampie diversità in merito all’organizzazione del processo produttivo (internalizzazione vs esternalizzazione delle fasi del processo produttivo) la variabile che consente di correggere questa distorsione è il valore aggiunto. 61 I raggruppamenti per “classi di addetti” prevedono 5 gruppi: classe di imprese di 1-9 addetti; classe 10-19 addetti; classe 20-49 addetti; classe 50-249 addetti; classe con imprese oltre 250 addetti.
86
settore industriale, la variabile xi è ottenuta dal rapporto che presenta al numeratore la
media del valore aggiunto delle imprese raggruppate per “classe di addetti” e al
denominatore il valore aggiunto totale delle imprese di tutte le classi di addetti).
SETTORE INDUSTRIALE INDICE DI HERFINDAHL -HIRSCHMAN
Fabbricazione di mobili HHI = 3.41515E-05
Costruzioni HHI = 3.81396E-05
Commercio all’ingrosso HHI = 8.92982E-05
Attività professionali e imprenditoriali HHI = 9.53645E-05
Attività immobiliari HHI = 0.000100323
Commercio, manutenzione e riparazione di autoveicoli
HHI = 0.000100809
Fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo
HHI = 0.000119058
Sanità HHI = 0.000129235
Commercio al dettaglio HHI = 0.000164711
Alberghi e ristoranti HHI = 0.000250786
Altre attività dei servizi HHI = 0.000456612
Istruzione HHI = 0.00051901
Tabella 4.2. I settori meno concentrati
Poiché si ritiene che nell’arco del quadriennio considerato la variazione della
concentrazione settoriale sia stata di entità contenuta62, l’indice di Herfindahl-Hirschman,
sebbene calcolato sulla base dei dati relativi al 2005 (gli ultimi dati forniti dall’Istat) è stato
adottato e inserito nelle analisi di regressione per tutti e quattro gli anni oggetto d’analisi
(dal 2004 al 2007).
Si ritiene generalmente che la facilità di entrata favorisca una minore concentrazione e che
il settore agricolo, dei servizi, del commercio al dettaglio e all’ingrosso e il settore delle 62 Non si dispongono dati circa la concentrazione del settore finanziario, poiché non disponibili nel file “Competitività per classi di addetti_2005” dell’Istat.
87
attività manifatturiere siano caratterizzati da una modesta concentrazione. I risultati del
calcolo dell’Indice HHI confermano tale affermazione: per la maggior parte dei settori
industriali citati i valori riscontrati sono particolarmente bassi63.
Ordinando i settori sulla base del grado di concentrazione, ai primi posti (tra le industrie
meno concentrate) figurano i settori elencati in Tabella 4.2. Sono i settori dei servizi
(attività professionali e imprenditoriali, sanità, istruzione, alberghi e ristoranti), del
commercio al dettaglio e all’ingrosso, delle costruzioni, delle attività immobiliari a
presentare valori più bassi dell’Indice HHI. Per quanto riguarda i settori legati alla
produzione industriale, vi sono quelli relativi alla produzione di mobili, al commercio,
manutenzione e riparazione di veicoli e infine alla fabbricazione e lavorazione di prodotti
in metallo.
SETTORE INDUSTRIALE INDICE DI HERFINDAHL -HIRSCHMAN
Fabbricazione di autoveicoli HHI = 0.005718547
Noleggio di macchinari e attrezzature senza operatore e di beni per uso personale e
domestico
HHI = 0.006971517
Fabbricazione di macchine per ufficio HHI = 0.007726603
Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi HHI = 0.008013709
Fabbricazione di altri mezzi di trasporto HHI = 0.011624869
Produzione di energia elettrica HHI = 0.015238429
Raccolta, depurazione e distribuzione d'acqua
HHI = 0.015245308
Trasporti marittimi e per vie d’acqua HHI = 0.017810148
Trasporti aerei HHI = 0.02590411
Poste e telecomunicazioni HHI = 0.036701439
Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio HHI = 0.04116982
Estrazione di minerali HHI = 0.169108324
Tabella 4.3. I settori maggiormente concentrati
63 Vi è una sola eccezione riguardante il settore “estrazione di minerali”: dai calcoli si ottiene un valore dell’Indice HHI pari a 0.1691
88
I settori industriali maggiormente concentrati sono quelli illustrati nella Tabella 4.3. In
particolare, i settori legati alla produzione industriale di autoveicoli e mezzi di trasporto in
generale, di macchine e apparecchiature, i settori dei servizi di trasporto aereo e
marittimo/fluviale, di noleggio di attrezzature e di comunicazione (poste e
telecomunicazioni) e infine i settori legati all’estrazione, produzione e distribuzione di
materie prime (energia elettrica, acqua, coke, petrolio e minerali) si dimostrano quelli
“relativamente” maggiormente concentrati, con un intervallo di variazione dell’Indice HHI
che va da 0.005718 a 0.169108.
E’ necessario considerare però che molte misure di concentrazione possono essere distorte
a causa di improprie definizioni di mercato, troppo ampie o troppo ristrette64. Affinché la
concentrazione industriale sia un indicatore significativo dell’ambiente competitivo in cui
si colloca l’impresa, ci si deve riferire alla nozione di mercato rilevante65, finalizzata a
individuare i principali concorrenti e in generale i vincoli competitivi all’azione delle
imprese oggetto di indagine. Non è stato peraltro possibile, per assenza di dati sistematici,
effettuare il calcolo dell’Indice di Herfindahl-Hirschman considerando un livello di
disaggregazione più dettagliato rispetto al livello “divisioni” qui utilizzato.
4.1.3 La quotazione di borsa
Un ulteriore criterio adottato per la classificazione delle società riguarda il segmento
borsistico d’appartenenza delle imprese in funzione della capitalizzazione di mercato
(valore minimo: un milione di euro). Il dato utilizzato riguarda la capitalizzazione delle
società quotate sulla Borsa alla fine del mese di dicembre di ogni anno oggetto d’indagine.
Borsa Italiana S.p.A. regolamenta e gestisce i mercati italiani azionari: Mercato Telematico
Azionario (MTA) e Mercato Expandi.
I segmenti del Mercato Telematico Azionario nei quali le imprese sono inserite sono:
64 Le misure di concentrazione possono anche essere distorte perché ignorano importazioni ed esportazioni. 65 La definizione di mercato rilevante si basa sostanzialmente sull’analisi di due tipi di sostituibilità. Dal lato della domanda comporta l’individuazione dei prodotti sostituti per gli acquirenti-consumatori, che essi potrebbero acquistare in caso di incrementi di prezzo dei prodotti delle imprese investigate; dal lato dell’offerta si individuano i concorrenti potenziali che potrebbero agevolmente entrare sul mercato, in caso di aumenti dei prezzi. Il mercato rilevante è definito da due componenti: il mercato del prodotto che include tutti i prodotti tra loro sostituti e il mercato geografico, ovvero l’area entro la quale si realizzano i rapporti di sostituibilità tra prodotti.
89
1. Blue Chip (SBC): accoglie tutte le società appartenenti all'indice Mib30 e le altre società
con capitalizzazione superiore a 1 miliardo di Euro.
2. Star (SS): Segmento Titoli ad Alti Requisiti, dedicato a società con capitalizzazione pari
o superiore a 40 milioni di euro e inferiore a 1 miliardo di euro, che rispondono a requisiti
specifici in termini di liquidità, trasparenza e corporate governance.
3. Standard 1 e Standard 2 (SS1, SS2): il segmento di Borsa Ordinario accoglie tutte le
società con capitalizzazione inferiore a 1 miliardo di Euro, non appartenenti al segmento
Star. Il segmento si divide in 2 classi di negoziazione sulla base della frequenza degli
scambi e del controvalore medio giornaliero negoziato nel semestre precedente. All'atto di
ammissione a quotazione le società vengono classificate nella "classe 1".
4. Investment Companies66 (IC): si tratta di società per azioni che svolgono in via
prevalente attività di investimento e/o locazione in campo immobiliare.
Alle azioni quotate sul MTA si aggiungono le azioni appartenenti a società di dimensioni
più piccole quotate sul Mercato Expandi che ha requisiti di ammissione più semplici e un
processo di quotazione più agile. Il Mercato Expandi è un mercato disegnato infatti per le
società di piccole dimensioni che vogliono reperire nuovi capitali minimizzando il costo e i
tempi della quotazione e raccogliere capitali in diverse fasi in base a piani industriali
“meno aggressivi”. La capitalizzazione minima è 1 milione di Euro.
4.2 Le variabili che compongono il dataset
Le variabili rilevate per ciascuna impresa sono raggruppabili in tre distinte categorie:
• variabili riguardanti la concentrazione proprietaria aziendale, rilevate dall’analisi
delle Relazioni sulla corporate governance;
• variabili economico-finanziarie, ottenute dalle banche dati “Datastream” e “Aida”;
• variabili di corporate governance, desunte dalle Relazioni sulla corporate
governance.
66 La disciplina di listing per le Real Estate Investment Companies (REIC) nel mercato Expandi è stata introdotta con l’approvazione da parte della Consob delle modifiche al Regolamento dei Mercati deliberate dall’Assemblea degli Azionisti di Borsa Italiana nella seduta del 26 aprile 2007.
90
4.2.1 La concentrazione proprietaria aziendale
Le società che fanno ricorso al mercato regolamentato per finanziare le proprie attività sono
ovviamente società “aperte” alla presenza di azionisti di minoranza (azionisti diffusi o azionisti
rilevanti). Gli assetti di controllo sono pertanto almeno potenzialmente dinamici, in quanto
l’esistenza di un mercato strutturato e regolamentato per scambiare azioni consente di
acquistare e cedere sia quote di minoranza, sia pacchetti di controllo.
Dai file disponibili sul sito della Consob relativi alle quote azionarie67 delle società quotate
italiane sono stati rilevati:
� il numero di azionisti rilevanti, ovvero gli azionisti che detengono più del 2% del
capitale sociale (azioni con diritto di voto)68;
� la percentuale totale di capitale sociale detenuta da tutti gli azionisti rilevanti;
� le quote azionarie (in percentuale sul totale del capitale sociale) detenute dai primi
3 azionisti, nonché quelle detenute singolarmente dal primo, dal secondo e dal terzo
azionista rilevante;
� la tipologia del primo e secondo azionista rilevante: a tal proposito si è distinto tra
soggetto privato (P), società (SS, SA, SAPA, SRL, SPA), istituto finanziario69 (IF),
pubblica Amministrazione (PA) e fondazione (F);
� la presenza di proprietà familiare e nel caso la quota posseduta dalla famiglia70.
Non sono stati invece raccolti dati circa la quota azionaria detenuta dal CEO e quella
complessiva o media posseduta dagli amministratori facenti parte del Consiglio di
Amministrazione (rispettivamente CEO’s ownership e board members’ ownership), in
quanto incompleti o totalmente assenti nelle Relazioni sulla corporate governance.
Nelle analisi econometriche che saranno condotte, l’inserimento di variabili di controllo
relative alla concentrazione della proprietà azionaria permetterà di valutare l’esistenza di
un eventuale impatto negativo della presenza di una struttura azionaria maggiormente
67 Le quote azionarie considerate si riferiscono alle quote possedute dagli azionisti rilevanti alla fine di ogni anno del quadriennio considerato. 68 A tale scopo si è adottato il metodo tradizionale, che guarda al soggetto che è presente nell’azionariato della società e ne misura la partecipazione detenuta in termini di quota di diritti di voto. Un altro approccio perseguibile si occupa di identificare l’azionista al vertice della catena di controllo (ultimate shareholder). 69 All’interno della categoria “istituto finanziario” sono state considerate le banche, le assicurazioni e le società finanziarie 70 La categoria comprende sia i singoli individui, sia i membri di una stessa famiglia; il controllo viene attribuito ad una persona fisica anche nei casi in cui le azioni siano detenute da una fiduciaria o da una finanziaria.
91
concentrata, nonché la volontà dei principali azionisti di condizionare le decisioni di
governo economico delle imprese e l’effettiva possibilità di creare separazione tra
proprietà e controllo. L’effettiva separazione tra proprietà e controllo si realizza infatti
pienamente quando gli azionisti affidano la gestione dell’impresa a manager professionisti
che non possiedono partecipazioni significative nel capitale di rischio.
Nel caso in cui il capitale sia molto frazionato, ovvero gli azionisti siano molto numerosi,
si crea peraltro la possibilità che si verifichino fenomeni di opportunismo manageriale. Da
un lato i piccoli investitori non hanno l’incentivo e le competenze per esercitare
un’efficace attività di controllo sull’operato del management, dall’altro i manager, non
avendo alcun diritto sul flusso di cassa prodotto dall’impresa, hanno un incentivo a
massimizzare la propria utilità personale a danno dell’obiettivo di massimizzazione del
valore della società.
L’assetto di governance deve essere quindi strutturato in modo da bilanciare il potere del
management evitando che si verifichino casi di opportunismo manageriale. La
composizione del CdA, il ruolo del Presidente del CdA, la presenza di Comitati che si
occupino ciascuno di un preciso ambito (controllo interno, remunerazione degli
amministratori, nomina degli stessi), nonché i flussi informativi tra management e
amministratori (in modo particolare se indipendenti) sono quindi di fondamentale
importanza.
4.2.2 Le variabili economico-finanziarie
Per quanto riguarda le variabili economico-finanziarie, i dati relativi alle società quotate
italiane considerate sono stati ottenuti utilizzando le banche dati “Datastream” e “Aida”,
considerando i valori relativi alla fine dell’anno per ogni esercizio del campione.
Le variabili rilevate sono di seguito elencate e discusse:
1) Il fatturato, ossia il valore totale delle vendite, il totale dell’attivo e la
capitalizzazione di mercato (MVE, Market Value of Equity, ottenuta dal prodotto
tra il numero di azioni in circolazione e il prezzo unitario di mercato); queste tre
variabili sono utilizzate quali proxy della dimensione di una società.
92
2) Il debito totale, il debito netto e una variabile che esprime il grado di dipendenza da
terzi (leverage71), inseriti nelle analisi di regressione come fattori di controllo in
quanto l’aumento di indebitamento limita il flusso di capitale disponibile per gli
investimenti e con esso la discrezionalità del top management nella gestione delle
risorse finanziarie.
3) Il patrimonio netto, ovvero la differenza contabile tra le attività e le passività
componenti lo stato patrimoniale di un’azienda. Si tratta di un indicatore di ciò che
rimane di competenza degli azionisti una volta dedotte dalle attività patrimoniali
tutte le passività verso terzi. Peraltro, la misura del patrimonio netto dello stato
patrimoniale generalmente non fornisce indicazioni in merito al valore intrinseco
del titolo azionario.
4) Il MTB: Market to book value of equity, dato dal rapporto tra il valore di mercato e
il valore di libro della società o dal rapporto tra il prezzo di mercato (quotazione) di
un'azione e il valore del capitale proprio della società risultante dal bilancio (valore
di libro) per azione. Ai fini dell’analisi econometrica, questa variabile è utilizzata
come proxy delle opportunità di crescita delle società. Il MTB è noto sia come
Price/Book Value (P/B), sia come Prezzo/Valore di Libro o Prezzo/Valore
Contabile ed è formalmente definito come:
P/B = prezzo/ [(capitale sociale + riserve + utili non distribuiti) / n° di azioni] =
= [prezzo x n° di azioni] / (capitale sociale + riserve + utili non distribuiti) =
= [prezzo x n° di azioni / patrimonio netto] = valore di mercato / valore di libro =
= market / book = MTB
Il valore contabile fornisce una misura relativamente stabile e intuitiva del valore
da paragonare con il prezzo di mercato. Inoltre, ipotizzando che esista uniformità
nei criteri contabili impiegati da diverse società, i rapporti P/B di aziende simili
sono agevolmente paragonabili al fine di individuare segnali di sopra o sotto
valutazione. Infatti, tale indicatore è spesso usato per ricavare grandezze relative a
una società attraverso un confronto con imprese aventi attività operative simili
all'impresa considerata (nota come target). 71 La variabile “leverage” è calcolata rapportando alla somma di debito a breve scadenza e debito a lungo termine il totale dell’attivo societario.
93
Punti deboli nell’utilizzo di tale indicatore sono però lo sfasamento temporale tra
numeratore e denominatore (rapporto tra dati di mercato e valori contabili); gli
eventuali effetti sul denominatore determinati da politiche di bilancio decise dal
management della società in merito a politiche di ammortamento e accantonamento
e infine la scarsa significatività dei valori contabili per le aziende di servizio, le
quali generalmente sono prive di cespiti rilevanti.
5) Il ROA (Return on assets), utilizzato come misura di redditività delle attività
dell’impresa. Si tratta di un indice ottenuto come rapporto tra reddito netto e attività
totali e indica quanto efficientemente le attività totali dell’azienda siano utilizzate.
Tale misura è però influenzata dai problemi associati alla leva finanziaria e alle
aliquote fiscali.
6) Il FCF (Free Cash Flow) che rappresenta il flusso di cassa disponibile per l'azienda
ed è dato dalla differenza tra il flusso di cassa delle attività operative e il flusso di
cassa per investimenti in capitale fisso; è interpretabile come la parte di flussi di
cassa da attività operative che residua dopo avere provveduto alle necessità di
reinvestimento dell'azienda in nuovo capitale fisso72. Ai fini dell’analisi, il FCF è
inserito nelle regressioni come proxy della discrezionalità del management
nell’effettuare investimenti.
E’ utile osservare che il FCF non è una vera e propria misura di creazione del
valore poiché non distingue tra investimenti (e il valore creati da questi) con i flussi
di cassa generati da tali investimenti ed è pertanto in parte un concetto di
liquidazione: un'impresa riduce i propri FCF investendo, e aumenta i FCF
riducendo i propri investimenti, ma il valore dell’azienda aumenta all'aumentare
degli investimenti, qualora gli investimenti siano profittevoli. I FCF sarebbero
pertanto una misura di effettiva creazione di valore se i flussi di cassa in entrata
associati agli investimenti si realizzassero nello stesso periodo in cui si manifestano
i flussi di cassa in uscita necessari per porre in essere gli investimenti.
7) L’Ebit (Earnings before interest and taxes): è una misura di risultato operativo,
prima della deduzione degli oneri finanziari e delle imposte ed è utilizzato per il
calcolo dei flussi di cassa dell’impresa; in questo lavoro è utilizzato come proxy per
72 Si è considerato anche il FCFPS, ovvero il flusso di cassa per azione (Free Cash Flow per Share), ottenuto dividendo il FCF per il numero totale di azioni.
94
la redditività operativa dell’impresa, anche in rapporto al fatturato (Ebit/Fatturato).
Si è inoltre preso in considerazione l’Ebitda (Earnings before interest, taxes and
depreciation), misura di risultato operativo, prima della deduzione di oneri
finanziari, imposte e ammortamenti.
8) La deviazione standard dei prezzi delle azioni
∑=−
=n
iiu
n 1
2
1
1σ con 1
ln−
=i
ii P
Pu
definita come misura della variabilità del rendimento di un’attività finanziaria, ossia
l’incertezza circa i futuri movimenti del prezzo di un bene o di una attività
finanziaria. Al crescere della volatilità cresce la probabilità che la performance
risulti molto elevata oppure molto contenuta, ossia cresce la probabilità che i
movimenti di prezzo (Pi) sia in aumento sia in diminuzione siano molto ampi. La
deviazione standard può quindi essere utilizzata come proxy della volatilità delle
azioni delle società.
9) Il Return index (RI, tasso di rendimento), che può riferirsi sia alle singole imprese
sia ai settori industriali; nel complesso esprime la crescita teorica del valore di una
azione in un determinato periodo (nel nostro caso un anno), sotto l’ipotesi che i
dividendi siano reinvestiti nell’acquisto di ulteriori unità di capitale. Formalmente,
RI è definito come:
=tRI 1−tRI ∗1−t
t
PI
PI∗
∗+
n
DY
1001
dove =tRI return index del giorno t; 1−tRI = return index del giorno precedente t;
tPI = indice del prezzo azionario al giorno t; 1−tPI = indice del prezzo azionario del
giorno precedente t; DY = tasso di rendimento dell’indice di prezzo e n = numero
di giorni in un anno finanziario (normalmente 260).
Nel dataset si è scelto di inserire il tasso di rendimento annuale a livello di settori
industriali, considerati sulla base della classificazione del codice ICB, con l’obiettivo di
verificare l’impatto della performance del settore industriale in cui operano le imprese
sugli assetti di governance delle stesse imprese.
95
4.2.3 Le variabili di corporate governance
Dalle “Relazioni sulla corporate governance” sono stati tratti anche i dati e le informazioni
riguardanti la struttura dell’assetto societario, la configurazione del Consiglio di
Amministrazione e dei Comitati interni all’impresa. Si è rilevato il dato relativo alla
tipologia di struttura di governo societaria adottata dall’impresa: tradizionale, monistica o
dualistica. La riforma del diritto societario (D. Lgs. n. 6/03), entrata in vigore nel gennaio
2004, ha infatti offerto la possibilità, per le Società per azioni (anche non quotate), di
scegliere fra tre modelli alternativi di organizzazione dei processi di Amministrazione e
controllo: tradizionale, monistico o dualistico. È stata cioè introdotta la possibilità per le
società di decidere la struttura di governo societario a loro confacente.
Si è inoltre rilevato il dato relativo all’adesione al Codice di Autodisciplina: per le società
quotate è infatti previsto l’obbligo annuale di divulgare informazioni sull’adesione al
codice e sull’osservanza degli impegni a ciò conseguenti, con la necessità di motivare un
eventuale inadempimento (in base al principio del c.d. comply or explain).
Si è poi raccolto un insieme di dati che si concentrano sulla dimensione e configurazione
del Consiglio di Amministrazione poiché il CdA è il perno dell’assetto di governance
societario: è l’organo che riveste un ruolo centrale nel processo di corporate governance,
come espressamente previsto dall’art. 2380-bis del Codice Civile, per il quale “a esso
l’assemblea degli azionisti attribuisce la gestione dell’impresa e il diritto di compiere tutte
le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”.
In particolare sono stati rilevati per ogni impresa:
a) il numero di consiglieri che formano il CdA,
b) il numero di amministratori esecutivi, il numero di membri non esecutivi e di questi
quanti sono i consiglieri indipendenti: quest’ ultimo dato assume particolare
importanza in quanto gli amministratori indipendenti costituiscono una presenza
importante per limitare o addirittura evitare comportamenti opportunistici da parte
del management e degli azionisti di controllo. Tutti i codici e le linee guida esistenti
in materia di corporate governance contengono una sezione apposita sugli
amministratori indipendenti, indicando le proporzioni di amministratori
indipendenti che devono figurare nei CdA. I “Principi di corporate governance”
emanati dall’OECD nel 2004 raccomandano che “i board comprendano un numero
96
sufficiente di amministratori non esecutivi in grado di esprimere un giudizio
indipendente per questioni per le quali si potrebbero manifestare conflitti di
interesse”. Le Raccomandazioni europee sottolineano che la presenza di
amministratori non esecutivi e di supervisory director è rilevante sia nelle società
che presentano un azionariato disperso, dove la preoccupazione primaria è far sì
che il comportamento dei manager non sia lesivo nei confronti degli interessi degli
azionisti e in particolare dei piccoli azionisti, sia nelle società che presentano
azionisti di controllo, dove il problema principale è assicurarsi che la gestione della
società tenga in considerazione anche gli interessi degli azionisti di minoranza.
c) L’utilizzo del meccanismo del voto di lista per l’elezione degli amministratori della
società alla carica corrispondente: tale meccanismo riveste un ruolo importante in
materia di corporate governance poiché assicura una procedura di nomina
trasparente ed una equilibrata composizione del Consiglio di Amministrazione.
d) La presenza o meno e, in caso di risposta affermativa, il numero, di consiglieri
eletti da liste presentate dalla minoranza.
e) La presenza del “presidente” degli amministratori indipendenti (Lead Independent
Director). Si tratta di una figura che rappresenta il punto di riferimento per il
coordinamento delle istanze e dei contributi dei Consiglieri Indipendenti e può, tra
l’altro, convocare autonomamente o su richiesta di altri Consiglieri apposite
riunioni di soli Amministratori Indipendenti (c.d. Independent Directors executive
sessions). La sua presenza è spesso consigliata nel caso in cui il Presidente del
Consiglio di Amministrazione svolga anche la funzione di Amministratore
Delegato (CEO).
f) Il numero di eventuali amministratori donne.
g) Il numero di riunioni tenute dal CdA stesso nel corso dell’esercizio di riferimento.
Sempre con riferimento al CdA si sono rilevati la presenza e il numero, in caso positivo, di
amministratori facenti parte dei Comitati interni alla società.
In particolare sono stati raccolti dati sul Comitato esecutivo, il Comitato per il controllo
interno, il Comitato di remunerazione e il Comitato per le proposte di nomina.
Le caratteristiche funzionali di tali comitati sono descritte nel box sottostante.
97
Box 4. 1: Le caratteristiche dei Comitati interni al CdA delle società quotate italiane II ll CCoommii ttaattoo eesseeccuuttiivvoo::
II ll CCoommii ttaattoo eesseeccuuttiivvoo èè ddoottaattoo ddii rrii lleevvaannttii ppootteerrii ddii ggeessttiioonnee,, ii ssuuooii mmeemmbbrrii ssoonnoo ppeerrttaannttoo
aammmmiinniissttrraattoorrii eesseeccuuttiivvii sseeccoonnddoo llaa nnoozziioonnee ffoorrnnii ttaa ddaall CCooddiiccee..
AAll CCoommii ttaattoo eesseeccuuttiivvoo ccoommppeettoonnoo::
�� llee pprrooppoossttee ddii bbuuddggeett ee ddeeii ppiiaannii pplluurriieennnnaall ii ,, ddaa ssoottttooppoorrrree aall ll ’’ aapppprroovvaazziioonnee ddeell
CCoonnssiiggll iioo ddii AAmmmmiinniissttrraazziioonnee;;
�� ii ll ccoonnttrrooll lloo ddeell ll ’’ eesseeccuuzziioonnee ddeell bbuuddggeett,, ddeeii ppiiaannii pplluurriieennnnaall ii ee ddeeii pprrooggeettttii ssttrraatteeggiiccii ;;
�� llaa mmaaccrroo--oorrggaanniizzzzaazziioonnee ddeell llaa ssoocciieettàà ee ddeell llee ccoonnttrrooll llaattee;;
�� llee nnoommiinnee ddeell llaa pprriimmaa ll iinneeaa ddii mmaannaaggeemmeenntt ddeell llaa ssoocciieettàà ((ee ii rreellaattiivvii ppaacccchheettttii
rreettrriibbuuttiivvii )) ee ll ’’ aapppprroovvaazziioonnee ddeell llee ppooll ii ttiicchhee rreettrriibbuuttiivvee ddeell llaa ssoocciieettàà ee ddeell llee ccoonnttrrooll llaattee,,
sseennttii ttoo ii ll ppaarreerree ddeell CCoommii ttaattoo ppeerr llaa rreemmuunneerraazziioonnee;;
�� llaa sscceell ttaa ddeeii ccoonnssuulleennttii ddii rrii ffeerriimmeennttoo ddeell llaa ssoocciieettàà ee ddeell llee ccoonnttrrooll llaattee ee ll ’’ aapppprroovvaazziioonnee
ddeeii rreellaattiivvii iinnccaarriicchhii ,, aanncchhee ssee pprreevviissttii aa bbuuddggeett,, cchhee ccoommppoorrttiinnoo uunn iimmppeeggnnoo ddii ssppeessaa
ooll ttrree uunnaa ssooggll iiaa pprreessttaabbii ll ii ttaa;;
�� ll ’’ iinnddiizziioonnee ddii ggaarree,, iinnvveessttiimmeennttii ,, ssppeessee ee llaa ffoorrmmuullaazziioonnee ddii pprrooppoossttee aall CCoonnssiiggll iioo ddii
AAmmmmiinniissttrraazziioonnee ppeerr ooppeerraazziioonnii cchhee ssuuppeerraannoo uunn cceerrttoo aammmmoonnttaarree..
CCoommee pprreevviissttoo ddaall lloo ssttaattuuttoo ddeell llee iimmpprreessee,, ii ll CCoommii ttaattoo eesseeccuuttiivvoo rrii ffeerriissccee ccoonn ffrreeqquueennzzaa
ssttaabbii ll ii ttaa ((ddii ssooll ii ttoo aallmmeennoo ttrriimmeessttrraallmmeennttee)) aall CCoonnssiiggll iioo ddii AAmmmmiinniissttrraazziioonnee ssuull llee aattttiivvii ttàà
ssvvooll ttee,, ddii rreeggoollaa aattttrraavveerrssoo ii ll ssuuoo pprreessiiddeennttee..
II ll CCoommii ttaattoo ppeerr ii ll ccoonnttrrooll lloo iinntteerrnnoo::
PPaarrttiiccoollaarree rrii lleevvaannzzaa ttrraa ii ccoommii ttaattii aassssuummee aanncchhee ii ll CCoommii ttaattoo ppeerr ii ll ccoonnttrrooll lloo iinntteerrnnoo:: ii ll
ssiisstteemmaa ddii ccoonnttrrooll lloo iinntteerrnnoo èè ll ''iinnssiieemmee ddeeii pprroocceessssii ddii rreettttii aa mmoonnii ttoorraarree ll ''eeff ff iicciieennzzaa ddeell llee
ooppeerraazziioonnii aazziieennddaall ii ,, ll ''aaff ff iiddaabbii ll ii ttàà ddeell ll ''iinnffoorrmmaazziioonnee ff iinnaannzziiaarriiaa,, ii ll rriissppeettttoo ddii lleeggggii ee
rreeggoollaammeennttii ,, llaa ssaallvvaagguuaarrddiiaa ddeeii bbeennii aazziieennddaall ii .. II ll CCoonnssiiggll iioo ddii AAmmmmiinniissttrraazziioonnee hhaa llaa
rreessppoonnssaabbii ll ii ttàà ddeell ssiisstteemmaa ddii ccoonnttrrooll lloo iinntteerrnnoo,, ddeell qquuaallee ff iissssaa llee ll iinneeee ddii iinnddii rriizzzzoo ee vveerrii ff iiccaa
ppeerriiooddiiccaammeennttee ll ''aaddeegguuaatteezzzzaa ee ll ''eeff ffeettttiivvoo ffuunnzziioonnaammeennttoo.. IIll PPrreessiiddeennttee pprroovvvveeddee aadd
iiddeennttii ff iiccaarree ii pprriinncciippaall ii rriisscchhii aazziieennddaall ii ,, ssoottttooppoonneennddooll ii aall ll ''eessaammee ddeell CCoonnssiiggll iioo ddii
AAmmmmiinniissttrraazziioonnee,, ee aattttuuaa ggll ii iinnddii rriizzzzii ddeell CCoonnssiiggll iioo aattttrraavveerrssoo llaa pprrooggeettttaazziioonnee,, llaa ggeessttiioonnee
ee ii ll mmoonnii ttoorraaggggiioo ddeell ssiisstteemmaa ddii ccoonnttrrooll lloo iinntteerrnnoo.. EE’’ ff rreeqquueennttee cchhee ii ll CCoonnssiiggll iioo ddii
AAmmmmiinniissttrraazziioonnee ccoossttii ttuuiissccaa aall pprroopprriioo iinntteerrnnoo uunn CCoommii ttaattoo ppeerr ii ll ccoonnttrrooll lloo iinntteerrnnoo,,
ssooll ii ttaammeennttee ccoommppoossttoo ddaa 33 mmeemmbbrrii :: ttrree ccoonnssiiggll iieerrii nnoonn eesseeccuuttiivvii ddii ccuuii aallmmeennoo uunnoo
98
iinnddiippeennddeennttee,, cchhee ssvvoollggee aattttiivvii ttàà ddii rreeppoorrttiinngg ee ddii ccoonnttrrooll lloo ddii ggeessttiioonnee,, iinn ggrraaddoo ddii ffoorrnnii rree
ii ll qquuaaddrroo ddeell llaa ssii ttuuaazziioonnee eeccoonnoommiiccoo--ff iinnaannzziiaarriiaa ccoonn ppeerriiooddiiccii ttàà aallmmeennoo mmeennssii llee..
II ll CCoommii ttaattoo ppeerr llee RReemmuunneerraazziioonnii ::
PPeerr qquuaannttoo aattttiieennee aall llaa ddeetteerrmmiinnaazziioonnee ddeell ccoommppeennssoo ddeeii ccoonnssiiggll iieerrii iinnvveessttii ttii ddii ppaarrttiiccoollaarrii
ccaarriicchhee,, ll ’’ aarrttiiccoolloo 22338899 ddeell CCooddiiccee CCiivvii llee aattttrriibbuuiissccee iinn vviiaa eesscclluussiivvaa aall CCoonnssiiggll iioo,, sseennttii ttoo ii ll
CCooll lleeggiioo ssiinnddaaccaallee,, ii ll ppootteerree ddii ssttaabbii ll ii rree llaa rreemmuunneerraazziioonnee ddeeggll ii aammmmiinniissttrraattoorrii iinnvveessttii ttii ddii
ppaarrttiiccoollaarrii ccaarriicchhee iinn ccoonnffoorrmmii ttàà aall lloo ssttaattuuttoo ssoocciiaallee.. LLoo ssttaattuuttoo ddeell llee ssoocciieettàà ppuuòò ppeerròò
pprreevveeddeerree ll ’’ iissttii ttuuzziioonnee ddii ccoommii ttaattii ccoonnssuull ttiivvii ,, aanncchhee pprreessssoo ii ll CCoonnssiiggll iioo sstteessssoo:: nnoonn ddii rraaddoo
vviieennee nnoommiinnaattoo ffoorrmmaallmmeennttee uunn oorrggaannoo ddeelleeggaattoo,, ddeennoommiinnaattoo CCoommii ttaattoo ppeerr llee
RReemmuunneerraazziioonnii ,, ii ll qquuaallee aassssiissttee ii ll CCoonnssiiggll iioo ddii AAmmmmiinniissttrraazziioonnee nneell pprroocceeddiimmeennttoo ddeell llaa
ffoorrmmaazziioonnee ddeell llaa vvoolloonnttàà ddeell llaa SSoocciieettàà iinn mmaatteerriiaa ddii ddeetteerrmmiinnaazziioonnee ddeell llee rreettrriibbuuzziioonnii ddeeggll ii
eessppoonneennttii aazziieennddaall ii cchhee rriiccoopprroonnoo llee ppiiùù aall ttee ccaarriicchhee.. QQuueesstt’’ oorrggaannoo èè ccoommppoossttoo
eesscclluussiivvaammeennttee ddaa CCoonnssiiggll iieerrii nnoonn eesseeccuuttiivvii ,, ppooiicchhéé iinn uunn aaddeegguuaattoo ssiisstteemmaa ddii ccoorrppoorraattee
ggoovveerrnnaannccee nneessssuunnoo ddeeii CCoonnssiiggll iieerrii ppuuòò iinnff lluuii rree ssuull llaa ddeetteerrmmiinnaazziioonnee ddeell pprroopprriioo
ccoommppeennssoo ee ssuull llee mmooddaall ii ttàà ddeell llaa ssuuaa ddeetteerrmmiinnaazziioonnee..
II ll CCoommii ttaattoo ppeerr llee pprrooppoossttee ddii nnoommiinnaa::
PPeerr qquuaannttoo rriigguuaarrddaa llaa nnoommiinnaa ddeell CCoonnssiiggll iioo ddii AAmmmmiinniissttrraazziioonnee,, qquueessttaa ddeevvee aavveerr lluuooggoo
iinn ccoonnffoorrmmii ttàà aadd uunnaa pprroocceedduurraa ttrraassppaarreennttee,, cchhee ccoonnsseennttaa aall llaa ggeenneerraall ii ttàà ddeeggll ii aazziioonniissttii ddii
ccoonnoosscceerree llee ccaarraatttteerriissttiicchhee ppeerrssoonnaall ii ee pprrooffeessssiioonnaall ii ddeeii ccaannddiiddaattii ccoonn nneecceessssaarriioo aannttiicciippoo
ppeerr ppootteerr eesseerrccii ttaarree ccoonnssaappeevvoollmmeennttee ii ll ddii rrii ttttoo ddii vvoottoo.. EE’’ ppeerrcciiòò pprreevviissttoo cchhee llee ssoocciieettàà
qquuoottaattee ccoossttii ttuuiissccaannoo uunn CCoommii ttaattoo ppeerr llee pprrooppoossttee ddii nnoommiinnaa ssoopprraattttuuttttoo nneeii ccaassii iinn ccuuii ii ll
ccoonnssiiggll iioo rrii lleevvii ddii ff ff iiccooll ttàà ddaa ppaarrttee ddeeggll ii aazziioonniissttii aa pprreeddiissppoorrrree ddii rreettttaammeennttee llee pprrooppoossttee ddii
nnoommiinnaa;; cciiòò ppuuòò aaccccaaddeerree nneell llee ssoocciieettàà qquuoottaattee aa bbaassee aazziioonnaarriiaa ddii ff ffuussaa..
E’ stata infine rilevata la presenza di patti parasociali o patti di sindacato, ovvero accordi
che coinvolgono tutti o soltanto una parte dei soci finalizzati a disciplinare il loro
comportamento in determinati ambiti della vita della società. L'oggetto del patto
parasociale può riguardare: il voto in assemblea (sindacato di voto) o il regime di
circolazione delle azioni (sindacato di blocco). Nel primo caso il patto parasociale vincola i
soci a esso aderenti a votare tutti secondo il medesimo criterio, nel secondo caso il patto
parasociale pone dei limiti al trasferimento delle azioni possedute dai soci aderenti al patto.
99
In altri casi il patto parasociale può avere a oggetto l'esercizio, anche congiunto, di
un'influenza dominante sulla società. Un patto parasociale può essere a termine (e in tal
caso non superiore a 5 anni) e può poi essere rinnovato, oppure può essere senza termine e
in tal caso ogni socio contraente ha il diritto di recedere con un preavviso di sei mesi. L'art.
122 del Testo Unico dell'Intermediazione Finanziaria stabilisce che per le società quotate
(e per le società che le controllano) i patti parasociali devono essere comunicati alla
Consob, al pubblico dei risparmiatori (mediante pubblicazione sulla stampa) e alla società
stessa, all'inizio di ciascuna assemblea pena la nullità dei patti.
4.3 Un’analisi qualitativa delle variabili considerate
Si presenta un’analisi qualitativa delle variabili inserite nel dataset e considerate nelle
analisi econometriche. Si discutono dapprima le variabili relative alla struttura proprietaria
aziendale; quindi si presentano le analisi sull’assetto di governo societario. Per le
statistiche descrittive delle variabili economiche e finanziarie si rimanda all’Appendice 4.1,
in fondo al presente capitolo.
Il dataset considerato è il panel sbilanciato delle società quotate italiane osservate nel
periodo 2004-2007. Il campione è stato inoltre suddiviso in società industriali e finanziarie
(all’interno delle prime si è considerato in particolare il settore high tech). Sebbene
l’analisi si concentri sull’intero dataset, si riportano anche risultati considerati interessanti
in merito ai due settori sopra citati (finanziario e high tech).
4.3.1 La concentrazione proprietaria aziendale
La ricostruzione degli assetti proprietari di ciascuna società nei quattro anni di riferimento
ha come obiettivo quello di coglierne le tendenze evolutive.
Dalla Tabella 4.4 emerge chiaramente che la struttura proprietaria delle società quotate in
esame è fortemente concentrata: in oltre il 50 % dei casi il controllo è attribuibile di diritto
a un unico soggetto (che detiene una quota superiore al 50% del capitale sociale, ovvero
detiene il controllo assoluto).
100
TIPOLOGIA DI CONTROLLO
NUMERO IMPRESE (in%)
NUMERO IMPRESE (in%)
NUMERO IMPRESE (in%)
NUMERO IMPRESE (in%)
ANNO 2004 2005 2006 2007 Controllo esercitato da un
singolo azionista: quota >50%
58.82% 54.23% 53.54% 54.79%
Controllo esercitato da un singolo azionista:
quota >40% e <50% 5.88% 7.96% 9.84% 9.96%
Controllo esercitato da un singolo azionista:
quota >25% e <40% 15.51% 15.92% 14.96% 16.09%
Nessun azionista di riferimento 19.79% 21.89% 21.65% 19.16% Totale 100% 100% 100% 100%
Tabella 4.4: Il controllo delle società quotate
Nel corso dei quattro anni si è tuttavia registrata una lieve diminuzione del grado di
concentrazione e tale riduzione è evidente con riferimento al primo azionista: il numero di
società con controllo assoluto si è infatti ridotto di alcuni punti percentuali, passando dal
58.82% nel 2004 al 54.79% nel 2007. La percentuale di società con un azionista di
maggioranza relativa (ovvero un singolo azionista che detiene una quota azionaria
compresa tra il 40% e il 50%) ha mostrato invece un trend crescente: dal 5.88% nel 2004 al
9.96% nel 2007. Il confronto delle percentuali relative ai casi di società aventi un azionista
di riferimento (azionista principale la cui quota è inferiore al 40% ma superiore al 25%) e
di società prive di un azionista di riferimento mostra una variazione più contenuta, di
massimo due punti percentuali, nei quattro anni.
TIPOLOGIA DI CONTROLLO MVE (mgl €) % SUL TOTALE MVE (mgl €) % SUL
TOTALE Anno 2004 Anno 2007
Controllo esercitato da un singolo azionista: quota >50%
102637350 29.64% 130122660 24.67%
Controllo esercitato da un singolo azionista: quota >40% e <50%
18475280 5.34% 37093740 7.03%
Controllo esercitato da un singolo azionista: quota >25% e <40%
73183150 21.14% 70117110 13.30%
Nessun azionista di riferimento 151938420 43.88% 290033280 55.00% Totale 346234200 100% 526863.3 100%
Tabella 4.5: La capitalizzazione di borsa delle società quotate
Se il grado di concentrazione ha subito una lieve riduzione nel corso degli anni considerati,
la distribuzione del peso delle quattro categorie di controllo proprietario sulla
capitalizzazione di borsa ha mantenuto lo stesso ranking tra l’inizio e la fine del periodo,
101
ma con variazioni percentuali di non lieve entità, come mostrato nella Tabella 4.5. Nel
2004 sono le società senza alcun azionista di riferimento ad avere il maggiore peso (la
percentuale relativa è 43.88%), seguite dalle società con controllo assoluto (29.64%). La
stessa situazione si presenta nel 2007, ma la categoria di società senza azionista di
riferimento ha ulteriormente incrementato il proprio peso, raggiungendo il 55% della
capitalizzazione totale di mercato, mentre la categoria di società con azionista di controllo
assoluto si attesta al 24.67% della capitalizzazione totale di borsa (con una riduzione in tre
anni di cinque punti percentuali). Al terzo posto, ma con un trend nettamente decrescente
(dal 21.14% al 13.30% del totale della capitalizzazione di borsa), vi è la categoria di
società con un azionista di riferimento, seguita dalla categoria con un azionista di
maggioranza relativa.
Analizzando esclusivamente le società che operano nel settore finanziario73 (Tabella 4.6) è
confermato il ranking in termini di concentrazione della proprietà, pur con un trend
crescente: nel 2004 il 43.90% delle società presenta un azionista che detiene il controllo
assoluto, a distanza di tre anni tale percentuale aumenta di poco meno di cinque punti
percentuali, attestandosi a 48.21%; di contro, la percentuale di casi in cui non vi è alcun
azionista di riferimento si riduce (di circa tre punti percentuali).
SOCIETA’ FINANZIARIE NUMERO IMPRESE
NUMERO IMPRESE
NUMERO IMPRESE
NUMERO IMPRESE
Controllo esercitato da un singolo azionista: quota >50%
18 43.90% 27 48.21%
Controllo esercitato da un singolo azionista: quota >40% e <50%
4 9.76% 4 7.14%
Controllo esercitato da un singolo azionista: quota >25% e <40%
6 14.63% 9 16.07%
Nessun azionista di riferimento 13 31.71% 16 28.57% Totale 41 100% 56 100%
Tabella 4.6: Il controllo delle società quotate finanziarie
E’ interessante indagare anche la natura degli azionisti che detengono quote rilevanti nelle
società quotate del campione analizzato. Nella Tabella 4.7 si analizza la tipologia del
73 Le società che svolgono “attività finanziarie”, così come indica la classificazione Ateco 2002, sono il 21.92% delle società del campione del 2004, il 22.38% del totale delle società del campione 2005, il 20.86% del 2006 e il 21.45% del 2007.
102
primo azionista rilevante di ogni società (indipendentemente dall’entità della quota
azionaria da questi detenuta).
Nel corso degli anni considerati nell’analisi non si riscontrano forti variazioni percentuali
nella tipologia del primo azionista, fatta eccezione per la categoria “istituzione finanziaria”
il cui peso raddoppia, passando in quattro anni dal 8.56% al 17.62%. I soggetti individuali
e le società private si confermano per tutto il periodo le due principali tipologie di azionista
rilevante, i primi con una percentuale che oscilla intorno al 40% (solo nell’anno 2005 la
percentuale scende al 37.81%), le seconde con un peso pari al 40% nei primi due anni di
rilevazione, che si riduce nei due successivi attestandosi intorno al 35%.
TIPOLOGIA DI AZIONISTA NUMERO IMPRESE
(% sul totale)
NUMERO IMPRESE
(% sul totale)
NUMERO IMPRESE
(% sul totale)
NUMERO IMPRESE
(% sul totale) ANNO 2004 2005 2006 2007
Nessun azionista rilevante 1.60% 1.49% 3.15% 0.38% Ente autonomo 0.53% 0.50% 0.39% 0.38% Confindustria 0.00% 0.00% 0.00% 0.38% Fondazione 2.14% 1.49% 1.57% 1.15%
Istituzione finanziaria 8.56% 12.94% 15.75% 17.62% Soggetto privato 41.18% 37.81% 40.16% 40.23%
Pubblica Amministrazione 5.88% 5.47% 3.94% 4.21% Società privata
(ss, sa, sapa,srl, spa) 40.11% 40.30% 35.04% 35.63%
Totale 100% 100% 100% 100%
Tabella 4.7. La tipologia del primo azionista rilevante
Si è inoltre considerato il sottocampione di società finanziarie.
TIPOLOGIA DI AZIONISTA NUMERO IMPRESE
(% sul totale)
NUMERO IMPRESE
(% sul totale)
NUMERO IMPRESE
(% sul totale)
NUMERO IMPRESE
(% sul totale) ANNO 2004 2005 2006 2007
Nessun azionista rilevante 7.32% 4.44% 7.55% 1,79% Ente autonomo 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Confindustria 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Fondazione 9.76% 6.67% 7.55% 5.36%
Istituzione finanziaria 21.95% 35.56% 39.62% 39.29% Soggetto privato 26.83% 26.67% 22.64% 32.14%
Pubblica Amministrazione 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Società privata
(ss, sa, sapa,srl, spa) 34.15% 26.67% 22.64% 21.43%
Totale 100% 100% 100% 100%
Tabella 4.8. La tipologia del primo azionista rilevante nelle società finanziarie
103
Come mostrato in Tabella 4.8, per il sottocampione di società finanziarie il tipo di azionista
più diffuso nel 2004 è la società privata, mentre nel 2007 tale tipologia si posiziona al terzo
posto, dopo “soggetti privati” e “istituzioni finanziarie”. Quest’ultima categoria, in
particolare, aumenta considerevolmente il proprio peso anche in questo sottocampione,
passando dal 21.95% del 2004 al 39.29% del 2007.
Un’ultima considerazione riguarda le cosiddette imprese familiari i cui azionisti di
controllo (le famiglie appunto) hanno tipicamente un orizzonte temporale di lunghissimo
periodo, anche intergenerazionale e detengono un portafoglio di attività poco diversificato.
Inoltre i membri delle famiglie che investono una parte rilevante della proprio ricchezza
nell’impresa tendono ad esercitare un ruolo attivo nella gestione aziendale assumendo
spesso incarichi esecutivi, manageriali o direttivi. Il fenomeno delle società a controllo
familiare interessa il 36.89% delle società quotate nel 2004, il 31.84% del 2005, il 32.67%
nel 2006 e il 32.95% del 2007.
La Tabella 4.9 mostra i settori nei quali operano le imprese soggette a proprietà familiare:
il settore nel quale è più elevata la presenza di imprese a proprietà familiare è quello
manifatturiero con una percentuale del 50% circa in tutti gli anni, seguito a distanza dai
settori immobiliare e di intermediazione finanziaria.
SETTORE (Classificazione Ateco)
IMPRESE (ANNO 2004)
IMPRESE (ANNO 2005)
IMPRESE (ANNO 2006)
IMPRESE (ANNO 2007)
Agricoltura 1.45% 1.56% 1.20% 1.16%
Estrazione di minerali 1.45% 1.56% 1.20% 0.00%
Attività manifatturiere 52.17% 50.00% 51.81% 53.49%
Costruzioni 4.35% 4.69% 4.82% 6.98%
Commercio 5.80% 3.13% 3.61% 1.16%
Alberghi e ristoranti 1.45% 1.56% 1.20% 1.16%
Trasporti 2.90% 4.69% 3.61% 3.49%
Intermediazione finanziaria
11.59% 12.50% 10.84% 16.28%
Attivita' immobiliari 15.94% 15.63% 16.87% 12.79%
Altri servizi pubblici, sociali e personali
2.90% 4.69% 4.82% 3.49%
Totale 100% 100% 100% 100%
Tabella 4.9. Le società a controllo familiare e i settori industriali d'appartenenza
104
4.3.2 Variabili di corporate governance
In termini di modelli di governance, la quasi totalità delle società continua ad adottare la
tipologia tradizionale, anche se a partire dal gennaio 2004 l’ordinamento italiano prevede
la possibilità di adottare due nuovi modelli di corporate governance: il duale (di
derivazione tedesca) e il monistico (della tradizione angloamericana).
Nell’esercizio 2005 una sola impresa delle 201 considerate nel campione ha adottato il
sistema dualistico; negli esercizi successivi (rispettivamente il 2006 e 2007), il livello di
adozione dei due nuovi sistemi di corporate governance, è rimasto alquanto limitato, al di
sotto del 4%, come mostrato nella Tabella 4.10.
ANNO 2004 2005 2006 2007
SISTEMA Numero imprese
Numero imprese
Valore percentuale
Numero imprese
Valore percentuale
Numero imprese
Valore percentuale
TRADIZIONALE 187 200 99.50% 244 96.06% 251 96.17%
MONISTICO 0 0 0% 5 1.97% 4 1.53%
DUALISTICO 0 1 0.50% 5 1.97% 6 2.30%
Totale 187 201 100% 254 100% 261 100%
Tabella 4.10. Sistemi di corporate governance adottati dalle società del campione per gli anni 2004-2007
Il caso Mediobanca74, che a distanza di un anno e mezzo dall’applicazione del sistema
duale ha deciso di ritornare al sistema tradizionale, sembra confermare una certa diffidenza
nei confronti dei due nuovi sistemi di corporate governance.
Sulla base delle dichiarazioni delle società nelle Relazioni sulla corporate governance,
l’adesione al Codice di autodisciplina sembra essere invece un denominatore comune. Per
gli esercizi 2004 e 2005, la percentuale di adesione al Codice di Autodisciplina75 è
prossima al 100%. Per quanto riguarda l’adesione al Codice di Autodisciplina rivisitato76,
74 In Appendice 4.2 al presente capitolo è approfondito il caso Mediobanca. 75 Codice di Autodisciplina, versione del 2002. 76 Codice di Autodisciplina, versione rivista del 2006.
105
il 6% delle imprese ha dichiarato (nelle Relazioni relative all’esercizio 2006) di non avervi
aderito, in alcuni casi per esplicita decisione del CdA, in altri casi perché il CdA non aveva
ancora avuto modo di pronunciarsi al riguardo. Dalle Relazioni relative all’esercizio 2007,
solo 2 imprese sulle 261 di cui si dispongono dati dichiarano di non aderire al Codice di
autodisciplina nella versione del 2006.
Per quanto riguarda la composizione del Consiglio di Amministrazione, l’organo chiave
del processo di corporate governance, la dimensione media è di poco superiore ai 10
amministratori nei primi 2 anni considerati, per ridursi in media a poco meno di 10
amministratori negli anni 2006 e 2007; il valore mediano è costante e pari a 9 (si veda in
proposito la Tabella 4.11). Nel complesso le analisi mostrano che la variabilità temporale
della dimensione dei CdA è assai contenuta.
DIMENSIONE DEL CDA VARIABILE VALORI
MEDI ( 2004)
VALORI MEDI ( 2005)
VALORI MEDI ( 2006)
VALORI MEDI ( 2007)
DIMENSIONE DEL CDA (n membri)
10.31 10.51 9.94 9.99
Tabella 4.11. La dimensione media dei Consigli di Amministrazione delle società del campione
Isolando dai campioni sopra considerati le società classificate come “istituzioni
finanziarie” (banche e assicurazioni), si rileva un valore nettamente superiore per la
dimensione media dei Consigli di Amministrazione (pur con un trend decrescente): 13.61
amministratori in media nel 2004, 13.57 nel 2005, nel 2006 la media è pari a 12.79 e nel
2007 è 12.32.
La Tabella 4.12 confronta la composizione media dei Consigli di Amministrazione delle
società contenute nel campione. La presenza media di amministratori esecutivi nel board
oscilla dal 30% al 34% (in valore assoluto, su dieci amministratori in media almeno tre
sono esecutivi). Per gli amministratori non esecutivi l’andamento nei quattro anni
considerati è complementare.
106
COMPOSIZIONE DEL CDA VARIABILE VALORI
MEDI ( 2004)
VALORI MEDI ( 2005)
VALORI MEDI ( 2006)
VALORI MEDI ( 2007)
CONSIGLIERI ESECUTIVI
30.95% 30.79% 34.34% 32.78%
CONSIGLIERI NON ESECUTIVI
69.05% 69.21% 65.66% 67.22%
CONSIGLIERI INDIPENDENTI
40.77% 39.88% 39.75% 37.29%
CONSIGLIERE DONNE 5.25% 5.32% 4.83% 5.52%
Tabella 4.12. La composizione media dei Consigli di Amministrazione delle società del campione
Contrariamente a quanto raccomandato dai codici e regolamenti di corporate governance,
il numero di amministratori indipendenti sembra mostrare un andamento decrescente. In
quattro anni, il numero medio di consiglieri indipendenti (in valore assoluto) si è infatti
leggermente ridotto, passando da 4.38 a 3.81.
ANNO NUMERO IMPRESE
VALORE MEDIO
VALORE MEDIANO
2004 187 4.36 3.00
2005 201 4.45 3.00
2006 254 3.97 3.00
2007 261 3.81 3.00
Tabella 4.13. Andamento della presenza di amministratori indipendenti nei Consigli di Amministrazione
Un’ulteriore suddivisione del campione panel sulla base del segmento di quotazione in
borsa delle società ha mostrato la seguente dimensione e composizione media dei CdA. Le
società indicate con “small capitalization” sono le società quotate sul Mercato Expandi; le
società definite “medium capitalization” sono quotate sul Segmento Star, Standard 1 o
Standard 2; infine le “large capitalization” sono quotate sul Segmento Blue Chip (il
32.16% del campione panel è rappresentato da società “large cap”, il 66.08% da società
“medium cap”, un numero assai ridotto di società del campione è “small cap”-
quest’ultima percentuale è pari a 1.76%. I dati relativi a tale categoria sono quindi poco
rappresentativi).
107
VARIABILE SMALL CAP
MEDIUM CAP
LARGE CAP
DIMENSIONE MEDIA 6.4 9.16 13.38 CONSIGLIERI ESECUTIVI
69.52% 34.42% 21.95%
CONSIGLIERI NON ESECUTIVI
30.48% 65.58% 78.05%
CONSIGLIERI INDIPENDENTI
6.66% 37.17% 45.11%
CONSIGLIERE DONNE 5.25% 5.32% 4.83%
Tabella 4.14. La dimensione e composizione media dei CdA delle società suddivise in funzione della capitalizzazione di borsa
La Tabella 4.14 mostra che la dimensione media dei Consigli di Amministrazione delle
società quotate cresce al crescere della capitalizzazione di borsa e nel contempo la
percentuale di amministratori esecutivi si riduce a favore di una maggiore componente
indipendente. Anche in questo caso, un confronto tra i quattro anni considerati (2004-
2007), relativamente alla dimensione e composizione media dei CdA delle società
suddivise per capitalizzazione di borsa, ha mostrato che la variabilità temporale all’interno
dei tre sottocampioni considerati è molto bassa.
Nel campione complessivo la presenza di amministratori donne che siedono nei CdA si
attesta intorno al 4%, presentando un trend decrescente. E’ interessante notare che in tutti
gli anni considerati le società che hanno nei loro consigli di Amministrazione consiglieri
donne sono spesso società a controllo familiare: nel 2007 vi sono amministratori donne nei
CdA di 107 su 261 società: di queste 107 imprese, la percentuale di società che presentano
controllo familiare è pari a 45.79%, mentre solo il 24.03% delle restanti 154 società è a
controllo familiare (nei tre anni precedenti si osservano percentuali simili).
Nella sezione dedicata ai principi generali, il Codice di autodisciplina (versione del marzo
2006) indica la necessità che la nomina degli amministratori avvenga secondo un
procedimento trasparente. Come criterio applicativo è prevista la presentazione di liste di
candidati alla carica di amministratore77 (utilizzo del cosiddetto meccanismo del voto di
77 Il criterio applicativo 6.C.1 recita: “Le liste di candidati alla carica di amministratore, accompagnate da un’esauriente informativa riguardante le caratteristiche personali e professionali dei candidati, con
108
lista). E’ interessante verificare la presenza nel CdA di almeno un amministratore
proveniente dalla minoranza azionaria, fatto che rappresenta un indicatore di adesione
sostanziale al Codice di Autodisciplina in merito all’applicazione del meccanismo del voto
di lista. Dalla lettura delle Relazioni sulla corporate governance per le società dei
campioni considerati nei quattro anni si sono ottenuti i dati presentati nella Tabella 4.15.
Essa evidenzia che negli anni 2004 e 2005 solo un quinto delle imprese considerate hanno
dichiarato di adottare il meccanismo del voto di lista.
ANNO
SOCIETÀ CHE DICHIARANO DI ADOTTARE IL
MECCANISMO DEL VOTO DI LISTA
SOCIETÀ CHE AFFERMANO DI AVERE ALMENO UN
CONSIGLIERE ELETTO TRA LE LISTE DI MINORANZA
2004 21.93% 11.93%
2005 21.89% 16.42%
2006 57.87% 24.41%
2007 71.26% 33.33%
Tabella 4.15. L'adozione del meccanismo del voto di lista e la presenza di almeno un consigliere eletto
tra le liste di minoranza nelle società del campione (valori percentuali)
Tale percentuale è notevolmente aumentata nel 2006 a seguito dell’introduzione del
Codice di autodisciplina, per raggiungere il 71.26% nel 2007. Anche la presenza di
almeno un consigliere eletto tra le liste di minoranza nel Consiglio di Amministrazione
delle società considerate è crescente. Le basse percentuali rilevate però scontano il fatto
che il rinnovo del CdA avviene generalmente ogni tre anni. Pertanto solamente nei
prossimi esercizi si potrà valutare se tale criterio applicativo è stato effettivamente recepito
dalle società.
Infine, il numero di riunioni tenute in media dai Consigli di Amministrazione, come
evidenziato nella Tabella 4.16, è cresciuto nel corso dei quattro anni considerati.
indicazione dell’eventuale idoneità dei medesimi a qualificarsi come indipendenti ai sensi dell’art. 3 (dello stsso Codice di autodisciplina), sono depositate presso la sede sociale almeno quindici giorni prima della data prevista per l’assemblea. Le liste, corredate dalle informazioni sulle caratteristiche dei candidati, sono tempestivamente pubblicate attraverso il sito internet dell’emittente.
109
NUMERO RIUNIONI CDA ANNO MEDIA 2004 9.16 2005 9.25 2006 9.58 2007 10.00
Tabella 4.16. Il numero di riunioni dei Consigli di amministrazione nei quattro anni (valori medi)
Ciò può essere motivato dal fatto che le difficoltà e le problematiche che i Consigli di
Amministrazione delle imprese hanno dovuto fronteggiare sono aumentate nel corso del
tempo, anche grazie agli accresciuti obblighi determinati dai più stringenti codici e
regolamenti introdotti negli ultimi anni.
110
APPENDICE 4.1
Statistiche descrittive relative alle variabili utilizzate nelle analisi Attivo
Anno Media Mediana 2004 10458311.148 544707 2005 15285460.344 749939 2006 16135232.570 767002 2007 20157884.100 798268
Fatturato
Anno Media Mediana 2004 3477586.708 353070.500 2005 2936405.851 354271.500 2006 3212554.026 388435.500 2007 3575059.104 405222.000
Mve
Anno Media Mediana 2004 2012897.436 281625 2005 2353029.551 370490 2006 2707560.258 437170 2007 2815377.949 421380
MTB
Anno Media Mediana 2004 2.101 1.540 2005 2.127 1.740 2006 2.227 1.88 2007 2.219 1.725
FCF
Anno Media Mediana 2004 306771.2074 21871 2005 565546.0577 31865 2006 687794.0701 31062 2007 676534.1146 26468
111
ROA
Anno Media Mediana 2004 1.701273885 1.83 2005 4.031210191 3.31 2006 2.618343949 2.16 2007 3.378874172 3.25
Ebit
Anno Media Mediana 2004 339294.8831 27757 2005 470327.8839 30895 2006 585693.4615 33588 2007 681597.2273 44528
Leverage Anno Media Mediana 2004 28.23366667 30.94 2005 26.73406667 27.37 2006 26.22789809 27.29 2007 28.0174026 28.98
Volatilità Anno Media Mediana 2004 0.550285009 0.254526819 2005 0.773 0.378189467 2006 0.740599693 0.373506683 2007 1.317943051 0.524631906
112
APPENDICE 4.2
Il caso Mediobanca
Fondata subito dopo la II Guerra Mondiale nel 1946 da Banca Commerciale Italiana,
Credito Italiano e Banco di Roma, in oltre sessant’anni Mediobanca ha sempre svolto un
ruolo di primo piano nella vita economica e industriale italiana. Nel periodo post guerra ha
contribuito alla ricostruzione dell’industria italiana tramite il rifinanziamento a medio-
lungo termine e la consulenza aziendale; negli anni ’50 ha supportato la fase di
internazionalizzazione dei principali gruppi italiani, nel 1956 è stato il primo gruppo
bancario a quotarsi sulla Borsa di Milano. Negli anni ’70-’90 ha assunto un ruolo chiave
nella ristrutturazione dell’industria italiana, divenendo banca di riferimento dei maggiori
gruppi del Paese e durante il periodo delle privatizzazioni (anni ’90 - inizi degli anni 2000)
ha confermato il proprio ruolo chiave assistendo i maggiori gruppi bancari e industriali.
Dal 2003, con l’ingresso di un nuovo management l’istituto ha rifocalizzato la propria
strategia sulle attività bancarie, avviando l’attività di private banking, creando il terzo
operatore domestico nel credito al consumo e avviando infine l’attività bancaria di retail.
La politica di internazionalizzazione perseguita negli ultimi anni ha comportato una
crescente apertura sui mercati internazionali [Parigi e Madrid (2004), New York (2006),
Francoforte (2007), Londra (2008)].
Attualmente Mediobanca è l’unica banca d’affari italiana, ma anche una delle poche realtà
del settore che non ha dovuto mettere in discussione la propria natura nell’attuale contesto
di profonda crisi finanziaria mondiale che ha colpito grandi istituti di Wall Street
(fallimento di Lehman Brothers, salvataggio di Merrill Lynch, trasformazione di Goldman
Sachs e Morgan Stanley dallo status di banche di investimento a banche commerciali)78.
Nel giugno del 2007 Mediobanca ha adottato un nuovo modello di corporate governance
transitando dal modello tradizionale (il sistema di corporate governance più diffuso in
Italia) al modello duale, ispirato a un principio di netta separazione tra l’attività di
78 Nell’esercizio chiuso il 30 giugno 2008 Mediobanca ha infatti confermato gli utili record per un miliardo di euro dell’anno prima.
113
controllo e di indirizzo, affidata al Consiglio di Sorveglianza, e quella di gestione e
Amministrazione del Gruppo, affidata al Consiglio di Gestione. Tale transizione è stata
motivata con l’osservazione che la separazione dei ruoli e delle responsabilità degli organi
sociali avrebbe consentito un funzionamento del governo societario più consono all’assetto
dell’azionariato di Mediobanca e alle sue esigenze operative. Il nuovo modello di
corporate governance avrebbe inoltre assecondato la crescente presenza dell’istituto sui
mercati internazionali.
L’Assemblea degli azionisti79 del 27 giugno 2007, ha nominato il primo Consiglio di
Sorveglianza di Mediobanca per gli esercizi 2008 - 2010, nominandone Presidente Cesare
Geronzi e Vice Presidente Dieter Rampl. L’elezione dell’organo di controllo di 21 membri
è avvenuta, ai sensi dello Statuto, sulla base delle liste di candidati in possesso dei requisiti
di professionalità, onorabilità e indipendenza richiesti dalla legge e dallo Statuto,
presentate dai soci titolari di almeno l’1% del capitale. Oltre alle competenze ex lege
(nomina e revoca del Consiglio di Gestione, verifica dell’adeguatezza del sistema dei
controlli), al Consiglio di Sorveglianza spetta l’approvazione delle proposte del Consiglio
di Gestione in merito ai piani industriali e finanziari, al progetto di bilancio, alle modifiche
statutarie e alle operazioni sul capitale; alla movimentazione delle partecipazioni
strategiche per quote superiori al 15% del possesso nonché alle operazioni che comportino
variazioni del perimetro dell’istituto bancario di importo unitario superiore a € 750 milioni.
Il Consiglio di Gestione (di 6 membri) è stato nominato dal Consiglio di Sorveglianza del 2
Luglio 2007. Al Consiglio di Gestione “spetta la gestione della banca e del gruppo: a tal
fine compie tutte le operazioni, di ordinaria come di straordinaria amministrazione,
necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Sono ad esso riservate: la politica di
gestione dei rischi e dei controlli interni; la predisposizione delle norme per
l’organizzazione dell’attività della banca e del gruppo; le proposte al Consiglio di
Sorveglianza in ordine di progetto di bilancio, ai piani industriali e finanziari, alle
modifiche statutarie e agli aumenti di capitale da sottoporre all’assemblea; le proposte al
Consiglio di Sorveglianza in ordine alla movimentazione delle partecipazioni strategiche
per quote superiori al 15% del possesso ed alle operazioni che comportino variazioni del
79 L’Assemblea degli azionisti è competente a deliberare, tra l’altro, in merito: alla nomina e alla revoca del Consiglio di Sorveglianza; alla responsabilità dei componenti del Consiglio di Sorveglianza; alla distribuzione degli utili; alla nomina e alla revoca della società incaricata della revisione contabile; alle operazioni di competenza dell’assemblea straordinaria ai sensi di legge
114
perimetro del gruppo bancario di importo unitario superiore a € 750 milioni; l’esercizio
delle deleghe ex art. 2443 per aumenti di capitale previa approvazione del Consiglio di
Sorveglianza”.
Il Consiglio di Sorveglianza ha inoltre costituito al proprio interno i quattro Comitati
tecnici previsti dallo Statuto: “il Comitato per il controllo interno che svolge funzioni
propositive, consultive, istruttorie in tema di controlli interni, gestione dei rischi e sistema
informativo e contabile; il Comitato nomine che delibera sulle proposte formulate dal
Consiglio di Gestione in merito alle nomine delle cariche sociali delle partecipazioni
strategiche; il Comitato remunerazioni che ha funzioni propositive e consultive in merito ai
compensi del Consiglio di Gestione e dei suoi componenti muniti di particolari cariche e il
Comitato per la governance che, con ogni opportuno coordinamento con gli altri Comitati
istituiti, verifica periodicamente, formulando al Consiglio di Sorveglianza ogni relativa
proposta, l’applicazione del Regolamento del Consiglio di Sorveglianza, lo stato e la
funzionalità dei rapporti tra gli organi sociali, il rispetto del principio della ripartizione dei
ruoli ed il bilanciamento dei rispettivi poteri in conformità delle disposizioni normative,
regolamentari, statutarie, organizzative vigenti”.
Dopo una parentesi di struttura di corporate governance dualistica durata poco più di un
anno sono emerse alcune criticità relative al funzionamento del sistema duale e la
conseguente opportunità di rivedere il sistema di governance. Il dialogo e il raccordo tra
organi di indirizzo strategico e organo di gestione corrente non si sono dimostrati fluidi e
agili; sarebbero state necessarie procedure informative e operative complesse, con la
possibilità di rischi di burocratizzazione e di lentezza. In tale quadro, è maturata la
proposta per l’adozione del sistema tradizionale di governance attraverso un testo di statuto
che apporta tratti innovativi al sistema di governo di Mediobanca ante duale e alla prassi
più diffusa. Il ripristino dell’organizzazione precedente prevede infatti l’inserimento di
alcune novità che recuperano la seppur limitata esperienza dualistica confermandone il
principio ispiratore, ovvero quello di affidare ai manager responsabilità e visibilità per la
gestione corrente, distinguendola dall'attività di direzione strategica e di indirizzo. In
particolare, è prevista la partecipazione al Consiglio di Amministrazione dei cinque top
manager che facevano parte del Consiglio di gestione. Questi consiglieri costituiscono
anche la maggioranza del Comitato esecutivo, presieduto dal presidente del CdA e
115
composto da nove membri, i quali, per espressa disposizione statutaria, “non possono
svolgere incarichi di Amministrazione, direzione, controllo o di altra natura in altri gruppi
bancari o assicurativi, salvo diversa determinazione del Consiglio di Amministrazione”. Il
Comitato esecutivo si presenta come l’organismo centrale dell’operatività della banca che
affianca Amministratore delegato e Direttore generale, membri di diritto del comitato. In
caso di urgenza, il Comitato esecutivo, che di regola si riunisce una volta al mese su
convocazione del presidente, può assumere di concerto con il presidente deliberazioni in
merito a “qualsiasi affare o operazione”, a patto di riferirne però alla prima riunione
successiva del Consiglio di Amministrazione. A sua volta, il CdA, composto da 15 a 23
consiglieri (di cui cinque devono essere dirigenti del gruppo da almeno tre anni, tre
possedere i requisiti di indipendenza e almeno uno riservato alle minoranze), si riunisce di
regola cinque volte all’anno e approva i piani industriali e finanziari, il bilancio, il budget, i
regolamenti interni, le proposte da portare in assemblea, in merito alla movimentazione di
quote superiori al 15% della quota in possesso a inizio esercizio delle partecipazioni
strategiche in Generali, Rcs, Telco-Telecom Italia e all’assunzione o cessione di
partecipazioni che comportino la variazione del capitale sociale del gruppo bancario di
importo superiore a 500 mln € o comunque di partecipazioni superiori a 750 mln €. E’
prevista inoltre la costituzione di tre comitati in seno al CdA: Comitato per il controllo
interno, Comitato per le remunerazioni e Comitato per le proposte di nomina.
L’Assemblea dei Soci convocata per il 28 ottobre 2008 ha approvato il nuovo statuto
basato sul modello tradizionale.
116
CAPITOLO 5
TEORIA
ECONOMETRICA
117
5.1 Le analisi di regressione con dati cross-section
Un primo insieme di analisi econometriche effettuate nella tesi è di tipo cross section e
considera le società quotate italiane per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007.
Per eseguire le analisi di regressione si è utilizzato il modello di regressione multipla
,...22110 uxxxy kk +++++= ββββ (5. 1)
che consente di stimare gli effetti parziali di ciascuna variabile indipendente sulla variabile
dipendente di interesse, tenendo fissi tutti gli altri fattori (analisi ceteris paribus).
In particolare per stimare i coefficienti delle variabili indipendenti si è utilizzato il metodo
OLS (Ordinary Least Squares) così definito perché gli stimatori OLS minimizzano la
somma dei residui (iu ) al quadrato, dove
iu = kk0i xxxy ββββ ˆ...ˆˆˆ2211 ++++− (5. 2)
ovvero: min 2110
1
)ˆ...ˆˆ( ikki
n
ii xxy βββ −−−−∑
=
, j = 0, 1, … k (5. 3)
Dalle condizioni del primo ordine del problema (5.3) si ottengono k+1 equazioni lineari in
k+1 0β , 1β , … kβ :
0)ˆ...ˆˆ( 1101
=−−−−∑=
ikki
n
ii xxy βββ (5. 4)
0)ˆ...ˆˆ( 1101
1 =−−−−∑=
ikki
n
iii xxyx βββ
0)ˆ...ˆˆ( 1101
2 =−−−−∑=
ikki
n
iii xxyx βββ
0)ˆ...ˆˆ( 1101
=−−−−∑=
ikki
n
iiik xxyx βββ
Il sistema di equazioni (5.4) definisce le condizioni OLS del primo ordine.
5.1.1 Le ipotesi alla base del modello OLS
Il modello OLS si basa su un’insieme di ipotesi discusse di seguito, sotto le quali gli
stimatori OLS godono delle desiderabili proprietà di:
118
Ipotesi 1 - linearità nei parametri:
y = β0 + β1 x1 + β2 x2 + … + βk xk + u,
dove le y e le x sono le variabili casuali nella popolazione, β0 è l’intercetta, β1, β2 ,…, βk
sono parametri non noti e u è il termine di errore.
Ipotesi 2 - campionamento casuale: si ha un campione casuale di n osservazioni, {(xi1, xi2 ,
…xik, yi ): i = 1,2, …, n}
Ipotesi 3 - media condizionata pari a zero: E (u | x1, x2 , …xk) = 0, ovvero non vi è
correlazione tra variabili indipendenti e termine di errore.
Ipotesi 4 - variabili indipendenti non costanti nel campione: nel campione (e quindi nella
popolazione) nessuna delle variabili indipendenti è costante
2
1
)( xxn
ii∑
=
− > 0
e non vi sono relazioni lineari esatte tra le variabili indipendenti: se non esistesse
variabilità nel campione, gli stimatori OLS sarebbero indeterminati.
Queste quattro ipotesi consentono di stabilire la non distorsione degli stimatori OLS:
E ( jβ ) = βj, j = 0, 1, … k (5. 5)
E’ importante osservare che l’inclusione nel modello di una variabile irrilevante non ha
alcun effetto sulla non distorsione dell’intercetta e delle stime degli altri parametri.
(L’omissione di un regressore rilevante comporta invece la distorsione degli OLS).
Introducendo l’ulteriore ipotesi di omoschedasticità:
Ipotesi 5 Var (u | x1, x2 , …xk) = σ2
ovvero che la varianza80 dell’errore è costante e non varia condizionando per qualsiasi
variabili esplicativa, è possibile dimostrare il Teorema di Gauss-Markov. Tale teorema
80 Nel caso in cui Var (u | x1, x2 , …xk) non è costante, ma dipende dalle variabili esplicative x, si dice che il termine di errore è caratterizzato da eteroschedasticità.
119
afferma che gli stimatori OLS sono i migliori stimatori lineari non distorti (stimatori
BLUE), ovvero gli stimatori di minima varianza.
5.1.2 La goodness of fit
L’obiettivo di un’analisi di regressione è tipicamente quello di spiegare la variazione del
fenomeno indagato. Per comprendere la bontà dell’analisi di regressione si usa la nozione
di goodness of fit, definita attraverso il coefficiente R2. La variazione totale, espressa dalla somma totale dei quadrati (total sum of squares) è
definita come:
SST = 2
1
)(∑=
−n
ii yy (5. 6)
La variazione spiegata o somma spiegata dei quadrati (explained sum of square) è:
SSE = 2
1
)ˆ(∑=
−n
ii yy (5. 7)
e infine la variazione non spiegata o somma al quadrato dei residui (residual sum of
squares) è:
SST = 2
1
)ˆ(∑=
−n
ii yy = ∑
=
n
iiu
1
2ˆ (5. 8)
L’ R2 della regressione, ovvero la proporzione spiegata della variazione campionaria in y, è
definito come:
R2 = SSE / SST = 1 - SSR / SST (5. 9)
Ogni nuovo regressore aggiunto nell’analisi di regressione ha un impatto positivo su R2
perché riduce l’impatto di SSR su SST.
Per misurare la bontà della regressione effettuata è spesso opportuno utilizzare un
indicatore più sofisticato che corregga introducendo una sorta di penalizzazione rispetto
all’aggiunta di nuovi regressori nel modello la cui utilità è dubbia. Tale indicatore è
l’ 2R ( 2R aggiustato). Riscrivendo 2R si ha che:
( ) ( )nSSTnSSRR //12 −= (5. 10)
L’ 2R è invece pari a:
120
( )[ ] ( )[ ] ( )[ ]1/11/1/1 22 −−=−−−−= nSSTnSSTknSSRR σ (5. 11)
5.1.3 L’inferenza statistica
Per effettuare inferenza statistica è necessario avere informazioni sull’intera distribuzione
campionaria di jβ , non è sufficiente conoscere solo i due momenti di jβ (valore atteso e
varianza). Condizionando sui valori delle variabili indipendenti nel campione, le
distribuzioni campionarie degli stimatori OLS dipendono dalla sottostante distribuzione
degli errori. In particolare si assume che l’errore u sia normalmente distribuito nella
popolazione.
Ipotesi 6 – normalità: l’errore u nella popolazione è indipendente dalle variabili esplicative
1x , 2x , …, kx ed è distribuito normalmente con media 0 e varianza pari a σ2, i.e.
U ~ Normal (0, σ2) (5. 12)
L’insieme delle ipotesi 1-6 definiscono il cosidetto “modello lineare classico” (CLM). È
possibile dimostrare che sotto queste ipotesi, gli stimatori OLS godono di una proprietà di
efficienza più forte rispetto a quella del Teorema di Gauss-Markov: gli OLS sono gli
stimatori non distorti di minima varianza; non si restringe quindi più l’attenzione agli
stimatori lineari. Sotto le ipotesi 1 – 6 e condizionatamente ai valori campionari delle
variabili indipendenti si ha che gli stimatori OLS sono distribuiti normalmente:
jβ ~ N [ )ˆ(, jj Var ββ ] (5. 13)
Nel caso in cui l’ipotesi 6 fallisce, gli errori non sono distribuiti normalmente e così gli
stimatori.
Dalla (5.13) discende: ( )j
jj
sd βββ −ˆ
~ )1,0(N (5. 14)
quando infatti si standardizza una variabile casuale normale sottraendo dalla variabile la
sua media e dividendo tale differenza per la deviazione standard si ottiene una variabile
casuale normale standard.
121
Riprendendo il modello (5.1) y= β0 + β1 x1 + β2 x2 + β3 x3 + … + βk xk + u, si assume
che esso soddisfi le ipotesi del “modello lineare classico”. In particolare i jβ sono i
coefficienti dei caratteri non noti nella popolazione, il cui valore non è determinabile con
certezza. Tuttavia si può verificare se le variabili jx sono variabili esplicative rilevanti,
testando se 0≠jβ ; si possono inoltre fare ipotesi circa il valore di jβ e usare l’inferenza
statistica per testare tali ipotesi.
Per costruire i test di ipotesi è necessario introdurre la distribuzione t per gli stimatori
standardizzati. Sotto le ipotesi 1 – 6:
( )j
jj
seβββ
ˆ
)ˆ( −~ 1−−knt (5. 15)
dove k+1 è il numero di parametri non noti nel modello della popolazione (5.1). La
distribuzione t discende dal fatto che non è possibile calcolare σ nella )ˆ( jsd β , è tuttavia
possibile calcolare σ (si veda in nota 81). La (5.15) differisce dalla (5.14) proprio perché si
è sostituito )ˆ( jsd β con la variabile casuale σ . Si possono quindi utilizzare le statistiche t
per fare test di ipotesi su un singolo parametro jβ . Tipicamente l’ipotesi nulla è:
0:0 =jH β ; in questo caso la statistica t è definita come:
( )j
j
set
j ββ
β ˆ
ˆˆ ≡ (5. 16)
Nel testare l’ipotesi è necessario scegliere un livello di significatività82 (1%,5% o 10%:)
che insieme ai gradi di libertà (dati dalla differenza 1−− kn ) e all’ipotesi alternativa (che
può essere “one sided”: 0:1 >jH β o 0:1 <jH β , oppure “two sided” e quindi
81 Si definisce [ ] 2/12 )1()ˆ(
jj
jRSST
sd−
= σβ . Il problema che emerge è l’impossibilità di calcolare σ . È
tuttavia possibile stimare σ ; si definisce quindi [ ] 2/12 )1(
ˆ)ˆ(
jj
jRSST
se−
= σβ .
82 Il livello di significatività rappresenta la probabilità di rigettare l’ipotesi nulla 0H quando di fatto essa è
vera.
122
0: ≠jH β ) determina il valore critico rispetto al quale confrontare la statistica t83.
Tuttavia si usa spesso il p-value84 per il test t: in questo modo l’ipotesi può essere testata a
qualsiasi livello di significatività.
È possibile testare anche che jβ assuma altri valori diversi da zero, in questo caso l’ipotesi
è: jj aH =β:0 ; dove ja è il valore ipotizzato di jβ . La statistica t è:
( )j
jj
se
at
j ββ
β ˆ
)ˆ(ˆ
−≡ (5. 17)
Dato y = β0 + β1 x1 + β2 x2 + β3 x3 + β4 x4 + u (5. 18)
per testare restrizioni lineari multiple del tipo:
0,0,0: 4320 === βββH contro 01 : HH non è vera (5. 19)
si utilizza la statistica F. Formalmente:
( )( )1/
/
−−−
≡knSSR
qSSRSSRF
ur
urr (5. 20)
dove rSSRè la somma al quadrato dei residui del modello ristretto (modello che non
considera le variabili sottoposte al test di ipotesi), urSSR è la somma dei residui al quadrato
del modello non ristretto (ovvero il modello originale), q è il numero di gradi di libertà dati
dalla differenza tra i gradi di libertà del modello ristretto e quelli del modello non ristretto,
ovvero il numero di restrizioni testate e (n-k-1) è il numero di gradi di libertà del modello
non ristretto. Esiste inoltre una seconda forma della statistica F85.
La statistica F è utilizzata anche per valutare la significatività complessiva di una
regressione: in questo caso si testa l’ipotesi nulla che tutti i parametri siano pari a 0 e che 83 Sempre sotto le ipotesi del modello lineare classico per ogni jβ è possibile costruire un intervallo di
confidenza (CI) al fine di testare l’ipotesi nulla riguardante jβ contro un’alternativa “two-sided”. 84 Per p-value si intende il più piccolo livello di significatività per il quale è possibile rigettare l’ipotesi nulla, poiché il p-value è una probabilità, (ovvero è la probabilità di rigettare l’ipotesi nulla quando questa è vera) il suo valore è compreso tra 0 e 1.
85 Una seconda forma del test F è basata invece sugli R2 dei due modelli, ed è:
( )( ) ( )
( )( ) urur
rur
ur
rur
dfR
qRR
knR
qRRF
/1
/
1/1
/2
22
2
22
−−
=−−−
−= ,
dove 2urR è l’ 2R del modello non ristretto e 2
rR è l’ 2R del modello ristretto.
123
quindi l’insieme delle variabili esplicative non abbia alcun effetto sul valore atteso della
variabile y.
5.1.4 Il problema dell’eteroschedasticità
Si è in presenza di eteroschedasticità quando Var (u | x1, x2 , …xk) non è costante, ma
dipende dalle variabili esplicative ix . Essa non causa distorsione o inconsistenza degli
stimatori OLS, ma invalida gli errori standard e quindi le statistiche t: in presenza di
eteroschedasticità gli stimatori OLS non sono più i migliori stimatori lineari non distorti
(non sono più BLUE). Esistono diversi test che consentono di verificare la presenza di
eteroschedasticità: i più comuni sono il test di Breusch Pagan (BP) e il test di White.
Nel test di BP è necessario stimare il modello originario, ottenere i quadrati dei residui
OLS ( 2u ) e regredire i quadrati dei residui sulle variabili indipendenti:
exxxu kk +++++= δδδδ ...ˆ 221102 . (5. 21)
Si costruiscono quindi le statistiche F:
( ) ( )1/1
/2ˆ
2ˆ
2
2
−−−=
knR
kRF
u
u (5. 22)
o il Lagrange multiplier statistic (la statistica LM):
2ˆ2u
RnLM ⋅= (5. 23)
che dipendono da 2R della regressione sopra descritta (indicati con 2ˆ2u
R ): si calcola il p-
value utilizzando la distribuzione 1, −−knkF nel primo caso e 2kχ nel secondo. Se il p-value è
sufficientemente piccolo, ovvero inferiore al livello di significatività scelto, si può rigettare
l’ipotesi nulla di omoschedasticità.
White (1980) ha proposto un altro test per l’eteroschedasticità. Sotto le ipotesi di Gauss-
Markov, l’ipotesi di omoschedasticità può essere sostituita con l’ipotesi più debole che
2u sia incorrelato con tutte le variabili esplicative jx , j∀ e con tutti i prodotti hj xx ,
hj ∀∀ , , hj ≠ . Si aggiungono alla regressione (5.21) i quadrati e i prodotti incrociati di
tutte le variabili indipendenti ottenendo:
exxxxxxxxxxxxu ++++++++++= 329318217236
225
2143322110
2ˆ δδδδδδδδδδ (5. 24)
124
Il test di White per l’eteroschedasticità è la statistica LM per testare che tutti i
jδ nell’equazione sono pari a 0, a esclusione dell’intercetta. La debolezza di tale test è però
determinata dalla numerosità dei regressori e dal fatto che utilizza tanti gradi di libertà per
modelli con un numero limitato di variabili esplicative.
Una seconda versione del test di White utilizza invece i fitted values, definiti, per ogni
osservazione i da:
ikkiii xxxy ββββ ˆ...ˆˆˆˆ 22110 ++++= (5. 25)
La procedura consiste nello stimare il modello con gli OLS, ottenere i residui OLS (u) e i
fitted values ( y ), calcolare i quadrati OLS dei residui e dei fitted values ( 2u e 2y ),
effettuare la regressione:
eyyu +++= 2210
2 ˆˆˆ δδδ (5. 26)
e considerare l’ 2R della regressione (2ˆ2u
R ). Si costruisce quindi la statistica F o LM e si
calcola il p-value, utilizzando la distribuzione 1, −−knkF nel primo caso e la distribuzione
2kχ nel secondo. Se il p-value è sufficientemente piccolo, ovvero inferiore al livello di
significatività prescelto, si può rigettare l’ipotesi nulla di omoschedasticità. In questo caso
se si testa la (5.26) per l’omoschedasticità, indipendentemente dal numero di regressori si
hanno solo due restrizioni: 0,0: 210 == δδH .
L’eteroschedasticità non determina alcuna distorsione o a livello asintotico alcuna
inconsistenza negli stimatori OLS. In presenza di eteroschedasticità gli stimatori della
varianza, )ˆ( jVar β sono distorti. Poiché gli standard error dell’OLS sono basati su tali
varianze essi non sono più validi per costruire i test t. Inoltre, il Teorema di Gauss-Markov
non è più valido: gli stimatori OLS non sono i migliori stimatori lineari non distorti e non
sono neppure asintoticamente efficienti. In presenza di eteroschedasticità è necessario
utilizzare la statistica t robusta all’eteroschedasticità.
Per il problema di eteroschedasticità, White (1980) ha indicato una soluzione.
Considerando inizialmente il caso univariato:
( )( )
21
22
1ˆ
x
n
iii
SST
xx
Var∑
=
−=
σβ . (5. 27)
125
si può notare che la formula della varianza, derivata nell’ipotesi di omoschedasticità, non è
più valida se vi è eteroschedasticità. Poiché ( ) )ˆ(ˆ11 ββ Varse = , White ha mostrato
(utilizzando i residui OLS (u), ottenuti dalla regressione iniziale di y su x) che uno
stimatore valido di ( )1βVar in presenza di eteroschedasticità di qualsiasi forma è:
( )2
1
22 ˆ
x
n
iii
SST
uxx∑=
− (5. 28)
Lo stimatore della varianza è ora valido. Nel caso di regressioni multivariate si ha:
( )2
1
22 ˆˆˆ
j
n
iiij
jSSR
ur
Var∑
==β (5. 29)
La radice quadrata di ( )jVar β è definita errore standard robusto all’eteroschedasticità.
Quando la forma dell’eteroschedasticità è nota a meno di una costante moltiplicativa, è
possibile avvalersi di stimatori GLS (stimatori dei minimi quadrati generalizzati). Gli
stimatori GLS per correggere l’eteroschedasticità sono chiamati stimatori WLS (weighted
least squares). Questi stimatori minimizzano la somma pesata dei residui al quadrato: ogni
residuo al quadrato è infatti pesato per 1/hi, dove h(x) è la forma funzionale delle variabili
esplicative che determina l’eteroschedasticità.
Formalmente, quando si ha un modello uxxxy kk +++++= ββββ ...22110 che presenta
errori eteroschedastici, per cui iiiii hxhxuVar 222 )()|( σσσ === , considerando
ii hu / al posto di iu si può transitare da un modello con errori eteroschedastici a un
modello con errori omoschedastici.
0=
i
i
i xh
uE (5. 30)
e ( ) ( ) ( ) .11 222
22 σσ ===
==
ii
iiii
i
iiii h
hh
xuExh
uExuExuVar (5. 31)
Il modello originale diventa così:
iikkiiii huhxhxhxhhy //...//// 22110 +++++= ββββ (5. 32)
ovvero ***
22*11
*00
* ... iikkiiii uxxxxy +++++= ββββ , (5. 33)
126
dove 0)( * =iuE , 2* )( σ=iuVar .
Spesso è però difficile definire la funzione ( )ixh , ovvero non è possibile conoscere come
la varianza dell’errore è correlata alle variabili indipendenti. In tali casi si può utilizzare la
stima di ih , ovvero ih (la forma funzionale generalmente utilizzata è quella esponenziale).
Utilizzando ih al posto di ih si ottiene lo stimatore FGLS (feasible GLS).
5.1.5 Le proprietà asintotiche degli stimatori OLS
Fino ad ora si sono considerati campioni finiti e si sono analizzate le proprietà esatte degli
stimatori OLS. Sotto le ipotesi 1 - 4 si è derivata la non distorsione dello stimatore OLS,
per cui, come mostrato nella (5.5): E (jβ ) = βj, j = 0, 1, … k . In caso di distorsione dello
stimatore OLS, la (5.5) non è più valida. Vi è comunque unanimità in letteratura
nell’affermare che il requisito minimo per gli stimatori OLS quando sono distorti è la
consistenza:
0)ˆ( →>− εββ jjP per ∞→n , (5. 34)
per cui se lo stimatore è consistente, la distribuzione di jβ diviene progressivamente più
concentrata intorno a jβ all’aumentare della dimensione del campione (ovvero per
∞→n ). È quindi possibile affermare che, sotto le ipotesi di Gauss-Markov 1 – 4, lo
stimatore OLS jβ è consistente per jβ , con j = 0, 1, …, k. Formalmente, si considera:
∑
∑
−
−=
ii
iii
xx
yxx
211
11
1)(
)(β e iii uxy ++= 110 ββ ;
∑
∑
∑
∑
−
−+=
−
++−=
ii
iii
ii
iiii
nxx
nuxx
xx
uxxx
/)(
/)(
)(
))((ˆ
11
11
1211
11011
1 βββ
β (5. 35)
Applicando la legge dei grandi numeri al numeratore e denominatore, si ottiene che il
numeratore in probabilità converge a ),( 1 uxCov , mentre il denominatore in probabilità
127
converge a )( 1xVar . Purchè 0)( 1 ≠xVar (per l’ipotesi 3 delle ipotesi di Gauss-Markov), si
ha che:
)(
),(ˆlim1
111 xVar
uxCovp += ββ . (5. 36)
Se 0),( 1 =uxCov , allora
11ˆlim ββ =p (5. 37)
Perché lo stimatore OLS sia consistente (il caso qui considerato è di regressione semplice)
si è utilizzata l’ipotesi di assenza di correlazione: 0)( =uE e ,0),( =uxCov j per
kj ,...2,1= . Così come gli stimatori OLS sono distorti se 0),...,|( 21 ≠kxxxuE , nel caso in
cui 0),( 1 ≠uxCov tutti gli stimatori OLS sono inconsistenti. Se l’errore u è correlato con
una qualsiasi delle variabili indipendenti, allora lo stimatore OLS è distorto e non
consistente. La non consistenza (o distorsione asintotica) è:
)(
),(ˆlim1
111 xVar
uxCovp =− ββ . (5. 38)
Poiché 0)( 1 >xVar , la non consistenza dipende dal segno del numeratore.
Con l’introduzione dell’ipotesi 5 di omoschedasticità, considerando l’insieme delle ipotesi
1 - 5 si è potuto affermare che lo stimatore OLS è il migliore stimatore lineare non distorto.
Dall’ipotesi 6 di normalità della distribuzione dell’errore si sono derivate le distribuzioni
campionarie esatte degli stimatori OLS (condizionatamente alle variabili esplicative). La
(5.13) ha indicato che gli stimatori OLS hanno distribuzione campionaria normale (ovvero
sono distribuiti come una normale) e ciò ha consentito di considerare le distribuzioni t e F
per le statistiche t e F. In assenza però dell’ipotesi di normalità della distribuzione
dell’errore, le statistiche t e F non hanno distribuzioni t e F esatte. Per campioni
sufficientemente grandi, il Teorema del limite centrale86 consente di verificare che gli
stimatori OLS hanno una distribuzione asintoticamente normale e quindi i test t e F hanno
approssimativamente una distribuzione t e F.
Il teorema della normalità asintotica degli stimatori OLS afferma che sotto le ipotesi 1 – 5
di Gauss-Markov : 86 Si consideri { }nyyy ,...2,1 variabile casuale con media µ e varianza 2σ . Il Teorema del limite centrale
allora la variabile casuale n
yz n
n σµ−
= ha asintoticamente una distribuzione normale standard.
128
)ˆ( jjn ββ − ~a ),0(2
2
jaN
σ, (5. 39)
dove 2
2
ja
σ è la varianza asintotica di )ˆ( jjn ββ − ; )ˆ
1lim(
1
22 ∑=
=n
iijj r
npa con ijr sono i
residui della regressione di jx sulle altre variabili indipendenti. jβ ha distribuzione
asintoticamente normale;
2σ è uno stimatore consistente di )(2 uVar=σ ;
,j∀ )ˆ(
ˆ
j
jj
se βββ −
~a N (0,1).
Al crescere di n, ovvero per campioni sufficientemente grandi, la statistica t approssima
una normale N.
5.1.6 Le variabili qualitative (variabili dummy)
Nelle analisi di regressione possono figurare variabili qualitative, che assumono valore pari
a 0 o 1: si parla in questo caso di variabili binarie (dummy variable). Una variabile dummy
è solitamente impiegata per discriminare tra differenti gruppi e il coefficiente relativo
indica la differenza (ceteris paribus) tra i gruppi. Nel caso in cui si considerino diversi
gruppi, si introduce nella regressione un set di variabili dummy: se i gruppi sono n, le
variabili dummy da includere nel modello sono (n-1), per evitare di incorrere in problemi di
perfetta collinearità (dummy variable trap). Le stime dei coefficienti delle variabili dummy
incluse nel modello devono essere interpretate con riferimento al gruppo base non incluso
nel modello.
E’ inoltre spesso utile considerare le interazioni tra le variabili dummy e le altre variabili
esplicative quantitative: in questo caso non solo si hanno intercette diverse per i diversi
gruppi considerati, ma si possono manifestare anche differenze nelle evoluzioni dei
fenomeni rappresentati dai regressori quantitativi e quindi si hanno differenze nelle
pendenze.
129
5.1.7 Le forme funzionali
Diverse possono essere le forme funzionali considerate nelle analisi di regressione.
In un semplice modello dove sia la variabile dipendente sia le variabili esplicative sono
espresse in livelli (5.1), il coefficiente 1β indica di quanto cambia la variabile dipendente al
variare di una unità della variabile indipendente. Ciò equivale a dire che
1xy ∆=∆ β (5. 40)
Nel caso in cui si abbia un modello log-livello del tipo:
,...)log( 22110 uxxxy kk +++++= ββββ (5. 41)
il coefficiente 1β indica la variazione percentuale nella variabile dipendente y in
conseguenza di una variazione unitaria nella variabile indipendente 1x . In questo modo,
l’effetto di un aumento unitario della variabile indipendente genera una variazione
percentuale costante nella variabile dipendente:
11
1 β=⋅dx
dy
y (5. 42)
Considerando il modello
,...)log( 22110 uxxxy kk +++++= ββββ (5. 43)
il coefficiente 1β indica di quante unità cambia la variabile dipendente per effetto di una
variazione percentuale della variabile indipendente:
1
11 x
dxdy β= (5. 44)
Si ipotizza quindi che una variazione dell’1% nella variabile indipendente 1x generi un
effetto costante sul valore della variabile dipendente; tale effetto costante è misurato dal
coefficiente 1β .
Nel modello log-log
,...)log()log( 22110 uxxxy kk +++++= ββββ (5. 45)
130
il coefficiente 1β indica la variazione percentuale nella variabile dipendente y per effetto di
una variazione dell’1% nella variabile indipendente x.
Il coefficiente 1β rappresenta cioè l’elasticità di y rispetto ad x1:
11
1
β=⋅y
x
dx
dy (5. 46)
I motivi per cui nelle analisi di regressione le variabili sono presentate in forma logaritmica
sono molteplici. I modelli che presentano la variabile dipendente espressa in forma
logaritmica soddisfano in modo migliore rispetto ai modelli in livello le ipotesi del modello
lineare classico: regressori strettamente positivi hanno spesso distribuzioni asimmetriche, i
logaritmi possono mitigare o eliminare tale problema. I logaritmi consentono inoltre di
trascurare le unità di misura delle variabili indipendenti e di restringere l’intervallo di
variazione di una variabile: ciò rende le stime meno sensibili alla presenza di osservazioni
estreme (outlying) nelle variabili dipendente o indipendenti.
Alcune variabili esplicative possono avere effetti marginali crescenti o decrescenti sulla
variabile dipendente. Si considerano allora funzioni non lineari, in particolare quadratiche:
uxxy +++= 2210 βββ (5. 47)
il coefficiente 1β non indica la variazione in y determinata dalla variazione di una unità di
x. Stimando il modello si ottiene:
2210
ˆˆˆˆ xxy βββ ++= (5. 48)
la relazione tra y e x dipende dal valore di x, infatti:
xxy ∆+=∆ )ˆ2ˆ(ˆ 21 ββ , da cui: 21ˆ2ˆˆ
ββ +≈∆∆
x
y. (5. 49)
131
5.2 Il Linear Probability Model (LPM)
Quando la variabile dipendente è una variabile dummy, jβ non può essere interpretato
come la variazione in y determinata dalla variazione di una unità nella variabile jx ,
tenendo tutti gli altri regressori fissi. Quando la variabile y è una variabile binaria che
assume valore 0 o 1, è sempre vero che:
( ) ( )xyExyP ||1 == (5. 50)
La probabilità di successo, ovvero la probabilità che 1=y sia pari al valore atteso di y è
una funzione lineare injx :
( ) kk xxxyP βββ +++== ...|1 110 (5. 51)
L’equazione (5.51) è un esempio di modello a risposta binaria e ( )xyP |1= è nota come
probabilità di risposta (response probability). Nel modello LPM jβ misura la variazione
nella probabilità di successo al variare di una variabile continua jx , tenendo fissi gli altri
fattori:
( ) jj xxyP ∆== β|1 (5. 52)
Moltiplicata per jx∆ , la (5.52) dà la variazione approssimata in ( )xyP |1= quando
jx aumenta di jx∆ , tenendo fissi tutti gli altri regressori. Il modello di regressione lineare
multiplo con variabile dipendente binaria è noto come linear probability model (LPM),
poiché la response probability è lineare nei parametri jβ .
Il LPM presenta alcuni problemi: stimando la variabile y, y potrebbe assumere (per alcune
combinazioni dei valori dei regressori) anche valori non compresi tra 0 e 1 e trattandosi di
una probabilità predetta tale risultato non ha alcun senso. Inoltre, il LPM implica un effetto
marginale costante di ciascuna variabile esplicativa sulla variabile y. Infine, il LPM viola
l’ipotesi:
( ) ( ) ( )[ ]xpxpxyVar −= 1| ,
presenta quindi inevitabilmente problemi di eteroschedasticità.
132
5.3 I modelli probit
Il metodo di analisi probit consente di superare i limiti presentati dal LPM. Al fine di
illustrare le caratteristiche dei modelli probit, si considera una classe di modelli a risposta
binaria della forma:
( ) )()...(|1 0110 χβββββ +=+++== GxxGxyP kk (5. 53)
dove G è una funzione che assume valori strettamente compresi tra 0 e 1: 0 < )(zG < 1,
per tutti i numeri reali z. Ciò assicura che le probabilità stimate di risposta siano
strettamente comprese tra 0 e 1 ( kk xx ββχβ ++= ...11 ).
Nel modello probit, la funzione G è:
∫∞−
=Φ=z
dvvzzG )()()( φ dove )2/exp()2()( 221
zz −∏= −φ (5. 54)
La scelta di G assicura che ( ) )()...(|1 0110 χβββββ +=+++== GxxGxyP kk sia
strettamente compresa tra 0 e 1 per tutti i valori dei parametri e di jx , (dove
kk xx ββχβ ++= ...11 ).
L’obiettivo generalmente perseguito è la stima dell’effetto parziale di jx sulla probabilità
di successo ( )xyP |1= , ma ciò è complicato dalla natura non lineare della funzione G. Se
jx è una variabile continua, il suo effetto parziale su )|1()( xyPxp == è pari a:
( ) jj
gx
xp βχββ +=∂
∂0
)(, dove )()( z
dz
dGzg ≡ (5. 55)
Poiché G è una funzione di distribuzione cumulativa standard normale (cdf) di una
variabile casuale continua, g è una densità di probabilità. Per la funzione probit, )(⋅G è una
funzione strettamente crescente, per cui 0)( >zg per tutti gli z. L’effetto parziale di jx su
)(xp dipende da χ attraverso la quantità positiva ( )χββ +0g e quindi l’effetto parziale
ha sempre lo stesso segno di jβ . L’equazione mostra che gli effetti relativi di due qualsiasi
variabili esplicative non dipendono daχ : il rapporto degli effetti parziali per jx e hx è
hj ββ / . Nel caso in cui g è simmetrica rispetto allo zero, il maggiore impatto si ha quando
00 =+ χββ . Si ottiene quindi con )()( zzg φ= , 40.02/1)2()0()0( 21
≈Π=Π==−
φg .
133
Se per stimare il LPM si possono utilizzare gli OLS, per i probit essi non sono applicabili a
causa della non linearità di )|( χyE . Si utilizza allora la stima maximum likelihood (MLE).
Per ottenere lo stimatore MLE, condizionando sulle variabili esplicative, è necessario
disporre della densità di iy dato iχ :
[ ] [ ] yi
yii GGyf −−= 1
; )(1)()|( βχβχχ β , 1,0=y (5. 56)
Prendendo il logaritmo della (5.56) si può scrivere la funzione log-likelihood:
[ ] ( ) [ ])(1log1)(log)( βχβχβ iiiii GyGy −−+=l (5. 57)
Poiché )(⋅G è strettamente compreso tra 0 e 1 nel modello probit, )(βil è definito per tutti
i valori di β . Lo stimatore MLE di β , ovvero β , massimizza la funzione (5.57). Se )(⋅G
è la cdf di una distribuzione normale standard, allora β è lo stimatore probit. La teoria
dell’MLE per campioni casuali sostiene che sotto le condizioni generali lo stimatore MLE
è consistente, asintoticamente normale ed efficiente.
Il problema principale per il metodo probit consiste nell’interpretazione del coefficiente.
Un primo metodo consiste nel sostituire ogni variabile esplicativa con la sua media
campionaria:
( ) ( )kk xxxgg βββββχβ ˆ...ˆˆˆˆˆ221100 ++++=+ , (5. 58)
dove )(⋅g è la densità normale standard. Quando la (5.58) è moltiplicata per jβ , si ottiene
l’effetto parziale di jx per il soggetto medio nel campione.
Un secondo metodo consiste invece nel calcolare la media degli effetti parziali individuali
nel campione, ottenendo l’effetto parziale medio:
( )[ ]∑=
− +n
ijign
10
1 ˆˆˆ ββχβ , (5. 59)
dove il termine che moltiplica jβ è un fattore di scala (nel modello probit,
( ) ( )βχβφβχβ ˆˆˆˆ00 iig +=+ ).
Calcolare i fattori di scala consente di rendere confrontabili gli effetti parziali che si
ottengono utilizzando i metodi LPM e probit. Poiché per i probit 40.02/1)0( ≈Π=g e
per LPM 1)0( =g , una “rule of thumb” consiste nel dividere le stime probit per 2.5 per
134
renderle confrontabili con le stime LPM. Tuttavia per stabilire confronti più accurati si
utilizza il fattore di scala ( )[ ]∑=
− +n
iign
10
1 ˆˆ βχβ .
5.4 Le analisi di regressione con dati pooled cross-
section
Il secondo insieme di analisi è stato realizzato mediante l’utilizzo di dati pooled cross
section. I dataset pooled cross section sono ottenuti considerando dei campioni da una
popolazione in differenti periodi di tempo. Da un punto di vista statistico, i dataset pooled
cross section sono costituiti da osservazioni campionarie indipendenti: ciò esclude che vi
sia correlazione nei termini di errore tra le differenti osservazioni. Poiché le distribuzioni
delle variabili tendono a variare nel tempo, l’ipotesi di distribuzione identica non è di solito
valida. Considerando dataset pooled cross section si hanno quindi osservazioni
indipendenti, non identicamente distribuite (i.n.i.d.). Per tener conto del fatto che la
popolazione può avere differenti distribuzioni nei vari periodi temporali si consente
all’intercetta di variare nei diversi periodi di tempo introducendo variabili dummy
temporali per tutti i periodi considerati, tranne uno, scelto come anno base. E’ possibile
comunque interagire le variabili binarie con gli altri regressori per verificare se l’effetto di
una specifica variabile è mutato nel tempo.
Il metodo di stima per i dataset pooled cross section è quello degli stimatori OLS con le
procedure descritte in precedenza, comprese le misure da adottare in presenza di
eteroschedasticità.
I dati pooled cross section sono inoltre utilizzati per valutare l’impatto di un certo evento o
di una certa politica. Si parla di esperimento naturale quando un evento esogeno (spesso un
cambiamento di policy) modifica il contesto nel quale individui, famiglie, imprese, città,
nazioni, etc operano. Un esperimento naturale richiede la presenza di un “gruppo di
controllo” (C) non interessato dalla variazione della policy e un “gruppo trattato” (T) che si
ritiene invece essere interessato dalla policy. Per verificare se vi siano differenze
sistematiche tra i due gruppi è necessario disporre di dati relativi a due anni, uno
135
precedente il cambiamento della policy, e uno successivo a esso. Si divide quindi il
campione in quattro gruppi: C = control group, T = treatment group, dT =1 variabile
binaria per gli individui appartenenti al gruppo trattato, d2 = variabile binaria per il
secondo periodo. Formalmente:
rialtrifattodTddTdy +⋅+++= 22 1100 δβδβ (5. 60)
dove 1δ misura l’effetto della policy (poiché misura l’effetto del trattamento o della policy
sul valore medio della variabile dipendente è detto effetto di trattamento medio). Senza
altri fattori nella regressione, 1δ è lo stimatore difference-in-differences:
( ) ( )CTCT yyyy ,1,1,2,21 −−−=δ (5. 61)
5.5 Le analisi di regressione con dati panel
Un dataset panel presenta sia la dimensione cross-sezionale, sia la dimensione time-series:
per raccogliere i dati panel o longitudinali si rilevano infatti dati sugli stessi soggetti su un
certo arco temporale. In questo caso non è ovviamente possibile affermare che le
osservazioni sono indipendentemente distribuite nel tempo. Si rende quindi necessario il
ricorso a specifici modelli e metodi di analisi.
Si considera a titolo esemplificativo il modello seguente, riferito a un dataset panel di due
soli periodi: 2,1=t :
itiittit uaxdy ++++= 100 2 βδβ (5. 62)
La variabile td2 è una variabile dummy pari a 0 quando 1=t e pari a 1 quando 2=t ,
perciò l’intercetta è pari a 0β per 1=t e a 00 δβ + in 2=t .
La variabile ia cattura tutti i fattori non osservati e costanti nel tempo che hanno un effetto
su ity : generalmente ia è definito effetto non osservato o effetto fisso. Il modello (5.62) è
pertanto detto a effetti fissi.
Il termine di errore itu indica un errore idiosincratico o errore che varia nel tempo e
rappresenta i fattori non osservati che variano nel tempo e hanno un impatto sulla variabile
dipendente ity .
136
5.5.1 Il metodo first-differencing
Un primo metodo di stima per modelli panel consiste nella derivazione dello stimatore first
differencing.
Nel modello (5.62) l’“effetto non osservato” ia , costante nel tempo, può essere correlato
con le variabili esplicative. Al fine di eliminare l’effetto fisso ia si può utilizzare il metodo
di stima definito first differencing.
È possibile considerare due modelli in due diversi periodi di tempo, per esempio:
221002 )( iiii uaxy ++++= βδβ , in 2=t (5. 63)
11101 iiii uaxy +++= ββ , in 1=t (5. 64)
Sottraendo la (5.64) dalla (5.63) si ottiene:
)()()( 12121012 iiiiii uuxxyy −+−+=− βδ , (5. 65)
ovvero ii uxy ∆+∆+=∆ 110 βδ (5. 66)
definita “equazione first-differenced”, dove∆ indica la variazione tra 1=t e 2=t . Lo
stimatore OLS di 1β è detto “stimatore first-differenced” (FD).
Per stimare modelli first differencing è necessario introdurre alcune ipotesi:
Ipotesi FD.1: per ogni osservazione i, il modello è:
itiitkitit uaxxy ++++= ββ ...1 , Tt ,...,2,1=
Ipotesi FD.2: campionamento casuale; si ha un campione casuale di n osservazioni, {(xi1,
xi2 , …xik, yi ): i = 1,2, …, n} per ogni periodo dell’intervallo di tempo considerato.
Ipotesi FD.3: ogni variabile esplicativa varia nel tempo (per almeno alcune osservazioni i)
e non esistono relazioni lineari perfette tra le variabili esplicative.
Assumendo che itX rappresenti l’insieme delle variabili esplicative per tutti i periodi di
tempo delle osservazioni cross-section, per cui itX contiene xitj, Tt ,...,2,1= , kj ,...2,1= , si
formula la
137
Ipotesi FD.4: per ogni t, ( ) 0,| =iiit aXuE , ovvero il valore atteso dell’errore idiosincratico
date le variabile esplicative in tutti i periodi considerati e l’effetto non osservato è pari a
zero.
Quando l’ipotesi FD.4 è verificata, si dice che gli xitj sono strettamente esogeni
condizionatamente al fattore non osservato: controllando per ia , non vi è cioè correlazione
tra xisj e l’errore idiosincratico rimanente itu per tutti gli s e t. Un’importane implicazione
dell’ipotesi FD.4 è che:
( ) 0| =∆ iit XuE , Tt ,...2= (5. 67)
Queste prime quattro ipotesi, se verificate, consentono di affermare che gli stimatori first-
differenced sono non distorti. Sotto le stesse ipotesi lo stimatore FD è inoltre consistente
per T dato ∞→N .
Tre ipotesi aggiuntive sono necessarie per assicurare che gli errori standard e i test statistici
risultanti dalle regressioni pooled OLS siano (asintoticamente) validi.
Ipotesi FD.5: ( ) 2| σ=∆ iit XuVar , Tt ,...2= : la varianza della variazione degli errori è
costante, condizionatamente a tutte le variabili esplicative.
Ipotesi FD.6: ( ) 0|, =∆∆ iisit XuuCov , st ≠ : le differenze negli errori idiosincratici sono
non correlate, condizionando per tutte le variabili esplicative e per tutti i st ≠ ; ovvero non
vi è correlazione seriale tra le variazioni degli errori.
Sotto le ipotesi FD.1 - FD.6 lo stimatore FD di jβ è il migliore stimatore lineare non
distorto (BLUE).
Si ipotizza inoltre che:
Ipotesi FD.7: Controllando per iX , itu∆ sono variabili casuali normali indipendenti e
identicamente distribuite (iid).
Sotto l’ipotesi FD.7 gli stimatori FD sono normalmente distribuiti e le statistiche t e F
hanno distribuzioni t e F esatte87.
87 Se l’ipotesi FD.7 non fosse verificata, si dovrebbe fare ricorso ad approssimazioni asintotiche.
138
5.5.2 Il metodo fixed-effect
Un secondo metodo di analisi per campioni panel che consente di eliminare l’effetto fisso
ia è il metodo “fixed effect” (FE), definito anche “trasformazione within88” .
Si consideri un modello con k variabili esplicative:
itiitkkitit uaxxy ++++= ββ ...11 , Tt ,...,2,1= (5. 68)
Prendendo la media della (5.68) per ogni osservazione i rispetto al tempo si ottiene:
iiikkii uaxxy ++++= ββ ...11 (5. 69)
Poiché il fattore fisso ia è costante nel tempo esso compare in entrambe le equazioni.
Sottraendo la (5.68) dalla (5.69) si ottiene:
iitkitkkiitiit uuxxxxyy −+−++−=− )(...)( 11 ββ , Tt ,...,2,1= (5. 70)
ovvero:
ititkkitit uxxy &&&&&&&& +++= ββ ...11 , Tt ,...,2,1= (5. 71)
dove iitit yyy −=&& , itkx&& e itu&& sono variabili dalle quali si è sottratto il valore medio
rispetto al tempo. Esse sono note come variabili “time-demeaned”.
L’effetto non osservato ia non compare nella (5.71). Ciò suggerisce che si possa stimare
l’equazione con stimatori OLS, definiti in questo caso stimatori a effetti fissi, “fixed effect”
(FE), perché basati appunto su variabili dalle quali si è sottratto il valore medio rispetto al
tempo.
La derivazione degli stimatori fixed effect richiede che siano soddisfatte alcune ipotesi
elencate di seguito.
Ipotesi FE.1: per ogni osservazione i, il modello è:
itiitkkitit uaxxy ++++= ββ ...11 , Tt ,...,2,1=
dove jβ sono i parametri da stimare e ia è l’effetto non osservato.
Ipotesi FE.2: campionamento casuale
88 Lo stimatore FE è detto anche stimatore “within” in quanto l’OLS nella equazione (5.71) di seguito considerata utilizza la variazione nel tempo in y e x tra (in inglese si usa il termine within )ogni osservazione cross sezionale.
139
Ipotesi FE.3:ogni variabile esplicativa varia nel tempo (per almeno alcune osservazioni i) e
non esistono relazioni lineari perfette tra le variabili esplicative.
Ipotesi FE.4: per ogni t, date le variabili esplicative in tutti i periodi considerati e l’effetto
non osservato, ( ) 0,| =iiit aXuE , ovvero il valore atteso dell’errore idiosincratico, è pari a
zero.
Se queste prime quattro ipotesi (identiche a quelle formulate per gli stimatori first-
differencing) sono verificate, gli stimatori fixed-effect sono non distorti e consistenti per
dato T e ∞→N . L’ipotesi chiave per determinare non distorsione e consistenza degli
stimatori è l’ipotesi FE.4 di stretta esogeneità (che assume che non vi sia correlazione tra le
variabili esplicative in tutti i periodi considerati e l’errore idiosincratico, controllando per
l’effetto non osservato ia ).
Ipotesi FE.5: ( ) ( ) 2,| uitiiit uVaraXuVar σ== , Tt ...2,1=
Tale ipotesi assicura che gli errori itu siano omoschedastici.
Ipotesi FE.6: ( ) 0,|, =iiisit aXuuCov , st ≠ : gli errori idiosincratici sono incorrelati,
condizionando per tutte le variabili esplicative e per ia .
Sotto le ipotesi FE.1 - FE.6, lo stimatore fixed effect di jβ è il migliore stimatore lineare
non distorto (BLUE). In particolare l’ipotesi FE.6, che implica che gli errori non sono
serialmente correlati, rende preferibile lo stimatore fixed effect a quello first differencing.
Infine:
Ipotesi FE.7: Controllando per iX e per ia , itu sono i.i.d. come una normale ( )2,0 uN σ .
L’ipotesi FE.7 implica FE.4, FE.5 e FE.6, ma è più forte in quanto assume che gli errori
idiosincratici abbiano distribuzione normale. Aggiungendo l’ipotesi FE.7 alle precedenti
ipotesi lo stimatore FE è normalmente distribuito e le statistiche t e F hanno distribuzioni t
e F esatte89.
89 In assenza dell’ipotesi FE.7 è necessario fare ricorso ad approssimazioni asintotiche, che richiedono N grande e T piccolo.
140
5.5.3 Il metodo random-effect
Quando si ritiene che alcune variabili omesse possano essere costanti nel tempo ma variare
tra le osservazioni e altre possano invece essere fisse tra le osservazioni considerate, ma
variare nel tempo, si utilizza il metodo “random effect” (RE) che consente di tenere in
considerazione entrambi i casi.
Si considera in particolare il modello:
itiitkkitit uaxxy +++++= βββ ...110 , Tt ,...,2,1= (5. 72)
dove, senza perdita di generalità, l’intercetta è definita in modo tale che l’effetto non
osservato ia abbia media zero.
Assumendo che :
( ) 0, =iitj axCov , Tt ,...,2,1= , kj ,...,2,1= , (5. 73)
l’equazione (5.72) è nota come “modello random effect”, poiché assume che l’effetto non
osservato ia sia non correlato con ciascuna variabile esplicativa.
Le ipotesi sulle quali si fonda lo stimatore random effect includono le prime sei ipotesi del
modello fixed effects.
Fa eccezione l’ipotesi FE.3 che è sostituita da:
Ipotesi RE.3: non vi sono relazioni lineari perfette tra le variabili esplicative.
È necessario inoltre modificare l’ipotesi FE.4:
Ipotesi RE.4: oltre all’ipotesi ( ) 0,| =iiit aXuE , si assume ( ) 0| β=ii XaE , ovvero il valore
atteso dell’effetto non osservato ia , condizionato su tutte le variabili esplicative, è
costante. L’ipotesi RE.4 gioca un ruolo cruciale escludendo che vi sia correlazione tra
l’effetto non osservato ia e tutte le variabili esplicative.
Si introduce infine l’ipotesi che impone l’omoschedasticità per ia :
Ipotesi RE.5: ( ) 2| aii XaVar σ=
Sotto le sei ipotesi (FE.1), (FE.2), (RE.3), (RE.4), (RE.5) e (FE.6), lo stimatore random
effect (RE) è consistente e distribuito asintoticamente come una distribuzione normale, per
141
T dato e ∞→N . La consistenza e la normalità asintotica dello stimatore discendono dalle
prime quattro ipotesi. Le ultime due ipotesi garantiscono che gli errori standard e la
statistica t sono validi. Riprendendo il modello (5.72) si definisce itiit uav += , dove itv è
noto come errore composito. Si può quindi scrivere:
ititkkitit vxxy ++++= βββ ...110 (5. 74)
Poiché ia si trova nell’errore composito in ogni periodo, itv è serialmente correlato nel
tempo.
Dalle ipotesi del modello RE, discende infatti:
( ) ( )222 /, uaaisit vvCorr σσσ += , st ≠ dove { })();( 22ituia uVaraVar == σσ (5. 75)
Poiché gli errori standard usuali OLS ignorano la correlazione seriale, essi non sono validi
in questo caso, così come gli usuali test statistici.
Per risolvere tale problema si utilizzano gli stimatori dei minimi quadrati generalizzati
(GLS).
Definendo:
( )[ ] 2/1222 /1 auu Tσσσλ +−= (5. 76)
l’equazione (5.74) può essere scritta come:
)()(...)()1( 1110 iitikitkkiitiit vvxxxxyy λλβλβλβλ −+−++−+−=− (5. 77)
Nella (5.77), per ogni variabile si considerano dati quasi-demeaned: lo stimatore fixed
effect sottrae infatti dalle variabili il valore medio delle variabili stesse rispetto al tempo; la
trasformazione random effect ne sottrae invece solo una frazione che dipende da 22 , au σσ e
dal numero di periodi T (introducendo quindi il concetto di quasi-demeaned).
Lo stimatore GLS è lo stimatore OLS pooled dell’equazione (5.77).
La trasformazione tiene conto delle variabili costanti nel tempo e questo è un vantaggio del
metodo RE rispetto ai metodi FE e FD; ciò è possibile perché il modello RE assume che il
fattore non osservato sia incorrelato con tutte le variabili esplicative, sia quelle variabili,
sia quelle fisse nel tempo. Il parametroλ non è noto, ma può essere stimato in diversi
modi, sia utilizzando OLS pooled, sia i fixed effect. Lo stimatore feasible GLS che utilizza
λ al posto di λ è chiamato stimatore RE.
Utilizzando l’equazione (5.77) è immediato osservare che quando 0=λ si ottengono gli
stimatori OLS pooled, mentre per per 1=λ si ottengono gli stimatori fixed effect.
142
5.5.4 Il metodo between-effect
Si considerano infine gli stimatori “between effects” (BE). Essi sono ottenuti come gli
stimatori OLS dell’equazione:
iiikkii uaxxy ++++= ββ ...11 (5. 78)
utilizzando le medie (condizionate rispetto al tempo) sia della variabile dipendente, sia dei
regressori. Si utilizza il metodo BE quando si vuole controllare per variabili omesse che
variano nel tempo ma sono costanti tra le osservazioni: esso consente di utilizzare la
variazione tra le osservazioni per stimare l’effetto di variabili indipendenti omesse sulla
variabile dipendente.
I problemi principali dello stimatore BE consistono nel fatto che è distorto quando ia è
correlato con ix e nel fatto che esso per definizione non considera come le variabili
evolvono nel tempo.
5.5.5 Un confronto tra i metodi di stima per le analisi panel
Dal confronto tra i metodi FD, FE è possibile affermare che: se T=2, ovvero si considerano
due soli periodi, le stime FD e FE e tutti i test sono identici; nel caso in cui T=3 gli
stimatori FD e FE sono entrambi non distorti e consistenti, tuttavia per N grande e T
piccoli la scelta tra i due metodi dipende dalla relativa efficienza degli stimatori e ciò è
determinato dalla correlazione seriale negli errori idiosincratici itu (assumendo che itu sia
omoschedastico). Nel caso in cui gli itu sono serialmente incorrelati, FE è più efficiente di
FD; quando invece vi è correlazione seriale positiva allora è preferibile utilizzare lo
stimatore FD. Se infine ogni itjx è incorrelato con itu , ma l’ipotesi di stretta esogeneità è
violata, lo stimatore FE è meno distorto di quello FD.
Confrontando infine i metodi FE e RE, lo stimatore FE è ritenuto essere uno strumento più
convincente per stimare effetti ceteris pari bus. Tuttavia, se il regressore chiave è costante
nel tempo non è possibile utilizzare FE per stimare il suo effetto sulla variabile dipendente.
Il metodo RE consente invece di includere controlli costanti nel tempo tra i regressori.
Nel caso in cui l’ipotesi
143
( ) 0, =iitj axCov Tt ,...,2,1= kj ,...,2,1= (5. 79)
sia rifiutata, allora si utilizzano i FE
Il test di Hausman consente infine di stabilire quale dei due metodi (FE e RE) sia
preferibile adottare.
Statisticamente fixed effect è il metodo d’analisi che dà risultati consistenti, tuttavia
potrebbe non dimostrarsi il metodo più efficiente; random effect potrebbe presentare p-
value migliori in quanto è un metodo d’analisi più efficiente.
Il test di Hausman consente di confrontare i due metodi di analisi RE e FE, testando
l’ipotesi nulla che i coefficienti stimati da RE siano gli stessi stimati da FE.
Se non vi sono differenze sistematiche tra i coefficienti ottenuti con i due metodi (il p-
value assume valori elevati, Prob>chi2 è maggiore di 0.05) allora si utilizzano i RE, in caso
contrario il test indica di utilizzare FE.
144
CAPITOLO 6
CARATTERISTICHE DEL CDA, STRUTTURA PROPRIETARIA E PERFORMANCE: UN’ ANALISI EMPIRICA
145
Si presentano in questo capitolo i risultati delle analisi di regressione condotte sul
campione di imprese descritto nel Capitolo 4 e realizzate attraverso l’utilizzo del software
econometrico Stata 9.
I modelli considerati si concentrano su quattro aree di indagine. In primo luogo si
analizzano le caratteristiche del Consiglio di Amministrazione in funzione della struttura
proprietaria, considerando le relazioni che si instaurano tra questi due aspetti di corporate
governance.
Si analizza quindi l’impatto delle variabili economiche-finanziarie d’impresa sulla
dimensione e composizione del Consiglio di Amministrazione. In particolare si
considerano la percentuale di amministratori esecutivi, o insider representation e la
percentuale di amministratori indipendenti sul totale dei consiglieri del Consiglio di
Amministrazione.
Nel terzo paragrafo si studia poi la relazione tra performance societaria e caratteristiche del
Consiglio di Amministrazione, indagando se e come influisca sulla redditività e sulle
opportunità di crescita dell’impresa.
Infine, si considerano le determinanti della decisione di istituire i comitati interni al
Consiglio di Amministrazione, come raccomandato dal Codice di autodisciplina. Alcune
ulteriori analisi sono poi tese a verificare l’esistenza di equilibri tra poteri, in particolare tra
consiglieri indipendenti e comitati interni al CdA.
Lo studio delle differenti tecniche econometriche illustrate nel capitolo 5 ha permesso di
confrontare le potenzialità e nel contempo i problemi che possono sorgere nel loro utilizzo.
Le analisi qui presentate sono basate sul metodo di analisi pooled cross section e si
riferiscono al campione panel di 157 società osservate per gli anni 2004-2007. Si è scelto
di condurre i test econometrici utilizzando il metodo d’analisi pooled cross section e di
inserire le dummy temporali considerando come anno base il 2007, che quindi non figura
nei modelli di analisi. Tale scelta è stata motivata dal fatto che per questo lavoro di ricerca
l’analisi pooled cross section è sembrata migliore rispetto alla tecnica generalmente
utilizzata su campioni panel, ovvero il metodo fixed effects. Lo stimatore FE controlla
infatti per le variabili omesse che differiscono tra le osservazioni del campione, ma sono
costanti nel tempo, ovvero utilizza le variazioni delle variabili nel tempo per stimarne gli
effetti sulla variabile dipendente. Ciò è equivalente a inserire le variabili dummy temporali
(annuali nel nostro caso) che consentono di controllare per gli “effetti fissi” in regressioni
146
pooled OLS. Rilevando però scarsa variabilità nel tempo relativamente alle caratteristiche
del CdA, lo stimatore FE si è rilevato non essere adeguato. Lo stesso vale per lo stimatore
RE (calcolato come media ponderata di FE e BE). Poiché BE trascura molta informazione
(in quanto lavora sulle medie over time) lo stimatore OLS sulla pooled cross section
sembra essere la scelta più adeguata.
Dopo aver effettuato per ogni modello il test di White con l’obiettivo di verificare la
presenza di eteroschedasticità, si sono utilizzati gli errori standard robusti. Si è tenuto
inoltre conto del fenomeno dei cluster: ogni osservazione (ovvero ogni società) in quanto
rilevata per quattro anni appartiene al cluster definito da quella stessa impresa.
Formalmente:
isiisis ucxy ++= β ; nel nostro caso 157=i e 4=s , dove i indicizza il gruppo o cluster e
s indicizza le unità all’interno del cluster.
Poiché si ritiene che le osservazioni all’interno di un cluster siano correlate (come risultato
di un effetto cluster inosservato), si sono utilizzati gli “errori standard robusti ai cluster”
per la presenza appunto di 157 clusters definiti in funzione del “nome della società”.
Le analisi presentate nei seguenti paragrafi sono state realizzate utilizzando anche il dataset
sbilanciato (dataset costituito da 187 società per il 2004, 201 per il 2005, 254 per il 2006 e
261 società per l’anno 2007). In questo caso i risultati ottenuti sono qualitativamente
consistenti e perfettamente coerenti con quelli emersi dalle analisi effettuate sul campione
bilanciato di società; non vengono riportati per ragioni di spazio.
Per le analisi condotte sul campione di imprese panel utilizzando i metodi FE, RE e BE si
rimanda alla trattazione nell’ultimo paragrafo di questo capitolo.
6.1 Le caratteristiche del CdA in funzione della
struttura proprietaria
Un primo insieme di analisi si occupa della relazione tra uno specifico elemento di governo
delle imprese, la struttura proprietaria e le caratteristiche del Consiglio di Amministrazione
delle società quotate italiane del campione, considerate nel periodo 2004-2007. Si è
condotta in tal senso un’analisi innovativa, della quale non si sono trovati contributi in
letteratura. Si ritiene tuttavia che tale analisi possa rappresentare un interessante campo di
147
ricerca, soprattutto se riferita alle società quotate italiane che presentano alcune peculiarità:
strutture proprietarie concentrate e fenomeno della proprietà familiare assolutamente non
trascurabile, come mostrato nel Capitolo 4. La letteratura empirica conferma che gran parte
delle società privatizzate90 agli inizi degli anni Novanta, caratterizzate in una prima fase da
una proprietà relativamente dispersa, ha sperimentato a partire dall’inizio del nuovo
millennio un ricompattamento dell’azionariato. Nelle società considerate esiste dunque un
soggetto che è titolare di una frazione significativa delle azioni societarie e per questo è
incentivato a svolgere un ruolo attivo nella gestione aziendale. Tale soggetto o gruppo di
comando (se vi è una ristretta cerchia di azionisti che detengono quote elevate di capitale
sociale) ha considerevoli probabilità di esercitare un controllo sul management e non di
rado di ricoprire incarichi manageriali (si configura così il sistema definito insider system).
In questo caso si verifica un maggiore allineamento tra la funzione obiettivo del soggetto
controllante e la massimizzazione del valore dell’impresa, in quanto decisioni che non
creano valore comportano un effetto negativo anche per il soggetto o il gruppo di
comando. Il soggetto controllante può infatti influire sul management affinché questo sia
maggiormente incline ad assumere decisioni che accrescono il valore delle azioni; ciò
determina benefici condivisi del controllo (shared benefits of control) che avvantaggiano
tutti gli azionisti. Il problema che emerge di frequente è rappresentato dai conflitti di
interesse tra il soggetto o il gruppo di comando che mantiene il potere di gestione della
società e la proprietà diffusa, ovvero l’insieme di soggetti che apportano capitali senza
influire attivamente sulle decisioni aziendali. Tale situazione tende ad aggravarsi
ulteriormente nel caso in cui la separazione tra proprietà e controllo sia attuata mediante il
ricorso a strumenti legali e o contrattuali che accrescono l’incentivo a espropriare la
ricchezza degli azionisti che non partecipano attivamente alla gestione aziendale. La
comunicazione di governance, istituita in tal senso, dovrebbe permettere ai destinatari di
acquisire consapevolezza in merito alla struttura del capitale e alla presenza di azionisti
rilevanti. Le Linee guida italiane raccomandano infatti la divulgazione di informazioni sul
funzionamento dell’assemblea e sull’interazione tra l’impresa e gli azionisti.
90 Il processo di privatizzazione cui si fa riferimento (della prima metà degli anni Novanta) ha portato alla cessione di consistenti quote di società mediante offerte pubbliche di vendita.
148
Nelle analisi di regressione condotte si è cercato di indagare quindi la relazione tra struttura
proprietaria e assetto di governo societario. Con riferimento alla proprietà diretta91, si è
considerato il grado di concentrazione della proprietà azionaria. Come variabili esplicative
sono state utilizzate il numero di azionisti rilevanti, la quota di capitale sociale detenuta dal
complesso degli azionisti rilevanti e la frazione di capitale azionario dei primi tre azionisti
rilevanti, considerando singolarmente i rispettivi possessi azionari.
Inoltre si è inserita una variabile binaria che indica la presenza di patti di sindacato. In
presenza di compagini azionarie concentrate infatti, la proprietà è scarsamente
contendibile. Pertanto l’eventuale trasferimento del controllo non si verifica tipicamente
mediante scalate ostili, bensì attraverso accordi diretti tra azionisti di riferimento. In tali
sistemi, il mercato della riallocazione del controllo ha scarse possibilità di funzionare quale
meccanismo di governance; sono i meccanismi di controllo interni e quelli legali che
possono offrire una protezione agli azionisti di minoranza.
Relativamente ai primi, assume importanza il ruolo svolto dal Consiglio di
Amministrazione e in particolare la sua composizione, la presenza di amministratori
indipendenti e l’articolazione in comitati che decidono su questioni particolarmente
sensibili per gli azionisti (come, ad esempio, la remunerazione del management o
l’adozione di sistemi di controllo interno).
Dai test condotti (Tabella 6.1, Modelli I - III) emerge che all’aumentare della quota di
capitale sociale detenuta dagli azionisti rilevanti sia considerati nel loro complesso, sia
singolarmente, la dimensione del CdA tende a diminuire92. Tale relazione negativa si
presenta anche, ma con intensità maggiore quando si considera come variabile dipendente
la percentuale di consiglieri indipendenti sul totale degli amministratori del board (in
questo caso i coefficienti sono -0.340 nel Modello I e nel Modello II -0.242, -0.202 tuttavia
non significativo e -1.292): al crescere della concentrazione proprietaria le società tendono
a presentare CdA con percentuali inferiori di amministratori indipendenti (Tabella 6.2,
Modelli I e II).
91 Nel rilevare la struttura proprietaria di ogni società è stato adottato il metodo tradizionale che considera il soggetto presente nell’azionariato della società e misura la partecipazione detenuta in termini di quota di diritti di voto. 92 La relazione è statisticamente significativa all’1% e il coefficiente della variabile in esame è pari a -0.063 nel I modello che considera la percentuale complessivamente detenuta dagli azionisti rilevanti, mentre nel III modello i coefficienti associati alle quote detenute dai primi tre azionisti considerati singolarmente sono pari a -0.058, -0.049 e -0.129.
149
Tabella 6.1. Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: dimensione del CdA
I II III
Capitale sociale azionisti rilevanti (%) -0.063*** -0.056*** (-3.37) (-3.24) Quota 1^ azionista (%) -0.058*** (-6.15) Quota 2^ azionista (%) -0.049** (-2.31) Quota 3^ azionista (%) -0.129*** (-2.94) Proprietà familiare dummy -1.595*** -1.611*** (-2.97) (-5.49) Patti parasociali dummy 1.608*** 1.420*** (3.04) (3.49) Costante 14.620*** 14.241*** 14.299*** (11.41) (11.88) (20.39) Dummy anno sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 R-quadro 0.0738 0.1426 0.1519 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
La relazione tra percentuale di consiglieri esecutivi e concentrazione proprietaria è invece
positiva e significativa ai livelli convenzionali, come mostrato in Tabella 6.2, Modello III.
Allo stesso modo la relazione tra la dimensione del board e l’istituzione di patti di
sindacato è positiva e significativa ai livelli convenzionali. Tuttavia l’ipotesi di una
relazione positiva tra la presenza di accordi parasociali tra azionisti e la percentuale di
azionisti esecutivi che siedono nel board non è confermata dalle regressioni condotte
illustrate nella Tabella 6.2, Modello III.
Le analisi elaborate suggeriscono quindi che, in presenza di strutture proprietarie
concentrate, i Consigli di Amministrazione tendono a essere meno numerosi e a presentare
una minore percentuale di consiglieri indipendenti (entrambe le relazioni sono
statisticamente significative ai livelli convenzionali). Da questo quadro emerge che in
150
presenza di strutture proprietarie concentrate i meccanismi di controllo interni, affidati al
Consiglio di Amministrazione, potrebbero essere poco affidabili.
Tabella 6.2. Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: percentuale di amministratori indipendenti ed esecutivi nel board
Ia IIb IIIc
Capitale sociale azionisti rilevanti (%) -0.340*** 0.231*** (-3.86) (3.21) Quota 1^ azionista (%) -0.242*** (-2.91) Quota 2^ azionista (%) -0.202 (-0.75) Quota 3^ azionista (%) -1.292*** (-2.96) Proprietà familiare dummy -3.651 -3.502 6.538** (-1.47) (-1.44) (2.53) Patti parasociali dummy -1.314 -0.654 -3.159 (-0.42) (-0.22) (-0.94) Costante 60.603*** 56.674*** 14.725*** (10.87) (10.98) (3.01) Dummy anno sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 R-quadro 0.0977 0.0892 0.0911 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli Ia - IIb, variabile dipendente: percentuale di amministratori indipendenti nel CdA. Modello IIIc, variabile dipendente: percentuale di amministratori esecutivi nel CdA.
Tale risultato conferma l’importanza dei meccanismi di controllo legali, ovvero codici e
regolamenti. In particolare quella del Codice di autodisciplina, che regola la struttura e la
composizione dei Consigli di Amministrazione raccomandando un’adeguata
rappresentatività di amministratori indipendenti nel board e che disciplina, tra i vari ambiti
di applicazione, l’intervento diretto o indiretto degli azionisti in assemblea e prevede la
possibilità di promuovere azioni legali nei confronti degli amministratori. Rilevante è il
fatto che il Codice non richieda solo trasparenza informativa: l’introduzione del principio
del “comply or explain” è interpretabile infatti come un forte incentivo per le società
151
italiane verso un progressivo adeguamento alla disciplina in materia di corporate
governance e quindi a un maggior equilibrio nel governo societario.
Oltre alla concentrazione, che determina il grado di controllo sui flussi di cassa futuri, è
rilevante la tipologia dell’azionista di controllo, ovvero il fatto che lo stesso sia una
famiglia, una società, un’istituzione finanziaria, una fondazione o la Pubblica
Amministrazione (Stato o ente pubblico). Diverse tipologie di soggetti proprietari possono
perseguire obiettivi differenti e rispondere a incentivi di diversa natura e ciò si riflette sulla
modalità di gestione dell’impresa e quindi sui risultati.
In particolare, si prendono in considerazione le relazioni tra proprietà familiare e
caratteristiche dell’assetto di governo societario. Se una frazione significativa del capitale
sociale è controllata da una famiglia, si può presumere che essa tenderà a svolgere un ruolo
attivo nella corporate governance, svolgendo incarichi esecutivi all’interno dell’impresa.
Da un lato ciò può comportare un maggior coinvolgimento nelle decisioni aziendali e un
rafforzamento, anche per questa via, della supervisione dell’operato del management,
dall’altro può però determinare l’insorgere di problemi nel caso in cui i membri della
famiglia non siano i soggetti più qualificati a ricoprire tali incarichi. Si ipotizza quindi che i
Consigli di Amministrazione di società “familiari” tenderanno a presentare un numero
ridotto di figure professionali esterne (ovvero gli amministratori non esecutivi) a favore di
membri appartenenti al gruppo familiare; di conseguenza si è proceduto a verificare
l’esistenza di una relazione positiva tra presenza di consiglieri esecutivi nel Consiglio di
Amministrazione e proprietà familiare.
Le regressioni condotte nelle Tabelle 6.1 e 6.2 verificano tale ipotesi: per le società
“familiari” la struttura proprietaria è un fattore determinante la struttura e composizione del
CdA. Nella tabella 6.1 (Modello II) il coefficiente associato alla dummy “proprietà
familiare” è negativo e statisticamente significativo ai livelli convenzionali, a conferma che
nelle società familiari la dimensione del CdA è sensibilmente inferiore rispetto alle società
“non familiari”. Inoltre, la relazione tra percentuale di consiglieri esecutivi nel CdA e
proprietà familiare è positiva e statisticamente significativa (il coefficiente è +6.538): nel
board delle società familiari la componente esecutiva è maggiore rispetto a quella che si
osserva nei board delle altre società, come mostrato nella Tabella 6.2 (Modello III).
152
6.2 Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa
La relazione tra configurazione del CdA e caratteristiche societarie è molto dibattuta e vi
sono teorie che propongono visioni differenti. La resource dependence theory (Pfeffer e
Salancik 1978) considera il CdA come l’organo di collegamento fra l’azienda e il suo
ambiente di riferimento. Esso ha la responsabilità di individuare e acquisire dall’ambiente
esterno le risorse necessarie al funzionamento dell’azienda in modo da ridurre la
dipendenza e le minacce esterne: il CdA si presenta così come una risposta efficiente al
contesto in cui l’impresa è inserita. Secondo la resource based view dell’impresa (Mace,
1986; Provan, 1980), invece, il CdA contribuisce alla performance aziendale non solo
reperendo le risorse necessarie dall’ambiente esterno, ma anche attraverso le competenze e
le esperienze professionali esistenti al suo interno. L’impresa è considerata come l’insieme
delle risorse e delle capacità presenti al suo interno e le competenze possono rappresentare
sia un vincolo allo sviluppo delle imprese, qualora assenti, sia una fonte di vantaggio
competitivo, nel caso siano presenti (Madhok, 1997; Langlois e Robertson, 1995).
Le analisi empiriche presentate nelle Tabelle 6.3, 6.4, 6.5 sono state condotte sulla base
dell’ipotesi che la struttura del Consiglio di Amministrazione sia una risposta efficiente
all’ambiente, ovvero il settore industriale nel quale l’impresa opera. Inizialmente, si è
considerato il campione nel suo complesso, in seguito si sono analizzati in particolare due
settori, quello finanziario e quello high tech.
6.2.1 La dimensione del CdA
La letteratura teorica riconosce la presenza di rilevanti trade off associati alle differenti
dimensioni del Consiglio di Amministrazione, che variano per intensità in funzione delle
peculiarità delle società, ma anche in funzione delle caratteristiche settoriali nelle quali le
imprese operano, come indicato dalla “monitoring hypothesis” illustrata da Boone, Field,
Karpoff e Raheja (2007). Il maggior vantaggio che presenta un CdA numeroso è l’ampia
disponibilità di informazioni sulle diverse determinanti del valore dell’impresa. Tali
informazioni consentono ai membri del CdA di svolgere al meglio i compiti di monitoring
e di indirizzo. Di contro, un CdA numeroso incorre in costi di coordinamento e problemi di
153
free riding maggiori, determinati dal fatto che al crescere della dimensione dell’organo
amministrativo l’influenza media dei singoli membri decresce, riducendo gli incentivi
degli amministratori a sostenere anche costi privati per raccogliere informazioni e a
svolgere attivamente la funzione di monitoring sui manager.
Tabella 6.3. Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa: dimensione del CdA
I II III IV V
Log Attivo 0.319*** 0.123* (3.15) (1.26) Log Fatturato 0.335** 0.397*** (2.27) (2.90) Log Mve 0.647*** 3.820*** 4.874*** 0.673*** 0.619*** (3.87) (3.69) (4.32) (3.64) (4.15) (Log Mve)2 -0.099** -0.156*** (-2.47) (-3.66) Log Mtb -0.596** -0.284 (-2.39) (-1.11) Log Fcf 0.537*** 0.375*** (3.59) (2.76) Leverage -0.014* -0.016* (-1.70) (-1.85) Costante -6.489*** -21.818*** -31.059*** -2.032 -4.973*** (-4.98) (-3.30) (-4.27) (-1.35) (-4.14) Proprietà familiare dummy -0.543** -0.662*** (-2.17) (-2.60) Settore finanziario dummy 2.242*** 2.640*** (5.38) (6.43) Settore high tech dummy -0.315 -0.348 (-0.88) (-1.15) Dummy anno sì sì sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 623 623 621 487 608 R-quadro 0.3114 0.3355 0.3897 0.3915 0.3995 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
154
Tali dinamiche sono state analizzate attraverso i modelli riportati nella Tabella 6.3. I
coefficienti relativi al fatturato, al totale dell’attivo e alla capitalizzazione di mercato
(Modelli I e V) sono tutti positivi e significativi ai livelli convenzionali: ciò conferma
l’ipotesi che la dimensione del board è direttamente e positivamente correlata alla
dimensione d’impresa (come indicato anche nella Tabella 4.14). Le imprese di grandi
dimensioni sono coinvolte infatti con maggiore probabilità in un volume di attività
maggiore rispetto alle imprese di piccole dimensioni e operano in mercati differenti, sia
geografici, sia merceologici. All’interno del CdA sono richieste un maggior numero di
competenze in molteplici ambiti e questo può portare alla nomina di un maggior numero di
amministratori.
I Modelli II e III testano l’esistenza di una relazione non lineare tra la capitalizzazione di
mercato e la dimensione del board. E’ infatti ragionevole ipotizzare che la dimensione del
CdA cresca all’aumentare della dimensione societaria, tuttavia oltre una determinata soglia
l’andamento della curva in esame sia decrescente (e quindi presenti derivata negativa).
Dalle analisi emerge che i coefficienti associati alla variabile Log Mve e alla stessa
variabile elevata al quadrato sono statisticamente significativi, a confermare l’esistenza
della relazione non lineare ipotizzata.
Analizzando inoltre la variazione della dimensione societaria e della dimensione dei
Consigli di Amministrazione, le statistiche descrittive mostrano, come è ragionevole
attendersi, che la variazione della dimensione societaria93 è molto più ampia di quella
osservata nella dimensione del CdA. Nel campione la dimensione massima del CdA è pari
a 25 e quella minima è di 3 amministratori (il multiplo è pari a 8.33), mentre il valore
massimo assunto dalla variabile Mve è pari a 102 mld di euro e quello minimo è di 5.86
mln di euro (il multiplo è pari a 17,400 circa).
La variabile utilizzata come proxy per le opportunità di crescita, ovvero il Mtb, presenta
segno negativo nei Modelli III e IV (tuttavia è significativa ai livelli convenzionali solo nel
Modello III). Questo risultato conferma l’ipotesi per cui le società con opportunità di
crescita elevate operano spesso in settori dinamici dove sono richieste capacità di
coordinamento e tempi di reazione contenuti e quindi sono preferibili strutture di
93 Anche in questo caso si considera la capitalizzazione di mercato, tuttavia la stessa analisi è stata replicata considerando anche il fatturato e il totale dell’attivo.
155
governance più snelle. E’ inoltre in linea con quanto ottenuto da Lehn, Patro e Zaho (2003)
per un campione di società statunitensi.
Introducendo variabili dummy settoriali, relative ai settori finanziario e high tech, il
coefficiente associato alla dummy “financials” è significativo sia statisticamente ai livelli
convenzionali, sia economicamente, con un coefficiente positivo pari a 2.242 e 2.640,
come mostrato nella Tabella 6.3 (Modelli IV e V). Questo risultato conferma il fatto che la
dimensione del CdA delle società finanziarie è maggiore rispetto alla dimensione del CdA
delle società appartenenti a tutti gli altri settori a parità di fattori. Il board delle società
finanziarie assume infatti un ruolo di primo piano nell’ambito dei processi di controllo
degli obiettivi aziendali e del comportamento del management, rivestendo una funzione di
garanzia nei confronti di tutti gli stakeholder. Ciò comporta non solo la verifica del corretto
funzionamento societario, ma anche un’attiva partecipazione al processo decisionale. Per
l’espletamento di queste complesse funzioni i CdA delle società finanziarie hanno una
dimensione media superiore alla dimensione media delle altre società. Ipotetici margini di
interessi economici potrebbero inoltre contribuire a spiegare la presenza di CdA più
numerosi per le società finanziarie. La variabile dummy relativa al settore high tech non è
invece statisticamente significativa ai livelli convenzionali.
6.2.2 La composizione del CdA
Con la stima dei modelli presentati nella Tabella 6.4 si è investigata la diversa percentuale
di amministratori esecutivi (definita anche “insider representation”) e indipendenti
presenti nel CdA delle società del campione.
I Modelli I-III mostrano le variabili fatturato, totale dell’attivo e capitalizzazione di
mercato (tutte espresse in forma logaritmica), che presentano coefficienti negativi e sono
significative ai livelli convenzionali. Questo risultato, consistente con la relazione
evidenziata da Lehn, Patro e Zaho (2003), indica che la dimensione d’impresa è
negativamente correlata alla presenza di amministratori esecutivi nel CdA.
Le dummy settoriali (per il settore finanziario e high tech) nei Modelli II e III sono
economicamente e statisticamente significative ai livelli convenzionali. Il coefficiente della
dummy “financial” è pari a -7.241. Tale valore indica che ceteris paribus, l’insider
156
representation è molto più bassa per le imprese del settore finanziario rispetto alle “società
non finanziarie”. Situazione opposta si riscontra invece per le società del settore high tech,
per le quali il coefficiente associato alla dummy high tech è invece pari a +4.718.
Tabella 6.4. Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa: percentuale di amministratori esecutivi e indipendenti nel board
Ia IIb IIIc IVd Ve
Log Attivo -1.070* 1.013* (-1.72) (1.55) Log Fatturato -0.756 -2.472*** 0.602 (-0.85) (-4.11) (0.65) Log Mve -1.142 -3.420*** (-1.19) (-9.18) Log Mtb 0.518 2.617** -0.184 -0.653 (0.24) (1.95) (-0.13) (-0.45) Log Fcf -1.356* 1.997*** 2.123*** (-1.64) (3.46) (3.08) Leverage -0.134*** 0.131*** 0.151*** (-2.72) (2.60) (2.59) Costante 89.792*** 61.841*** 74.981*** -2.021 0.931 (12.20) (7.34) (14.87) (-0.32) (0.12) Proprietà familiare dummy 4.571** (1.93) Settore finanziario dummy -7.609*** -7.839*** 5.747*** (-2.75) (-4.78) (2.26) Settore high tech dummy 10.164* 7.589** 4.419* (1.72) (2.50) (1.50) Dummy anno sì sì sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 483 614 621 485 487 R-quadro 0.2017 0.2084 0.1988 0.1264 0.1379 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli Ia- III c ,variabile dipendente: percentuale di amministratori esecutivi nel CdA. Modello IVd- Ve , variabile dipendente: percentuale di amministratori indipendenti nel CdA.
Emerge inoltre dai Modelli II e III una relazione positiva e significativa (anche se solo nel
secondo modello) tra opportunità di crescita (Log mtb) e insider representation, a
157
suggerire la validità dell’ipotesi per cui le imprese con elevate opportunità di crescita
necessitano di strutture di governo snelle e flessibili in grado di prendere decisioni veloci,
per le quali è preferibile un gruppo coeso di amministratori esecutivi; un risultato in linea
con l’evidenza riscontrata in letteratura.
I Modelli IV e V nella Tabella 6.4 mostrano i risultati delle analisi che presentano come
variabile dipendente la percentuale di amministratori indipendenti che siedono nel CdA.
Si ipotizza una relazione positiva tra il livello di indipendenza del board (calcolata come
percentuale di amministratori indipendenti nel CdA sul totale degli amministratori) e la
dimensione d’impresa. Si ritiene infatti che il problema di agenzia tra management e
azionisti si acuisca al crescere della dimensione societaria, in quanto la percentuale di
azioni detenute dai manager (che possono costituire degli incentivi a una corretta gestione)
tende a presentare una relazione negativa con la crescita dimensionale dell’impresa. Al fine
di ridurre tale problema di agenzia si ipotizza perciò una relazione positiva tra livello di
indipendenza del CdA e dimensione societaria. Dalle analisi dei Modelli IV e V solo il
coefficiente associato alla variabile “totale dell’attivo” è significativo ai livelli
convenzionali; non si ha perciò evidenza robusta della validità della relazione ipotizzata.
È interessante notare che la variabile inserita nel Modello IV come proxy per la possibilità
di estrazione di rendite (Log FCF)94 presenta coefficiente positivo ed è statisticamente
significativa (all’1%). Pertanto, all’aumentare delle opportunità di estrazione di private
benefit da parte del management le società del campione tendono a inserire nei Consigli di
Amministrazione una percentuale maggiore di consiglieri indipendenti95. Questo risultato è
consistente con quanto indicato da Adams e Ferreira (2006) e Raheja (2005), che mostrano
come la possibilità di estrarre benefici privati per il management sia positivamente
associata alla presenza nel board di un maggior numero di amministratori indipendenti.
Utilizzando come proxy dell’attività di monitoring la presenza nel board di una forte
94 Nelle analisi qui presentate si utilizzano come proxy per l’estrazione di benefici privati il logaritmo dei flussi di cassa. I flussi di cassa societari possono generare infatti conflitti di agenzia, in quanto il management ha incentivi a utilizzarli a proprio beneficio e non per investimenti che creino valore (a beneficio degli azionisti). 95 In ulteriori modelli di analisi qui non presentati si è introdotta la proxy Indice di concentrazione settoriale (Indice di Herfindahl), che non è però risultata significativa ai livelli convenzionali. La concentrazione settoriale calcolata mediante l’Indice di Herfindahl rappresenta anche la possibilità di estrazione di benefici privati. Il management di una società che detiene potere di mercato nell’industria in cui opera può essere meno soggetto alla disciplina di mercato e quindi avere maggiori possibilità di estrarre rendite rispetto al management di società che operano in settori molto competitivi.
158
componente di amministratori indipendenti, si può affermare che vi è evidenza nel
campione di società considerate che all’aumentare della possibilità di estrazione di benefici
privati le società tendono a rafforzare la board independence (che garantisce un’attività di
monitoring al fine di contenere i fenomeni espropriativi).
Nel Modello IV si riscontra inoltre una relazione positiva e statisticamente significativa, tra
livello di indebitamento societario (leverage) e presenza di amministratori indipendenti.
Infine, il Modello V include le dummy settoriali financial e high tech. Solamente la
dummy relativa al settore finanziario risulta significativa ai livelli convenzionali. Il
coefficiente positivo (+5.747) sta a indicare che nei CdA delle imprese finanziarie
maggiore è la quota di amministratori indipendenti rispetto a quella dei CdA di tutte le
altre società. L’evidenza empirica mostra che nelle società finanziarie italiane la funzione
di garanzia nei confronti degli stakeholder è svolta in modo più trasparente grazie a una
maggiore componente indipendente, così come indica il Codice di autodisciplina
affermando che “gli amministratori non esecutivi indipendenti, non essendo coinvolti in
prima persona nella gestione operativa della società, possono fornire un giudizio autonomo
e non condizionato sulle proposte di deliberazione”.
I Modelli probit96 presentati nella Tabella 6.5 mostrano la variazione nella probabilità di
istituzione di comitati interni al Consiglio di Amministrazione in funzione della variazione
delle caratteristiche economiche-finanziarie delle società. Dalle analisi effettuate emerge
che solamente le variabili relative alla dimensione societaria97 sembrano essere rilevanti
nello spiegare la variazione nella probabilità di istituzione dei comitati esecutivo, di
controllo interno, di remunerazione e di proposta di nomine.
Il Modello I presenta infine una relazione positiva e statisticamente significativa tra Log
FCF e istituzione del Comitato esecutivo, ciò suggerisce che al crescere della possibilità di
estrazione di rendite da parte del management aumenta la probabilità che all’interno del
CdA sia istituito un Comitato esecutivo.
96 Nei modelli presentati nella Tabella 5 è stato utilizzato il metodo dprobit. Sono riportati gli effetti marginali, ovvero la variazione nella probabilità di istituire i comitati interni al Consiglio di Amministrazione (le variabili dipendenti considerate nei quattro modelli sono infatti le dummy di ciascun comitato) per una data variazione infinitesimale delle variabili indipendenti. 97 Per ogni comitato interno si riporta solamente un modello tra quelli implementati e verificati, considerando ogni volta una variabile dimensionale differente. Anche nei modelli qui non presentati vi è sempre evidenza di una relazione positiva tra dimensione societaria e probabilità di istituire un comitato.
159
Tabella 6.5. Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa: comitati interni al CdA
Ia IIb IIIc IVd
Log Attivo 0.039** (3.06) Log Fatturato 0.035* 0.023** (1.82) (2.02) Log Mve 0.045*** (2.99) Log Mtb 0.035 0.077** 0.120*** -0.021 (1.01) (2.05) (3.10) (-1.14) Log Fcf 0.023** -0.014 0.001 -0.007 (1.80) (-1.34) (0.03) (-0.83) Leverage -0.002 0.001 0.002 -0.001 (-1.39) (0.75) (1.54) (-0.83) Dummy anno sì sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 485 487 487 487 R-quadro 0.0944 0.0995 0.073 0.0306 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli probit: Modello Ia, variabile dipendente: Comitato esecutivo dummy. Modello IIb, variabile dipendente: Comitato controllo interno dummy. Modello IIIc, variabile dipendente: Comitato di remunerazione dummy. Modello IVd , variabile dipendente: Comitato per le proposte di nomina dummy.
6.3 La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del CdA
Le caratteristiche del Consiglio di Amministrazione rappresentano un insieme di variabili
potenzialmente rilevanti nel determinare la performance aziendale. A questo organo sono
attribuite infatti responsabilità articolate e complesse, che vanno dalla determinazione delle
linee strategiche di sviluppo delle imprese fino all’indirizzo (attività di advising) e al
controllo sulla performance e sull’operato del management (attività di monitoring). Il CdA
160
si configura come un’istituzione in grado di contribuire a limitare i problemi di agenzia
relativi alla gestione e riguardanti prevalentemente i conflitti di interesse esistenti fra
proprietà e management delle imprese. Esso rappresenta quindi un meccanismo di
governance fondamentale ai fini dell’allineamento di obiettivi fra azionisti e management.
L’ipotesi da cui prendono le mosse le analisi di questa sezione è l’esistenza di una
relazione positiva tra la qualità, intesa come accountability, del modello di corporate
governance di un’impresa e il suo valore di mercato98. Tale relazione è resa possibile da
due condizioni: efficienza dei mercati e trasparenza dell’informazione sui fatti societari
(incentivata da codici e regolamenti). Se tali condizioni si verificano, è possibile per gli
investitori apprezzare l’esistenza di pratiche aziendali di “buon governo” che ne tutelino gli
interessi. Tuttavia, ad oggi le conferme di una relazione tra corporate governance e
performance sono assai contenute. In parte, ciò è dovuto ai tempi relativamente recenti di
introduzione della disciplina in materia di corporate governance da parte delle società
quotate. Il processo di recepimento delle norme è tutt’ora in corso e la sensibilità degli
investitori in tale direzione è ancora in fase di definizione. Gli investitori mostrano
solitamente un limitato apprezzamento della disciplina sulla corporate governance,
concentrandosi solamente sui risultati di breve periodo, con una conseguente attenzione
alle determinanti di incrementi degli utili piuttosto che ai meccanismi organizzativi e
gestionali che garantiscono la stabilità dell’impresa nel medio termine.
Per quanto riguarda le caratteristiche istituzionali del CdA, si considerano in questa analisi
fattori quali la dimensione, la percentuale di amministratori esecutivi e indipendenti sul
totale dei membri del CdA, la percentuale di amministratori eletti da liste presentate dalla
minoranza azionaria, la presenza femminile nel board e infine la presenza di comitati
interni al CdA. Come variabili dipendenti si utilizzano la redditività aziendale (ROA),
l’Ebit, le opportunità di crescita (Log Mtb) e la volatilità o rischio d’impresa (deviazione
standard dei prezzi azionari). È ragionevole attendersi che le caratteristiche del Consiglio
di Amministrazione (considerato al tempo t) abbiano un impatto sui risultati della gestione
98 Anche Jensen (1993) indica l’esistenza di una relazione positiva fra le caratteristiche e la qualità del Cda con la performance aziendale complessiva. L’autore ritiene che la qualità incida positivamente sulla performance in quanto consente il corretto indirizzo e governo delle strategie aziendali; la migliore capacità gestionale per quanto riguarda situazioni di crisi o di pressioni competitive; l’efficiente presidio sul sistema dei controlli interni e infine la migliore comunicazione al mercato circa l’attenzione prestata dal CdA al tema del valore per gli azionisti.
161
e quindi sulla performance societaria negli anni successivi (e quindi in t+1, t+2, etc…).
Tuttavia, come mostrato dall’analisi delle statistiche descrittive presentate nel capitolo 4, le
variabili relative alla dimensione e composizione del Consiglio di Amministrazione
presentano scarsa variabilità temporale. Si ritiene quindi ragionevole testare anche dei
modelli che considerano gli effetti contemporanei delle caratteristiche del CdA sulla
performance societaria.
Relativamente al fattore dimensionale, Jensen (1993) e Lipton e Lorsch (1992) sostengono
che a Consigli di Amministrazione di maggiori dimensioni corrisponda una più bassa
performance aziendale. Quando le dimensioni dei CdA sono troppo elevate, questi
assumono per lo più carattere “simbolico” e la loro attività si configura come non allineata
ai processi posti in essere dal management. A questo riguardo si può ipotizzare che il
problema consista sia in un peggioramento dei processi decisionali, sia in una definizione
poco chiara delle responsabilità individuali. Le dimensioni troppo elevate del CdA
potrebbero condizionarne i processi decisionali, in seguito all’emergere (per esempio) di
problemi di comunicazione e di organizzazione delle attività. L’effetto
deresponsabilizzante che deriva dalle dimensioni elevate potrebbe creare infine problemi di
consenso nel raggiungimento di decisioni importanti costituendo, in questo modo, un
rilevante problema per l’esercizio delle attività di controllo sul management.
Le analisi presentate nelle Tabelle 6.6 - 6.8 mostrano in tutti i modelli l’esistenza di una
relazione positiva con variabili statisticamente significative ai livelli convenzionali tra
performance aziendale e dimensione del board. Tale risultato indica che per il campione
considerato la performance è crescente nella dimensione del board. Ciò potrebbe essere
determinato dal fatto che dimensioni più elevate dei Cda possono rendere più effettivo il
controllo sull’operato del management in quanto sarebbe più difficile per quest’ultimo
mettere in atto forme di condizionamento nei confronti dei consiglieri.
Questa relazione positiva non tuttavia è in linea con quanto ottenuto in letteratura.
Eisenberg et al. (1998) individuano infatti una correlazione negativa fra dimensioni del
Cda e Q di Tobin per un campione rappresentativo di imprese finlandesi; Yermack (1996)
individua una relazione negativa per un campione rappresentativo di imprese statunitensi.
Inserendo tra i regressori anche la dimensione del board al quadrato (Tabella 6.6), il
coefficiente del termine di primo grado è di segno positivo, mentre quello di secondo grado
negativo (entrambe le variabili sono significative all’1%). La funzione non lineare
162
analizzata (una parabola) presenta come punto di massimo un valore pari a circa 15. Ciò
indicherebbe che per dimensioni del Consiglio di Amministrazione inferiori a 15
consiglieri, l’effetto dell’inserimento di un nuovo membro nel board fa aumentare la
performance aziendale, per valori dimensionali del CdA superiori l’effetto è invece
negativo.
Tabella 6.6. La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del CdA: Roa
I II III IV* V*
Dimensione del CdA 1.122*** 0.854*** 0.999*** 0.149 (3.61) (2.65) (2.70) (1.37) (Dimensione del CdA)2 -0.038*** -0.028*** -0.033*** (-3.45) (-2.58) (-2.62) Consiglieri esecutivi (%) 0.062*** 0.039*** 0.058*** 0.055*** (4.11) (2.54) (2.94) (2.67) Consiglieri indipendenti (%) -0.024* (-1.60) Consiglieri di minoranza (%) 0.298 0.235 (1.46) (1.20) Consiglieri donne (%) 0.045 0.035 (1.46) (0.88) Comitato esecutivo dummy 1.011* 0.007 (1.64) (0.01) Comitato controllo interno dummy 0.619 1.012 (0.77) (1.06) Comitato remunerazioni dummy -0.153 -0.201 (-0.24) (-0.25) Comitato proposta nomine dummy 0.001 0.341 (0.00) (0.35) Costante -5.606*** -1.607 2.020* -3.964* -0.027 (-2.75) (-0.71) (1.83) (-1.69) (-0.02) Dummy anno sì sì sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 622 622 622 465 465 R-quadro 0.0519 0.0360 0.0406 0.0345 0.0299 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. *Nei modelli IV e V si è considerata la variabile dipendente Roat+1.
163
Le analisi che tengono conto dell’effetto ritardato dell’assetto di governance sulla
redditività (presentate nei Modelli IV e V della Tabella 6.6) mostrano risultati
qualitativamente analoghi e coerenti con quelli ottenuti considerando i modelli
contemporanei.
Riguardo alla composizione dei CdA, si considera l’impatto degli amministratori esecutivi
e di quelli indipendenti sulla redditività d’impresa. I coefficienti associati alla variabile
“percentuale di amministratori esecutivi” riportati nelle Tabelle 6.6 – 6.8 sono positivi a
indicare l’esistenza di una relazione positiva tra presenza di consiglieri esecutivi e risultati
aziendali con l’eccezione del Modello I della Tabella 6.7.
In generale, gli amministratori indipendenti sono scelti oltre che per l’elevato profilo
professionale, per le garanzie fornite di indipendenza di giudizio99. Se tale componente
risulta prevalente, cresce la probabilità di ottenere una maggiore efficacia nel controllo e
quindi si può ipotizzare una migliore performance. Le analisi effettuate non consentono
tuttavia di ottenere evidenza di una relazione positiva tra la presenza di amministratori
indipendenti e redditività aziendale (nel Modello III della Tabella 6.6 il coefficiente è anzi
negativo e statisticamente significativo).
Questi esiti nel complesso poco convincenti si inseriscono in un quadro di risultati
altrettanto contrastanti: alcuni studi, (Baysinger e Butler, 1985) e Hermalin e Weisbach,
1991) mostrano che non esistono correlazioni dirette tra percentuale di amministratori
indipendenti e performance aziendale; altri e relativamente più recenti studi, (Yermack,
1996 e Barnhart e Rosenstein, 1998) trovano una relazione negativa e significativa tra la
proporzione di amministratori indipendenti e la q di Tobin a indicare che le società con più
alte percentuali di amministratori indipendenti nel board conseguono una performance
peggiore.
Anche considerando la presenza di amministratori nel board eletti da liste di azionisti di
minoranza100 non si ottengono risultati definitivi, in quanto la relazione positiva e
99 Ogni anno alle società è richiesta la verifica del rispetto dei requisiti di indipendenza definiti nel Codice di autodisciplina da parte degli amministratori indipendenti e l’esito di tale verifica deve essere comunicata al mercato e successivamente nella Relazione sul governo societario. 100 Come mostrato nel capitolo 4, la presenza nel CdA di amministratori eletti da liste di minoranza è in crescita (nel 2004 solo poco più del 10% delle società presentava nel board almeno un consigliere eletto da liste di minoranza, mentre nel 2007% la percentuale si attesta al 33%), tuttavia riguarda una percentuale minoritaria di società.
164
statisticamente significativa che emerge dai Modelli I e II nella Tabella 6.7 non è verificata
nei Modelli delle Tabelle 6.6 e 6.8.
Tabella 6.7. La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del CdA: Log Ebit
I II* III*
Dimensione del CdA 0.247*** 0.445*** (9.54) (4.68) (Dimensione del CdA)2 -0.007** (-1.95) Consiglieri esecutivi (%) -0.031*** 0.015*** (-7.31) (2.85) Consiglieri indipendenti (%) 0.005 0.010* (0.90) (1.75) Consiglieri di minoranza (%) 0.266*** 0.163** (3.49) (2.23) Consiglieri donne (%) -0.032*** -0.025** (-3.23) (-2.24) Comitato esecutivo dummy 1.184*** 0.202 (5.90) (0.81) Comitato controllo interno dummy 0.520* 0.047 (1.63) (0.13) Comitato remunerazioni dummy 0.408* 0.347 (1.68) (1.29) Comitato proposta nomine dummy 0.122 0.215 (0.36) (0.62) Voto di lista dummy 0.061 0.278 0.458** (0.30) (1.23) (2.12) Costante 10.920*** 7.702*** 6.473*** (27.13) (21.28) (11.07) Dummy anno sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 516 385 385 R-quadro 0.3088 0.3745 0.3561 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. *Nei modelli II e III si è considerata la variabile dipendente Log Ebitt+1
165
Tabella 6.8. La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del CdA: Mtb, deviazione standard dei prezzi azionari
Ia IIb IIIc
Dimensione del CdA 0.167* -0.017 (1.83) (-0.65) (Dimensione del CdA)2 -0.007** (-2.13) Consiglieri esecutivi (%) 0.017 0.009** (1.54) (2.23) Consiglieri indipendenti (%) -0.008 0.002 (-1.15) (0.48) Consiglieri di minoranza (%) -0.085 -0.063 (-1.44) (-1.31) Consiglieri donne (%) -0.010 -0.001 (-0.77) (-0.10) Comitato esecutivo dummy 0.575 0.431 (0.98) (1.60) Comitato controllo interno dummy 0.285 0.262 (0.68) (1.58) Comitato remunerazioni dummy -0.047 0.228 (-0.20) (1.51) Comitato proposta nomine dummy -0.209 0.066 (-1.03) (0.25) Voto di lista dummy 0.669* 0.045 (1.65) (0.26) Costante 1.662* 1.260*** 0.455 (1.63) (3.08) (1.45) Dummy anno sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 470 470 628 R-quadro 0.0125 0.0381 0.0720 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli Ia, IIb, variabile dipendente: Mtbt+1 Modello IIIc, variabile dipendente: deviazione standard dei prezzi azionari
166
D’altra parte, come afferma il commento al Codice di Autodisciplina, “la circostanza che
un amministratore sia espresso da uno o più azionisti di minoranza non implica, di per sé,
un giudizio di indipendenza di tale amministratore”.
Per quanto riguarda l’aspetto della partecipazione femminile all’interno dei Consigli di
Amministrazione, in letteratura si ritiene che la presenza di consiglieri donne possa
contribuire a rendere i board più efficaci grazie alla possibilità di disporre di un ampio
bacino di talenti (Adams e Ferreira, 2004) e di gestire le relazioni con maggiore facilità,
disponendo di profili diversificati (Fields, 2003). Altri autori ritengono invece che
l’aumento della differenziazione rischia di ridurre l’accordo all’interno del “team” di
amministratori (Eisenhardt et Al.,1997), poiché può compromettere la fiducia fra
componenti di genere diverso. Ciò potrebbe essere particolarmente pericoloso in periodi di
tensione competitiva, quando occorre accelerare i processi decisionali e raggiungere
posizioni di consenso in tempi rapidi (Bodega, 1998).
Non vi sono evidenze empiriche in letteratura sufficienti a dimostrare la correttezza
dell’una o dell’altra posizione. Anche le analisi implementate e mostrate nelle Tabelle 6.6-
6.8 non forniscono risultati definitivi: nella maggior parte dei modelli considerati il
coefficiente relativo alla percentuale di donne nel CdA sul totale degli amministratori non
è statisticamente significativo. Solo nei Modelli I e II nella Tabella 6.7, dove si considera
come variabile dipendente il logaritmo del reddito operativo aziendale, il coefficiente della
variabile in esame ha segno negativo a suggerire che all’aumentare di consiglieri donne
che siedono nel board si riducano gli utili d’impresa (ante interessi e imposte). Si tratta in
ogni caso di una relazione che necessita di ulteriori riscontri.
Nel complesso la presenza di comitati interni al CdA non sembra presentare relazioni
dirette con la redditività, il risultato operativo aziendale e le prospettive di crescita. Dalle
analisi dei modelli emerge che solamente il Comitato esecutivo mostra relazioni positive e
significative con la performance societaria.
6.4 Checks and balances
Al fine di incrementare l’efficienza e l’efficacia dei lavori del Consiglio di
Amministrazione, il Codice di autodisciplina prevede espressamente l’istituzione di uno o
più comitati interni al CdA.
167
Per quanto riguarda il Comitato esecutivo, il criterio applicativo 1.C.1 del Codice afferma
che “il Consiglio di Amministrazione attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori
delegati e al Comitato esecutivo definendone i limiti e le modalità di esercizio”. Il CdA è
chiamato comunque a formulare le deleghe in modo tale da non risultare spogliato delle
proprie prerogative (Amministratori delegati e Comitato esecutivo sono tenuti infatti a
riferire al CdA le proprie attività con periodicità inferiore al trimestre).
Le analisi presentate nella Tabella 6.9 hanno l’obiettivo di verificare se esiste una relazione
tra la presenza di amministratori indipendenti nel CdA e la composizione del Consiglio di
Amministrazione considerando in modo particolare i comitati istituiti al suo interno. Il
primo modello evidenzia una forte relazione positiva e statisticamente significativa tra il
numero di amministratori indipendenti e la dimensione del CdA; la stessa relazione
positiva emerge tra il numero di amministratori indipendenti nel board e la dimensione del
Comitato esecutivo. Se nel primo caso la relazione positiva può essere determinata da un
effetto composizione, per cui al crescere della dimensione dei CdA, aumenta il numero di
amministratori che siedono nel CdA e quindi anche quello relativo ai consiglieri
indipendenti, più interessante è invece la seconda relazione. Essa suggerisce che
all’aumentare della dimensione del Comitato esecutivo, cresce la numerosità di
amministratori indipendenti presenti nel CdA. Tale risultato potrebbe essere riconducibile
a un effetto di controllo e bilanciamento dei poteri: le società quotate italiane sembrano
infatti inserire nell’organo amministrativo una maggiore rappresentanza indipendente (che
dovrebbe garantire autonomia di giudizio) per bilanciare il peso di comitati esecutivi
numerosi. Tale effetto di controllo e bilanciamento del potere si presenta con particolare
intensità nelle società appartenenti al settore finanziario, come mostra il Modello II.
Considerando solo il sottocampione di società finanziarie (Modello III), il coefficiente
associato alla dimensione del Comitato esecutivo è statisticamente significativo e di entità
superiore al coefficiente ottenuto nel Modello I (in cui si è considerato l’intero campione),
a conferma del fatto che nelle società finanziarie si ha evidenza di una maggiore
propensione a equilibrare i poteri tra le due categorie di amministratori, esecutivi e
indipendenti.
Sempre in relazione al Comitato esecutivo, l’analisi probit nel Modello I della Tabella 6.10
mostra che la probabilità che tale comitato sia costituito aumenta all’aumentare della
168
dimensione del Consiglio di Amministrazione e tale relazione è più forte per le società
appartenenti al settore finanziario.
Tabella 6.9. Checks and balances: numero di consiglieri indipendenti
I II III* IV
Dimensione del CdA 0.443** -0.142 (1.98) (-0.23) Dimensione Comitato esecutivo 1.471*** 1.312** 3.139*** (3.50) (2.18) (3.38) Dimensione Comitato controllo interno 3.083** (2.13) Dimensione Comitato remunerazioni 1.875* (1.52) Dimensione Comitato proposta nomine 0.418 (0.39) Costante 31.268*** 37.842*** 30.607*** 27.705*** (7.80) (19.94) (3.69) (6.83) Settore finanziario dummy 6.352* (1.73) Settore high tech dummy -2.740 (-0.53) Dummy anno sì sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero di osservazioni 628 628 628 628 R-quadro 0.0584 0.0695 0.2335 0.0978 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. *Nel modello III si è considerato il sottocampione “settore finanziario”.
Il Codice raccomanda inoltre l’istituzione di un Comitato per la remunerazione (art. 7) e di
un Comitato per il controllo interno (art. 8) e richiede infine di valutare l’opportunità di
istituire un Comitato per le nomine (art. 6). Per questi comitati, che hanno “funzioni
propositive e consultive” definisce sia la composizione, stabilendo che la maggioranza dei
membri sia rappresentata da amministratori indipendenti, sia le competenze.
In particolar modo due comitati, quello di controllo e di remunerazione svolgono una
funzione di monitoring dell’operato del Consiglio di Amministrazione.
169
Il Comitato per il controllo interno101 verifica il corretto utilizzo dei principi contabili,
vigila sul processo di revisione contabile e su richiesta esprime pareri su specifici aspetti
inerenti l’identificazione dei principali rischi aziendali. Il suo operato contribuisce a
limitare il conflitto di interessi, definito anche problema di agenzia, tra azionisti e
management. I primi, che agiscono nell’ottica di investitori, richiedono che la gestione da
parte del management sia orientata alla massimizzazione del valore delle azioni. I manager
invece, se da un lato non osteggiano tale obiettivo (in quanto il mancato soddisfacimento
degli interessi degli azionisti può comportare la loro rimozione dall’incarico) dall’altro
possono tuttavia, sfruttando la loro posizione, perseguire obiettivi almeno parzialmente
divergenti dalla massimizzazione del valore. Essi possono mirare ad aumentare il loro
potere e prestigio attraverso l’aumento delle risorse sotto il loro controllo, tendendo ad
accrescere le dimensioni aziendali oltre il livello ottimale dal punto di vista degli azionisti.
Il Comitato per il controllo interno agevola inoltre la diffusione di informazioni a beneficio
di azionisti e creditori riducendo così l’asimmetria informativa tra insiders e outsiders.
Anche l’operato del Comitato di remunerazione (che determina la natura e l’ammontare dei
compensi degli amministratori) contribuisce a limitare il problema di agenzia, in quanto
fornisce gli incentivi per allineare gli obiettivi del management con quelli degli azionisti.
Dalle analisi nei Modelli II-IV nella Tabella 6.10 emerge che (così come individuato per il
Comitato esecutivo) anche per i Comitati di controllo interno e di remunerazione la
probabilità di una loro istituzione è direttamente correlata alla dimensione del Consiglio di
Amministrazione, mentre per il Comitato per le proposte di nomina non vi è evidenza di
una tale relazione. Infine, nel Modello III la variabile dummy per il settore finanziario è
statisticamente significativa ai livelli convenzionali e presenta segno negativo, ad indicare
che per le società finanziarie la probabilità di istituzione del Comitato di remunerazione
cala al crescere della dimensione del board. Infine, per il settore high tech non si hanno
relazioni significative.
101 Il ruolo di tale comitato rimane distinto rispetto a quello attribuito dalla legge al collegio sindacale, che si caratterizza invece per una funzione di verifica prevalentemente ex post.
170
Tabella 6.10. Checks and balances: comitati interni al CdA
Ia IIb IIIc IVd
Dimensione del CdA 0.035*** 0.027*** 0.029*** -0.002 (3.79) (3.97) (3.45) (-0.32) Settore finanziario dummy 0.244*** -0.093 -0.225*** 0.102* (3.24) (-1.59) (-2.79) (1.76) Settore high tech dummy 0.100 0.043 0.092 0.054 (0.79) (0.58) (0.94) (0.78) Dummy anno sì sì sì sì Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero di osservazioni 628 628 628 628 Pseudo R-quadro 0.2738 0.0868 0.0665 0.0284 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli probit: Modello Ia, variabile dipendente: Comitato esecutivo dummy Modello IIb, variabile dipendente: Comitato controllo interno dummy Modello IIIc, variabile dipendente: Comitato di remunerazione dummy Modello IVd , variabile dipendente: Comitato per le proposte di nomina dummy
6.5 Le analisi panel
Considerando il problema associato alla non osservabilità di alcune variabili esplicative
(che possono avere effetti sul comportamento della variabile dipendente), si sono realizzate
inoltre le analisi panel. Si è adottato il metodo fixed effect per controllare per variabili
omesse che differiscono tra le osservazioni ma sono costanti nel tempo (l’ipotesi alla base
del modello FE è che l’eterogeneità sia persistente nel tempo per ogni tipologia di
osservazione, ovvero per ogni impresa, ma differisca tra le imprese considerate). Si è
inoltre considerato il modello random effect, che ipotizza che il fattore di eterogeneità sia
una variabile casuale (ovvero si assume eterogeneità anche all’interno della stessa
impresa), tenendo presente che il software utilizzato per l’analisi econometrica calcola lo
stimatore RE come una media ponderata degli stimatori FE e BE102.
102 Lo stimatore BE è utilizzato nelle analisi panel quando si ritiene che le variabili omesse variano nel tempo ma rimangono costanti tra le osservazioni. Il modello BE prevede l’utilizzo della variazione tra le osservazioni per stimare l’effetto delle variabili indipendenti omesse sulla variabile dipendente. Di fatto, la regressione con lo stimatore BE equivale a una regressione le cui variabili esplicative sono i valori medi di ogni osservazione sui diversi anni. Ciò comporta una notevole perdita di informazioni, perché si elimina la dimensione temporale.
171
Per ogni modello panel considerato si è effettuato il test di Hausman, il cui risultato
consente di scegliere se adottare il metodo d’analisi FE o RE.
Tuttavia dall'applicazione dei diversi modelli panel sono emersi risultati poco convincenti.
Si ritiene che essi siano determinati dalla scarsa variabilità temporale dei dati riguardanti la
struttura dei Consigli di Amministrazione. Se vi è scarsa variabilità nel tempo, infatti, lo
stimatore FE (che lavora proprio sulle variazioni nelle variabili indipendenti per stimare
l’effetto sulla dipendente) non sembra essere adeguato. Lo stesso potrebbe essere vero per
RE che è una media ponderata di FE e BE.
Il calcolo dei valori medi delle caratteristiche dei CdA ha mostrato infatti che la
dimensione e la configurazione dell’organo amministrativo rimane stabile nell’intervallo di
tempo considerato. Si ritiene quindi che la dimensione temporale del fenomeno sia
scarsamente rilevante.
Un ulteriore controllo, realizzato mediante l’utilizzo sempre del modello panel, ma con
stimatore between effect (BE), ha permesso di confermare tale ipotesi in quanto, in
quest’ultimo caso, si sono ottenuti risultati in linea con quelli dell'analisi cross-section.
Poiché BE (lavorando sulla media over time) trascura molta informazione, lo stimatore
OLS sulla pooled cross section con dummy temporali (nel nostro caso dummy anno)
sembra essere la scelta più adeguata.
Si riconferma quindi la scelta iniziale di utilizzo del modello pooled OLS poiché questo
modello rappresenta le relazioni oggetto di studio meglio del modello panel; in Appendice
al capitolo si presentano comunque i modelli studiati con le analisi panel.
172
APPENDICE 6.1 Le analisi panel Tabella 6.1A. Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: dimensione del CdA
FE RE BE
Capitale sociale az.sti rilevanti (%) 0.034** 0.004 -0.067*** (2.48) (0.28) (-3.97) Proprietà familiare dummy 0.194 -0.875** -1.620*** (0.46) (-2.25) (-2.77) Patti parasociali dummy 0.187 0.331 2.515*** (0.68) (1.19) (2.88) Costante 8.245*** 10.505*** 14.692***
(9.98) (11.43) (13.31)
Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 R-quadro 0.1078 0.0733 0.1981 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Nelle analisi presentate nelle Tabelle 6.1A e 6.1B il test di Hausman suggerisce di
utilizzare lo stimatore FE, che presenta però risultati non convincenti in entrambi i casi per
le ragioni già evidenziate nel Paragrafo 6.5. Si sottolinea la perfetta coerenza di risultati tra
il metodo BE presentato nelle Tabelle 6.1A e 6.1B e il modello pooled OLS (Tabella 6.1,
Modelli I, II e III).
173
Tabella 6.1B. Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: dimensione del CdA
FE RE BE
Quota 1^ azionista (%) 0.034** -0.001 -0.067*** (2.29) (-0.07) (-3.77) Quota 2^ azionista (%) 0.001 -0.020 -0.058 (0.03) (-0.72) (-1.33) Quota 3^ azionista (%) 0.044 0.022 -0.194** (1.11) (0.61) (-1.93) Proprietà familiare dummy 0.415 -0.832** -1.609*** (0.87) (-2.10) (-2.74) Patti parasociali dummy 0.210 0.332 2.384** (0.75) (1.19) (2.46) Costante 8.567*** 10.846*** 14.752*** (11.22) (12.91) (13.60) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 R-quadro 0.1383 0.1097 0.2088 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
174
Tabella 6.2A. Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: consiglieri indipendenti
FE RE BE
Capitale sociale az.sti rilevanti (%) -0.267*** -0.303*** -0.351*** (-2.18) (-3.67) (-4.05) Proprietà familiare dummy -0.283 -2.762 -3.754 (-0.15) (-1.31) (-1.27) Patti parasociali dummy -3.340** -3.108** -0.567 (-2.01) (-2.02) (-0.13) Costante 56.834*** 59.918*** 62.644*** (7.85) (10.85) (11.22) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 R-quadro 0.1015 0.1122 0.1153 In parentesi sono riportate le statistiche t. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Tabella 6.2B. Le caratteristiche del CdA in funzione della struttura proprietaria: consiglieri esecutivi
FE RE BE
Capitale sociale az.sti rilevanti (%) 0.044 0.116** 0.254*** (0.56) (2.09) (3.09) Proprietà familiare dummy -0.237 4.081** 6.717** (-0.05) (1.80) (2.40) Patti parasociali dummy 0.568 0.142 -5.474 (0.40) (0.11) (-1.31) Costante 27.921*** 22.037*** 13.788*** (6.14) (6.26) (2.60) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 R-quadro 0.0376 0.1066 0.1185 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Con riferimento ai Modelli presentati nelle Tabelle 6.2A e 6.2B, il test di Hausman
suggerisce di utilizzare lo stimatore RE (che fornisce risultati qualitativamente analoghi al
metodo BE). I modelli BE si dimostrano coerenti con i risultati delle analisi pooled OLS
(Tabella 6.2).
175
Tabella 6.3A. Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa: dimensione del CdA
BE RE BE
Log Attivo 0.003 0.535* (0.05) (1.74) Log Fatturato 0.410** 0.224 (2.30) (0.91) Log Mve 4.003*** 0.697*** 0.479** (2.62) (3.44) (1.92) (Log Mve)2 -0.133** (-2.34) Log Mtb -0.572 (-1.31) Log Fcf 0.817*** (4.06) Leverage -0.020 (-1.41) Costante -26.520*** -4.526** -6.498*** (-2.61) (-2.08) (-2.99) Settore finanziario dummy 2.778*** 2.195*** (3.71) (3.36) Settore high tech dummy -0.370 -0.266 (-0.74) (-0.34) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 487 608 608 R-quadro 0.4421 0.4467 0.4579 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
I modelli BE si dimostrano coerenti con i risultati delle analisi pooled OLS (Tabella 6.3).
176
Tabella 6.4A. Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa: percentuale di amministratori esecutivi (primi due modelli, Re e BE) e indipendenti (ultimi tre modelli, FE, RE e BE) nel board
RE BE FE RE BE
Log Attivo -0.961*** -0.219 3.299** (-2.63) (-0.53) (2.29) Log Fatturato -2.239*** -2.492*** (-4.86) (-3.57) Log Mtb 0.114 0.635 -2.017 -0.840 1.680 (0.11) (0.27) (-1.29) (-0.60) (0.63) Log Fcf 0.212 1.604*** 0.407* (0.36) (3.17) (0.33) Leverage 0.148* 0.141** 0.097 (1.94) (2.29) (1.10) Costante 59.394*** 61.502*** 46.669*** 21.177*** -15.156 (9.00) (6.49) (5.99) (3.35) (-1.33) Proprietà familiare dummy 2.920 4.932* (1.31) (1.78) Settore finanziario dummy -8.148*** -7.431** (-2.93) (-2.45) Settore high tech dummy 10.364** 10.232** (2.11) (2.31) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 614 614 485 485 485 R-quadro 0.2430 0.2465 0.0095 0.1199 0.1689 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Il test di Hausman per il secondo gruppo di modelli (che presenta come variabile
dipendente la percentuale di amministratori indipendenti nel board) suggerisce di utilizzare
lo stimatore FE, i cui risultati non sono tuttavia coerenti con le analisi pooled OLS. Lo
stimatore BE fornisce invece risultati qualitativamente analoghi a quelli ottenuti con le
analisi pooled OLS (sia per il Modello mostrato nella colonna II, sia per quello nella
colonna V).
177
Tabella 6.5A. Le caratteristiche del CdA in funzione delle caratteristiche dell’impresa: comitati interni al CdA
Ia IIb IIIc IVd
Log Attivo 0.116 (1.03) Log Fatturato 0.338 0.325 (1.50) (1.25) Log Mve 0.502** (2.02) Log Mtb 0.410 0.268 -0.181 -0.629 (0.97) (0.62) (-0.43) (-1.24) Log Fcf 0.389** 0.003 0.052 -0.033 (2.40) (0.02) (0.33) (-0.18) Leverage -0.030* 0.001 0.015 -0.022 (-1.84) (0.05) (1.00) (0.15) Costante -9.362*** -2.359 -1.395 -7.696*** (-4.93) (-0.95) (-0.64) (-3.44) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 485 487 487 487 Log likelihood -138.052 -113.272 -146.132 -77.588 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli probit: Modello Ia, variabile dipendente: Comitato esecutivo dummy. Modello IIb, variabile dipendente: Comitato controllo interno dummy. Modello IIIc, variabile dipendente: Comitato di remunerazione dummy. Modello IVd , variabile dipendente: Comitato per le proposte di nomina dummy.
178
Tabella 6.6A. La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del Consiglio di Amministrazione: Roa
FE RE BE
Dimensione del Cda 0.33 0.980*** 1.292*** (0.78) (2.60) (2.69) (Dimensione del Cda)2 -0.014 -0.033** -0.042** (-0.93) (-2.55) (-2.27) Consiglieri esecutivi (%) 0.026 0.051*** 0.073*** (1.03) (3.15) (2.88) Costante 0.406 -4.685** -7.72** (0.15) (-1.99) (-2.41) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 622 622 622 R-quadro 0.0442 0.0792 0.0808 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Tabella 6.6B. La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del Consiglio di Amministrazione: Roat+1
FE RE BE
Dimensione del Cda -0.307 0.812* 1.150** (-0.52) (1.86) (2.22) (Dimensione del Cda)2 0.015 -0.027* -0.038* (0.72) (-1.81) (-1.92) Consiglieri esecutivi (%) 0.034 0.053** 0.064** (0.63) (2.30) (2.30) Costante 3.576 -3.416 -5.819* (0.87) (-1.17) (-1.71) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 465 465 465 R-quadro 0.0446 0.0532 0.0537 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Per le analisi presentate nelle Tabelle 6.6A e 6.6B, il test di Hausman suggerisce di
utilizzare lo stimatore FE i cui risultati non sono coerenti con le analisi pooled OLS. Lo
stimatore BE fornisce invece risultati qualitativamente analoghi alle analisi pooled OLS.
179
Tabella 6.6C. La performance dell’impresa in funzione della tipologia di consiglieri e di comitati interni al CdA: Roa
FE RE BE
Consiglieri esecutivi (%) 0.025 0.032* 0.045* (1.01) (1.87) (1.70) Consiglieri indipendenti (%) -0.001 -0.015 -0.041 (-0.02) (-0.95) (-1.59) Consiglieri di minoranza (%) -0.032 0.180 0.588 (-0.13) (0.89) (1.49) Consiglieri donne (%) 0.116 0.064* 0.033 (1.46) (1.78) (0.60) Comitato esecutivo dummy 1.046 0.942 1.212 (1.13) (1.40) (1.15) Comitato controllo interno dummy -2.518** -0.468 2.365 (-2.05) (-0.56) (1.32) Comitato remunerazioni dummy -0.705 -0.033 -0.830 (-0.77) (-0.05) (-0.56) Comitato proposta nomine dummy -0.588 -0.149 0.413 (-0.46) (-0.16) (0.28) Costante 4.083** 2.341** 1.038 (2.42) (1.99) (0.54) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 622 622 622 R-quadro 0.0053 0.0358 0.0660 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Per le analisi presentate nella Tabella 6.6C, il test di Hausman indica di utilizzare il
modello RE.
180
Tabella 6.7A. La performance dell’impresa in funzione delle caratteristiche del Consiglio di Amministrazione: Log ebit
FE RE BE
Consiglieri esecutivi (%) 0.001 -0.006* -0.036*** (0.29) (-1.76) (-3.43) Consiglieri indipendenti (%) -0.004* -0.002 -0.002 (-1.63) (-0.80) (-0.17) Consiglieri di minoranza (%) 0.066** 0.096*** 0.438*** (2.34) (3.04) (2.77) Consiglieri donne (%) 0.006 -0.002 -0.031 (0.72) (-0.29) (-1.45) Comitato esecutivo dummy -0.156 0.012 1.564*** (-0.93) (0.69) (3.66) Comitato controllo interno dummy -0.116 0.019 1.010 (-0.69) (0.11) (1.47) Comitato remunerazioni dummy -0.091 -0.012 0.158 (-0.58) (-0.08) (0.28) Comitato proposta nomine dummy -0.177 -0.099 0.369 (-0.69) (-0.34) (0.62) Costante 11.312*** 10.955*** 10.551*** (49.38) (39.67) (13.23) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero di osservazioni 516 516 516 R-quadro 0.1296 0.2733 0.3597 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
Per le analisi presentate nella Tabella 6.7A, il test di Hausman suggerisce di utilizzare il
modello FE.
181
Tabella 6.8A. Checks and balances: consiglieri indipendenti
RE BE FE RE BE
Dimensione del Cda -0.767** 0.552 (-2.51) (1.18) Dimensione Comitato esecutivo 0.772 1.290* (1.34) (1.64) Dimensione Comitato controllo interno 1.672** 2.138*** 3.654** (1.98) (2.67) (2.18) Dimensione Comitato remunerazioni 0.269 0.909 2.052 (0.30) (1.34) (1.44) Dimensione Comitato proposta nomine -0.773 -0.378 0.799 (-1.06) (-0.51) (0.51) Settore finanziario dummy 10.798*** 4.283 (2.56) (1.09) Settore high tech dummy -3.984 -1.866 (-1.09) (-0.39) Costante 44.532*** 31.354*** 34.530*** 31.553*** 24.242*** (13.01) ()6.67 (13.87) (11.62) (6.81) Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero osservazioni 628 628 628 628 628 R-quadro 0.0371 0.103 0.1004 0.1238 0.13 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster.
A riguardo degli ultimi tre modelli considerati nella Tabella 6.8A, il test di Hausman
suggerisce di utilizzare il modello FE.
182
Tabella 6.9A. Checks and balances: comitati interni al CdA
Ia IIb IIIc IVd
Dimensione del Cda 0.576*** 0.237*** 0.263*** -0.093 (4.17) (3.83) (3.39) (-1.42) Settore finanziario dummy 3.832*** -1.242** -2.306*** 2.123*** (3.06) (-1.92) (-2.86) (3.11) Settore high tech dummy 1.127 -0.65 1.005 0.951 (0.93) (0.73) (1.04) (1.10) Costante -11.665*** 1.539** 1.671** -5.213*** (-6.12) (2.33) (2.02) (-7.67)
Periodo di tempo considerato 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) 04(1)-07(4) Numero di osservazioni 628 628 628 628 Log Likelihood -118.475 -148.006 -185.57 -103.334 Statistiche t riportate in parentesi. Standard error robusti e corretti per la presenza di cluster. Modelli probit: Modello Ia, variabile dipendente: Comitato esecutivo dummy. Modello IIb, variabile dipendente: Comitato controllo interno dummy. Modello IIIc, variabile dipendente: Comitato di remunerazione dummy. Modello IVd , variabile dipendente: Comitato per le proposte di nomina dummy.
183
APPENDICE 6.2
Tavola 6.2.1 Variabili dummy: descrizione VARIABILI BINARIE (DUMMY VARIABLE) Descrizione Settore finanziario dummy Dummy=1 se la società appartiene al settore
finanziario Settore high tech dummy Dummy=1 se la società appartiene al settore
high tech Comitato esecutivo dummy Istituzione del Comitato esecutivo Comitato controllo interno dummy Istituzione del Comitato di controllo interno Comitato remunerazioni dummy Istituzione del Comitato di remunerazione Comitato per le proposte di nomina dummy Istituzione del Comitato per le proposte di
nomina Voto di lista dummy Adozione del meccanismo del voto di lista Patti parasociali dummy Presenza di patti parasociali Proprietà famigliare dummy Presenza di proprietà familiare
184
185
CONCLUSIONI
In questa tesi si è studiata la corporate governance delle società quotate italiane, tenendo
conto dell’iter legislativo che ha portato all’attuale definizione del modello di corporate
governance, mostrandone le peculiarità e analizzando i cambiamenti determinati dalle
recenti modifiche normative. Sebbene le società italiane possano scegliere tra tre modelli
alternativi di organizzazione dei processi di amministrazione e controllo (tradizionale,
duale e monistico), il modello di corporate governance adottato dalla quasi totalità delle
società quotate in Borsa resta quello tradizionale, che attribuisce a un unico organo
amministrativo, il Consiglio di Amministrazione, il compito di gestire la società.
Sulla base di un dataset costruito appositamente ai fini delle analisi condotte nella tesi e
costituito da tutte le società quotate del periodo 2004-2007103, si sono studiate le
determinanti della struttura del CdA, l’organo chiave del governo societario, e le relazioni
tra CdA e risultati aziendali.
Le analisi empiriche realizzate nella tesi hanno rivelato che la struttura proprietaria delle
imprese gioca un ruolo rilevante nella definizione della governance aziendale. In
particolare la struttura proprietaria delle società italiane quotate appare fortemente
concentrata: molte imprese quotate sono caratterizzate dalla presenza di un unico azionista
di controllo104, o di un gruppo di soci di riferimento e un’altra quota non trascurabile è a
proprietà familiare105. Le analisi econometriche condotte hanno investigato la relazione tra
struttura proprietaria e assetto di governo societario mostrando che, al crescere della
concentrazione proprietaria, i CdA tendono ad avere dimensione più contenuta e una
percentuale inferiore di consiglieri indipendenti. La relazione tra percentuale di consiglieri
103 A partire dal dataset complessivo, formato da tutte le società italiane quotate sulla Borsa Valori di Milano nel periodo 2004-2007 si è individuato un campione (sbilanciato) di società per le quali si hanno dati completi sulla corporate governance (ottenuti dalle Relazioni sulla corporate governance pubblicate sul sito della Borsa Italiana), sulla performance aziendale e sulla struttura proprietaria. Ai fini delle analisi econometriche si è utilizzato un panel bilanciato di 157 società contenente tutte le società per le quali si dispone di un insieme completo di informazioni per tutti gli anni oggetto di indagine. I risultati ottenuti rimangono qualitativamente gli stessi qualora si consideri il panel sbilanciato. 104 La presenza di un unico azionista che detiene il controllo assoluto interessa oltre il 50% delle società quotate, sebbene nei quattro anni si è rilevata una lieve diminuzione di tale quota. Il numero di società con controllo assoluto si è infatti ridotto di alcuni punti percentuali, passando da più del 58% nel 2004 a poco meno del 55% nel 2007. 105 Questo fenomeno interessa più del 30% delle società e la proprietà familiare si attesta in media nei quattro anni analizzati intorno al 52% del capitale sociale.
186
esecutivi e concentrazione proprietaria è invece positiva, a conferma del fatto che gli
azionisti di maggioranza (o di controllo) godono di rilevante influenza e potere contrattuale
nella nomina dei consiglieri che siedono nel CdA. La struttura proprietaria è una
determinante essenziale dell’assetto di governo societario, in particolare per le imprese a
proprietà familiare. La dimensione del CdA delle imprese a proprietà familiare è
sensibilmente inferiore rispetto a quella delle società “non familiari” e la relazione tra
percentuale di consiglieri esecutivi nel CdA e proprietà familiare è positiva e significativa.
Quest’ultimo risultato conferma il fatto che nel board delle società familiari la componente
esecutiva (tipicamente legata alla famiglia) è maggiore rispetto a quella osservata nei
Consigli delle altre società.
Si sono inoltre analizzate le relazioni tra la dimensione del CdA e la sua composizione (in
particolare la percentuale di amministratori esecutivi -“ insider representation”- e la
percentuale di amministratori indipendenti sul totale dei consiglieri del board) e le variabili
economiche e finanziarie d’impresa. I risultati ottenuti confermano l’ipotesi (ampiamente
dibattuta in letteratura) in base alla quale la dimensione del CdA è direttamente e
positivamente correlata alla dimensione d’impresa e si è suggerita l’esistenza di una
relazione non lineare tra la capitalizzazione di mercato e la dimensione del board. Come
evidenziato in letteratura, si è inoltre individuata una relazione negativa tra opportunità di
crescita e dimensione del CdA, a conferma dell’ipotesi secondo la quale le società che
presentano opportunità di crescita elevate operano spesso in settori dinamici dove sono
richiesti tempi di reazione contenuti e sono quindi preferibili strutture di governance più
snelle. La dimensione d’impresa si conferma come la determinante più rilevante nella
spiegazione non solo della dimensione, ma anche della composizione del board. Al
crescere della dimensione societaria, i CdA sono caratterizzati da una minore percentuale
di consiglieri esecutivi a favore di una maggiore componente non esecutiva indipendente,
un risultato che è coerente con l’ipotesi che l’introduzione di consiglieri indipendenti sia
volta a mitigare i problemi di agenzia tra management e azionisti, che aumentano
d’intensità al crescere delle dimensioni dell’impresa.
Coerentemente con quanto evidenziato in letteratura, le opportunità di crescita delle società
italiane quotate sono positivamente correlate con la presenza di consiglieri esecutivi.
L’evidenza empirica mostra, inoltre, che laddove è maggiore la possibilità di estrazione di
benefici privati per il management, maggiore è l’effettiva presenza nel board di un numero
187
più elevato di amministratori indipendenti, a garanzia di una più intensa attività di
monitoring. In particolare, le società finanziarie presentano CdA più numerosi e un peso
maggiore della componente indipendente rispetto a società appartenenti ad altri settori.
Le variabili relative alla dimensione societaria sembrano essere le uniche realmente
rilevanti nella spiegazione della probabilità di istituzione dei comitati (esecutivo, di
controllo interno, di remunerazione e proposta di nomine). Si è peraltro anche verificato
che, al crescere della possibilità di estrazione di benefici privati da parte del management
(misurata per mezzo della variabile FCF), aumenta la probabilità che all’interno del CdA
sia istituito il Comitato esecutivo. Tale evidenza potrebbe rappresentare un segnale della
possibilità di comportamenti collusivi tra consiglieri esecutivi (espressione degli azionisti
di maggioranza) e management dove è maggiore la possibilità di estrazione di rendite.
Sebbene siano necessari ulteriori approfondimenti, un risultato di questo tipo
evidenzierebbe la rilevanza dei problemi di agenzia tra azionisti di maggioranza e
minoranza.
Un terzo insieme di analisi econometriche ha investigato la relazione tra performance
societaria e caratteristiche del CdA, indagando se e come esso possa influire sulla
redditività e sulle opportunità di crescita dell’impresa106. Nei modelli analizzati emerge una
relazione positiva tra performance aziendale e dimensione del board, a suggerire che
dimensioni più elevate dei Cda possano rendere più effettivo il controllo sul management.
Si tratta però di un risultato non scontato rispetto alle evidenze empiriche disponibili in
letteratura. Jensen (1993) e Lipton e Lorsch (1992), ad esempio, hanno mostrato che
l’aumento della dimensione del CdA può comportare sia un peggioramento dei processi
decisionali, dovuto a problemi di comunicazione e di organizzazione delle attività, sia un
problema di coordinamento in seguito a un’imprecisa definizione delle responsabilità
individuali.
Circa l’impatto della composizione dei CdA sulla performance aziendale, si è riscontrata
una relazione positiva tra presenza di consiglieri esecutivi e risultati, mentre non si è
trovata evidenza di una relazione tra amministratori indipendenti e redditività aziendale. La
presenza di amministratori donne nel board e di consiglieri eletti da liste presentate da
106 Sebbene sia naturale attendersi un impatto ritardato delle caratteristiche del CdA sulla performance aziendale, la scarsa variabilità temporale osservata nella dimensione e composizione del CdA consente anche di testare relazioni contemporanee. I risultati ottenuti utilizzando variabili ritardate e quelli basati su variabili contemporanee forniscono infatti risultati qualitativamente analoghi.
188
azionisti di minoranza non sembra determinare effetti specifici. Allo stesso modo, nel
complesso la presenza di comitati interni al CdA non sembra avere effetti diretti sulla
performance societaria (misurata in diversi modi: redditività, risultato operativo aziendale
e prospettive di crescita). Solo la presenza di un Comitato esecutivo ha un effetto positivo e
significativo sulla performance societaria.
Si è verificata, infine, l’esistenza di possibili equilibri tra poteri di gestione attribuiti al
Consiglio di Amministrazione considerato nel complesso delle sue articolazioni,
analizzando in particolare le relazioni intercorrenti tra la presenza di amministratori
indipendenti nel CdA e il Comitato esecutivo. La probabilità di istituzione di un Comitato
esecutivo cresce all’aumentare della dimensione del Consiglio di Amministrazione. Inoltre
la dimensione dei comitati esecutivi è correlata positivamente alla presenza di
amministratori indipendenti nel board. Ciò può essere spiegato sia con un puro effetto di
“composizione”, per cui al crescere della dimensione del CdA aumenta il numero di
consiglieri esecutivi così come quello degli amministratori indipendenti, sia con un effetto
definibile di “controllo o bilanciamento” dei poteri, che sembra presentarsi con particolare
intensità nelle società appartenenti al settore finanziario. La probabilità di costituzione di
Comitati di controllo interno e di remunerazione, con funzioni propositive e consultive, è
invece spiegabile essenzialmente attraverso un effetto di “composizione”, in base al quale
la probabilità di istituzione è direttamente correlata alla dimensione del Consiglio di
Amministrazione.
Complessivamente, i risultati ottenuti evidenziano l’esistenza di rilevanti problemi di
agenzia tra azionisti di maggioranza e minoranza, determinati innanzitutto dalla
concentrazione della struttura proprietaria. Se da un lato la concentrazione della proprietà
societaria può essere desiderabile, in quanto un commitment di lungo periodo assunto
dall’azionista di riferimento e il suo coinvolgimento diretto nell’impresa riducono
fortemente il rischio di politiche di breve termine nelle decisioni di investimento
(garantendo quindi la massimizzazione del valore societario), dall’altro tale sistema
comporta l’insorgere di conflitti di interesse tra il soggetto, o il gruppo di comando che
mantiene il potere di gestione della società, e la proprietà diffusa, ovvero l’insieme di
soggetti che apportano capitali senza influire attivamente sulle decisioni aziendali. Tali
conflitti sono acuiti dal fatto che, come si è mostrato, al crescere della concentrazione
proprietaria la percentuale di amministratori indipendenti (coloro che dovrebbero garantire
189
un giudizio autonomo e non condizionato da interessi personali nelle deliberazioni) che
siedono nel CdA tende a ridursi107.
Per risolvere problemi di agenzia di questo tipo tra azionisti di maggioranza e di minoranza
una possibile soluzione sembra essere l’applicazione del meccanismo del voto di lista. In
questo senso è auspicabile una più diffusa applicazione sostanziale di tale criterio108, in
quanto in grado di favorire più trasparenti procedure di nomina degli amministratori e una
più equilibrata composizione del board, consentendo una rappresentatività effettiva degli
azionisti di minoranza nel Consiglio di Amministrazione109.
Come più volte sottolineato nella tesi, il tema della corporate governance è attuale e in
divenire. Ulteriori approfondimenti di questo lavoro potrebbero consentire di individuare le
possibili relazioni che intercorrono tra le diverse società quotate, tanto in relazione ai
meccanismi di controllo - a monte e a valle - che definiscono i cosiddetti “gruppi
industriali quotati”, quanto ai legami che le società quotate stabiliscono, tramite la
condivisione dei consiglieri che siedono in diversi Consigli di Amministrazione (fenomeno
del cumulo delle cariche o interlocking directorship). Inoltre, il passare del tempo
consentirà di analizzare sistematicamente l’impatto dell’introduzione del Codice di
autodisciplina del 2006 sulle società quotate italiane. In particolare, considerando un
intervallo di tempo centrato sull’introduzione del Codice (ad esempio il triennio precedente
e quello successivo), sarà possibile studiare gli eventuali mutamenti negli assetti di
governo delle società (mutamenti solamente marginali a oggi) in seguito alla crescente
rilevanza della disciplina sulla corporate governance.
107 Ulteriori problemi di agenzia possono essere ricondotti alla relazione positiva rilevata tra possibilità di estrazione di rendite e incremento della probabilità di istituzione del Comitato esecutivo. 108 Secondo quanto dichiarato dalle stesse società quotate italiane nelle Relazioni sulla corporate governance, ha adottato il meccanismo del voto di lista il 22% circa delle società nel 2004, così come nel 2005. Nel 2006 tale percentuale è salita al 58% circa e nel 2007 il 71% delle società ha dichiarato di adottare tale meccanismo. 109 Nel 2004 solamente il 12% circa dei CdA delle società quotate italiane presentava almeno un consigliere eletto tra le liste di minoranza, nel 2005 tale percentuale è cresciuta al 16% circa, nel 2006 ha raggiunto il 24% e nel 2007 il 33%.
190
BIBLIOGRAFIA
Alchian, A. e H. Demsetz, 1972. “Production, Information Costs and Economic Organization”. American Economic Review 62, 775-795. Adams, R. B., Ferreira D., 2004. “Gender Diversity in the Boardroom”. ECGI, Finance Working Paper 57. Agrawal A. e Knoeber C.R., 1996. “Firm Performance and Mechanisms to Control Agency Problems between Managers and Shareholders”. Journal of Financial and Quantitative Analysis 31/3. 377-398. Baglioni, A., 2008. “Corporate governance institutions as signalling and commitment devices”. Mimeo, Università Cattolica del Sacro Cuore. Baker, M., Gompers, P., 2003. “The determinants of board structure at the initial public offering”. Journal of Law and Economics 46, 569-598. Barnhart, S. W., Rosenstein, S. 1998. “Board Composition, Managerial Ownership, and Firm Performance: An Empirical Analysis”. Financial Review 33, 1-16. Baysinger, B.D., Butler, H.N., 1985. “Corporate Governance and the Board of Directors: Performance Effects of Changes in Board Composition”. Journal of Law, Economics, and Organization 1, 101-124. Baysinger, B.D., Hoskisson, R.E., 1990. “The Composition of Boards of Directors and Strategic Control: Effects on Corporate Strategy”. Academy of Management Review 15, 72-87. Bennedsen, M., Wolfenzon, D., 2000. “The Balance of Power in Closely Held Corporations”. Journal of Financial Economics 58, 113-139. Berle, A. A. e G. C. Means, 1932. The Modern Corporation and Private Property. New York: Harcourt, Brace & World.
Bhagat, S., Black, B. 1998. “The relationship between board composition and firm performance”. In “Comparative corporate governance: the state of art and emerging research, edited by Hopt, K. Hideki H., Roe M. Oxford: Clarendon Press.
Black, B., 2001. “The Legal and Institutional Preconditions for Strong Securities Markets”. UCLA Law Review, 48, 781- 810.
191
Bloch, F., Hege, U. 2001. “Multiple shareholders and control contests”. Working paper. Université Aix-Marseille and Greqam, HEC School of Management, Center Tilburg and Cepr. Bodega, D., 1998. “L’impatto della composizione dei Consigli di amministrazione sui risultati dell’azienda” in Corporate governance a cura di Airoldi, G. e Forestieri, G., Etaslibri, Milano. Boone, A., Field, L., Karpoff, J. e C. Raheja, 2007. “The determinants of corporate board size and composition: an empirical analysis”. Journal of Financial Economics 85, 66-101. Byrd, J.W., Hickman, K.A., 1992. “Do Outside Directors Monitor Managers? Evidence from Tender Offer Bids”. Journal of Financial Economics 32, 195-222. Demsetz, H., 1983. “The Structure of Ownership and the Theory of the Firm”. Journal of Law and Economics 26, 375-390. Eckbo, E., 2005. “Strong Insiders Invite Weak Governance”. Financial Times, Mastering Corporate Governance Series, May 20. Eisenhardt, K.M., Kahwajy, J.L. and Bourgeois J. 1997. “Conflict and Strategic Choice: How Top Management Teams Disagree”. California Management Review 39, 42-62. Faccio, M., Lang, L., P.H., 2002. “The Ultimate Ownership of Western European Corporations”. Journal of Financial Economics 63, 365-95. Fama, E., Jensen, M., 1983. “Separation of ownership and control”. Journal of Law and Economics 26 (2), 301-325. Fields, M.A., Keys P.Y., 2003. “The Emergence of Corporate Governance from Wall St. to Main St.: Outside Directors, Board Diversity, Earnings Management and Managerial Incentives to Bear Risk”. The Financial Review 38, 1-24. Graziano, C., Luporini, A., 2003. “Board Efficiency and Internal Corporate Control Mechanisms”. Journal of Economics and Management Strategy 12, 495-530. Harbula, P., 2007. “The Ownership Structure, Governance, and Performance of French Companies”. Journal of Applied Corporate Finance 19, 88-100. Hermalin, B.E., Weisbach, M., 1988. “Determinants of board composition”. Rand Journal of Financials Economics 19, 95-112. Hermalin, B.E., Weisbach, M., 1998. “Endogenously Chosen Boards of Directors and their Monitoring of the CEO”. American Economics Review 88, 96-118. Hermalin, B.E., Weisbach, M., 2001. “Boards of Directors as an Endogenously Determined Institution: a Survey of the economic Literature”. Economic Policy Review- Federal Reserve Bank of New York 4, 7-26.
192
Hermalin, B.E., Weisbach, M., 1991. “The Effects of Board Composition and Direct Incentives on Firm Performance”. Financial Management, 20, 101-112. Hirshleifer, D., Thakor, A. V., 1994. “Managerial performance, boards of directors and takeover bidding”. Journal of Corporate Finance, 1, 63-90. Hirshleifer, D., Thakor, A. V., 1998. “Corporate Control Through Board Dismissals and Takeovers”. Journal of Economics and Management Strategy, 7, 489-520. Jensen, M., Meckling, W., 1976. “Theory of the firm: managerial behavior, agency costs and ownership structure”. Journal of Financial Economics 3, 305-360. Jensen, M., 1993. “The modern industrial revolution, exit and the failure of internal control systems”. Journal of Finance, 48, 831-880. Laeven, L., Levine, R., 2006. “Complex Ownership Structure and Corporate Valuations”. Nber working paper series. Review of Financial Studies. Langlois R.N. e Robertson P.L., Firms, Markets and Economic Change, Routledge, London, 1995. La Porta, R., Lopez-De-Silanes, F., Shleifer, A. and Vishny, R.W., 1998. “Law and Finance”. Journal of Political Economy 106, 6, 1113-1155. La Porta, R., Lopez-de-Silanes, F. and A. Shleifer, 1999. “Corporate ownership around the World”. Journal of Finance, l54, 471-518 Lehn, K., Patro, S., Zhao, M., 2003. “Determinants of the size and structure of corporate boards: 1935-2000”. Working paper, University of Pittsburgh. Linck, J.S., Netter, J.M., and Joung, T., 2007. “The Determinants of Board Structure”. Journal of Financial Economics 87, 308-328. Lipton e Lorsch, J., 1992. “A Modest Proposal for Improved Corporate Governance”. Business Lawyer 48, 59-77. Lorsch, J., MacIver, E., 1989. Pawns or Potentates: The Reality of America’s Corporate Boards. Harvard Business School Press Boston. Mace, M., 1986. Directors, Myth and Reality, Harvard Business School Press, Boston (Massachusetts). Madhok A., 1997. “Cost, Value and Foreign Market Entry Mode: the Transaction and the Firm”. Strategic Management Journal 18, 39-61. Millstein, I. M., 1993. “The Evolution of the Certifying Board”. Business Law Review 48, 1485.
193
Parbonetti, A., 2006. Corporate Governance: problemi di configurazione degli organi societari e riflessi sugli andamenti societari. Giuffrè editore, Milano. Perrini, F., Rossi, G., Rovetta, B., 2007. “Concentrati è meglio?” Economia & Management 4, 37-56. Provan K.G., 1980. Board Power and Organizational Effectiveness Among Human Service Agencies, Academy of Management, 23, 221-236. Raheja, C., 2005. “Determinants of board size and composition: a theory of corporate boards”. Journal of Financial and Quantitative Analysis 40, 283-306. Salancik, J. R., Pfeffer J., 1978. “A contingency model of influence in organizational decision-making”. Pacific sociological review, 21, 239-256. Salvioni, D. M., 2007. Corporate governance, controllo e trasparenza. Franco Angeli s.r.l., Milano. Santella, P., Drago, C., Paone, G., 2006. “How Independent are Italian Independent Directors? The case of Italy”. Working Paper Series. Sena, V., 2007. Large shareholders and the performance of firms. The case of Italian manufacturing. New Issues in Corporate Governance, Nova Science Publishers, Inc. Shleifer, A., Vishny, R., 1997. “A Survey of Corporate Governance”. Journal of Finance 52, 737-783. Shleifer, A., Wolfenzon, D., 2002. “Investor protection and equity markets”. Journal of Financial Economics, 66, 3-27. Tirole, J., 2006. The theory of corporate finance. Princeton University Press. Yermack, D., 1996. “Higher Market Valuation of Companies with a Small Board of Directors”. Journal of Financial Economics, 40, 185-211. Warther, V.A., 1998. “Board effectiveness and board dissent: a model of the board’s relationship to management and shareholders”. Journal of Corporate Finance 4, 53-70. Wooldridge, J. M., 2006. Introductory Econometrics. A modern approach. Thomson South-Western. Mason, Ohio 45040 Usa. Wooldridge, J. M., 2002. Econometric analysis of cross section and panel data. Cambridge, Massachussets, London, England: The MIT Press.
194
Riferimenti guiridici: UN, 1996. Guidance on Good Practices in Corporate Governance Disclosure. USA, 1992. Rapporto COSO (Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission). Regolamento Europeo (CE n. 2157/2001). OECD 2004. Principles of Corporate Governance. www.oecd.org. Direttiva 2006/46/CE. Direttiva 2003/6/CE. Direttiva 2006/43/CE (“Revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, modifica delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE e abrogazione della direttiva 84/253/CEE”). Legge 216/74 (integrazione del disposto del Codice Civile in materia di bilancio). D.Lgs. 58/98 (Legge Draghi o Testo Unico della Finanza- TUF). Codice Preda (1999) modificato nel 2002 e nel 2006: Codice di Autodisciplina (03/2006). Legge sul Risparmio e i relativi Regolamenti attuativi 262/2005. D.Lgs. 29 dicembre 2006 n. 303. Consob, 2007. Informazioni sull’adesione a codici di comportamento. Assonime, 2007. Guida alla compilazione della relazione sulla corporate governance. Istat, 2005. “Competitività per classi di addetti_2005”.