Superare e Vincere Ansia e Stress · 2017-04-26 · relazione su quanto stress e disturbi...

30
1 ATTI DEL CONVEGNO Superare e Vincere Ansia e Stress nella scuola, nel lavoro e nella vita personale Le cause ed i principali effetti dell’ansia e dello stress sul corpo e sulla mente Conseguenze e cure innovative Roma, 23 Novembre 2016 Comune di Musei Capitolini – Sala Pietro Da Cortona

Transcript of Superare e Vincere Ansia e Stress · 2017-04-26 · relazione su quanto stress e disturbi...

1

ATTI DEL CONVEGNO

Superare e Vincere Ansia e Stress nella scuola, nel lavoro e nella vita personale

Le cause ed i principali effetti dell’ansia e dello stress sul corpo e sulla mente

Conseguenze e cure innovative

Roma, 23 Novembre 2016

Comune di

Musei Capitolini – Sala Pietro Da Cortona

2

Programma

Dr. Antonio Popolizio

PPSSIICCOOLLOOGGOO -- PPSSIICCOOTTEERRAAPPEEUUTTAA -- DDIIRREETTTTOORREE CCEENNPPIISS OORRIIOONN

Interventi

Corpo e Mente: le diverse espressioni di Ansia e Stress

Dr.ssa Patrizia Del Sole - Dr.ssa Francesca Zonzo FFAARRMMAACCIISSTTAA OOMMEEOOPPAATTAA PPSSIICCOOLLOOGGAA

Intervento scritto

Dr.ssa Michela Marino PPSSIICCOOLLOOGGAA PPSSIICCOOTTEERRAAPPEEUUTTAA

STRESS A SCUOLA

Dr. Pietro Castiello PPSSIICCOOLLOOGGOO –– RREESSPPOONNSSAABBIILLEE EE CCOOOORRDDIINNAATTOORREE PPRROOGGEETTTTII SSCCUUOOLLEE CCEENNPPIISS OORRIIOONN

Testimonianze

Stress dell’alunno, stress del genitore, stress a scuola

STRESS NEL LAVORO

Dr. Pietro Tranfaglia QQUUAADDRRII DDIIRRIIGGEENNTTII AAZZIIEENNDDAA MMUULLTTIINNAAZZIIOONNAALLEE

Stress nel mondo del lavoro: cause, effetti, interventi

STRESS NEL SOCIALE

Dr. Antonio Popolizio

L’inconscio collettivo, perdita delle sicurezze sociali e personali … lo stress

STRESS E CURA INTEGRATA PSICOLOGIA E MEDICINA Disturbi psicosomatici nelle diverse aree della medicina

Dr. Fabio Fabiano - Dr. Alessandro Ficara - Prof. Nicola Dardes

NNEEUURROOLLOOGGOO CCAARRDDIIOOLLOOGGOO PPNNEEUUMMOOLLOOGGOO

3

Introduzione al Convegno

________________________________________________________

Antonio Popolizio Psicologo, Psicoterapeuta

Direttore ASSOCIAZIONE CENPIS ORION Benvenuti a tutti e grazie per essere qui presenti. Sono Antonio Popolizio, direttore del Cenpis Orion, Psicologo e Psicoterapeuta. Vediamo il percorso che faremo questa mattina insieme. Io aprirò il tema con una relazione introduttiva su cos'è lo stress in tutti i suoi significati, perché questa parola è molto sfruttata e confusa con il termine stanchezza: quando siamo stanchi spesso utilizziamo l’espressione “sono stressato” e non è corretto. Lo stress è qualcosa di molto complesso, un processo biochimico con delle conseguenze dirette sulle persone, che analizzeremo nel corso del percorso di stamattina. In seguito, tratteremo il tema della psicosomatica. La psicosomatica è la scienza della psicologia e medicina indicata per rispondere a tutte le domande sullo stress. Dov’è nata? Da S.Freud. Vedremo un breve filmato proprio su Freud che fu il padre della psicoanalisi. Lui fece all’inizio della sua carriera di medico una grossa scoperta scientifica: l’esistenza dell’inconscio e come la maggior parte dei conflitti in questo ambito possono generare una psico-somatizzazione e sintomi psicosomatici curabili a livello più profondo della psiche umana da lui chiamata inconscio. Parleremo dell’interpretazione dei sogni, come espressione dell’inconscio, un tema interessante che desta sempre grande curiosità, dei sintomi psicosomatici da stress e la portata del fenomeno nella società attuale. Successivamente, passerò la parola alla Dottoressa Del Sole, omeopata e farmacista, che spiegherà cosa succede nel cervello a livello di stress. Ho il piacere di presentare il Dott. Pietro Castiello, Responsabile dell’area Psicologia e dell’Area Scuola-Famiglia, l’équipe medica del nostro Centro Psicosomatica, in particolare il cardiologo Dott. Alessandro Ficara, il neurologo Dott. Fabio Fabiano e il Dott. Nicola Dardes, pneumologo, che faranno una relazione su quanto stress e disturbi psicosomatici trovano nella loro medicina specialistica. Interverrà anche la Dott.ssa Francesca Zonzo, Psicologa, che opera nel mondo della scuola da anni con noi, che parlerà di un caso di stress di una ragazzina di quattordici anni. Entriamo nel vivo. Un certo signore dunque di nome Freud, che tutti conosciamo “di nome e di fatto”, ha rivoluzionato il mondo della scienza medica, facendo il medico, e seguendo le cure innovative di Charcot su disturbi e malattie nervose condotte con l’ipnosi del paziente. Charcot fu il primo a scoprire che attraverso l’ipnosi era possibile accedere a una parte della coscienza in cui, lasciando dei comandi, la persona direttamente obbediva anche in fase di veglia: come al comando “non devi avere questa paura”, la persona si svegliava e non aveva questa paura. Il problema era che non durava, per cui gli effetti erano a tempo. Charcot fu il primo a capire che c'è una parte del cervello che non è cosciente. Freud, grande studioso viennese e medico, si chiese: “perché non dura?”. C’è dunque qualcosa che noi non conosciamo che chiamò inconscio. Noi in realtà abbiamo tre menti: se ne conosce una soprattutto, la razionalità, attraverso cui pensiamo di dominare la nostra vita. In realtà c'è un secondo mondo interiore, la seconda mente subcosciente che è il mondo delle emozioni, degli affetti, dell'attaccamento, dei traumi che è molto forte e molto più importante. La razionalità serve a vivere la quotidianità, a risolvere problemi, a capire il mondo, mentre le emozioni sono la spinta, il motore delle persone. Una persona motivata, come voi qui oggi,

4

ha una spinta nel subcosciente, nelle emozioni, la curiosità di conoscere e sapere, una spinta quindi di emozione e non di razionalità. Freud ha scoperto una terza mente che lui chiama inconscio. Cominciò a lavorare a fondo su di esso e scoprì come mezzo innovativo d’indagine per esplorarla l’interpretazione dei sogni. Pensava: come mai si sogna come in codice, come un codice cifrato? Capì cosi che i sogni tirano fuori dal nostro inconscio traumi, paure, blocchi, conflitti, che vengono messi in una parte di noi che non conosciamo, come se non volessimo sapere e conoscere il suo contenuto. Questo inconscio si esprime all’esterno col comportamento e con i sintomi psicosomatici. Freud cominciò, dunque, a differenziare i sintomi comportamentali dai sintomi fisici e curò il primo caso di isteria, come somatizzazione di qualcosa non risolto, angosciante e preoccupante che si scarica su un organo bersaglio del corpo, invalidandolo in parte. In seguito, il Dott. Castiello mostrerà, come nella scuola, attraverso tre casi molto interessanti, si vede come ci sono dei blocchi in questa zona del cervello, dei blocchi di paura, casi di alunni che studiano, ma che durante le interrogazioni non rendono secondo le loro possibilità. Faccio l’esempio su un sintomo molto diffuso oggi che è l'attacco di panico. Che cos’è l’attacco di panico? Sembra un attacco d'ansia dovuto a qualche paura; il 40% della popolazione soffre di pre-panico da ansia o panico. L'attacco di panico visto nella chiave di Freud è l'inconscio che esplode nella coscienza attraverso un sintomo di immobilità, perché l’attacco di panico è un attacco di morte: per chi l’ha provato sembra di morire. Ci sono dei farmaci molto efficaci di nuova generazione che i nostri medici usano che risolvono la crisi psicosomatica vera e propria. Si è visto però che, se si lavora solo con il farmaco, il problema ritorna. Infatti, se quella è un’espressione dell’inconscio che sta parlando, dobbiamo immaginare i sintomi come un messaggio dal profondo. Freud provò a curare la somatizzazione di un paziente con l'interpretazione dei sogni e le libere associazioni. Per intenderci, se io chiedo a un ragazzo: “che cos’hai? Perché non studi?” e lui risponde che vorrebbe studiare ma non ci riesce la spiegazione di tutto questo potrebbe stare nel suo inconscio! Faccio un esempio pratico: a volte un ragazzo, per non permettere ai genitori di separarsi, con l'inconscio, non con la ragione, può creare un problema scolastico. La sua paura di perdere i genitori gli fa mettere in atto dei sintomi che sono comportamentali, ma a sua insaputa e questi comportamenti riuniscono i genitori e impediscono loro di separarsi, mantenendo i genitori e la loro famiglia. Molto spesso i docenti intuitivamente hanno una percezione dell’inconscio degli alunni; infatti mi è capitato che i docenti mi dicessero “qui i conti non tornano, è un ragazzo in gamba, ci deve essere qualcosa nella famiglia”. Ci sono, dunque, delle professioni in cui si ha a che fare con le persone per cui acquistare questa chiave di lettura più profonda aiuta a intervenire con maggiore efficacia. Questo è uno dei nostri intenti. Quando Freud scoprì questo, disse che il corpo non era il solo responsabile dei sintomi, ma corpo e mente sono in interazione tra loro, esprimendosi in quella società Ottocentesca con la frequente isteria. Nella società del 2000, l’ansia e l’attacco di panico sono i sintomi più frequenti ed è per questo che vi dobbiamo porre attenzione. E’ l’espressione di un inconscio collettivo in paura prodotto dalla società moderna. La psicosomatica è la giusta risposta a questo fenomeno. Un dato importante a riprova che gli attacchi di panico così frequenti oggi sono l’espressione di una paura di vivere inconscia dell’uomo moderno! Sapete che nella Seconda Guerra Mondiale, gli inglesi che stavano sotto i bombardamenti tutte le notti e dormivano nella metropolitana o nelle cantine delle loro case non avevano attacchi di panico, avevano paura si

5

della morte ma sono due cose ben diverse. La paura era fisica, di morire, mentre l’attacco di panico è la paura di perdere l’IO, di avere una grossa perdita affettiva, una grossa decisione da prendere, un conflitto morale dentro di sé, per cui l’IO profondo si spezza, si immobilizza e la persona per la paura regredisce come un bambino impaurito. Freud scoprì dunque che i metodi d’indagine dell’inconscio e di cura erano due: il primo costituito dalla tecnica delle libere associazioni, nel quale il paziente ferma la ragione e parla a ruota libera con il suo profondo senza interruzioni. Dopo un po’ uscivano alcune verità, attraverso domande e risposte con lo psicoterapeuta, da cui emergeva l’origine del conflitto inconscio. Il secondo metodo d’indagine dell’inconscio di Freud era costituito dall’interpretazione dei sogni con i quali l’inconscio in codice si manifesta. (A questo punto della sua relazione il prof. Antonio Popolizio avvia un filmato scientifico nel quale un noto psicoanalista moderno interpreta i dieci sogni più ricorrenti ed il loro significato creando un notevole aumento dell’interesse da parte del pubblico in sala). In particolare vengono dall’interpretazione i significati più ricorrenti come la paura di non avere più la sicurezza, la fiducia in se stessi, la compattezza; la paura di perdere qualcosa o qualcuno. A tutto questo non ci pensiamo tutti i giorni, ma abbiamo un “retropensiero” con cui dentro di noi agiamo per condotte di vita; ma quando questo retropensiero giunge al subconsciente significa che non ce la fa più a controllarsi e si manifesta scaricando su un organo bersaglio più debole ma anche figurativamente che rappresenta il tipo di problema inconscio che l’ha generato come ad esempio la tachicardia per conflitti di cuore. L’ansia, lo stress e l’attacco di panico, per cui, non sono stanchezza: se sono stanco mi riposo. Il cervello ha un dialogo dentro di noi nel cosciente, subcosciente e inconscio. Vediamo, dunque cosa sono l’ansia e lo stress, come riconoscerli in tempo per curarli, misurare la grandezza del fenomeno al fine di trovare un metodo efficace per sconfiggerlo. Questo è il nostro percorso. Lo scopo del convegno non è solo informare e formare, ma anche far partire un progetto su Roma che si chiama “Vincere ansia e stress” con un’azione di sensibilizzazione attraverso conferenze, ricerche, corsi e percorsi per associazioni, scuole, enti e mondo medico. Questi sono i nostri strumenti per aiutare le persone a potenziarsi e acquisire una chiave di lettura per andare più in profondità e capire cosa c’è dietro un sintomo psicosomatico. Il sistema nervoso è studiato con un approccio corpo e mente: quello che succede nel corpo va sulla mente e quello che succede sulla mente va sul corpo. Se io dovessi dare una diagnosi mortale o di invalidità ad un paziente, questo avrà una conseguenza sulla mente della persona: potrebbe aumentare la difesa dicendo “no, io non l’accetto, lotterò fino in fondo” oppure dire “è finita”. Lo sanno bene questo molti farmacisti, infatti quando non è andato a buon fine il rapporto medico-paziente, quest’ultimo spesso chiede al farmacista cosa ne pensa e cambia la cura del medico a suo modo, facendo danni. Questi sono fenomeni dovuti al cattivo rapporto medico-paziente, a volte sottovalutati. Il medico è attento al rapporto e alle conseguenze perché è uno degli elementi più forti. Per esempio, ho notato che il nostro neurologo, Dott. Fabiano non è il medico “dei dieci minuti”, ma spiega a fondo tutta la situazione, come funziona il cervello, cosa fa, cosa succederà, come e perché “è un approccio psicosomatico che si attiva già nel rapporto medico-paziente.... un approccio “corpo e mente”. La scienza medica ha lanciato la psico-neuro-endocrino-immunologia che studia da vicino tutti i sintomi e le cause dei disturbi e malattie psicosomatiche, fino a spiegare con completezza gli attacchi di panico, l’ansia, lo stress in tutte le sue forme…!

6

L’ormone dello stress nel corpo è il cortisolo che se sollecitato dalla situazione di stress nell’individuo va a sollecitare le difese abbassandole. Ci sono malattie del sistema nervoso che dipendono dalla società. La società ha fatto saltare tutti i punti di riferimento: la sicurezza economica non c’è più, la coppia è instabile e non più duratura, il rapporto genitori e figli non è più guidato da regole, la fiducia è saltata. Com’è possibile vivere tranquillamente in una società così? La nostra proposta è: riparti da te stesso aiutato dai nostri percorsi di gruppo anti-stress. L’attacco di panico è chiamato “killer silenzioso” perché va in incubazione; le persone non hanno segnali di riconoscimento, alla prima avvisaglia sottovalutano tutti ed invece dopo un certo tempo esplode improvviso l’attacco di ansia o attacco di panico. Qui è messo in ordine tutto il meccanismo di formazione di un disturbo nervoso da stress. E’ un disagio psicologico che, se rimane oltre un certo tempo, va sotto stress. La scarica di emozioni di questo stress va sul corpo verso un organo bersaglio (stomaco attraverso il reflusso, mal di testa con l’emicrania, disagi nella sessualità con impotenza…. ecc) e si crea un disturbo specifico, che non va approcciato solo a livello medico ma anche psicologico, vale a dire un intervento specialistico integrato corpo e mente…con medicina e psicologia Quello che ha scoperto Freud per primo è che il tipo di organo bersaglio è collegato al tipo di problema: se il problema è mentale, hai il mal di testa o problemi di equilibrio, se è di soffocamento va a toccare la respirazione, se è di cuore va a toccare il cuore. Il sintomo diventa un messaggio. L’inconscio, quando supera una certa sopportazione e non ha via di scarico, diventa subcosciente o mentalizzato, la persona ha problemi psicologici grossi; il percorso vero è lavorare sulla base, l’inconscio, l’emozione. Vi faccio l’esempio di un attacco di panico di una paziente che ricordo bene. Venne anni fa una signora nel nostro Centro per un attacco di panico. Ha fatto una visita psicosomatica: un incontro con il medico e uno con me, lo psicologo. Quando non c’è una vera sintomatologia, incontra anche la Dottoressa omeopata per un approccio di sostegno con gli integratori. La signora non si spiegava l’attacco di panico: racconta “va tutto bene, non ho mai avuto problemi” e lo ha collegato con quello che stava accadendo nella sua vita. Mi ha dichiarato espressamente che aveva puntato tutta la sua vita sulla sicurezza economica, tanto che aveva deciso da giovane di non sposarsi per amore tanto l’amore passa. Ha sposato un uomo che rispondeva a questi requisiti, le ha voluto bene ma si è privata dell’amore, compensando l’amore mancante con l’amore verso i figli. Quando domandai perché la sicurezza economica fosse così importante per lei, rispose di aver sperimentato la povertà e di non voler assolutamente rivivere quella condizione. Le chiesi: “Perché non punta su di lei, costruendo la sicurezza economica da sola?” poiché da un lato aveva risolto un problema, dall’altro era stata anche prigioniera degli affetti. Mentre lavorava con il tempo si innamorò di un uomo, l’amore mancante ma troncò dopo un certo tempo il rapporto con lui perché ne era rimasta destabilizzata. Inizia un primo stato d’ansia tamponato con le medicine… Passano gli anni e i due figli crescono, diventano uomini e quando il secondo figlio esce di casa, iniziano gli attacchi di panico. La risposta è che doveva stare con un uomo che non amava e non aveva più i figli a compensare l’affetto. La sua vita era vuota. Mi riportò un sogno che interpretato ha messo in luce il suo serio conflitto inconscio, il desiderio forte di trovare l’amore e la paura di trovarlo rischiando la povertà…conflitto inconscio che aveva scatenato l’attacco di panico! Il sogno rivelatore è questo: Era notte e lei era andata a una festa, ma nel momento in cui a mezzanotte voleva tornare a casa non c’erano più taxi, ma solo un tram vecchio stile. Sale sul tram, va dal bigliettaio per

7

fare il biglietto ma si accorge di non avere soldi. Un signore presente sul tram le dice che glieli avrebbe dati lui, a condizione che lei gli desse un bacio. Lei gli dette il bacio e ricevette i soldi, lui scese dal tram. Lei andò a pagare, ma il bigliettaio le disse che i soldi erano falsi. A questo punto si svegliò. Cosa sta dicendo l’inconscio? In modo cifrato le sta dicendo che “l’uomo non ti dà niente e se dà qualcosa, è falso”. Aveva dentro un’immagine dell’uomo abbastanza negativa. Appena abbiamo affrontato il tema del sogno e il problema connesso, compare una prima guarigione: sapere cosa le ha generato il malessere, la fa immediatamente stare meglio. Quando si porta il problema dall’inconscio al subcosciente, non scarica più sul corpo. Ora immaginate una persona che viene trattata in modo esclusivo con i farmaci…vedete chiaro come tutto questo mondo sommerso inconscio viene trascurato. Sanno bene i medici che alcune persone rispondono bene ai farmaci, mentre altre no perché dipende dalla natura del problema “sotto”: se è piccolo, è sufficiente il farmaco, se è troppo grande la medicina funge da tappo non da cura delle cause. La medicina ha motivo di esistere quando arriva la crisi perché ormai il sintomo è psicosomatico, non solo più psico ma non ancora somatico. Nel momento in cui diventa somatico, emerge la malattia vera e propria. Vi sono dunque dei tempi d’azione. Ora mi fermo ed entriamo nel mondo dello stress analizzandolo nei vari settori di vita: stress nella scuola, stress nel lavoro e stress nel sociale. Ora ho il piacere di far parlare il Dott.re Castiello. Posso fare un piccolo encomio? E’ una persona straordinaria che mette passione, cuore e una grande responsabilità e capacità nel suo lavoro. Cordialmente, Prof. Antonio Popolizio

8

Intervento “Vincere la vulnerabilità dell’alunno allo stress”

Dott. Pietro Castiello Psicologo, Responsabile e Coordinatore Progetti Scuole

ASSOCIAZIONE CENPIS ORION Buongiorno, piacere di presentarmi, sono il Dott. Pietro Castiello, Psicologo responsabile e coordinatore dei progetti che il Cenpis Orion, insieme alla sua équipe, sta attualmente portando avanti in 40 scuole di Roma. E’ dunque doveroso da parte di tutti noi un ringraziamento per averci scelto nel percorrere insieme questa direzione comune che vuole trovare le risposte più pratiche con cui ogni alunno può vincere la propria vulnerabilità allo stress e tirare fuori le proprie potenzialità a scuola. Come primo aspetto, ci chiediamo quali siano gli stress che colpiscono gli alunni. Ne descriveremo i tre più importanti o, meglio, quelli che forse più frequentemente riscontriamo nella nostra attività professionale presso il nostro Centro e insieme alle scuole con le quali collaboriamo. Il primo, il più importante e forse più diffuso, riguarda la scarsa autostima e l'ansia da prestazione. Che cos' è l'autostima? E’ la fiducia in me, l’immagine di me in ogni campo di vita, dove ritengo di poter arrivare. Come funziona? L' autostima in termini pratici si esprime in modo specifico, con le previsioni che ognuno di noi fa nella mente rispetto a come andranno le cose prima che queste si verifichino. C' è una previsione positiva, una previsione negativa o una previsione a metà strada tra le due. Di frequente mi capita di ascoltare alunni con una buona autostima che dicono, per esempio: “Ho studiato un'oretta e mezzo, adesso ripasso; so che la verifica è difficile, ma io ci posso riuscire”. Incredibilmente, ce la fanno davvero. Quindi, come funziona l'autostima? Mi creo nella mente un obiettivo, metto in campo le mie risorse personali per raggiungerlo. E se raggiungo l'obiettivo prefissato, aumento la stima di me perché non raggiungo solo l'obiettivo, ma dico a me stesso: “io posso, ci sono riuscito”. Sappiamo, lavorando molto intensamente con i giovani e anche nelle scuole, che la scarsa autostima genera l'ansia da prestazione. Come nel caso di Sabrina (tutti i nomi dei ragazzi che dirò chiaramente sono fittizi per proteggere la privacy), una ragazza che si rivolge al nostro Centro con la mamma: studia tutto il pomeriggio, ogni pomeriggio fino a sera, anche weekend, riduce al minimo le attività di svago. Sto parlando di una ragazza di tredici anni, in terza media, che sembra non aver mai abbastanza tempo da dedicare ai compiti. Il Professore ha parlato di tre menti: non siamo unicamente razionalità; possediamo una mente emotiva che dirige le nostre azioni, le modalità di relazionarci ed i nostri sentimenti; il disegno (non tutti i disegni, ma un certo tipo di disegno fatto all'interno di una determinata relazione di fiducia) fa parlare la mente emotiva, permette alla mente emotiva, non razionale, di esprimersi. [Mostra un disegno proiettato] Qui c'è Sabrina che disegna se stessa mentre studia. Si vede benissimo l'espressione della scarsa autostima e dell'ansia da interrogazione su più livelli. Riporta sul disegno la frase “non ricordo niente”: noi sappiamo bene che quando l'ansia supera il livello di guardia coinvolge anche i circuiti di memoria. La povera Sabrina, durante gli incontri mi dice: “giuro, avevo studiato; sapevo tutto ma sono andata all'interrogazione e mi si è appannata la mente. Vuoto di memoria totale, non ho ricordato niente ed è andata

9

male.” Secondo effetto sulle previsioni, sul disegno lei scrive “sarò interrogata di sicuro” e in questo dialogo con se stessa dice: “Non ce la farò mai”. Come in una sorta di profezia negativa che si autodetermina, tutto l'impegno profuso nello studio poi non corrisponde a risultati scolastici adeguati o comunque in linea con quell'impegno. Il rendimento scolastico sembra oscillare tra il 6 e il 7. Il secondo tipo di stress riguarda un'altra area della personalità che è l’Io Sociale. A scuola si studia, ma s’impara anche a destreggiarsi socialmente nel rapporto con gli altri e in particolare con il gruppo classe che presenta sempre un certo tipo di dinamiche e di funzionamento. Noi spesso troviamo una vulnerabilità proprio in questo ambito che può generare l'ansia sociale e la paura del giudizio da parte del gruppo, di non essere accettati. Con questo tipo di vulnerabilità, il povero Alberto subisce a scuola episodi di bullismo e rappresenta se stesso che si gira e amplifica dentro di sé le prese in giro dei suoi compagni e nella mente si dice “ma perché devono fare i prepotenti sempre solo con me?”. Il terzo tipo di stress riguarda la caduta dell’immagine di sé a scuola. I docenti presenti sanno benissimo che ogni alunno ha una sua storia, costruisce nel tempo un’immagine di se stesso a scuola, fatta dai risultati scolastici che ha ottenuto, da come si è inserito nel gruppo classe e anche dalla relazione con i docenti. La caduta dell’immagine di sé a scuola è uno degli aspetti che noi riscontriamo più frequentemente soprattutto nel passaggio da un grado di scuola a un altro, tipicamente in prima media, al termine delle elementari, o durante il primo e secondo anno delle superiori. Al termine delle medie perché da un punto di vista psicologico è come se si rimescolassero le carte, cambia il clima, il gruppo classe, i docenti. I nuovi docenti non hanno memoria del regresso dei voti ottenuti. Il compito maturativo e di sviluppo è di confermare la propria immagine di sé, se positiva, o riscattare l'immagine di sé, se negativa. Rispetto a questo aspetto, mi ha molto colpito un caso che ho seguito insieme al Professore. Il caso di Lorenzo che viene al nostro Centro con un terribile e apparentemente inspiegabile mal di testa. Sono stati consultati dalla famiglia tutti gli specialisti del caso, i maggiori esperti nell'ambito dell'emicrania e sembrava che nessuno avesse trovato una causa organica che potesse spiegare queste crisi di mal di testa così intense e così frequenti. Già dai primi incontri con il Professore rimaniamo colpiti da un aspetto relativo alla sua storia scolastica. Durante la scuola elementare era stato il “numero uno”, il punto di riferimento per la classe, tutti 10 e neanche un 9. Arriva alla scuola media in cui non solo era il primo della classe, ma forse il primo della scuola perché aveva ottenuto in aula magna, alla presenza di tutti (dei docenti, della preside…) dei riconoscimenti per una serie di gare interne organizzate a scuola. Arriva alla fine della terza media e, come spesso accade, non sceglie la scuola superiore più adatta a sé ma sceglie gli amici da non perdere: quindi metà classe si trasferisce in un noto liceo di Roma. Nel primo anno della scuola superiore, in cui ci sono materie nuove ed è richiesto un adattamento notevole, al primo 4 emerge il primo episodio di mal di testa. Arriva la fine dell'anno e nel momento in cui il povero Lorenzo legge che è promosso con sospensione di giudizio, quindi due debiti, tra l'altro sia di latino, che di greco, esplode il mal di testa con un'intensità e una frequenza altissime tali da compromettere poi il funzionamento del ragazzo. Era arrivato di fronte alla scuola superiore con un compito inconscio di non essere solo sul podio, ma di dover essere sempre e comunque il numero 1. Quindi sia la difficoltà di inserimento che una scelta sbagliata della scuola superiore, ovvero non perfettamente in linea con le attitudini vere, aveva fatto cadere l'immagine di sé a scuola. Dunque, la somatizzazione del mal di testa esprimeva un problema psicologico irrisolto del ragazzo. Si stava chiedendo: “ma sono davvero il numero uno come ho sempre creduto di

10

essere? sono davvero intelligente come tutti mi hanno fatto sempre pensare?” e fa male la testa che rappresenta l'intelligenza. Il nostro intervento in questi casi è di psicologia scolastica mirato a sbloccare la vulnerabilità: quindi non è un intervento psicologico a tutto campo, ma è mirato proprio alla vulnerabilità. Per esempio nel caso di Sabrina abbiamo lavorato sull' ansia da prestazione e sull' autostima scolastica per far cambiare il dialogo interno. Oggi, mentre si approccia allo studio [mostra disegno proiettato] è cambiato completamente il dialogo interno: dice a se stessa “fidati, ce la puoi fare”, “che bello in due ore sono riuscita a fare tre materie”. Uno dei modi per sbloccare la fiducia dei ragazzi è il lavoro sul metodo di studio: studiare e saper studiare sono due aspetti diversi, non perfettamente sovrapponibili tra di loro. Nel momento in cui si lavora con i ragazzi sul metodo di studio, prendono confidenza con quale sia la modalità che la loro mente utilizza nello studio: studiano meglio, con maggiore efficacia, ottengono risultati e quindi il lavoro sul metodo di studio è indirettamente un modo, una via per riscattare l'autostima dei ragazzi. La sicurezza sociale rappresentata dal caso di Alberto. Lui metaforicamente è riuscito a mettere [mostra disegno proiettato] tra sé e il bullo, nella mente, uno specchio. Tutte le prese in giro del bullo ora non lo colpiscono più come prima, ma ritornano indietro al bullo esattamente come lui gliele ha inviate. Lavorando sulla sicurezza sociale è riuscito a mettere un’impermeabilità al giudizio negativo, alla paura di essere giudicato dagli altri. I tre denominatori comuni della nostra attività con le scuole sono prevenire, potenziare e orientare. Prevenire la vulnerabilità perché cerchiamo di fare in modo, attraverso i progetti nelle scuole e i servizi, che non si arrivi a riparare i guasti, ma di lavorare prima promuovendo la consapevolezza del ragazzo di sé. In queste scuole, che sono le scuole in rete del progetto “Alunni riusciti … alunni realizzati”, che ringrazio, con le quali collaboriamo ormai da tre anni, abbiamo messo a punto una serie di strumenti e metodologie che anzitutto fanno sì che l'alunno diventi maggiormente consapevole di quei fattori che costituiscono un’impermeabilità allo stress stesso, dei propri punti forti e quelli da migliorare. Attraverso un incontro mirato anche col genitore, agiamo indirettamente su questi aspetti e cerchiamo di dare indicazioni pratiche su come potenziare nei figli queste sei risorse di impermeabilità allo stress che sono: la responsabilità, la motivazione, l'autostima, la gestione dell'ansia, la socializzazione, quindi l'inserimento nel gruppo, e la tenuta nelle difficoltà. Se dovessimo individuare un quarto tipo di stress, probabilmente questo sarebbe legato alle scelte sbagliate degli alunni: lo sanno molto bene le scuole che condividono con noi l'esperienza del progetto “Orion”, con cui abbiamo messo in atto un progetto finalizzato all’orientamento della scelta della scuola superiore attraverso lo screening scientifico delle attitudini. Noi sappiamo che la mente consta di dieci aree di propensione: socio-economica, amministrativa, musicale, scientifica, artistica, tecnica, biologica, linguistica e sociale, motoria. Attraverso uno screening scientifico andiamo a individuare le attitudini dei ragazzi entro le quali far cadere la scelta della scuola superiore, con un coinvolgimento dei genitori e dei docenti. Mi fa piacere chiudere leggendo la testimonianza di Lorenzo, “il ragazzo col mal di testa”, che è uno dei casi in cui si è vinta la vulnerabilità allo stress; lui si è scollato da sé quella aspettativa così alta, quella “doverizzazione” così forte secondo cui doveva essere sempre e comunque il numero uno. Lorenzo scrive:

11

“In questo ultimo periodo è avvenuto un grandissimo cambiamento dentro di me, è stato un cambiamento progressivo, è partito dalla scuola per arrivare fino a relazionarmi con le altre persone. A scuola ad esempio sento una maggiore libertà, come se si fosse aperta la porta di una gabbia in cui mi ero rinchiuso da solo. Questo cambiamento ha influito oltre che all'esterno, nello stare con gli altri, anche e soprattutto dentro di me: ora, infatti in ogni situazione e qualsiasi cosa accada sento di mantenere una serenità che mi fa essere felice”. Grazie.

Intervento ____________________________________________________________

Dott.ssa Francesca Zonzo

Psicologa ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Buongiorno, sono la Dottoressa Francesca Zonzo, sono una psicologa specializzanda in psicoterapia. Collegandomi all’intervento del Dott. Castiello, che ha esposto le diverse forme di ansia e di stress nelle scuole, volevo porre l’attenzione su quanto elevate condizioni di stress e di ansia possono portare all’emergere di patologie in alcuni individui. In tal senso, volevo soffermarmi sul disturbo da attacco di panico, perché negli ultimi anni sta acquisendo sempre di più una rilevanza a livello clinico e si sta molto diffondendo in particolare nella fase adolescenziale. Perché proprio negli adolescenti? Perché è un momento critico, una fase di sviluppo, quindi oltre ad una trasformazione corporea, a livello di sviluppo puberale, inizia anche un processo di consapevolezza rispetto alla costruzione di un proprio progetto di vita. In queste condizioni di stress, alcuni adolescenti che non hanno un “IO” abbastanza maturo possono manifestare tale patologia. Che cos’è l’attacco di panico? L’attacco di panico è un breve periodo in cui il soggetto si trova in uno stato di terrore e di fortissima ansia, in cui ha l’impressione di perdere il controllo, addirittura di morire. La sintomatologia è varia: nausea, palpitazioni, dispnea, ma anche derealizzazione e depersonalizzazione. La derealizzazione è la sensazione del soggetto di sentirsi in una situazione irreale fantastica: ciò vuol dire che perde il contatto con la realtà; la depersonalizzazione è la sensazione di essere distante da sé, quindi di essere un’altra persona, di non riconoscersi. Quali sono le cause dell’attacco di panico? Possono essere di due tipi: cause psicologiche e cause ambientali. Rispetto ai fattori psicologici, l’attacco di panico rappresenta uno stato di malessere psicologico molto importante, specialmente negli adolescenti può essere associato a vissuti di solitudine, di incomunicabilità. Quei ragazzi che a volte non parlano, che si tengono tutto dentro. I fattori ambientali, invece, possono essere eventi stressanti che vanno a scatenare l'attacco di panico, e questi eventi stressanti sono per lo più rappresentati dai cambiamenti che possono essere trasferimenti, passaggi da una scuola all'altra, ma anche cambiamenti della struttura familiare. A livello psicodinamico e terapeutico, cosa succede? Nel soggetto adolescente non c’è una possibilità di appellarsi alle sue risorse interne, in questa situazione non riesce a gestire l’ansia a causa di un “IO” fragile. Una delle spiegazioni, delle chiavi di lettura dell’approccio

12

psicodinamico di questa fragilità dell’“IO” è data da un attaccamento di forte dipendenza con i genitori, tale attaccamento ha come conseguenza quella di minare l’autonomia, il processo di svincolo del ragazzo. A questo riguardo ho portato il caso di una ragazza di 14 anni; i genitori chiamano il nostro Centro in una situazione di estrema emergenza, perché questa ragazza da ottobre, quindi dall’inizio della scuola, ha iniziato a manifestare degli episodi ripetuti di panico. Mi ricordo ancora la prima seduta con questa ragazza che era molto agitata, si muoveva sulla sedia, toccava oggetti, li faceva cadere a terra, parlava in maniera veloce e confusa, tant’è che molto spesso per aiutarsi prendeva un foglio e si appuntava delle parole o a volte faceva degli schemi per non perdere il filo del discorso. Mi arriva da subito il forte disagio di questa ragazza, ma ovviamente all’inizio era per lei un disagio sconosciuto, inconsapevole, che non poteva accettare. Di conseguenza abbiamo fatto un lavoro sul profondo; piano piano la ragazza è riuscita a riconoscere il suo disagio e abbiamo dato il senso all’attacco di panico. Qual era il senso dell’attacco di panico? Era rappresentato dal passaggio dalla terza media al primo superiore, al primo anno di liceo classico, quindi legato ad un processo di autonomia, di svincolo. Il sistema familiare di questa ragazza era molto invischiato, c’era una dipendenza molto forte tra i genitori e la paziente e questo ha creato molta difficoltà in una situazione di passaggio in cui doveva iniziare un processo graduale di responsabilità, di autonomia. Di conseguenza il mio intervento è stato rinforzare la struttura dell'IO del paziente attraverso un processo di riflessione, di consapevolezza, quello di riconoscere e accettare le emozioni forti negative che stava vivendo in quel momento, in modo tale che nelle successive situazioni anche di stress emotivo sarebbe stata in grado di riconoscerle e gestirle in maniera autonoma; come ultimo, l'ho accompagnata in un processo di differenziazione graduale dal sistema familiare. Ovviamente in questo intervento è stato necessario anche includere i genitori per riconoscere, mobilitare e potenziare le risorse interne di questa ragazza. Mi preme sottolineare quanto sia importante effettuare un lavoro preventivo che vada ad individuare eventuali disagi psicologici dei ragazzi e quindi intervenire non sul sintomo, ma sul bisogno. Grazie.

Interventi dal pubblico ____________________________________________________________

Domanda di una mamma presente tra i partecipanti

13

Buongiorno, mi sono incuriosita al discorso sugli attacchi di panico perché mio figlio ha con me un rapporto, un attaccamento molto forte. Mi chiedevo se l’attaccamento che i giovani hanno nei confronti dei genitori può essere anche dovuto alla perdita di riferimenti nella società. Perché io cerco di stimolare mio figlio a essere interessato a ciò che avviene al di fuori dalla famiglia, ma vedo che lui ha molte difficoltà. Risposta Dott. Pietro Castiello, psicologo Sicuramente la perdita dei punti di riferimento della società c’è; molto spesso noi riscontriamo proprio questo, nel senso che sembra che fino a qualche generazione fa tutti dicessero la stessa cosa, cioè fondamentalmente che ci fosse un unico messaggio di fondo detto in modi diversi. Invece io adesso vedo, lavorando con i giovani, che c’è un relativismo assoluto: quindi il rifugio e l’attaccamento con l’ambiente familiare è forte, è come se non si fosse pronti all’esterno, dove tutto è più confusivo e valutativo rispetto all’ambiente familiare; anche parlando di autostima, c’è un trasmettere autostima in modo più gratuito rispetto all’esterno, dove tutto è più incerto. Quindi questo attaccamento può essere spiegato anche in questi termini. Risposta Dott. Antonio Popolizio, psicoterapeuta Ricordate l’attacco di panico descritto prima? Non a caso quando i figli escono di casa, comincia l’attacco di panico. L’ottica di intervento è quasi sempre sull’adolescente. Noi la ribaltiamo di 180 gradi, cioè facciamo un percorso coinvolgendo i genitori, perché i genitori che riversano eccessive aspettative sui figli per compensare certe carenze sono delle mine vaganti, poiché il figlio adolescente deve spiccare il volo e fare la sua vita cambiando il rapporto con i genitori; tuttavia se il genitore vive questo come perdita del figlio fa un errore di costrizione e di dipendenza. Per esempio, il caso dell’attacco di panico della ragazza di cui abbiamo parlato, in cui il genitore vive il cambio di rapporto come un abbandono, è molto diffuso. Conosco molti genitori di pazienti che pensano che il figlio non li ami più perché dicono “non sta più con me” “non mi parla”, non considerando che il ragazzo sta per entrare nella società degli adulti e per tale ragione si comporta così. Troviamo spesso due problemi: il genitore inadeguato a gestire la fase dell’adolescenza, che non sa “che pesci prendere” e non sa leggere l’adolescenza, che oggi è molto difficile da leggere perché è l’espressione della crisi della società. I sintomi dei bambini si vedono ad occhio nudo mentre quelle degli adolescenti sono nascosti e sono le dipendenze: dal gioco, dalla droga, dal fumo, dagli amici con cui hanno un rapporto morboso; questi sono sintomi, segnali e non la malattia in sé. Noi in questo progetto partendo dall’orientamento nelle scuole abbiamo incontrato genitori facendo una conferenza per genitori come questa in ogni scuola in cui operiamo perché riteniamo che le due entità, docenti e genitori, debbano parlare di più mentre invece di solito si accusano a vicenda: chi ha colpa e chi ha ragione? Molto spesso, togliendo colpa e ragione comincia il dialogo.

Testimonianze dal pubblico Intervento Insegnante Maria Rosaria Abballe Insegnante scuola Primaria presso l’Istituto Comprensivo Via Boccioni, Roma

14

Buongiorno, io insegno in una scuola elementare; ho appuntato alcune cose mentre ascoltavo. Noto che ci sono alte aspettative da parte delle famiglie che non sono adeguate alla scuola e all’età; ho notato una reazione emotiva esagerata rispetto ai piccoli fallimenti o ad episodi come un voto negativo. C’è troppa emotività ed un senso di mortificazione. Rispetto ai voti ci ha messo in difficoltà la riforma di qualche anno fa che ci ha costretti a passare dai giudizi ai voti, perché poi il bambino diventa un numero, quindi quel 6, quel 5 o l’8 sembra esprimere il suo valore numerico quando non è facile sintetizzare in un numero l’apprendimento di una materia o l’impegno del bambino. C’è una incongruenza tra le parole e l’esempio dell’adulto: ci vorrebbe un po’ di coerenza, i bambini perdono i punti di riferimento e non sanno se dare retta alle parole o al comportamento che vedono. Ci sembra di percepire che i bambini siano troppo occupati e non sanno cosa sia “il dolce far nulla”, forse sarebbe giusto dedicare un po’ di tempo libero a se stessi invece di una richiesta di impegno continuo. Alcune volte i bambini non hanno nessuno con cui parlare, anche i genitori sembra che non abbiano con chi parlare: si nota una solitudine sia nei bambini che nei genitori. Abbiamo l’impressione che si tenda a sostituirsi ai propri figli, che ci sia una confusione di ruoli figlio-genitore e infine una scarsa fiducia nell’istituzione scolastica e in chi la rappresenta. Per esperienza posso dire che i risultati migliori si hanno quando c’è una collaborazione e una fiducia tra insegnanti e genitori, una fiducia che va ovviamente guadagnata e non può essere automatica; in assenza di ciò siamo tutti impotenti. Intervento Prof.ssa Roberta Caradonna Docente presso l’Istituto di Istruzione Superiore Via Tommaso Salvini 24, Roma A parte i ringraziamenti per il lavoro che fate da noi, durante il dibattito mi venivano in mente delle domande. Mi hanno sempre insegnato che volere è potere, se vuoi puoi emergere. Però, sempre più spesso comincio a pensare che vada ribaltata la cosa, cioè per volere qualcosa i nostri ragazzi devono poterla sentire e quindi il discorso sulla motivazione fatto poco fa mi ronza nella mente. Noi docenti spesso diciamo: perché non ti impegni? Perché non fai di più? Perché sei così svogliato? E forse i ragazzi non capiscono neanche bene le nostre domande. Io seguo due quinte ginnasiali ed hanno una fisionomia abbastanza in contraddizione: c’è una classe con un gruppo di ragazzi che hanno una bassa autostima e un altro gruppo che invece aspira a prestazioni molto alte. Ascoltandovi pensavo però che questa antitesi è abbastanza apparente perché l’ansia da prestazione e la bassa autostima sono le due facce della stessa medaglia. Mi piacerebbe riflettere ancora su questo nella nostra scuola con voi e con i genitori, perché il problema della fiducia cui accennava la collega prima è un problema che anche io sto avvertendo, cioè c'è una sfiducia di partenza da parte delle famiglie e noi dobbiamo cercare di farla diventare fiducia e questo è ancora più complesso, la realtà scolastica sta diventando ancora più complessa parallelamente alla realtà sociale; noi come docenti siamo messi a dura prova. Serve molto il vostro aiuto. Questa è la mia testimonianza, grazie. Intervento Prof.ssa Paola Casale Docente presso l’Istituto Comprensivo Torrimpietra, Fiumicino (RM)

15

In veste di insegnante di scuola media e precedentemente di liceo, posso confermare quanto già detto dalle colleghe e dai dottori. Io credo che l’ostacolo più grande nelle scuole oggi sia quello di rendere i genitori consapevoli delle difficoltà dei propri figli, che spesso derivano da una mancanza di comunicazione in famiglia. Io da ex alunna, con forti problemi di ansia, vedo ragazzi che manifestano malessere in svariati modi, dalle unghie mangiate fino alla pelle, alle eruzioni cutanee scambiate per allergie. Istintivamente sorrido e poi invito al dialogo e racconto la mia esperienza da studentessa per poi ascoltarli facendogli capire che le loro debolezze sono state anche le nostre nel tentativo di trasmettergli il segnale che possono farcela. Noi insegnanti siamo degli accompagnatori e dobbiamo trasmettere questi messaggi in un momento di incertezza per tutti. Io conosco il vostro lavoro e la validità del test che ai ragazzi è anche piaciuto molto e penso che sia fondamentale un lavoro in simbiosi tra noi insegnanti e specialisti.

Intervento ____________________________________________________________

Dott.ssa Patrizia Del Sole

Farmacista e omeopata Responsabile Servizio medicina naturale e Coordinatrice dell’area psicosomatica

ASSOCIAZIONE CENPIS ORION Il servizio di medicina naturale è stato istituito nel Cenpis Orion proprio perché la medicina naturale, partendo dalla duplice visione mente-corpo, integra all’aspetto puramente psicologico lo studio degli stati costituzionali di ogni singolo individuo cercando di dare, rinforzare e stimolare le difese dell’organismo. Il fine è poter reagire e superare una qualsiasi situazione di stress evitando che un disturbo possa degenerare in una vera e propria patologia. Per avere un approccio psicosomatico integrato è importante cogliere sia i segnali psicologici ma anche quelli fisici perché l'uno non esclude l'altro, ma soprattutto convivono in stretto equilibrio. Ogni organismo risponde ad una situazione di stress con dei cambiamenti fisiologici che consentono all'organismo stesso di reagire e di metterlo nella migliore condizione a seconda della situazione di fuga oppure combattimento per superare la situazione stessa. Noi chiamiamo questi stimoli stressogeni “stressor”. Gli stressor possono essere di varia natura, possono essere psicologici, possono essere fisici, biochimici; la risposta che il nostro organismo adotta è sempre la stessa. I primi studi sullo stress risalgono a metà degli anni ’30 e uno dei primi studiosi forse anche uno dei più grandi è stato il Dottor Hans Selye, il quale nei suoi numerosi studi alla fine ha individuato nella risposta da stress tre fasi fondamentali che sono: la fase di allarme, la fase di

16

resistenza e la fase di esaurimento. Queste tre fasi si succedono nel nostro organismo formando la sindrome di adattamento generale. Questa sindrome di adattamento generale effettivamente si può espletare in due modi diversi, una che è quella dello stress acuto tipica ad esempio di una prova d'esame, di una prova molto importante, in cui alla fase di allarme segue subito una fase di resistenza che dura pochi minuti, e in questo caso l'organismo è in grado di ritornare velocemente nella sua condizione di normalità: questo tipo di stress è uno stress positivo che in termini tecnici è conosciuto come eustress. Poi c'è un altro tipo di stress che è invece uno stress cronico, conosciuto come distress, in cui la fase di resistenza dura molto più a lungo e difficilmente l'organismo riesce a ritornare in una condizione di normalità senza avere dei segni. Ora vediamo nel dettaglio cosa accade effettivamente nel nostro organismo quando percepiamo un segnale di stress. Nella prima fase d'allarme l'organismo percepisce questo segnale in maniera consapevole o inconsapevole e mette in moto un processo biochimico che è uguale indipendentemente dalla natura dello stressor che l'ha generato. La prima parte del nostro organismo che risponde ad uno stimolo stressogeno é l'ipotalamo. L’ipotalamo è una piccola area dell'encefalo deputata al controllo di tutte quelle che sono le funzioni indipendenti dalla nostra volontà: la termoregolazione, la funzione respiratoria e la funzione cardiaca. L’ipotalamo è in stretto collegamento con l'ipofisi quindi col sistema endocrino, con il quale forma la neuroipofisi e poi a loro volta con il sistema immunitario. Quindi fondamentale in tutta la reazione di risposta allo stress è l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L'ipotalamo come risponde allo stimolo che percepisce? Risponde attivando quindi una serie di meccanismi e vediamo nello specifico quali: soprattutto abbiamo una maggior produzione di ormoni quali il cortisolo, l’adrenalina e la noradrenalina. Successivamente abbiamo un momento anche delle beta endorfine e quindi un innalzamento della soglia del dolore; abbiamo un aumento dell'attività del sistema cardiovascolare e una riduzione invece dell'attività dell'apparato digerente: in termini semplici nel nostro organismo accade che aumenta la frequenza cardiaca quindi il battito più accelerato, aumenta la frequenza respiratoria, si ha un'eccessiva respirazione e abbiamo una scarsa salivazione e tutto accompagnato da un grande senso di vuoto allo stomaco. Questi sono i sintomi tipici di una reazione ad uno stress che può essere di qualsiasi natura come detto e che può fare parte della nostra vita di tutti i giorni. La cosa importante e fondamentale è la fase successiva cioè quella di adeguamento allo stress; se questa fase si protrae per molto tempo, quindi non dura solo alcuni minuti ma va avanti anche per giorni e anni, allora tutti questi cambiamenti che sono fisiologici nel nostro organismo, possono trasformarsi e degenerare in vere e proprie patologie. Quindi, è fondamentale avere un approccio integrato corpo-mente proprio per evitare che delle alterazioni che sono appunto normalissime e fisiologiche e che servono nella nostra vita quotidiana possano diventare delle vere e proprie patologie.

Intervento ____________________________________________________________

17

Dott.ssa Michela Marino Psicologa, Psicoterapeuta

ASSOCIAZIONE CENPIS ORION Partirei dal momento in cui la parola stress è entrata nel discorso comune, quando ha cominciato a diffondersi in Italia dalla metà degli anni cinquanta grazie al medico Hans Selye venuto in diverse città italiane per le sue conferenze sulla Sindrome Generale di Adattamento. Etimologicamente la parola stress ha lo stesso etimo di strizzare, dal latino strictiare, derivato di strictus “stretto”. Si tratterebbe dunque di una stretta, una strizzata, un’angustia (o angoscia) e a tal proposito potremmo chiederci: chi di noi non ha mai provato questa sensazione? E’ certo però che se riuscissimo a dare voce sia metaforicamente che non a questa sensazione, a scoprirne le motivazioni in superficie ed in profondità, potremmo prevenire molte di quelle sintomatologie che poi vediamo nello stato d’emergenza presso i nostri studi, medici e non. Tante volte ascoltiamo frasi del tipo: “già ora che ci penso da…”, “effettivamente anche quando…”, frasi che rimandano indietro nel tempo anche ad eventi che sembravano di piccola intensità e che il soggetto riconosce successivamente aver forse già avuto un loro effetto, anche sul corpo. Spesso diciamo che il corpo parla, che ciò che la funzione psichica non riesce ad elaborare a sufficienza trova poi il canale somatico. Cosa vuol dire che un corpo parla? In primo luogo proviamo a rispondere alla domanda: Che cos’è un corpo? Un corpo “umano”? Domanda per altro che ha fatto lavorare molti ricercatori a partire da varie discipline. Dal nostro canto si potrebbe dire che in primo luogo il corpo è il corpo biologico che parte dall’unione di due cellule, quello che se in grado di sussistere con profitto nel contesto che lo ospita è allora adatto a procedere. Se invece non ci riesce si fa da parte e lascia ad altri corpi il compito di diffondere il patrimonio genetico. Il corpo dunque così come studiato dalla biologia molecolare: un sistema auto-conservativo sicuramente altamente complesso e specializzato. E’ solo a partire da questo corpo che può svilupparsi la funzione psichica, poiché è elementare ma la psiche può esistere solo se esiste un corpo (Cotrufo, 2008). Questo corpo biologico dell’essere umano appena nato è fin da subito inserito in un contesto non regolato dalle sole leggi della natura, bensì immediatamente oggetto dell’attenzione dell’adulto che se ne prende cura in un continuo scambio di messaggi. Messaggi che il bambino non riesce a tradurre immediatamente in parole, che sperimenta sul proprio corpo, messaggi che arrivano dall’altro e che il suo corpo traduce visibilmente ad esempio attraverso il movimento, l’attività muscolare, la fuoriuscita della voce. Il suo primo vocabolario è dunque il corpo attraverso cui traduce l’effetto della parola ed è proprio la parola dell’altro e l’effetto che genera che va a formare la nostra “psiche”, anche il nostro inconscio. Fin dai primi giorni in cui veniamo al mondo siamo all’interno di un circuito attivato dal discorso dell’altro, dalle sue emozioni che producono quanto di più profondo è nell’essere umano. E’ dunque proprio in questa accezione che si potrebbe dire che il corpo è il primo aggancio alla realtà intorno al quale prende avvio la costituzione della funzione psichica e del lavoro psichico (Cotrufo, 2008). In questa accezione il corpo biologico immesso fin da subito nella relazione con l’altro si “trasforma” in quello che potremmo chiamare corpo in un’accezione psico-somatica. Ciò vuol dire che sul corpo biologico si appoggia la funzione psichica o in altri termini il corpo biologico dell’umano viene subito plasmato dall’altro. Tutto ciò è molto importante poiché se fino a diversi anni fa venivano identificate delle specifiche malattie definite come psico-somatiche, particolarmente le così conosciute “Holy

18

Seven Psychosomatic Diseases”, Franz Alexander-1950 (ulcera gastroduodenale, artrite reumatoide, patologie tiroidee, neurodermatite, rettocolite ulcerosa, ipertensione essenziale e asma), oggi c’è piuttosto uno sguardo più ampio al nostro corpo e a quanto pesa la funzione psichica sul corpo biologico ed è anche per questo che si sono sviluppate tutte quelle discipline che cominciano per “psi” seppur in campo medico. Si parla oggi di psicoimmunologia, psiconeuroimmunologia, psiconcologia ecc. poiché si sta sempre più sviluppando l’esigenza di un’attenzione diversa al corpo. Risale a poco più di un mese fa l’intervento di Umberto Veronesi su quei casi di pazienti che hanno rifiutato i trattamenti chemioterapici, intervento estremamente interessante poiché oltre a sottolineare chiaramente l’importanza delle terapie mediche aggiunge: “Molto ancora resta da fare e non solo sul fronte della ricerca medica che ci può mettere a disposizione nuovi strumenti, ma anche su quello del rapporto medico-paziente. I vari guaritori hanno successo con i malati e le loro famiglie perché dedicano molto tempo al dialogo. Senza perdere la sua scientificità anche la medicina deve recuperare la sua capacità di prendersi cura della persona nella sua unità inscindibile di mente e corpo…” (Huffpost, 5 Settembre 2016). Senza entrare nel dettaglio della situazione è importante sottolineare la consapevolezza della persona così intesa e dell’approccio di un ascolto dello specialista verso la persona, che è quello a cui stiamo invitando e che il centro propone. Chiaramente qui già siamo nel campo della malattia e su questo bisogna andare estremamente cauti poiché è un campo dove sono in gioco diversi fattori, dove sicuramente va considerato un terreno genetico che genera una vulnerabilità ad alcune malattie e una resistenza ad altre, un terreno determinato da fattori esogeni siano essi fisici, chimici o biologici, un terreno che riguarda i disturbi che colpiscono le regolazioni immunitarie ecc. Non bisogna cadere nel riduzionismo. Bisogna inoltre tenere presente la difficoltà di fare ricerca includendo la funzione psichica poiché molto complicata da valutare nonché valutarne le sue correlazioni con la malattia. Per anni le ricerche interessate a studiare i disturbi psicosomatici hanno tentato di definire i fattori di rischio di tali disturbi ed hanno individuato il costrutto dell’alessitimia come portante di queste ricerche. L’alessitimia coniato da Peter Sifneos nella prima metà degli anni '70 indicava un disturbo affettivo-cognitivo relativo ad una particolare difficoltà di vivere, identificare e comunicare le emozioni (dal greco alpha = assenza, lexis = linguaggio, thymos = emozioni, ossia "assenza di parole per le emozioni"). Quello che si vuole dunque suggerire è proprio questo approccio di ascolto a ciò che ci può accadere, un ascolto che spesso comincia dal sintomo somatico per ricondurci altrove. Per addentrarci un po’ più nel merito volevo portare un caso che con chiarezza rende ciò di cui stiamo parlando. Viene in studio alcuni anni fa un uomo di mezza età, insegnante in una scuola dell’infanzia. Viene dicendo che si sente: “soffocare il fiato”, che in quest’ultimo anno: “ho fatto più di quello che potevo sopportare” ed a questo proposito racconta di aver condiviso la classe con una collega che non collaborava come avrebbe dovuto e lui sentiva tutto il peso del lavoro su di sé, beve acqua in continuazione proprio per dare sollievo al suo costante senso di soffocamento. La notte dice che non riesce a dormire, o meglio si addormenta sul divano mentre vede la tv e poi al momento di andare a letto è sempre preso da un senso d’angoscia. Riferisce però che quanto al sonno non ha mai dormito molto anche in passato. A breve dovrà affrontare un viaggio organizzato ma teme di non farcela. Chiede un aiuto anche se molto reticente poiché non ha mai creduto di aver bisogno dell’aiuto di uno psicologo. Spesso “giustifica” il suo stato dicendo che le cose nuove (riferendosi al viaggio ed al voler cambiare

19

scuola) spaventano un po’ tutti, che forse ha raggiunto livelli di stress troppo elevati e quindi sta così. Tutto giusto! Non vuole prendere farmaci perché ha paura che gli facciano male. Che le diano problemi di stomaco, zona già sensibile per lui. In precedenza, in seguito ad un episodio di forte senso di soffocamento e tachicardia è finito al pronto soccorso dove dopo una visita gli hanno detto che si trattava di un forte stato d’ansia e gli hanno prescritto dei farmaci. E’ molto chiaro che il suo corpo è in sofferenza ed anche vulnerabile, teniamo molto in considerazione la richiesta di non assumere farmaci ed apriamo un lavoro da un punto di vista di “riequilibrio somatico” poiché comunque la sintomatologia era molto invasiva e all’inizio, dati molti fattori ed esigenze, il solo approccio psicoterapeutico (che richiede per altro dei tempi ed un primo momento di costruzione della relazione terapeutica) non sarebbe “bastato”. Pian piano si è dato voce alla modalità di lavoro molto stressante avuta nell’ultimo anno, al suo spiccato senso del dovere, alla difficoltà di dire no laddove non condivideva delle scelte, arrivando però a stare male; si è sostenuta la scelta di cambiare il contesto di lavoro costruendo anche nuovi rapporti più vicini al suo modo di essere piuttosto che al dovere a cui rispondere, si è tornati indietro a momenti precedenti in cui la sensazione d’angoscia aveva già preso il paziente nonché al lutto non elaborato del padre quando lui era un giovane uomo. Il paziente ha ritrovato fiato, ha affrontato anche il viaggio e riavviato il suo lavoro. L’intervento è stato inizialmente molto intenso ma anche relativamente breve. Dunque innanzitutto, come spesso accade si è ricevuta una domanda d’aiuto, in uno stato potremmo dire di stress molto elevato, con uno stato psicofisico in sofferenza, che stringeva molto la persona a tal punto da generare una sintomatologia rilevante, eppure di “segnali” il paziente ne aveva avuti diversi nel corso della sua vita, mai però considerati tali.

Intervento ____________________________________________________________

Dr. Pietro Tranfaglia

Quadri dirigenti Azienda multinazionale

Ascoltando le relazioni di oggi sono rimasto molto colpito: il lavoro che fa il Cenpis Orion è un lavoro preziosissimo, perché rivolge l’attenzione alla scuola e ai giovani. Ho accettato volentieri questo invito per raccontare la mia esperienza nel mondo del lavoro. Sentendo l’intervento delle professoresse, posso in un certo senso raccontare quello che accade ai genitori di questi ragazzi.

Da trentatré anni lavoro in una istituzione finanziaria multinazionale, mi occupo di tutto ciò che riguarda il mondo degli affari sull'estero e seguo grandi aziende che operano sui mercati internazionali.

20

Quello che voglio testimoniare è lo stress che vedo tutti i giorni sul lavoro.

Lo stress sul lavoro è stato riconosciuto dal legislatore con D.Lgs n.81/2008 sulla sicurezza del lavoro, di fatto chi si occupa della sicurezza del lavoro oggi deve anche “misurare e valutare” il cosiddetto stress correlato. Ma come si è arrivati alla “larga diffusione dello Stress”?

Voglio raccontare i cambiamenti che si sono susseguiti negli ultimi anni e che hanno determinato, il radicale mutamento comportamentale delle persone, sia nel mondo del lavoro che nella società civile.

Il primo è rappresentato dall’introduzione della posta elettronica che ha cambiato significativamente il modo di rapportarsi tra le persone e soprattutto la velocità ed i ritmi di lavoro. Questa tecnologia ha drasticamente ridotto il tempo di attesa nelle comunicazioni, tanto è vero che oggi le nuove generazioni non fanno più l’esperienza dell’attesa; in passato si faceva una richiesta e si aveva l’educazione ed il buon senso di aspettare, oggi non è più tollerata l’attesa. Lo stress si manifesta non solo quando i ritmi di lavoro sono pressanti, ma anche quando le risposte non sono veloci.

L’altro evento che ha colpito i singoli e la società in genere, è stata la comunicazione attraverso i cellulari: il cellulare ha cambiato il modo di comunicare ed ha “enfatizzato” l’aspetto della privacy. Quando ero fidanzato con mia moglie, per esempio, le telefonate avvenivano da apparecchio fisso e la comunicazione era un fatto collettivo, perché se non rispondeva lei, lo faceva il fratello o la madre e quindi bisognava dar conto di chi aveva chiamato, di quello che accadeva; oggi nel rispetto della privacy, i genitori non sanno con chi parlano i figli, ma non lo sa neanche il marito della moglie e viceversa: questo ha creato un individualismo “autorizzato”.

Altro elemento che ha cambiato i modelli organizzativi delle aziende è la globalizzazione, ovvero le caratteristiche aziendali sono misurate e confrontate con tutto il mondo e anche i lavoratori sono paragonati ai loro colleghi di altri Continenti. Sempre più spesso, il confronto trai il costo del lavoro tra un paese e l’altro diventa minaccia di delocalizzazione e rischio di perdita del lavoro. Questo nuovo scenario è molto stressante poiché tra i diversi paesi, ci sono normative diverse, culture diverse, tradizioni diverse che non possono essere colmati con l’impegno personale, e questi confronti sono devastanti per le persone che si trovano in questo contesto.

Altro fattore importante che ha determinato un cambiamento nei modelli organizzativi è stato il “boom” delle quotazioni in Borsa; La Società quotata deve dare conto di trimestre in trimestre agli investitori finanziari, con performance e risultati economici in linea con le aspettative (budget); sovente, in presenza di una difficoltà di mercato o di altra natura a perseguire gli utili attesi, l’unica strada perseguibile per riuscire a “consegnare” il risultato richiesto è la drastica riduzioni dei costi a tutti i livelli, poiché i risultati economici si perseguono da una parte facendo utili, dall’altra riducendo i costi. Va tenuto conto che la riduzione dei costi impatta prevalentemente sui lavoratori.

21

Inoltre, il rispettare le previsioni di trimestre in trimestre ha determinato un mutamento anche nell’attività manageriale: tutte le decisioni e le strategie hanno prevalentemente una visione di breve periodo, conseguentemente il lavoro, le funzioni e i ruoli delle persone sono pianificati per gli obiettivi di breve periodo.

Inoltre, anche i riconoscimenti e le gratificazioni sono cambiati: non più tardi di quindici anni fa la carriera, la credibilità e la visibilità di una persona nell’ambiente di lavoro avveniva perché questa faceva un percorso formativo, si impegnava, aumentava le competenze, le conoscenze e quando arrivava a dei livelli di eccellenza, otteneva riconoscimenti che gli rimanevano, nel senso che quando una persona aveva raggiunto un certo livello di competenza questo era un valore per l’azienda. Oggi le valutazioni sono legate ai risultati e quindi può succedere che in un trimestre sei uno “scienziato”, sei “il migliore”, nel trimestre successivo sei un “incapace”, perché tutto è basato e “ridotto” ai risultati. All’inizio di ogni trimestre si parte da zero, tutto il lavoro fatto durante l’anno si annulla e quindi nascono le ansie da prestazione. La condizione del lavoro è costantemente sfidante, l’asticella si alza sempre di più e la paura di non farcela crea uno stato di profonda difficoltà e disagio.

Ma c’è un altro elemento significativo: la figura del nuovo manager. Nel passato per diventare dirigenti di un’azienda bisognava manifestare una grande capacità anche personale, bisognava dimostrare di essere capaci di difendere le proprie posizioni per una regola semplice: se non sei capace di difendere le tue posizioni figuriamoci se sei capace di difendere quelle dell’azienda. Oggi questa “figura professionale” crea un problema enorme perché, per raggiungere un risultato nel breve periodo, bisogna a volte operare scelte anche apparentemente contraddittorie, della serie “avanti tutta” e poi subito dopo “indietro tutta”; immaginate una persona con una “solida spina dorsale”, direbbe : “aspettate, fatemi capire dove andiamo” , ma non c’è più il tempo per spiegarlo; I nuovi modelli organizzativi sostituiscono questa vecchia professionalità con uno “yes man”, uno che deve dire sì e non deve farsi domande: questo nuovo contesto fa sì che si sostituisca la competenza e l’esperienza (dare sempre ragione delle cose) con l’esecuzione cinica , conseguentemente gli ambienti di lavoro diventino pesanti e con situazioni di disagio crescenti.

Ultimo fattore, l’identità e il senso di appartenenza all’azienda. Il proliferarsi dei processi di fusione e di incorporazione delle aziende hanno determinato la perdita d'identità e il senso di appartenenza all’azienda. Come diceva questa mattina il Prof. Antonio Popolizio, subentra il panico quando si perde l’IO, quando l’IO è a rischio. La mia esperienza nel mondo del lavoro mi consente di affermare che oggi, l’IO sul lavoro è a rischio. Allora come si fa? Io non ho una ricetta, però la cosa che capita a me, la cosa che vedo in diversi colleghi, che ci aiuta a salvaguardare il nostro IO, è avere dei riferimenti Alti. L’IO si deve rapportare con qualcosa di “Grande”, per trovare la giusta dimensione del lavoro.

Intervento ____________________________________________________________

Prof. Nicola Dardes

22

Pneumologo ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Signori buongiorno. Nel 250 a.c. Catone il Censore scrisse le orazioni, e una delle frasi fondamentali fu “rem tene verba sequentur”, che vuol dire “conosci le cose, le parole verranno”; questo era in contrapposizione con la scuola aristotelica di cent'anni prima che invece sosteneva che un concetto doveva essere conosciuto naturalmente, ma era molto importante come venisse espresso. A me i censori non sono stati mai particolarmente simpatici e quindi Catone nemmeno, anche perché presi una fila di “tre” nelle traduzioni. Però mi devo schierare con Catone il Censore questa mattina perché è successo questo fatto. Ieri sera verso le 21 mi chiama il professor Popolizio e mi dice “ti ricordi del Convegno di domani mattina?”, e io “guarda che ti sbagli, il Convegno è il 23 dicembre”. Lui mi dice “solo un matto può fare un convegno l'antivigilia di Natale”. Lì, ho lasciato perdere per due motivi: primo perché la pasta si stava raffreddando, secondo perché veniva fuori una faida tra medici e psicologi e gli psicologi sono matti, quindi ho lasciato correre e sono qui senza documentazione iconografica. Di questo, mi scuserete; però siccome la materia un po' la conosco le parole verranno, come diceva Catone. Allora se non vado errato, il mio tema natalizio sarebbe stato le connessioni tra psiche e patologie respiratorie o meglio tra psiche e sintomi respiratori, forse più corretto dire questo. E questa è una materia con cui lo specialista in pneumologia si confronta quotidianamente; e quando andiamo a sistematizzare il problema, non essendo in un congresso medico, ne tratteggerò come un caricaturista delle linee per far capire un pochino come stanno le cose. Dobbiamo tenere presente tre categorie fondamentali: una è il vissuto secondario che si ha in caso di patologie respiratorie invalidanti e come gestire questa situazione. Direi che questo lo possiamo accantonare perché proprio non è l'oggetto di una mattinata, di una conversazione come questa; mentre più oggetto di una conversazione come quella di questa mattina sono le altre due categorie: la prima è rappresentata dal sintomo o malattia respiratoria come espressione simbolica del disagio psichico e la seconda invece, ne ho sentito accennare prima dalla dottoressa sulla psico-neuro-endocrino-immunologia. Allora, vediamo in pochi minuti di mettere a fuoco queste due cose, perché è importante che di queste sia informato anche chi non è medico e chi non è psicologo per poter correttamente indirizzare poi le proprie scelte sia personali sia qualora sia un istitutore di indicazioni. E io parto da un dato nostro del mio Istituto Universitario di qualche anno fa pubblicato su una rivista internazionale: che il 17% dei pazienti riferiti a un centro di Pneumologia per una patologia respiratoria non avevano patologia respiratoria ma avevano un disagio psichico, ansia, depressione o qualcosa del genere e il sintomo invece era respiratorio. Queste persone accedevano a una struttura sanitaria di livello avanzato dopo essersi accorti di non star bene, essere passati dal filtro del medico curante ed essere passati da uno specialista esterno. Quello che non sappiamo ed è quello che stiamo attivando grazie alla collaborazione con il Cenpis Orion è il contrario perché non ci sono dati in letteratura, cioè quanti vanno dallo psicologo e invece sono malati di una malattia respiratoria? Importante da sapere perché tutte e due le condizioni sono dannose. I sintomi respiratori principali che svolgono una funzione simbolica sono due, la tosse e la dispnea, cioè la mancanza di respiro. La tosse è il simbolo del cacciare via qualcosa di molesto, la mancanza di respiro è più complessa ed è stata ben studiata. Tutti citano Marcel Proust e “La ricerca del tempo perduto” e nessuno, probabilmente quasi nessuno l'ha letta o

23

ne ha letta poca, ed io facendo lezione su questo tema all'università in passato facevo proprio leggere agli specializzandi questi passi perché Marcel Proust soffriva d'asma e aveva un rapporto conflittuale con la madre. Lui era effettivamente malato di asma ma quest’asma si riacutizzava nei momenti, prima, di oppressione materna e poi di distacco dalla madre; si è portato appresso per tutta la vita questa manifestazione di asma. Ecco un tipico, il più tipico caso di scuola dell’espressione simbolica di un sintomo relativo a una malattia realmente esistente. A quel 17% di persone che vanno in un centro pneumologico e non sono affetti da patologie respiratorie bisogna aggiungere un altro certo numero di Marcel Proust i quali hanno la malattia che determina la mancanza di fiato, ma questa malattia è amplificata o modulata perché il sintomo respiratorio svolge una funzione simbolica, e questo è fondamentale. Credo che qui ci siano degli insegnanti immagino; se avete in classe un bambino asmatico attenzione a focalizzare il rapporto col materno: perché credo che sia una delle poche cose che le scuole freudiane e le scuole junghiane concordano, è che l'aria e l’acqua sono simboli fortissimi del rapporto con il materno, quindi chi si soffoca ha un problema con il materno. Quindi abbiamo 17 persone su 100 che non hanno patologie respiratorie e abbiamo un numero x di persone per le quali dobbiamo porre attenzione all'aspetto psicologico. E chi è che deve porre attenzione all' aspetto psicologico? Tutti. Forse meno attrezzato per tale aspetto è un medico superficiale, un medico frettoloso o un medico che non conosce la materia. Qui le alternative sono due: o il singolo medico o la singola équipe medica sono attrezzati per gestire una problematica di questo genere, oppure è necessario costituire un sistema integrato che veda insieme al lavoro medici e psicologi, ognuno nei propri ruoli, ma ognuno che capisca il linguaggio dell'altro. L'altro tema è ancora più interessante, che è quello della psiconeuroendocrinoimmunologia. E’ stata data una definizione dello stress dalla collega, facendo riferimento al padre dello stress, Hans Selye, uno svizzero che lavorò in Canada e che aveva l'abitudine di mettersi su un terrazzo dall' una alle due nel suo studio a prendere il sole sdraiato su un’amaca, perché lui sapeva come gestire lo stress. Ma una bella spiegazione dello stress cronico è questa qui: se io prendo questo bicchiere d'acqua adesso e do un sorso, lo ripoggio e non succede niente, il mio braccio neanche se ne accorge. Se qualcuno mi obbliga a tenere questo bicchiere d'acqua in posizione per tutta la giornata, alle cinque di oggi pomeriggio io sento dolore al braccio, alle sette il braccio perde la forza e l'acqua, saranno meno di 100 g, cade per terra. Questo è lo stress cronico. E cos'è che modula questo meccanismo? Questo meccanismo è modulato dall' interazione tra la corteccia, tra le aree associative della corteccia cerebrale e i nuclei della base, ne parlava prima la dottoressa, cioè l'ipotalamo che è il modulatore della produzione di alcuni ormoni, non di tutti gli ormoni. In particolare modula la produzione della prolattina, l'ormone che fa produrre il latte, l'ormone follicolo stimolante e del cortisolo. Ma soprattutto il passaggio successivo della catena è che questi ormoni vanno attraverso determinate proteine (che si chiamano citochine) a modulare il sistema immunitario quando si verifica il fenomeno di esaurimento perché un individuo è sottoposto a stress cronico: ecco che il sistema immunitario deflette. L'ho fatta un pochino semplice, ma più o meno è proprio così, ed è questa la condizione nella quale noi possiamo avere delle patologie infettive che generalmente colpiscono la cute o l'apparato respiratorio, e quindi abbiamo il caso di due fumatori che fumano 40 sigarette al giorno da vent'anni ognuno, uno ha tosse, catarro, anche un po' di fiato corto; l'altro

24

appartiene a un fenotipo diverso, cioè un tipo genetico diverso, e va invece incontro ad episodi ricorrenti di infezioni delle vie respiratorie. Guarda caso, se vai a scavare, uno è considerato il fenotipo non infiammatorio e l'altro fenotipo infiammatorio, e nel gruppo di quelli che hanno una risposta infiammatoria mal modulata cascano tutti quelli che hanno un profilo psicologico da stress cronico. Quindi, come vedete, la cosa non è semplice, perché si inscrive nel tema della complessità. Complesso viene dal latino “complector” che vuol dire accogliere in sé e richiudere tutto in sé. C'è stato un filosofo, Morin, che ha fatto proprio un bellissimo testo sulla teoria della complessità pubblicato in Italia nel 1993. Dal punto di vista epistemologico analizzare la complessità non vuol dire analizzare il singolo sintomo, la singola manifestazione di stress, il capoufficio che mi genera stress cronico, ma vuol dire analizzare tutto nel suo insieme e vedere come si sposta l'equilibrio. Questo si fa o da soli o in un’équipe. Nel concludere mi viene in mente una bellissima pièce teatrale dei primi del 900 di un autore francese Romain che si chiama “Il dottor Knock”, ovvero il trionfo della medicina; questa pièce teatrale divertentissima in Italia la fece Alberto Lionello, nasce su questo tema: un medico va in un paese a rilevare e scopre che sono tutti sani, e questo è una tragedia, quindi si mette a fare conferenze e convince tutti che la salute altro non è che un periodo transitorio tra un piccolo disturbo e una malattia gravissima, e quindi la salute non fa presagire niente di buono. L'interpretazione di questo può essere su due piani: un piano, all'epoca fu considerato politico, perché era la rappresentazione allegorica del dittatore; l'altro piano più semplice poiché nei primi anni del 900 dall'America venne importata in Europa la pubblicità in medicina, che peraltro è vietata dal codice deontologico medico. Io conosco il Professor Popolizio da troppo tempo perché siamo vecchi tutte e due e non siamo qui per pubblicizzare, siamo qui per informare perché quello che io ho visto facendo questi studi retrospettivi è stato che poi c'è un accesso modulato dalla disinformazione, e il primo che deve essere informato è il diretto interessato, ovvero il paziente. Per questo io mi sento di ringraziare il professor Popolizio per avermi dato l'opportunità di parlare e dichiaro la mia disponibilità, essendo informato per tempo, per i prossimi incontri, grazie.

Intervento ____________________________________________________________

Dott. Alessandro Ficara

Cardiologo ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

25

Ringrazio tutti, specialmente il Cenpis Orion e il Comune che ci ha ospitato. Io sono cardiologo, lavoro presso il complesso integrato Columbus che adesso fa parte della Fondazione Columbus e della Fondazione Gemelli; come cardiologo, frequentando sia il reparto, sia il servizio di Cardiologia ho sempre messo sulla bilancia il peso della psicologia e le malattie cardiache. Gli esempi sono tanti, diciamo che il primo che mi viene in mente è quando, quest'estate dovevamo cardiovertire un paziente. Voi sapete che c'è un’aritmia, chiamata Fibrillazione atriale che è “un ritmo caotico” del cuore che può insorgere per tanti motivi. Dopo opportuna preparazione anticoagulante (per evitare delle conseguenze successive) va cardiovertita o farmacologicamente o in casi più resistenti elettricamente. In questo paziente avevamo optato per la seconda e cioè elettricamente. Il paziente aveva “storto il naso” quando abbiamo deciso ma non avevamo altra scelta. E’ arrivato dunque il giorno “fatale”, con l’anestesista abbiamo sedato il paziente, posizionato le piastre, applicati gli elettrodi, sincronizzato il defibrillatore. Dopo pochi minuti, dato lo stress accumulato nelle ore precedenti, la fibrillazione gli era passata spontaneamente perché lo stress che questo paziente si era portato appresso gli ha scatenato una scarica di adrenalina e quindi l’equivalente di una scarica elettrica da 200 Joule. Ritorniamo al dunque e cioè al discorso che ha fatto prima la dottoressa in merito all'asse ipotalamo ipofisi, il paziente si è cardiovertito spontaneamente. Può darsi anche che si dovesse cardiovertire da solo, ma sottolineo che più volte ci siamo trovati di fronte a una situazione del genere o simili. Spesse volte, quando dobbiamo eseguire un test da sforzo o ergometrico per vedere se sotto sforzo si slatentizza un’aritmia o un ischemia, può succedere che i pazienti vanno in iperventilazione perché hanno un abbassamento di CO2 e vanno in alcalosi respiratoria e quindi possono avere uno spasmo dei vasi coronarici, tanto che, specie gli ansiosi, manifestano dei segni elettrocardiografici di ischemia o aritmie. Non ci dimentichiamo che un buon 20% di accessi al Pronto Soccorso per dolore toracico sono realmente legati ad uno stato di stress, di ansia, quindi sia le palpitazioni sia la dispnea e le crisi ipertensive spesse volte sono legate a questo. Nel meccanismo dell'asse ipotalamo-ipofisi lo stress agisce provocando una liberazione di adrenalina e quindi aumento della pressione e della frequenza cardiaca; qui sono state divise la parte di risposta immediata e quella a lungo termine. C'è un breve accenno allo stress che può essere il responsabile dell’infiammazione a livello dei vasi, anche dei vasi coronarici, legato alla liberazione di alcune sostanze come l'interleuchina, che sappiamo essere una delle concause responsabili delle malattie cardiovascolari legate allo stress. E’ importante conoscere gli effetti che lo stress e la psiche possono avere nei vari organi, quindi dall'occhio, al polmone, al cuore, al fegato eccetera. Questo è quel delicato equilibrio tra il sistema adrenergico chiamato “simpatico” e colinergico chiamato vago che sono l'acceleratore e il freno del nostro organismo, che quando sollecitati possono non collaborare più fra di loro, determinando lo stress e cioè un mancato adattamento agli eventi, scatenando quei fenomeni che abbiamo più volte detto. Un test HRV Heart Rate Variability fornisce la misura della funzionalità dell'interazione tra simpatico e parasimpatico nelle persone che hanno stress. L’Holter che è una registrazione elettrocardiografica cardiaca delle 24 ore fornisce dati importanti per alcuni tipi di aritmie o eventuali fasi di ischemia durante il giorno e la notte. Se il cuore riceve stimoli a livello

26

dell'ipotalamo e del sistema limbico, durante la notte, specie durante la fase REM del sogno, possiamo stabilire se c’è un’aritmia. Si è visto infatti che le persone che sono sottoposte a stress hanno una riduzione di questa variabilità cardiaca (HRV), proprio perché si liberano alcune sostanze, chiamate “acidi grassi polinsaturi” che predisporrebbe a gravi aritmie cardiache. Quindi tutte quante le volte che ci troviamo di fronte a un paziente che ci presenta delle palpitazioni, delle aritmie, dei dolori al torace, è sempre giusto parlare a lungo con lui prima di sottoporlo a logoranti e rischiosi esami diagnostici: spesse volte infatti bisogna contestualizzare i sintomi perché le cause sono di altra natura. Numerosi sono gli studi che riguardano infarto miocardico e personalità. In particolare si è visto in uno studio prospettico che arruolava più di 10000 pazienti, che le persone ansiose erano colpite tre volte di più rispetto alle persone normali. Questo ha portato ad approfondire la genesi del problema. Spesse volte infatti, l’infarto, che è causato da un agglomerato di piastrine (responsabili del trombo coronarico), si scatena in quanto, in seguito allo stress, vengono stimolati in maniera esponenziale alcuni recettori piastrinici (tipo delle serrature biochimiche) dove agiscono numerose sostanze. Quindi possiamo affermare che lo stress amplifica la sensibilità di questi recettori, agglomerando con più facilità le piastrine. La conferma di tutto ciò sta nel fatto che somministrando degli antidepressivi e soprattutto facendo delle sedute di carattere psicologico, si riduce di 4 volte il rischio di eventi acuti. Voglio sottolineare comunque il fatto di parlare sempre con il paziente perché tante volte guarisce molto di più una parola che mille medicine. Grazie mille.

Intervento ____________________________________________________________

Dr. Fabio Fabiano

Neurologo ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Sono il dottor Fabio Fabiano neurologo, collaboro da moltissimi anni con il Cenpis ed il prof Popolizio che ringrazio per l'invito in questa location stupenda. Cercherò di essere molto sintetico e soprattutto di dare dei flash, delle informazioni, delle indicazioni. Tutti gli organismi compresi gli individui della nostra specie tendono alla sopravvivenza, cioè a rimanere in vita ed a trasmettere la vita alle generazioni successive; da un lato quindi vengono ricercate tutte quelle situazioni che concorrono alla sopravvivenza e alla riproduzione, dall'altro si cerca di evitare tutto quello che potrebbe minacciare l'individuo e la sua progenie. Di fronte alla percezione di un pericolo si verificano delle risposte di tipo fisiologico, di tipo psicologico e di tipo cognitivo-comportamentale. Queste tre tipologie di risposta chiariscono il concetto di ansia; l’ansia è una reazione di attivazione psicofisiologica con la funzione di preparare l'organismo a reagire ad una situazione di pericolo con una risposta di attacco o di fuga. Tengo a sottolineare che questo

27

tipo di reazione rientra nella normalità e quindi l'ansia non è una malattia. Può sembrare quasi ovvio dopo le relazioni illustri che abbiamo sentito finora, ma così non è perché quotidianamente al mio studio vengono pazienti che mi chiedono di guarire dall'ansia pensando di avere una malattia, la mia risposta è che purtroppo non li posso guarire in quanto non sono malati. La mia risposta ha quindi un risvolto positivo ed uno negativo: quello positivo è che non sono malati, quello negativo è che non possono guarire. L'ansia è una risposta fisiologica, così come lo stress, che comunemente viene interpretato con accezione negativa; in realtà come la collega ha prima detto in modo perfetto, è una risposta che l'organismo emette di fronte ad una richiesta di cambiamento effettuata da un evento esterno, quindi è una reazione adattativa fisiologica. Chiaramente nel momento in cui lo stress diventa cronico, quindi si manifesta per un periodo di tempo prolungato, si determinano una serie di reazioni patologiche nell’organismo. L’ansia non è sempre normale, può talora essere patologica. Quando è che l'ansia diventa patologica? Quando la risposta è esagerata rispetto alla reale pericolosità dell'oggetto che la scatena. Quindi, come sempre accade in tutte le manifestazioni biologiche, l'equilibrio è alla base della normalità; qualunque risposta sia eccessiva o troppo scarsa in relazione all’entità dello stimolo diventa patologica. Questo è l’elenco dei disturbi d'ansia, cioè le situazioni in cui l'ansia diventa patologica secondo il DSM-IV, quindi fobie, disturbo di panico, disturbo d'ansia generalizzato, eccetera. Chiaramente l'esplicazione di queste varie tipologie dipende dalla situazione dell'individuo, dalla situazione genetica, dalla personalità, dal carattere, ma anche dai periodi storici. Abbiamo visto come tra tutti questi disturbi d'ansia quello più frequente è il disturbo da attacco di panico. Il criterio diagnostico è la presenza di un periodo caratterizzato da un’intensa paura o disagio con sviluppo improvviso di almeno quattro dei seguenti sintomi. Da un punto di vista pratico, è caratterizzato da un’improvvisa paura di impazzire, paura di morire, quindi una sensazione di disagio gravissima. Non ha nulla a che vedere con una crisi d'ansia più o meno forte, é qualcosa di diverso, è qualcosa che coinvolge la totalità della persona con sintomi psicologici e sintomi fisici; tra l'altro molti di questi sintomi fisici, come diceva il collega prima, sono legati alla respirazione nel senso che l’iperpnea, ovvero l’iperventilazione, è contemporaneamente un sintomo ed una causa dell’attacco di panico. Molti dei sintomi dell'attacco di panico corrispondono perfettamente alla sintomatologia che si ha dopo una iperventilazione. Nel momento in cui questi attacchi di panico si moltiplicano, quindi diventano numerosi, e sono associati ad alcuni altri sintomi quali l’ansia anticipatoria, si parla di disturbo da attacchi di panico. Sintomi associati molto frequentemente sono caratterizzati proprio dall’ansia anticipatoria, vale a dire dalla paura esagerata di avere un nuovo attacco; l'ipocondria con stato di allerta, è la situazione dell'individuo che avendo avuto un attacco di panico continuamente si testa, misura la sua frequenza cardiaca e la sua respirazione per paura di avere un nuovo attacco di panico. Spesso questi sintomi sfociano in un disturbo depressivo, quasi sempre in condotte di evitamento, nel senso che si cerca di evitare quei luoghi e quelle situazioni che sono state causa dell’attacco di panico. Il disturbo da attacchi di panico è molto frequente, si valuta una percentuale dell’8% nella popolazione nei paesi industrializzati, può iniziare in qualunque momento come un fulmine a ciel sereno in persone perfettamente sane ed in pieno benessere che, come diceva il professor Popolizio stamattina, non pensavano minimamente di avere problemi di alcun tipo. Un'altra cosa fondamentale da dire è che l’attacco di panico non è assolutamente pericoloso: non è morto mai nessuno di attacco di panico; quindi c'è paura di morire, paura di impazzire, paura di avere un infarto, ma di fatto non esiste nessun rischio per la salute.

28

L'approccio terapeutico al disturbo da attacchi di panico, come peraltro a tutti i disturbi d'ansia, è sempre un approccio di tipo integrato, vale a dire bisogna sempre associare la farmacoterapia alla psicoterapia. Di questo ha parlato abbondantemente il professor Popolizio, quindi non sto qui a ripetere quello che lui ha detto in modo perfetto questa mattina. Tengo a precisare che nella nostra collaborazione, oramai decennale, siamo riusciti a risolvere tantissime situazioni anche molto problematiche proprio grazie a questo approccio. La farmacoterapia in genere si attua con modalità bifasica, vale a dire nella terapia iniziale si associa un farmaco ad azione rapida, una benzodiazepina, il Tavor, il Valium tanto per capirci, con uno dei farmaci nuovi antidepressivi di tipo serotoninergico. La cosa importante è che al più presto bisogna cercare di eliminare la benzodiazepina che fa parte di una categoria di farmaci che danno dipendenza, che danno effetti collaterali e problemi vari. Quanto tempo deve durare la terapia? Questa è una domanda che tutti i pazienti che iniziano una terapia giustamente mi pongono. Diciamo che negli ultimi anni le cose sono un po' cambiate grazie a delle nuove scoperte che sono state effettuate; un tempo si faceva la classica terapia che durava sei mesi e poi si cercava di eliminare i farmaci, oggi si è visto che i farmaci hanno un meccanismo d'azione molto complesso. Si è visto cioè che esiste la neurogenesi, vale a dire esiste la possibilità nel nostro sistema nervoso centrale che cellule staminali diventino neuroni; quindi le cose non stanno come ci hanno insegnato ai tempi dell'università o quando io ho fatto la specializzazione in Neurologia, quando si diceva che i neuroni sono cellule perenni e non si riproducono e quindi in caso di morte neuronale non c’è alcuna possibilità di rimpiazzo. In realtà la situazione è molto diversa: il cervello è un organo dinamico, non è un organo statico, come tutti gli altri organi, come l’osso tanto per capirci, in cui ci sono cellule che muoiono e cellule che possono rigenerarsi. La cosa caratteristica del cervello è che questa rigenerazione è inserita in un meccanismo piuttosto complesso. Sintetizzo ciò che avviene durante un attacco di panico, quando c'è un disturbo d'ansia o quando c'è un disturbo depressivo. In condizioni normali esiste un equilibrio, in questo equilibrio si ha la produzione di neurotrofine, la neurogenesi, tutti meccanismi che incrementano l'attività del sistema nervoso centrale e soprattutto favoriscono la creazione di nuovi circuiti. Il concetto di cervello come computer, oramai antico, è un concetto assolutamente morto. Il computer è stupido, il cervello è intelligente. Il computer ha dei circuiti fissi e nel caso in cui se ne rompa uno si impalla tutto; il cervello è dinamico e quindi è in grado di modificarsi continuamente, ma cos’è che favorisce questi cambiamenti? E’ il nostro stile di vita. Da un lato abbiamo quindi lo stress cronico di tipo fisiologico e psicologico che è in grado di andare a deprimere il meccanismo di cui ho appena parlato, dall'altro abbiamo degli stimoli, ad esempio gli stimoli fisici che facilitano il meccanismo; quindi parliamo dell'attività fisica. L'attività fisica è assolutamente fondamentale, deve essere espletata da 0 a 100 anni, chi ha la fortuna di arrivarci, in quanto in grado di stimolare il sistema nervoso centrale. Quello che si diceva un tempo all'anziano, “fai le parole crociate perché così attivi il cervello”, oggi va un pochino modificato “fai sì le parole crociate, ma cammina, muoviti, perché l'attività fisica è in grado di stimolare il cervello molto più delle parole crociate”. Ho inserito la psicoterapia perché tra gli stimoli cognitivi è ovviamente lo stimolo cognitivo supremo, perché è in grado di andare ad agire in modo mirato e ad andare a scoperchiare tutta una serie di profili, problematiche molteplici che abbiamo sentito questa mattina da parte dei colleghi. I farmaci non a caso li ho messi al terzo posto, non perché non siano importanti, io faccio il neurologo ci mancherebbe, però è fondamentale il messaggio che la cosa più importante sia l'attività fisica, poi la stimolazione cognitiva, ed infine, solo in

29

ultimo viene il farmaco. Non esiste la pillola miracolosa in grado di guarire una malattia che non c'è; ma c'è invece la necessità di avere uno stile di vita che deve essere modificato in modo da riattivare un equilibrio che è venuto meno per motivi che lo psicoterapeuta poi approfondirà. Il sonno è un elemento particolarmente delicato perché un disturbo del sonno è molto spesso il primo sintomo di un equilibrio che sta venendo meno, ma nello stesso tempo il disturbo del sonno può essere una delle cause del problema, nel senso che un non corretto ciclo sonno-veglia va a ridurre la cosiddetta plasticità neuronale. Fondamentale è che con il nostro comportamento possiamo modificare ciò che accade nel nostro cervello, quindi questo è un elemento che deve essere di guida primariamente per i pazienti, ma anche per tutti noi. Quello che conta è l'equilibrio, quindi non sono le specie più forti a sopravvivere ma quelle che riescono a rispondere con maggior prontezza ai cambiamenti, cioè allo stress. Quindi riuscire a mantenere il proprio equilibrio (e il proprio equilibrio si mantiene modificando se necessario il nostro stile di vita), ci protegge dalla possibilità di soccombere di fronte ad eventi stressanti di particolare intensità. Grazie.

Conclusioni ____________________________________________________________

Antonio Popolizio

DIRETTORE ASSOCIAZIONE CENPIS ORION

Grazie, abbiamo terminato il nostro cammino. Noi da questo tipo di convegno facciamo partire un progetto triennale “Vincere l’ansia e lo stress, nel lavoro e nella vita personale”. “Lo stress tutti ne parlano, ma nessuno ha mai trovato un metodo innovativo ed efficace per abbatterlo”, tutti siamo d’accordo sull’esistenza di questo fenomeno ma ancora lo affrontiamo approssimativamente per prove ed errori. In che cosa consiste il progetto? Si tratta di approfondire i livelli di ansia e stress sulla popolazione nazionale, attraverso delle indagini e promuovendo cicli di conferenze nelle strutture pubbliche e private al fine di favorire una sensibilizzazione in merito, come speriamo di aver fatto in questa giornata. Alla fine di ogni conferenza verrà somministrato un questionario d’indagine volto ad indagare i comportamenti, le origini e gli effetti dello stress percepito. Ciò consentirà di sviluppare degli interventi ad hoc sul tema, che possano proprio partire dai vissuti e dalle esigenze di chi si trova a vivere situazioni e periodi più lunghi di stress. L’attenzione è riservata ad un aiuto psicologico affiancato da quello medico, poiché, come abbiamo avuto il piacere di ascoltare, il corpo della psico-somatica, con le sue variazioni fisiologiche e psicologiche rimane l’oggetto ed il soggetto di un utile intervento in merito. Bisogna dunque ascoltarne i suoi cambiamenti, le sue modificazioni, i suoi sintomi, dai vari

30

punti di ascolto specialistici. Favorire inoltre un’ottica preventiva di ascolto di sé piuttosto che riparativa nel momento dell’emergenza. Attraverso questa giornata, spero che sia passata l’importanza di quanto crediamo nel ruolo delle emozioni nella vita di ognuno nonché della loro espressione al fine della qualità di vita, affinché esse non siano sequestrate nel corpo generando poi tutte quelle invadenti sintomatologie di cui i nostri medici hanno dettagliatamente parlato. Grazie ancora a tutti voi per l’attenzione e la partecipazione.