STRATEGIE E ABILITA’ PER GLI ADOLESCENTI · Web viewaspettative e prospettive ottimistiche...
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STRATEGIE E ABILITA’ PER GLI ADOLESCENTIOrigini, metodologia e organizzazione
Fiorin Amelia, Pasinato Mariagrazia, Zago Luca, Giacomazzi Selena, Bellio GrazianoLe originiAlle origini di questo progetto si possono individuare due soggetti promotori, da una parte
l’istituzione scolastica e dall’altra un gruppo di operatori delle dipendenze che lavoravano
nell’ambito della prevenzione nella scuola.
Il progetto “Strategie e Abilità per gli Adolescenti” nasce all’interno del contesto scolastico
dell’Istituto Tecnico Industriale Statale “ E Barsanti”di Castelfranco Veneto. Da circa due
anni era attivo nell’Istituto il C.I.C che aveva raccolto attorno a sè un gruppo di insegnanti
piuttosto numeroso e motivato nel proporre una serie di iniziative legate alla prevenzione
dell’uso di sostanze. La presenza di una popolazione scolastica prevalentemente
maschile, così come la forte dispersione scolastica presente negli Istituti Tecnici e negli
Istituti Professionali, esercitavano un’importante preoccupazione nella Direzione
Scolastica tanto da presenziare e sostenere molte delle attività proposte dal C.I.C.,
percepito come strumento per sostenere l’immagine della scuola.
Il C.I.C. aveva consolidato anche una discreta tradizione sul modo di fare prevenzione: gli
insegnanti avevano il loro sportello di ascolto in un luogo confortevole e ben arredato,
l’orario di ricevimento era facilmente fruibile dagli studenti e dai genitori, poiché era
distribuito equamente durante i giorni della settimana.
Durante la metà dell’anno scolastico 2000-2001, è maturata l’idea di avviare un progetto
di prevenzione del fumo di tabacco in seguito ad alcuni fenomeni che i docenti avevano
osservato:
durante la sorveglianza nelle ricreazioni, soprattutto nelle classi prime e seconde,
alcuni ragazzi venivano invitati dai compagni a sperimentare la sigaretta;
si verificavano continue infrazioni rispetto al divieto di fumare negli ambienti
scolastici, cosicché i corridoi o i bagni odoravano sempre di fumo di sigaretta. I
docenti riferivano che queste infrazioni erano realizzate da alcuni studenti delle
classi quarte o quinte.
All’inizio la richiesta fatta all’operatore del SerT, che collaborava con loro nel C.I.C., è stata
quella di organizzare degli incontri con gli “esperti” sulla dannosità del fumo di tabacco.
Nello specifico i docenti chiedevano di realizzare una serie di incontri-dibattito all’interno
delle classi prime sul tema del fumo di sigaretta, da parte di un nostro operatore. Le
perplessità e i dubbi circa l’utilità di questi interventi estemporanei nella scuola, erano
fonte di riflessioni e ripensamenti tra gli operatori delle dipendenze tanto che da tempo noi
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del Ser.T, e alcuni operatori del vicino Servizio Riabilitativo Alcologico Territoriale
(SeRAT) stavamo approntando una serie di progetti di prevenzione introducendo dei
cambiamenti metodologici e organizzativi rispetto agli interventi di semplice informazione-
sensibilizzazione.
Si coltivava l’idea di sperimentare alcune tecniche psicopedagogiche del lavoro preventivo
ritenute più efficaci, come il lavoro di gruppo tra pari, la partecipazione attiva
dell’adolescente e l’utilizzo della tecnica del problem-solving, in una situazione “protetta”,
cioè in una realtà scolastica dove si potessero definire, insieme agli insegnanti, degli
obiettivi specifici intermedi sulla prevenzione dell’uso delle sostanze.
Eravamo anche consapevoli di quanto problematico e impegnativo fosse l’incontro con il
mondo della scuola, organizzata seguendo regole rigide e programmazioni fisse e dove
l’accesso è spesso vincolato dall’offrire delle risposte concrete con tempi e metodi regolati
dalla loro organizzazione.
Si trattava quindi di “sfruttare” questa occasione di collaborazione a nostro vantaggio,
cercando di accogliere da una parte la loro domanda e nello stesso tempo di creare delle
alleanze, principalmente con gli insegnanti referenti del C.I.C e successivamente con tutto
il corpo docenti, allo scopo di favorire un clima collaborativo e accogliente verso le
proposte che andavamo a fare.
L’idea era quella di avviare un progetto con l’obiettivo di ritardare l’iniziazione al fumo di
tabacco negli adolescenti delle prime classi superiori attraverso l’applicazione, in via
sperimentale, di metodologie di lavoro preventivo nuove, come la peer-education, e per
fare questo avevamo bisogno che la scuola sostenesse attivamente e concretamente il
progetto, presentandolo e facendolo approvare nei vari Consigli di Classe affinchè fossero
autorizzate le uscite previste dei peer educator dalla propria classe per l’intervento in
altre aule. Avevamo chiesto inoltre la collaborazione di un docente per seguire
specificatamente la distribuzione e raccolta dei vari questionari sulle abitudini al fumo che,
come vedremo più avanti, fanno parte del disegno sperimentale per la valutazione
sull’efficacia dell’intervento.
Queste sono state le condizioni che hanno favorito l’avvio del progetto nel 2001, la
collaborazione con la scuola è poi continuata fino al 2005, data di conclusione
dell’esperienza.
I contributi teorici e metodologiciDa tempo gli operatori delle dipendenze dell’ULSS n°8, che si occupavano anche di
progetti di prevenzione, lamentavano una crescente fatica nel condurre e gestire con
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modalità tradizionali gli interventi informativi nelle classi. Le difficoltà più frequentemente
riscontrate erano relative alla conduzione dell’intervento: infatti, pur adottando uno stile
comunicativo interattivo, spesso non si raggiungeva l’interesse e il coinvolgimento sperato
e comparivano, nei ragazzi, comportamenti di noia e di distrazione. Inoltre tanta
insoddisfazione stava nel riscontrare il ridotto impatto che un intervento, spesso singolo o
frammentato, aveva nel comportamento complessivo del soggetto. Non avevamo certo
dati scientifici per affermare ciò, ma l’esperienza e il nostro vissuto era comunque di
sfiducia. Parallelamente cresceva il desiderio di operare una netta svolta rispettivamente
verso:
l’adozione di tecniche metodologiche innovative;
l’acquisizione di una maggiore organicità progettuale indirizzata ad affrontare un
singolo comportamento deviante da più punti di vista (valoriale, scientifico, medico
psicologico, sociale) ;
l’applicazione di principi di ricerca scientifica con l’adozione di strumenti e
questionari finalizzati alla rilevazione sull’efficacia dell’intervento effettuato;
la programmazione dei tempi che dovevano essere sufficientemente lunghi per
sviluppare e consolidare gli eventuali risultati.
Per alcuni mesi il nostro gruppo di lavoro si concentrò sull’approfondimento degli aspetti
metodologici e delle possibili tecniche pedagogiche da modificare per rendere più
accattivanti ed interessanti gli interventi.
Fino ad allora la maggior parte degli incontri di prevenzione nelle scuole erano
completamente gestiti da noi utilizzando di volta in volta tecniche informative sotto forma di
discussione plenarie, oppure in piccoli gruppi in una singola classe. Ormai da più parti gli
studi nazionali ed internazionali ci suggerivano di abbandonare o integrare questo stile di
intervento perché poco incisivo e soddisfacente (Durlak 1997). Come evidenzia la ricerca
di Soresi e Nota (1997), infatti, il grado di conoscenza non rappresenta un fattore
protettivo verso i comportamenti di dipendenza.
Ci aveva particolarmente colpito il lavoro della Pentz (1986) “ Student Taught Awareness
and Resistance” che, attraverso alcune tecniche cognitvo-comportamentali ed alcune
tecniche di addestramento all’assertività, aumentavano le competenze sociali e
l’autostima. La Pentz ha rilevato che la presenza di comportamenti di consumo da parte
dei familiari, così come una scarsa efficacia personale e ridotte competenze sociali,
predispongono gli adolescenti all’acquisizione di comportamenti di uso di sostanze, che
vengono viste come alleate nella gestione di diversi stati d’ansia determinati anche dalle
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pressioni sociali. Oggi possiamo dire che tutte queste osservazioni sono state rinnovate e
ribadite da molteplici studi e che tutti i progetti di prevenzione alle dipendenze, con
gradienti diversi, intervengono su questi fattori ritenuti appunto protettivi per uno stile di
vita sano (Barnett 1990; Knoff Basche 1995; Stevens e Salivin 1995). Lo stesso modello
delle life skills ideato da Botvin (1995), ha avuto una notevole diffusione tanto che negli
ultimi anni l’OMS ha indicato, come obiettivo educativo primario nei programmi di
prevenzione, l’apprendimento di queste abilità. Le linee guida proposte dall’OMS invitano
ad adottare questo approccio e più recentemente anche l’autrice Boda (2001) sottolinea
che “l’educazione alle life skills è molto più di una strategia di prevenzione, rappresenta il
diritto e dovere dei giovani ad assumere la responsabilità della propria salute e del proprio
percorso formativo e il diritto e dovere d’intraprendere azioni positive per sé promuovendo
relazioni sociali costruttive ed efficaci”.
Un altro aspetto del lavoro della Pentz che aveva catturato la nostra curiosità era la varietà
dei metodi didattici impiegati nel progetto che andavano dall’addestramento
dell’insegnante, a quello di alcuni studenti identificati come leader, all’utilizzo di metodi
come il modeling, la drammatizzazione, il gioco dei ruoli e infine l’uso del video sia come
strumento di conoscenza che come strumento comunicativo. Questa apertura verso
metodologie più dinamiche e creative ci ha convinto a rivedere completamente il materiale
che noi avevamo già preparato e a riorganizzarlo prendendo spunto dai suggerimenti di
questo lavoro.
La scelta è stata quella di mantenere, all’interno del progetto, una parte informativa
circoscritta, seguita da altre tecniche più interattive. Per ottimizzare l’integrazione tra
tecniche di apprendimento passive, dove il docente insegna al discente, e tecniche attive
dove l’alunno diventa promotore del suo apprendimento, avevamo strutturato l’intervento
in sessioni o moduli, della durata di due ore, all’interno dei quali il lavoro veniva
organizzato seguendo la tecnica del laboratorio cognitivo. Nel laboratorio cognitivo si
susseguono modalità di lavoro direttivo tra operatore e gruppo classe e modalità di lavoro
in piccoli gruppi autogestiti tra i ragazzi finalizzati alla produzione di un risultato finale. La
scelta metodologica del laboratorio è stata dettata dalle potenzialità che questa strategia
possiede: secondo la ricerca pedagogica, è un ambiente di apprendimento dove i ragazzi
vengono stimolati attraverso condotte esplorative e la ristrutturazione cognitiva, ad
integrare competenze già acquisite sperimentandone di nuove. Inoltre, se il compito
assegnato viene svolto in gruppo, stimola una comunicazione paritaria e non gerarchica
facilitando così l’apprendimento reciproco su più livelli: quello prettamente concettuale dei
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temi presentati nei vari laboratori e quello relazionale, poiché vengono allenate le abilità di
rapportarsi con gli altri. In sintesi, questa metodologia attiva ci ha convinti perché, se
utilizzata bene, le componenti cognitive e affettive vengono elaborate ed esercitate
insieme come aspetti di un’unica realtà esperienziale. Questo ultimo spunto ci rinvia alla
teoria dell’apprendimento di Albert Bandura che enfatizza l’interazione tra individuo ed
ambiente, ponendo l’imitazione e le dinamiche interpersonali al centro del processo di
apprendimento (1977).
Il laboratorio è stato concepito, in questo progetto, come una palestra cognitiva dove i
ragazzi dopo aver ricevuto delle informazioni su alcuni argomenti dovevano rielaborarle,
integrarle con le loro e, seguendo una traccia, costruire un prodotto finale (cartellone,
drammatizzazione di una situazione problematica e la realizzazione di un CD sui temi
trattati al termine del progetto).
I vantaggi riscontrati di questa tecnica sono stati molteplici; a noi ha permesso di
mantenere una discreta continuità con i precedenti progetti sfruttando anche l’eredità di
materiali e contenuti didattici precedentemente costruiti e ha facilitato il rapporto di
collaborazione con la scuola sempre attenta al risultato concreto. Infatti se da una parte vi
era la perplessità del tempo impiegato per ogni laboratorio, tempo che veniva tolto dalle
attività scolastiche, dopo la realizzazione dei primi moduli e l’osservazione dei prodotti
esposti in aula (cartelloni) vi è stato da parte dei docenti un inaspettato sostegno e
apprezzamento del lavoro svolto. Alcuni insegnanti avevano espresso il desiderio di
partecipare agli incontri per osservare la tecnica di lavoro di cui i ragazzi parlavano con
entusiasmo. Il lavoro di gruppo fra pari inoltre ci ha permesso di individuare i possibili
trainer che sono stati parte integrante del progetto: il trainer doveva possedere delle
capacità di problem-solving, mediazione dei conflitti e un buon stile comunicativo, tutte
abilità che sono osservabili all’interno di una esecuzione di un compito nel gruppo.
Rimanendo sempre all’interno della riflessione metodologica, infatti, particolare interesse
aveva suscitato in noi la fattibilità di addestrare un gruppo di adolescenti trainer perché
collaborassero attivamente nel lavoro di prevenzione. Diversi lavori scientifici pubblicati
dagli anni ’60 in poi, soprattutto negli USA, riferivano di questa modalità di “tutoraggio” e di
insegnamento fra coetanei come di una modalità vantaggiosa sia per i peer educator che
per gli allievi. Successivamente negli anni ’70 la peer education venne promossa da
esperti come strategia finalizzata alla modifica di comportamenti specifici allo sviluppo di
life skill. L’efficacia di questa metodologia è ormai consolidata da notevoli studi di meta-
analisi già citati nella prima parte del presente lavoro (Tobler 1986, 1992).
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La peer education è un metodo educativo grazie al quale individui della stessa età, status
e con esperienze simili, dopo essere stati adeguatamente formati e responsabilizzati,
vengono reinseriti nel gruppo di appartenenza per realizzare attività con i propri coetanei
(Bandura A. 1977; Boda G. 2001). Persone con interessi comuni vengono istruite a
sviluppare conoscenze e specializzazioni appropriate e a condividere queste conoscenze
in modo da informare e preparare i propri coetanei a diffondere competenze ed abilità
simili all’interno dello stesso gruppo.
La peer-education pone l’accento sulla comunicazione tra coetanei. Questa metodologia è
risultata più efficace perchè influenza e modifica i comportamenti degli adolescenti
mediante due modalità:
quello della comunicazione formale dei contenuti e delle informazioni che per il
semplice fatto che sono verbalizzate da coetanei e quindi da persone che
condividono lo stesso patrimonio valoriale, culturale e sociale, risultano più credibili
e vere, perciò preferite rispetto a quelle dell’adulto;
quello dell’influenza normativa che può essere spiegata facendo riferimento al
bisogno che l’adolescente ha di autorealizzazione attraverso il gruppo di coetanei.
L’adolescente viene coinvolto e spinto a modificare il proprio comportamento, le
proprie credenze e atteggiamenti al fine di ottenere il consenso del gruppo. Questo
concetto è stato sviluppato particolarmente dalla teoria dell’apprendimento sociale
di Bandura (1977) ma anche da tutta la psicologia sociale che ha investito molto
sul potere che hanno i gruppi, nel processo di cambiamento verso stili di vita sani.
In letteratura sono stati descritti vari modelli di peer-education che ora descriveremo
brevemente facendo riferimento ai lavori di Svenson (1998). Questo autore distingue
quattro modelli di peer-education che rispondono ad applicazioni diverse a seconda
dell’obiettivo del progetto:
l’approccio pedagogico o educativo. In questo caso il peer-educator ha il compito di
fornire delle informazioni mediante lettura o presentazioni di materiali. Le
informazioni sono date all’interno di una ambiente formale come la scuola. L’adulto
supporta il lavoro dei peer-educator sia negli aspetti organizzativi che di contenuto.
l’intervento in “sordina”. Il ruolo del peer-educator è quello di stimolare, nel gruppo
target, una maggiore consapevolezza verso il rischio di alcuni comportamenti. In
questo caso i peer-educator devono avere stili di vita simili.
l’intervento riferito alla popolazione generale. In questo modello i peer-educator
appartengono alla medesima classe sociale del gruppo target e cercano, mediante
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la comunicazione informale, di influenzare direttamente le opinioni, le credenze e le
norme sociali. Spesso i peer-educator coinvolti in queste iniziative svolgono anche
ruoli di opinion-leader.
l’intervento orientato alla comunità. Sono progetti che mirano alla mobilitazione
delle comunità locali verso obiettivi comuni come la promozione della salute. I peer-
educator svolgono una parte del lavoro all’interno delle varie entità della
popolazione coinvolta, come gruppi etnici, religiosi o sociali. Essi sono supportati da
adulti autorevoli che coordinano gli interventi preventivi all’interno di una complessa
rete di collegamento tra le varie agenzie del territorio.
Per le finalità del nostro progetto abbiamo utilizzato la peer education nella sua accezione
pedagogica educativa perché ci sembrava offrisse una naturale continuità con l’ambiente
scolastico e questo poteva garantirci una positiva accoglienza del progetto.
Questo modello di peer-education prevede una fase di addestramento-formazione dei
trainer prima di renderli operativi, da parte del nostro gruppo di lavoro, fase che è stata
programmata a partire dal secondo anno di realizzazione del progetto. Infatti durante il
primo anno si è applicato l’intervento senza la presenza dei trainer che sono stati
individuati attraverso il lavoro di gruppo.
E’ particolarmente delicata la fase di formazione dei trainer e in letteratura si trovano
molteplici suggerimenti su come approntare l’addestramento iniziale e sostenere il
tutoraggio durante l’intervento. Topping (1997) ha affermato che un training deve
prevedere contenuti legati alla teoria della comunicazione e in modo particolare alle abilità
di ascolto attivo ed empatico, la teoria del problem-solving e alcune strategie di gestione
dei conflitti. Gli autori sono concordi nel ritenere la peer-education una strategia originale
ed efficace se viene sostenuta e monitorata lungo tutto il percorso di realizzazione, pena il
fallimento.
Trattati questi due punti cruciali della filosofia del progetto, cioè da una parte la
metodologia dei laboratori cognitivi e dall’altra la risorsa della peer-education, il gruppo di
lavoro andava a definire con maggiore organicità l’intervento.
Il cuore dell’intervento è stato quello di strutturare quattro moduli di due ore ciascuno,
finalizzati a trattare argomenti diversi ma legati tra loro da una continuità concettuale.
L’organizzazione interna del progetto prevedeva un laboratorio informativo sul fumo di
sigaretta, seguiva poi un laboratorio sul problem-solving, quindi un laboratorio sugli stili
comunicativi e infine la visione del film “INSIDER” per comprendere i meccanismi
economici legati alle multinazionali che producono sigarette.
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La continuità concettuale era data dalla constatazione, ormai consolidata dalla letteratura,
che l’apprendimento di un comportamento di dipendenza è determinato da molteplici
variabili personali, ambientali, sociali e biologiche, e di conseguenza un intervento di
prevenzione dovrebbe contemplarle, per essere sufficientemente efficace.
L’autrice Ravenna (1994) ha presentato una rassegna dei vari programmi di prevenzione
e ha sottolineato che i progetti più promettenti sono quelli che si focalizzano su fattori di
tipo psico-sociale, più in particolare quelli rivolti a favorire l’acquisizione di abilità sociali.
Inoltre ha ribadito come alcuni interventi di prevenzione per le dipendenze siano efficaci
quando presentano contenuti sia specifici sulle sostanze che aspecifici legati alle abilità di
vita, come strategie che fronteggiano le situazioni insidiose, la resistenza alle pressioni
sociali, l’attenzione e l’aumento dell’autostima e l’adozione di un comportamento
assertivo.
Lo sfondo teorico su cui si sviluppano questi concetti è quello rappresentato dalla teoria
dei fattori di rischio e dei fattori protettivi, come già accennato nella parte introduttiva;
molti degli interventi di prevenzione sono indirizzati a rinforzare i fattori protettivi, quegli
elementi cioè che si ritiene possano esercitare un’azione di tutela degli equilibri psicologici
e comportamentali di un individuo, specialmente in situazione di stress (Regogliosi 1994).
Tali fattori sono:
- autostima: sensazione di valore personale
- autoefficacia: fiducia nell’efficacia della propria azione sull’ambiente
- autocontrollo: capacità di controllare i propri impulsi e rinviare le
gratificazioni
- aspettative e prospettive ottimistiche
- capacità di interazione sociale.
Sulla scorta di questi contributi il nostro gruppo ha costruito una sequenzialità nella
presentazione dei laboratori collocando in apertura dell’intervento il laboratorio informativo.
Questo modulo per la similitudine con il clima scolastico, ma anche per la sua semplicità,
ci ha favorito nella conoscenza della classe e ci ha aiutato nel presentare con leggerezza
la modalità di lavoro inconsueta per quella scuola. Inoltre questo modulo doveva facilitarci
nello sviluppare un clima creativo e rilassato per favorire il modulo successivo.
E’ seguito il laboratorio del problem-solving che presentava una maggiore difficoltà e
l’inserimento della tecnica del gioco dei ruoli. Abbiamo osservato che se durante il primo
laboratorio si strutturava un clima accogliente questo veniva accolto con molta curiosità e
partecipazione.
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Di seguito è stato inserito il laboratorio comunicativo dove era stato dato ampio spazio alla
drammatizzazione in quanto era finalizzato a sviluppare delle abilità di resistenza o rifiuto
all’offerta della sigaretta. In questo caso la sperimentazione diretta di queste tecniche
poteva facilitarne l’apprendimento.
Infine è stata presentata la visione del film ”INSIDER” che è stato poi commentato e
discusso in classe seguendo alcuni spunti di approfondimento del tema trattato.
Nei progetti precedenti avevamo utilizzato solamente dei questionari di gradimento mentre
per questo progetto volevamo utilizzare degli strumenti di valutazione più sensibili. Per
fare questo dovevamo costruire un disegno di ricerca con degli obiettivi specifici,
individuando delle variabili da misurare e seguendo dei tempi precisi di rilevazione. Questo
ci dava modo di confrontare l’efficacia dell’intervento mettendo a confronto gruppi
sperimentali, dove veniva realizzato il progetto e gruppi di controllo dove si
somministravano solo i questionari di valutazione.
Progetto e sua organizzazioneIl progetto “Strategie e Abilità per gli Adolescenti” aveva come obiettivo principale quello di
ritardare l’iniziazione al fumo di tabacco negli adolescenti. Questo obiettivo è stato oggetto
di molteplici riflessioni e discussioni da parte degli insegnanti della scuola dove sarebbe
stato realizzato l’intervento perchè ritenevano tale meta parziale. A questo proposito è
stato opportuno avviare uno scambio di informazioni e portare una serie di dati della
letteratura per valorizzare l’obiettivo del lavoro. Secondo la letteratura la maggior parte
degli adolescenti che prova sostanze legali o illegali non procede oltre la sperimentazione
e comunque non progredisce nel loro uso. Kandel (1987) sostiene che vi sia una
progressione nell’utilizzo delle sostanze: dal vino, la cui iniziazione avviene in famiglia, si
passa al tabacco e alla birra, dove l’iniziazione avviene all’interno del gruppo dei pari, e poi
ai superalcolici e alla marijuana e da qui ad altre droghe; inoltre svolgono un ruolo
fondamentale nella progressione del consumo sia la precocità di inizio, che la frequenza
d’uso.
Concentrandoci solamente nella fase di iniziazione al consumo di sigarette noi potevamo
controllare maggiormente il comportamento di consumo anche di altre sostanze poiché è
ormai constatato che l’abitudine al fumo di tabacco rappresenta la porta di ingresso per
altre dipendenze.
Per realizzare questo obiettivo abbiamo concentrato l’intervento nelle classi prime, che
erano state segnalate come “bersaglio” su cui intervenire perché lì avveniva l’iniziazione ,
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che alcuni insegnanti avevano indicato come comportamento da prevenire o ridurre.
Avevamo inoltre ricavato dalla letteratura che i comportamenti devianti trovano la loro
massima frequenza nella fascia d’età tra i 16 e 17 anni per poi decrescere (Ravenna
1994). In questo senso tutti gli interventi di prevenzione focalizzati sull’apprendimento di
capacità possono essere indicati e molto efficaci quando si collocano prima di questa
finestra temporale. I dati epidemiologici ci confermavano inoltre che per l’iniziazione al
fumo di tabacco la fascia d’età si colloca tra i 13 e 14 anni e il sesso maschile è
maggiormente coinvolto di quello femminile anche se il trend, in questo ultimo periodo, sta
subendo delle interessanti inversioni ( Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e
Adolescenza 2000, 2001, 2003).
Il secondo obiettivo del progetto è stato di individuare un gruppo di trainer che,
opportunamente addestrati, potessero costituire in futuro degli efficaci propulsori
dell’intervento. Anche per questo secondo obiettivo è stata indispensabile una
concordanza di intenti con gli insegnanti ai quali venivano chiesti dei suggerimenti circa la
scelta dei trainer, ma anche in futuro la legittimazione di lasciare uscire i ragazzi tutor dalle
classi nelle ore di lezione, per essere coinvolti in attività di prevenzione.
Come già ricordato i trainer diventavano attivi dal secondo anno di realizzazione del
progetto, cioè dopo aver fatto i laboratori l’anno precedente nelle loro classi sperimentali,
essere stati individuati e opportunamente addestrati.
Complessivamente i trainer addestrati sono stati 25 nell’arco di quattro anni, la scelta
avveniva in base alle loro abilità relazionali, comunicative e alla motivazione di fare
un’esperienza di leader. Il corso dei trainer si teneva fuori dall’orario scolastico e la
partecipazione era legata all’interesse e alla curiosità; l’unica condizione posta da noi era
che non fossero dei fumatori.
Un terzo obiettivo è stato la costruzione di un gioco, o prodotto multimediale da parte dei
ragazzi che avevano partecipato al progetto rielaborando i contenuti dell’intervento
seguendo la loro creatività. Questo obiettivo è stato particolarmente apprezzato perché
sfruttava l’indirizzo e le attitudini di coloro che avevano scelto una scuola tecnica come
l’ITIS. Questo materiale è stato aggiunto, successivamente, come elemento integrante del
progetto. Alcuni dei lavori svolti dai ragazzi sono stati premiati in varie iniziative di
concorso sempre in tema di prevenzione del tabagismo, come per esempio il Concorso
“Chi non fuma Vince”.
Sul piano della metodologia della ricerca avevamo programmato diversi step di
valutazione:
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1. valutazione iniziale
2. valutazione in itinere
3. valutazione finale
Lo strumento scelto per la valutazione era un Questionario sulle Abitudini al Fumo, in
forma anonima, originato dalla Lega Tumori, ma riadattato da noi. Questo strumento è
stato scelto perché indagava specificatamente alcune variabili che sono implicate
direttamente con lo sviluppo dell’abitudine al fumo. Esse sono la presenza di familiari e
genitori fumatori, le abitudini del gruppo amicale, abitudini rispetto al fumo, percezione del
rischio, comportamenti legati all’offerta di sigarette da parte dei pari.
Sul piano della programmazione il lavoro è iniziato nel Settembre 2001, dopo che per tutto
il periodo di Maggio e Giugno dello stesso anno con gli insegnanti sono state preparate e
predisposte tutte le fasi amministrative e i passaggi formali richiesti dall’organizzazione
scolastica per l’attuazione dell’intervento. Nello stesso periodo si è reso disponibile un
docente per collaborare con noi nella fase di ricerca. Il docente aveva il compito di
distribuire e raccogliere i questionari sulle Abitudini al Fumo, di facilitarci la
programmazione degli incontri di addestramento per i trainer, di preparare il materiale,
come cartelloni, computer, lavagna luminosa etc per gli interventi in classe.
Il periodo di preparazione, Settembre 2001, è servito anche per individuare le prime
quattro classi del progetto di ricerca suddivise in due classi sperimentali e due di controllo,
omogenee per numerosità e distribuzione di genere. Il lavoro è iniziato con la
somministrazione a tutte le quattro classi coinvolte del Questionario sulle Abitudini al
Fumo.
Nel mese di Novembre 2001 sono stati programmati i laboratori che avevano una durata di
due ore. Si è cercato di completarli all’interno di un mese per esigenze legate
all’organizzazione della scuola. A fine intervento è stato somministrato un questionario di
gradimento costruito da noi.
Nel mese di Giugno 2002 è stato chiesto agli insegnanti di risomministrare il questionario
sulle Abitudini al Fumo nelle quattro classi del progetto.
Alla ripresa del secondo anno scolastico il progetto ampliava il suo intervento. Infatti nel
Settembre 2002 gli insegnanti hanno somministrato nuovamente il questionario sulle
Abitudini al Fumo alle nuove quattro prime e alle seconde che l’anno precedente avevano
partecipato al progetto.
Inoltre nel mese di Ottobre sono stati attivati degli incontri di addestramento per il gruppo
dei trainer individuati dagli insegnanti e da noi. Questo gruppo iniziale di 12 ragazzi,
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opportunamente divisi in quattro sottogruppi da tre soggetti, ha collaborato con noi nei
laboratori che erano stati programmati per il mese di Novembre 2002, sempre in classi
prime. In questo modo è stato realizzato un lavoro di tutoraggio che, possiamo anticipare,
si è rivelato molto gratificante per i trainer e rinforzato anche dagli insegnanti che ne
hanno colto l’efficacia. Nel mese di Dicembre 2002 sono stati fatti due incontri, con
tematiche legate alla dipendenza, nelle classi seconde sperimentali, proprio per rinforzare
e mantenere le abilità apprese l’anno precedente e rinnovare delle scelte di vita sana .
All’interno di questa complessa architettura i soggetti che ricevevano maggiori interventi
erano i trainer.
Nel mese di Giugno 2003 è stata fatta la somministrazione, nelle prime e seconde, del
questionario sulle Abitudini al Fumo. A Settembre 2003 è iniziato il terzo anno di lavoro,
l’organizzazione è rimasta rigorosamente la stessa, si è ripetuto la ciclicità dell’utilizzo
degli strumenti di rilevazione e la programmazione degli interventi nelle classi con la
medesima tempistica. L’unica variazione è stata nella programmazione degli incontri di
addestramento per i trainer che erano diventati nel tempo 25 e quindi si è dovuto
suddividere il gruppo per facilitare la formazione.
La seguente tabella illustra le varie fasi della progettazione dell’intervento:Leggenda: Q.A.F. (Questionario Abitudini al Fumo)
Q.G. (Questionario Gradimento)
A.S. 2001-2002
Classi Prime Sperimentali
Classi Prime di Controllo
nov-01 Q.A.F. Q.A.F.dic-01 Q. G.giu-02 Q.A.F. Q.A.F.
A.S. 2002-2003
Classi Seconde
Sperimentali
Classi Seconde Controllo
Classi Prime
Sperimentali
Classi Prime Controllo
set-02 Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F.nov-02 Q. G.giu-03 Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F.
A.S. 2003-2004
Classi Seconde
Sperimentali
Classi Seconde Controllo
Classi Prime
Sperimentali
Classi Prime di Controllo
set-03 Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F.nov-03 Q. G.giu-04 Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F. Q.A.F.
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A.S. 2004-2005
Classi Seconde
Sperimentali
Classi Seconde Controllo
set-04 Q.A.F. Q.A.F.giu-05 Q.A.F. Q.A.F.
Complessivamente la sperimentazione è durata dal 2001 al 2005 .
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STRATEGIE ED ABILITA’ PER ADOLESCENTI: MODULI DIDATTICI
Il progetto è stato strutturato in un’ottica longitudinale tale che le classi che hanno aderito
sono state seguite per un biennio con interventi diversi e progressivi di comprensione e
approfondimento del focus dell’intervento preventivo. Nelle classi prime sono stati
realizzati quattro laboratori, della durata di due ore ciascuno, all’interno dei quali sono stati
organizzati dei compiti cognitivi di destrutturazione e ricostruzione di conoscenze,
esperienze, comportamenti, atteggiamenti ed emozioni.
I laboratori del primo anno di attuazione del progetto sono stati presentati e guidati
interamente dagli operatori del Ser.T. Negli anni successivi invece c’è stato l’ausilio dei
trainer addestrati sia nella fase introduttiva che nel lavoro di gruppo col ruolo di facilitatori.
I laboratori sono stati così strutturati con tematiche specifiche:
1. laboratorio conoscitivo
2. laboratorio del problem solving
3. laboratorio sugli stili comunicativi
4. laboratorio cinematografico
Il lavoro svolto nelle classi è stato condotto secondo il metodo dei laboratori che prevede
la partecipazione attiva degli adolescenti, come descritto precedentemente; la
realizzazione completa di un laboratorio prevede tre fasi:
Breve presentazione teorica dell’argomento da parte degli operatori
Suddivisione della classe in tre gruppi con elaborazione del materiale presentato e
realizzazione di un prodotto (cartellone, drammatizzazione)
Esposizione del lavoro svolto in gruppo al resto della classe da parte di due o tre
ragazzi scelti di volta in volta
Il laboratorio conoscitivo ha la finalità di dare informazioni corrette sulle componenti
chimiche della sigaretta, gli effetti che ha sul fumatore e su chi respira il fumo passivo, e
l’impatto sull’ambiente. Questo è stato fatto partendo dalla costruzione in plenaria
dell’identikit di un fumatore su un cartellone, in base alle conoscenze che avevano i
ragazzi, seguendo una scaletta di domande che portano all’individuazione di tre aree
tematiche: componenti del fumo, fumo passivo, ambiente. Le domande di partenza sono
state:
Componenti del fumo:
-a che età si accende la prima sigaretta
14
-cosa contiene una sigaretta
-quale sostanza crea la dipendenza
-quali sono gli effetti fisici, comportamentali e psicologici a breve e a lungo termine
del fumo di sigaretta
-quali organi vengono danneggiati dal fumo
Fumo passivo:
-che cos’è il fumo passivo
-quali sono i danni del fumo passivo sulle persone
-quali sono gli effetti fisici, comportamentali e psicologici a breve e a lungo termine
del fumo passivo di sigaretta
-quali organi vengono danneggiati dal fumo passivo
Ambiente:
-dove si fuma la prima sigaretta e con chi
-quali sono gli effetti sul micro e sul macro-ambiente (casa, strade, colture,
ecologia..)
Le informazioni emerse dai ragazzi sono poi state integrate dagli operatori con dati
scientificamente corretti, sollecitando un confronto tra le pre-conoscenze e le nuove
informazioni, mettendo in risalto anche graficamente le due fonti scrivendo sul cartellone
con due colori diversi. E’ stato sollecitato il confronto tra le parti promuovendo
un’interazione attiva e collaborativa che svincolasse dalla mera “lezione frontale
dell’esperto”.
Terminato il lavoro in plenaria e divisa la classe in tre gruppi omogenei per numero, ad
ognuno è stato dato del materiale didattico (articoli di giornale, articoli scientifici,
depliant…) da rielaborare per la realizzazione di un cartellone che contenesse tutte le
informazioni emerse precedentemente, ma opportunamente rielaborate con lo scopo di
introiettarle e farle proprie secondo un linguaggio che sentissero consono. Dover produrre
un cartellone implica che all’interno del gruppo si sviluppi collaborazione tra i componenti,
una suddivisione equa dei compiti e uno scambio paritario di idee fondamentale per la
costruzione di rapporti tra i pari liberi da pressioni o prevaricazioni dei più forti a discapito
dei più deboli. Ogni gruppo aveva il materiale inerente ad una delle tre aree tematiche
precedentemente individuate e l’organizzazione grafica sul cartellone è stata lasciata
15
libera. Il laboratorio si è concluso con l’esposizione, da parte di due componenti del
gruppo, dell’elaborato al resto della classe e la consegna di un compito da preparare per
l’incontro seguente: inventare una breve storia che contenesse un problema da risolvere,
non necessariamente inerente al fumo.
A partire dal secondo anno di realizzazione del progetto, sono stati presenti in classe i
trainer, precedentemente addestrati dai referenti del progetto, che in questo primo
laboratorio hanno presentato, nella parte iniziale, i prodotti multimediali da loro costruiti,
che contenevano rielaborazioni del materiale inerente le tre aree di interesse. Durante il
lavoro in gruppo invece hanno svolto il ruolo di facilitatori, sono stati garanti della
metodologia e hanno aiutato i ragazzi delle classi prime nelle fasi di organizzazione del
materiale e del cartellone, e nella suddivisione dei compiti, stimolando la collaborazione di
tutti i componenti.
Il secondo incontro si è aperto con la drammatizzazione, da parte degli operatori del
Ser.T., di una scenetta in cui tre ragazzi si trovavano in una situazione problematica e non
sapevano come risolverla. Partendo da questo racconto, è stata presentata la tecnica del
problem solving (D’Zurilla e Goldfried 1968) ponendola come possibile abilità da
apprendere e utilizzare di fronte a qualsiasi problema che comporti una decisione da
prendere. Sono state portate alla luce le pressioni sociali come fattori che influiscono sulle
decisioni e si è cercato di individuare il modo di coglierle, affrontarle e gestirle. E’
importante usare strategie di modeling e insegnare a scomporre gli eventi in sezioni più
facilmente analizzabili da diversi punti di vista. L’enfasi è stata posta sulla forza del gruppo
come strumento di trasformazione. Il lavoro di gruppo è stato fatto analizzando la storia
portata dai ragazzi seguendo le sei fasi del problem solving, che dovevano venir riportate
in un cartellone, costruendo alla fine una mappa cognitiva o percorso per la soluzione del
problema. Le sei fasi sono:
1. Identificazione e definizione del problema
2. Individuazione dell’obbiettivo da raggiungere
3. Individuazione di tutte le soluzioni possibili
4. Individuazione dei pro e dei contro di ogni soluzione
5. Scelta della soluzione più adeguata
6. Descrizioni delle azioni necessarie per metterla in atto
Esse corrispondono ad altrettante funzioni cognitive come la comprensione, la previsione,
la pianificazione,il monitoraggio e la valutazione.
16
Anche a conclusione del secondo incontro c’è stata la presentazione del lavoro fatto in
gruppo al resto della classe accompagnato anche dalla drammatizzazione. Lo scopo di
questo laboratorio è stimolare riflessioni partendo da esperienze personali sul tema delle
pressioni sociali e del processo di scelta, addestrare i ragazzi ad una tecnica per far fronte
ai problemi di tutti i giorni e aumentare l’autoefficacia percepita.
Negli anni successivi al primo, i trainer hanno contribuito portando la drammatizzazione di
una scenetta e seguendo i lavori di gruppo con la stessa finalità del primo laboratorio.
Nel terzo incontro sono stati presentati tre stili comunicativi che risultano essere usati
prevalentemente: il passivo, l’aggressivo e l’assertivo, nella loro componente verbale (tono
della voce, contenuti,..) e non-verbale (mimica facciale, postura, gestualità..), all’interno
della teoria della comunicazione. Obiettivo di questo laboratorio è far apprendere ai
ragazzi nuove competenze per gestire relazioni e conflitti, attraverso una comunicazione
assertiva, più efficace e non collusiva o conflittuale. Il modo in cui si comunica riflette il
proprio modo di essere e di porsi nei confronti degli altri e ciò può influire grandemente sul
rapporto che si instaura tra due persone e sull’effetto e l’efficacia che il messaggio da
trasmettere ha su chi lo riceve. Chi usa lo stile passivo tende ad attribuire molta
importanza alle aspettative che gli altri hanno su di lui, è incapace di esprimere i propri
bisogni, mette in atto comportamenti di evitamento e cerca di sottrarsi al coinvolgimento
emotivo. Le persone che usano una comunicazione aggressiva sono centrate su sé
stesse, incapaci di cogliere il punto di vista altrui e mirano a prevaricare e controllare chi
sta loro di fronte. La persona assertiva invece è attenta e sensibile alle esigenze altrui,
espone le sue idee con pacatezza senza imporla all’altro e nel rispetto delle posizioni
altrui. In plenaria è stata sollecitata la riflessione sullo stile comunicativo prevalentemente
usato da ognuno e come tutti, in base alla situazione e alla persona con cui ci si trova a
relazionarsi, siamo capaci di usare tutti gli stili. Si è cercato inoltre di far arrivare i ragazzi
alla conclusione che lo stile assertivo è quello più efficace perché permette di esprimere le
proprie idee senza suscitare le ire di chi ci ascolta e di conseguenza venire estromessi dal
gruppo o, all’opposto, venire influenzati e subire passivamente il volere altrui.
Nella tabella seguente vengono riassunte le caratteristiche principali su cui ci si è
soffermati maggiormente nella parte teorica:
17
STILE PASSIVO STILE AGGRESSIVO
STILE ASSERTIVO
SGUARDO -verso il basso
-sfuggente
-fisso sull’Altro
-provocatorio
-diretto
-espressivo
MIMICA FACCIALE -povera, rigida, poco
espressiva
-inadeguata alle
parole
-esagerata
-inadeguata al
contenuto verbale
-adeguata, serena
-corrispondente al
linguaggio verbale
GESTUALITA’ -limitata e ripetitiva
-incerta, ambigua
-sovrabbondante
-ampia e vistosa
-flessibile e varia
-rinforza e sottolinea
il contenuto verbale
POSTURA -rigida, dimessa,
goffa, in fuga o sulla
difensiva, chiusa
-invadente,
ravvicinata, protesa
verso l’Altro
-rilassata
TONO DELLA VOCE -basso, incerto -alterato, concitato -sicuro, chiaro
-modulato a
seconda delle
situazioni
CONTENUTO -impersonale e
indiretto
-incerto, dubitativo
-privo di riferimenti
ed opinioni personali
-prevalente uso del
tu
-ricco di affermazioni
assolutistiche
-perentorio, rigido,
accusatorio,
dogmatico
-esplicito,coerente
con idee personali
-prevalente uso dell’
“io”, presenza di
argomentazioni
senza giudizi
Alla teoria è seguita una breve simulata degli operatori che incarnavano ognuno uno dei
tre stili. Compito dei ragazzi è stato scrivere in gruppo un copione che prevedesse la
rappresentazione dei tre stili che, nell’esposizione alla classe, dovevano essere
riconosciuti dai componenti degli altri gruppi.
18
I trainer in questo laboratorio hanno presentato la scenetta iniziale su una storia pensata
da loro e aiutato i ragazzi in gruppo a coordinare il lavoro di scrittura del copione e la
divisione delle parti da recitare.
Questi primi tre laboratori, in apparenza scollegati tra loro, hanno un filo che li lega:
acquisite le conoscenze sul fumo di sigaretta, se si presenta il problema di entrare in un
gruppo di amici che fumano, col problem solving si può trovare la soluzione migliore e con
lo stile comunicativo assertivo la si può comunicare in modo efficace. La pressione
esercitata dal gruppo dei pari può venire così affrontata e superata, lasciando i ragazzi
liberi di mantenere le proprie posizioni e decisioni, rimanendo integrati ugualmente nel
gruppo, nel rispetto delle parti.
Nel quarto ed ultimo incontro è stato visto il film “Insider” a cui è seguita una discussione in
plenaria sul tema della legislazione nazionale e internazionale riguardo al fumo di
sigaretta, dei meccanismi economici e del controllo delle informazioni da parte delle
multinazionali che producono tabacco; è stato inoltre messo in evidenza come la ricerca
scientifica ha la possibilità di scegliere tra mettersi a disposizione delle salute pubblica o
delle multinazionali. In questo laboratorio ci si è avvalsi della collaborazione di un
giornalista che ha presentato il film enfatizzando alcuni passaggi cruciali della trama con lo
scopo di favorire la comprensione di alcuni meccanismi che regolano il mondo
dell’informazione.
Nelle classi seconde, che l’anno precedente avevano fatto i quattro laboratori, ne sono
stati predisposti due che riprendevano la stessa metodologia dei precedenti, ma con
tematiche diverse. Anche questi sono stati svolti in due ore ciascuno e, a partire dal terzo
anno, ci si è avvalsi dell’ausilio dei trainer.
Terminata questa fase in plenaria, i ragazzi hanno lavorato in gruppi e prodotto cartelloni
sul materiale emerso. Nel primo incontro sono stati ripresi i concetti dell’anno precedente
riguardo le componenti della sigaretta, integrandoli con informazioni sui paesi produttori di
tabacco, le implicazioni economiche, le leggi, la storia, il tutto sempre in plenaria e con
l’utilizzo di cartelloni così da aver sempre presenti i dati che emergevano. A questo è stato
aggiunto un lavoro di ricerca sulle informazioni possedute dai ragazzi sulla marijuana, il
suo utilizzo, le forme in cui viene venduta e utilizzata, la legislazione nazionale, i paesi
produttori, il consumo nella storia e attualmente. Sono stati così costruiti due percorsi
paralleli sulle due sostanze, soffermandosi sulle similitudini e sulle differenze, con
l’integrazione finale da parte degli operatori del Ser.T. di nozioni corrette. I ragazzi poi
19
sono stati invitati a dividersi in tre gruppi omogenei e lavorare sul materiale emerso,
producendo un cartellone che contenesse le informazioni acquisite rielaborate da loro. Il
laboratorio si è poi concluso con la presentazione degli elaborati al resto della classe.
Nel secondo incontro si è mantenuta la struttura di percorso parallelo tra le due sostanze
(tabacco e marijuana), centrato però sugli effetti psicologici e fisici che queste portano a
breve e a lungo termine, mettendo in risalto le similitudini e le differenze. L’uso in plenaria
del cartellone su cui scrivere le informazioni emerse dalle conoscenze dei ragazzi, scritte
con un colore, e le informazioni date dagli operatori scritte con un colore diverso, hanno
permesso di far risaltare le scarse e scorrette conoscenze che essi hanno rispetto ai danni
reali che le sostanze provocano.
In entrambi i laboratori i trainer hanno presentato i lavori multimediali preparati da loro che
riassumevano i temi degli incontri e affiancato i compagni nel lavoro di gruppo.
RISULTATI
Il progetto di prevenzione prevedeva una valutazione longitudinale per una biennalità; ogni
anno venivano inserite 4 classi prime, due sperimentali, nelle quali veniva fatto l’intervento
e due di controllo alle quali è stata chiesta la collaborazione solo per la compilazione del
questionario sulle abitudini al fumo a inizio e fine anno scolastico, per due anni
consecutivi.
Complessivamente sono state valutate 12 classi, 6 in cui si è svolto il progetto preventivo
e 6 classi di controllo.
Il campione
La sperimentazione ha avuto luogo presso l’I.T.I.S. “E. Barsanti” di Castelfranco Veneto
dall’anno scolastico 2001/2002 all’2004/2005. Nella tabella seguente è riportato lo studio
longitudinale di somministrazione del questionario sulle abitudini al fumo; i dati sono stati
analizzati raggruppando i questionari dei tre anni ottenendo quattro gruppi: prima
dell’intervento (PRE), quindi l’intervento, a seguire le varie somministrazioni POST 1;
POST 2; POST 3;
Tabella 1
a.s. 2001/2002 a.s. 2002/2003 a.s. 2003/2004 a.s. 2004/2005
Sperimentali
Controllo
20
Sperimentali
Controllo
Sperimentali
Controllo
Classi sperimentali e controllo all’inizio del primo a.s. (ottobre) (PRE)
Classi sperimentali e controllo al termine dell’a.s. (giugno) (POST1)
Classi sperimentali e controllo all’inizio del secondo a.s. (ottobre) (POST2)
Classi sperimentali e controllo al termine del secondo a.s. (giugno) (POST3)
Nella valutazione iniziale (PRE) il campione era composto da 282 ragazzi (142
appartenenti alle classi sperimentali e 140 a quelle di controllo).
Il campione a causa della dispersione scolastica, alla somministrazione finale (POST3),
era composto da un totale di 205 ragazzi ( 100 di controllo e 105 sperimentali).
Nell’analisi dei dati non si è tenuto conto dei soggetti, inseriti nelle classi successivamente,
che non avevano partecipato al progetto sperimentale.
Nella tabella si vede in dettaglio l’andamento del campione.
Tabella 1.a
PRE POST1 POST2 POST3
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
142 140 131 130 109 107 100 105
Analisi delle variabili del campione
Le variabili prese in considerazione per la valutazione del campione sono state:
abitudini rispetto al fumo dei genitori
fumo nel gruppo dei pari
abitudini personali legate al fumo
percezione del rischio
21
comportamenti legati all’offerta di sigarette da parte dei pari
Nelle tabelle non sono state riportate le percentuali delle “non risposte”. Di seguito
presentiamo i risultati, variabile per variabile, della prima rilevazione (PRE):
1)Abitudini al fumo dei genitori
Nella valutazione iniziale si riscontra un maggior numero di genitori fumatori nel campione
sperimentale (il 36.4% negli sperimentali ha almeno un genitore che fuma contro il 26.7%
del controllo).
In dettaglio:
Tabella 2
PRE
Controllo Sperimentali
Genitori non
fumatori
72.5% 63.6%
Almeno un
genitore
fumatore
26.7% 36.4%
2)Il gruppo dei pari
La seconda variabile presa in esame riguarda l’abitudine al fumo del gruppo dei pari. Ai
soggetti veniva chiesto quanti dei loro cinque migliori amici fumasse.
I risultati evidenziano che nel gruppo di controllo si ha una maggiore percentuale sia dei
ragazzi che dichiarano di non avere amici fumatori ( 40.1% contro il 34.3%) sia di quelli
che dichiarano di avere la maggioranza di amici fumatori (14.7% vs 10.6%). Il valore
“maggioranza di amici fumatori” comprende i soggetti che hanno dichiarato di avere dai 3
ai 5 amici che fumano. Nella tabella non rientrano, quindi, i soggetto che hanno dichiarato
di avere 1 o 2 amici fumatori.
Tabella 3
PRE
Controllo Sperimentali
Nessun amico 40.1% 34.3%
22
fumatore
Maggioranza
di amici
fumatori
14.7% 10.6%
3)Abitudine personale rispetto al fumo
Per valutare l’abitudine personale sono stati presi in considerazione due items, il primo
che analizzava la sperimentazione (“Hai mai provato a fumare?”) il secondo che verificava
l’uso attuale del tabacco (“Nel mese scorso hai fumato?”).
Tabella 4 Hai mai provato a fumare?
PRE
Controllo Sperimentali
Non ho mai
provato a
fumare
55% 49%
Ho provato a
fumare
45% 51%
Nel gruppo sperimentale, alla prima rilevazione si riscontra la presenta di ragazzi che
hanno provato a fumare maggiore di un 6% rispetto al controllo.
Tabella 4.a Nel mese scorso hai fumato?
PRE
Controllo Sperimentali
Nel mese
scorso non ho
fumato
71% 76%
Nel mese
scorso ho
fumato
29% 24%
23
Dall’analisi comparata delle due tabelle si rileva che nel gruppo sperimentale c’è un
numero maggiore di soggetti che hanno provato a fumare, ma nel gruppo di controllo c’è
un 5% in più di fumatori “attivi”.
4)Percezione del rischio
La quarta variabile considerata riguarda la percezione legata ai rischi del fumo di tabacco.
Nella tabella verranno considerati esclusivamente i valori “estremi” della variabile associati
alla bassa o alta percezione del rischio.
Tabella 5
PRE
Controllo Sperimentali
Anche a basse dosi
(1-2 sigarette)
39.4% 25%
Se si fuma più di un
pacchetto
28.1% 34.1%
Nella valutazione iniziale si nota che il gruppo di controllo ha una maggiore percezione del
rischio rispetto alle classi sperimentali ritenendo il fumo dannoso anche se si fumano 1 o 2
sigarette (39.4% contro il 25%). In entrambi i gruppi quasi un 40% dei soggetti si colloca
nel valore intermedio della variabile (se si fumano più di 5 sigarette).
5)Comportamenti legati all’offerta di sigarette da parte dei pari
L’ultima variabile presa in considerazione riguarda l’influenza che la pressione sociale ha
nel comportamento degli adolescenti rispetto all’accettare o meno una sigaretta. Nella
tabella non vengono considerati i ragazzi che hanno risposto “non so”.
Tabella 6
PRE
Controllo Sperimentali
Accetto se mi
offrono una
sigaretta
16% 18%
Rifiuto se mi
offrono una
sigaretta
60.5% 67%
24
Dalla tabella si evince che i due gruppi non differiscono significativamente per quanto
riguarda l’accettare la sigaretta, mentre nel rifiuto il gruppo sperimentale supera il controllo
di un 6.5%.
Analizzeremo in seguito l’andamento delle stesse variabili nelle tre somministrazioni
avvenute dopo l’intervento nelle classi.
1)Abitudini rispetto al fumo dei genitori
Con l’avanzamento del progetto e la diminuzione della numerosità del campione si è
modificata anche la distribuzione della variabile “fumo dei genitori” tuttavia un dato
costante nelle tre rilevazioni risulta essere una differenza di circa il 10% tra i due gruppi.
Tabella 7
POST 1 POST 2 POST 3
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Genitori
non
fumatori
74% 63.9% 78% 68.3% 76% 64.6%
Almeno un
genitore
fumatore
23% 36.1% 22% 31.7% 22% 30.4%
2)Fumo nel gruppo dei pari
Nelle valutazioni successive si riscontra una progressiva diminuzione di frequenza della
risposta “Nessun amico fumatore” che passa dal 40.1% (PRE) al 18%(POST3) nel
controllo e dal 34.3% al 15.2% nelle classi sperimentali.
Nella risposta “Maggioranza di amici fumatori” si riscontra un diverso andamento nei due
gruppi:
Il gruppo di controllo ha un aumento del 12% già rilevabile nel POST1 che tuttavia
diminuisce al 23% nelle ultime due somministrazioni
Il gruppo sperimentale ha un aumento lineare partendo da un 10.6% del PRE a un 29.4%
del POST3.
Tabella 8
POST1 POST2 POST 3
25
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Nessun
amico
fumatore
25% 30.8% 22.9% 15.8% 18% 15.2%
Maggioranza
di amici
fumatori
26% 19.2% 22.9% 24.2% 23% 29.4%
3)Percezione del rischio
Nel gruppo di controllo non si hanno rilevanti variazioni tra la prima e l’ultima
somministrazione rispetto sia alla alta che bassa percezione del rischio. Nel gruppo
sperimentale, invece, c’è un aumento del 6.4% di soggetti che ritengono pericoloso il fumo
anche a basse dosi e una diminuzione del 3% di ragazzi che considerano rischioso il fumo
solo ad alte dosi.
Tabella 9
POST1 POST2 POST 3
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Anche a
basse dosi
(1-2
sigarette)
31% 30.7% 33% 28% 38% 31.4%
Se si fuma
più di un
pacchetto
26% 33% 28.4% 19.6% 28% 31.4%
4)Abitudini personali rispetto al fumo
Tabella 10
POST1 POST2 POST 3
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Non ho
mai
32% 40% 32% 36.5% 30% 36.2%
26
provato a
fumare
Ho provato
a fumare
68% 60% 68% 63.5% 70% 63.8%
Tabella 11
POST1 POST2 POST 3
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Controllo Sperimental
i
Mese
scorso ho
fumato
40% 22.3% 33% 31.8% 35% 34.2%
Non ho
fumato il
mese
scorso
60% 77.7% 67% 68.2% 65% 65.8%
Per approfondire ulteriormente la valutazione dei risultati, sono stati presi in esame alcuni
item critici del questionario, e più precisamente:
hai mai provato a fumare? (comportamento lifetime)
hai fumato nel mese scorso? (comportamento recente)
pensi che fumare sia pericoloso per la salute? (percezione del rischio)
se un amico oggi ti offrisse una sigaretta come ti comporteresti? (intenzione)
Oltre ai precedenti, è stata considerata la presenza in famiglia di almeno un genitore che
fuma e il numero di amici fumatori.
I dati relativi ai comportamenti sono dicotomici (si/no), la percezione del rischio è espressa
da un punteggio da 1 (minima percezione) a 4 (massima percezione), l’intenzione è pure
misurata con un punteggio da 1 (massima intenzione) a 3 (minima intenzione).
Sul piano statistico, il confronto dei dati di frequenza tra i gruppi sperimentale e di controllo
è stato effettuato con il test del c2, mentre il confronto tra punteggi si è avvalso del test U
di Mann-Withney, test non parametrico che è stato preferito al più noto t-test di Student
per la natura ordinale del dato.
27
La Tab. 12 illustra i risultati ottenuti nella rilevazione ex-ante (pre) e nelle tre ex-post (post
1, post 2, post 3).
La numerosità totale in entrambi i gruppi tende a ridursi nel tempo a causa delle
bocciature, della dispersione scolastica e dei trasferimenti. Tuttavia il rapporto numerico
tra il campione sperimentale e quello di controllo rimane sostanzialmente invariato.
Nel corso del periodo di osservazione si è rilevato un certo movimento dei dati relativi al
fumare che inizialmente non mostravano differenze tra i due gruppi: per quanto attiene il
comportamento lifetime, sembra addirittura che vi sia un peggioramento del gruppo
sperimentale al post 1; la situazione ridiventa equilibrata al post 2, mentre all’ultimo follow
up si nota un miglioramento del dato. Tuttavia le dichiarazioni al post 3 relative all’aver mai
fumato appaiono poco coerenti con quelle precedenti: mentre infatti 68 soggetti del gruppo
sperimentale avevano dichiarato di aver provato a fumare al post 2, al post 3 si riducono
misteriosamente a 37, a fronte di una numerosità complessiva sostanzialmente invariata.
Sembrano invece più coerenti e affidabili le dichiarazioni sul fumo recente, dell’ultimo
mese. I dati mostrano infatti che il gruppo di controllo ha un fumo recente maggiore del
gruppo sperimentale al post 1, mentre la situazione si riequilibra successivamente. Ciò
sembrerebbe indicare una effettiva riduzione dell’assunzione di nicotina in coloro che sono
stati esposti all’intervento preventivo: questa riduzione potrebbe essere il frutto di una
diminuzione della frequenza d’uso, di una maggiore astensione dal fumo o da un ritardo
nell’iniziazione.
L’intenzione di fumare non mostra particolari dinamiche durante il periodo di osservazione.
La percezione del rischio invece, che inizialmente era addirittura maggiore nel gruppo di
controllo, si ribalta al post 2 per poi ritornare in equilibrio tra i due gruppi al post 3.
Il numero medio di amici fumatori aumenta nel tempo, dato atteso per l’incremento della
diffusione del fumo caratteristico di quell’età, ma non mostra significative differenze tra i
due campioni.
Curiosamente si osserva che la presenza di genitori fumatori, che non mostrava iniziali
differenze tra i gruppi, si modifica al post 1 forse per effetto della variazione della
numerosità; va inoltre notato a questo proposito che sembra esistere addirittura una
maggiore ritrosia a dichiarare la condizione dei genitori piuttosto che la propria, come
viene evidenziato dalla quota di non risposte.
Riassumendo, i dati sembrano indicare che l’intervento preventivo abbia una qualche
efficacia a breve termine nel ridurre l’assunzione recente di tabacco e nell’aumentare la
percezione del rischio. Il dato sul comportamento lifetime non sembra del tutto affidabile a
causa di una incoerenza interna, soprattutto tra post 2 e post 3, per cui resta il dubbio se vi
28
sia stato o meno un effettivo cambiamento della prevalenza del fumo. Un altro
interrogativo a cui il progetto purtroppo non può dare risposta riguarda i soggetti persi di
vista: sarebbe interessante infatti conoscere quale sia la loro situazione relativamente al
fumo e se i dati raccolti siano stati distorti da quelli mancanti, cioè se vi sia stata una
selezione dei soggetti correlata al fumo di tabacco.
29
Tab. 12 – risultati item critici, (a) test c2 ; (b) test U di Mann-Withney
variabili
PRE POST 1 POST 2 POST 3
contr sper p contr sper p contr sper p contr sper p
n = 142 n = 140 n = 131 n = 130 n = 109 n = 107 n = 100 n = 105
GENITORE CHE FUMA (a) (a) (a) (a)
no 103* 89ns
97** 83p=0.012
85 73ns
76*** 68****ns
si 38* 51 30** 47 24 34 22*** 32 ****
AMICI FUMATORI (b) (b) (b) (b)
n. medio 1,65 1,59 ns 2,12 1,80 ns 2,14 2,14 ns 2,28 2,45 ns
PROVATO FUMARE (a) (a) (a) (a)
no 78 69ns
89 52p<0.000
35 39ns
30 67*p<0.000
si 64 71 42 78 74 68 70 37*
FUMO ULTIMO MESE (a) (a) (a) (a)
no 101 105*ns
78 101p=0.002
73 73ns
64* 69ns
si 41 34* 53 29 36 34 35* 36
PERCEZIONE RISCHIO (b) (b) (b) (b)
punteggio medio 3,39 3,10 P=0.022 3,27 3,12 ns 3,03 3,39 p=0.009 3,10 2,98 ns
ACCETTA SIGARETTE (b) (b) (b) (b)
punteggio medio 2,49 2,59 ns 2,39 2,53 ns 2,50 2,46 ns 2,24 2,41 ns
* 1 soggetto non risponde
** 4 soggetti non rispondono
*** 2 soggetti non rispondono
**** 5 soggetti non rispondono
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Sono stati infine elaborati i dati del questionario di gradimento del progetto.
Vengono presentati nella Tab 13 i risultati complessivi medi tra le diverse
somministrazioni del questionario
Tabella 13
ITEM Molto/Abbastanza Poco/Per nulla
I laboratori ti hanno dato
Informazioni utili
87 13
I laboratori ti hanno
coinvolto
88.5 11.5
I laboratori ti hanno fornito
conoscenze
77.5 22.5
Ne hai parlato con i
familiari
19.8 80.2
Ti hanno fatto riflettere 86.5 13.5
Laboratorio Informativo 93.3 6.7
Problem solving 78 22
Assertività 67 33
Film 92.2 8.8
L'intervento è piaciuto hai
tuoi compagni
88.5 8.5
I dati sono in percentuale. Le percentuali che non raggiungono il 100% contengono alcune risposte
non date.
GLI INCONTRI:
1) Mi hanno fornito informazioni nuove: l’87% dei ragazzi ritiene che l’iniziativa ha fornito
informazioni nuove, mentre il 13% dichiara che era già a conoscenza delle informazioni trasmesse.
2) Mi hanno coinvolto attivamente con il metodo proposto: la maggioranza degli allievi (88.5%)
ritiene che il metodo utilizzato sia stato coinvolgente, mentre l’11.5% non si è sentito coinvolto.
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3) Mi hanno trasmesso conoscenze utili per il mio modo di comportarmi: il 77.5% dei ragazzi
ritiene che ciò che gli è stato detto è stato utile, mentre il 22.5% ritiene che le informazioni trasmesse
non sono stati di utilità per il proprio comportamento..
4) Mi hanno stimolato a parlarne con i familiari: l’80.2% dei ragazzi afferma di non essere stato
stimolato a parlarne con i genitori, mentre il 19.8% è stato stimolato in questa direzione.
5) Mi hanno fatto riflettere sulle mie scelte: l’iniziativa è servita a far riflettere la maggior parte dei
ragazzi (86.5%) sulle proprie scelte.
6) Mi hanno soddisfatto (per ogni singolo incontro):
I. Informativo: quasi tutti i ragazzi (93.3%) sono rimasti soddisfatti dell’incontro informativo, solo
il 6.7% non si ritiene soddisfatto. A livello qualitativo i ragazzi sono rimasti colpiti dalle
informazioni relative alle sostanze contenute nelle sigarette.
II. Problem-solving: anche questo laboratorio è stato molto soddisfacente, infatti, si dichiarano
soddisfatti il 78% dei ragazzi e insoddisfatti il 22%. Alcuni ragazzi hanno trovato questa
attività un po’ noiosa e non riescono a capire cosa centri con il fumo, altri dicono che
potrebbe essere migliorata ma in generale è piaciuta.
III. Assertività: rispetto a questo laboratorio il 67% dei ragazzi è soddisfatto mentre il 33% è
insoddisfatto. Come per il problem-solving i ragazzi hanno fatto fatica a capire la relazione
tra il fumo e l’assertività, alcuni l’hanno trovata un po’ noiosa, comunque propongono di
rendere questo laboratorio più interessante. In generale è piaciuto.
IV. Film: In generale questo laboratorio è stato soddisfacente per 92.2% dei ragazzi, mentre è
stato non soddisfacente per il 8.8%. I commenti negativi sono relativi a ragazzi a cui il film è
sembrato noioso. In generale è stato comunque molto gradito.
7) Penso abbiano soddisfatto i miei compagni: l’88.5% dei ragazzi pensa che l'intervento sia
piaciuto ai coetanei mentre l'8.8% pensa che il progetto non abbia avuto un buon riscontro nella
propria classe.
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